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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio mia madre e Renato Colombino per avermi sempre fatta inciampare nel
bello, mio malgrado.
Grazie a Lia Rumma, Lodovica Busiri Vici, Paola Potena, Edith Ballabio, Francesca
Vitullo e Sara Cerrone per avermi fatto trascorrere i tre mesi pi intensi e stressanti
(per ora) della mia vita da lavoratrice nel mondo dell'arte.
E un sentito grazie a Fabrizio Tramontano, che un pomeriggio in Galleria mi ha
distolta dal lavoro di archivio per mostrarmi da vicino gli arazzi di William
Kentridge e raccontarmi tutti i loro piccoli segreti.
Grazie a W.M. Hunt, che in una giornata stato in grado di farmi scoprire dietro alla
fotografia una magia che non avevo mai compreso.
Grazie a Mariolina Cosseddu, senza la quale molto probabilmente non avrei mai
iniziato questo percorso accademico.
Grazie a Laura Arru, Elena Arru e Silvia Moscatelli per aver creduto, nonostante il
continuo richiamo del mare della Sardegna, che sarei riuscita a laurearmi a novembre
e per aver sempre fatto finta di apprezzare i miei sproloqui sull'arte contemporanea.
Grazie a Giulia Torella per essersi arresa all'idea che sarebbe stata lei tra noi due a
laurearsi in economia e, soprattutto, per essersi rassegnata alle infinite visite a musei
e gallerie ogni volta che volevamo partire per riposarci e divertirci.
Grazie alle mie colleghe e universitarie, anche quelle che ora sono dall'altra parte del
mondo, per aver fatto in modo che la nostra ambizione non impedisse mai di
sostenerci a vicenda e di essere le amiche che siamo.
Un grazie ai Professori della IULM, che in questi tre anni ho imparato a conoscere.
Grazie a molte mani tese, ma anche ad alcune porte sbattute in faccia perch mi
hanno insegnato a cavarmela da sola.
E, naturalmente, grazie al mio Relatore, il Professor Tommaso Casini, che in due
parole riuscito a percepire molto prima di quanto potessi fare io stessa, quale
sarebbe stato l'argomento della mia Tesi finale e mi ha sostenuta durante tutto il
percorso di ricerca e stesura.

INDICE
INTRODUZIONE

IL FLAUTO MAGICO IN MOSTRA:

INTORNO AL FLAUTO MAGICO

Vincenzo Agnetti
Hermann Albert
Mimmo Paladino
Siegfried Anzinger
Reiner Fetting
Duccio Berti
Giuseppe Maraniello
Stephen Cox
Roman Scheidl
Giulio Paolini
Christina Kubisch
Jannis Kounellis

9
10
11
12
14
16
17
19
20
22
24
25

IL CINEMA D'ANIMAZIONE DI EMANUELE LUZZATI NEL


FLAUTO MAGICO

27

LA RIMEDIAZIONE DEL FLAUTO MAGICO

37

NEL CINEMA

37

The magic flute di Ingmar Bergman


Giudizio estetico
Giudizio etico-sociale
The magic flute di Kenneth Branagh
Giudizio estetico
Giudizio etico-sociale

38
41
44
46
50
51

IL FLAUTO MAGICO TORNA A TEATRO: WILLIAM KENTRIDGE 53


CONCLUSIONE

67

BIBLIOGRAFIA

69

Opere stampate, monografie


Articoli di periodici
Articoli di periodici online
Filmografia

69
70
72
73

APPENDICE ICONGRAFICA

75

INTRODUZIONE
Da un secolo generazioni di artisti forniscono le pi diverse chiavi di interpretazione
a un'opera sempre in bilico tra elementi favolistici e simbologia massonica.
evidente che poche opere come Il flauto magico possono essere lette e rilette nelle
pi diverse chiavi, senza stravolgere il disegno di Wolfgang Amadeus Mozart.
Gillo Dorfles riuscito a riunire dodici visioni di artisti contemporanei in una
mostra dedicata esclusivamente allo Zauberflte mozartiano.
Lotte Reiniger nel 1935 ha realizzato un film a silhouettes, anticipando nell'uso
dell'animazione Gianini e Luzzati con i loro disegni animati in quello che diventato
quasi un lungometraggio (54 minuti).
Kenneth Branagh ha spostato l'azione nelle trincee della Grande Guerra e ha
trasformato il serpente della prima scena in una granata altrettanto micidiale. Ha
ambientato l'azione in una guerra tra Blu e Rossi, con Sarastro ufficiale medico e le
tre dame crocerossine, un Papageno che cattura gli uccelli per verificare la presenza
di gas nelle trincee e una Regina della notte che avanza su un carro armato.
Ingmar Bergman, con una lettura quanto mai fedele dal punto di vista filologico, ha
utilizzato macchine teatrali settecentesche per meglio calarsi nel linguaggio del
tempo. In mezzo templi egizi e riti d'iniziazioni massoniche, ma anche scene e
costumi fumettistici e persino, evento piuttosto raro, un Tamino principe cinese,
com'era stato inizialmente pensato dai suoi autori.
A seguire questi artisti, ma solo cronologicamente, arrivato William Kentridge che
ha raccontato ad un pubblico prima belga, poi italiano le avventure di Tamino,
incaricato dalla Regina della Notte di liberare la figlia Tamina dal perfido Sarastro.
giusto, in questo caso, chiedersi se siano legittime le operazioni di trasposizione
sullo schermo e di modernizzazione di opere liriche allo scopo di divulgarle e
avvicinarle ai pubblici d'oggigiorno.
ammessa, una semplificazione? ammesso un aggiornamento? Questioni
che hanno radici, ancora prima delle versioni in immagini, in quelle legate alla regia
teatrale dell'opera. Puntualizza il musicologo Luciano Alberti:
1

il regista d'opera condivide oggi con il direttore d'orchestra


un margine di creativit interpretativa, non di rado
arrogandosi il diritto di un'indefinita dilatazione di esso: cosi,
irreversibilmente travolto il tab della didascalia, si assiste ad
una fenomenologia spettacolare quanto mai ricca di
imprevedibilit e fonte copiosa di discussioni e di
polemiche.1
Gli strali infuocati contro certe regie moderniste colpevoli di violentare il testo
esistono da tempo , ma d'altronde
per strano paradosso, pi un testo fa parte dell'immaginario
collettivo, meno diventa facile proporne letture personali,
giacch tutti son l a sottolineare non il nuovo che c', bens
quanto

di

tradizionale

vi

manca,

perpetuando

quell'immobilismo che del teatro lirico la iattura pi


perniciosa.2
Eppure, oltre a quelli gi citati, sono altri i cineasti che hanno modulato suoni col
flauto di Amadeus, sia in teatro (come Peter Ustinov a Londra nei 1972 e Werner
Herzog a Catania nei 1991), che al cinema.
Sempre sul versante della fantasia assoluta, sottratta alla pesantezza realistica di
una rappresentazione con uomini e animali, insieme alle animazioni di Lotte
Reiniger e ad Emanuele Luzzati, ce n' un'altra poco conosciuta, La flte magique
realizzata nei 1946 dal francese Paul Grimault, e un altra ancora praticamente
sconosciuta, sempre a disegni animati, realizzata nei 1991 da Rens Groot per il
Rundfunktchoir di Lipsia e la Staatskapelle di Dresda.
1 Alberti, L., Per una preistoria della regia d'opera, La scena e lo schermo, rassegna semestrale dell'Universita di
Siena, 1990, p. 9.
2 Giudici, E., All'Opera-Le carezze di Verdi, Diario, Milano, 23 giugno 1999, p. 67.

Ecco, quindi, che si incorre nella necessit di assegnare un nome a tali operazioni.
Sono semplici riletture di un'opera teatrale? S, ma rischia di essere dimenticato il
mutamento di medium. Sono trasposizioni? Probabile, ma si pu avere la sensazione
che non si tratti che di un intervento tecnico da parte dell'artista.
L'industria dell'intrattenimento chiama questi prestiti riposizionamenti, nel senso
che ci si impossessa di un contenuto di propriet di un determinato medium e lo si
usa all'interno di un altro. Il riutilizzo comporta sempre, necessariamente, una
ridefinizione, ma pu non sussistere alcuna consapevole interazione tra i diversi
media. Se interazione si determina, essa esiste solo per il lettore o lo spettatore che
a conoscenza di entrambe le versioni ed in grado di confrontarle.
Molto prima dell'avvento dei nuovi media, gi nel 1830 Longhi aveva distinto tra
copia la quale viene eseguita coi mezzi dell'arte medesima produttrice
dell'originale e traduzione dove il lavoro di un'arte si riproduce coi mezzi di
un'altra totalmente differente. Entrambe danno a presupporre un archetipo...
nell'arte medesima preesistente... Mentre, per, la copia ...necessariamente
servile.. la traduzione trova ne' varj mezzi identici. In un parola la copia
strettamente legata all'originale e nella sostanza e nel modo; la traduzione vincolata
alla sostanza, libera nel modo.3
Nel contesto di questa Tesi si parler, piuttosto, di rimediazione.
Il termine rimediazione un concetto coniato da Jay David Bolter, insieme a
Richard Grusin, che nasce da una geniale intuizione di Marshall McLuhan: Il
contenuto di un medium sempre un altro medium.4 In altre parole, per
rimediazione si intende la rappresentazione di un medium allinterno di un altro
medium dove il computer diventa un nuovo modo di ottenere accesso a questi
materiali d'archivio, come se il contenuto dei vecchi media si potesse semplicemente
trasferire su uno nuovo.5
Il modo in cui verr inteso nelle prossime pagine un altro, laddove il medium
3 Spalletti, E., La documentazione figurativa dellopera darte, la critica e leditoria nellepoca moderna (1750-1930),
Storia dellarte in Italia, Lartista e il pubblico, II, Torino, 1979, pp. 417-418.
4 McLuhan, M., Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 2008, p. 45
5 Bolter, J. D., Grusin, R., Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Milano, Guerini
Associati, 2003, p. 73

inteso come quello che Rosalind Krauss definisce insieme di regole, convenzioni,
automatismi che derivano dalla sostanza linguistica del mezzo usato, non tanto dalla
sua struttura interna presunta oggettiva, dovuta alle sue caratteristiche materiali,
quanto dai caratteri dell'uso che se ne fa, dalla forma che si d loro6 e la
rimediazione , quindi, la trasposizione di un'opera gi esistente su un altro medium
e la sua rilettura concettuale e visiva da parte dell'artista.
Nei riguardi dei processi costitutivi dell'immaginario, dunque, il cinema,
l'animazione, le arti visive sono esse stesse una forma di rimediazione comunicativa,
il transito da una egemonia mediatica a un'altra.
In questo senso il lavoro di William Kentridge traduce perfettamente la nostra
definizione in forma visiva.
Per William Kentridge, il suo disegno per la proiezione diverso dal film
d'animazione perch, nel suo essere continuamente modificato a ogni fotogramma,
si costituisce a sua volta come medium attraverso la dialettica di cancellazione e
aggiunte.
Kentridge non persegue il cinema come tale ma, piuttosto, costruisce un nuovo
medium sul supporto tecnico di una pratica cinematica di cultura di massa,
accogliendone le caratteristiche di arte popolare piuttosto che di arte alta. Inoltre
Kentridge interessato alle convenzioni sviluppate nell'animazione dei disegni
animati, convenzioni che comportano, da un lato, le imprese serializzate di
personaggi determinati e, dall'altro, la possibilit di metamorfosi fisiche.
C' chi, invece, al cinema si rivolto consapevolmente. Figure quali Ingmar
Bergman e Kenneth Branagh hanno tradotto il testo schikanederiano e le musiche
mozartiane portandole su pellicola, svolgendo un'operazione che, forse, avvalora
una volta ancora la tesi di coloro che impongono al cinema di essere un derivato
della narrativa, dell'epica o del dramma. Per questo, come spiega Giovanni Morelli
nel suo Prima la musica, poi il cinema,7 la qualit riconosciuta delle opere
cinematografiche spesso dipesa da convinzioni legate alla validit delle operazioni
6
7

Krauss, R., Reinventare il medium, Milano, Mondadori, 2005, p. XIII


Morelli, G., Prima la musica, poi il cinema. Quasi una sonata: Bresson, Kubrik, Fellini, Gal, Venezia, Marsilio,

2011.

di derivazione.
Questo atteggiamento nasce da un'idea di definizione delle origini e dello sviluppo
del cinema come evoluzione della musica occidentale, arrivata alle soglie del
Novecento in crisi e sentendo l'esigenza di approcciarsi ad un processo di
rinnovamento del proprio sistema di recezione che potesse proporre un doppio
sviluppo: uno elitario con i concerti e una destinazione meno elitaria. Si tratta della
musica evolutasi nel cinema, che ha trasferito nel cinema le sue strutture base, il
quale ha dalla sua la possibilit di coinvolgere l'integrit del cervello.
Durante questa ricerca, perci, verr portato avanti un percorso che dal teatro passa
per le arti visuali, l'animazione e il cinema. Fino a tornare al teatro stesso con
Kentridge. Quello che ci interessa sapere e che in questa tesi verr esaminato sono le
modalit e le motivazioni che hanno spinto tanti artisti, lungo un intero secolo di
storia, ad appassionarsi all'estremo Singspiel di Mozart. Qual il filo conduttore che
ci porta a ritrovare in ogni artista la propria personale interpretazione delle parole e
della musica? E perch proprio Il flauto magico ha ispirato in cos tante circostanze
quella reinvenzione del medium di cui ci parla Krauss?

IL FLAUTO MAGICO IN MOSTRA:


INTORNO AL FLAUTO MAGICO

Non stupisce che il primo a prendere in mano il tema della possibile rimediazione e
reinterpretazione artistica dei temi del Flauto Magico mozartiano possa essere stato
Gillo Dorfles.
E se, come scrive lui stesso, la prospettiva storica ha fatto piazza pulita di tanti
ipotetici capolavori8, questo estremo Singspiel mozartiano ancora capace di
trascendere il suo tempo sia dal punto di vista visivo che da quello antropologico.
Per questo nel 1985 fu allestita la mostra Intorno al flauto magico presso il Palazzo
delle Esposizioni di Milano che oggi non , purtroppo, ricordata tra gli avvenimenti
pi significativi dal punto di vista espositivo e artistico degli anni '80 a Milano, ma
che senza dubbio ha aperto la via e ha tirato le fila di un percorso che, spesso
inconsapevolmente, molti artisti avevano portato avanti in parallelo avendo come
riferimento costante la Zauberflte e il suo quid estetico fuori dal tempo, in grado di
vincere l'obsolescenza e di svincolare ogni autentica creazione dagli artigli della
storia.9
La prima idea di una rivisitazione dell'opera fu di Giuliana Rovero che propose la
sua iniziativa alla Ripartizione cultura e spettacolo del Comune di Milano e al Teatro
alla Scala, coinvolgendo nella mostra manifestazione Ernesto Napolitano autore,
insieme a Renato Musto, di un'importante ricerca musico-sociologia (Una favola per la
ragione, Milano, Feltrinelli, 1982) che ne ha curato le sezioni iconografica, delle
scenografie, con la preziosa collaborazione di Toni Ebner e Donatella Tronelli, e
quella musicale, e coinvolgendo in un secondo tempo lo stesso Gillo Dorfles che si
riferisce alla sezione di arte contemporanea.
In quegli anni si assisteva ad un'indubbia ripresa d'interesse per l'aspetto
mitopoietico, per il simbolico e l'immaginario e, al tempo stesso, per la
contrapposizione tra razionale e irrazionale, tra storico e onirico. Elementi che,
evidentemente, si ricollegavano ad un substrato mitico-magico-allegorico che
8 Dorfles, G., Il flauto magico rivisitato, in AA.VV., Intorno al flauto magico, Milano, Mazzotta, 1985, p. 15.
9 Ibidem.

costituisce una delle pi stimolanti peculiarit della fabula della Zauberflte.


Ci permise a Dorfles di aggiungere ad una vastissima raccolta di documenti tratti
dalle principali messe in scena che testimoniano un interesse creativo costante di
moltissimi artisti (sezione di cui si occupavano Giuliana Rovero e Ernesto
Napolitano), un campionario minimo di tendenze recenti che dimostrano come
esistesse, ancora un due secoli dopo la prima messa in scena, una sorta di risonanza
tra opere del passato e del presente, purch le prime fossero in qualche misura
consanguinee con quelle dei nostri giorni.10 Sebbene l'operazione potesse
sembrare irriguardosa e blasfema, permise di constatare come esistesse ancora un
numero non indifferente di artisti sensibili al fascino dei grandi capolavori del
passato capaci di rinverdirne l'atmosfera attraverso uno stile e un atteggiamento
estetico decisamente rivolto a presente e non ad un esausto passato.
Uno degli argomenti che militavano a favore della possibilit di una rivisitazione
dell'opera in chiave moderna era indubbiamente la sua non storicit.
Ci troviamo di fronte a una favola di ieri, ma anche di
sempre: i richiami all'antico Egitto o a un tempio (che
potrebbe essere massonico ma che pu anche essere una
qualsiasi altra corrente esoterica) fanno s che non esista una
indispensabile fedelt ai costumi dell'epoca e che invece la
fantasia d'un artista possa, a suo piacere, re-interpretare la
misteriosa e barocca vicenda di Sarastro, Tamino e della
Regina

della

Notte,

formulando

per

queste

figure,

essenzialmente simboliche, quella iconografia che meglio gli


pu sembrare idonea.11
Agli artisti invitati a preparare un'opera, eseguita appositamente per la mostra Intorno
al flauto magico, fu lasciata ogni libert nella scelta del tema da illustrare o nella loro
preferenza per una determinata interpretazione dell'opera. Le opere, affiancate a
10 Ivi p. 17.
11 Ivi p. 18.

scenografie dell'epoca mozartiana e dell'800, non erano scenografiche, ma


esemplificavano la possibilit, anche da parte di artisti contemporanei, di trovare un
spunto ideativo nel capolavoro mozartiano.
Gli artisti presenti nella mostra furono: Vincenzo Agnetti, Hermann Albert,
Siegfried Anzinger, Duccio Berti, Stephen Cox, Rainer Fetting, Jannis Kounellis,
Christina Kubish, Giuseppe Maraniello, Mimmo Paladino, Giulio Paolini, Roman
Scheidl.

