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MARIANO d’AMORA
BULZONI EDITORE
in copertina:
Manifesto creato da Nicola D’Ammora
per lo spettacolo Scannasurece di e con E. Moscato, regia di A. Ruccello
ISBN 978-88-7870-617-0
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Il nostro Ruccello
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Se cantar mi fai d’amore...
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Il nostro Ruccello
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Se cantar mi fai d’amore...
Antonia Lezza
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La scena teatrale negli anni ’70
Il periodo che va dai primi anni Sessanta alla fine degli anni Set-
tanta è caratterizzato dalla nascita in tutto il paese di gruppi di teatro
sperimentale all’interno dei quali vengono accolte le istanze pedagogi-
che e drammaturgiche più innovative, si ricerca una forma teatrale che
possa «arrivare alla contestazione assoluta e totale»1. Momento cardine
per la sperimentazione di quegli anni è il convegno di Ivrea del 19672.
Gli argomenti dibattuti in quella sede diventano le fondamenta sulle qua-
li si costruisce tutto il teatro di sperimentazione e d’avanguardia di quel
periodo3. Vengono messi in discussione i concetti tradizionali di testo te-
atrale, regia, figura e ruolo dell’attore, luogo teatrale e spettatori. Primo
argomento di opposizione delle nuove istanze nei confronti del teatro
tradizionale è la contrapposizione tra il testo scritto e lo spettacolo nella
sua realizzazione completa. Al copione scritto dall’autore si oppone il te-
sto spettacolare, ossia quell’insieme di parole, azioni e movimenti cui
partecipano parimenti scenografi, registi, fonici, attori e in cui il testo
1
AA. VV, Per un convegno sul nuovo teatro, «Sipario», 247, 1966, p. 3.
2
Cfr. Marco De Marinis, Il nuovo teatro. 1947-1970, Milano, Bompiani, 1987,
pp.168-172.
3
Ricco di aneliti innovativi per la scena e puntuale risposta al congresso di Ivrea sarà
il Manifesto per un nuovo teatro scritto da Pier Paolo Pasolini nel 1968 apparso per la prima
volta sulla rivista «Nuovi Argomenti», 9, 1968, ed ora edito in Pier Paolo Pasolini, Saggi
sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 1999, vol. II, pp.
2481-2500.
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Se cantar mi fai d’amore...
scritto è solo una delle diverse componenti. Lo spettacolo non è più inte-
so come la messa in scena di un copione da parte degli attori, sotto la su-
pervisione di un regista che funge da garante del testo autorale, bensì
come la creazione di un nuovo testo complessivo pluricomposto:
ogni testo teatrale, anche contemporaneo, divenne sospetto tanto che gli
autori che scrivevano in quel momento ebbero difficoltà ancora maggiori
a venire interpretati. Sono il corpo e le sue forze segrete e profonde, si
pensava, a dover governare il teatro4.
4
Jean-Pierre Ryngaert, L’analisi del testo teatrale. Un’introduzione alla comprensio-
ne della drammaturgia, Roma, Dino Audino editore, 2006, p. 22.
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La scena teatrale negli anni ’70
Nel 1963 un gruppo di giovani si riunì per parlare di teatro, le strutture na-
poletane capaci, non dico di ospitare, ma per lo meno di recepire un discor-
so nuovo su tale argomento, erano allora assolutamente assenti. E in effetti
ci vorranno degli anni, parecchi, di dura fatica perché si possa parlare di te-
atro sperimentale a Napoli. Fu una struttura scolastica, nel ’63, quella cui
poterono appoggiarsi questi primi pionieri, e fu la prima e unica volta, nella
storia della ricerca teatrale napoletana che una simile struttura riuscì ad e-
sprimere una proposta viva, e vedremo poi quanto, e a sorreggerla per
qualche tempo. Nel giugno del 1963 il «Gruppo giovanile di studi teatrali»
presenta al Teatrino dell’Accademia di Belle Arti di Napoli uno spettacolo-
collage con brani di Checov (Sulla strada maestra), Pirandello (All’uscita),
Beckett (Finale di partita), Ionesco (La cantatrice calva)6.
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In questa breve panoramica risulterà intenzionalmente assente Roberto De Simone. La
sua vastissima produzione richiederebbe un’attenzione diversa. Basti pensare alla sua opera
maggiormente nota, anche in ambito internazionale, Gatta Cenerentola (tratta dalla sesta fiaba
della prima giornata de Lo cunto de li cunti di Basile) del 1976. Geniale operazione teatral-
musicale in cui De Simone unisce sapientemente passato e presente della cultura partenopea.
6
Giulio Baffi, Il teatro sperimentale a Napoli, «La Scrittura Scenica», 12, 1976, p. 1.
7
Vanno ricordate almeno tre regie di Magliulo: Annella di Porta Capuana del 1962,
L’osteria di Marechiaro del 1963 e La monaca fauza del 1964.
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Se cantar mi fai d’amore...
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Oltre le compagnie già citate si esibiranno in questa sala: Paolo Pietrangeli, Caterina
Bueno, Roberto Murolo, Concetta Barra, Otello Profazio, Giovanna Marini e Ivan della Mea.
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Da Viviani, Del Grosso prende in prestito l’idea del viaggio/indagine del sottoprole-
tariato residente nei vicoli della città.
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La trama del testo ben esprime le valenze politiche che nutrono l’attività di Del
Grosso. Durante l’attraversamento del deserto, il ricco mercante Mr Smith uccide il suo
servo. L’uomo gli si era avvicinato per offrirgli dell’acqua ma Smith, immaginando che vo-
lesse aggredirlo, con una pietra, lo uccide. Al processo verrà assolto per legittima difesa se-
condo la regola che lo sfruttato avesse in animo di aggredire il suo padrone, ed il mercante
non era tenuto a sapere che potesse esserci un’eccezione.
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Da notare che sia il «Play Studio» che il «Teatro Instabile» sono inizialmente collo-
cati a Via Martucci, strada a ridosso della mondana Via dei Mille frequentata dalla buona
borghesia cittadina. Tale collocazione riflette pienamente l’intento di questi gruppi di dar
vita ad una sorta di incontro/scontro con contesti culturali diversi dal proprio. Nel 1977 il
«TIN» chiude la sede di via Martucci per poi riaprire nel 2002 in Vico Purgatorio ad Arco
dove prosegue tuttora l’attività.
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Fra le produzioni in grado di riscuotere un vastissimo consenso di pubblico si ricor-
di l’allestimento della Cantata dei Pastori nella Galleria Umberto I di Napoli nel 1974.
