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Ringrazio mia madre e Renato Colombino per avermi sempre fatta inciampare nel
bello, mio malgrado.
Grazie a Lia Rumma, Lodovica Busiri Vici, Paola Potena, Edith Ballabio, Francesca
Vitullo e Sara Cerrone per avermi fatto trascorrere i tre mesi pi intensi e stressanti
(per ora) della mia vita da lavoratrice nel mondo dell'arte.
E un sentito grazie a Fabrizio Tramontano, che un pomeriggio in Galleria mi ha
distolta dal lavoro di archivio per mostrarmi da vicino gli arazzi di William
Kentridge e raccontarmi tutti i loro piccoli segreti.
Grazie a W.M. Hunt, che in una giornata stato in grado di farmi scoprire dietro alla
fotografia una magia che non avevo mai compreso.
Grazie a Mariolina Cosseddu, senza la quale molto probabilmente non avrei mai
iniziato questo percorso accademico.
Grazie a Laura Arru, Elena Arru e Silvia Moscatelli per aver creduto, nonostante il
continuo richiamo del mare della Sardegna, che sarei riuscita a laurearmi a novembre
e per aver sempre fatto finta di apprezzare i miei sproloqui sull'arte contemporanea.
Grazie a Giulia Torella per essersi arresa all'idea che sarebbe stata lei tra noi due a
laurearsi in economia e, soprattutto, per essersi rassegnata alle infinite visite a musei
e gallerie ogni volta che volevamo partire per riposarci e divertirci.
Grazie alle mie colleghe e universitarie, anche quelle che ora sono dall'altra parte del
mondo, per aver fatto in modo che la nostra ambizione non impedisse mai di
sostenerci a vicenda e di essere le amiche che siamo.
Un grazie ai Professori della IULM, che in questi tre anni ho imparato a conoscere.
Grazie a molte mani tese, ma anche ad alcune porte sbattute in faccia perch mi
hanno insegnato a cavarmela da sola.
E, naturalmente, grazie al mio Relatore, il Professor Tommaso Casini, che in due
parole riuscito a percepire molto prima di quanto potessi fare io stessa, quale
sarebbe stato l'argomento della mia Tesi finale e mi ha sostenuta durante tutto il
percorso di ricerca e stesura.
INDICE
INTRODUZIONE
Vincenzo Agnetti
Hermann Albert
Mimmo Paladino
Siegfried Anzinger
Reiner Fetting
Duccio Berti
Giuseppe Maraniello
Stephen Cox
Roman Scheidl
Giulio Paolini
Christina Kubisch
Jannis Kounellis
9
10
11
12
14
16
17
19
20
22
24
25
27
37
NEL CINEMA
37
38
41
44
46
50
51
67
BIBLIOGRAFIA
69
69
70
72
73
APPENDICE ICONGRAFICA
75
INTRODUZIONE
Da un secolo generazioni di artisti forniscono le pi diverse chiavi di interpretazione
a un'opera sempre in bilico tra elementi favolistici e simbologia massonica.
evidente che poche opere come Il flauto magico possono essere lette e rilette nelle
pi diverse chiavi, senza stravolgere il disegno di Wolfgang Amadeus Mozart.
Gillo Dorfles riuscito a riunire dodici visioni di artisti contemporanei in una
mostra dedicata esclusivamente allo Zauberflte mozartiano.
Lotte Reiniger nel 1935 ha realizzato un film a silhouettes, anticipando nell'uso
dell'animazione Gianini e Luzzati con i loro disegni animati in quello che diventato
quasi un lungometraggio (54 minuti).
Kenneth Branagh ha spostato l'azione nelle trincee della Grande Guerra e ha
trasformato il serpente della prima scena in una granata altrettanto micidiale. Ha
ambientato l'azione in una guerra tra Blu e Rossi, con Sarastro ufficiale medico e le
tre dame crocerossine, un Papageno che cattura gli uccelli per verificare la presenza
di gas nelle trincee e una Regina della notte che avanza su un carro armato.
Ingmar Bergman, con una lettura quanto mai fedele dal punto di vista filologico, ha
utilizzato macchine teatrali settecentesche per meglio calarsi nel linguaggio del
tempo. In mezzo templi egizi e riti d'iniziazioni massoniche, ma anche scene e
costumi fumettistici e persino, evento piuttosto raro, un Tamino principe cinese,
com'era stato inizialmente pensato dai suoi autori.
A seguire questi artisti, ma solo cronologicamente, arrivato William Kentridge che
ha raccontato ad un pubblico prima belga, poi italiano le avventure di Tamino,
incaricato dalla Regina della Notte di liberare la figlia Tamina dal perfido Sarastro.
giusto, in questo caso, chiedersi se siano legittime le operazioni di trasposizione
sullo schermo e di modernizzazione di opere liriche allo scopo di divulgarle e
avvicinarle ai pubblici d'oggigiorno.
ammessa, una semplificazione? ammesso un aggiornamento? Questioni
che hanno radici, ancora prima delle versioni in immagini, in quelle legate alla regia
teatrale dell'opera. Puntualizza il musicologo Luciano Alberti:
1
di
tradizionale
vi
manca,
perpetuando
Ecco, quindi, che si incorre nella necessit di assegnare un nome a tali operazioni.
Sono semplici riletture di un'opera teatrale? S, ma rischia di essere dimenticato il
mutamento di medium. Sono trasposizioni? Probabile, ma si pu avere la sensazione
che non si tratti che di un intervento tecnico da parte dell'artista.
L'industria dell'intrattenimento chiama questi prestiti riposizionamenti, nel senso
che ci si impossessa di un contenuto di propriet di un determinato medium e lo si
usa all'interno di un altro. Il riutilizzo comporta sempre, necessariamente, una
ridefinizione, ma pu non sussistere alcuna consapevole interazione tra i diversi
media. Se interazione si determina, essa esiste solo per il lettore o lo spettatore che
a conoscenza di entrambe le versioni ed in grado di confrontarle.
Molto prima dell'avvento dei nuovi media, gi nel 1830 Longhi aveva distinto tra
copia la quale viene eseguita coi mezzi dell'arte medesima produttrice
dell'originale e traduzione dove il lavoro di un'arte si riproduce coi mezzi di
un'altra totalmente differente. Entrambe danno a presupporre un archetipo...
nell'arte medesima preesistente... Mentre, per, la copia ...necessariamente
servile.. la traduzione trova ne' varj mezzi identici. In un parola la copia
strettamente legata all'originale e nella sostanza e nel modo; la traduzione vincolata
alla sostanza, libera nel modo.3
Nel contesto di questa Tesi si parler, piuttosto, di rimediazione.
Il termine rimediazione un concetto coniato da Jay David Bolter, insieme a
Richard Grusin, che nasce da una geniale intuizione di Marshall McLuhan: Il
contenuto di un medium sempre un altro medium.4 In altre parole, per
rimediazione si intende la rappresentazione di un medium allinterno di un altro
medium dove il computer diventa un nuovo modo di ottenere accesso a questi
materiali d'archivio, come se il contenuto dei vecchi media si potesse semplicemente
trasferire su uno nuovo.5
Il modo in cui verr inteso nelle prossime pagine un altro, laddove il medium
3 Spalletti, E., La documentazione figurativa dellopera darte, la critica e leditoria nellepoca moderna (1750-1930),
Storia dellarte in Italia, Lartista e il pubblico, II, Torino, 1979, pp. 417-418.
4 McLuhan, M., Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 2008, p. 45
5 Bolter, J. D., Grusin, R., Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Milano, Guerini
Associati, 2003, p. 73
inteso come quello che Rosalind Krauss definisce insieme di regole, convenzioni,
automatismi che derivano dalla sostanza linguistica del mezzo usato, non tanto dalla
sua struttura interna presunta oggettiva, dovuta alle sue caratteristiche materiali,
quanto dai caratteri dell'uso che se ne fa, dalla forma che si d loro6 e la
rimediazione , quindi, la trasposizione di un'opera gi esistente su un altro medium
e la sua rilettura concettuale e visiva da parte dell'artista.
Nei riguardi dei processi costitutivi dell'immaginario, dunque, il cinema,
l'animazione, le arti visive sono esse stesse una forma di rimediazione comunicativa,
il transito da una egemonia mediatica a un'altra.
In questo senso il lavoro di William Kentridge traduce perfettamente la nostra
definizione in forma visiva.
Per William Kentridge, il suo disegno per la proiezione diverso dal film
d'animazione perch, nel suo essere continuamente modificato a ogni fotogramma,
si costituisce a sua volta come medium attraverso la dialettica di cancellazione e
aggiunte.
Kentridge non persegue il cinema come tale ma, piuttosto, costruisce un nuovo
medium sul supporto tecnico di una pratica cinematica di cultura di massa,
accogliendone le caratteristiche di arte popolare piuttosto che di arte alta. Inoltre
Kentridge interessato alle convenzioni sviluppate nell'animazione dei disegni
animati, convenzioni che comportano, da un lato, le imprese serializzate di
personaggi determinati e, dall'altro, la possibilit di metamorfosi fisiche.
