di Roberto Alonge
Aristotele nella sua Poetica scrive che la tragedia nascerebbe “ da coloro che intonano il ditirambo” il teatro nasce insomma
in connessione con la religione (ditirambo = ). La parola tragedia dovrebbe voler dire “canto del capro”, forse in riferimento
agli uomini-capro a cui era affidata la celebrazione corale del dio Dioniso.
L’origine religiosa della tragedia non toglie che l’evento teatrale sia soprattutto uno spettacolo, come mostra l’etimologia della
parola teatro, dal verbo theàomai, cioè guardare. C’è teatro nella misura in cui qualcuno guarda e qualcuno è guardato.
Il teatro si realizza entro uno spazio ben definito, l’edificio teatrale greco utilizza per lo più un pendio naturale di una collina, su
cui viene impiantato un sistema di gradinate a semicerchio intorno al Coro. Sul fondo c’è lo Skené, che è un povero edificio che
serve all’attore per vestirsi.
Secondo le ipotesi oggi prevalenti gli attori agivano su un grande spazio di Orchestra e Skené. Almeno nel V secolo gli attori
non stanno su un palcoscenico, ma operano a livello-terra insieme al Coro (formano da dodici o quindici persone, inizialmente
aveva solo la funzione di commento alla vicenda, successivamente diventa un vero e proprio personaggio).
Inizialmente c’è un solo attore, Eschilo ne introduce un secondo e Sofocle ne inserisce un terzo, attori che sono sempre maschi
sino alla scena elisabettiana. Una caratteristica del teatro Greco è la presenza della maschera, simbolo del divenire altro da sé.
In Greco l’attore è chiamato “ hypokritès”, cioè colui che risponde, probabilmente nel senso di colui che risponde al Coro, ma
nelle lingue neo-latine diventa ipocrita, cioè qualcuno che mente, che assume falsamente le sembianze di un altro.
La maschera ha 2 funzioni:
Era lo Stato a pagare gli attori e quindi dovevano essere pochi e dovevano avere diverse abilità (dalla recitazione al canto). I primi
autori erano anche attori e qui la mancanza di didascalie perché l’attore essendo anche regista non aveva bisogno di segnare le
didascalie della messinscena.
Nonostante fosse uno spettacolo all’aperto, il teatro greco non ignorava del tutto effetti scenici prodotti da specifici artifici. Sono
infatti le divinità che compaiono in alto nei momenti decisivi: la Menachè è una sorta di gru che solleva in aria gli attori, come in
una specie di volo (es la Medea di Euripide) e il “deus ex machina” indica appunto l’intervento risolutivo di un dio che compare per
mezzo di un marchingegno.
Come detto prima lo Stato pagava gli attori e gli autori, mentre il Coro era retribuito da ricchi cittadini privati. Lo stato inoltre
rimborsava anche il biglietto al cittadino che ne faceva domanda. In conclusione possiamo dire che lo Stato di assumeva il peso di
un’iniziativa culturale perché riconosceva la funzione civile del teatro come modo di cementare la comunità.
Gli spettacoli teatrali si inserivano in una struttura agonale in cui tre autori presentavano una tetralogia di 3 tragedie e 1 dramma
satiresco. Una trilogia tragica giuntasi è l’Orestea di Eschilo (Agamennone, Coefore e Eumenidi). Erano previsti premi al miglior
autore, al miglior attore e al miglior Coro.
Nella sua Poetica Aristotele non detta delle norme; si limita a prendere atto di ciò che nei fatti accadeva nelle tragedie che leggeva.
Constatava cioè, semplicemente, che nella maggior parte delle tragedie la vicenda si svolgeva in un luogo fisso, senza cambiamenti
di scena; e si svolgeva “entro un solo volgere del sole”, da intendere o come un lasso di 24 h o 12 h.
In ogni caso i teorici classicisti del Rinascimento trasformarono quella che in Aristotele era una sola constatazione in OBBLIGO, in
criteri normativi e rigidi, validi sia per la tragedia sia per la commedia. Anche la divisione in cinque atti della tragedia non risale ad
Aristotele, ma si impose in epoca ellenistica.
Dal punto di vista dei contenuti tutti e tre i grandi tragici attingono al patrimonio culturale di eroi e eroine. La società greca trova in
questo mondo la propria identità. Soltanto il mondo greco, così laico e privo della fede in una giustizia divina, poteva inventare la
tragedia che ha il centro nel tema del dolore e della sofferenza come conseguenza di un errore o di una colpa.