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Fra gli altri testi scritti da Crescenzi in quel periodo vanno menzionati: Bianco gri-
gio e nero (varie edizioni), Disperatamente Napoli (1973-74), Na’ Babele (1974-75), Cam-
pania Felix (1975-76), Come festeggiare una festa? (1977-78).
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In riferimento all’attività di Crescenzi al Filangieri, Mazzarella scrive «[…] L’inte-
resse e la partecipazione dei ragazzi, finalmente stimolati da un rapporto né autorizzato né pa-
ternalistico, ma paritario, hanno consentito iniziative davvero notevoli. La pubblicazione di un
“giornalino” ciclostilato, l’allestimento di un presepe e di una rappresentazione con i burattini
di “Mahagonny” scandiscono le fasi centrali dell’intensa attività svolta da “Teatro Contro” nel
Filangieri» Arturo Mazzarella, Teatro contro l’emarginazione, «Paese Sera», 31 gennaio 1978.
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Seguiranno Ana/Logon nel 1968, Fall Out e Faust entrambi nel 1969 e L’enorme
tragedia del sogno (libero adattamento da un poema di Luciano del Caruso) nel 1970.
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Tra i loro spettacoli più significativi di quel periodo vanno citati: ’O Zappatore
(1972), King lacreme Lear napulitane (1973), Sudd (1974), Rusp spers (1976) e Avita a
murì (1978).
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Di Pugliese si ricordi almeno lo storico allestimento del Masaniello di Elvio Por-
ta nel 1974.
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Salomè (1973).
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Peccato fosse una sgualdrina (1970).
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Prove per una messinscena di Amleto di Shakespeare (1968), Macbeth (1969), Am-
leto o le disgrazie della virtù (1970), Macbeth o i contagiati dalla morte (1972).
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La Duchessa di Amalfi (1972).
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Si tenga conto anche dei due testi scritti dalla coppia (entrambi presentati nel 1971):
Mondo favola e Buongiorno signora Felicità, come sta il buon amico Benito? oltre Varietè
Varietè (1979), carrellata sul repertorio del teatro di Varietà della prima metà del Novecento
con figure e maschere tratte da Viviani, Totò, Cangiullo, De Angelis, Petrolini, Maiako-
vskij, Trilussa, Marinetti e Bréton.
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Lo stesso Vitiello fornisce utili informazioni in merito alla nascita di questo gruppo:
«Nel ’65 a Napoli non c’era niente che potesse far presagire l’apertura di uno spazio alternati-
vo. Il teatro stabile era stato chiuso pochi anni prima, trionfavano le forme dialettali, che peral-
tro funzionavano anche fuori Napoli (vedi Eduardo), si era legati insomma ad un teatro ufficia-
le. La nostra ricerca si mosse, su due binari: da un lato rappresentare in una struttura nuova
come la “cantina”, e dall’altro portare un linguaggio diverso in uno spazio minimo. L’opera-
zione teatrale era incentrata su testi inediti, nel senso che questi non erano stati tradotti in ita-
liano ed erano anche sconosciuti in Italia, come per esempio “I Negri” di Genet (inserito
nell’avanguardia francese del 1947-50». Intervista a Gennaro Vitiello di Delia Morea, «Napoli
oggi», 19 marzo 1980.
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La scena teatrale negli anni ’70
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Questo fu l’ultimo spettacolo del «Teatro Esse» e venne presentato all’interno della
rassegna Situazione - teatro curata da Mario e Luisa Santella nel febbraio di quell’anno al
Teatro Orione di Napoli.
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Nella teatrografia di Massarese degli anni successivi si ricordano: Farsa (1980), La
Maschera ed il suo amico il diavolo (1982), Le stanze del Castello (1984), I Mari del Sud
(1985-1995), Pulcinella. Il demonio e les amis du jeu (2001-2002), Alle soglie del Sacro
(2005), Il teatro Sommerso (2009).
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Fra i gruppi nati in quel periodo (1978) va ricordata la «Cooperativa Teatro», la cui
fondatrice Laura Angiulli guarda a Rosso di San Secondo e Marquez quali autori guida per i
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La scena teatrale negli anni ’70
Il palco non è più tale, ma nella finzione diviene il «dietro le quinte» do-
ve il pubblico è capitato per caso. Qui gli attori […], gli stessi che sul
palco recitano la «scena della rivoluzione tedesca», secondo la moda del
teatro politico molto diffuso all’indomani del primo grande conflitto, e-
splodono in improvvisazioni dadaiste. I moduli sono quelli della poesia
brutistica […], della poesia simultanea […], della poesia statica […], tutti
convergenti in una direzione antiestetica27.
suoi primi allestimenti. Da Marionette che passione è tratto Io sposo l’ombra, mentre
Cent’anni di solitudine è la fonte di Canto fermo.
27
Pasquale Sabbatino, Scene della rivoluzione tedesca con un pizzico di dadaismo,
«Avanti», 23 febbraio 1979.
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È pur vero che già alla fine degli anni Settanta, la critica incomincia a mettere in evi-
denza i limiti della stagione appena trascorsa «[…] oggi appare evidente che quel teatro di
“contestazione” conteneva insieme elementi utopistici ed elementi nostalgici, aveva un occhio
al futuro e l’altro al passato; l’utopia era ancora quella delle avanguardie storiche, che si potes-
se dall’interno dei linguaggi artistici e semplicemente rivelandone e ribaltandone i codici costi-
tutivi, rovesciare la critica della società presente in progettazione di una società futura; la no-
stalgia occupava tutto lo spazio del fallimento di quel progetto, in “una delle organizzazioni
già superate o mediante uno degli oggetti precedentemente scartati” secondo la meccanica de-
scritta da Freud a proposito del percorso difensivo e regressivo che il desiderio di realizzazione
compie quando la realtà rimane inesorabile». Franca Angelini, I Gruppi, la base, i bisogni,
«Quaderni di Teatro», 3, 1979, p. 14. Nondimeno per un’approfondita analisi del teatro di ri-
cerca sorto in questi anni si veda: Marta Porzio, La resistenza teatrale. Il teatro di ricerca a
Napoli dalle origini al terremoto, Roma, Bulzoni, 2011.
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Molto attivo anche in qualità di regista, Patroni Griffi cura gli allestimenti di due
spettacoli di Viviani. Entrambi contribuiscono enormemente alla rivalutazione del dramma-
turgo stabiese. Nel 1967 allestisce Napoli notte e giorno e nel 1975 Napoli: chi resta e chi
parte. Gli spettacoli sono composti da due atti unici, rispettivamente: Toledo di notte e La
musica dei ciechi; Caffè di notte e di giorno e Scalo marittimo.