C' chi, invece, al cinema si rivolto consapevolmente. Figure quali Ingmar
Bergman e Kenneth Branagh hanno tradotto il testo schikanederiano e le musiche
mozartiane portandole su pellicola, svolgendo un'operazione che, forse, avvalora
una volta ancora la tesi di coloro che impongono al cinema di essere un derivato
della narrativa, dell'epica o del dramma. Per questo, come spiega Giovanni Morelli
nel suo Prima la musica, poi il cinema,7 la qualit riconosciuta delle opere
cinematografiche spesso dipesa da convinzioni legate alla validit delle operazioni
6
7
2011.
di derivazione.
Questo atteggiamento nasce da un'idea di definizione delle origini e dello sviluppo
del cinema come evoluzione della musica occidentale, arrivata alle soglie del
Novecento in crisi e sentendo l'esigenza di approcciarsi ad un processo di
rinnovamento del proprio sistema di recezione che potesse proporre un doppio
sviluppo: uno elitario con i concerti e una destinazione meno elitaria. Si tratta della
musica evolutasi nel cinema, che ha trasferito nel cinema le sue strutture base, il
quale ha dalla sua la possibilit di coinvolgere l'integrit del cervello.
Durante questa ricerca, perci, verr portato avanti un percorso che dal teatro passa
per le arti visuali, l'animazione e il cinema. Fino a tornare al teatro stesso con
Kentridge. Quello che ci interessa sapere e che in questa tesi verr esaminato sono le
modalit e le motivazioni che hanno spinto tanti artisti, lungo un intero secolo di
storia, ad appassionarsi all'estremo Singspiel di Mozart. Qual il filo conduttore che
ci porta a ritrovare in ogni artista la propria personale interpretazione delle parole e
della musica? E perch proprio Il flauto magico ha ispirato in cos tante circostanze
quella reinvenzione del medium di cui ci parla Krauss?
Non stupisce che il primo a prendere in mano il tema della possibile rimediazione e
reinterpretazione artistica dei temi del Flauto Magico mozartiano possa essere stato
Gillo Dorfles.
E se, come scrive lui stesso, la prospettiva storica ha fatto piazza pulita di tanti
ipotetici capolavori8, questo estremo Singspiel mozartiano ancora capace di
trascendere il suo tempo sia dal punto di vista visivo che da quello antropologico.
Per questo nel 1985 fu allestita la mostra Intorno al flauto magico presso il Palazzo
delle Esposizioni di Milano che oggi non , purtroppo, ricordata tra gli avvenimenti
pi significativi dal punto di vista espositivo e artistico degli anni '80 a Milano, ma
che senza dubbio ha aperto la via e ha tirato le fila di un percorso che, spesso
inconsapevolmente, molti artisti avevano portato avanti in parallelo avendo come
riferimento costante la Zauberflte e il suo quid estetico fuori dal tempo, in grado di
vincere l'obsolescenza e di svincolare ogni autentica creazione dagli artigli della
storia.9
La prima idea di una rivisitazione dell'opera fu di Giuliana Rovero che propose la
sua iniziativa alla Ripartizione cultura e spettacolo del Comune di Milano e al Teatro
alla Scala, coinvolgendo nella mostra manifestazione Ernesto Napolitano autore,
insieme a Renato Musto, di un'importante ricerca musico-sociologia (Una favola per la
ragione, Milano, Feltrinelli, 1982) che ne ha curato le sezioni iconografica, delle
scenografie, con la preziosa collaborazione di Toni Ebner e Donatella Tronelli, e
quella musicale, e coinvolgendo in un secondo tempo lo stesso Gillo Dorfles che si
riferisce alla sezione di arte contemporanea.
In quegli anni si assisteva ad un'indubbia ripresa d'interesse per l'aspetto
mitopoietico, per il simbolico e l'immaginario e, al tempo stesso, per la
contrapposizione tra razionale e irrazionale, tra storico e onirico. Elementi che,
evidentemente, si ricollegavano ad un substrato mitico-magico-allegorico che
8 Dorfles, G., Il flauto magico rivisitato, in AA.VV., Intorno al flauto magico, Milano, Mazzotta, 1985, p. 15.
9 Ibidem.
della
Notte,
formulando
per
queste
figure,
Vincenzo Agnetti
che rimanda a un sottile gioco tra superficie e profondit, dove la superficie non
situabile se non tra il sotto del nero, che fondo ma meno profondo del bianco
del segno e il sopra del tratto bianco, pi scavato.
Nelle opere di Agnetti del Flauto magico ci sono i personaggi di Tamino e di
Papageno, gi altre volte contrapposti come le due facce di un'unica totalit e da
Agnetti talvolta sovrapposti in una sola figura smagliante di uccello dalle grandi ali e
magnifiche piume, che infine suona egli stesso il flauto, lo strumento dei fiori: unico
personaggio allora che la presenza stessa dell'artista. Ci sono poi, almeno in una
delle photo-graffie, le piramidi, simbolo del tre che sempre sotteso alla dualit.
Nella contrapposizione tra zona solare, diurna e zona notturna, stellare, il sole
immediatamente richiama la forma dei fiori e le stelle spesso paiono foglie dei fiori
stessi. A dominare su tutto, per l'appunto, ci sono i fiori: il flauto si trasforma
immediatamente in gambo di fiore, le penne dell'uccello in petali; i fiori a loro volta
sono note musicali; i gambi, linee di uno spartito. Il fiore gioca un ruolo che sta al
centro tra sole e luna e stella, tra figura e forma astratta, tra foto e graffia.
quanto Agnetti mette in pi e in meno al Flauto magico: in pi perch manca al
Flauto magico e fa con la photo-graffia pi di un'illustrazione dell'opera, in meno
perch la sua presenza blocca le altre presenze iconografiche perch presenza muta
che attira internamente su di s il parlare delle altre figure.
Hermann Albert
Siamo nella prima scena, bloccata e pietrificata. Tamino svenuto fuori dalla scena
alla vista del serpente, qui ci sono le tre Dame accorse in suo aiuto che sconfiggono
e fanno a pezzi la serpe. Il ribaltamento di questa azione stato pienamente messo
in rilievo da Ernesto Napolitano nel suo Libro sul Flauto magico e viene da Albert
scandito nel titolo della sua opera, Le tre crudeli Dame, dove il mitico legame tra
donna e serpente, tra donna e male, appunto ribaltato nel fatto che sono le Dame
stesse ad uccidere il serpente, eppure sono Dame crudeli, forze del male. Il
serpente non solo ucciso, ma fatto a pezzi, come in ogni giusto mito di morte
simbolica e rinascita iniziatica. Il serpente verde e il sangue rosso, colori
complementari, sono le uniche vere note coloristiche dell'opera di Albert. Le Dame
10
Mimmo Paladino
L'opera di Mimmo Paladino per Il flauto magico porta un titolo siglato, R.D.G.A.M., il
cui segreto non va svelato perch il mistero in Paladino non solo una componente,
ma il soggetto e l'oggetto stesso dell'opera e dell'operare: l'esoterismo per lui non
solo un simbolismo da scoprire, ma un sapere come atteggiamento di base di fronte
all'incommensurabilit del dire e del non poter dire dell'immagine.
La radice comune dell'immagine, e quindi anche dell'immaginario, il doppio,
capace di stravolgere il loro statuto e la loro funzione mimetica per doppiare il reale.
Il doppio, nella sua funzione di legame tra umano e divino, non rappresentazione
di una presenza, ma la sua vita stessa che si oppone a quella dei vivi, l'anima che si
rende visibile, che, nel momento in cui si mostra come presente, si rivela come
11
degli
Inferi)
deve
nello
stesso
tempo
sottolineare
la
distanza
incommensurabile tra i due mondi e solo cos acquista vero carattere di presenza
altra ed efficace seppure inafferrabile. Ecco perch infine, con gesto solo in
apparenza arbitrario, Paladino attribuisce due flauti al suo flautista: perch tutto
abbia il suo doppio, perch due sono gli strumenti dell'intervento efficace. Perch
senza identificazione e tuttavia non limitandosi ad essere paralleli, due da un lato si
incrociano e allo stesso tempo dall'altro divariano per evidenziare la loro differenza.
Siegfried Anzinger
l'allusione allo spazio teatrale dell'opera, con quelle quinte laterali e quella sorta di
palcoscenico che il rettangolo inferiore del disegno stesso. Feti, marionette pi che
uomini, questi due personaggi che si fronteggiano e ci fronteggiano solo per dire in
fondo come sono fatti.
Gli altri tre disegni sono tre versioni dello stesso personaggio, Sarastro, che il
Sacerdote dell'iniziazione. Iniziatore, nel Flauto magico, di un Ordine virile di
universale fratellanza, ma trasformato da Anzinger in iniziatore sessuale, maestro di
masturbazione, che introduce ai problemi e alle pulsioni del corpo, che insegna il
primo contatto col corpo, col sesso. Un Sarastro oscillante, nei tre disegni, tra una
versione notturna e una solare, una quasi bestiale o comunque maligna e un'altra pi
ascetica e mistica e una terza forse, quella che lo rappresenta frontalmente, di pi
diretta identificazione, tra Sarastro e artista, tra iniziatore e iniziato. Un Sarastro
freudiano, per cos dire, che inizia alla sessualit e con essa al linguaggio e del
linguaggio a quella lingua muta che la pittura.
