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Dal punto di vista dei contenuti tutti e tre i grandi tragici attingono al patrimonio culturale di eroi e eroine.

La società greca trova in


questo mondo la propria identità. Soltanto il mondo greco, così laico e privo della fede in una giustizia divina, poteva inventare la
tragedia che ha il centro nel tema del dolore e della sofferenza come conseguenza di un errore o di una colpa.

La presenza della divinità in Euripide è un fatto quasi formale, l’interesse si concentra sulla figura umana, la sua psicologia e i suoi
sentimenti del suo agire. In altri casi Euripide sperimenta genialmente una tragedia a lieto fine.

2- LA SCENA MEDIOEVALE

Con la dissoluzione dell’Impero Romano viene meno l’intero assetto culturale della società. Gli stessi edifici teatrali vanno in
rovina; l’attacco violento della chiesa nei confronti del teatro. I padri della Chiesa si scagliano con particolare violenza contro questa
realtà:

1- Tertulliano : paragona gli attori a delle prostitute perché fanno mercificazione del proprio corpo. Individua una vera e
propria ossessione dello sguardo: spettacolo è pericoloso perché è il luogo dove gli attori si presentano alla VISTA degli
spettatori.
2- Lattanzio: polemizza contro gli istrioni che con i loro effeminati corpi, rammolliti in abiti e comportamenti femminili,
simulano femmine impudiche con gesti disonesti e definisce le attrici con il nome di meretrici.
3- Agostino: lo spettacolo ha una grande capacità di toccare l’anima dello spettatore. Per la Chiesa l’attore è colui che
mente, che ammalia per la sua abilità a essere quello che non è.

Dopo la caduta dell’Impero romano il teatro si sposta in strada: sono i mimi a mantenere in piedi una qualche forma di
spettacolarità per le epoche considerate “senza teatro”.

Il giullare è un affabulatore che non rappresenta, ma monologa, senza un copione scritto, ma facendo riferimento alla memoria
orale.

Il Medioevo non possiede un’idea di teatro perché essa è distrutta, per un verso dalla caduta dell’Impero romano e dall’altro dalla
durissima campagna repressiva intrapresa dalla Chiesa nei confronti del teatro e dello spettacolo.

Nonostante la Chiesa bocci il teatro, ne prende spunto con le spettacolarizzazioni delle prediche: nasce così un teatro all’interno
della chiesa con lo scopo di catturare il pubblico dei fedeli; non c’è dunque da parte della cultura cristiana medioevale la nozione di
teatro, ma c’è il riconoscimento di una nozione di spettacolo.

La drammatizzazione delle prediche porta da un lato ad un’estensione e dall’altro ad uno slittamento linguistico dal latino ai diversi
volgari. Per esempio il “Jeu d’Adam” che tratta la storia di Adamo ed Eva, quella di Caino e Abele e termina con la sfilata dei Profeti
e l’annuncio della venuta di Cristo.

L’uso del volgare nei dialoghi è finalizzato al pubblico, costituito da un volgo ignorante, mentre il latino delle didascalie si rivolge
agli organizzatori dello spettacolo, quasi sicuramente ecclesiastici. C’è uno scarto evidente tra organizzatori dello spettacolo e
spettatori, ma anche tra organizzatori ed esecutori: i secondi possono anche essere laici illetterati, che devono solo sapersi
esprimere nella propria lingua madre, ma i primi non possono non appartenere alla classe ecclesiastica, in grado di comprendere le
note di regia, redatte in latino. Occorre istruire sia l’attore che impersona Adamo, sia gli attori che impersonano tutti gli altri
personaggi. Non per nulla l’istruttore era il nome del nostro attuale regista.

Il teatro religioso  i mysteres francesi, miracle plays inglesi, sacre rappresentazioni o laudi italiane, autos sacramenteles spagnoli,
oltre a varie vicende sulla vita dei santi, come imitatio Christi. Cristo rappresenta la contaminazione piena di stili: è il massimo
sublime, è il dio incarnato, che sperimenta le brutture e le ignominie del mondo. L’eroe della tragedia greca cade ma conserva
intatta la sua dignità, Cristo è il modello di un eroe non tragico, è un eroe bastonato, offeso, umiliato. La vicenda di Cristo passa
attraverso una serie di tappe, le unità di tempo e di luogo sono assolutamente improponibili.

Il gusto della mescolanza di stili spiega anche l’inserirsi, all’interno della vicenda religiosa, di intermezzi comici. Effetti ancora più
buffoneschi si determinano quando sono inseriti i contadini, presentati sempre come imbroglioni e ladri, secondo il dominante
punto di vista antivillanesco.

Da questo angolo concettuale ci sono elementi di contatto con il teatro greco: ancora una volta il teatro nasce in rapporto con la
religione; coinvolge l’intera comunità e non degli strati sociali ristretti, come avverrà con il teatro rinascimentale. Su un punto il
teatro medievale marca delle peculiarità divergenti rispetto al teatro greco: la non costruzione di luoghi specifici. È evidente che il
non costruire edifici teatrali è un modo di non riconoscere la realtà teatrale.