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Rappresentato nel 1954 al Teatro Valle con la regia di Orazio Costa.
31
Il testo non è stato ancora rappresentato.
32
Anche questo lavoro non è stato mai messo in scena.
33
L'arbitro è forse il lavoro più rappresentato. Nel 1962 viene messo in scena dallo
Stabile di Genova, con la regia di Paolo Giuranna. Nel 1965, con la regia di Gennaro Ma-
gliulo, il testo viene allestito al Teatro Argentina di Roma. Interpreti: Renzo Giovanpietro,
Gigi Proietti, Armando Bandini, Carmen Scarpitta, Lea Padovani, Corrado Annicelli.
34
Con la regia dello stesso autore, il testo viene allestito dallo Stabile di Torino nel 1969.
35
Lo spettacolo debutta l’11 ottobre 1963 al Teatro La Fenice di Venezia nell’ambito
del XXII Festival internazionale del teatro di prosa. La regia è di Francesco Rosi. Il cast in-
clude: Lilla Brignone, Pupella Maggio, Ester Carloni, Clara Morabito, Margherita Lia Tala-
rico, Pasquale Squitieri, Giancarlo Giannini e Dalia Frediani.
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Lo spettacolo debutta al Teatro delle Arti di Roma l’11 gennaio 1974. Nel cast: Pu-
pella Maggio (Violante), Mariano Rigillo (Mariacallàs), Gabriele Lavia (Fred), Arnold
Wilkerson (Byron). La regia è curata dallo stesso autore.
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Scritto per Leopoldo Mastelloni, lo spettacolo debutta al Festival Benevento Città
Spettacolo nel settembre del 1983.
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La scena teatrale negli anni ’70
postuma della Napoli della sua giovinezza (quella della guerra e dell’im-
mediato dopoguerra), con Persone… siamo di fronte a una riscrittura
critica del proprio tempo e della propria cultura. Si tratta di un copione
altamente provocatorio, incentrato sulla rappresentazione del mondo
collaterale (rispetto a quello maggiormente noto, che definiremmo da
cartolina) di Napoli entro cui si muovono personaggi appartenenti agli
ambienti della prostituzione e del proletariato, dove la sconfitta assurge
a regola di una vita che si reinventa giorno dopo giorno attraverso e-
spedienti per sottrarsi alla fame e alla miseria. Un mondo fatto da indivi-
dui costretti all’umiliazione di professioni degradanti, all’azzardo conti-
nuo, alla sopravvivenza assurta a sistema di vita, costretti come sono
dalle proprie condizioni socio-economiche. Fra i quattro personaggi
che abitano il testo spiccano l’anziana proprietaria dell’appartamento in
cui si svolge l’azione, Violante e il travestito Mariacallàs38. L’ultimo
lavoro, Cammurriata, è composto in endecasillabi sciolti, organizzato
nella forma di una rapsodia in quindici quadri. Strutturalmente il testo
si discosta da Persone… presentando una serie di monologhi o brevi
dialoghi in versi interpretati da personaggi di varia provenienza, sebbe-
ne la maggioranza provenga dal mondo dei bassifondi napoletani, sen-
za che esista una vicenda unificante, un’ambientazione prestabilita, un
finale riassuntivo, secondo la struttura aperta del genere varietà. I temi
della malavita e del degrado umano e sociale s’intrecciano in un unico
corpo storico.
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Di particolare rilievo questo personaggio poiché come vedremo, ritornerà nella
drammaturgia di Ruccello.
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Annibale Ruccello (1956-1986).
Tradizione e futuro
1
Alcuni esempi concreti di questa strategia sono la riapertura nel novembre 1980 del
Teatro Nuovo nello stesso luogo dove sorgeva la prestigiosa sala settecentesca (sede di mol-
tissimi spettacoli di Viviani), distrutta da un incendio nel 1935 e usata per decenni come au-
torimessa. In questa sala, situata nei Quartieri Spagnoli, si esibiscono Moscato, Ruccello,
Santanelli, Martone, Neiwiller e moltissimi altri protagonisti della scena napoletana di que-
gli anni e degli anni successivi. Altri teatri, posti anch’essi in quartieri difficili della città,
sono la Galleria Toledo e il Teatro Elicantropo.
29
Se cantar mi fai d’amore...
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La connessione fra queste trasformazioni e l’identità dei personaggi di Ruccello tro-
va riscontro nei risultati delle indagini sociali svolte in quel periodo: «Il fenomeno migrato-
rio in Campania nel ventennio 1951-71 ha investito le zone della coltura di media attività di
colle e di monte e quelle di agricoltura particolarmente depressa della coltura estensiva ap-
penninica. Una prova tangibile di ciò sta nelle punte di spopolamento raggiunto nelle zone
interne dell’Avellinese e nei pressi del Cilento, dove in media l’emigrazione ha riguardato il
25% circa della popolazione. In totale del ventennio sono emigrate circa 800.000 unità di
cui circa il 60% nel decennio 1961-71 e circa il 58% dal complesso delle zone interne»
Guido Fabiani, Sergio Vellante, L’evoluzione delle strutture agricole 1921-1971, in Storia
della Campania, a cura di Francesco Barbagallo, Napoli, Guida editori, 1978, vol. II, p.
469. Questi dati confermano che: «Nel Mezzogiorno la regione più urbanizzata è la Cam-
pania con 87,11 maschi occupati in attività non agricole su 100 maschi occupati in com-
plesso.» Vincenzo Veneziano, Sul livello di urbanizzazione nelle regioni italiane, in «Ras-
segna Economica», 5, 1983, p. 1112.
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Annibale Ruccello (1956-1986)
Avendo scelto la crisi dello stato sociale come cantiere delle pro-
prie elaborazioni, Ruccello intraprende un percorso all’interno della
sottocultura campana. Tornano alla mente le parole di Pasolini sui na-
poletani:
Io so questo: che i napoletani sono oggi una grande tribù che anziché vi-
vere nel deserto o nella savana, come i Tuareg, vive nel ventre di una
grande città di mare. Questa tribù ha deciso di estinguersi rifiutando il
nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la mo-
dernità. […] Questo rifiuto è sacrosanto4.
3
Ruccello intervistato da Mario Prosperi in Week-end all’Orologio, «Il Tempo», 5
novembre 1983.