Perch in ultima analisi ci che comunque prevale la presenza di quella mano che,
strumento della masturbazione, anche strumento del disegnare e del dipingere: la
stessa mano di Anzinger che realmente gli si ingrossa per una strana allergia a
qualche elemento chimico dei colori a olio che usa per dipingere, mano del pittore
che comunque non pu fare a meno ( condannato?) a dipingere. Pi che illustrare
Anzinger ha adattato a s alcune figure e temi del Flauto magico, ma se ha potuto farlo
per aver forse forzato e portato a maggior evidenza quel lato tragico che nell'opera
si esprime solo attraverso l'incombere delle presenze notturne e del fantasma della
morte, ma che nel Requiem Mozart, prima di morire, affronter pi direttamente.
Reiner Fetting
Rainer Fetting, uno dei Moritzboys negli anni '80 a Berlino,13 che a prima vista non
sembrerebbe avere gran che a che fare con la sua opera espressionista con Mozart e
Il flauto magico, occupava in realt una posizione analoga, ma ribaltata, a quella storica
dell'opera in questione.
Dove infatti questa si situa nel momento di passaggio tra illuminismo e
13 Fetting, R., Berlino, Milano, Raab Galerie, 1983.
14
romanticismo e mescola vari elementi della favola e della ragione, Fetting esprime a
sua volta un passaggio e una mescolanza, capovolti, tra irrazionalismo e nuova
razionalit, tra mito ed erotismo, tra societ e individualismo, tra contemporaneit ed
esotismo, ma questa volta non alla ricerca di una soluzione ma accettati come
contraddizioni irrisolvibili, risolte nel loro esistere l'una accanto all'altra.
In quest'opera di Fetting realizzata per Il flauto magico c' un nudo maschile visto di
spalle, figura ricorrente nell'opera dell'artista come ricorrente l'altro tema del
rapporto tra personaggio umano e strumento, in questo caso flauto, in altre opere
ascia o pennello o altro.
La figura nuda di spalle in Fetting la raffigurazione strutturale del chiasmo, della X,
dell'incrocio in cui i termini, i contrari si scambiano di parte dopo essere confluiti
attraverso un centro. Chiasmo che , d'altronde, figura retorica ricorrente nell'opera
Il flauto magico a livello tematico come formale.
Tutto concorre a sottolineare questa figura del chiasmo: i colori del fondo che
dall'alto del quadro ricorrono in basso e da destra si ripetono a sinistra, soprattutto il
blu dominante, colore della notte e della sua Regina, che dall'alto a sinistra scende
fino in basso a destra attraversando tutto il dipinto e rotto a sua volta dalla figura del
flautista. Cos il flauto, seconda figura ma centrale a livello tematico, non occupa il
centro reale ma vi gira attorno a sua volta e sembra suonare allo sfondo una musica
che lo organizzi e gli dia un senso nella sua pittura fatta di colore.
Il flauto, inoltre, grazie alla posizione di spalle di Tamino, pu essere dipinto come
direttamente entrare-uscire dall'orecchio dl flautista.
Non c' nessuna elaborazione iconografica dunque in Fetting, nessun richiamo
letterario o mitologico, ma il tentativo di un approccio mitico al tema e alla figura.
Cos come l'approccio non mitico nel ritratto di Mozart che Fetting dipinge lo
stesso anno della mostra, che anche se a malapena ricorda quello simpatico, candido,
con il ciuffo bianco della parrucca sulle confezioni dei Mozartkugeln venduti ai turisti
giapponesi a Salisburgo, risulta invece incredibilmente realistico. Il Mozart di Fetting
ha un naso della giusta misura, con una manopola fallica, la sua carnagione
macchiata e febbrilmente sovraeccitata, i suoi occhi fissano e le sue labbra sono
15
vogliose.14 Sembra, perci, che Gillo Dorfles abbia scatenato nell'artista un bisogno
di confrontarsi con il tema mozartiano e di approfondirlo ritraendo anche l'autore
dell'opera per analizzare al meglio le sue tematiche.
Duccio Berti
16
risvolti tragici, miticamente viaggiatore nel regno della morte, giovane Teseo che
rappresenta fin nella sua veste la cifra del labirinto, comico e tragico insieme perch
emblema della pluralit.
Ed proprio sul tema del labirinto che la ricerca di Berti si incentrata durante la
sua carriera con una folgorante intuizione culturale: il tema del Labirinto, in
quanto archetipo, ritorna alla ribalta culturale, tutte le volte che la
struttura sociale raggiunge i suoi massimi livelli di sviluppo e proprio
nell'attimo
in
cui
comincia
la
fase
di
''restaurazione'',
quindi
Giuseppe Maraniello
Maraniello ha espresso direttamente la sua vicinanza al tema e allo spirito del Flauto
magico ponendo al centro di essa i suoi consueti simboli di conflittualit messi al
15
In Labirinto: Milano, Palazzo della Permanente, giugno agosto 1981. Luoghi del silenzio imparziale, Milano, 1981.
17
Stephen Cox
Roman Scheidl
21
caso preferisco prendere una vecchia che niente del tutto. Ebbene, hai qui la mia
mano.17
Scheidl come metafora del Flauto magico e della sua pittura ha scelto un momento
particolare, ha finto una pura illustrazione per mostrare come nella metamorfosi la
scelta gi operata a favore del tutto piuttosto che del niente, dove il tutto verr
accettando per un momento una parte, anche la pi apparentemente improbabile.
Giulio Paolini
22
19 Dorfles, G., Napolitano, E., Intorno al Flauto magico, Milano, Edizioni Gabriele Mazzotta, 1985, pp. 114115.
20 Paolini, G., in Mattirolo, A., Paolini, G., L'ora X. N prima n dopo, Milano, Electa, 2009, p. 66
23
Christina Kubisch
(l'uso
degli
strumenti
elettronici
cos
come
un'altra
forma
Jannis Kounellis
sua poetica. Egli afferma che la maschera greca ha la stessa funzione che ha nel
teatro giapponese, non qualcosa che si cambia a seconda della situazione, ma
stabilisce il ruolo e lidentit. Essa plasmata su quel ruolo e quindi in un certo
senso contiene il destino stesso di quel personaggio.
In secondo luogo Mozart risulta legato al mito della rinascita e dell'iniziazione
(corpo in frantumi e morte), ma soprattutto e sempre al flauto. Mozart il flauto,
la sua magia la musica che lega i frammenti e rid loro vita, che lega le differenze
interne all'opera e permette loro di trovare conciliazione tra esperienza individuale e
ruolo pubblico.
Il flauto, che soffio (flatus), ritorna anche e naturalmente nell'opera per Il flauto
magico, questa volta gi legato a un altro strumento, la tromba e la lastra di metallo su
cui sono fissati gli oggetti ricorda gli spartiti in ferro dell'installazione del '72.
Ma a questi elementi si aggiunge il trenino, mai apparso in questo contesto ma
altrettanto emblematico in Kounellis che soprattutto lo ha collegato al futurismo e a
Boccioni in particolare. Troviamo un illuminismo che disvela la metafora del viaggio,
in cui il treno anche la nascita della modernit, della societ industriale. Il treno
infine anche una macchina e se a vapore fuma e contiene dentro di s il fuoco, i
due elementi-simboli pi forti e ricorrenti in Kounellis: fuoco, simbolo di
processualit, di trasformazione e di rigenerazione, che punizione e insieme
purificazione e salvezza; fumo che traccia, ed fuoco nero legato e anche
contrapposto al fuoco che brucia, che illumina, fuoco splendente.
26
27
28
al di fuori sia dello sperimentalismo astratto dei film dei pittori, sia della
commercializzazione dei disegni animati di serie di marca americana.24
Una felice coincidenza rappresentata da Papageno, cortometraggio realizzato dalla
stessa Reiniger, nel quale l'artista segue fedelmente Mozart attraverso una storia
raccontata in sagome.
Papageno , infatti, un corto della durata di 10 minuti che mostra le scene del Flauto
magico che vedono protagonista il maldestro uccellatore. Rappresentata per la prima
volta l'11 Agosto 1935, in occasione di una mostra dedicata al lavoro di Lotte
Reiniger al Berlin Film Art Cinema Die Kamera, si tratta di un'opera
estremamente evocativa e delicata.
