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ISBN 978-88-8443-445-6
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012
Gruppi, folle, popolo in scena
Persistenza del classico
nella storia del teatro europeo
Andrea Comboni
Paolo Tamassia
Introduzione 7
Abstract
1
Vedi J. Rolland, Les origines latines du théâtre comique en France (1926),
Genève 1972, pp. 57-58 e A. Chassang, Des essais dramatiques imités de
l’antiquité au XIVe et au XVe siècle, Paris 1852, p. 7.
2
Ivi, pp. 48-49.
3
Oltre alle trecentesche Ecerinis (1314) di Mussato, De casu Cesenae
(1377) di Ludovico da Fabriano e Tragoedia (1387) di Giovanni Manzini della
Motta, si possono ricordare: Mathematicus sive Patricida di Bernardo
Silvestre, De Affra et Flavio, Due lotrices, pubblicate in F. Bertini (a cura di),
Tragedie latine del XII e del XIII secolo, Genova 1994; Achilleis di Loschi,
Progne di Correr, pubblicate in V. Zaccaria e L. Casarsa (a cura di), Il teatro
umanistico veneto: la tragedia, Ravenna 1981; Hiensal di Leonardo Dati, De
Epica e storia nella tragedia medievale 99
scono per vari aspetti dal modello di tragedia che finirà per preva-
lere nel Rinascimento.
Per comprendere appieno il senso e la portata di questa fase
particolare della storia del dramma occorre ripercorrere innanzi-
tutto l’evoluzione del concetto di tragedia dalla tarda antichità al
Medioevo. Con l’avvento del cristianesimo, il ricordo degli autori
drammatici del passato tende a confondersi e anche le nozioni di
tragedia e di commedia si trasformano sensibilmente. Sebbene in
questo contributo intenda occuparmi in particolare della storia e
dell’epica in relazione alla tragedia, occorre menzionare entrambi i
generi perché nella trattazione degli eruditi medievali sono quasi
sempre affiancati e illustrati mediante una contrapposizione, il cui
schematismo semplificativo ha un evidente intento didascalico. A
patire dalla tarda antichità, le nozioni relative ai generi drammatici
subirono una sorta di congelamento e rimasero immutate per se-
coli, nonostante la graduale trasformazione della situazione cultu-
rale. Nel corso del Medioevo, fra la sfera erudita e la pratica spet-
tacolare si aprì infatti un enorme divario, che fu colmato soltanto a
partire dalla fine del Quattrocento. Il ricordo della drammaturgia
antica perdurò ovviamente più a lungo di quello delle rappresenta-
zioni teatrali, e non soltanto per la persistenza del testo a fronte
della condizione effimera della performance, ma anche per l’atteg-
giamento maggiormente negativo della Chiesa nei confronti dello
spettacolo. Per salvare in qualche misura la drammaturgia antica,
alla quale attribuivano un valore letterario, gli scrittori cristiani la
privarono della sua funzione originaria, astraendola idealmente
dall’idea di rappresentazione. D’altra parte, durante la tarda anti-
chità avevano finito per prevalere spettacoli molto volgari e basati
su testi sostanzialmente privi di valore letterario, come il mimo e le
farse.
L’idea di commedia e di tragedia che si fissa nella memoria let-
teraria deriva dunque dalla tradizione drammatica di epoca clas-
sica, sebbene con molte contaminazioni e ambiguità. Proviamo a
ripercorrerne alcune tappe fondamentali, che conducono all’elabo-
razione di un concetto di tragedia che permane fino al Quattro-
8
Agostino, De Civitate Dei, ed. it. a cura di L. Alici, Milano 1984, II 8.
9
Scrive per esempio che «Roscio era volontariamente in scena una falsa
Ecuba, ma di natura un uomo vero» (At vero in scena Roscius voluntate falsa
Hecuba erat, natura verus homo; sed illa voluntate etiam verus tragoedus, eo
videlicet quo implebat, institutum): Agostino, Soliloquia libri duo, II 10 (PL 32,
893).
10
Isidoro di Siviglia, Etymologiarum sive originum libri XX, a cura di W.
M. Lindsay, Oxonii e Typographeo Clarendoniano, 1911, 2 voll. [da ora:
Etymologiae].
102 Sandra Pietrini
una disputa fra due personaggi, per esempio, è stato addirittura in-
terpretato come un indice della stretta connessione fra la retorica
forense e il teatro medievale.20 Del resto, l’attore è stato associato
all’oratore fin dall’antichità, ovvero prima che la nozione di teatro
si ampliasse a dismisura, fino ad includere forme espressive di va-
rio genere.
