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l’arrivo in Città di ospiti illustri.

Troviamo attori, giocolieri, buffoni, ma anche professionisti del teatro, come l’attore lucchese
Francesco Nobili, detto Cherea. La sua presenza a Venezia è accertata a partire dal 1508.

L’industria tipografica veneziana è assai viva nei primi decenni del secolo dal punto di vista delle edizioni di testi teatrali. In questo
ambiente di varietà di stili spettacolari rappresentato dalla Venezia degni anni Venti si impone l’astro del padovano Angelo Beolco,
detto Ruzante. Certo il Beolco con La Pastoral tende a creare una commedia contadina accanto alla commedia dei pastori, sì che la
Pastoral diventerebbe una antipastorale, ma il processo non viene portato alle sue estreme conseguenze.

Angelo Beolco rappresenta l’esempio più alto di commedia villanesca, però la commedia villanesca non è solo Beolco. A Siena nel
1531 si forma una compagnia, la Compagnia dei Rozzi, che incentra il proprio lavoro entro l’orizzonte rusticano: chi aderisce alla
Congrega acquista il nome di “rozzo” ma ne perde la sostanza. La scelta dei Rozzi sta nel puntare quasi esclusivamente nel
personaggio villano, a differenza dei Pre-Rozzi.

Il più importante dei Rozzi, Salvestro il Fumoso, di professione cartaio. Scrisse fra il 1544 e il 1552 sei testi, quattro commedie
villanesche e due pastorali, che mettono tutte al centro dell’osservazione la figura del contadino. Il Capotondo (1550), che
assomiglia al Bilora ruzantiano, narra la storia di un cittadino che sceglie come amante la moglie di un contadino e chiede in cambio
un indennizzo di grano e olio. A parte il diverso esito, narrano la storia di contadini economicamente disperati, pronti a prostituire
in qualche modo le mogli. Fame e miseria determinano una serie di rapporti immorali in vicende immorali.

Anche a Firenze, come a Venezia, il teatro si sviluppa tardivamente a causa della mancanza di uno stato principesco ben radicato:
dove manca un’organizzazione principesca dello Stato non si dà invenzione al teatro, non si apre la cosiddetta scena cortigiana. A
Firenze è emblematica la figura dell’araldo, attore-autore di un teatro ancora non ben saldo nella città. Giorgio Vasari ricorda due
compagnie del piacere, quella del Paiuolo e quella della Cazzuola.

Se a Venezia è la scena villanesca che si impone, grazie alla fervida originalità linguistica e attoria di Angelo Beolco, A Firenze si
impone la scena cittadina, sotto la spinta dell’autentico capolavoro, quale è la Mandragola. C’è insomma uno spessore di vita
cittadina e borghese che emerge vistosamente dall’opera.

La Mandragola e la Clizia sono due commedie dello stesso autore con due maniere diverse per sottolineare gli stessi problemi, per
mettere a fuoco il milieu sociale di una borghesia cittadina del tempo della repubblica fiorentina di Soderini, divisa fra pubblici
affari e vizi privati, fra affari e sesso.

Ludovico Ariosto incomincia col teatro fra il 1508 e il 1509, costeggiando i modelli classici. Ariosto, da grande organizzatore del
teatro di corte, aiuta Beolco nelle sue perfomances ferraresi. Nel 1528 comincia a cambiare aria e con la sua Lena rompe con le
prime commedie plautineggianti; c’è ancora l’intreccio plautino, con il servo che aiuta il padrone, ma c’è anche un duro spaccato
sulla realtà sociale della Ferrara di quel tempo. Una moglie che si prostituisce per mantenere un marito poltrone, che si
imbestialisce facendosi animale da monta di 100 mascalzoni e un marito che le propone una lista sempre più lunga di clienti e la
sollecita al commercio anale.

Il frutto più maturo del realismo rinascimentale è rappresentato dalla Venexiana, con la sua centralità della realtà urbana di
Venezia. Narra la storia di due nobildonne che si contendono l’amore del bel Iulio, un forestiero milanese disinvolto e
spregiudicato. La Venexiana è un’anti-commedia, la commedia risulta sdoppiata in due commedie minori: il secondo e terzo atto
narra l’amore tra Iulio e Angelo e il quarto e il quinto quello tra Iulio e Valeria. Iulio non lascia Angela per Valeria, ma
semplicemente trascorre il tempo passando dall’una all’altra. Questa commedia rifiuta il finale e rappresenta perciò lo spaccato
della vita vissuta senza una conclusione, oltre al finale rifiuta anche le unità di tempo e di luogo.

Il tempo scandisce la durata del loro piacere. Nella commedia esiste uno spazio aperto, rappresentato dalle calli e dai canali e uno
spazio chiuso, quello delle abitazioni delle due donne. Lo spazio aperto è dissipazione, vuoto; lo spazio chiuso è simbolo di
privilegio, perché dentro quello spazio si svolge il solenne rito dell’amore, dell’eros, del piacere e diventa il simbolo di privilegio di
una classe borghese libera da esigenze economiche.

4- IL SECONDO CINQUECENTO: LA COMMEDIA DELL’ARTE

Alla data del 1547 sono già morti tutti i grandi autori della civiltà rinascimentale: Bembo, Castiglione, Ariosto, Guicciardini,
Machiavelli, Beolco, Folengo. La nascita della Commedia dell’Arte rappresenta la nascita di un modo diverso di fare teatro rispetto
al primo Cinquecento.