Per realizzare le sue animazioni, Reiniger, tagliava le sagome da una cartoncino nera
con un paio di forbicine. Ogni arto veniva tagliato separatamente e poi unito agli
altri da delle cerniere in modo che le figure diventassero flessibili in prossimit delle
giunture e quindi potessero essere articolate attraverso una pressoch infinita variet
di movimenti. Paesaggi e sfondi venivano ritagliati da cartone nero e da vari strati di
carta velina bianca semitrasparente e, considerato che ogni strato di carta velina
poteva essere tagliato in maniera differente dagli altri e non vi era alcuna necessit di
farli coincidere, Lotte riusciva a garantire tante gradazioni di tono sullo sfondo
quanti erano gli strati di carta conferendo, cos, alle sue scene una sensazione di
profondit. Il lavoro di Reiniger delicato, raffinato, ma allo stesso tempo pervaso
di una preziosa fragilit. L'atmosfera che trasmettono le sue filigrane animate non
ebbe nulla a che vedere con i tempi correnti: esse sono parte di un mondo di
fantasia assolutamente pacato e astratto, reso simile al sogno da quel tanto di non
definito che la silhouette, che non permette la lettura della fisionomia, comporta.
Non pochi sono i punti in comune tra l'opera di Gianini e Luzzati e quella della
Reiniger: la predilezione per un metodo di lavoro artigianale con attrezzature
costruite in proprio, l'interesse per una dimensione favolistica riletta in un contesto
attuale che tiene conto delle tendenze figurative e letterarie contemporanee, la
confezione di un prodotto adatto sia ad un pubblico adulto e colto che ad uno
24 Rondolino, G., Il cinema di Lotte Reiniger, in Alfio Bastiancich (a cura di), Lotte Reininger, Torino,
Assemblea Teatro/Compagnia del Bagatto, 1982, p. 6.
29
infantile.
Nel film dei due autori, per, le silhouettes anzich essere nere su uno sfondo
luminoso sono coloratissime ed proprio la sapienza del ritmo cromatico, coniugato
con il movimento e la musica, a caratterizzare la loro produzione.
Prima di descrivere il loro lavoro sviluppato a partire dal Flauto magico, tuttavia,
giusto capire le motivazioni della loro collaborazione.
Gianini e Luzzati si conobbero a Roma nel 1957 e nello stesso anno condussero la
prima esperienza in comune nel campo dell'animazione: il cortometraggio I due
guerrieri, rimasto incompiuto.
Il vero e proprio esordio artistico avvenne nel 1960 con I paladini di Francia, ovvero il
tradimento di Gano di Maganza che si segnal al Festival di Annecy ed ottenne il
Premio Helen Grayson per l'opera prima.
Emanuele Luzzati e Giulio Gianini iniziarono la loro avventura con il cinema
d'animazione quando erano entrambi gi maturi nei loro diversi settori di attivit:
Luzzati, scenografo, illustratore e ceramista affermato. Giulio Gianini, operatore
cinematografico specializzato in documentari d'arte. Entrambi avevano in comune
una grande passione per il teatro dei burattini, esperienze scolastiche simili, un
interesse per la ricerca sugli effetti cromatici, un desiderio di trovare un linguaggio
nuovo che potesse costituire sintesi espressiva delle esperienza fino allora compiute.
E grazie alla sua poliedricit, le molteplici attivit di Emanuele Luzzati convivono e
si alimentano in un continuo intreccio di rimandi e rielaborazioni nei linguaggi pi
diversi: i temi costanti, i personaggi prediletti passano dalla carta alla terracotta, si
ricorrono nei bozzetti scenografici, nei manifesti, risorgono a nuova vita sulle tavole
del palcoscenico e si muovono a ritmo di musica nella luce del grande schermo.
Anche Il flauto magico (1978) compie un complicato percorso prima di approdare al
cinema d'animazione.
Dal palcoscenico di Glyndebourne, dove Luzzati aveva affrontato per la prima volta
i problemi scenici dell'opera mozartiana, Papageno, Sarastro, Tamino sono passati
attraverso le pagine illustrate di un libro per bambini, si sono mescolati agli altri
personaggi dell'immaginario luzzatiano nello spettacolo La mia scena un bosco, hanno
30
vissuto un'esistenza autonoma sui manifesti, sulle litografie, sugli arazzi, sino ad
approdare sul grande schermo in un felice connubio di colore e musica.
Il primo approccio di Luzzati con l'opera mozartiana avvenne, quindi, nel 1963,
quando cre scene e costumi per il Festival di Glyndebourne, a pochi chilometri da
Brighton, in Inghilterra.
L'allestimento tenne cartellone per dieci anni e sull'onda del successo un editore
inglese, Blackwell di Oxford, propose all'artista di scrivere ed illustrare la storia
dell'opera in un libro per bambini. La vicenda fu semplificata: Papageno divenne a
tutti gli effetti protagonista, Sarastro un mago buono e Astrifiammante una fata
malvagia. Il libro fu pubblicato nel 1971.
il primo passo verso il cartone animato e il libro servir
anche a preparare il terreno per quella pi rischiosa e costosa
impresa. La scena pittorica di Glyndebourne si trasferisce
sulla pagina, diventa illustrazione, immagine autosufficiente, e
i personaggi respirano la materia di cui sono fatti: teatrali e
corposi sulla scena, lievitano sulla pagina dai vaporosi abissi
coloristici degli sfondi, cristallizzati nel segno di una cifra
grafica enigmatica, sottilmente profilati in un tessuto fiabesco.
All'inizio ed alla fine del libro si apre e si chiude un
teatralissimo sipario rosso.25
Del 1979 fu l'edizione italiana del libro edito da Il Bisonte di Firenze, in copie
numerate con le litografie a colori.
Il film Il flauto magico usc nel 1978. Dopo i cortometraggi rossiniani i due autori si
cimentavano per la prima volta con la musica di Mozart, rivisitando con spirito
moderno l'estremo Singspiel del genio di Salisburgo.
Il progetto e la realizzazione richiesero a Gianini e a Luzzati due anni di faticoso
impegno, due anni costellati di intoppi e difficolt. Si pu dire che i due animatori,
25 Carandini, S., Fazio, M., Il sipario magico di Emanuele Luzzati, catalogo della mostra, Roma, Officina ed.,
1980, p. 47.
31
32
complessa partitura stata smontata ed analizzata nei minimi particolari, con il fine
di scegliere i brani musicali pi significativi e nello stesso tempo pi adatti ad una
realizzazione disegnata.
Abolendo tutti i dialoghi parlati, la maggior parte dei recitativi, e mantenendo invece
le arie, i duetti ed i corali pi famosi, i due autori hanno dato al film una struttura
teatrale a scene, in ognuna delle quali i protagonisti sono gli interpreti dei brani
vocali. Al Papageno in carne ed ossa il compito di tirare le fila della vicenda e
condurre per mano lo spettatore attraverso i labirinti mozartiani27 con lo scopo di
permettere anche ad un pubblico infantile di godere della vicenda. Semplificata la
storia, sfoltiti i personaggi (non compare lo Sprecher (oratore) ad esempio, ed i
Geharnishten (corazzieri) si limitano ad un'apparizione in veste di figuranti, disegnati
su lato di un periatto) rimane la fabula, mentre viene bandita, intenzionalmente, ogni
possibile esegesi sui misteri massonici dell'opera, a proposito dei quali fiumi
d'inchiostro sono stati versati, come lo stesso Papageno spiega.
Viene invece evidenziato l'aspetto fiabesco, la magia scenica, l'incanto del
meraviglioso, senza alcuna preoccupazione di ricostruzione storica.
A segnare il passaggio tra una sequenza e l'altra vi sono sempre segni di
punteggiatura forte: dissolvenze sul nero o dal nero, rotazioni del quadro o, nel caso
di semplici stacchi, la marcatura viene data da elementi mutuati dal linguaggio
teatrale (chiusura di sipario rosso, buio in sala, ecc).
Le sequenze dal vero, come gi anticipato, hanno il fine di rendere comprensibile il
dipanarsi della vicenda, essendo i brani corali cantati in tedesco. Hanno sempre la
stessa ambientazione (un teatrino all'italiana dal boccascena appena sufficiente a
contenere una persona, che per dcor e grandezza ricorda l'opera dei pupi) e lo
stesso protagonista, Papageno.
Il Papageno-attore svolge il suo compito di raccordo tra le sequenze animate,
spiegando i diversi passaggi della storia e conducendo per mano lo spettatore verso
la comprensione di quest'opera semplice ed astrusa insieme. Si muove a suo agio sul
palcoscenico interagendo con gli elementi scenografici proprio come fanno i
27 Cortellazzo, S., Pastelli, pupazzi e siparietti. Il cinema di Gianini e Luzzati, Incontri internazionali con gli autori
del cinema d'animazione- Comune di Genova, Genova, 1982.
33
34
poveri diavoli ed il mondo dei Potenti (Sarastro, La Regina). In tal senso la lettura
data da Gianini e Luzzati non si allontana da quella che Massimo Mila avanza
proprio per l'opera mozartiana.
L'antitesi non mica tra Sarastro e la Regina della Notte, che
avranno le loro buone ragioni per essere nemici ma possono
essere nemici perch sono dei pari grado, inseriti nello stesso
regime, appartenenti alla stessa casta, quella dei potenti.