Vincenzo Agnetti

L'unico artista di cui preesisteva un'opera, gi concepita in armonia con Il flauto


magico, era Vincenzo Agnetti, di cui venne esposta una serie di disegni eseguiti in
un'epoca immediatamente precedente la scomparsa dell'artista.
Negli ultimi mesi della sua vita Agnetti era particolarmente interessato alla musica, a
cui si dedicava con un progetto sullo stesso tema del Suonatore di fiori. Anche le opere
per Il flauto magico vanno sotto il titolo di Suonatore di fiori. Disegni graffiti su carta
fotografica tirata in nero, sono costruiti in partenza sulla netta contrapposizione di
bianco e nero, laddove il segno ottenuto per sottrazione, ma
contemporaneamente deposito di figure e immagini. Mentre nei casi precedenti delle
Fotografie eseguite a mano libera e delle Fotografie eseguite a occhio nudo
(1974)12 Agnetti si era limitato a dipingere sui fogli di carta sensibilizzata con il
liquido di sviluppo, con le photo-graffie egli fa ricorso al procedimento alterato,
scalfendo direttamente la carta, annerita per lesposizione alla luce, con una punta:
appaiono in questo modo filamenti e puntinature nette e stridenti, nella loro
impossibilit di essere corrette.
Vengono denominate photo-graffie, con un gioco di parole che ricorda il lavoro
sul linguaggio che Agnetti ha sempre praticato con lucida coscienza linguistica e non
lascia scordare, neppure qui, il lato concettuale del suo lavoro complessivo.
Photo-graffia fotografia dell'anima e del processo del lavoro, ma un effe in pi
fa di grafia qualcosa di diverso da graffia dove c' il graffiare, il graffito. Graffio
12 Mugnaini, A., Arte no, Flashartonline. reperibile su:
<http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=articolo_det&id_art=85&det=ok>

che rimanda a un sottile gioco tra superficie e profondit, dove la superficie non
situabile se non tra il sotto del nero, che fondo ma meno profondo del bianco
del segno e il sopra del tratto bianco, pi scavato.
Nelle opere di Agnetti del Flauto magico ci sono i personaggi di Tamino e di
Papageno, gi altre volte contrapposti come le due facce di un'unica totalit e da
Agnetti talvolta sovrapposti in una sola figura smagliante di uccello dalle grandi ali e
magnifiche piume, che infine suona egli stesso il flauto, lo strumento dei fiori: unico
personaggio allora che la presenza stessa dell'artista. Ci sono poi, almeno in una
delle photo-graffie, le piramidi, simbolo del tre che sempre sotteso alla dualit.
Nella contrapposizione tra zona solare, diurna e zona notturna, stellare, il sole
immediatamente richiama la forma dei fiori e le stelle spesso paiono foglie dei fiori
stessi. A dominare su tutto, per l'appunto, ci sono i fiori: il flauto si trasforma
immediatamente in gambo di fiore, le penne dell'uccello in petali; i fiori a loro volta
sono note musicali; i gambi, linee di uno spartito. Il fiore gioca un ruolo che sta al
centro tra sole e luna e stella, tra figura e forma astratta, tra foto e graffia.
quanto Agnetti mette in pi e in meno al Flauto magico: in pi perch manca al
Flauto magico e fa con la photo-graffia pi di un'illustrazione dell'opera, in meno
perch la sua presenza blocca le altre presenze iconografiche perch presenza muta
che attira internamente su di s il parlare delle altre figure.

Hermann Albert

Siamo nella prima scena, bloccata e pietrificata. Tamino svenuto fuori dalla scena
alla vista del serpente, qui ci sono le tre Dame accorse in suo aiuto che sconfiggono
e fanno a pezzi la serpe. Il ribaltamento di questa azione stato pienamente messo
in rilievo da Ernesto Napolitano nel suo Libro sul Flauto magico e viene da Albert
scandito nel titolo della sua opera, Le tre crudeli Dame, dove il mitico legame tra
donna e serpente, tra donna e male, appunto ribaltato nel fatto che sono le Dame
stesse ad uccidere il serpente, eppure sono Dame crudeli, forze del male. Il
serpente non solo ucciso, ma fatto a pezzi, come in ogni giusto mito di morte
simbolica e rinascita iniziatica. Il serpente verde e il sangue rosso, colori
complementari, sono le uniche vere note coloristiche dell'opera di Albert. Le Dame
10

sono nude e il serpente chiaramente fallico: il simbolismo talmente evidente e


centrale da mettere in scena la sua pietrificazione metafisica.
Immobilit e movimento sono al centro della scena, un'opposizione che sempre
alla base delle opere di Albert. Le Dame, per, sono ormai bloccate nel loro gesto
compiuto e il serpente, emblema stesso del movimento, morto e quindi non potr
pi muoversi. Le pietre, invece, che non sono dotate di movimento, sembrano,
paradossalmente, avere una parvenza di vita, l dove sono modellate perch le
Dame vi si appoggino e vi appoggino il loro movimento. Per rovesciamento, sono le
Dame ad essere come scolpite in pietra mentre la roccia quasi viva, come un
piedistallo che potrebbe muoversi e scrollarsi di dosso l'immobilit.
Perch l'immagine in Albert ha questa realt altra che hanno le sue rocce
costantemente al centro stesso delle opere. Esse sono la metafora della possibile
rinascita dell'azione, delle Dame e del serpente e forse il sangue bagner la pietra e
questa si muover per dar vita a un'altra immagine o almeno alla pittura. La
pietrificazione, la fissazione statica delle figure cos centrale per Albert e
metafisica, blocca l'immagine tra simbolo e stereotipo, blocca la pittura tra
citazione alla storia dell'arte a originalit dello stile, nel ribaltamento e nella
mescolanza, nella compresenza rovesciata degli opposti che si scambiano di parte e
di funzione.

Mimmo Paladino

L'opera di Mimmo Paladino per Il flauto magico porta un titolo siglato, R.D.G.A.M., il
cui segreto non va svelato perch il mistero in Paladino non solo una componente,
ma il soggetto e l'oggetto stesso dell'opera e dell'operare: l'esoterismo per lui non
solo un simbolismo da scoprire, ma un sapere come atteggiamento di base di fronte
all'incommensurabilit del dire e del non poter dire dell'immagine.
La radice comune dell'immagine, e quindi anche dell'immaginario, il doppio,
capace di stravolgere il loro statuto e la loro funzione mimetica per doppiare il reale.
Il doppio, nella sua funzione di legame tra umano e divino, non rappresentazione
di una presenza, ma la sua vita stessa che si oppone a quella dei vivi, l'anima che si
rende visibile, che, nel momento in cui si mostra come presente, si rivela come
11

qualcosa che non di qui ma appartiene a un inaccessibile altrove.


Cogliendo questo tema del doppio, che tema fondamentale nel Flauto magico come
gi in tutta la sua opera, Paladino l'ha svolto in questa occasione attraverso un
duplice movimento di pittura e scultura. Il disegno preparatorio riporta a collage la
presenza della scultura e colora dietro ad essa quello che sar il fondale. La scena
solo apparentemente immobile, ma in realt percorsa da un'inafferrabile mobilit
nella direzione del personaggio principale, il flautista, che pare camminare senza
gambe, senza toccare terra, anzi qui sull'acqua, forse trascinato dalla corrente stessa.
Sullo sfondo un'ombra, dipinta, un altro personaggio pure enigmatico nella sua
irriconoscibilit. Anche lui gi doppiato dal suo riflesso sulle acque, immobile
come la pietra ma il suo riflesso si stampa a fatica sulla mobilit delle acque,
visibile ma solo come ombra irriconoscibile. Siamo nel regno delle ombre, gi in un
altro mondo, viaggio negli Inferi e anche l'iconografia , a suo modo, classica con
la presenza delle acque come limite e dei monti come soglia e orizzonte.
Il flautista scolpito, egli non un personaggio, ma il doppio. E Paladino tratta la
scultura, non ne accetta il materiale cos com' nella sua evidenza ma lo trasfigura
graffiandolo, camuffandolo, dipingendolo, affinch tra scultura e pittura non ci sia
semplice opposizione, ma oscillazione costante che evidenzia gli opposti
contemporaneamente annullandoli e mescolandoli.
Il suo un paradosso fondamentale perch cercando di gettare un ponte (sulle
acque

degli

Inferi)

deve

nello

stesso

tempo

sottolineare

la

distanza

incommensurabile tra i due mondi e solo cos acquista vero carattere di presenza
altra ed efficace seppure inafferrabile. Ecco perch infine, con gesto solo in
apparenza arbitrario, Paladino attribuisce due flauti al suo flautista: perch tutto
abbia il suo doppio, perch due sono gli strumenti dell'intervento efficace. Perch
senza identificazione e tuttavia non limitandosi ad essere paralleli, due da un lato si
incrociano e allo stesso tempo dall'altro divariano per evidenziare la loro differenza.

Siegfried Anzinger

un artista che rifugge i simbolismi, le allegorie, il lato letterario della pittura, ma


porta con s solo tracce di stili e pitture passate che rievoca per allusioni. Non
12

affronta motivi iconografici, ma reinterpreta a suo modo figure significative del


proprio mondo. Usa una pittura slavata e dai colori sporchi, anticoloristica e diretta
nel segno, una pittura che ha immediatamente a che fare col corpo come pulsione,
ma pi come sofferenza che come materia, come difficolt di trascendersi eppure
tensione verso l'immaterialit. Per questo negli anni della mostra ha guardato al
manierismo che gli ha ispirato la contorsione dei corpi che vorrebbero uscire da se
stessi, con quello sguardo attento e quasi ossessionato dalla sessualit che spasimo
e deformazione pi che piacere e desiderio, insieme condanna alla materialit
eppure espressione della necessit di uscirne dall'interno. Le sue figure sono pi
votate alla stasi dell'inazione, con grandi attributi sessuali inutili e penzolanti, oppure
s all'azione, ma in forma di masturbazione, in un gesto di rivalsa, un tentativo una
tensione pi che un riuscire, una liberazione.
Come Gerstl, come Kafka, come Bernhard, Anzinger sente l'uomo gi colpevole,
senza reale delitto, solo per il suo senso di colpa. Il suo un desiderio metafisico,
che si esprime certamente attraverso il corpo e il sesso ma negando realt ai desideri
che possono essere soddisfatti i quali conducono solo alle delusione della
soddisfazione e all'esasperazione, alla volutt della non-soddisfazione. Il suo
desiderio metafisico invece desidera ci che sta aldil di ci che pu semplicemente
completarlo o soddisfarlo, dove anzi il desiderato non riempie ma svuota.
Cos anche nel tema della coppia Anzinger mette a fuoco il gesto laterale, realmente
svolto su un lato dell'opera, della masturbazione e, sui volti, della deformazione al
limite tra piacere e sofferenza. L'aspirazione alla libert, alla completezza, consiste, si
potrebbe dire, per Anzinger, nella coscienza che libert e completezza sono non
proprio impossibili ma senz'altro in pericolo.
Cos per Il flauto magico Anzinger ha preparato quattro disegni che contengono tutti
questi suoi temi. Uno affronta la coppia di Papageno e Papagena (non la coppia
principale, dunque, ma la secondaria, la popolare) rappresentata in modo
irriconoscibile, come due personaggi l'uno di fronte all'altro, forse abbracciati se si
guarda alla grande mano che avvolge un corpo ma che ritorna come mano negli altri
disegni per uno scopo molto pi chiaro. In questo disegno, per, pi diretta
13

l'allusione allo spazio teatrale dell'opera, con quelle quinte laterali e quella sorta di
palcoscenico che il rettangolo inferiore del disegno stesso. Feti, marionette pi che
uomini, questi due personaggi che si fronteggiano e ci fronteggiano solo per dire in
fondo come sono fatti.
Gli altri tre disegni sono tre versioni dello stesso personaggio, Sarastro, che il
Sacerdote dell'iniziazione. Iniziatore, nel Flauto magico, di un Ordine virile di
universale fratellanza, ma trasformato da Anzinger in iniziatore sessuale, maestro di
masturbazione, che introduce ai problemi e alle pulsioni del corpo, che insegna il
primo contatto col corpo, col sesso. Un Sarastro oscillante, nei tre disegni, tra una
versione notturna e una solare, una quasi bestiale o comunque maligna e un'altra pi
ascetica e mistica e una terza forse, quella che lo rappresenta frontalmente, di pi
diretta identificazione, tra Sarastro e artista, tra iniziatore e iniziato. Un Sarastro
freudiano, per cos dire, che inizia alla sessualit e con essa al linguaggio e del
linguaggio a quella lingua muta che la pittura.
Perch in ultima analisi ci che comunque prevale la presenza di quella mano che,
strumento della masturbazione, anche strumento del disegnare e del dipingere: la
stessa mano di Anzinger che realmente gli si ingrossa per una strana allergia a
qualche elemento chimico dei colori a olio che usa per dipingere, mano del pittore
che comunque non pu fare a meno ( condannato?) a dipingere. Pi che illustrare
Anzinger ha adattato a s alcune figure e temi del Flauto magico, ma se ha potuto farlo
per aver forse forzato e portato a maggior evidenza quel lato tragico che nell'opera
si esprime solo attraverso l'incombere delle presenze notturne e del fantasma della
morte, ma che nel Requiem Mozart, prima di morire, affronter pi direttamente.

Reiner Fetting

Rainer Fetting, uno dei Moritzboys negli anni '80 a Berlino,13 che a prima vista non
sembrerebbe avere gran che a che fare con la sua opera espressionista con Mozart e
Il flauto magico, occupava in realt una posizione analoga, ma ribaltata, a quella storica
dell'opera in questione.
Dove infatti questa si situa nel momento di passaggio tra illuminismo e
13 Fetting, R., Berlino, Milano, Raab Galerie, 1983.

14

romanticismo e mescola vari elementi della favola e della ragione, Fetting esprime a
sua volta un passaggio e una mescolanza, capovolti, tra irrazionalismo e nuova
razionalit, tra mito ed erotismo, tra societ e individualismo, tra contemporaneit ed
esotismo, ma questa volta non alla ricerca di una soluzione ma accettati come
contraddizioni irrisolvibili, risolte nel loro esistere l'una accanto all'altra.
In quest'opera di Fetting realizzata per Il flauto magico c' un nudo maschile visto di
spalle, figura ricorrente nell'opera dell'artista come ricorrente l'altro tema del
rapporto tra personaggio umano e strumento, in questo caso flauto, in altre opere
ascia o pennello o altro.
La figura nuda di spalle in Fetting la raffigurazione strutturale del chiasmo, della X,
dell'incrocio in cui i termini, i contrari si scambiano di parte dopo essere confluiti
attraverso un centro. Chiasmo che , d'altronde, figura retorica ricorrente nell'opera
Il flauto magico a livello tematico come formale.
Tutto concorre a sottolineare questa figura del chiasmo: i colori del fondo che
dall'alto del quadro ricorrono in basso e da destra si ripetono a sinistra, soprattutto il
blu dominante, colore della notte e della sua Regina, che dall'alto a sinistra scende
fino in basso a destra attraversando tutto il dipinto e rotto a sua volta dalla figura del
flautista. Cos il flauto, seconda figura ma centrale a livello tematico, non occupa il
centro reale ma vi gira attorno a sua volta e sembra suonare allo sfondo una musica
che lo organizzi e gli dia un senso nella sua pittura fatta di colore.
Il flauto, inoltre, grazie alla posizione di spalle di Tamino, pu essere dipinto come
direttamente entrare-uscire dall'orecchio dl flautista.
Non c' nessuna elaborazione iconografica dunque in Fetting, nessun richiamo
letterario o mitologico, ma il tentativo di un approccio mitico al tema e alla figura.
Cos come l'approccio non mitico nel ritratto di Mozart che Fetting dipinge lo
stesso anno della mostra, che anche se a malapena ricorda quello simpatico, candido,
con il ciuffo bianco della parrucca sulle confezioni dei Mozartkugeln venduti ai turisti
giapponesi a Salisburgo, risulta invece incredibilmente realistico. Il Mozart di Fetting
ha un naso della giusta misura, con una manopola fallica, la sua carnagione
macchiata e febbrilmente sovraeccitata, i suoi occhi fissano e le sue labbra sono
15

vogliose.14 Sembra, perci, che Gillo Dorfles abbia scatenato nell'artista un bisogno
di confrontarsi con il tema mozartiano e di approfondirlo ritraendo anche l'autore
dell'opera per analizzare al meglio le sue tematiche.

Duccio Berti

Duccio Berti ha preparato per Il flauto magico un'analisi iconografica che


comporterebbe una rilettura pressoch completa dell'opera, tante sono le figure e i
simboli, ma anche le esclusioni a loro volta significative.
C' il serpente che attraversa l'intero quadro e che con l'avvolgersi delle sue spire
forma un sole simbolo di Sarastro e delle forze solari e diurne; c' Papageno
l'uccellatore che dipinto egli stesso come un uccello sembra il contrario di una figura
di uomo naturale e popolano; c' il leone che minaccia dal tappeto massonico, il
quale a sua volta riporta i simboli pi noti e il nome esatto della loggia massonica di
cui Mozart fece parte (Zur gekrnten Hoffnung); ci sono i tre templi della Ragione,
della Sapienza e della Natura, che tuttavia sono, con gesto dissacratorio e
trasgressivo, ribaltati in polemica alla loro inaderenza agli ideali illuministi; c' la
foresta del viaggio iniziatico; c' Tamino che, come tutti gli innamorati, vola
trasportato dal vento; e c', infine, la Regina della Notte che con posizione erotica
occupa il centro del quadro riassumendo in s la presenza del femminile invece
esclusa nelle assenze clamorose di Pamina e Papagena.
Escluso dunque soprattutto il tema della coppia, pur centrale nel Flauto magico,
volutamente per far posto alla figura della triade, pi esoterica e massonica. Berti
narra un viaggio iniziatico opposto a quello di Mozart, portando a completa
evidenza il lato notturno, nascosto dell'esoterismo, dove la massoneria ci che
Mozart nasconde e lascia affiorare solo per allusioni.
Vi , poi, un'ultima figura astrusa dal contesto e non prevista dall'opera di Mozart. Si
tratta dell'Arlecchino che si affaccia dal triangolo solare alto verso l'insieme della
scena del quadro. figura di identificazione in cui l'artista si riconosce per entrare
direttamente nella sua stessa opera. Arlecchino-saltimbanco, maschera comica dai
14 Conrad, P., Which Wolfang is which?, The guardian, 7 luglio 2002, reperibile su:
<http://www.theguardian.com/theobserver/2002/jul/07/features.review27>

16

risvolti tragici, miticamente viaggiatore nel regno della morte, giovane Teseo che
rappresenta fin nella sua veste la cifra del labirinto, comico e tragico insieme perch
emblema della pluralit.
Ed proprio sul tema del labirinto che la ricerca di Berti si incentrata durante la
sua carriera con una folgorante intuizione culturale: il tema del Labirinto, in
quanto archetipo, ritorna alla ribalta culturale, tutte le volte che la
struttura sociale raggiunge i suoi massimi livelli di sviluppo e proprio
nell'attimo

in

cui

comincia

la

fase

di

''restaurazione'',

quindi

d'indebolimento, di crisi, del ''Sapere Assoluto'', crisi di conseguenza di


tutta la struttura politico-sociale. Ed erano proprio quelli gli anni in cui il
Labirinto aveva rincominciato a suscitare interesse, a partire dalla mostra
In labirinto proposta dallo stesso Berti nel 1981. 15
Su Arlecchino si accentra allora, sulla sua trasgressione, sulla sua pluralit, sulla sua
lateralit, l'insieme dei rimandi. Arlecchino soprattutto maschera che mostra ci
che nasconde e cela ci che evidente, e ancora pi plurale come l'opera di Berti
lo . Pluralit di rimandi dove ogni figura rifatta su una citazione non solo letteraria
e iconografica ma anche letterale su altri modelli sparsi nella storia della pittura e
dell'illustrazione del Flauto magico; pluralit delle presenze che non si rimandano pi a
due a due ma ciascuna a tutte le altre almeno attraverso la cifra del numero tre
ricorrente; pluralit infine degli stili che Berti mette in opera, non solo citando ma
dipingendo secondo differenti modi a seconda delle figure e degli spazi. Operazione
linguistica, questa, che di una necessit di partenza, che il doversi misurare con un
testo, Il flauto magico e con un allegoria, quella dell'iniziazione, fa una libert plurale
che dell'allegoria fa l'impossibilit e insieme l'accadere effettivo di uno stile
personale, individuale, originale. Viaggio di iniziazione, infine, che viaggio
attraverso le figure dell'arte, attraverso gli stili.

Giuseppe Maraniello

Maraniello ha espresso direttamente la sua vicinanza al tema e allo spirito del Flauto
magico ponendo al centro di essa i suoi consueti simboli di conflittualit messi al
15

In Labirinto: Milano, Palazzo della Permanente, giugno agosto 1981. Luoghi del silenzio imparziale, Milano, 1981.

17

posto delle prove iniziatiche che Tamino deve superare.