4
Dichiarazione di Pier Paolo Pasolini rilasciata ad Antonio Ghirelli nel 1971, in se-
guito pubblicata in Id., La napoletanità, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1976, pp. 15-
16. Ora in Pier Paolo Pasolini, La napoletanità, Saggi sulla politica e sulla società, edizione
diretta da Walter Siti, Milano, Mondadori, 1999, p. 230.
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Analizzando le mutazioni avvenute in seno alle famiglie italiane fra il 1953 e il 1983,
Pierpaolo Donati scrive: «In breve, c’è stato un consistente processo di «imborghesimento»
della famiglia italiana, ossia uno “spostamento verso l’alto” della stratificazione sociale, cui
sottostanno i notevoli miglioramenti del tenore materiale di vita, reddito e consumi […] non
poca parte della questione familiare giace qui: nel divario crescente fra le famiglie borghesi
che sono “emergenti”, con il loro stile di vita privatistico, edonistico, centrato sul successo, e le
famiglie di classe bassa o marginale che “restano indietro” rispetto ai processi di modernizza-
zione e di aggancio alle nuove opportunità, materiali e non, di vita». Id., L’emergere della fa-
miglia «auto-poietica», in Id. (a cura di), Primo rapporto sulla famiglia in Italia, Cinisello
Balsamo, Edizioni Paoline, 2009, p. 24.
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Annibale Ruccello (1956-1986)
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Sulla commistione fra sogno e realtà lo stesso Ruccello scrive: «Del resto questa di-
mensione di sogno collegata alla morte era già una presenza culturale del mondo antico e
nella stessa cultura tradizionale napoletana è presente il motivo che i sogni (o i numeri che
nei sogni compaiono o che dai sogni si possono trarre) sono mandati dalle anime dei morti.
La smorfia napoletana, collegata così strettamente al gioco della tombola (gioco natalizio),
è la chiave di volta per intendere questo rapporto sogno morte dove però compare anche
una simbologia di fertilità e di parto strettamente connessa, comunque al culto dei morti».
Id., Il sole e la maschera, Napoli, Guida editori, 1978, pp. 145-146.
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Se cantar mi fai d’amore...
volta non più diviso in atti o scene), preferendo che l’invenzione fanta-
stica prevalesse sul discorso concettuale, l’emozione sulla ragione di-
versamente Annibale Ruccello, al pari di altri drammaturghi napoletani
che si affacciano sulla scena in quel periodo (in particolare Enzo Mo-
scato)7 mostrano una certa determinazione nel prendere le distanze da
quel tipo di approccio. Nel momento in cui i legami fra drammaturgia
scritta e pratica scenica sembrano essersi notevolmente allentati, questi
giovani drammaturghi mostrano come tali legami possano spontanea-
mente rinsaldarsi, scegliendo di tornare alla struttura classica del testo
con tanto di tempi, quadri, trame, personaggi e didascalie. Nel loro
modo di costruire lo spettacolo si restituisce fiducia alla parola scritta
quale momento fondante dell’evento scenico, la si rivaluta come stru-
mento di offesa, di reazione, di vita e di comunicazione, le si restituisce
il peso portante della narrazione creando una tensione drammatica ine-
dita nel suo essere espressione di una dinamica dialogica. Una dinami-
ca che si costruisce attraverso un marcato contrasto fra costruzione
classica dello spettacolo e contenuti estremi, laddove le storie narrate
esprimono tinte fosche, drammatiche, concepite per esplorare le zone
più recondite dell’esistenza umana. Tuttavia, nel guardare a questa
scrittura, non si può parlare di tradimento verso il passato, bensì di na-
7
Si notano varie similitudini con Moscato. Laddove Ruccello inizia il suo percorso di
drammaturgo rivisitando la tradizione popolare campana (La cantata dei pastori e L’osteria
del melograno), allo stesso modo Moscato, con Carcioffola (1979), rivisita altre dramma-
turgie classiche partenopee, in particolar modo la sceneggiata, per rintracciarne progenitori
ed epigoni. Il travestitismo sarà, inoltre, presente in almeno tre testi di Moscato, Scannasu-
rece del 1981 (diretto dallo stesso Ruccello nella versione del 1984) Pièce Noire (1983) e
Ragazze sole con qualche esperienza del 1985 (Ruccello vi partecipa come attore con Mo-
scato). Moscato scriverà Compleanno, struggente omaggio alla memoria dell’amico scom-
parso nel 1986.
Altro drammaturgo con il quale l’autore stabiese stabilisce un rapporto di stretta collabo-
razione è Francesco Silvestri (interprete anche del ruolo di Anna nel primo allestimento de Le
cinque rose di Jennifer nel 1980). Non a caso, anche la drammaturgia di quest’ultimo si pre-
senta ricca: «di madonne e puttane, di figure dall’identità sessuale fluttuante, di anime in pena
e di altre pacificate, grazie anche alle vie crucis del dolore. Un magma ribollente eppure cheto,
fatto fluire lungo gli argini mai forzosi di una narrazione che prende in prestito dalla fiaba toni,
tempi, atmosfere». Antonio Calbi, Teatri di fiaba, fra candore e crudeltà, in Francesco Silvestri,
Teatro. Una rosa, due anime, tre angeli, quattro streghe, Roma, Gremese Editore, 2000, p. 6.
34
Annibale Ruccello (1956-1986)
8
Sul rapporto pratica scenica–scrittura si sofferma anche Tomasino: «È questa la sacca
napoletana. Lì, tra gli eredi autentici della commedia dell’arte, non sarebbe stato tollerato
l’intellettuale che non ama sporcarsi le mani con le pratiche, che consegna i propri fogli zeppi
di dialoghi e di “messaggi” pensati a tavolino ad un regista estraneo e occasionale di una com-
pagnia altrettanto estranea e occasionale […] Ruccello appartiene a questa razza di comme-
dianti dell’arte prima d’essere scrittore di drammi, anzi è scrittore di drammi proprio perché di
quella razza napoletanissima […]» Renato Tomasino, Il teatro di Ruccello fra tradizione ed
eccesso, in Teatro Italiano, a cura di Pietro Carriglio e Giorgio Strehler, Roma-Bari, Laterza,
1993, p. 297.
9
Oltre a Ruccello, fanno parte della compagnia: Carlo De Nonno (musicista), Lello
Guida (coautore di tre adattamenti), Vanni Baiano e Francesco Autiero (scenografi) e gli atto-
ri, Dora Romano, Paolo De Luca, Tito Del Gaudio, Salvatore Scarfato e Michele Di Nocera.