L'antitesi tra costoro e Papageno che alle prove iniziatiche,
non che superarle o soggiacervi sconfitto, non neanche
ammesso, perch lui non appartiene quelle alte sfere dove
per
accedere
all'esistenza
c'
bisogno
di
esami
di
qualificazione.
Ce ne sono tanti come me, risponde Papageno quando lo
Sprecher gli annuncia solennemente che lui escluso dalle
prove perch si mostrato indegno dei piaceri celesti.
Papageno vuol dire, con questo, che tutti praticamente sono
come lui, salvo alcuni eroi come Tamino. Questi l'eccezione
e lui la regola.29
Dal punto di vista strettamente figurativo il film di Gianini e Luzzati raggiunge in
alcuni momenti vertici espressivi di rara perfezione. Dall'aria della Regina della notte
resa visivamente con stilizzazioni semi-astratte di una luminosit coloristica
ineguagliabile, alla compostezza ieratica con cui viene rappresentato Sarastro, per
non parlare della briosa e sfavillante pennellata che visualizza il giocoso mondo di
Papageno.
Quanto il dcoupage perde in fluidit del movimento lo acquista in astrattezza, in
coscienza del mezzo, raggiungendo effetti di antinaturalismo che impediscono
comunque l'imitazione del reale, propria delle animazioni disneyane in gara col
cinema vero.
29 Mila, M., Ma poi tanto diverso il Flauto magico?, in AA.VV., Intorno al flauto magico, Milano, Mazzotta, 1985,
pp. 27-28.
35
36
37
vera e propria traduzione, che tenga conto di tre principi formali strutturali che
differenziano in modo sostanziale il cinema dal teatro: la concezione dello spazio, la
concezione del tempo e il linguaggio. Si dovr passare dallo spazio chiuso del teatro
a quello aperto del cinema; dal tempo rituale, sospeso e circoscritto del teatro a
quello reale, vissuto e provvisto di illimitate potenzialit di estensione, del cinema;
dal linguaggio prevalentemente verbale del teatro a quello prevalentemente visivo del
cinema. Si dovr, in sostanza, tradurre da una forma di espressione artistica, il teatro,
fondamentalmente sacra e astratta, ad unaltra forma di espressione artistica, il
cinema, fondamentalmente pi profana e concreta.
Per fare un piccolo passo indietro utile notare che, pur nella diversit di linguaggio,
vi sono dei punti in comune tra il film di Bergman e quello di Gianini e Luzzati. In
entrambi evidenziata l'idea di teatro dichiarato, di gioco. Anche Bergman assegna la
conclusione del film alla coppia Papageno-Papagena seppur senza sovvertire l'ordine
originale dei brani vocali. Nel finale, mentre Tamino e Pamina sono festeggiati dal
popolo di Sarastro con gran pompa di orchestra e copiosit di ghirlande di fiori, la
macchina da presa inquadra, sulla sinistra del palcoscenico, le due creature pennute
circondate da un girotondo di bimbi. Anche Bergman, come Gianini e Luzzati
sembra compiacersi della felicit dei semplici e degli umili, tralasciando per
l'occasione angosce esistenziali e problemi di coppia.
Prodotto con un budget modesto di soli $ 650.000, Il flauto Magico fu messo in onda
nel Capodanno del 1975, in occasione del 50 anniversario della nascita della Radio
Svedese.
Ci troviamo di fronte a un film quasi testuale per progressione narrativa e per
efficacia fotografica e strutturale di immagine.
Il flauto magico un'opera nata con la tipica struttura del melodramma e per Bergman,
a livello filmico, il melodramma una soglia fra teatro e realt che, appunto per
questo, pu risolversi in elemento estetico e significante.
Infatti la visualizzazione, volutamente teatrale, che Bergman fa dell'opera
mozartiana, non altera il significato originario datole dal musicista, n muta la
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classica scansione temporale dell'opera lirica (ouverture, atto primo, intervallo, atto
secondo).
Favola e melodramma, finzione poetica teatrale e musicale riescono cos a fondere in
un'unica opera un film che offre allo spettatore una lettura lirica liberamente
condotta attraverso il linguaggio cinematografico rispettando, come gi accennato, la
dimensione d'insieme teatrale.
Non si pu ignorare che ci stato possibile grazie alla corretta impostazione
strumentale del mezzo cinematografico nei rapporti con lo spettatore, poich
proprio tale impostazione che fornisce una chiave d'interpretazione ricca di
significati esistenziali.
Bergman infatti finge di filmare una vera performance teatrale, con arco di
proscenio, luci della ribalta e un pubblico. Lavora con una telecamera agile. Invece di
comporre i caratteri nei spesso statici e sterili montaggi dei suoi film successivi, egli
li sorprende con riprese improvvise, taglia rapidamente per creare momenti di
incertezza e si diverte unendo i suoi attori con oggetti di scena quali animali e un
incredibile pallone aerostatico. E lungo la strada, pur rimanendo fedele allo spirito
(anche se non sempre in modo preciso alla trama della storia) del Flauto magico, egli
riesce a trasporlo in un film.
L'inquadratura e il montaggio, dapprima immobili nel prospettare la dimensione
teatrale, entrano progressivamente nel vivo della scena e dei personaggi dilatando lo
spazio scenico e sollecitando la fantasia del pubblico, fino alla demitizzazione, nel
mostrare gli attori nei camerini intenti, nell'intervallo tra un atto e l'altro, a compiere
azioni solo apparentemente casuali. Sarastro che legge il Parsifal, riferimento
tipicamente bergmaniano a Wagner; Tamino e Pamina intenti al gioco degli scacchi,
allusione riconciliata dell'amoroso gioco drammaticamente vissuto come
personaggi della storia rappresentata, il drago che passeggia in corridoio ecc.
Dal punto di vista della rimediazione, il brano pi squisitamente cinematografico si
ritrova nella splendida ouverture, il cui ritmo scandito da fugaci primi piani dei
vari spettatori. Come il direttore d'orchestra agita la bacchetta per dirigere gli
strumenti che la compongono cos Bergman dirige a tempo di musica l'occhio della
39
macchina da presa sul pubblico. Occhi, labbra, rughe, capelli biondi e bruni, volti
ridenti e severi, vecchi e giovani, d'ogni razza e colore, si fondono con la musica in
una meravigliosa sincronia, significando l'universalit del messaggio musicale
mozartiano, che si fonde, superando ogni barriera spaziale e temporale, in armonica
sintesi con l'arte della musica, intesa come mezzo di comunione.
Altro elemento fondamentale il ricorso frequente a un incantevole volto di
fanciulla (che non altri che la figlia di Bergman) che, con la sua mimica
impercettibile, sembra cogliere attraverso una viva partecipazione il senso stesso
della vicenda, filtrando cos le emozioni che la favola provoca negli spettatori e
diventando, nello svolgersi del racconto, l'elemento figurativo che unifica sia l'iniziale
sequenza sia tutto il film, e conseguentemente il punto di vista da cui si segue tutta
l'esecuzione dell'opera.
Fin dall'inizio si dimostra estremamente significante la disposizione dei personaggi
in ordine alla struttura narrativa. Essi sono posti, all'interno del racconto, su due
piani emblematici, e diventano cos rappresentativi di valori universali: la ragione, la
verit, l'amore, la fedelt e la fratellanza umana (Sarastro, Tamino, Pamina), sono
vittoriose, sia pure dopo dure ma necessarie prove, sull'odio, sulla menzogna, sugli
istinti pi bassi della natura umana e sullo spirito di vendetta (la Regina della Notte,
Monostatos e il suo truce esercito). Tale emblematicit sottolineata anche dai
pannelli recanti massime morali riassuntive, che gli attori offrono all'attenzione dello
spettatore, al termine dei nuclei narrativi che segnano l'evolversi progressivo della
vicenda.
Strutturalmente, mentre il racconto si sviluppa, il movimento scenico sempre
espressivamente concorde con la musica: l'immagine, cos come strutturata,
contribuisce a far s che azione e musica siano identificate in unit d'intenti,
assommandosi in un'unica dimensione significante.
Bergman, lavorando con il direttore d'orchestra Eric Ericson e la Swedish Radio
Symphony Orchestra alla registrazione della colonna sonora in un vecchio edificio
del circo, ha insistito sul metodo di "riproduzione", in cui tutta la musica
preregistrata dagli artisti e dall'orchestra, poi riprodotta in segmenti in uno studio
40
Giudizio estetico
Ingmar Bergman, pur col passare degli anni, rivela sempre meglio la sua raggiunta
maturit di artista e la sua perfetta padronanza dell'immagine cinematografica. Il
41
flauto magico fu girato nel 1974, con nove mesi di intenso lavoro, e ambientato in un
famoso teatrino della corte svedese, che tuttora esiste a Drtthinghelm, interamente
ed esattamente ricostruito in studio. Ulteriore autenticit prestato da alcune scene
girate a Teatro Drottningholm Court, un vero e proprio teatro dell'opera
settecentesco che sopravvissuto intatto (con scene e macchinari del periodo) nel
ventesimo secolo in virt del fatto che stato associato con l'assassinio di re
Gustavo III nel 1792, e cos rimasto chiuso fino al 1912.