L'artista si sovrapposto a Mozart e vi si sostituito per esplicitare la sua lettura
dell'opera e suggerire le sue affinit. E ancora con l'ermafrodito, assente dal Flauto
magico e anzi forzato nella sua interpretazione della coppia, ma per questo deviante
ed esplicito delle intenzioni di Maraniello che cos non vuol tradire se stesso nel
tradire, per cos dire, Mozart. Maraniello artista che agisce e costruisce sulle
opposizioni: leggero/pesante, pieno/vuoto, concavo/convesso, pittura/scultura,
simbolo/astrazione, forma/informe; il risultato una grande armonia della
figurazione sospesa in una sorta di equilibrio instabile dove il vuoto ha un
grande peso e paradossalmente tende a sostenere la pesantezza della materia del
fare. Il filo, con la sua leggerezza e decisione, il disegno della forma, il sostegno
della figura, la linea su cui si svolge la scrittura della scultura.
Nell'opera per Il flauto magico la narrazione, fatta solo di allusioni al testo cui si
riferisce, si svolge da destra a sinistra, il contrario della scrittura alfabetica, della
direzione occidentale del tempo. Tamino giace disteso, appena salvato dall'intervento
delle tre Dame inviate dalla Regina della Notte che effettivamente compaiono,
appena sotto a Papageno, nel primo inserto verticale di bronzo. Insieme alla Regina
della Notte, che fa cenno dall'estremit del pezzo centrale, le precedenti figure
completano sulla destra la zona notturna dell'opera, notturna perch pende dall'alto
in basso del filo che regge il percorso dell'eroe. A questa parte fa da esatto
contrappunto la zona solare, diurna, sulla sinistra che dal filo si proietta in alto e che
termina con l'ermafrodito, trionfo della riunione dei contrari e gi non pi
conflittuale ma vittorioso. Questa parte anche preludio della coppia, anzi delle due
coppie, incastonate nel secondo inserto di bronzo verticale, sotto il segno di
Sarastro, dio solare e aureo.
Al centro, le prove iniziatiche, i simboli di conflitto e di compresenza degli opposti.
Obliqui, questi archetipi terminano sulla sinistra con i due monti dell'acqua e del
fuoco dipinti.
Il vuoto sembra sostenere l'insieme e permettere il sostenersi dei pesi e il rimandarsi
delle figure. Maraniello, con una capacit di pensiero trasversale, ha coniugato
18

Mozart e se stesso, la sua opera la magia dell'equilibrio tra materia e vuoto,


pesantezza e filo.

Stephen Cox

Nell'opera di Stephen Cox, dedicata al Flauto magico, ritroviamo la stessa dialettica


che ha da sempre percorso il lavoro dell'artista tra rilievo e superficie, tra
architettura, scultura e pittura, cos come tra colore e non colore, tra linea e massa,
tra totalit e frammento. Da una parte la piattezza della lapide (e della parola)
dall'altra il tuttotondo della metafora.
V.I.T.R.I.O.L. unisce in un vocabolo le iniziali della frase latina Visita Interiorem
Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem, frase massonica di iniziazione
dove si tratta di viaggio agli Inferi, di trovare rettificando e di pietra-lapide.
V.I.T.R.I.O.L. non altro che liniziale trasposizione massonica della rinascita a
nuova vita dopo la morte: il primo simbolico viaggio delliniziato si svolge
allinsegna dellelemento terra, colui che stato scelto per intraprendere la nuova
via deve meditare sulla propria vita da profano, tirare le somme della propria
esistenza lasciando un testamento, ultimo atto della vita passata, quale espressione di
intenti futuri. Al contempo deve raggiungere la concentrazione necessaria ad una
meditazione talmente profonda (Visita Interiorae Terrae) da fargli scorgere la
scintilla divina (Inveniens Occultam Lapidem) che ha sempre risieduto, seppur a sua
insaputa, nel suo Io pi intimo. La pietra filosofale, capace di trasformare la
materia vile (piombo) in materia nobile (oro), rimasta celata in profondit e pu
essere scoperta intraprendendo la giusta via, ovvero la strada retta della virt
(rectificando).
Quindi lo scopo ultimo del V.I.T.R.I.O.L. sono catarsi ed introspezione per
rigenerarsi in un uomo nuovo, come la fenice che risorge dalle proprie ceneri.
Dopo il primo elemento, il recipiendario, ovvero colui che aspira ad essere iniziato,
dovr superare alcune prove caratterizzate dagli altri elementi: acqua, aria ed infine
fuoco. In questo senso il riferimento al Flauto magico quanto mai evidente.
Il viaggio agli Inferi il viaggio paradigmatico dell'iniziazione, il viaggio della ricerca
di Tamino che comporta senz'altro la necessit di una morte simbolica e di una
19

visita dei regni occulti prima della rinascita vera all'ideale.


Allo stesso tempo per Cox la discesa agli Inferi allude all'incidere, al togliere proprio
della scultura in pietra. Cos il rettificare, il trovare per correzione degli errori,
concezione gi neoplatonica, in particolare michelangiolesca.
Il Vetriolo stesso la metafora che chiude il cerchio dei rimandi: un acido che
corrode la pietra, mostrandone il lato mostruoso, ma anche un materiale che lo
scultore pu usare con cura per rifinire, lisciare, quindi, al contrario, per far risaltare
il bello della pietra della scultura.
Cox amplia ulteriormente la serie perch se l'opera presente sul catalogo della
mostra il bozzetto preparatorio, quella per l'esposizione in parte diversa e ancora
pi complessa. Popolata di figure, rende ancora pi complessa la dialettica tra
immagine e parola; realmente in pietra, evidenzia il lavoro del togliere e del levigare.
Cox condivide con Il flauto magico il sapere della molteplicit, della dialettica multipla
che non fissa, non blocca nessun elemento costitutivo, ma, attraverso l'ambiguit e la
mescolanza, si fa imprendibile e non definibile: che l'arte non rinunci a nessuno
strumento ma accetti il rischio di non fissarsi su un'unicit.

Roman Scheidl

L'atmosfera che Roman Scheidl ha ricreato quella di una favola esotica, di un


leggero rococ e di teatralit danzante. I colori sono ammalianti, dati per tocchi
frammentati che rispettano appena le forme, chiuse in linee spezzate: il vestito a
piume di Papageno la cifra stessa di questa pittura, cos come la vegetazione tutta
fatta di fiori e foglie che quasi non riescono a dar corpo a un albero, a una figura
chiusa appunto. A proposito del rapporto tra linea e colore, Scheidl parla cos
durante un'intervista con Elisabeth Olivares Diaz:
Trovo che ci sia sempre una disputa tra colore e disegno. Le
linee sono ritmo e del movimento - il colore lo spazio e la
luce. Si tratta, quindi, di una disputa tra la comprensione e la
sensazione, perch il colore pu essere solo, in contrasto con
le linee, che si possono vedere e tracciare. Non si pu
20

descrivere il colore. Si pu solo vedere. Spesso ci mancano le


parole per descrivere il colore. Io probabilmente conosco un
centinaio di nomi di colori in pi rispetto a te, insieme ad
alcuni concetti. Quindi posso dire che il rosso non il rosso
scuro giapponese. Che il nero nero corvino, e che il blu un
misto di blu scuro di Prussia con un po Zriblau e un po 'di
Krems bianco con uno spruzzo di bianco di zinco.16
In questa disputa vince la sensazione, la pittura a tocchi leggeri e vibranti che diventa
musica. Siamo nel regno della metamorfosi, della mutazione, dove i colori e le linee
si mescolano tra di loro: blu, colore notturno, e giallo, colore solare sono
continuamente intrecciati e lo sono poi costantemente col rosso, colore dell'amore.
La scena, infatti, quella dell'entrata in scena di Papagena, oggetto del desiderio di
Papageno che tanto l'ha sospirata e attende solo lei per concludere la sua storia,
aldil di riti di iniziazione e utopie.
Il terreno ovunque tempestato di cuori che si aprono sovrapponendosi a fiori di
erbe: siamo nella scena dell'amore semplice del semplice Papageno, ma Papagena
non compare come fanciulla attesa e sognata, ma entra in scena sotto forma di
vecchia, brutta e sgraziata. Una trasformazione in attesa, intanto, per, nel luogo
della gioia spensierata e rococ si insinuano il grottesco e il mostruoso a sconvolgere
l'accattivante superficialit. E infatti Papagena incede dall'ombra profonda del fondo,
cammina su un percorso diagonale unico che rende la profondit dello spazio del
dipinto, e porta una maschera in contrappunto all'effige di Pamina sulla sinistra.
Papageno talmente poco popolaresco, anzi quasi principesco con corona e collana,
da essere la parodia di se stesso oltre che di Tamino, e le tre dame che in questa
scena dovrebbero essere tentatrici maliziose non hanno invece niente di minaccioso,
ma sono anzi gioiose e partecipanti al gioco della felicit amorosa.
Papagena entra, Papageno attende a occhi chiusi, ma quando si trover costretto di
fronte alla deformit risponder Bere acqua? Rinunciare al mondo? No, in tal
16 Diaz, E. O., Conversation between Elisabeth Olivares Diaz and Roman Scheidl. 23 giugno 2008, reperibile su
<http://www.romanscheidl.at/english/in-view-of-nature-man-becomes-a-fool/>.

21

caso preferisco prendere una vecchia che niente del tutto. Ebbene, hai qui la mia
mano.17
Scheidl come metafora del Flauto magico e della sua pittura ha scelto un momento
particolare, ha finto una pura illustrazione per mostrare come nella metamorfosi la
scelta gi operata a favore del tutto piuttosto che del niente, dove il tutto verr
accettando per un momento una parte, anche la pi apparentemente improbabile.

Giulio Paolini

L'opera di Giulio Paolini presenta due elementi iconografici: il flauto, gi esistente


come immagine perch estrapolato da un manuale (e quindi svuotato di ogni
riferimento iconografico perch presentato nelle sue possibilit materiali di
riprodurre suoni) e la figura complessiva assimilabile a una piramide o a uno
ziggurat, un tempio di cui i flauti ripetuti sarebbero le colonne. Inoltre, l'artista
opera un doppio svuotamento iconografico sul flauto che, oltre ad essere una mera
copia di un'immagine da catalogo, deve alla propria ripetizione la struttura stessa
dello ziggurat.
Sembra che Giulio Paolini, nella sua opera per Il flauto magico, voglia proporre una
critica all'iconografia stessa e al suo sistema che implica la precedenza del testo
rispetto all'immagine, del senso rispetto all'opera e del contenuto rispetto alla forma.
Tanto che il vero testo per Paolini sembrerebbe essere non tanto quello dell'opera,
cio del libretto o del racconto del Flauto magico, ma la sua struttura e ancor prima il
titolo stesso che gi composto di due parole opposte riunite.
La struttura della ziggurat pura geometria e pura matematica. Geometria, presenza
ricorrente nella sua opera, a partire da "Disegno geometrico" del 1960:18 una tela
sulla quale ha portato a termine solamente un procedimento preliminare, ossia la
quadratura geometrica, anticipazione di ogni possibile rappresentazione.
Scrive Dorfles che essa pura matematica e cio tempo, e dunque ritmo e musica:
e allora, ecco, 13 sono i flauti di base poi ripetuti, 1 + 3 = 4 e 4 sono i piani del
tempio, gi tutto questo diviso e inseme ripetuto per 2 secondo l'asse centrale ben
17 Tratto dal libretto di sala Il flauto magico, Teatro La Scala, Milano, p. 68.
18 <http://www.fondazionepaolini.it/files_opere/Disegno_geometrico_1960.pdf>.

22

evidenziato, quindi 26 su ogni base, 2 + 6 0 8 e 8 sono le parti in totale in realt; e


ancora se vogliamo, 13 x 8 = 104, 1 + 0 + 4 = 5, e 13 x 4 = 52, 5 * 2 = 7, cos tutti i
numeri dall'1 all'8 sono presenti, 1 + 8 = 9... e lo 0 non manca essendo anzi il
centro, quel vuoto che separa in due e in molti...19
Paolini per quest'opera ha adottato il procedimento riproduttivo della fotocopia,
ripetizione speculare, ma dall'originale non c' pi traccia. D'altronde anche
dell'opera Il flauto magico non sappiamo quale sia l'originale se noi non ne abbiamo
solo le riproduzioni, le interpretazioni.
Qui si ha a che fare con il magico, con la favola, con l'opera in definitiva perch
il magico l'opera e l'opera magica, il cerchio di un percorso non solo analitico e
razionale, ma non privo di scarti: il viaggio iniziatico allora quello da un'origine
persa a una messa in scena, continuamente differita, presente/assente nella
compresenza finale.
Viaggio in cui l'artista si fa da parte per lasciare parlare, appunto, l'opera stessa:
l'artista, un tempo maledetto, oggi pressoch unanimamente
benedetto, dovrebbe essere a parer mio semplicemente
non detto, nel senso di non insignito di quel valore
primario che spetta invece all'opera in quanto tale, perch
originata dalla stessa dinastia che la precede nel tempo e dalla
quale discende in linea diretta. Un'opera, per essere autentica,
deve dimenticare il suo autore. 20
Evidentemente nella fascinazione del teatro Paolini ha trovato il contesto perfetto
per esprimere il suo bisogno di scomparire dalla sua opera se, per citare solo i pi
recenti, ha lavorato anche per le scene per le Valchirie (2005) e il Parsifal (2007) di
Richard Wagner al Teatro San Carlo a Napoli per la regia di Federico Tiezzi.

19 Dorfles, G., Napolitano, E., Intorno al Flauto magico, Milano, Edizioni Gabriele Mazzotta, 1985, pp. 114115.
20 Paolini, G., in Mattirolo, A., Paolini, G., L'ora X. N prima n dopo, Milano, Electa, 2009, p. 66

23

Christina Kubisch

Nell'opera di Kubish il viaggio di Tamino il viaggio dello spettatore, percorso


labirintico da decifrare in cui ogni passo rappresenta una prova. Per quanto l'artista
abbia ben evidenziato, come in ogni labirinto, il centro con una colonna da cui esce
la luce, lo spettatore ancora non sa che cosa vi trover se non percorrendo lo spazio
e ascoltando la musica. La struttura stellare (solare) e segnata sul soffitto dai fili
elettrici dipinti in vari toni di blu notturno. Ogni coppia di fili, otto in tutto,
delimita e contiene un programma stereo che lo spettatore sente in cuffia quando ne
attraversa lo spazio; ogni intervallo tra i programmi vuoto, delimita e contiene un
silenzio. Ogni coppia di fili, ogni programma stereo rappresenta musicalmente uno
dei personaggi dell'opera di Mozart, richiamato da brani che a lui si riferiscono, e
con questo anche una determinata atmosfera dell'opera stessa. La struttura
convergente verso il centro comporta una divisione dello spazio (sonoro) in
rettangoli di suoni e in triangoli di sovrapposizioni tra varie bande magnetiche, fino
al massimo di sovrapposizione appunto intorno al centro, che non realmente
agibile perch occupato dalla colonna, dal simbolo, dalla fonte di luce. A seconda di
come lo spettatore si muove, a seconda del suo percorso vive una percezione
diversa, un labirinto diverso. Il flauto magico si trasformato in Flauto magnetico: le
musiche che si ascoltano durante il percorso sono elaborazioni elettroniche di brani
musicali dell'opera di Mozart. L'ascolto individualizzato, ad ognuno la sua libert,
le sue costrizioni, le sue scelte: l'iniziazione individuale, ma anche doppia, perch
due sono i fili di provenienza del suono, due le orecchie che ascoltano, doppia la
cuffia che occorre portare per ascoltare.
La luce dal basso sale nello spazio, la musica dall'alto scende nello spazio. Lo spazio
diventa in tal modo un tessuto, un testo dato dall'intreccio degli elementi, di cui il
silenzio non dei meno importanti, dove l'ascoltatore ha la possibilit di creare la
sua interpretazione sia del Flauto magico che del Flauto magnetico, modificando col
proprio movimento il messaggio dei vari elementi. La distanza che c' tra il Flauto
magico e il Flauto magnetico, evidenziata dalla differenza di elementi strutturali e
materiali

(l'uso

degli

strumenti

elettronici

cos

come

un'altra

forma

dell'organizzazione musicale dei frammenti), esattamente la distanza temporale e


24

culturale che separa il '700 dalla contemporaneit.


Stupisce la poeticit a cui Kubish attinge nella sua opera, che si manifesta anche
attraverso la sua eleganza minimalista, quasi eterea, ottenuta peraltro con l'uso di
materiali comuni, come appunto i cavi elettrici e le cuffie.
Se il Flauto magico il racconto, la favola illuminista di un percorso di iniziazione, il
Flauto magnetico di Kubisch la strutturazione spaziale del percorso di questa
iniziazione e la possibilit reale di farlo proprio per ciascun spettatore.

Jannis Kounellis

Il rinvio esplicito alla musica un elemento che si riscontra di frequente nell'opera di


Kounellis. Talvolta questa costituisce una premessa ispiratrice: il caso, ad esempio,
della mostra pesarese Li Marinari, dedicata alle composizioni di Gioacchino Rossini.
Pi spesso, per, la musica diviene parte integrante dell'opera; l'artista produce cio
performance e installazioni che prevedono l'uso di registrazioni sonore o persino la
presenza di musicisti e cantanti.
Pi di una volta Kounellis, poi, ricorso a Mozart, illuminista e aperto (come l'ha
definito contrapponendolo al gotico ed ecclesiastico Bach), in almeno tre opere di
grande impegno: I flautisti nelle sale di Palazzo Taverna (1971); nel 1973 il complesso
con flautista, artista con la maschera, tavola con frammenti di calco in gesso e corvo
impagliato; ma, soprattutto, l'installazione-azione alla Galleria Ileana Sonnabend di
New York nel 1972 con l'artista in una cabina di ferro con una maschera sul viso
ricavata dal calco di una statua classica e un flautista in una seconda cabina con
mensole e spartiti di ferro. Qui il classico, come pure la musica, si presenta nella
pura forma della citazione. Loggetto classico, il frammento dellantichit non viene
emulato, ripreso, ma campionato attraverso il calco. Il tutto non porta a una
riedizione del classicismo n a uno snaturamento del classico, ma a una nuova sintesi
poetica in cui il contrasto tra gli oggetti, siano essi quelli dellindustria (il ferro), della
natura (il corvo impagliato) o della memoria culturale (la citazione di grandi
compositori) capace di far scaturire un nuovo lirismo.
Mozart risulta, perci, legato alla dialettica di maschera e svelamento (immagine
pubblica e coscienza individuale). Il volto infatti un elemento fondamentale nella
25

sua poetica. Egli afferma che la maschera greca ha la stessa funzione che ha nel
teatro giapponese, non qualcosa che si cambia a seconda della situazione, ma
stabilisce il ruolo e lidentit. Essa plasmata su quel ruolo e quindi in un certo
senso contiene il destino stesso di quel personaggio.
In secondo luogo Mozart risulta legato al mito della rinascita e dell'iniziazione
(corpo in frantumi e morte), ma soprattutto e sempre al flauto. Mozart il flauto,
la sua magia la musica che lega i frammenti e rid loro vita, che lega le differenze
interne all'opera e permette loro di trovare conciliazione tra esperienza individuale e
ruolo pubblico.
Il flauto, che soffio (flatus), ritorna anche e naturalmente nell'opera per Il flauto
magico, questa volta gi legato a un altro strumento, la tromba e la lastra di metallo su
cui sono fissati gli oggetti ricorda gli spartiti in ferro dell'installazione del '72.
Ma a questi elementi si aggiunge il trenino, mai apparso in questo contesto ma
altrettanto emblematico in Kounellis che soprattutto lo ha collegato al futurismo e a
Boccioni in particolare. Troviamo un illuminismo che disvela la metafora del viaggio,
in cui il treno anche la nascita della modernit, della societ industriale. Il treno
infine anche una macchina e se a vapore fuma e contiene dentro di s il fuoco, i
due elementi-simboli pi forti e ricorrenti in Kounellis: fuoco, simbolo di
processualit, di trasformazione e di rigenerazione, che punizione e insieme
purificazione e salvezza; fumo che traccia, ed fuoco nero legato e anche
contrapposto al fuoco che brucia, che illumina, fuoco splendente.