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Uno dei membri della compagnia fornisce indicazioni sul metodo di lavoro del
gruppo: «Consiste in una discussione critica su ogni punto della messa in scena; discussione
che continua fino all’ultimo giorno di prova e spesso anche durante gli spettacoli». Michele
di Nocera, intervistato da Giancarlo Laurini, Una scuola sul “Carro”, «Telecorriere», 29
aprile 1979.
11
Ruccello lavora come attore anche in spettacoli di cui non è autore fra il 1981 e il
1985 in Rottami da Ionesco, Pastareggina va in sposa ad Aniè di Fabio Storelli, Passeggia-
ta serale – Letteratura di Shnitzler e ne La tempesta di Shakespeare (oltre la già citata espe-
rienza con Moscato in Ragazze sole…).
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Come confermano in quegli anni Lupi e Aufiero, sottolineando le difficoltà dei gio-
vani drammaturghi italiani: «l’autore non solo scrive i suoi testi, ma partecipa attivamente
alla vita della compagnia come regista, come attore e anche produttore di se stesso» Paolo
Lupi e Raffaele Aufiero, Alla ricerca della nuova drammaturgia, «Ridotto», 11-12, 1984, p. 8.
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Se cantar mi fai d’amore...
Quasi sempre scrivo per dei corpi già precisi […]. Così è l’attore a dare al
personaggio alcune sue caratteristiche, già prima dell’interpretazione
[…]. Non credo nelle regie preconfezionate, è sempre il corpo dell’attore,
la sua sensibilità che cambia il personaggio che hai immaginato. Ed allo-
ra piuttosto che farlo diventare – come spesso avviene – per questa frattu-
ra fra ‘scrittura’ ed ‘interpretazione’ un punto di debolezza io cerco per
quanto possibile, di trasformare questa dinamica in un punto di forza.
Proprio con questo parziale aderire della scrittura scenica con il ‘corpo’
che lo interpreterà13.
La mia scuola migliore rimane e rimarrà sempre la strada, la gente che co-
nosco nei bar, negli autostop, principalmente la gente e i fatti che ho cono-
sciuto nella mia infanzia e nella mia adolescenza in una tranquilla, classica
e canonica cittadina di provincia del Sud. I loro volti, le loro espressioni, le
13
G. G., L. G. (a cura di), Ruccello una drammaturgia sui corpi, «Sipario», 466, 1987,
p. 72. Il rapporto ‘scrittura’ – ‘interpretazione’ di cui parla Ruccello secondo Wanda Monaco
proviene, più che dagli altri grandi del teatro napoletano, da Roberto De Simone: «Parados-
salmente, ma non troppo, si può dire che De Simone quando scrive i testi inverte i criteri della
distribuzione: cioè invece di avere dei personaggi da distribuire, vi sono degli attori addosso ai
quali creare i personaggi. Tale inversione del procedimento non avviene sulla base delle quali-
tà tecniche dell’attore, ma sulla base del suo rapporto con la realtà in quanto attore e in quanto
persona.» Id., op. cit., p. 248. Del resto, lo stesso Ruccello dichiara la sua ascendenza da De
Simone: «Da lui ho appreso l’insignificanza della comunicazione verbale e contenutistica a te-
atro, e l’importanza invece, di quella fonica e gestuale. Da lui ho acquisito l’uso dei personag-
gi in quanto comportamenti. Da lui infine ho imparato a costruire le “parti” sull’attore, sulle
sue debolezze e, perché no? Sui suoi difetti». Dichiarazione dell’autore in Annibale Ruccello,
a cura di Rodolfo di Giammarco, «Patalogo», 7, 1984, p 178.
36
Annibale Ruccello (1956-1986)
loro storie affollano il mio teatro, quando scrivo, ma soprattutto quando di-
rigo, e non è raro che può capitare che un’eroina di Schnitzler cammini
come la fruttivendola di sotto casa o parli come la maschera del cine-
ma/pidocchietto in cui ho visto tanti film in assolati pomeriggi estivi14.
14
Annibale Ruccello, Perché faccio il regista, «Sipario», 466, 1987, p. 8.
15
Dell’intenso rapporto con la città offre conferma lo stesso Ruccello: «Il primo punto
in comune con la “Nuova spettacolarità” è indubbiamente il rapporto con la metropoli.» G.
G., L. G. (a cura di), Ruccello una drammaturgia sui corpi, cit., p. 70.
16
A suo modo, già Testori si era posto il problema linguistico, in particolar modo con
opere come l’Ambleto (1972), dove irrompe senza pudori la caricatura e la scurrilità colta, o
col Macbetto (1974) composto in un singolare abbraccio fra italiano e dialetto, cultura alta e
linguaggio popolare. Entrambi i testi sono raccolti in Giovanni Testori, Opere, a cura di
Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani, 1997-2003.
17
A sostegno dell’operazione linguistica messa in atto da Ruccello, in cui il dialetto
diventa elemento identificativo di un determinato gruppo sociale, nel 1986 Raffaele La Ca-
pria scriverà: «Il dialetto, ecco cos’è che tiene insieme la mia tribù, l’unico elemento aggre-
gante in questa disgregazione. Non la politica, gli uomini, le istituzioni le vestigia del passa-
to, ma il dialetto, invisibile membrana maternale e tenace reticolo, è il luogo dove ancora si
37
Se cantar mi fai d’amore...
Se analizzo i miei testi dal punto di vista letterario la prima cosa che mi
appare evidente è il linguaggio (inteso proprio in senso di parola) afasico,
spento, insignificante, degradato, come poi sono le stesse storie che rac-
conto. Questo linguaggio così appiattito, così brutto, è quanto di più sgra-
devole mi è dato di subire acusticamente, eppure senza la sua reale esi-
stenza credo che difficilmente mi sarei messo a scrivere lavori teatrali. In-
fatti la repulsione che mi ispira è pari solo all’irresistibile attrazione che
mi porta a cogliere, ad annotarlo, a memorizzarlo […]20.
riconosce la comune identità napoletana». Id., L’Armonia perduta, in Opere, a cura di Sil-
vio Perrella, Milano, Mondadori, 2003, p. 652.
18
In merito all’incidenza dei mass media quali portatori di una lingua propria, Ruccel-
lo afferma: «[…] io non credo nell’italiano. Credo che sia una lingua inesistente, totalmente
inventata. Unico italiano vero è quello dei mass-media, il resto è un’invenzione degli intel-
lettuali» G. G, L. G. (a cura di), Ruccello una drammaturgia sui corpi, cit., p. 72.
19
Un’analisi della lingua adoperata da Ruccello nei suoi testi è sviluppata da Daria di
Bernardo, Plurilinguismo dei drammi di Ruccello, in «Linguistica e letteratura», XXXI, 1-
2, 2006, pp. 111-148.