Lo scenario, per, stato considerato troppo fragile per ospitare una troupe
cinematografica. Quindi la fase di completamento con le ali, le tende, e il vento le
macchine stato faticosamente copiato ed eretto negli studi della Swedish Film
Institute, sotto la direzione di Henny Noremark.
Si dice che Schikaneder avesse speso 6.000 fiorini per costumi e scenografie per la
sua premiere. Noremark e i suoi colleghi hanno dipinto ogni puntello e fondale con
lo stesso tono e ombra, come sarebbe stato al tempo di Mozart. Bergman sostiene
che Mozart scrisse il suo punteggio con un palco specifico in mente (largo circa 22
metri, se seguiamo la musica quando Tamino attraversa il palco per il Tempio della
Saggezza).
Fin dall'adolescenza Bergman aveva coltivato a lungo l'idea di curare la regia di
questa opera mozartiana senza mai riuscirvi. Il regista stesso durante un'intervista ha
affermato:
Ho amato tutta la mia vita Il flauto magico di Mozart, e questo
sentimento si fatto sempre pi profondo nel corso degli
anni. Avrei voluto dirigerlo gi venticinque anni fa, quando
ero consigliere artistico dell'enorme teatro municipale di
Malm. Ma non osai farlo. Non avevamo gli artisti che
occorrevano ed io non ero maturo abbastanza.31
Il lungo amore per Il flauto magico, coltivato fin da ragazzo, ha consentito quindi a
31 Bergman, I., Intervista sul film Il flauto magico, in CM, 1976, n. 21, p. 25.
42
impropria
evoluzione
stilistica,
dunque,
nessuna
visualizzazione
Giudizio etico-sociale
L'arte di Bergman ha trovato un personalissimo modo di introdurre, di far sentire il
proprio accento, non solo per quanto riguarda il fascino dell'immagine, la
dimensione favolistica della messinscena, le variate soluzioni scenografiche e
figurative, ma soprattutto in riferimento ai contenuti dell'opera, ai suoi temi
maggiori e minori, oggetto di interpretazioni diverse, spesso contrastanti, come
diverse e contrastanti sono le matrici letterarie a cui fa riferimento il libretto.
Parabola della vita, la semplice ma stupenda fiaba che vede protagonisti Tamino e la
bella Pamina, figlia della Regina della Notte, pone l'amore e la virt della saggezza
come difficili conquiste, che racchiudono il bene supremo dell'esistenza e che
possono essere raggiunte soltanto attraverso i duri sacrifici di una maturazione
interiore, attraverso la consapevolezza del dolore. Tamino e Pamina, prima ancora di
incontrarsi di persona, si innamorano l'uno dell'altro alla sola vista dei propri ritratti.
Ma l'amore, per Mozart, come per Bergman, esige ferma volont di conquista, lo si
gusta e lo si possiede in pienezza soltanto quando lo si meritato. Perci Tamino
viene esortato all'impresa eroica di salvare Pamina, rapita alla Regina madre da un
44
perfido spirito del male chiamato Sarastro. Ma pi si spinge a fondo nella sua
impresa, pi Tamino deve convincersi che Pamina ha paura di sua madre, la Regina
della Notte, alla quale stata sottratta a fin di bene da Sarastro, vero grande saggio,
capo di una confraternita che ha fede nella verit, nella giustizia e nella fratellanza
umana.
Sarastro, che assume una complessit faustiana, a indurre sia Tamino che Pamina,
separatamente prima, uniti poi, ad affrontare difficili prove per meritare ciascuno
quell'amore a cui tendono con tutto il loro essere, ma nello stesso tempo ad
affrancarsi definitivamente dalla debolezza, dai cedimenti al male e quindi da un
ritorno alla Notte. Bergman ci propone quindi l'opera in chiave pi moderna, dando
un'implicazione metafisica di discesa agli inferi, a quelli che evidentemente per
Schikaneder erano i rituali di iniziazione ai misteri massonici, di cui sia l'autore del
libretto sia Mozart erano seguaci.
Infatti la prova pi dura per Pamina, allevata dalla Regina del maleficio e
dell'ipocrisia, perch per lei (che per padre ebbe un saggio) il bene e il male
coesistono in una ambigua identit, che proprio quella che Bergman tante volte ha
indicato nei suoi film.
Bergman, quindi, non poteva trovare un'opera pi congeniale al suo spirito, n
un'opera simile poteva trovare un regista che la rappresentasse meglio. La dialettica
luce-tenebre (cara a Mozart) e amore-morte (cara a Bergman) viene
coerentemente interpretata e svolta.
Tra le righe del libretto e le note mozartiane, Bergman ha profuso il suo pensiero:
l'amore come via alla salvezza, la presenza vigilante del soprannaturale, l'insicurezza
umana, e il prevalere del bene sulle forze del male. Il regista stesso ha esplicitato:
Il flauto magico contiene una morale che mi piace: cio che
l'amore la cosa pi importante tra gli essere umani e la pi
importante del mondo. Per sottolineare questo punto, ho
dovuto renderlo esplicito; uno dei rari cambiamenti che
abbiamo ritenuto necessari rispetto al libretto originale. E
45
Prodotto dal francese Pierre Olivier Bardet e finanziato da sir Peter Moores,
l'aristocratico inglese appassionato di lirica tanto da aver creato una Fondazione per
la diffusione nel suo paese di opere tradotte in inglese, producendo rappresentazioni
in varie citt, il film apre alla vigilia della prima guerra mondiale, accompagnandoci
32 Ibidem.
46
48
Giudizio estetico
Dal punto di vista estetico, se si pu restare perplessi nei riguardi del minaccioso
serpente diventato una scia di iprite, delle tre Dame della Regina diventate Dame
della Croce Rossa (presentate ancor prima come suore, sia pure dalle generose
scollature, poi dotate di un elmetto), di un'astrifiammante Regina della Notte che
capeggia un esercito e avanza a bordo di un carro armato (ma la sua isteria vocale
conservata gelosamente, anzi messa in rilievo da primissimi piani della sua bocca
spalancata nell'acuto), di un castello-ospedale che prende il posto del Tempio della
sapienza e cos via, vanno apprezzate per contro diverse soluzioni figurative.
Tra le soluzioni felici i lunghi carrelli aerei sopra le trincee, la neve e poi la pioggia
che domina sui campi di battaglia (giustificate dal rinovellamento annunciato dai tre
geni-fanciulli: Presto ad annunciare il giorno / Il sole splender sulla via dorata /
Presto la superstizione scomparir, / Presto luomo saggio vincer! /
Oh cara quiete, scendi quaggi, / Torna di nuovo nei cuori degli uomini; / Allora la
terra sar un regno dei cieli, / Ed i mortali uguali agli di.35
Altri momenti positivi sono la visione magica di un esercito armato di violini e lo
strepitoso carrello indietro che da una grande lapide su cui sono incisi i nomi dei
caduti inquadra un immenso terreno irto di croci.
Tipico dell'atteggiamento scanzonato degli autori presentare il solenne Sarastro
come un medico da campo in maniche di camicia e bretelle. Le soluzioni che danno
fastidio, ma siamo nei campo dell'opinabile, sono piuttosto la fotografia di Pamina
che si anima davanti agli occhi innamorati di Tamino e il ballo in ghingheri cui
quest'ultimo si immagina di partecipare con la sua bella.
Branagh e i collaboratori hanno fatto ricorso per la concertazione e la registrazione
alla Chamber Orchestra of Europe diretta da James Conlon. Il punto di forza ,
tuttavia, nei cantanti. A parte alcuni artisti affermati come il basso tedesco Ren
Pape come Sarastro (il quale sposa imponenza fisica alla pastosit della voce), il
soprano russo Lyubov Petrova, come Regina della notte (che insieme ad una torrida
aggressivit sfoggia una voce da Giudizio Universale) e il tenore inglese Tom Rande
35 Tratto dal libretto di sala Il flauto magico, Teatro La Scala, Milano, p. 69.
50
come Monostatos (in precedenti rappresentazioni teatrali del Flauto magico stato lui
Tamino), gli altri sono tutti giovani. Amy Carson come Pamina addirittura
un'esordiente. Su di loro il regista ha fatto affidamento magari pi per la loro qualit
di attori che di cantanti, ma la cosa giustificata.
Giudizio etico-sociale
Kenneth Branagh crede nel teatro come altri credono in Dio. Egli ritiene di poter
guarire, ritiene di poter aiutare e, a volte, ritiene che possa essere incredibilmente
miracoloso. All'Irish Central ha dichiarato:
Il flauto magico sembra offrire agli interpreti la libert di usare
la loro immaginazione, lo scontro centrale quello tra il bene
e il male e quello dei giovani che si scontrano contro un
vecchio ordine, il tutto in un modo che piace al pubblico e
con il quale si identificano. La musica in Il flauto magico ha
sentori del grandioso e dell'epico da cui abbiamo preso
spunto. Questo mi ha condotto verso un periodo
straordinario, la prima guerra mondiale. Se c' mai stato un
conflitto su vasta scala stato quello. Il sacrificio stato
enorme ed i numeri straordinari ed l che l'innocenza stata
effettivamente versata. Ho sentito che tutte queste cose erano
nel Flauto magico. Ho pensato che la portata e la profondit
della prima guerra mondiale sarebbero stati qualcosa con cui
la musica avrebbe risuonato.