26

IL CINEMA D'ANIMAZIONE DI EMANUELE


LUZZATI NEL FLAUTO MAGICO
In piena civilt dell'immagine, il cinema d'animazione ancora un fenomeno
sostanzialmente oscuro ed estraneo per gran parte degli spettatori di cinema, e degli
stessi studiosi e critici. Cos oscuro ed estraneo da favorire la nascita di equivoci che
sono diventati delle massime, come quello che lo vorrebbe destinato tutt'al pi alla
facile risata degli adulti; e da contare su una letteratura storico critica che fra le
meno ricche dell'intera bibliografia cinematografica.
Ci che lo distingue dal cosiddetto cinema dal vero e ne ha causato la poca
diffusione , per, anche motivo della riuscita di alcuni tra i migliori prodotti
cinematografici: la materia prima nella quale l'animazione attinge gli elementi della
sua opera futura si compone unicamente delle idee umane, di idee che i diversi
uomini fanno delle cose, degli essere viventi, delle loro forme, del loro movimenti,
del loro significato. Essi rappresentano queste idee attraverso delle immagini fatte
con le loro mani. Nel concatenamento causale delle loro immagini, da loro
concertato, nulla pu essere lasciato al fortuito. Per questo la realizzazione delle
opere richiede un tempo eccessivamente lungo, al di fuori di qualunque proporzione
con cinema dal vero.
D'altra parte il cinema animato anche un linguaggio strettamente legato alla
musica, tanto da essere considerato il pi audiovisivo dei linguaggi audiovisivi21 e
questo giustifica i numerosi esempi in cui gli autori si sono messi alla prova
cimentandosi in opere teatrali.
Nel suo libro Cartoons,22 Giannalberto Bendazzi sostiene che la locuzione cartoni
animati con la quale comunemente si indica il cinema d'animazione tout court
impropria e riduttiva. Non si pu che concordare con la sua obiezione in quanto il
termine cartoni una traduzione approssimativa dell'inglese cartoon, che invece
ha tutt'altro significato. Consultando un dizionario inglese alla voce cartoon si
trovano le seguenti definizioni:
21 Bendazzi, G., Definire l'animazione in Dossier Cinema d'animazione, Torino, Carocci editore, 2006 p. 39.
22 Bendazzi, G., Cartoons: il cinema d'animazione: 1888-1988, Venezia, Marsilio, 1988.

27

- a simple drawing showing the features of its subjects in a humorously


exaggerated way, especially a satirical one in a newspaper or magazine:the minister
faced a welter of hostile headlines and mocking cartoon
- a film using animation techniques to photograph a sequence of drawings rather
than real people or objects
- a full-size drawing made by an artist as a preliminary design for a painting or
other work of art.23
La terza definizione si riferisce ai cartoni preparatori degli affreschi, degli arazzi e
non ha niente a che vedere con gli animated cartoons, mentre la prima a drawing
che mostra i suoi soggetti in a humorously exaggerated way, denuncia
immediatamente le origini di un certo disegno amato commerciale che si rifaceva ai
fumetti che iniziarono a comparire sulla stampa periodica a grande diffusione
popolare verso la fine dell'Ottocento in America.
Pertanto gli animated cartoons, vicini alla seconda definizione e che possono essere
tradotti come disegni caricaturiali animati, riguardano soltanto uno degli aspetti del
cinema d'animazione che fenomeno complesso, all'interno del quale trovano
spazio svariate tecniche.
Nel caso di Gianini e Luzzati si pu, giocando con le parole, parlare di cartoni
animati, in quanto la loro tecnica consiste nel far muovere sotto la macchina da
presa, fotogramma dopo fotogramma, figurine snodabili, piatte, ritagliate proprio
nel cartone. Si chiama dcoupage il procedimento da essi usato e vanta illustri
antenati. Lotte Reiniger aveva sviluppato ed approfondito la tecnica delle ombre
cinesi animate con eccellenti risultati sia da un punto di vista tecnico che espressivo
e, per questo, era stata elegantemente definita dal regista tedesco Jean Renoir
maestra d'ombre. Nel corso di un sessantennio di attivit trasse ispirazione
principalmente dalla favola classica. Creando un universo figurativo raffinato, rivolto
ad un pubblico adulto, debitore alle esperienze delle avanguardie tedesche del primo
dopoguerra. Il suo merito, tra gli altri, fu quello di utilizzare il cinema d'animazione
23 <http://oxforddictionaries.com/definition/english/cartoon>

28

al di fuori sia dello sperimentalismo astratto dei film dei pittori, sia della
commercializzazione dei disegni animati di serie di marca americana.24
Una felice coincidenza rappresentata da Papageno, cortometraggio realizzato dalla
stessa Reiniger, nel quale l'artista segue fedelmente Mozart attraverso una storia
raccontata in sagome.
Papageno , infatti, un corto della durata di 10 minuti che mostra le scene del Flauto
magico che vedono protagonista il maldestro uccellatore. Rappresentata per la prima
volta l'11 Agosto 1935, in occasione di una mostra dedicata al lavoro di Lotte
Reiniger al Berlin Film Art Cinema Die Kamera, si tratta di un'opera
estremamente evocativa e delicata.
Per realizzare le sue animazioni, Reiniger, tagliava le sagome da una cartoncino nera
con un paio di forbicine. Ogni arto veniva tagliato separatamente e poi unito agli
altri da delle cerniere in modo che le figure diventassero flessibili in prossimit delle
giunture e quindi potessero essere articolate attraverso una pressoch infinita variet
di movimenti. Paesaggi e sfondi venivano ritagliati da cartone nero e da vari strati di
carta velina bianca semitrasparente e, considerato che ogni strato di carta velina
poteva essere tagliato in maniera differente dagli altri e non vi era alcuna necessit di
farli coincidere, Lotte riusciva a garantire tante gradazioni di tono sullo sfondo
quanti erano gli strati di carta conferendo, cos, alle sue scene una sensazione di
profondit. Il lavoro di Reiniger delicato, raffinato, ma allo stesso tempo pervaso
di una preziosa fragilit. L'atmosfera che trasmettono le sue filigrane animate non
ebbe nulla a che vedere con i tempi correnti: esse sono parte di un mondo di
fantasia assolutamente pacato e astratto, reso simile al sogno da quel tanto di non
definito che la silhouette, che non permette la lettura della fisionomia, comporta.
Non pochi sono i punti in comune tra l'opera di Gianini e Luzzati e quella della
Reiniger: la predilezione per un metodo di lavoro artigianale con attrezzature
costruite in proprio, l'interesse per una dimensione favolistica riletta in un contesto
attuale che tiene conto delle tendenze figurative e letterarie contemporanee, la
confezione di un prodotto adatto sia ad un pubblico adulto e colto che ad uno
24 Rondolino, G., Il cinema di Lotte Reiniger, in Alfio Bastiancich (a cura di), Lotte Reininger, Torino,
Assemblea Teatro/Compagnia del Bagatto, 1982, p. 6.

29

infantile.
Nel film dei due autori, per, le silhouettes anzich essere nere su uno sfondo
luminoso sono coloratissime ed proprio la sapienza del ritmo cromatico, coniugato
con il movimento e la musica, a caratterizzare la loro produzione.
Prima di descrivere il loro lavoro sviluppato a partire dal Flauto magico, tuttavia,
giusto capire le motivazioni della loro collaborazione.
Gianini e Luzzati si conobbero a Roma nel 1957 e nello stesso anno condussero la
prima esperienza in comune nel campo dell'animazione: il cortometraggio I due
guerrieri, rimasto incompiuto.
Il vero e proprio esordio artistico avvenne nel 1960 con I paladini di Francia, ovvero il
tradimento di Gano di Maganza che si segnal al Festival di Annecy ed ottenne il
Premio Helen Grayson per l'opera prima.
Emanuele Luzzati e Giulio Gianini iniziarono la loro avventura con il cinema
d'animazione quando erano entrambi gi maturi nei loro diversi settori di attivit:
Luzzati, scenografo, illustratore e ceramista affermato. Giulio Gianini, operatore
cinematografico specializzato in documentari d'arte. Entrambi avevano in comune
una grande passione per il teatro dei burattini, esperienze scolastiche simili, un
interesse per la ricerca sugli effetti cromatici, un desiderio di trovare un linguaggio
nuovo che potesse costituire sintesi espressiva delle esperienza fino allora compiute.
E grazie alla sua poliedricit, le molteplici attivit di Emanuele Luzzati convivono e
si alimentano in un continuo intreccio di rimandi e rielaborazioni nei linguaggi pi
diversi: i temi costanti, i personaggi prediletti passano dalla carta alla terracotta, si
ricorrono nei bozzetti scenografici, nei manifesti, risorgono a nuova vita sulle tavole
del palcoscenico e si muovono a ritmo di musica nella luce del grande schermo.
Anche Il flauto magico (1978) compie un complicato percorso prima di approdare al
cinema d'animazione.
Dal palcoscenico di Glyndebourne, dove Luzzati aveva affrontato per la prima volta
i problemi scenici dell'opera mozartiana, Papageno, Sarastro, Tamino sono passati
attraverso le pagine illustrate di un libro per bambini, si sono mescolati agli altri
personaggi dell'immaginario luzzatiano nello spettacolo La mia scena un bosco, hanno
30

vissuto un'esistenza autonoma sui manifesti, sulle litografie, sugli arazzi, sino ad
approdare sul grande schermo in un felice connubio di colore e musica.
Il primo approccio di Luzzati con l'opera mozartiana avvenne, quindi, nel 1963,
quando cre scene e costumi per il Festival di Glyndebourne, a pochi chilometri da
Brighton, in Inghilterra.
L'allestimento tenne cartellone per dieci anni e sull'onda del successo un editore
inglese, Blackwell di Oxford, propose all'artista di scrivere ed illustrare la storia
dell'opera in un libro per bambini. La vicenda fu semplificata: Papageno divenne a
tutti gli effetti protagonista, Sarastro un mago buono e Astrifiammante una fata
malvagia. Il libro fu pubblicato nel 1971.
il primo passo verso il cartone animato e il libro servir
anche a preparare il terreno per quella pi rischiosa e costosa
impresa. La scena pittorica di Glyndebourne si trasferisce
sulla pagina, diventa illustrazione, immagine autosufficiente, e
i personaggi respirano la materia di cui sono fatti: teatrali e
corposi sulla scena, lievitano sulla pagina dai vaporosi abissi
coloristici degli sfondi, cristallizzati nel segno di una cifra
grafica enigmatica, sottilmente profilati in un tessuto fiabesco.
All'inizio ed alla fine del libro si apre e si chiude un
teatralissimo sipario rosso.25
Del 1979 fu l'edizione italiana del libro edito da Il Bisonte di Firenze, in copie
numerate con le litografie a colori.
Il film Il flauto magico usc nel 1978. Dopo i cortometraggi rossiniani i due autori si
cimentavano per la prima volta con la musica di Mozart, rivisitando con spirito
moderno l'estremo Singspiel del genio di Salisburgo.
Il progetto e la realizzazione richiesero a Gianini e a Luzzati due anni di faticoso
impegno, due anni costellati di intoppi e difficolt. Si pu dire che i due animatori,
25 Carandini, S., Fazio, M., Il sipario magico di Emanuele Luzzati, catalogo della mostra, Roma, Officina ed.,
1980, p. 47.

31

portando a termine l'opera, abbiano veramente realizzato l'impossibile. La


complessa partitura mozartiana venne smontata e analizzata nei minimi particolari.
La musica era, chiaramente, un elemento portante: il sincronismo fra musica e
immagine divenne perfetto. Come lo stesso Luzzati testimonia, codici musicali e
codici iconici, ritmo melodico e flusso figurativo si integravano creativamente
interagendo in maniera originalissima.
Il flauto magico mi ha fatto entrare nel mondo dell'opera, della
musica. Prima vedevo le opere come spettacoli di prosa... Con
Il flauto magico ho capito le esigenze anche musicali dei diversi
personaggi, ho capito che una scena pu cambiare a tempo di
musica, che la musica a dettare il ritmo dei movimenti, delle
immagini, dei colori.26
Si scelse, poi, un metodo che permettesse di semplificare il testo attuando una serie
di sospensioni narrative che avessero lo scopo di riassumere gli avvenimenti che
non era possibile rendere visivamente.
Il film, infatti, nell'edizione analizzata, alterna parti d'animazione con riprese dal
vero (un quinto del metraggio). Cos era nato per volere della casa di produzione, la
Thalia Film di Vienna, che al fine di proporlo ad un pubblico anche infantile, aveva
ritenuto opportuno l'inserimento di tali sospensioni tra i brani in animazione che,
essendo cantati in tedesco, non permettevano la comprensione della vicenda.
Vennero pertanto realizzate tre edizioni del film: in inglese, in francese ed in tedesco,
tutte con titoli e didascalie in inglese. Il personaggio di Papageno, interpretato
dall'attore Marcello Bartoli, assolveva una funzione di raccordo tra le sequenze
animate e di spiegazione della storia. Nei primi anni '90 Gianini e Luzzati, che non
hanno mai ritenuto ottimale tale soluzione, hanno rimontato l'intero film eliminando
completamente le sequenze dal vero.
Il loro Flauto magico , pertanto, una libera trasposizione dell'opera di Mozart. La
26 Luzzati, E., Il flauto magico Testi e immagini, Roma, Gallucci editore, 2010, p. 14.

32

complessa partitura stata smontata ed analizzata nei minimi particolari, con il fine
di scegliere i brani musicali pi significativi e nello stesso tempo pi adatti ad una
realizzazione disegnata.
Abolendo tutti i dialoghi parlati, la maggior parte dei recitativi, e mantenendo invece
le arie, i duetti ed i corali pi famosi, i due autori hanno dato al film una struttura
teatrale a scene, in ognuna delle quali i protagonisti sono gli interpreti dei brani
vocali. Al Papageno in carne ed ossa il compito di tirare le fila della vicenda e
condurre per mano lo spettatore attraverso i labirinti mozartiani27 con lo scopo di
permettere anche ad un pubblico infantile di godere della vicenda. Semplificata la
storia, sfoltiti i personaggi (non compare lo Sprecher (oratore) ad esempio, ed i
Geharnishten (corazzieri) si limitano ad un'apparizione in veste di figuranti, disegnati
su lato di un periatto) rimane la fabula, mentre viene bandita, intenzionalmente, ogni
possibile esegesi sui misteri massonici dell'opera, a proposito dei quali fiumi
d'inchiostro sono stati versati, come lo stesso Papageno spiega.
Viene invece evidenziato l'aspetto fiabesco, la magia scenica, l'incanto del
meraviglioso, senza alcuna preoccupazione di ricostruzione storica.
A segnare il passaggio tra una sequenza e l'altra vi sono sempre segni di
punteggiatura forte: dissolvenze sul nero o dal nero, rotazioni del quadro o, nel caso
di semplici stacchi, la marcatura viene data da elementi mutuati dal linguaggio
teatrale (chiusura di sipario rosso, buio in sala, ecc).
Le sequenze dal vero, come gi anticipato, hanno il fine di rendere comprensibile il
dipanarsi della vicenda, essendo i brani corali cantati in tedesco. Hanno sempre la
stessa ambientazione (un teatrino all'italiana dal boccascena appena sufficiente a
contenere una persona, che per dcor e grandezza ricorda l'opera dei pupi) e lo
stesso protagonista, Papageno.
Il Papageno-attore svolge il suo compito di raccordo tra le sequenze animate,
spiegando i diversi passaggi della storia e conducendo per mano lo spettatore verso
la comprensione di quest'opera semplice ed astrusa insieme. Si muove a suo agio sul
palcoscenico interagendo con gli elementi scenografici proprio come fanno i
27 Cortellazzo, S., Pastelli, pupazzi e siparietti. Il cinema di Gianini e Luzzati, Incontri internazionali con gli autori
del cinema d'animazione- Comune di Genova, Genova, 1982.

33

personaggi di cartone. Anche i suoi gesti emulano la meccanicit delle marionette


con qualche incursione nella commedia dell'arte. Del resto cos' Papageno se non
un Arlecchino piumato? Sembrano suggerire i due autori. Ed il personaggio tutto
luzzatiano a cui questo Papageno pi affine ha origini italianissime, quel
Pulcinella un po' pigro, un po' contestatore, protagonista del film pi lodato di
Gianini e Luzzati. Papageno che svolge funzione di raccordo, quindi, e che alla
soluzione idillica affidata alla coppia illuminata con cui termina l'opera di Mozart, fa
succedere quella domestica del duetto tra lui e Papagena, che sognano una copiosa
figliolanza nella loro capanna.
Tonino Conte, con cui, peraltro, Luzzati ha fondato il Teatro della Tosse a Genova
nel 1975, ha affermato:
Non credo che sia mai stato rappresentato in modo
altrettanto entusiasmante la bellezza dell'amore coniugale, con
quei piccoli Papageni che nascono dagli alberi, che vengon su
dai fiori e volano via come farfalle.28
L'Eroe del film pertanto proprio lui, Papageno, il quale agisce nel corso della
vicenda (trae in salvo Pamina per consegnarla a Tamino), il personaggio meglio
tratteggiato, quello di cui conosciamo aspirazioni e desideri, manchevolezze e
piccinerie, quello con cui lo spettatore tende ad identificarsi.
Gli altri protagonisti appartengono comunque alla sua concezione popolare della
scena e dei costumi: Tamino un po' pi vecchio e rigido, ma compie comunque i
gesti eroici a cui siamo abituati, Pamina per met Narciso e per met bambola, la
Regina della Notte e le sue dame ricordano bambole floreali animate e costose.
Le identit popolaresche dei personaggi sono supportate da un elemento che
emerge al termine della visione: nel Flauto magico di Luzzati, pi che la
contrapposizione allegorica tra Bene e Male, tra Luce e Tenebre, tra Razionalit ed
Irrazionalit, viene evidenziata l'antitesi tra il mondo degli Umili (Papageno), dei
28 Conte, T., Un mondo fatto a mano, in Gianini e Luzzati Cartoni animati, Milano, Silvana editoriale, 2013.

34

poveri diavoli ed il mondo dei Potenti (Sarastro, La Regina). In tal senso la lettura
data da Gianini e Luzzati non si allontana da quella che Massimo Mila avanza
proprio per l'opera mozartiana.
L'antitesi non mica tra Sarastro e la Regina della Notte, che
avranno le loro buone ragioni per essere nemici ma possono
essere nemici perch sono dei pari grado, inseriti nello stesso
regime, appartenenti alla stessa casta, quella dei potenti.
L'antitesi tra costoro e Papageno che alle prove iniziatiche,
non che superarle o soggiacervi sconfitto, non neanche
ammesso, perch lui non appartiene quelle alte sfere dove
per

accedere

all'esistenza

c'

bisogno

di

esami

di

qualificazione.
Ce ne sono tanti come me, risponde Papageno quando lo
Sprecher gli annuncia solennemente che lui escluso dalle
prove perch si mostrato indegno dei piaceri celesti.
Papageno vuol dire, con questo, che tutti praticamente sono
come lui, salvo alcuni eroi come Tamino. Questi l'eccezione
e lui la regola.29
Dal punto di vista strettamente figurativo il film di Gianini e Luzzati raggiunge in
alcuni momenti vertici espressivi di rara perfezione. Dall'aria della Regina della notte
resa visivamente con stilizzazioni semi-astratte di una luminosit coloristica
ineguagliabile, alla compostezza ieratica con cui viene rappresentato Sarastro, per
non parlare della briosa e sfavillante pennellata che visualizza il giocoso mondo di
Papageno.
Quanto il dcoupage perde in fluidit del movimento lo acquista in astrattezza, in
coscienza del mezzo, raggiungendo effetti di antinaturalismo che impediscono
comunque l'imitazione del reale, propria delle animazioni disneyane in gara col
cinema vero.
29 Mila, M., Ma poi tanto diverso il Flauto magico?, in AA.VV., Intorno al flauto magico, Milano, Mazzotta, 1985,
pp. 27-28.