20
A. Ruccello, Perché faccio il regista, cit., p. 8. Nello stesso numero di «Sipario» si ri-
porta un altro articolo di Ruccello nel quale il drammaturgo parla del diverso tipo lingua che
egli adopera rispetto a De Simone: « E poi c’è una scelta di De Simone che mi trova
d’accordo: lui ha individuato consapevolmente una comunicazione che è più fonica che con-
tenutistica. Ed i miei personaggi non comunicano mai per i contenuti, comunicano per forme e
per linguaggi. Anche se i miei linguaggi sono molto diversi da quelli di De Simone, lui tende a
un “musicale tornito” io preferisco un “musicale scassato” […] tendo molto a costruire per
linguaggi anche i personaggi. Spesso individuo prima un modo di parlare, e poi attorno a quel-
lo costruisco il personaggio vero e proprio». G. G, L. G. (a cura di), Ruccello una drammatur-
gia sui corpi, cit., p. 72.
38
Annibale Ruccello (1956-1986)
21
Ivi, p. 74.
22
Entrambi i drammaturghi nascono a Castellammare di Stabia (NA). Di Viviani
Ruccello apprezza: «la rappresentazione […] dell’emarginazione». Mentre di Eduardo:
«l’adesione al reale, al quotidiano.» Ivi, p. 72.
39
Se cantar mi fai d’amore...
23
Solo in Anna Cappelli non c’è alcun legame dei personaggi con il Meridione.
24
E in questo caso, ancor più che in precedenza, tale rapporto trova sostegno nelle anali-
si sociali condotte in quel periodo: «Migliaia di disoccupati, penuria di abitazioni e un alto
numero di alloggi in cattive condizioni, servizi sociali insufficienti e inefficaci […] sono alcuni
degli aspetti che rimangono costanti, durante gli anni Settanta […]. Questi elementi non fanno
mai di Napoli una realtà esterna e opposta alla struttura sociale del paese. La spiegazione di ciò
è da ricercare nel fatto che nella struttura sociale centrale del paese vengono immessi, attraver-
so il sistema istituzionale, i legami sociali pre-industriali partenopei, e non nell’affermarsi a
Napoli della centralità dei rapporti industriali.» Antimo Farro, Conflitti sociali nell’area di
Napoli (1970-1980), in «La Critica Sociologica», 65, 1983, p. 111.
25
Ruccello dichiara: «[…] in Italia non esiste quella che si può chiamare una dramma-
turgia nazionale, mentre in altri paesi (come Inghilterra, Germania, Francia, USA) abbiamo il
grosso autore, o i grossi autori e poi una fascia intermedia […] da noi c’è una totale assenza di
tutto ciò. Non c’è tessuto ma abbiamo degli autori isolati.» G. G., L. G. (a cura di), Ruccello
una drammaturgia sui corpi, cit., p. 70. La centralità occupata dalla drammaturgia napoletana
negli anni Ottanta viene testimoniata anche da Renzo Tian: «una germinazione spontanea di
autori, attori, registi, gruppi, progetti, come quella che questo decennio napoletano ha espres-
so, non ha riscontro in nessun altro luogo del nostro paese. E quando diciamo «luogo» di ger-
minazione non pensiamo a un luogo geografico definito, la città, la regione: ma piuttosto ad un
epicentro propulsivo, che da Napoli si propaga e si estende a una dimensione nazionale ed eu-
ropea.» Id. Il linguaggio teatrale «totale» della scena napoletana, in Il sentimento del dram-
matico, Cataloghi della Mostra La scrittura e il gesto. Itinerari del teatro napoletano dal Cin-
quecento ad oggi, a cura di Giulio Baffi, Napoli, Guida editori, 1982, p. 5.
40
Annibale Ruccello (1956-1986)
’50. Scaturisce invece assai più dal lavoro degli anni ’60 e ’70, dalla spe-
rimentazione che dalla drammaturgia tradizionale. Insomma, una genera-
zione che ha fatto una drammaturgia di regia più che di scrittura scenica,
di testo: una drammaturgia sui corpi. […] e per noi, che ci consideriamo
in qualche modo l’avanguardia degli anni ’80, c’erano due strade: una era
quella intrapresa dalla ‘Nuova spettacolarità’ che portava alle estreme
conseguenze il discorso d’un tipo di teatro di immagine e di suoni. La se-
conda era quella di ritorno ad una narrazione […]. Da qui la giustifica-
zione del termine ‘drammaturgia’26.
26
G. G., L. G. (a cura di), Ruccello una drammaturgia sui corpi, cit., p. 70. In tempi
recenti anche Enzo Moscato ha voluto chiarire la distanza fra il teatro di Ruccello e la
drammaturgia degli anni Settanta: «…nonostante quanto pensino e scrivano i censori, va-
riamente colorati, […] non c’è paragone alcuno, né continuità alcuna, che si possa stabilire,
tra l’assoluta e crudele innovazione immaginaria dei “thrillings” o gialli “Kammer-spielen”
di Annibale Ruccello e la medio-anonima produzione teatrale-grammatologica, napoletana
e nazionale, nata nella cosiddetta età di mezzo, cioè dal dopoguerra fino alla fine degli anni
Settanta…» Id., Lingue del teatro, Teatri delle lingue, in «QDLF- Studi», 2006, p. 94.
27
Rappresentata per la prima volta nel 1977 al Festival Off di Avignon, l’opera è ora
contenuta in Bernard Marie Koltès, Il ritorno al deserto e altri testi, Milano, Ubulibri, 1991.
28
Libertà a Brema viene pubblicato per la prima volta in Italia su «Sipario», 396,
1979, pp. 70-80. Il testo è ora raccolto in R. W. Fassbinder, Antiteatro II, Milano Ubulibri,
41
Se cantar mi fai d’amore...