Il teatro moderno deve assai di più al teatro profano, che soprattutto verso la fine del Medioevo comincia a trovare una forma
sedimentata dentro ai meccanismi della festa.

3- Il PRIMO CINQUECENTO: IL RINASCIMENTO

Per tutto il Quattrocento è ancora largamente dominante in Europa il modello teatrale sacro. Ma proprio in Italia, nel corso del
Quattrocento, a differenza di quanto accade nel resto dell’Europa, si va riscoprendo la cultura classica ad opera degli umanisti. Le
accademie sono i primi centri di rielaborazione di questo enorme tesoro. Siamo all’invenzione del teatro moderno, nel senso
etimologico: inventio come ritrovamento, come riscoperta della classicità. È la corte a farsi centro di diffusione del nuovo teatro
classico. Nella corte è il teatro dentro la festa: il teatro prende parte in occasione di una ricorrenza festiva insieme a banchetti,
danze, giostre, tornei.

Questo tipo di teatro si riferisce ad una èlite. Spesso il committente dello spettacolo teatrale è il fruitore dello stesso: è questo il
fenomeno della privatizzazione del teatro. Il teatro serve a contrassegnare il potere, funzione come status symbol. Il teatro
allestito nel Palazzo del Principe presenta commedie e tragedie di stampo classico mentre al di fuori del palazzo, nelle piazze, il
popolo continua ad assistere alle tradizionali Sacre Rappresentazioni.

La diversità fra le due tipologie teatrali non sta solo sui contenuti, ma anche sulle scenografie: la scena medioevale presenta in
successione lineare tutti i luoghi dove si svolgeva l’azione, uno accanto all’altro, mentre in quella rinascimentale la scenografia si
unifica in un quadro solo, costituito da uno spicchio di città alle spalle degli attori. Le città riprodotte a teatro sono sempre perfette,
perché appunto hanno valore ideologico. Si fa inoltre uso della prospettiva, ignota al teatro medievale.

Il teatro nasce dentro al festa. La festa ha un committente, che è il principe, e il teatro è una parte di un tutto cui si applicano non
dei professionisti, ma dei dilettanti, che lo fanno per diletto. Il teatro nel Rinascimento è pur sempre attività marginale. C’è lo
spettacolo, ma non ci sono ancora le professioni dello spettacolo. Similmente i recitanti non sono attori bensì generici cortigiani,
persone che operano per puro piacere.

L’elemento dominante è l’eccezionalità della visione, è l’eccellenza della costruzione inaspettata, straordinari, che sorprende e
stupisce anche colui che ne è stato l’artefice. Il teatro del Rinascimento nasce sotto il segno di questa componente visionaria. Ciò
che ha prevalso nella cultura Occidentale è la visione frontale che separa nettamente attori e spettatori. C’è una grande superiorità
gerarchica e morale in chi guarda, rispetto a chi è guardato.

I primi due teatri in Italia sono della fine del Cinquecento: il Teatro Olimpico di Vicenza e il Teatro Olimpico di Sabbioneta. Gli
umanisti riscoprono il valore fondante del teatro, cemento della comunità, e chiedono pertanto la costruzione di teatri stabili.

Una buona idea di scena prospettica è fornita dal trattatista Sebastiano Serlio ne “Il secondo libro di prospettiva”: la scena
prospettica non è insomma veramente bidimensionale, ma in qualche modo risulta tridimensionale; non solo dipinta, ma anche in
qualche modo in rilievo. Gli attori sono costretti a recitare unicamente nel proscenio.

La commedia italiana del Cinquecento è propriamente il punto di incontro della tradizione dei commediografi latini e della
tradizione boccacciana. Un esempio è offerto dalla Calandria. Se il plot di questa riporta ai Menaechmi di Plauto, basta una piccola
modificazione del sesso dei due protagonisti a preparare svolgimenti di azioni che evidenziano un accento più equivoco, più
sensibile a una aperta allusività sessuale. Il greve moralismo della società morale non poteva consentire adulteri, che costituiscono
quasi la norma dell’universo giocoso della carnalità boccacciana.

Nella cultura cortigiana domina il gusto della varietà: a fianco di rappresentazioni di commedie latine e di commedie italiane,
troviamo anche la diversa spettacolarità minimo-gestuale di buffoni, giocolieri, mimi, danzatori. Uno di questi è il senese Niccolò
Campani, detto lo Strascino. Il Campani è la figura più nota di una realtà senese diffusa nel primo trentennio del secolo, fatta di
piccoli intellettuali di modesto livello culturale che amano scrivere e recitare tutta una ricca gamma di testi teatrali.

Oltre alle commedie cittadine e alle commedie rusticane, abbiamo le commedie pastorali nel Cinquecento (terzo genere) con il
capolavoro di Torquato Tasso, l’Aminta, rappresentata per la pria volta nel 1573.

A Venezia dietro alla realtà teatrale non c’era una corte, ma un sistema oligarchico. C’erano diverse compagnie teatrali dai nomi
scherzosi, che si preoccupavano di organizzare eventi ludici e festivi, per le ricorrenze del carnevale, ma anche soltanto per onorare

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