Sei sulla pagina 1di 2

teatro medievale marca delle peculiarità divergenti rispetto al teatro greco: la non costruzione di luoghi specifici.

È evidente che il
non costruire edifici teatrali è un modo di non riconoscere la realtà teatrale.

Il teatro moderno deve assai di più al teatro profano, che soprattutto verso la fine del Medioevo comincia a trovare una forma
sedimentata dentro ai meccanismi della festa.

3- Il PRIMO CINQUECENTO: IL RINASCIMENTO

Per tutto il Quattrocento è ancora largamente dominante in Europa il modello teatrale sacro. Ma proprio in Italia, nel corso del
Quattrocento, a differenza di quanto accade nel resto dell’Europa, si va riscoprendo la cultura classica ad opera degli umanisti. Le
accademie sono i primi centri di rielaborazione di questo enorme tesoro. Siamo all’invenzione del teatro moderno, nel senso
etimologico: inventio come ritrovamento, come riscoperta della classicità. È la corte a farsi centro di diffusione del nuovo teatro
classico. Nella corte è il teatro dentro la festa: il teatro prende parte in occasione di una ricorrenza festiva insieme a banchetti,
danze, giostre, tornei.

Questo tipo di teatro si riferisce ad una èlite. Spesso il committente dello spettacolo teatrale è il fruitore dello stesso: è questo il
fenomeno della privatizzazione del teatro. Il teatro serve a contrassegnare il potere, funzione come status symbol. Il teatro
allestito nel Palazzo del Principe presenta commedie e tragedie di stampo classico mentre al di fuori del palazzo, nelle piazze, il
popolo continua ad assistere alle tradizionali Sacre Rappresentazioni.

La diversità fra le due tipologie teatrali non sta solo sui contenuti, ma anche sulle scenografie: la scena medioevale presenta in
successione lineare tutti i luoghi dove si svolgeva l’azione, uno accanto all’altro, mentre in quella rinascimentale la scenografia si
unifica in un quadro solo, costituito da uno spicchio di città alle spalle degli attori. Le città riprodotte a teatro sono sempre perfette,
perché appunto hanno valore ideologico. Si fa inoltre uso della prospettiva, ignota al teatro medievale.

Il teatro nasce dentro al festa. La festa ha un committente, che è il principe, e il teatro è una parte di un tutto cui si applicano non
dei professionisti, ma dei dilettanti, che lo fanno per diletto. Il teatro nel Rinascimento è pur sempre attività marginale. C’è lo
spettacolo, ma non ci sono ancora le professioni dello spettacolo. Similmente i recitanti non sono attori bensì generici cortigiani,
persone che operano per puro piacere.

L’elemento dominante è l’eccezionalità della visione, è l’eccellenza della costruzione inaspettata, straordinari, che sorprende e
stupisce anche colui che ne è stato l’artefice. Il teatro del Rinascimento nasce sotto il segno di questa componente visionaria. Ciò
che ha prevalso nella cultura Occidentale è la visione frontale che separa nettamente attori e spettatori. C’è una grande superiorità
gerarchica e morale in chi guarda, rispetto a chi è guardato.

I primi due teatri in Italia sono della fine del Cinquecento: il Teatro Olimpico di Vicenza e il Teatro Olimpico di Sabbioneta. Gli
umanisti riscoprono il valore fondante del teatro, cemento della comunità, e chiedono pertanto la costruzione di teatri stabili.

Una buona idea di scena prospettica è fornita dal trattatista Sebastiano Serlio ne “Il secondo libro di prospettiva”: la scena
prospettica non è insomma veramente bidimensionale, ma in qualche modo risulta tridimensionale; non solo dipinta, ma anche in
qualche modo in rilievo. Gli attori sono costretti a recitare unicamente nel proscenio.

La commedia italiana del Cinquecento è propriamente il punto di incontro della tradizione dei commediografi latini e della
tradizione boccacciana. Un esempio è offerto dalla Calandria. Se il plot di questa riporta ai Menaechmi di Plauto, basta una piccola
modificazione del sesso dei due protagonisti a preparare svolgimenti di azioni che evidenziano un accento più equivoco, più
sensibile a una aperta allusività sessuale. Il greve moralismo della società morale non poteva consentire adulteri, che costituiscono
quasi la norma dell’universo giocoso della carnalità boccacciana.

Nella cultura cortigiana domina il gusto della varietà: a fianco di rappresentazioni di commedie latine e di commedie italiane,
troviamo anche la diversa spettacolarità minimo-gestuale di buffoni, giocolieri, mimi, danzatori. Uno di questi è il senese Niccolò
Campani, detto lo Strascino. Il Campani è la figura più nota di una realtà senese diffusa nel primo trentennio del secolo, fatta di
piccoli intellettuali di modesto livello culturale che amano scrivere e recitare tutta una ricca gamma di testi teatrali.

Oltre alle commedie cittadine e alle commedie rusticane, abbiamo le commedie pastorali nel Cinquecento (terzo genere) con il
capolavoro di Torquato Tasso, l’Aminta, rappresentata per la pria volta nel 1573.

A Venezia dietro alla realtà teatrale non c’era una corte, ma un sistema oligarchico. C’erano diverse compagnie teatrali dai nomi
scherzosi, che si preoccupavano di organizzare eventi ludici e festivi, per le ricorrenze del carnevale, ma anche soltanto per onorare
l’arrivo in Città di ospiti illustri. Troviamo attori, giocolieri, buffoni, ma anche professionisti del teatro, come l’attore lucchese
Francesco Nobili, detto Cherea. La sua presenza a Venezia è accertata a partire dal 1508.