35

Eppure, nonostante un'impronta del tutto opposta a quella dell'impero Disney e


affini, solo per otto minuti in meno Il flauto magico luzzatiano non ha ricevuto
l'Oscar. Dopo aver ottenuto la nomination per due volte, con La gazza ladra e
Pulcinella, caso unico tra gli autori di cinema d'animazione italiani, Giulio Gianini ed
Emanuele Luzzati hanno realizzato una versione del Flauto magico di Mozart cos
preziosa e immaginifica che neanche gli americani avrebbero potuto negarglielo.
Purtroppo, tuttavia, il film dura cinquantadue minuti, troppi per un cortometraggio,
massimo trenta minuti, pochi (e di poco) per un lungometraggio, minimo sessanta
minuti. Cinquantadue minuti, per, nel cinema d'animazione corrispondono a
migliaia di disegni, prodotti in una bottega artigiana e da due unici artisti che si
confrontavano, dall'altra parte, con un gran numero di disegnatori e un'enorme
industria. Quindi, poco importa se non ha ricevuto la tanto meritata statuetta; nel
Flauto magico la maestosa aura dell'opera del grande maestro di Salisburgo si
tradotta in una prodigiosa trasfigurazione della materia che si fa luce, in cui le
simbologie egizie e massoniche convivono con l'impianto fiabesco e i colori
luzzatiani cos freschi e gioiosi sono riprodotti in pellicola.

36

LA RIMEDIAZIONE DEL FLAUTO MAGICO


NEL CINEMA
Il rapporto del cinema con il teatro stato presente fin dalle origini della storia del
nuovo linguaggio. Il teatro ha stimolato la dimensione spettacolare dei sistemi nati
nel corso dell'Ottocento dagli esperimenti sul movimento cos come poco dopo ha
ispirato il perfezionato punto di arrivo di tali tentativi, ossia il Cinmatographe dei
fratelli Lumire.
Nel cinema delle origini si nota un dialogo tra le forme nuove della visione e la
spettacolarit teatrale, un dialogo rimasto vivo nel corso dell'intera storia del cinema
riscontrabile nei rapporti tra quest'ultimo e il teatro in termini di prestiti, citazioni,
sovrapposizioni, inclusioni.
L'immaginario cinematografico, infatti, prende corpo dal patrimonio di narrazioni
precedenti. Non a caso la maggior parte dei film prodotti in oltre un secolo di storia
del medium sono tratti da (o ispirati a) testi letterari e teatrali, a partire dal primo
film compiutamente narrativo, quel Le voyage dans la Lune di Georges Mlis che nel
1902, riecheggiando le suggestioni verniane, inaugura il secolo del cinema.
A partire dal 1902, quindi, troviamo esempi di messinscena del testo teatrale
nell'intero corso della storia del cinema, fin dai primissimi anni. Tra gli autori
drammatici maggiormente rappresentati spicca il caso di W. Shakespeare, le cui
opere non hanno mai smesso di essere adattate dando vita a una variet di
approcci, tra i quali sono da ricordare quelli filologicamente pi radicali, dall'Hamlet
(1948; Amleto) di Laurence Olivier a Much ado about nothing (1993; Molto rumore per
nulla) dello stesso Kenneth Branagh di cui si tratter in seguito, fino al William
Shakespeare's Romeo + Juliet (1996; Romeo + Giulietta di William Shakespeare) di
Baz Luhrmann.
Proprio a proposito delle messinscene di testi teatrali Andr Bazin nel suo Che cos' il
cinema?30 afferma che nelladattare cinematograficamente unopera teatrale, non
sufficiente una semplice trasposizione che si limiti a valorizzare il testo drammatico
attraverso le potenzialit tecniche del mezzo filmico. Occorre, invece, operare una
30 Bazin, A., Che cos' il cinema?, Milano, Garzanti, 1973.

37

vera e propria traduzione, che tenga conto di tre principi formali strutturali che
differenziano in modo sostanziale il cinema dal teatro: la concezione dello spazio, la
concezione del tempo e il linguaggio. Si dovr passare dallo spazio chiuso del teatro
a quello aperto del cinema; dal tempo rituale, sospeso e circoscritto del teatro a
quello reale, vissuto e provvisto di illimitate potenzialit di estensione, del cinema;
dal linguaggio prevalentemente verbale del teatro a quello prevalentemente visivo del
cinema. Si dovr, in sostanza, tradurre da una forma di espressione artistica, il teatro,
fondamentalmente sacra e astratta, ad unaltra forma di espressione artistica, il
cinema, fondamentalmente pi profana e concreta.

The magic flute di Ingmar Bergman

Per fare un piccolo passo indietro utile notare che, pur nella diversit di linguaggio,
vi sono dei punti in comune tra il film di Bergman e quello di Gianini e Luzzati. In
entrambi evidenziata l'idea di teatro dichiarato, di gioco. Anche Bergman assegna la
conclusione del film alla coppia Papageno-Papagena seppur senza sovvertire l'ordine
originale dei brani vocali. Nel finale, mentre Tamino e Pamina sono festeggiati dal
popolo di Sarastro con gran pompa di orchestra e copiosit di ghirlande di fiori, la
macchina da presa inquadra, sulla sinistra del palcoscenico, le due creature pennute
circondate da un girotondo di bimbi. Anche Bergman, come Gianini e Luzzati
sembra compiacersi della felicit dei semplici e degli umili, tralasciando per
l'occasione angosce esistenziali e problemi di coppia.
Prodotto con un budget modesto di soli $ 650.000, Il flauto Magico fu messo in onda
nel Capodanno del 1975, in occasione del 50 anniversario della nascita della Radio
Svedese.
Ci troviamo di fronte a un film quasi testuale per progressione narrativa e per
efficacia fotografica e strutturale di immagine.
Il flauto magico un'opera nata con la tipica struttura del melodramma e per Bergman,
a livello filmico, il melodramma una soglia fra teatro e realt che, appunto per
questo, pu risolversi in elemento estetico e significante.
Infatti la visualizzazione, volutamente teatrale, che Bergman fa dell'opera
mozartiana, non altera il significato originario datole dal musicista, n muta la
38

classica scansione temporale dell'opera lirica (ouverture, atto primo, intervallo, atto
secondo).
Favola e melodramma, finzione poetica teatrale e musicale riescono cos a fondere in
un'unica opera un film che offre allo spettatore una lettura lirica liberamente
condotta attraverso il linguaggio cinematografico rispettando, come gi accennato, la
dimensione d'insieme teatrale.
Non si pu ignorare che ci stato possibile grazie alla corretta impostazione
strumentale del mezzo cinematografico nei rapporti con lo spettatore, poich
proprio tale impostazione che fornisce una chiave d'interpretazione ricca di
significati esistenziali.
Bergman infatti finge di filmare una vera performance teatrale, con arco di
proscenio, luci della ribalta e un pubblico. Lavora con una telecamera agile. Invece di
comporre i caratteri nei spesso statici e sterili montaggi dei suoi film successivi, egli
li sorprende con riprese improvvise, taglia rapidamente per creare momenti di
incertezza e si diverte unendo i suoi attori con oggetti di scena quali animali e un
incredibile pallone aerostatico. E lungo la strada, pur rimanendo fedele allo spirito
(anche se non sempre in modo preciso alla trama della storia) del Flauto magico, egli
riesce a trasporlo in un film.
L'inquadratura e il montaggio, dapprima immobili nel prospettare la dimensione
teatrale, entrano progressivamente nel vivo della scena e dei personaggi dilatando lo
spazio scenico e sollecitando la fantasia del pubblico, fino alla demitizzazione, nel
mostrare gli attori nei camerini intenti, nell'intervallo tra un atto e l'altro, a compiere
azioni solo apparentemente casuali. Sarastro che legge il Parsifal, riferimento
tipicamente bergmaniano a Wagner; Tamino e Pamina intenti al gioco degli scacchi,
allusione riconciliata dell'amoroso gioco drammaticamente vissuto come
personaggi della storia rappresentata, il drago che passeggia in corridoio ecc.
Dal punto di vista della rimediazione, il brano pi squisitamente cinematografico si
ritrova nella splendida ouverture, il cui ritmo scandito da fugaci primi piani dei
vari spettatori. Come il direttore d'orchestra agita la bacchetta per dirigere gli
strumenti che la compongono cos Bergman dirige a tempo di musica l'occhio della
39

macchina da presa sul pubblico. Occhi, labbra, rughe, capelli biondi e bruni, volti
ridenti e severi, vecchi e giovani, d'ogni razza e colore, si fondono con la musica in
una meravigliosa sincronia, significando l'universalit del messaggio musicale
mozartiano, che si fonde, superando ogni barriera spaziale e temporale, in armonica
sintesi con l'arte della musica, intesa come mezzo di comunione.
Altro elemento fondamentale il ricorso frequente a un incantevole volto di
fanciulla (che non altri che la figlia di Bergman) che, con la sua mimica
impercettibile, sembra cogliere attraverso una viva partecipazione il senso stesso
della vicenda, filtrando cos le emozioni che la favola provoca negli spettatori e
diventando, nello svolgersi del racconto, l'elemento figurativo che unifica sia l'iniziale
sequenza sia tutto il film, e conseguentemente il punto di vista da cui si segue tutta
l'esecuzione dell'opera.
Fin dall'inizio si dimostra estremamente significante la disposizione dei personaggi
in ordine alla struttura narrativa. Essi sono posti, all'interno del racconto, su due
piani emblematici, e diventano cos rappresentativi di valori universali: la ragione, la
verit, l'amore, la fedelt e la fratellanza umana (Sarastro, Tamino, Pamina), sono
vittoriose, sia pure dopo dure ma necessarie prove, sull'odio, sulla menzogna, sugli
istinti pi bassi della natura umana e sullo spirito di vendetta (la Regina della Notte,
Monostatos e il suo truce esercito). Tale emblematicit sottolineata anche dai
pannelli recanti massime morali riassuntive, che gli attori offrono all'attenzione dello
spettatore, al termine dei nuclei narrativi che segnano l'evolversi progressivo della
vicenda.
Strutturalmente, mentre il racconto si sviluppa, il movimento scenico sempre
espressivamente concorde con la musica: l'immagine, cos come strutturata,
contribuisce a far s che azione e musica siano identificate in unit d'intenti,
assommandosi in un'unica dimensione significante.
Bergman, lavorando con il direttore d'orchestra Eric Ericson e la Swedish Radio
Symphony Orchestra alla registrazione della colonna sonora in un vecchio edificio
del circo, ha insistito sul metodo di "riproduzione", in cui tutta la musica
preregistrata dagli artisti e dall'orchestra, poi riprodotta in segmenti in uno studio
40

cinematografico fino a quando il regista soddisfatto sia della sincronizzazione delle


labbra che delle prestazioni recitative. Ericson e Bergman prestano attenzione
meticolosa ai tempi, al fraseggio, e alla dinamica della registrazione, al fine di
garantire che la prima colonna sonora stereo per una produzione televisiva fosse
perfetta.
Nella maggior parte dell'Opera filmata, i movimenti delle labbra corrispondono alle
parole sulla traccia, ma la dimensione spaziale falsa. In questo caso, per, le voci
provengono esattamente dalle giuste posizioni sul palco, creando cos uno spazio
tridimensionale che richiama il pubblico direttamente nel dramma.
Gli effetti sonori potrebbero essere stati progettati con la tecnologia DVD in mente.
Dettagli atmosferici quali passi che si avvicinano attraverso il palcoscenico, la
masticazione di Papageno quando mostra a Pamina la foto del suo principe
mangiando un dolce, e i sussurri lascivi di Monostatos (interpretato da Ragnar
Ulfung, ben noto al pubblico del Met nel '70), tutto contribuisce alla vivida resa della
registrazione di Bergman/Ericson.
Cos l'umorismo di Mozart, che si rivela lungo il filo della sua musicalit, colto da
Bergman in perfette sintonie di immagini dal taglio ironico e con agili e vivaci
scansioni (ad esempio le disavventure e l'antieroismo di Papageno); come pure la
filosofia musicale e illuministica di Mozart, nel sottolineato contrasto tra luce e
tenebre, viene arricchita visivamente con una narrazione pittoresca e di singolare
suggestione.
Il ricorso, a modo di esempio, ai tre angeli-fanciulli, che calano dal cielo in un
pallone aerostatico destinati a proteggere Tamino e Pamina, ma non a sostituirli
nella prova, sta ad indicare che la salvezza dell'uomo non pu essere posta
esclusivamente in qualche cosa che sta al di fuori della creatura, ma deve sorgere
dalla sua stessa natura che, mentre per Mozart era la ragione, per Bergman l'amore.

Giudizio estetico
Ingmar Bergman, pur col passare degli anni, rivela sempre meglio la sua raggiunta
maturit di artista e la sua perfetta padronanza dell'immagine cinematografica. Il
41

flauto magico fu girato nel 1974, con nove mesi di intenso lavoro, e ambientato in un
famoso teatrino della corte svedese, che tuttora esiste a Drtthinghelm, interamente
ed esattamente ricostruito in studio. Ulteriore autenticit prestato da alcune scene
girate a Teatro Drottningholm Court, un vero e proprio teatro dell'opera
settecentesco che sopravvissuto intatto (con scene e macchinari del periodo) nel
ventesimo secolo in virt del fatto che stato associato con l'assassinio di re
Gustavo III nel 1792, e cos rimasto chiuso fino al 1912.
Lo scenario, per, stato considerato troppo fragile per ospitare una troupe
cinematografica. Quindi la fase di completamento con le ali, le tende, e il vento le
macchine stato faticosamente copiato ed eretto negli studi della Swedish Film
Institute, sotto la direzione di Henny Noremark.
Si dice che Schikaneder avesse speso 6.000 fiorini per costumi e scenografie per la
sua premiere. Noremark e i suoi colleghi hanno dipinto ogni puntello e fondale con
lo stesso tono e ombra, come sarebbe stato al tempo di Mozart. Bergman sostiene
che Mozart scrisse il suo punteggio con un palco specifico in mente (largo circa 22
metri, se seguiamo la musica quando Tamino attraversa il palco per il Tempio della
Saggezza).
Fin dall'adolescenza Bergman aveva coltivato a lungo l'idea di curare la regia di
questa opera mozartiana senza mai riuscirvi. Il regista stesso durante un'intervista ha
affermato:
Ho amato tutta la mia vita Il flauto magico di Mozart, e questo
sentimento si fatto sempre pi profondo nel corso degli
anni. Avrei voluto dirigerlo gi venticinque anni fa, quando
ero consigliere artistico dell'enorme teatro municipale di
Malm. Ma non osai farlo. Non avevamo gli artisti che
occorrevano ed io non ero maturo abbastanza.31
Il lungo amore per Il flauto magico, coltivato fin da ragazzo, ha consentito quindi a
31 Bergman, I., Intervista sul film Il flauto magico, in CM, 1976, n. 21, p. 25.

42

Bergman un gioco equilibrato e sottile, che pur non ricorrendo a particolari


prestigiosi, ha il pregio d'una scrittura fluida ed armoniosa, di una misura quasi
sempre ineccepibile e dell'aggancio col pubblico pi vasto.
Nessuno, meglio di Mozart, ha saputo conciliare le esigenze dell'invenzione
favolistica ai meccanismi teatrali del Settecento, e, in tal senso, l'opera valica i confini
del capolavoro lirico, per inserirsi tout court nella storia del teatro. La stessa
intuizione l'ha avuta Bergman e lo ha intuito proprio per quanto riguarda la
teatralit di Mozart, cogliendo quelle intime riflessioni di cui un'opera come Il
flauto magico portatrice, al di l dell'invenzione scenica.
Ci sono vari modi di collocare la macchina da presa davanti a un palcoscenico.
Bergman si comportato essenzialmente come un meteur en scne, rispettoso fino al
punto di tenersi volontariamente fuori da qualsiasi sollecitazione che per un eccesso
interpretativo richiedesse la bergmanizzazione di Mozart.
Ha diretto ogni inventiva a porre lo spettatore in contatto spontaneo e festoso con
la musica rendendo cos l'immagine contrappunto di emozioni al fluire della
melodia.
Il suo Flauto magico si svolge pertanto in una cornice strettamente teatrale con una
ambientazione extrascenica (le immagini di un verdeggiante giardino, dapprima, e un
susseguirsi di primi piani del pubblico poi) soltanto durante l'esecuzione
dell'ouverture. Dopo un successivo e costante permanere della cinepresa sul
palcoscenico, appena interrotto due o tre volte dal primo piano della spettatrice
bambina, che riflette sul suo volto le impressioni emotive provate durante
l'esecuzione musicale, e da qualche breve sopralluogo dietro le quinte, per scoprire o
protagonisti della vicenda, durante l'intervallo tra il primo e il secondo atto.
Nessuna

impropria

evoluzione

stilistica,

dunque,

nessuna

visualizzazione

cinematografica, nessun arbitrio nei confronti della natura essenzialmente teatrale


dello spettacolo, ma la sua precisa, aggraziata registrazione come finzione scenica,
sia pure letta attraverso la specificit di una tecnologia audiovisiva trasformata in
occhio dello spettatore (teatrale). Il film si rivela, cos, un'esemplare prova di
intelligente versione tele-cinematrografica (la destinazione primaria del filmato il
43

teleschermo), al servizio di uno spettacolo di teatro.


Quello che a ragione stato chiamato un singolare e intelligente esperimento di
Bergman ci rivela il gusto segreto comunicato dai film, e cio quello di affacciarci
quasi al palco di un teatrino settecentesco e goderci una fiaba dall'alto. Bergman,
giocando abilmente con la musica di Mozart, sa essere soprattutto se stesso, tanto da
eludere il problema estetico della trasposizione della musica in cinema.
Il film risulta dunque equilibrato e delizioso anche per l'esemplare descrizione con
cui Bergman inserisce le poche personalissime innovazioni nel testo, affidando,
come gi accennato, al dolce volto di una spettatrice-fanciulla il compito di legare,
con impercettibili movimenti d'espressione, i vari capitoli dell'opera. Perci si pu
affermare che la partitura cinematografica segue con rispetto e sobriet la partitura
musicale, e anche per questo Il flauto magico un episodio di grande interesse,
diremmo interdisciplinare, per la cultura occidentale.