20
J. Enders, Rhetoric and the Origins of Medieval Drama, New York 1992,
p. 87.
21
Scholia in Horatium, a cura di H. J. Botschuyver, Amsterdam 1942, p.
461.
22
Per esempio un vaso a figure rosse del V secolo a.C. (Boston, Art
Museum), in cui è raffigurato un attore nell’atto di calzare i coturni, e un
frammento di vaso a figure rosse, del IV secolo a.C. (Würzburg, Martin von
Wagner Museum), entrambi provenienti dall’Italia meridionale. In un affresco
di Pompei, ora al Museo Nazionale di Napoli, databile dal I secolo a.C. al I
d.C., sono invece raffigurati due attori che indossano delle calzature dalla
zeppa piuttosto alta.
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del 1407 ca. e del 1415.28 Di più difficile interpretazione è una mi-
niatura del 1390 ca., in cui è raffigurata un’alta piattaforma poligo-
nale, che probabilmente rappresenta il palcoscenico, mentre a sini-
stra due poeti leggono da una pergamena, controllati da due cen-
sori.29 Rappresentano forse, nell’intenzione dell’artista, il poeta tra-
gico e il poeta comico. In tal caso, e diversamente dalle miniature
già citate, sarebbero un’allusione puramente emblematica al teatro
antico, che mal si combina con la dinamica scenica (peraltro di dif-
ficile decifrazione, poiché lo spettacolo sembra essere costituito
soprattutto dagli amoreggiamenti dei romani in primo piano, come
se l’artista avesse voluto raffigurare gli effetti funesti del teatro
piuttosto che una scena drammatica).
Un riferimento al testo, o più in particolare ai due generi dram-
matici principali, la commedia e la tragedia, si ritrova anche in al-
cune immagini in cui i ludi scenici sono raffigurati con una biz-
zarra metafora iconografica: il duello di due cavalieri in campo
chiuso. In un manoscritto della Cité de Dieu del 1466, in uno spa-
zio esiguo circoscritto da una palizzata si affrontano due combat-
tenti, mentre all’esterno alcuni spettatori assistono allo scontro:30
due uomini con in mano una pergamena, due gendarmi muniti di
bastoni, due trombettieri e altri due personaggi, che probabilmente
rappresentano i censori Cassio e Messala. Un’iconografia molto
simile, sebbene semplificata, è raffigurata in un codice della Cité
de Dieu dell’anno precedente.31 Si tratta di una miniatura mono-
croma di stile elegante, con i cavalieri che sembrano compiere una
sorta di schermaglia danzata, comunque piuttosto violenta, tanto
che uno ha afferrato l’avversario per l’apertura dell’elmo. I due
uomini sulla sinistra sembrano dialogare fra loro: soltanto uno ha
in mano la pergamena, mentre l’altro indica il combattimento che
si svolge all’interno della staccionata. La struttura delle due mi-
28
Térence du Duc de Berry. Paris, Bibliothèque Nationale, ms. Lat. 7907a;
Térence des Ducs. Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. Lat. 664. Vedi Pietrini,
Spettacoli e immaginario teatrale nel Medioevo, pp. 231-37.
29
La cité de Dieu. Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 5060, f. 27.
Sull’interpretazione della bizzarra iconografia della miniatura, vedi S. Pietrini,
La memoria dell’iconografia tardomedievale, in F. Mosetti Casaretto (a cura
di), La scena assente: realtà e leggenda sul teatro nel Medioevo, Atti del
convegno Giornate Internazionali Interdisciplinari di Studio sul Medioevo
(Siena, 13-16 giugno 2004), Alessandria 2006, pp. 193-227, a p. 208.
30
La cité de Dieu. Torino, Biblioteca Nazionale, ms. L.I.6, f. 44v.
31
La cité de Dieu. London, British Library, ms. Royal 14.D.I, f. 41v.
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48
Ivi, XVIII 43.
49
Agostino, De Civitate Dei, ed. cit., VI 5.
114 Sandra Pietrini
50
Dante Alighieri, Epistola a Cangrande, a cura di E. Cecchini, Firenze
1995, X. Dante aveva già enunciato la distinzione fra tragedia e commedia del
De vulgari eloquentia. La paternità dell’Epistola è stata tuttavia messa in
discussione: vedi in particolare H. A. Kelly, Tragedy and Comedy from Dante
to Pseudo-Dante, Berkeley-Los Angeles-London 1989.