la sua famiglia. Perché il desiderio di vita di queste due madri possa re-
alizzarsi, perché possano affrancarsi dal ruolo di animale domestico è
d’obbligo la morte dei propri cari (figli, marito, amante) totem monoli-
tici di una società opprimente e come tale elementi inibitori della pro-
pria felicità. Ma si avvertono rimandi anche a un certo teatro della sen-
sualità statunitense, ossia quello di Tennessee Williams. I testi di en-
trambi i drammaturghi appaiono intrisi di nostalgia per una realtà con-
tadina meridionale e antica, compromessa dai problemi di una civiltà
industriale. Il personaggio principale delle commedie di Williams, la
donna single, alcolizzata e (talvolta) ninfomane, espressione nostalgica
di un mondo irrecuperabile (fra tutte, vedi la Blanche di Un tram chia-
mato desiderio), rappresenta una considerevole base per le figure fem-
minili di Ruccello, anch’esse dilaniate da impulsi indecifrabili che ne
alterano il comportamento sociale. Talvolta anche le menomazioni fisi-
che divengono momento d’incontro, accade in Week-end dove la zop-
pia di cui soffre Ida è la stessa mostrata da Laura in Zoo di vetro, dive-
nendo in entrambi i casi pretesto per auto-emarginarsi dal mondo. Ma
sono presenti nelle opere di Ruccello anche suggestioni provenienti
dalla drammaturgia americana più recente. Quando, nel 1964, Lanford
Wilson presenta al Caffè Cino di New York The Madness of Lady
Bright, egli propone un personaggio che sarà largamente adottato da al-
tri autori americani contemporanei: il Travestito29. Pur essendo già ap-
parso sui palcoscenici statunitensi diversi anni prima con due comme-
die scritte dall’attrice Mae West The Drag (1927) e The Pleasure Man
(1928), nel suo essere intesa ormai come figura pansessuale, il Trave-
stitoincarna gli aneliti politico-sociali degli anni Sessanta, divenendo
veicoli di libertà, parità sociale, emarginazione e solitudine. Elementi
2002. Altri riferimenti a questo testo sono presenti nel paragrafo su Notturno di donna con
ospiti. Fassbinder si ispira per la sua protagonista ad una donna realmente esistita a Brema.
Arrestata nel gennaio del 1929, Geeshe venne condannata a morte per aver ucciso circa
quindici persone, in larga parte parenti: mariti, figli, padre e fratello.
29
Si pensi agli spettacoli alleastitida John Vaccaro, sempre al Caffè Cino, con la Ridi-
culus Theatrical Company: The Life of Lady Godiva, Screen Test, Indira Gandhhi’s Darng
Device (tutti dal 1966 e scritti da Ronald Tavel). Nonché ai testi di Charles Ludlam: Turds
in Hell (1969), Bluebeard (1970), e di Kenneth Bernard: The Moke-Eater (1968), Night
Club (1970), The Sixty Minute Queer Show (1977).
42
Annibale Ruccello (1956-1986)
30
Annibale Ruccello, Perché faccio il regista, cit. p. 8.
31
I testi sono ambientati a Lewisham, quartiere-sobborgo alle porte di Londra. Le
opere sono raccolte in Barrie Keeffe, Plays:1, London, Methuen, 2001.
32
Esemplare il dialogo tra fratello e sorella che conclude il testo:
ED You have had him six months; I’ll have him the next six. I am not robbing you of
him permanently.
KATH Aren’t you?
ED No question of it. (Pause). As long as you are prepared to accept the idea of
partnership.
ED Tu l’hai avuto per sei mesi; io l’avrò per i prossimi sei. Non te lo porto via per
sempre.
KATH No?
ED Certo che no. (Pausa). Fintanto che tu sei preparata all’idea di condividerlo.) Joe
Orton, Entertaining Mr Sloane, in The complete Plays, London, Methuen, 1976, p. 148. Al-
tre similitudini fra i due testi sono presenti nel paragrafo su Ferdinando.
33
È pur vero che l’ambiguità di Pinter è di natura ontologica, mentre in Ruccello ha
un fondamento onirico.
43
Se cantar mi fai d’amore...
progressiva maturità espressa dalla sua scrittura. Non a caso, fra gli e-
lementi che rendono così difficilmente resta il drammaturgo stabiese
catalogabile nel panorama teatrale italiano, va sottolineata la sua “di-
scontinuità”, ossia il persistente rivendicare una propria libertà di narra-
tore verso canoni precedentemente intrapresi. Tutto il suo opus dram-
maturgico ne è testimonianza. La fase di apprendistato in cui collabora
con Guida mostra una forte influenza di De Simone. Sembra che il re-
cupero della tradizione popolare campana e la matrice antropologica
siano elementi cardine del suo narrare, eppure di lì a poco lo spettro
d’analisi si amplia passando ad operazioni “meno partenopee” come I
gingilli indiscreti ed Ipata, opere nelle quali appaiono i primi turba-
menti sul proprio presente storico che ancor più convintamente si mate-
rializzeranno ne Le cinque rose di Jennifer. Ma subito dopo Ruccello,
tornando a lavorare con Guida, sceglie registri diversi operando un a-
dattamento in chiave umoristica de L’ereditiera (che porta con sé anche
un ritorno temporale ai primi del Novecento). Seguono due momenti di
profonda analisi del proprio presente storico, Notturno di donna con
ospiti e Week end (ed a suo modo rientra in questa fase anche
l’adattamento de La ciociara). La critica incomincia a riconoscere a
Ruccello un ruolo di profondo indagatore del proprio tempo, ma ancora
una volta egli cambia direzione compiendo un balzo all’indietro, non
solo di natura temporale ma ancor più di natura linguistica e così, in un
momento in cui altri gruppi teatrali partenopei abbandonano Napoli (e
la sua lingua), Ruccello scrive Ferdinando, un testo in napoletano
dell’Ottocento dove la lingua figura come protagonista assoluta della
storia34. Ciò che risulta interessante notare a questo punto è come i
molti riferimenti letterari contenuti nella trama (Proust, Pirandello,
Lorca, De Roberto, Tomasi di Lampedusa, Orton) non subordinano più
la scrittura, al contrario vengono magistralmente inglobati nel tessuto
narrativo. Il palcoscenico partenopeo, scenario e luogo di culto dell’im-
maginario collettivo, è divenuto crogiuolo in grado di contenere e rein-
terpretare aneliti internazionali.
34
Si potrebbe citare anche Mamma. Piccole tragedie minimali, ma va ricordato che il
testo è composto in larga parte da monologhi provenienti da suoi testi precedenti.
44
Annibale Ruccello (1956-1986)
45
Un primo esperimento:
Il rione
1
Il testo viene scritto nel 1973 per, poi, essere depositato in SIAE il 29 dicembre 2004
quando compare in Annibale Ruccello, Scritti inediti. Una commedia e dieci saggi. Con un
percorso critico di Rita Picchi, Roma, Gremese Editore, 2004, pp. 52-109. La commedia
non è stata ancora allestita.
47
Se cantar mi fai d’amore...