Giudizio etico-sociale
L'arte di Bergman ha trovato un personalissimo modo di introdurre, di far sentire il
proprio accento, non solo per quanto riguarda il fascino dell'immagine, la
dimensione favolistica della messinscena, le variate soluzioni scenografiche e
figurative, ma soprattutto in riferimento ai contenuti dell'opera, ai suoi temi
maggiori e minori, oggetto di interpretazioni diverse, spesso contrastanti, come
diverse e contrastanti sono le matrici letterarie a cui fa riferimento il libretto.
Parabola della vita, la semplice ma stupenda fiaba che vede protagonisti Tamino e la
bella Pamina, figlia della Regina della Notte, pone l'amore e la virt della saggezza
come difficili conquiste, che racchiudono il bene supremo dell'esistenza e che
possono essere raggiunte soltanto attraverso i duri sacrifici di una maturazione
interiore, attraverso la consapevolezza del dolore. Tamino e Pamina, prima ancora di
incontrarsi di persona, si innamorano l'uno dell'altro alla sola vista dei propri ritratti.
Ma l'amore, per Mozart, come per Bergman, esige ferma volont di conquista, lo si
gusta e lo si possiede in pienezza soltanto quando lo si meritato. Perci Tamino
viene esortato all'impresa eroica di salvare Pamina, rapita alla Regina madre da un
44

perfido spirito del male chiamato Sarastro. Ma pi si spinge a fondo nella sua
impresa, pi Tamino deve convincersi che Pamina ha paura di sua madre, la Regina
della Notte, alla quale stata sottratta a fin di bene da Sarastro, vero grande saggio,
capo di una confraternita che ha fede nella verit, nella giustizia e nella fratellanza
umana.
Sarastro, che assume una complessit faustiana, a indurre sia Tamino che Pamina,
separatamente prima, uniti poi, ad affrontare difficili prove per meritare ciascuno
quell'amore a cui tendono con tutto il loro essere, ma nello stesso tempo ad
affrancarsi definitivamente dalla debolezza, dai cedimenti al male e quindi da un
ritorno alla Notte. Bergman ci propone quindi l'opera in chiave pi moderna, dando
un'implicazione metafisica di discesa agli inferi, a quelli che evidentemente per
Schikaneder erano i rituali di iniziazione ai misteri massonici, di cui sia l'autore del
libretto sia Mozart erano seguaci.
Infatti la prova pi dura per Pamina, allevata dalla Regina del maleficio e
dell'ipocrisia, perch per lei (che per padre ebbe un saggio) il bene e il male
coesistono in una ambigua identit, che proprio quella che Bergman tante volte ha
indicato nei suoi film.
Bergman, quindi, non poteva trovare un'opera pi congeniale al suo spirito, n
un'opera simile poteva trovare un regista che la rappresentasse meglio. La dialettica
luce-tenebre (cara a Mozart) e amore-morte (cara a Bergman) viene
coerentemente interpretata e svolta.
Tra le righe del libretto e le note mozartiane, Bergman ha profuso il suo pensiero:
l'amore come via alla salvezza, la presenza vigilante del soprannaturale, l'insicurezza
umana, e il prevalere del bene sulle forze del male. Il regista stesso ha esplicitato:
Il flauto magico contiene una morale che mi piace: cio che
l'amore la cosa pi importante tra gli essere umani e la pi
importante del mondo. Per sottolineare questo punto, ho
dovuto renderlo esplicito; uno dei rari cambiamenti che
abbiamo ritenuto necessari rispetto al libretto originale. E
45

tocca al primo sacerdote Sarastro, un saggio, sottolineare


questo tema.32
Per i suoi contenuti e soprattutto per come Bergman li ha sottolineati attraverso il
mezzo cinematografico, il film, pur rimanendo fedele a un'opera teatrale costruita in
un tempo ormai lontano, contiene una tensione che ha echi contemporanei,
diventando di volta in volta il simbolo dell'amore che aspira alla redenzione, dell'arte
che attenua le ire degli uomini e rende pi bella la vita, degli umili che possono
vantare soltanto le risorse dell'innocenza, degli egemoni che, avendo conquistato
tutto lo spazio temporale, si trasformano in despoti.
Si pu quindi affermare che con Il flauto magico, Bergman ha inteso privilegiare il
momento della cultura sulle miserie dell'animo umano. Anche per questo il film in
esame un'opera dove la dimensione spirituale dell'esistenza rimane in primo piano,
e perci non si discosta, se non visivamente, dalle altre opere. Il film mozartiano
un atto di fede nei valori dello spirito, un'esortazione etica all'arricchimento
interiore, formulata da un regista che spesso si rivelato un severo indagatore
dell'animo umano.
Regista che ha dimostrato a gran parte del pubblico, che pure aveva assistito a
numerose messe in scena teatrali del Flauto magico, di non aver veramente capito nulla
di quanto avveniva in scena, nella solita disposizione d'animo tipica dello spettatore
di melodramma, cio la divertita rassegnazione alle sceniche follie del soggetto,
risanate e recuperate attraverso il miracolo della musica. Nel film non soltanto la
favola si riassesta senza mostrare fratture apparenti, ma acquista addirittura un tema
centrale e in pi un personaggio, Sarastro, con uno spessore e una dimensione
veramente umani.

The magic flute di Kenneth Branagh

Prodotto dal francese Pierre Olivier Bardet e finanziato da sir Peter Moores,
l'aristocratico inglese appassionato di lirica tanto da aver creato una Fondazione per
la diffusione nel suo paese di opere tradotte in inglese, producendo rappresentazioni
in varie citt, il film apre alla vigilia della prima guerra mondiale, accompagnandoci
32 Ibidem.

46

in un viaggio pericoloso alla ricerca di amore e di pace in un mondo pieno di morte


e distruzione.
Nella lunga sequenza che apre il film di Branagh la macchina da presa inquadra due
trincee contrapposte, che solcano la terra come due sconce rughe. E dentro queste
immani ferite aperte nella terra due eserciti, i rossi e i blu, si apprestano a dare e a
ricevere la morte durante una sanguinosa guerra (una prima guerra mondiale che ha
le caratteristiche di una guerra totale).
Il capitano Tamino al fronte e partecipa ad una cruenta azione. Nel momento del
maggior pericolo Tamino crede di essere stato colpito, canta Help me e viene
quindi salvato da tre crocerossine dalla scollatura generosa. Accanto a Tamino c' un
soldato millantatore, Papageno, il quale ha il compito di allevare canarini perch
segnalino la presenza di gas tossici. Le tre infermiere mostrano a Tamino l'immagine
di una fanciulla, Pamina, di cui lui si innamora, e la Regina della notte appare a sua
volta per spingere Tamino all'impresa di salvare Pamina, sua figlia, dalla schiavit cui
a suo dire la costringe l'oscuro signore Sarastro, che l'ha rapita.
Le tre dame forniscono Tamino di un flauto magico. Gli sar compagno Papageno,
fornito a sua volta di un carillon. Guidato da tre ragazzi fatati, Tamino giunge al
tempio di Sarastro, e qui apprende che costui in realt il salvatore di Pamina, di cui
la Regina della notte madre indegna. Nel tempio intanto Pamina insidiata da
Monostatos, servo negro di Sarastro, ma aiutata da Papageno sfugge alle sue mire.
Sarastro sottopone Tamino e Papageno a tre difficili prove iniziatiche, superate
grazie anche all'aiuto del flauto. L'esercito di Sarastro si oppone a quello della Regina
della notte, che viene sconfitto. Tamino e Pamina si uniscono e Papageno trova in
Papagena la compagna della sua vita. Sarastro accoglie Tamino e Pamina nella
confraternita di coloro che si prefiggono di far trionfare la pace nel mondo.
Avendo tolto giustamente ogni riferimento di iniziazione massonica incomprensibile
al pubblico cinematografico, non per chiaro perch Tamino per avere l'amore di
Pamina e Papageno quello di Papagena debbano sottoporsi a prove prive di senso in
mezzo alla carneficina bellica. Galline e cani scuotono la testa in un fienile al
tentativo di impiccarsi di Papageno, salvato dal suo carillon mentre il flauto magico
47

elimina i traditori e porta la pace.


Il flauto magico di Branagh fornisce motivi a iosa per fautori e detrattori.
Portare oggi sullo schermo un'opera per di pi Settecentesca pu essere imprudente;
l'appassionato di lirica abituato alla lontananza magica del palcoscenico si inasprisce
per ogni minima deviazione canora o musicale necessaria alla coerenza filmica,
mentre il cine-spettatore si spaventa a vedere una maxibocca in primo piano
spalancata in un sublime gorgheggio come fosse l' immenso antro della strega.
La pellicola ricca di soluzioni che tengono i piedi non in ben pi di due staffe: in
quella della concezione mozartiana, del libretto "populista" di Schikaneder, delle
simbologie sapienziali e illuministiche, delle innovazioni storico geografiche, delle
strizzate d'occhio al cinofilo e delle metafore socio-politiche e altro ancora.
Nonostante la sua esuberanza che pu legittimamente ispirare diffidenze, per una
operazione di questo genere Branagh sembra la persona giusta:
Mi sembrata un' occasione magnifica per imparare e,
essendo in inglese, per abbattere le barriere tra la lirica e la
classe operaia. Il desiderio di tutti noi di arrivare al grande
pubblico.33
Meglio, ha dichiarato parlando della sua troupe:
Molti non avevano alcuna esperienza di cinema e io non
avevo mai lavorato a un'opera. Eravamo tutti stranieri in terra
estranea (straniera?). Questo rende vulnerabili e desiderosi di
ascoltare e imparare. E noi lo abbiamo fatto.34
Dell'impresa stato incaricato dalla fondazione fondata nel 1964 da sir Peter
Moores con lo scopo fra l'altro di aiutare la musica a diffondersi nel mondo e, per
33 Fusco, M. P., Porto Mozart alla classe operaia, la Repubblica.it, 13 maggio 2006, reperibile su:
<ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/05/13/porto-mozart-alla-classeoperaia.html?ref=search>.
34 Comuzio, E., Un esercito armato di violino, Cineforum, Issue n. 467, pp. 7-10.

48

avvicinarla ai pubblici d'oggi, a sostenere l'opera cantata in inglese.


In inglese appunto la versione di Branagh: del resto Schikaneder nel suo libretto
(in cui c' anche lo zampino di Mozart) aveva messo da parte l'italiano, la lingua delle
precedenti opere mozartiane, per il tedesco, capace di essere compreso da tutti gli
spettatori.
Stephen Fry, oltre che collaborare con il regista per la traduzione in inglese e
l'adattamento, ha cambiato qua e l dialoghi e recitativi per dare senso alla nuova
impostazione del racconto, non pi ambientato in un immaginario Egitto con templi
dedicati a Iside e ad Osiride, ai quali Sarastro si rivolge, ma fra le trincee di un
campo di battaglia moderno e un castello rifugio di feriti e sbandati (retto da un
Sarastro non pi re sacerdote sapiente, ma una specie di capo di una Resistenza
pacifista). Niente pi componenti massoniche, niente pi richiami ai misteri esoterici
e pitagorici, ma un veloce plot che corre verso la risoluzione di tutti i conflitti per
mezzo dell'armonia.
Cambiare il testo di parti cantate evidentemente pericoloso per la difficolt di
adattare le parole ai ritmi e agli accenti musicali, ma Fry e Branagh hanno corso il
rischio con una certa sicurezza. Hanno considerato tutt'altro che intoccabile l'opera
di Mozart.
Se in Bergman il senso della recita, della rappresentazione, del meraviglioso
sempre presente, Branagh invece preme sul pedale di una magniloquente
spettacolarit, ingrandisce il quadro invece di restringerlo ad una dimensione
fantastica povera, e mescola il realismo crudo delle situazioni di guerra e di
violenza con una fantasia volatile (spesso, infatti, i personaggi fatati svolazzano in
cielo). Branagh ottiene un suo scopo non tanto nell'affermazione dei principi che
reggono la filosofia dell'opera originaria quanto nell'aspetto visivo e, appunto,
spettacolare.
Accettata la semplificazione, appare discutibile la sterzata dall'orientamento
illuminista della funzione catartica universale della musica, della forza dell'amore,
della conciliazione dei principi opposti nell'auspicio di risoluzione dei conflitti che
insanguinano il mondo d'oggi.
49

Giudizio estetico
Dal punto di vista estetico, se si pu restare perplessi nei riguardi del minaccioso
serpente diventato una scia di iprite, delle tre Dame della Regina diventate Dame
della Croce Rossa (presentate ancor prima come suore, sia pure dalle generose
scollature, poi dotate di un elmetto), di un'astrifiammante Regina della Notte che
capeggia un esercito e avanza a bordo di un carro armato (ma la sua isteria vocale
conservata gelosamente, anzi messa in rilievo da primissimi piani della sua bocca
spalancata nell'acuto), di un castello-ospedale che prende il posto del Tempio della
sapienza e cos via, vanno apprezzate per contro diverse soluzioni figurative.
Tra le soluzioni felici i lunghi carrelli aerei sopra le trincee, la neve e poi la pioggia
che domina sui campi di battaglia (giustificate dal rinovellamento annunciato dai tre
geni-fanciulli: Presto ad annunciare il giorno / Il sole splender sulla via dorata /
Presto la superstizione scomparir, / Presto luomo saggio vincer! /
Oh cara quiete, scendi quaggi, / Torna di nuovo nei cuori degli uomini; / Allora la
terra sar un regno dei cieli, / Ed i mortali uguali agli di.35
Altri momenti positivi sono la visione magica di un esercito armato di violini e lo
strepitoso carrello indietro che da una grande lapide su cui sono incisi i nomi dei
caduti inquadra un immenso terreno irto di croci.
Tipico dell'atteggiamento scanzonato degli autori presentare il solenne Sarastro
come un medico da campo in maniche di camicia e bretelle. Le soluzioni che danno
fastidio, ma siamo nei campo dell'opinabile, sono piuttosto la fotografia di Pamina
che si anima davanti agli occhi innamorati di Tamino e il ballo in ghingheri cui
quest'ultimo si immagina di partecipare con la sua bella.
Branagh e i collaboratori hanno fatto ricorso per la concertazione e la registrazione
alla Chamber Orchestra of Europe diretta da James Conlon. Il punto di forza ,
tuttavia, nei cantanti. A parte alcuni artisti affermati come il basso tedesco Ren
Pape come Sarastro (il quale sposa imponenza fisica alla pastosit della voce), il
soprano russo Lyubov Petrova, come Regina della notte (che insieme ad una torrida
aggressivit sfoggia una voce da Giudizio Universale) e il tenore inglese Tom Rande

35 Tratto dal libretto di sala Il flauto magico, Teatro La Scala, Milano, p. 69.

50

come Monostatos (in precedenti rappresentazioni teatrali del Flauto magico stato lui
Tamino), gli altri sono tutti giovani. Amy Carson come Pamina addirittura
un'esordiente. Su di loro il regista ha fatto affidamento magari pi per la loro qualit
di attori che di cantanti, ma la cosa giustificata.

Giudizio etico-sociale
Kenneth Branagh crede nel teatro come altri credono in Dio. Egli ritiene di poter
guarire, ritiene di poter aiutare e, a volte, ritiene che possa essere incredibilmente
miracoloso. All'Irish Central ha dichiarato:
Il flauto magico sembra offrire agli interpreti la libert di usare
la loro immaginazione, lo scontro centrale quello tra il bene
e il male e quello dei giovani che si scontrano contro un
vecchio ordine, il tutto in un modo che piace al pubblico e
con il quale si identificano. La musica in Il flauto magico ha
sentori del grandioso e dell'epico da cui abbiamo preso
spunto. Questo mi ha condotto verso un periodo
straordinario, la prima guerra mondiale. Se c' mai stato un
conflitto su vasta scala stato quello. Il sacrificio stato
enorme ed i numeri straordinari ed l che l'innocenza stata
effettivamente versata. Ho sentito che tutte queste cose erano
nel Flauto magico. Ho pensato che la portata e la profondit
della prima guerra mondiale sarebbero stati qualcosa con cui
la musica avrebbe risuonato.
Sembra scioccante dal nostro punto di vista della storia ora,
ma nel 1914, quando la prima guerra mondiale scoppiata era
opinione comune immaginare che la battaglia sarebbe finita
nell'arco di alcuni mesi. Per i giovani era possibile sognare la
gloria l'avventura sul campo di battaglia e poi un sicuro
ritorno in patria. Dopo tutto erano passati solo pochi decenni
51

da quando la guerra prevedeva le cariche di cavalleria e le


trombe. Nessuno era preparato ai cannoni giganti e ai carri
armati blindati e ai gas velenosi che si trovava davanti a
loro.36
Il flauto magico ci porta dalla fine della favola o del sogno e all'interno dell'incubo.
L'emozione del reclutamento militare e dell'arruolamento ti invita ad avvicinarti, ma
poi lascia il posto a quello che viene dopo.
L'accento del film sulla pace: Oh cara quiete, scendi quaggi, / Torna di nuovo
nei cuori degli uomini,37 cantano effettivamente i tre geni, ma c' ben altro in
Mozart, ci sono i riti di formazione per l'accesso a un mondo altro, superiore alla
dimensione umana, messi da parte nel film. Dall'unione di Tamino e Pamina nascer
una nuova illuminate progenie che non solo assicurer equilibrio e armonia all'intera
umanit, ma far da ponte tra l'uomo e la deit; ma tutto sostenuto da una musica
e da una allure scherzosa, mentre il film tratta concretamente di fatti umani, troppo
umani, e fa a tratti la voce grossa. Certo, gli armigeri di Sarastro possono intonare
solennemente: Chi percorre questa strada irta di fatiche, / Si purifica con fuoco,
acqua, aria e terra; / Se sapr vincere la paura della morte, / Balzer dalla terra verso
il cielo!38 ma Papageno e Papagena cantano su una musica gioiosamente trillante:
Potesse ogni brava persona / Trovare simili campanelli,/ I suoi nemici allora /
Scomparirebbero senza fatica. / Ed egli vivrebbe senza di loro / Nella migliore
armonia.39
Siamo di fronte non solo ad un'opera apertissima a tutte le interpretazioni, ma anche
ad una favola sorridente, una fiaba retta da una fantasia sfrenata.

36 O' Doherty, C., Kenneth Branagh Talks 'Magic Flute' With Stephen Fry and Filming with Keira Knightley and Chris
Pine. Irish Central, 1 giugno 2013.
37 Tratto dal libretto di sala Il flauto magico, Teatro La Scala, Milano, p. 69.
38 Ivi p. 71.
39 Ivi p. 34.

52

IL FLAUTO MAGICO TORNA A TEATRO:


WILLIAM KENTRIDGE

Il percorso di creazione e realizzazione delle scenografie di William Kentridge per Il


flauto magico ha avuto inizio verso la fine del 2003.
Da allora, dal confronto con il capolavoro di Mozart e Schikaneder derivato un
corpus di opere che oggi comprende, oltre alla messinscena, diversi lavori: un film,
due teatri in miniatura, un film anamorfico (proiettato su di una superficie che
viene riflessa sulla parete esterna di un cilindro) e una serie di multipli (disegni e
grafica.)40 Questo complesso intreccio di azioni performative si integra ad
un'importante riflessione dell'artista sui temi trattati.
La prima presentazione al pubblico del progetto per Il flauto magico durante il periodo
di lavorazione, si tenuta presso la Marian Goodman Gallery di New York, tra
marzo e aprile del 2004, per la quale occasione stato presentato Learning the Flute,
un film animato su pellicola 35mm, proiettato su una lavagna posizionata su un
cavalletto a tre piedi ed accompagnato dalla musica dellouverture dellopera
mozartiana. Sin dal titolo evidente il processo dell'apprendimento, del laboratorio
in cui si mette in moto una conoscenza dell'opera; il video insieme alla lavagna
diventa parte di un assemblaggio41 (che rivela anche il piacere per gli oggetti desueti,
objets trouvs ricontestualizzati), situato in uno spazio dove l'osservatore/spettatore
si pu muovere.
Nella stessa occasione sono stati esposti, inoltre, una selezione di disegni originali
usati nella realizzazione del video. Rispetto ai tradizionali lavori a carboncino,
Kentridge compie uninedita inversione tonale attraverso la proiezione di disegni a
gessetto. Come spiega egli stesso:
linversione del bianco e nero (il bianco diventa il nero della
lavagna, il carboncino diventa il gessetto bianco) suggerisce
lidea del negativo, in riferimento al negativo nel linguaggio
40 Rosenthal, M., La flute enchantee, in William Kentridge, Cinq themes, pp. 54-59.
41 La durata di 8'2''; le dimensioni della proiezione 128x166,5 cm; l'insieme misura 208x166, 5x100 cm.