Leone de’ Sommi autore di un trattato “Quattro dialoghi in maniera di rappresentazioni sceniche”, l’originalità del suo trattato
consiste appunto nell’attenzione alla dimensione dello spettacolo. Il punto di vista privilegiato è quello dello spettatore, non quello
del lettore. Egli dichiara apertamente che ci può essere un testo bello sulla carta, che non risulta però tale sul palcoscenico e
viceversa. Ma è sorprende l’dea che ha dell’attore, al quale chiede di essere ubbidienti all’autore e di accettare lunghe prove; si
avvicina così alla linea del PROFESSIONISMO TEATRALE.

Il 25 febbraio del 1545 otto uomini si presentano davanti un notaio di Padova, per stipulare un contratto. Hanno deciso di costituirsi
in una sorta di società, per recitar commedie di loco in loco, al fine di guadagnar denaro. C’è uno spirito pratico, molto borghese,
che ha costituito un nuovo mestiere. Il teatro piace e si può campare di teatro: facendolo pagare, anziché regalandolo come si
usava prima nelle corti. Commedia dell’arte rinvia alle Arti e Corporazioni del Medioevo, dunque arte come mestiere.

E caratteristiche di questa nuova professione teatrale erano: far pagare il biglietto e ed essere sempre in viaggio, attori itineranti.
Oltre a queste due novità, c’erano quelle dei ruoli fissi, in cui ogni attore si specializza in una figura e la novità dei canovacci, che
sostituivano i testi scritti. I canovacci era un intreccio della commedia a grandi linee che dava molto spazio all’improvvisazione. Di
grande efficacia è la novità delle maschere. Le maschere sono tratte dal folklore, dalle pratiche carnevalesche, ma i qualche modo
sono implicite negli intrecci della commedia del Primo Cinquecento. Un’altra novità di grande importanza è costituita dal pluralismo
linguistico, in cui gli attori si esprimevano con vari dialetti, oltre al costituente italiano; La caratteristica più decisiva della Commedia
dell’Arte è però la piena valorizzazione del corpo, con una forte gestualità.

Ciò che determina il trionfo della Commedia dell’Arte è la comparsa rivoluzionaria della donna sul palcoscenico. Donna allettatrice:
per vendere qualsivoglia cosa nulla è più efficace di una donna più o meno svestita. Lo spettacolo del corpo femminile aumenta
l’industria dello spettacolo. Le donne attrici fanno una bella vita, ma pagano il prezzo di dover finire a letto con i maggiorenti,
perché sono tutte mezze-prostitute.

La Commedia dell’Arte ha una durata lunga, da metà Cinquecento a metà Seicento. Il picco di eccellenza di questa nuova forma
d’arte è nei decessi a cavallo fra fine ‘5500 e inizi ‘600, quando operano tre comici illustri, che sanno usare anche la penna: i coniugi
Andreini e Flaminio Scala.

Da un lato il canovaccio indica l’elenco delle Robbe per la Commedia, cioè l’elenco degli oggetti che serviranno agli interpreti e ha
una finalità pratica, dall’altro ogni canovaccio è introdotto da un Argomento e risponde a una finalità puramente narrativa.
L’ambientazione è quella delle troupes dei comici illustri, che arrivando in una città, affittano uno stanzone, dove si esibiscono a
pagamento.

Con il Ritratto Flaminio Scala ci offre la visione della realtà dei teatranti vista dall’interno. Vittoria è una attrice, prima donna della
compagnia, ma è anche una demi-mondaine, che si è conquistata perle e diamanti non solo grazie alle sua abilità attoriche, ma
soprattutto grazie alle sue abilità amatorie. E se i due vecchi Pantalone e Dottor Graziano sono attratti dal fascino dell’attrice,
anche l’attrice non nasconde la sua volontà di adescamento. Vittoria si muove come una prostituta di alto bordo, cercando
accanitamente informazioni su entrambi i borghesi che vorrebbero spennare.

Le attrici attirano gli uomini di ogni ceto e grado e disgregano l’unità familiare, determinando la rovina la rovina dei maschi e
generando gli adulteri dei mariti e dei padri di famiglia, e suscitando liti e questioni fra spasimanti rivali. Lo spettacolo è finito in una
rissa, così come denunciato tante volte dagli uomini di Chiesa nei loro pamphlets contro la Commedia dell’Arte. La commedia non si
limita ad offrirci un quadro realistico e spietato della condizione dell’attrice. Il Ritratto è l’unico canovaccio di ambiente borghese
dei cinquanta di Flaminio Scala. In questa commedia c’è un doppio adulterio: Pantalone e Graziano sono spostati rispettivamente a
Isabella e Flaminia, che hanno da tempo una relazione con i giovani Orazio e Flavio.

5- LA SCENA ELISABETTIANA TRA CINQUECENTO E SEICENTO

Tra la fine ‘400 e inizi ‘500 si realizza in Italia, all’interno delle corti, una rottura, uno strappo drastico rispetto alla tradizione
teatrale medievale: mentre nelle piazze il popolo continua a seguire spettacoli religiosi, all’interno dei palazzi, un pubblico elitario e
raffinato, fruisce di spettacoli laici. Solo la Francia subisce l’influsso del classicismo propagato dal Rinascimento Italiano; non per
nulla il ‘600 francese corrisponde grossomodo al ‘500 italiano.

La mescolanza di stili, cioè la contaminazione fra tragico e comico, che caratterizza lo spettacolo religioso medievale, si ritrova
puntualmente in Shakespeare. In tre tragedie shakespiriane non mancano scene di gusto comico-buffonesco. In Macbeth si impone
lo sproloquio dell’ubriaco, nell’Amleto introduce due clowns e nell’Otello c’è uno scambio di pesanti allusioni sessuali. Shakespeare
è in grado di leggere in latino, ma segue i gusti più semplici del suo pubblico.

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