Sembra scioccante dal nostro punto di vista della storia ora,
ma nel 1914, quando la prima guerra mondiale scoppiata era
opinione comune immaginare che la battaglia sarebbe finita
nell'arco di alcuni mesi. Per i giovani era possibile sognare la
gloria l'avventura sul campo di battaglia e poi un sicuro
ritorno in patria. Dopo tutto erano passati solo pochi decenni
51
36 O' Doherty, C., Kenneth Branagh Talks 'Magic Flute' With Stephen Fry and Filming with Keira Knightley and Chris
Pine. Irish Central, 1 giugno 2013.
37 Tratto dal libretto di sala Il flauto magico, Teatro La Scala, Milano, p. 69.
38 Ivi p. 71.
39 Ivi p. 34.
52
53
54
Dopo la messinscena di Bruxelles, la maquette approntata per la regia del Flauto magico
diventa una nuova opera, Preparing the Flute (2005) presentata presso la Galleria Lia
Rumma di Napoli. Inaugurata nel novembre 2005 l'artista condensa fondamentali
momenti, tematici e musicali, dell'opera. Anche in questo caso si tratta di una
fruizione mista: lo spettatore vive un'esperienza teatrale all'interno di un museo.43
L'installazione formata da un teatrino in miniatura che era stato precedentemente
utilizzato dallartista per riprodurre lopera nella sua interezza prima di confrontarsi
con il palcoscenico vero e proprio del teatro. Il modellino composto da una serie
di quinte progressive che scandiscono prospetticamente lo spazio e fanno da cornice
al video proiettato sulla parete di fondo; contemporaneamente altre immagini
animate vengono proiettate frontalmente utilizzando le quinte e i fondali come
schermo, cosicch la sapienza arcaica nell'utilizzo della matita venga saldata con
una straordinaria capacit di controllo tecnologico.44 L'artista vi appare in persona:
l'ombra della sua figura compare in diversi momenti; il movimento di un braccio
diventa serpente, smaterializzato nella forma, in negativo, di un'ombra illuminante.
Dal punto di vista formale Preparing the flute propone una serie di disegni in cui
l'assenza (lo spazio vuoto, o bianco,che compare in negativo) percettivamente si
rivela presenza. Tutta la poetica di Kentridge lavora intorno a questa pregnanza del
negativo (di cui esempio clamoroso l'ombra, ma anche il negativo fotografico
all'origine dell'immagine) e alla conseguente interrogazione circa l'ambiguit della
visione, che esperienza del reale, conoscenza del mondo.
La prima assoluta dello spettacolo si tiene presso il Thatre Royal de la Monnaie di
Bruxelles nellaprile del 2005, con repliche a partire gi dallo stesso settembre. Poco
dopo la mostra tenutasi presso la Galleria Lia Rumma, la Marian Goodman Gallery
di New York inaugura lesposizione intitolata The Magic Flute: Drawings and Projections,
che rimane in mostra tra gennaio e febbraio del 2006. Vengono qui esposti ben
cinquanta tra disegni e frammenti che sono parte dei molteplici studi preparatori al
progetto, ad esempio i vorticosi disegni per le arie della Regina della Notte, il
paesaggio roccioso che si apre in una spettacolare veduta che fa da sfondo per
43 Esposto alla mostra del Jeu de Paume; visibile nella collezione permanente del Maxxi a Roma.
44 Trione, V., Con Kentridge tra disegno e tecnologia, Il Mattino, 24 novembre 2005.
55
buona parte del primo atto, e ancora schizzi e disegni raffiguranti antichi templi
egizi, e diversi studi di uccelli, ora liberi ora in gabbia, catturati da Papageno.
La mostra ripropone, inoltre, lo stesso modellino presentato alla Galleria Lia
Rumma pochi mesi prima. Le opere esposte dalla galleria newyorkese nelle due
occasioni, del 2004 e del 2006, vengono accorpate per dar vita ad ununica grande
mostra sugli studi preparatori di Kentridge per il suo Flauto magico, che viene
presentata presso la sede parigina della Marian Goodman tra giugno e luglio del
2006. Una delle quattro versioni del teatrino/installazione Preparing the Flute oggi
parte della collezione permanente del museo MAXXI di Roma.
Unaltra interessante mostra, che non riguarda direttamente il lavoro sullopera
mozartiana, ma che si avvicina al tema della violenza, della conoscenza e
dell'Illuminismo Black Box / Chambre Noir, tenutasi presso il Deutsche
Guggenheim di Berlino tra lottobre 2005 e gennaio 2006.
Lambiguit percorre la triplice accezione del titolo. Black Box Theatre in primo
luogo la scatola scenica:45 un contenitore neutro e flessibile, che pur mantenendo la
memoria del teatro di matrice illusionistica (la Guckkastenbhne tedesca che molto ha
a che fare con i generi ottici citati), concepisce lo spazio della rappresentazione
come spazio delle possibilit; la seconda accezione quella di camera oscura, lo
spazio della macchina fotografica tra obiettivo ed oculare, dove la luce diventa
forma, crea oggetti o meglio, come scrive Kentridge, dove tra le infinite possibilit
delle immagini del mondo esterno una singola immagine viene scelta.46 In terzo
luogo la scatola nera che registra i dati di un volo prima di un disastro;47 catastrofe
che figura del massacro degli Herero, non raccontata ma evocata, motivo
propulsore del lavoro. Nel 1904 in Sudafrica i tedeschi colonizzatori furono i
responsabili del massacro di questo popolo, che viveva nellattuale Namibia.
45 Black Box definisce in inglese uno spazio semplice ed elastico, contrapposto alledificio teatrale
connotato da una specifica architettura che predefinisce il rapporto tra attori e spettatori; sulla concezione
di Kentridge cfr. Valleseor M. C., Konstruktionen einer Black Box: drei Aufzge mit Vorspiel, in William
Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p. 79.
46 Kentridge, W., Black Box: zwischen Objektiv und Okular, in William Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p.
51.
47 Inventata nel 1954, la scatola nera una tecnologia che nega la tecnologia, requisito essenziale delle
odierne cronache di catastrofi cfr. Valleseor M. C., Konstruktionen einer Black Box: drei Aufzge mit Vorspiel,
ivi, p. 97.
56
57
(Black Box: tra lente ed oculare). Si tratta di una meditata riflessione sulla natura
dellombra, che il fondamentale punto di partenza per Black Box. Kentridge
racconta il fenomeno di uneclissi avvenuta circa due anni prima in Sudafrica (per cui
l80% del sole veniva coperto dalla luna). Per evitare di essere accecato, pratica un
foro in un foglio di carta e guarda attraverso questa apertura il minuscolo punto
brillante in cui si vede un segmento della luna che si inserisce nel cerchio di luce.49
A partire dallosservazione degli effetti delleclissi sulle ombre di una pianta
rampicante che copre in parte la finestra di casa sua, lartista descrive
minuziosamente la sua esperienza per giungere a considerare come essa gli fornisca
una conoscenza inedita della natura della luce: non una massa che si estende in
modo neutro, ma un agente che proietta immagini variegate e specifiche. Quando
batte il sole, getta lombra della pianta sul pavimento; rientrando in casa dopo aver
osservato leclissi, lartista osserva lo spazio tra le foglie proiettate: lombra della
vite pi debole del normale, tuttavia ancora chiaramente riconoscibile; con stupore
vede improvvisamente che tra le ombre delle foglie, in ognuno degli innumerevoli
spazi in cui la luce del sole penetra, una luna in miniatura si mangia la luce (a
miniature moon was eating into the light.)50 Il gioco di luce ed ombra risultante da
quel momento preciso per lui rivelatore.
Lesperienza delleclissi fa s che egli inizi a vedere e ad afferrare la luce non come
luce diffusa, ma come una serie infinita di proiezioni che ci riguardano. Percepisce il
sole come una fonte di luce infinitamente promiscua, che si propaga ovunque, e
ogni superficie riceve non solo la luce, ma una proiezione specifica del sole.
Kentridge procede, cos, sempre con considerazioni dordine percettivo e fisiologico,
lasciando contemporaneamente spazio alle metafore.
Qui lautore inserisce il discorso sullo Zauberflte, con cui si gi confrontato; rievoca
la nota vicenda di Tamino alla ricerca di Pamina, rapita da Sarastro che la vuole
sottrarre alla madre, la Regina della Notte. Tamino decide di liberare Pamina, supera
le prove e deve alla fine riconoscere che Sarastro non un malvagio. Al contrario
49 Kentridge, W., Black Box: zwischen Objektiv und Okular, in William Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p.