53

fotografico. I disegni di templi egiziani e le sculture


anticheggianti, una volta invertite appaiono come negativi in
vetro di grandi dimensioni, suggerendo le tecniche della
fotografia del XIX secolo. Suggerisce inoltre le due realt de
Il flauto magico: la Regina della notte, associata alloscurit e alla
luna, e quella di Sarastro, associata alla luce e al sole. E
naturalmente [ un richiamo anche] alla saggezza maschile,
alla scienza, alla conoscenza, e a tutte le altre ambiguit e
contraddizioni di cui abbonda lopera. Lelemento fotografico
della produzione la spinge fuori dal XVIII secolo, verso la
fine del XIX secolo, il quale suggerisce a sua volta, societ
particolari, clubs o organismi scientifici nei quali collocare i
sacerdoti di Sarastro, e dai quali escludere la Regina della
notte e le tre sue dame. Le immagini spaziano dunque sul
campo della lavagna da elementi egiziani (in particolare il
falco ma anche la sfinge in gabbia), a [elementi] napoleonici,
di poco successivi al tempo di Mozart.42
Con Learning the Flute si ha quindi una precisa anticipazione di quelli che sono lo stile
e la tecnica predominanti nella messa in scena dellopera. Con lobiettivo di rendere
lidea del negativo, Kentridge produce uno spettacolo che mantiene per la sua intera
durata tonalit che spaziano tra il bianco, il nero e il grigio. Nonostante la tavolozza
ridotta di colori, lartista riesce a dimostrare come essa sia sufficiente a dipingere le
diverse scene e ad accompagnare i personaggi del Flauto magico. Infatti il nero, colore
del buio, delloscurit, della notte, associato alla malvagia Regina, mentre il bianco,
simbolo di luce, sole e saggezza, illumina le scene di cui Sarastro protagonista.
Quasi tutti gli altri personaggi, invece, immersi in un processo di redenzione e
purificazione, si muovono tra le pi svariate sfumature di grigio, come ad indicare la
loro posizione in bilico tra il bene e il male.
42 Tratto dalla rassegna stampa della mostra William Kentridge allestita presso la Marian Goodman Gallery di
New York nel 2004.

54

Dopo la messinscena di Bruxelles, la maquette approntata per la regia del Flauto magico
diventa una nuova opera, Preparing the Flute (2005) presentata presso la Galleria Lia
Rumma di Napoli. Inaugurata nel novembre 2005 l'artista condensa fondamentali
momenti, tematici e musicali, dell'opera. Anche in questo caso si tratta di una
fruizione mista: lo spettatore vive un'esperienza teatrale all'interno di un museo.43
L'installazione formata da un teatrino in miniatura che era stato precedentemente
utilizzato dallartista per riprodurre lopera nella sua interezza prima di confrontarsi
con il palcoscenico vero e proprio del teatro. Il modellino composto da una serie
di quinte progressive che scandiscono prospetticamente lo spazio e fanno da cornice
al video proiettato sulla parete di fondo; contemporaneamente altre immagini
animate vengono proiettate frontalmente utilizzando le quinte e i fondali come
schermo, cosicch la sapienza arcaica nell'utilizzo della matita venga saldata con
una straordinaria capacit di controllo tecnologico.44 L'artista vi appare in persona:
l'ombra della sua figura compare in diversi momenti; il movimento di un braccio
diventa serpente, smaterializzato nella forma, in negativo, di un'ombra illuminante.
Dal punto di vista formale Preparing the flute propone una serie di disegni in cui
l'assenza (lo spazio vuoto, o bianco,che compare in negativo) percettivamente si
rivela presenza. Tutta la poetica di Kentridge lavora intorno a questa pregnanza del
negativo (di cui esempio clamoroso l'ombra, ma anche il negativo fotografico
all'origine dell'immagine) e alla conseguente interrogazione circa l'ambiguit della
visione, che esperienza del reale, conoscenza del mondo.
La prima assoluta dello spettacolo si tiene presso il Thatre Royal de la Monnaie di
Bruxelles nellaprile del 2005, con repliche a partire gi dallo stesso settembre. Poco
dopo la mostra tenutasi presso la Galleria Lia Rumma, la Marian Goodman Gallery
di New York inaugura lesposizione intitolata The Magic Flute: Drawings and Projections,
che rimane in mostra tra gennaio e febbraio del 2006. Vengono qui esposti ben
cinquanta tra disegni e frammenti che sono parte dei molteplici studi preparatori al
progetto, ad esempio i vorticosi disegni per le arie della Regina della Notte, il
paesaggio roccioso che si apre in una spettacolare veduta che fa da sfondo per
43 Esposto alla mostra del Jeu de Paume; visibile nella collezione permanente del Maxxi a Roma.
44 Trione, V., Con Kentridge tra disegno e tecnologia, Il Mattino, 24 novembre 2005.

55

buona parte del primo atto, e ancora schizzi e disegni raffiguranti antichi templi
egizi, e diversi studi di uccelli, ora liberi ora in gabbia, catturati da Papageno.
La mostra ripropone, inoltre, lo stesso modellino presentato alla Galleria Lia
Rumma pochi mesi prima. Le opere esposte dalla galleria newyorkese nelle due
occasioni, del 2004 e del 2006, vengono accorpate per dar vita ad ununica grande
mostra sugli studi preparatori di Kentridge per il suo Flauto magico, che viene
presentata presso la sede parigina della Marian Goodman tra giugno e luglio del
2006. Una delle quattro versioni del teatrino/installazione Preparing the Flute oggi
parte della collezione permanente del museo MAXXI di Roma.
Unaltra interessante mostra, che non riguarda direttamente il lavoro sullopera
mozartiana, ma che si avvicina al tema della violenza, della conoscenza e
dell'Illuminismo Black Box / Chambre Noir, tenutasi presso il Deutsche
Guggenheim di Berlino tra lottobre 2005 e gennaio 2006.
Lambiguit percorre la triplice accezione del titolo. Black Box Theatre in primo
luogo la scatola scenica:45 un contenitore neutro e flessibile, che pur mantenendo la
memoria del teatro di matrice illusionistica (la Guckkastenbhne tedesca che molto ha
a che fare con i generi ottici citati), concepisce lo spazio della rappresentazione
come spazio delle possibilit; la seconda accezione quella di camera oscura, lo
spazio della macchina fotografica tra obiettivo ed oculare, dove la luce diventa
forma, crea oggetti o meglio, come scrive Kentridge, dove tra le infinite possibilit
delle immagini del mondo esterno una singola immagine viene scelta.46 In terzo
luogo la scatola nera che registra i dati di un volo prima di un disastro;47 catastrofe
che figura del massacro degli Herero, non raccontata ma evocata, motivo
propulsore del lavoro. Nel 1904 in Sudafrica i tedeschi colonizzatori furono i
responsabili del massacro di questo popolo, che viveva nellattuale Namibia.
45 Black Box definisce in inglese uno spazio semplice ed elastico, contrapposto alledificio teatrale
connotato da una specifica architettura che predefinisce il rapporto tra attori e spettatori; sulla concezione
di Kentridge cfr. Valleseor M. C., Konstruktionen einer Black Box: drei Aufzge mit Vorspiel, in William
Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p. 79.
46 Kentridge, W., Black Box: zwischen Objektiv und Okular, in William Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p.
51.
47 Inventata nel 1954, la scatola nera una tecnologia che nega la tecnologia, requisito essenziale delle
odierne cronache di catastrofi cfr. Valleseor M. C., Konstruktionen einer Black Box: drei Aufzge mit Vorspiel,
ivi, p. 97.

56

Allintento di denuncia si intreccia, in modo sottile e complesso, una meditazione


sullarte della visione, sullesperienza del vedere e sulla stessa natura della
conoscenza (dove la luce e lombra per Kentridge hanno un ruolo fondamentale).
Ai temi legati alla storia del colonialismo in Africa si interseca di continuo la
questione dellevoluzione tecnica del teatro (della scenotecnica) e pi in generale del
processo di riproduzione visivo.
Intervistato da Cheryl Kaplan Kentridge ha affermato a questo proposito:
C' una decostruzione della musica usata per la scena di
caccia al rinoceronte. Si tratta dell'aria di Sarastro, durante la
quale egli canta che c' solo benevolenza e bont in queste
stanze. L'ironia di queste parole sta nella registrazione della
messa in scena a Berlino del 1937; c' un abisso tra quelle
parole e la realt di quel tempo. Si tratta di un problema
comune: lo spazio che intercorre tra le parole e l'autoritarismo
che le si accompagna.48
Black Box quindi unindagine sulla natura del teatro, sulla forma che esso pu
assumere, su come deve essere creato e quali oggetti deve ospitare. Dal punto di
vista tematico Kentridge crea un parallelismo tra la volont del popolo tedesco di
portare la luce nel continente nero, anche attraverso la forza, e lopera mozartiana,
con limpegno di Sarastro nel condurre Pamina, dopo averla rapita, verso la
saggezza, nel rispetto dellideologia illuminista di fine Settecento. Black Box presenta
un modellino simile a Preparing the Flute e questo dimostra linfluenza che il lavoro
per lopera mozartiana ha avuto sullintera produzione di Kentridge, anche per opere
ad essa non direttamente collegate, nel periodo tra il 2003 e il 2006.
Ci che a noi interessa, in questo contesto, il catalogo, parte integrante del
progetto, in cui viene riportato il testo di una conferenza tenuta dallartista al
Guggenheim di New York (25 maggio 2005): Black Box: between the lens and the eyepiece
48 Kaplan, C., Im Inneren der Black Box, William Kentridge im Interview, in db artmag, 27.10.2005 11.12.2005.,
reperibile su <http://www.db-artmag.com/archiv/2005/d/7/1/383.html>.

57

(Black Box: tra lente ed oculare). Si tratta di una meditata riflessione sulla natura
dellombra, che il fondamentale punto di partenza per Black Box. Kentridge
racconta il fenomeno di uneclissi avvenuta circa due anni prima in Sudafrica (per cui
l80% del sole veniva coperto dalla luna). Per evitare di essere accecato, pratica un
foro in un foglio di carta e guarda attraverso questa apertura il minuscolo punto
brillante in cui si vede un segmento della luna che si inserisce nel cerchio di luce.49
A partire dallosservazione degli effetti delleclissi sulle ombre di una pianta
rampicante che copre in parte la finestra di casa sua, lartista descrive
minuziosamente la sua esperienza per giungere a considerare come essa gli fornisca
una conoscenza inedita della natura della luce: non una massa che si estende in
modo neutro, ma un agente che proietta immagini variegate e specifiche. Quando
batte il sole, getta lombra della pianta sul pavimento; rientrando in casa dopo aver
osservato leclissi, lartista osserva lo spazio tra le foglie proiettate: lombra della
vite pi debole del normale, tuttavia ancora chiaramente riconoscibile; con stupore
vede improvvisamente che tra le ombre delle foglie, in ognuno degli innumerevoli
spazi in cui la luce del sole penetra, una luna in miniatura si mangia la luce (a
miniature moon was eating into the light.)50 Il gioco di luce ed ombra risultante da
quel momento preciso per lui rivelatore.
Lesperienza delleclissi fa s che egli inizi a vedere e ad afferrare la luce non come
luce diffusa, ma come una serie infinita di proiezioni che ci riguardano. Percepisce il
sole come una fonte di luce infinitamente promiscua, che si propaga ovunque, e
ogni superficie riceve non solo la luce, ma una proiezione specifica del sole.
Kentridge procede, cos, sempre con considerazioni dordine percettivo e fisiologico,
lasciando contemporaneamente spazio alle metafore.
Qui lautore inserisce il discorso sullo Zauberflte, con cui si gi confrontato; rievoca
la nota vicenda di Tamino alla ricerca di Pamina, rapita da Sarastro che la vuole
sottrarre alla madre, la Regina della Notte. Tamino decide di liberare Pamina, supera
le prove e deve alla fine riconoscere che Sarastro non un malvagio. Al contrario
49 Kentridge, W., Black Box: zwischen Objektiv und Okular, in William Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p.
43.
50 Ibidem.

58

Sarastro, sacerdote della luce, ha rapito Pamina per salvarla dalla Regina della Notte
e per condurla alla luce. Lopera un serbatoio di metafore del passaggio dalle
tenebre alla luce, fino al trionfo del sole nella scena finale. Mozart non farebbe che
tradurre in opera musicale lallegoria della caverna di Platone della Repubblica.51 I
parallelismi sono molti: sorvolando su tutti i dettagli che accomunano lopera di
Mozart e lallegoria di Platone, Kentridge insiste sul motivo della coercizione ad
uscire alla luce e del passaggio dallignoranza alla conoscenza e alla giustizia. La
celebre allegoria, da cui si evince che chi uscito alla luce ha il dovere di costringere
anche gli altri ad uscire, a costo della violenza, fonda tutta la filosofia occidentale.
Ma che significa questo in termini cinematografici? - si chiede Kentridge - Che cosa
significa la percezione della pura, accecante luce?
Che quando non hai che sola luce, il film finito; la pellicola
scorsa per intero attraverso il proiettore, non rimane che
vuota luce. Nel cinema e nella fotografia questa luce continua,
assoluta, viene evitata, e si cerca invece di mantenere
lequilibrio, il gioco e il rapporto tra la luce e lombra.52
Quindi si chiede: che cosa possiamo imparare dallombra, dal nostro essere stati gi
nella caverna? Domanda provocatoria, se pensiamo alle conseguenze disastrose
51 Riportiamo alcuni passi dal celebre scritto: Dentro a una dimora sotterranea, a forma di caverna, con
lentrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che
vi stan dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, s da dover restare fermi e da poter vedere soltanto
in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la
luce dun fuoco e tra il fuoco e i prigionieri, corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere
costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare
al di sopra di essi i burattini. [...] Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di
ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate. I
prigionieri non possono vedere che le ombre; Per tali persone [...] la verit non pu essere altro che le
ombre degli oggetti artificiali ma esse potrebbero guarire dallincoscienza. Se uno fosse costretto ad
alzarsi, a guardarsi intorno e a vedere la luce, proverebbe dolore e il barbaglio lo renderebbe incapace di
scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Non sopporterebbe la luce e crederebbe vere le cose
che percepiva come ombre. Ma dovrebbe abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima
osserver, molto facilmente, le ombre, e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro
riflessi nellacqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della
luna, potr contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso pi facilmente che durante il giorno e la
luce del sole [...]. Alla fine, credo, potr osservare e contemplare quale veramente il sole, non le sue
immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, Platone, La Repubblica, VII, 515-516 (qui
dalla traduzione di Sartori, F., Laterza, 1982).
52 Kentridge W., Black Box: zwischen Objektiv und Okular, in William Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p. 47.

59

derivate dallallegoria di Platone e dal personaggio di Sarastro. Lartista ricorda


alcune date: nel 1791 Il flauto magico celebra lo spirito utopico dellilluminismo e il
tiranno, saggio Sarastro. Due anni dopo Robespierre difende ad oltranza il lume
della ragione, al prezzo delle decapitazioni. Ogni dittatore a seguire, da quel
momento fino a Pol Pot, stato letto come despota illuminato. Con il senno di
poi questa vittoria della luce sempre pi problematica: come non corrompere la
purezza dellideale nel momento in cui esso viene perseguito, e imposto, con la
forza?
Naturalmente a questo punto sbalzano i nessi con le tragiche vicende coloniali
sudafricane dinizio Novecento: quando la missione degli europei quella di portare
luce nel continente nero, lo si dovesse fare con la forza o meno.
Anche in questo caso Kentridge parte dal contesto in cui si trova ad operare,
Berlino. Ricorda che la citt ospit la conferenza del Congo del 1884-1885, quando
le potenze coloniali europee si spartirono lAfrica. Lo interessa la storia delle colonie
tedesche in Sudafrica occidentale, nel territorio dellodierna Namibia, dove alla fine
dellOttocento commercianti e missionari tedeschi per insediarsi chiamarono in loro
aiuto Bismarck; ma il Reich esit, poi invi truppe che occuparono la regione. Per
Kentridge lidea di colonialismo e la giustificazione degli europei si rifanno
direttamente al Flauto magico e a Platone: portare la luce anche a costo di violenza.
Il centro nodale del progetto dunque: come cogliere in modo pi sottile il
movimento di allontanamento dalla certezza della luce, un movimento che ci
conduce entro un mondo illuminato dallombra? D'altronde la metafora dellombra
illuminante cara a Kentridge: Prendete unimmagine, se lombra vi cade sopra, si
otterr linversione tra ci che chiaro e ci che scuro e lombra stessa funzioner
come una sorta di fonte luminosa.53
Numerose sono le altre mostre che, negli anni successivi alla prima rappresentazione
teatrale a Bruxelles, hanno raccolto e mostrato disegni e schizzi preparatori
allallestimento di Kentridge. Lo spettacolo ha visto una tourne mondiale che ha
toccato numerosi teatri tra cui quelli di Caen, Lille e Parigi in Francia, di Tel Aviv in
53 Si veda il video Illuminating shadows (studio per Il flauto magico) contenuto nel DVD Cinq thmes.

60

Israele, Johannesburg e la Brooklyn Academy of Music di New York. In Italia


stato presentato in due occasioni; al Teatro San Carlo di Napoli nellottobre 2006 e
al Teatro alla Scala di Milano nel marzo 2011.
La preparazione dellallestimento completo stato un complesso ed equilibrato
lavoro di collaborazione fra molte persone, e i tempi sono stati necessariamente
lunghi. Lintera opera, infatti, stata realizzata in pi di diciotto mesi; diciassette
mesi nello studio di Kentridge a Johannesburg con il responsabile delle luci, il
costumista e altri collaboratori, sei settimane in sala prove e una settimana di prove
conclusive sul palco. Pi nel dettaglio, Kentridge spiega che:
il lavoro preliminare sui disegni e i film danimazione [...]
stato realizzato nel mio studio a Johannesburg e testato su un
modellino della scena (Preparing the Flute), con figure di
cartone ritagliate. Si trattato di un buon modo di lavorare
con il video. Una delle questioni irrisolte era di sapere come
creare una buona relazione tra i cantanti dal vivo e i disegni
proiettati, questioni impossibili da risolvere attraverso luso
del teatro-modellino, al fine di non ridurre le proiezioni a
mere tele sullo sfondo, n tanto meno oscurare i cantanti e gli
interpreti con le proiezioni. Alcuni principi generali sono
allora emersi. I cantanti non guardano lo schermo, le
immagini proiettate corrispondono a quello che noi
immaginiamo essere i pensieri dei personaggi e quello che
loro vedono. Se un cantante prova a muoversi alla stessa
velocit delle immagini proiettate, il suo movimento ci
disconnette; ma i movimenti prendono vita nel momento in
cui un cantante ordina limmagine, come se lavesse realizzato
lui stesso, come se le stelle della Regina della Notte si
animassero grazie a lei. Sulla scena, questo significa che lei
stessa deve disegnare delle linee non alla velocit con cui esse
61

appaiono sullo schermo, ma pi rapidamente, in anticipo


sullimmagine, in modo pi deciso. Nel momento in cui
questo funziona bene, si ottiene un senso di azione, di potere,
di realizzazione. Si tratta di una chiave altrettanto utile per
altre sequenze, come quelle in cui Papageno acchiappa i suoi
uccelli e li disegna sulle proiezioni o i preti disegnano
unarchitettura idealizzata. La lavagna un altro elemento
importante nella produzione, sia come veicolo di trasporto in
scena dei tre geni, ma anche perch ho scoperto che le
lavagne erano un elemento importante nei rituali di
iniziazione alla massoneria francese.54
Il tema riguardante la sincronia tra i personaggi e le video-animazioni sullo sfondo
appare dunque come un elemento di primaria importanza nello spettacolo.
Lintenzione di Kentridge di dare lillusione che le immagini si muovano tramite i
gesti e le azioni dei protagonisti della scena; i due devono andare di pari passo luno
con laltro, e legarsi da un rapporto di causa-effetto. Lesempio pi significativo
dato dalle arie della Regina della Notte che, mossa dallira e dallodio, ha la forza di
muovere le stelle e i pianeti attraverso il suo gesto deciso. La necessit da parte dei
cantanti di studiare ed imparare a memoria le scenografie pensate da Kentridge
quindi lunico modo per trovare tale connessione che si stabilisce non solo nel
rapporto cantanti-video, ma anche tra cantanti e oggetti in scena. La lavagna, oltre
ad essere, come dice lartista, un elemento presente nei riti di iniziazione francomassonici del Settecento, diventa un elemento efficace ed originale per il trasporto
in scena di alcuni personaggi, non solo i tre fanciulli, ma anche Papagena. Grazie
allefficacia di questi rapporti incrociati di dialogo ed interazione tra i personaggi e
gli elementi scenografici, Kentridge riesce a dare coesione, unit e armonia allo
spettacolo nel suo insieme, facendolo apparire come una grande macchina
perfettamente funzionante nei suoi ingranaggi. Lartista continua il suo discorso
54 Tratto dal libretto di sala La Flte enchante, Thtre des Champs-lyses, Parigi, 2011, pp. 60-61.