51
Scrive infatti che la tragedia «trae il suo nome da ‘tragos’, che è il capro,
e ‘oda’, quasi ‘canto di capro’, cioè fetido come il capro; come si vede da
Seneca nelle sue tragedie»: Dante Alighieri, Epistola a Cangrande, X. È un
luogo comune che si trova già nelle Etymologiae ed è rilanciato durante tutto il
Medioevo: Isidoro di Siviglia, Etymologiae, VIII 7: Tragoedi dicti, quod initio
canentibus praemium erat hircus, quem Graeci ‘tragos’ vocant. Così già in
Orazio, Ars Poetica, v. 220: Carmine qui tragico vilem certavit ob hircum (ed.
a cura di N. Sanacori, A. Di Bella, Seregno 1995).
52
Vedi C. Paolazzi, Dante e la “Comedia” nel Trecento, Milano 1989, pp.
86-87.
53
Il ‘Commentarium’ di Pietro Alighieri nelle redazioni ashburnhamiana e
ottoboniana, a cura di R. Della Vedova, M. T. Silvotti, Firenze 1978, pp. 8-9.
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tre i personaggi che dialogano non sono mai più di tre. La confor-
mità con i modelli antichi è dunque evidente.54 L’intento morali-
stico-patriottico di Mussato si sposa tuttavia perfettamente con
l’assunzione della storia a soggetto della propria opera e la scelta
di rappresentare le vicende di individui eccezionali non esclude
una nuova attenzione al destino di un intero popolo. E giustamente
è stato affermato che l’Ecerinis «è il dramma di un popolo e dei
suoi tiranni, che si svolge lungo tutto un arco di tempo. Natural-
mente la storia non diviene azione scenica, ma ne è il substrato
immediato e i personaggi che agiscono in scena ne sono il simbolo
episodico e i commentatori».55 D’altra parte, la figura titanica di
Ezzelino lascia intravedere velate allusioni alla contemporaneità, e
in particolare a Cangrande.56 La riflessione sulla storia, insomma,
apre un confronto intriso di impegno civile con la contemporaneità.
Estranei alla logica prosaica della dimensione psicologica, gli
eroi dell’Ecerinis assurgono a una dimensione metafisica che non
esclude l’idea della storia ma la proietta su una scala più ampia,
conferendo una valenza universale ed esemplare ai fatti. Abbiamo
già accennato al mito della ruota della Fortuna. Connesso all’idea
del tragico e apparentemente immutato fino all’Umanesimo, questo
mito viene tuttavia implicitamente rivisitato alla luce della conce-
zione cristiana sull’esistenza terrena, assumendo una funzione di
monito legata al concetto di responsabilità individuale. È vero,
come ha scritto Ezio Raimondi, che la concezione della storia che
si ritrova sia nella Commedia dantesca sia nell’Ecerinis prevede un
eroe che «non plasma ma subisce il suo destino, e dove il male ir-
rompe con la sua forza corruttrice, con la sua ambiguità minac-
ciosa di colpa e di pena».57 E tuttavia, com’è noto, l’imperscru-
tabilità del disegno divino è altra cosa rispetto all’idea dell’inelut-
tabilità del fato e credo si possa intuire, nella pur profonda tragicità
54
Le analogie e le differenze fra il linguaggio senechiano e quello del
Mussato sono state sapientemente analizzate da E. Raimondi, Metafora e
storia. Studi su Dante e Petrarca, Torino 1970, pp. 158-60. Vedi anche A.
Grisafi, Influenze senecane nei cori dell’Ecerinis di Albertino Mussato, «Sche-
de medievali», 41 (2003), pp. 59-68.
55
M. Dazzi, Il Mussato preumanista (1261-1329), in Estratto dalle
Memorie della Accademia Patavina di SS.LL.AA., LXXIV, 1961-62, Padova
1963, pp. 18-19.
56
Vedi per esempio Locati, La rinascita del genere tragico nel Medioevo…,
pp. 108-15.
57
Raimondi, Metafora e storia…, p. 148.
116 Sandra Pietrini
58
Ivi, p. 149, n. 1.
59
A. Mussato, Argumenta tragediarum Senece, a cura di A. Ch. Megas,
Salonicco 1969, pp. 157-62. Cfr. Locati, La rinascita del genere tragico nel
Medioevo…, p. 71.
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