La presenza della divinità in Euripide è un fatto quasi formale, l’interesse si concentra sulla figura umana, la sua psicologia e i suoi
sentimenti del suo agire. In altri casi Euripide sperimenta genialmente una tragedia a lieto fine.
2- LA SCENA MEDIOEVALE
Con la dissoluzione dell’Impero Romano viene meno l’intero assetto culturale della società. Gli stessi edifici teatrali vanno in
rovina; l’attacco violento della chiesa nei confronti del teatro. I padri della Chiesa si scagliano con particolare violenza contro questa
realtà:
1- Tertulliano : paragona gli attori a delle prostitute perché fanno mercificazione del proprio corpo. Individua una vera e
propria ossessione dello sguardo: spettacolo è pericoloso perché è il luogo dove gli attori si presentano alla VISTA degli
spettatori.
2- Lattanzio: polemizza contro gli istrioni che con i loro effeminati corpi, rammolliti in abiti e comportamenti femminili,
simulano femmine impudiche con gesti disonesti e definisce le attrici con il nome di meretrici.
3- Agostino: lo spettacolo ha una grande capacità di toccare l’anima dello spettatore. Per la Chiesa l’attore è colui che
mente, che ammalia per la sua abilità a essere quello che non è.
Dopo la caduta dell’Impero romano il teatro si sposta in strada: sono i mimi a mantenere in piedi una qualche forma di
spettacolarità per le epoche considerate “senza teatro”.
Il giullare è un affabulatore che non rappresenta, ma monologa, senza un copione scritto, ma facendo riferimento alla memoria
orale.
Il Medioevo non possiede un’idea di teatro perché essa è distrutta, per un verso dalla caduta dell’Impero romano e dall’altro dalla
durissima campagna repressiva intrapresa dalla Chiesa nei confronti del teatro e dello spettacolo.
Nonostante la Chiesa bocci il teatro, ne prende spunto con le spettacolarizzazioni delle prediche: nasce così un teatro all’interno
della chiesa con lo scopo di catturare il pubblico dei fedeli; non c’è dunque da parte della cultura cristiana medioevale la nozione di
teatro, ma c’è il riconoscimento di una nozione di spettacolo.
La drammatizzazione delle prediche porta da un lato ad un’estensione e dall’altro ad uno slittamento linguistico dal latino ai diversi
volgari. Per esempio il “Jeu d’Adam” che tratta la storia di Adamo ed Eva, quella di Caino e Abele e termina con la sfilata dei Profeti
e l’annuncio della venuta di Cristo.
L’uso del volgare nei dialoghi è finalizzato al pubblico, costituito da un volgo ignorante, mentre il latino delle didascalie si rivolge
agli organizzatori dello spettacolo, quasi sicuramente ecclesiastici. C’è uno scarto evidente tra organizzatori dello spettacolo e
spettatori, ma anche tra organizzatori ed esecutori: i secondi possono anche essere laici illetterati, che devono solo sapersi
esprimere nella propria lingua madre, ma i primi non possono non appartenere alla classe ecclesiastica, in grado di comprendere le
note di regia, redatte in latino. Occorre istruire sia l’attore che impersona Adamo, sia gli attori che impersonano tutti gli altri
personaggi. Non per nulla l’istruttore era il nome del nostro attuale regista.
Il teatro religioso i mysteres francesi, miracle plays inglesi, sacre rappresentazioni o laudi italiane, autos sacramenteles spagnoli,
oltre a varie vicende sulla vita dei santi, come imitatio Christi. Cristo rappresenta la contaminazione piena di stili: è il massimo
sublime, è il dio incarnato, che sperimenta le brutture e le ignominie del mondo. L’eroe della tragedia greca cade ma conserva
intatta la sua dignità, Cristo è il modello di un eroe non tragico, è un eroe bastonato, offeso, umiliato. La vicenda di Cristo passa
attraverso una serie di tappe, le unità di tempo e di luogo sono assolutamente improponibili.
Il gusto della mescolanza di stili spiega anche l’inserirsi, all’interno della vicenda religiosa, di intermezzi comici. Effetti ancora più
buffoneschi si determinano quando sono inseriti i contadini, presentati sempre come imbroglioni e ladri, secondo il dominante
punto di vista antivillanesco.
Da questo angolo concettuale ci sono elementi di contatto con il teatro greco: ancora una volta il teatro nasce in rapporto con la
religione; coinvolge l’intera comunità e non degli strati sociali ristretti, come avverrà con il teatro rinascimentale. Su un punto il