L’industria tipografica veneziana è assai viva nei primi decenni del secolo dal punto di vista delle edizioni di testi teatrali. In questo
ambiente di varietà di stili spettacolari rappresentato dalla Venezia degni anni Venti si impone l’astro del padovano Angelo Beolco,
detto Ruzante. Certo il Beolco con La Pastoral tende a creare una commedia contadina accanto alla commedia dei pastori, sì che la
Pastoral diventerebbe una antipastorale, ma il processo non viene portato alle sue estreme conseguenze.

Angelo Beolco rappresenta l’esempio più alto di commedia villanesca, però la commedia villanesca non è solo Beolco. A Siena nel
1531 si forma una compagnia, la Compagnia dei Rozzi, che incentra il proprio lavoro entro l’orizzonte rusticano: chi aderisce alla
Congrega acquista il nome di “rozzo” ma ne perde la sostanza. La scelta dei Rozzi sta nel puntare quasi esclusivamente nel
personaggio villano, a differenza dei Pre-Rozzi.

Il più importante dei Rozzi, Salvestro il Fumoso, di professione cartaio. Scrisse fra il 1544 e il 1552 sei testi, quattro commedie
villanesche e due pastorali, che mettono tutte al centro dell’osservazione la figura del contadino. Il Capotondo (1550), che
assomiglia al Bilora ruzantiano, narra la storia di un cittadino che sceglie come amante la moglie di un contadino e chiede in cambio
un indennizzo di grano e olio. A parte il diverso esito, narrano la storia di contadini economicamente disperati, pronti a prostituire
in qualche modo le mogli. Fame e miseria determinano una serie di rapporti immorali in vicende immorali.

Anche a Firenze, come a Venezia, il teatro si sviluppa tardivamente a causa della mancanza di uno stato principesco ben radicato:
dove manca un’organizzazione principesca dello Stato non si dà invenzione al teatro, non si apre la cosiddetta scena cortigiana. A
Firenze è emblematica la figura dell’araldo, attore-autore di un teatro ancora non ben saldo nella città. Giorgio Vasari ricorda due
compagnie del piacere, quella del Paiuolo e quella della Cazzuola.

Se a Venezia è la scena villanesca che si impone, grazie alla fervida originalità linguistica e attoria di Angelo Beolco, A Firenze si
impone la scena cittadina, sotto la spinta dell’autentico capolavoro, quale è la Mandragola. C’è insomma uno spessore di vita
cittadina e borghese che emerge vistosamente dall’opera.

La Mandragola e la Clizia sono due commedie dello stesso autore con due maniere diverse per sottolineare gli stessi problemi, per
mettere a fuoco il milieu sociale di una borghesia cittadina del tempo della repubblica fiorentina di Soderini, divisa fra pubblici
affari e vizi privati, fra affari e sesso.

Ludovico Ariosto incomincia col teatro fra il 1508 e il 1509, costeggiando i modelli classici. Ariosto, da grande organizzatore del
teatro di corte, aiuta Beolco nelle sue perfomances ferraresi. Nel 1528 comincia a cambiare aria e con la sua Lena rompe con le
prime commedie plautineggianti; c’è ancora l’intreccio plautino, con il servo che aiuta il padrone, ma c’è anche un duro spaccato
sulla realtà sociale della Ferrara di quel tempo. Una moglie che si prostituisce per mantenere un marito poltrone, che si
imbestialisce facendosi animale da monta di 100 mascalzoni e un marito che le propone una lista sempre più lunga di clienti e la
sollecita al commercio anale.

Il frutto più maturo del realismo rinascimentale è rappresentato dalla Venexiana, con la sua centralità della realtà urbana di
Venezia. Narra la storia di due nobildonne che si contendono l’amore del bel Iulio, un forestiero milanese disinvolto e
spregiudicato. La Venexiana è un’anti-commedia, la commedia risulta sdoppiata in due commedie minori: il secondo e terzo atto
narra l’amore tra Iulio e Angelo e il quarto e il quinto quello tra Iulio e Valeria. Iulio non lascia Angela per Valeria, ma
semplicemente trascorre il tempo passando dall’una all’altra. Questa commedia rifiuta il finale e rappresenta perciò lo spaccato
della vita vissuta senza una conclusione, oltre al finale rifiuta anche le unità di tempo e di luogo.

Il tempo scandisce la durata del loro piacere. Nella commedia esiste uno spazio aperto, rappresentato dalle calli e dai canali e uno
spazio chiuso, quello delle abitazioni delle due donne. Lo spazio aperto è dissipazione, vuoto; lo spazio chiuso è simbolo di
privilegio, perché dentro quello spazio si svolge il solenne rito dell’amore, dell’eros, del piacere e diventa il simbolo di privilegio di
una classe borghese libera da esigenze economiche.

4- IL SECONDO CINQUECENTO: LA COMMEDIA DELL’ARTE

Alla data del 1547 sono già morti tutti i grandi autori della civiltà rinascimentale: Bembo, Castiglione, Ariosto, Guicciardini,
Machiavelli, Beolco, Folengo. La nascita della Commedia dell’Arte rappresenta la nascita di un modo diverso di fare teatro rispetto
al primo Cinquecento.

Leone de’ Sommi autore di un trattato “Quattro dialoghi in maniera di rappresentazioni sceniche”, l’originalità del suo trattato
consiste appunto nell’attenzione alla dimensione dello spettacolo. Il punto di vista privilegiato è quello dello spettatore, non quello

Potrebbero piacerti anche