62

presentando il secondo grande tema dellopera: i personaggi.


Essi si costruiscono e si sviluppano da loro stessi grazie al
tempo e allesperienza. [...] sono le prove attraversate da
Pamina che formano il vero cuore dellopera. Le sue prove
(un rapimento, un tentativo di violenza, un amato silenzioso,
una madre che le chiede di essere unassassina) sono quelle
che noi percepiamo come le pi degne dammirazione. Esiste
un parallelo tra linsegnamento dellIlluminismo, che [afferma
che] noi non siamo determinati per natura, ma costruiamo
noi stessi attraverso lesperienza e lelaborazione di un senso
attraverso il processo del disegno.55
Da queste parole - oltre che la particolare attenzione e ammirazione che Kentridge
ha per la figura di Pamina - si deduce un punto chiave della produzione: il
collegamento che nasce tra la tecnica usata dallartista, che mostra i disegni formarsi
in itinere, e la lezione illuminista sulla natura delluomo, che si forma attraverso
lesperienza, si fa profondo e rilevante, e pu condurre alla conclusione che i disegni
di Kentridge hanno lo stesso processo di formazione che avviene nelluomo:
entrambi crescono nel tempo e con lesperienza.
La principale tecnica scelta da Kentridge per realizzare le scenografie la videoanimazione, ma dalla metafora della fotografia, che si incontrata allinizio del
paragrafo, ci si aspetta che si stabilisca una connessione tra questa forma artistica e il
significato dellopera. La messa in scena tradizionale barocca, disposta su una
prospettiva che va dal proscenio fino alla fine della scena, evoca, per Kentridge, i
settori di un soffietto di un vecchio apparecchio fotografico, dove la profondit
data da una fila di superfici piane poste ai lati della scena. La camera oscura diventa
cos la metafora del contrasto tra negativo e positivo della fotografia, tra luce e
tenebre, tra Sarastro e la Regina della Notte, trasformando il palcoscenico
55 Ibidem.

63

nellinterno di una macchina fotografica. Kentridge spiega che il vero significato


della camera oscura emerge solo alla fine della rappresentazione, quando:
ci ritroviamo nel tempio del sole, e lintero teatro bagnato
da una luce pura. In termini di proiezioni, siamo alla fine del
film, dal momento in cui lultima immagine ha attraversato il
buco del proiettore, ed tutto quello che resta, la luce del
proiettore, e quindi, niente. (Al cinema, la nostra sola
speranza di dare un senso allinterazione tra lombra e la
luce). La luce platonica e la certezza di vedere il sole, sono la
fine della verit e del senso piuttosto che la loro creazione.
(Questa non che unidea passeggera, non uninterpretazione
di quello che vediamo sulla scena, ma mi rendo conto che ci
sono delle connessioni tra la musica che illustra il rapporto tra
la luce e loscurit e le proiezioni poste dietro e davanti la
scena). Ma linsegnamento di Sarastro si pu spiegare.56
E Kentridge trova questa spiegazione nellevoluzione del pensiero negli anni
successivi la vita del compositore salisburghese, e allocchio di sospetto con cui si
guardato ai grandi filosofi nel periodo illuminista.
Lesercizio della saggezza non ha che conseguenze
impreviste e disastrose negli anni.57
non solo nellepoca del terrore instaurata da Robespierre, ma anche durante lera
coloniale, fino ad arrivare al XX secolo. Kentridge propone una visione negativa del
mondo, e la estende dallepoca in cui visse Mozart fino ai nostri giorni. Il concetto
di saggezza, cos come tanti altri valori, pu essere interpretato in diversi modi, il
suo significato pu essere forzato e trasformarsi in giustificazione di azioni non
56 Ivi, p. 57.
57 Ibidem.

64

giustificabili: quante volte in nome del bene si commesso del male? nella
manipolazione e nella falsificazione del concetto di saggezza che Kentridge trova la
ragione di molte disgrazie accadute nei secoli, e lartista denuncia cos, ancora una
volta, le atrocit che il suo popolo ha visto e subto, soprattutto durante lera
coloniale; ed per questo che Kentridge colloca il suo Flauto magico alla fine
dellOttocento. Ciononostante, la rappresentazione termina nel momento in cui si
raggiunge la suprema saggezza, e quindi ha inizio una nuova vita; Kentridge,
attraverso la luce delle ultime scene, riesce a dare in extremis un segnale di speranza.
La metafora e limmagine dellapparecchio fotografico influenzano lartista
sudafricano non solo per le scenografie, ma anche per i costumi che sono realizzati
da Greta Goiris, e ricordano proprio lo stile coloniale tra fine Ottocento e inizio
Novecento. Gli abiti dei protagonisti della storia, dalle tenui tinte pastello che
saltano tra il rosa, lazzurro, il verde, larancio e il beige, costituiscono una delle
poche note di colore allinterno della produzione.
In conclusione lo spettacolo ideato da Kentridge un cammino, che nasce da quello
di iniziazione creato da Mozart e Schikaneder e che porta da un mondo di ombre e
oscurit ad una realt, che sfiora lultraterreno, formata da luce e amore, pace e
fratellanza. Il flauto magico un meraviglioso e fiabesco viaggio dalloscurit verso la
luce, unavventura che coinvolge adulti e ragazzi da pi di due secoli e che porta a
vivere unesperienza tanto divertente quanto profonda. La semplicit e la verit dei
personaggi, della storia e del tema trascinano in un mondo fatto di paesaggi lontani
e misteriosi, di caratteri positivi e negativi, di prove da superare, di animali, di oggetti
magici e strani simboli, che si incontrano e dialogano tra loro in unatmosfera ludica
e solenne allo stesso tempo. un percorso verso la sapienza e la saggezza attraverso
un gioco geometrico di coppie58, tra il bene e il male, la luce e lombra, luomo e la
donna. La magia, le luci, la purificazione sono il punto in comune tra lopera
mozartiana e larte di William Kentridge, che ripropone la scena attraverso un
surrealismo quasi magrittiano delle immagini. Kentridge si diverte a bagnare il
palcoscenico di luci, e di riflesso anche il pubblico, e gioca con le ombre. La tecnica
58 Bentivoglio, L., Il flauto magico, Televisione e Spettacoli, luglio 2005, p. 25.

65

dei disegni a carboncino, semplice solo allapparenza, si accorda alla pseudoinfantilit dellavventura raccontata da Mozart e Schikaneder; ma sia lopera che la
tecnica aspirano a qualcosa di pi alto, vogliono creare un linguaggio facile,
universalmente comprensibile, che sia veicolo per trasmettere allumanit ideali e
valori profondi, che provengono dalle esperienze di vita degli autori.

66

CONCLUSIONE
Mentre gli autori originari del Flauto magico si erano mossi nellintento di creare
unopera nazionale tedesca nel patriottico sogno di cooperazione alla nascita di un
teatro lirico nazionale,59 quello che ci siamo chiesti lungo questo percorso sono le
motivazioni che hanno condotto ancora oggi scultori, pittori, disegnatori e registi ad
essere sedotti dalla misteriosa promessa dello Singspiel mozartiano di una verit
nascosta.
Il flauto magico una storia che raggruppa lumanit nei valori e negli ideali in cui
Mozart ha creduto, e, tra questi, molti provengono dallideologia massonica. Iniziato
allordine nel 1784, il compositore ne aveva seguito lo spirito negli ideali umanitari,
in una lotta contro la superstizione e le ristrettezze spirituali in una mutua solidariet
e fraterna giustizia60 ed anche per questo che nellopera si narra la lotta tra
oscurit e luce, tra bene e male, tra Sarastro e la Regina della Notte, presentata
attraverso allestimenti meravigliosi e sfarzosi che ambientano i fatti in un mitologico
antico Egitto, e si risolve per mezzo dellamore puro e universale, come dimostrano
in scena le coppie Tamino e Pamina, Papageno e Papagena.
Forse grazie alle sue radici esoteriche, pertanto, Il flauto magico stato capace, e lo
ancora, di trasmettere attraverso la sua semplicit e disillusione messaggi di verit
altissime61 e l'applauso silenzioso con cui fu accolta lopera alla sua prima
rappresentazione dimostra la capacit che ha di coinvolgere in modo profondo e
commosso il pubblico, apparendo come qualcosa di pi di una felice collaborazione
tra musicista e scrittore attorno a uno dei tanti temi in auge in quella data epoca.
L'opera mozartiana si pu considerare non solo la spia di un conflitto tra fantasia e
razionalit e come un'eco del secolo dei lumi, ma forse ancora maggiormente come
un preannuncio del romanticismo e, per questo, pu essere intesa come una sorta di
segnale per le vicende future; vicende che, tramite la fabula di Schikaneder e
soprattutto la limpida musica di Mozart, valessero a illuminare l'umanit

59 Marchesi, G., L'opera lirica, Milano, Ricordi-Giunti, 1986, p. 262.


60 Paumgartner, B., Mozart, Torino, Einaudi, 1978, p. 478.
61 Mila, M., Lettura del Flauto Magico, Torino, Einaudi, 1989, p. 130.

67

settecentesca, e valgano ancora a illuminare quella odierna, su alcuni aspetti gioiosi e,


pi ancora, drammatici, del suo destino.
Per chiarire ancora meglio questo concetto utile sottolineare come, parallelamente
alla parabola d'iniziazione di Tamino, l'opera induca nello spettatore un percorso
ascendente dalla primitiva atmosfera di favola alla simbolica celebrazione del finale.
Quasi come se il percorso avviato nel clima di fantasioso e fervido dinamismo
dell'Ouverture avesse la possibilit di offrirsi a chi ascolta, una volta giunto alla pagina
di intensa e solenne eticit con cui si apre il coro conclusivo, come individuale
viaggio iniziatico, come strumento di una pedagogia teatrale tesa alla scoperta di una
verit.
Ed lo stesso spettatore, sempre in equilibrio tra la seriet dei temi massonici e le
forme di un divertimento popolare, a percepire nell'opera l'eco di quelle speranze
che costituivano momento di unificazione dell'eccezionale molteplicit di eventi
dell'89.
Speranze che inevitabile rispecchiare nella nostra epoca, ancora oggi divisa tra
buoni e cattivi, che trovano la loro identificazione nella straordinaria presenza
simbolica del Flauto magico, estesa ben oltre i luoghi tradizionali del teatro d'opera e
segno di una rinnovata corrispondenza tra un messaggio del passato e la sensibilit
del presente. La vicenda d'amore di Pamina e Tamino, dall'iniziale mondo femminile
e notturno della Regina della Notte fino al luminoso universo di fratellanza di
Sarastro, l'itinerario di Papageno, che si avvia con l'immagine di uomo privo di
relazioni interpersonali per chiudersi all'interno di rapporti socializzati, l'ascesi delle
prove massoniche e le suggestioni del magico alludono a momenti centrali della
formazione dell'interiorit moderna: l'opposizione e identificazione autorit-verit, la
spontaneit dell'amore e il misticismo della coppia, la promessa di un'armonia
universale e lo scontro di poteri.
evidente, perci, che gli artisti moderni hanno visto tutto questo, e sicuramente
molto altro, all'interno della fabula mozartiana, ma c' un limite, lo stesso che la
musica e la poesia travalicano trovando la loro forza ed energia, oltre il quale la
spiegazione razionale non pu procedere.
68

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Articoli di periodici

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70

ALBERTI Luciano, Per una preistoria della regia d'opera. La scena e lo schermo,
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AMADASI Giovanna. Pensieri mobili di un artista ironico. D La Repubblica delle
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ARNABOLDI Giancarlo. Elegante ma noioso il Flauto Magico di Kentridge. la Provincia
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BERGMAN Ingmar. Intervista sul film Il flauto magico. CM, 1976 n. 21, p. 25
BESIO Armando. Kentridge, moderno e arcaico con i suoi video a carboncino. la Repubblica:
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COMUZIO Ermanno. Un esercito armato di violino. Cineforum, Issue n. 467, p. 7-10
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DOLFINI Pierachille. Il Flauto di Mozart nella camera oscura, e Kentridge tinge la Scala
di bianco e nero. Avvenire: 22 marzo 2011, p. 33
EISENREICH Pierre. La Flte enchante: portraits chorgraphis. Positif: Issue n.
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FOLETTO Angelo. Favoloso Mozart. La Repubblica di Milano: 19 marzo 2011, p. 18
GANTZ J. . Mozart, Hoffmann, and Ingmar Bergman's Vargtimmen. Film Quarterly/
Literature: Issue n. 2, 1980
GAVAZZENI Giovanni. Nel Flauto magico della Scala il direttore Ber tiene lequilibrio
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GIUDICI Elvio. All'Opera-Le carezze di Verdi. Diario, 23 giugno 1999, p. 67
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MORITZ William. The magic flute. Film Quarterly: Issue n. 1, 1976
71

O' DOHERTY Cahir. Kenneth Branagh Talks 'Magic Flute' With Stephen Fry and Filming
with Keira Knightley and Chris Pine. Irish Central, 1 giugno 2013
PETAZZI Paolo. Il Flauto di Kentridge una favola magica e sofisticata. LUnit: 22
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SCARDI Gabi. Kentridge trasformazioni di una visione. Il Sole 24 ore Domenica, 13
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SCHNELLER Johanna. On Screen, a Tenor Learns to Dial Down the Opera. The Globe
& Mail: 28 marzo 2009
TRIONE Vincenzo. Kentridge tra disegno e tecnologia. Il Mattino: 24 novembre 2005
TRIONE Vincenzo. William Kentridge. Il Giotto dellimmagine contemporanea. Corriere
della Sera: 11 marzo 2011, pp. 52-53
VALLORA Marco. Kentridge, il mio Mozart un disegno animato. La Stampa: 15 marzo
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VITTORINI Fabio. Il flauto magico dipana il caos e viaggia in Sudafrica. il Manifesto: 23
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Articoli di periodici online

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Republlica.it, 8 settembre 2006. Reperibile su:
<http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/09/08/venezia-2006-branagh-nel-mioflauto-io.html?ref=search>

CONRAD Peter. Which Wolfang is which?. The guardian, 7 luglio 2002. Reperibile su:
<http://www.theguardian.com/theobserver/2002/jul/07/features.review27>
COWIE Peter. The magic flute. The Criterion Collection: 15 maggio 2000. Reperibile
su: <www.criterion.com/current/posts/73-the-magic-flute>
DE VINCENTI Giorgio. Teatro. Il rapporto tra teatro e cinema. Enciclopedia del cinema
(2004). Reperibile su: <http://www.treccani.it/enciclopedia/teatro_(Enciclopedia-del-Cinema)/>
DIAZ Elizabeth Olivares. Conversation between Elisabeth Olivares Diaz and Roman
Scheidl. 23 giugno 2008. Reperibile su:
<http://www.romanscheidl.at/english/in-view-of-nature-man-becomes-a-fool>
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72

<http://www.rogerebert.com/reviews/the-magic-flute-1976>
FUSCO Maria Pia. Porto Mozart alla classe operaia. la Repubblica.it, 13 maggio 2006.
Reperibile su:
<http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/05/13/porto-mozart-alla-classeoperaia.html?ref=search>

GRAZIOLI Cristina. Performing Black Box. William Kentridge o la luce dell'ombra.


Mantichora, n.1 dicembre 2011. Reperibile su: <www.mantichora.it>
KAPLAN Cheryl. Im Inneren der Black Box, William Kentridge im Interview, in db
artmag, 27/10/2005 11/12/2005. Reperibile su:
<http://www.db-artmag.com/archiv/2005/d/7/1/383.html>
MUGNAINI Alberto. Arte no. Flashartonline. Reperibile su:
<http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=articolo_det&id_art=85&det=ok>
SCHWARTZ Lloyd. Branagh Imagines Mozart's 'Magic Flute' In Wartime.
Npr.com: 1 luglio 2013. Reperibile su:
<http://www.npr.org/2013/07/01/193548517/branagh-imagines-mozart-s-magic-flute-in-

wartime>

Filmografia

Papageno, L. Reiniger, (1935), Germany; 46 minuti; VHS


The magic flute, I. Bergman, (1975), Sweden; 135 minuti; DVD
The magic flute, K. Branagh, (2006), France & UK; 134 minuti; DVD
Il flauto magico, L. Emanuele, G. Gianini, (2010), Italia; 54 minuti; DVD.

73

74

APPENDICE ICONGRAFICA

Figura 1: Vincenzo Agnetti, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico

Figura 2: Hermann Albert, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"

75

Figura 3: Mimmo Paladino, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"

Figura 4: Siegried Anzinger, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"
76

Figura 5: Reiner Fetting, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"

Figura 6: Duccio Berti, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"

77

Figura 7: Giuseppe Maraniello, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"

Figura 8: Stephen Cox, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"

78

Figura 9: Roman Scheidl, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"

Figura 10: Giulio Paolini, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"

79

Figura 11: Christina Kubish, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"

Figura 12: Jannis Kounellis, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"

80

Figura 13: Marcello Bartoli interpreta Papageno in Il flauto magico di Emanuele Luzzati

Figura 14: Papageno e Papagena in Il flauto magico di Emanuele Luzzati

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Figura 15: Tamino in Il flauto magico di Emanuele Luzzati

Figura 16: Papageno in Papageno di Lotte Reiniger


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Figura 17: Tamino (sulla sinistra), Papageno (sulla destra) e le tre Dame in The magic flute di
Ingmar Bergman

Figura 18: Tamino (sulla sinistra), Papageno (sulla destra) e le tre Dame in The magic flute di
Kenneth Branagh

83

Figura 19: William Kentridge, Preparing the flute

Figura 20: Il flauto magico di William Kentridge, Atto I, Scena 2

84

Figura 21: Il flauto magico di William Kentridge, Atto I, Scena 6

Figura 22: Il flauto magico di William Kentridge, Atto II, Scena 23

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