43.
50 Ibidem.
58
Sarastro, sacerdote della luce, ha rapito Pamina per salvarla dalla Regina della Notte
e per condurla alla luce. Lopera un serbatoio di metafore del passaggio dalle
tenebre alla luce, fino al trionfo del sole nella scena finale. Mozart non farebbe che
tradurre in opera musicale lallegoria della caverna di Platone della Repubblica.51 I
parallelismi sono molti: sorvolando su tutti i dettagli che accomunano lopera di
Mozart e lallegoria di Platone, Kentridge insiste sul motivo della coercizione ad
uscire alla luce e del passaggio dallignoranza alla conoscenza e alla giustizia. La
celebre allegoria, da cui si evince che chi uscito alla luce ha il dovere di costringere
anche gli altri ad uscire, a costo della violenza, fonda tutta la filosofia occidentale.
Ma che significa questo in termini cinematografici? - si chiede Kentridge - Che cosa
significa la percezione della pura, accecante luce?
Che quando non hai che sola luce, il film finito; la pellicola
scorsa per intero attraverso il proiettore, non rimane che
vuota luce. Nel cinema e nella fotografia questa luce continua,
assoluta, viene evitata, e si cerca invece di mantenere
lequilibrio, il gioco e il rapporto tra la luce e lombra.52
Quindi si chiede: che cosa possiamo imparare dallombra, dal nostro essere stati gi
nella caverna? Domanda provocatoria, se pensiamo alle conseguenze disastrose
51 Riportiamo alcuni passi dal celebre scritto: Dentro a una dimora sotterranea, a forma di caverna, con
lentrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che
vi stan dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, s da dover restare fermi e da poter vedere soltanto
in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la
luce dun fuoco e tra il fuoco e i prigionieri, corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere
costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare
al di sopra di essi i burattini. [...] Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di
ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate. I
prigionieri non possono vedere che le ombre; Per tali persone [...] la verit non pu essere altro che le
ombre degli oggetti artificiali ma esse potrebbero guarire dallincoscienza. Se uno fosse costretto ad
alzarsi, a guardarsi intorno e a vedere la luce, proverebbe dolore e il barbaglio lo renderebbe incapace di
scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Non sopporterebbe la luce e crederebbe vere le cose
che percepiva come ombre. Ma dovrebbe abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima
osserver, molto facilmente, le ombre, e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro
riflessi nellacqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della
luna, potr contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso pi facilmente che durante il giorno e la
luce del sole [...]. Alla fine, credo, potr osservare e contemplare quale veramente il sole, non le sue
immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, Platone, La Repubblica, VII, 515-516 (qui
dalla traduzione di Sartori, F., Laterza, 1982).
52 Kentridge W., Black Box: zwischen Objektiv und Okular, in William Kentridge, Black Box/Chambre Noire, p. 47.
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giustificabili: quante volte in nome del bene si commesso del male? nella
manipolazione e nella falsificazione del concetto di saggezza che Kentridge trova la
ragione di molte disgrazie accadute nei secoli, e lartista denuncia cos, ancora una
volta, le atrocit che il suo popolo ha visto e subto, soprattutto durante lera
coloniale; ed per questo che Kentridge colloca il suo Flauto magico alla fine
dellOttocento. Ciononostante, la rappresentazione termina nel momento in cui si
raggiunge la suprema saggezza, e quindi ha inizio una nuova vita; Kentridge,
attraverso la luce delle ultime scene, riesce a dare in extremis un segnale di speranza.
La metafora e limmagine dellapparecchio fotografico influenzano lartista
sudafricano non solo per le scenografie, ma anche per i costumi che sono realizzati
da Greta Goiris, e ricordano proprio lo stile coloniale tra fine Ottocento e inizio
Novecento. Gli abiti dei protagonisti della storia, dalle tenui tinte pastello che
saltano tra il rosa, lazzurro, il verde, larancio e il beige, costituiscono una delle
poche note di colore allinterno della produzione.
In conclusione lo spettacolo ideato da Kentridge un cammino, che nasce da quello
di iniziazione creato da Mozart e Schikaneder e che porta da un mondo di ombre e
oscurit ad una realt, che sfiora lultraterreno, formata da luce e amore, pace e
fratellanza. Il flauto magico un meraviglioso e fiabesco viaggio dalloscurit verso la
luce, unavventura che coinvolge adulti e ragazzi da pi di due secoli e che porta a
vivere unesperienza tanto divertente quanto profonda. La semplicit e la verit dei
personaggi, della storia e del tema trascinano in un mondo fatto di paesaggi lontani
e misteriosi, di caratteri positivi e negativi, di prove da superare, di animali, di oggetti
magici e strani simboli, che si incontrano e dialogano tra loro in unatmosfera ludica
e solenne allo stesso tempo. un percorso verso la sapienza e la saggezza attraverso
un gioco geometrico di coppie58, tra il bene e il male, la luce e lombra, luomo e la
donna. La magia, le luci, la purificazione sono il punto in comune tra lopera
mozartiana e larte di William Kentridge, che ripropone la scena attraverso un
surrealismo quasi magrittiano delle immagini. Kentridge si diverte a bagnare il
palcoscenico di luci, e di riflesso anche il pubblico, e gioca con le ombre. La tecnica
58 Bentivoglio, L., Il flauto magico, Televisione e Spettacoli, luglio 2005, p. 25.
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dei disegni a carboncino, semplice solo allapparenza, si accorda alla pseudoinfantilit dellavventura raccontata da Mozart e Schikaneder; ma sia lopera che la
tecnica aspirano a qualcosa di pi alto, vogliono creare un linguaggio facile,
universalmente comprensibile, che sia veicolo per trasmettere allumanit ideali e
valori profondi, che provengono dalle esperienze di vita degli autori.
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CONCLUSIONE
Mentre gli autori originari del Flauto magico si erano mossi nellintento di creare
unopera nazionale tedesca nel patriottico sogno di cooperazione alla nascita di un
teatro lirico nazionale,59 quello che ci siamo chiesti lungo questo percorso sono le
motivazioni che hanno condotto ancora oggi scultori, pittori, disegnatori e registi ad
essere sedotti dalla misteriosa promessa dello Singspiel mozartiano di una verit
nascosta.
Il flauto magico una storia che raggruppa lumanit nei valori e negli ideali in cui
Mozart ha creduto, e, tra questi, molti provengono dallideologia massonica. Iniziato
allordine nel 1784, il compositore ne aveva seguito lo spirito negli ideali umanitari,
in una lotta contro la superstizione e le ristrettezze spirituali in una mutua solidariet
e fraterna giustizia60 ed anche per questo che nellopera si narra la lotta tra
oscurit e luce, tra bene e male, tra Sarastro e la Regina della Notte, presentata
attraverso allestimenti meravigliosi e sfarzosi che ambientano i fatti in un mitologico
antico Egitto, e si risolve per mezzo dellamore puro e universale, come dimostrano
in scena le coppie Tamino e Pamina, Papageno e Papagena.
Forse grazie alle sue radici esoteriche, pertanto, Il flauto magico stato capace, e lo
ancora, di trasmettere attraverso la sua semplicit e disillusione messaggi di verit
altissime61 e l'applauso silenzioso con cui fu accolta lopera alla sua prima
rappresentazione dimostra la capacit che ha di coinvolgere in modo profondo e
commosso il pubblico, apparendo come qualcosa di pi di una felice collaborazione
tra musicista e scrittore attorno a uno dei tanti temi in auge in quella data epoca.
L'opera mozartiana si pu considerare non solo la spia di un conflitto tra fantasia e
razionalit e come un'eco del secolo dei lumi, ma forse ancora maggiormente come
un preannuncio del romanticismo e, per questo, pu essere intesa come una sorta di
segnale per le vicende future; vicende che, tramite la fabula di Schikaneder e
soprattutto la limpida musica di Mozart, valessero a illuminare l'umanit
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Filmografia
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APPENDICE ICONGRAFICA
Figura 1: Vincenzo Agnetti, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico
Figura 2: Hermann Albert, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"
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Figura 3: Mimmo Paladino, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"
Figura 4: Siegried Anzinger, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"
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Figura 5: Reiner Fetting, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"
Figura 6: Duccio Berti, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"
77
Figura 7: Giuseppe Maraniello, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"
Figura 8: Stephen Cox, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"
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Figura 9: Roman Scheidl, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"
Figura 10: Giulio Paolini, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto magico"
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Figura 11: Christina Kubish, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"
Figura 12: Jannis Kounellis, opera realizzata in occasione della mostra "Intorno al Flauto
magico"
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Figura 13: Marcello Bartoli interpreta Papageno in Il flauto magico di Emanuele Luzzati
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Figura 17: Tamino (sulla sinistra), Papageno (sulla destra) e le tre Dame in The magic flute di
Ingmar Bergman
Figura 18: Tamino (sulla sinistra), Papageno (sulla destra) e le tre Dame in The magic flute di
Kenneth Branagh
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