ROSANNA […] Nun ce stà nu vascio, ’na famiglia ca nu’ tene ’o piec-
co. E se nu’ fanno ’e bonecrestiane fanno ’e cuntrabbenne-
2
Il rione, p. 52. Si noti che anche l’intestazione delle scene è in dialetto: SCENA PRIMA:
ANNANZE A NU VASCIO (davanti a un basso), ivi, p. 52. In precedenza solo Eduardo era arri-
vato ad una tale mimesi con il napoletano: «’O vascio ’e donn’ Amalia Jovine» Id., Napoli
milionaria!, Torino, Einaudi, 1979, p. 5.
3
Vedi (solo per citarne alcune): ’O vico, Tuledo ’e notte, ’Mmiezo ’a ferrovia,
’Nterr’’a Mmaculatella, Porta Capuana, ’O cafè ’e notte e gghiurno, Eden Teatro, ’O Spo-
salizio, Circo Equestre Sgueglia. Cfr: Raffaele Viviani, Teatro, a cura di Guido Davico Bo-
nino, Antonia Lezza, Pasquale Scialò, Napoli, Guida editori, 1987-1991.
4
L’Altare per l’Immacolata. Il rione, p. 67.
5
Ivi, p. 66.
6
Ivi, p. 62.
48
Il rione
C’è poi Catello9, mite padre di famiglia che, dopo aver perso il la-
voro, ha sviluppato una filosofia di vita tutta sua: “ ’a rassegnazione”10.
Questo personaggio rivela un secondo nume guida nella scrittura del
testo: De Filippo. I riferimenti a Natale in casa Cupiello e a Questi fan-
tasmi sono evidenti fin dalla prima scena in cui Catello esordisce la-
mentando la pessima qualità del caffè mattutino di sua moglie Teresa:
7
Non c’è basso o famiglia che non abbia un problema. E se non fanno la vita fanno il
contrabbando, i mariti rubano, uccidono, stanno in prigione. Forse è stata la guerra: così di-
cono tutte, e allora così deve essere. Ivi, p. 71.
8
Poi venne la malattia, l’ospedale. Quindici giorni senza nemmeno una visita: sola
come un cane.[…] E così ho incominciato a pensare a voi, al quartiere, alle amiche; mi è
mancata la forza di continuare a lottare, a combattere, e forse ho pensato che era meglio se
tornavo a fare la vita di prima: più povera forse, ma più felice. Ivi, p. 90.
9
Da notare che il personaggio porta il nome del Patrono di Castellammare di Stabia
(San Catello), città di Ruccello. Inoltre questo nome tornerà ancora in Ferdinando nel per-
sonaggio del sacerdote (Don Catello).
10
Il rione, p. 75.
49
Se cantar mi fai d’amore...
11
CATELLO Teresa, ti ho detto cento volte che io, la mattina, il caffè lo desidero fresco;
e caldo, bollente. Invece questo è avanzo di caffè di ieri mattina e in più è freddo! Lo potevi
almeno riscaldare un po’ […]
TERESA (Scatta inviperita) Catello, adesso ti ci metti pure tu. A me, del tuo caffè non
importa niente; freddo, caldo, te lo bevi com’è, e sennò, te lo vai a prendere al bar. A chi
vuoi annoiare pure tu, con questo caffè ad inizio giornata!
CATELLO […] NO (a Teresa) ma sai cos’è. La vita è già è quella che è, se poi ci togli
pure quelle poche soddisfazioni che ti rimangono, a che serve vivere? La cosa più bella del-
la giornata è il caffè alla mattina. (rivolto anche agli altri) sarà un luogo comune di noi na-
poletani ma veramente se io la mattina non bevo quella tazzina di caffè, non mi sento in me;
non so, ti svegli con la bocca tutta impastata, secca, e quel sorso di caffè, quel sorso di roba
calda sembra che ti dica: buongiorno; ti sei svegliato nervoso stamattina? Vieni qua che
t’aggiusto io![…]. Ivi, pp. 60-61.
50
Il rione
CATELLO E chello pure a me, si fosse pe’ muglierema e pe’ i figli miei,
manco se facesse niente. Ma io no, ce songo attaccato a cierti
ccose. A’ casa mia s’è fatto sempre ’o presebbio, e si nu Na-
tale n’’o facesse, me paresse nu malaurio. Loro nun se ne
’mportano niente, ma a me me serve pe tenè na speranzella,
nu poco ’e alleria, pe penzà ca ce sta ancora quacche cosa
dinto, ca nun simmo diventate indifferenti interamente12.
12
CATELLO E certo, se dipendesse da mia moglie e dai miei figli, non si farebbe niente.
Ma io no, ci sono affezionato a certe cose. A casa mia si è fatto sempre il presepe, e se un
Natale non si facesse, mi sembrerebbe di cattivo augurio. A loro non importa niente, ma a
me serve per conservare una piccola speranza, un po’ di allegria, per pensare che abbiamo
ancora qualcosa dentro, che non siamo diventati del tutto indifferenti. Ivi, p. 74.
13
PASQUALE La conosce mezza Napoli! La conoscono tutti! Questa lurida, quando di-
ceva che andava a far visita all’amica, andava a passeggiare sui marciapiedi di Chiaia! E ne
raccattava di clienti! STRONZAA! Ivi, p. 99.
51
Se cantar mi fai d’amore...
14
CATELLO Adesso vieni qua, da papà. Non fare così. Dai bella di papà non è successo
niente. Doveva andare così. I poveri non li aiuta mai nessuno, devono aiutarsi con le proprie
mani, si debbono far forza da soli. Ma non vinceranno mai, non saranno mai più forti dei
soldi. Dobbiamo rassegnarci. Ivi, p. 101.
15
Aurelio De Simone ha voluto dare alla gente una faccia falsa, che non era sua! Crede-
va di prendere in giro gli altri, ma la gente è stata più furba di lui! Si è saputo lo stesso! Lo sa
tutto il rione! Me l’hanno detto, me l’hanno rinfacciato, come se io avessi mai dato fastidio a
loro. Ivi, p. 105.
52
Il rione
16
Ivi, p. 70.
17
Già nel suo primo saggio Il sole e la maschera Ruccello rileva il legame profondo
tra il mondo dei morti e la rappresentazione popolare del Natale restituita dal Presepe. Id., Il
sole e la maschera, Napoli Guida editori, 1978, pp. 221-231. Inoltre, la presenza di un buon
numero di titoli sulla morte, trovati nella biblioteca dell’autore, conferma l’interesse di
Ruccello su questo argomento. Si va da Morte e pianto rituale nel mondo antico di Ernesto
De Martino ad Antropologia della morte di Louis Vincent Thomas e I vivi e la mor-
te:Saggio sulla morte nei paesi capitalistici di Jean Ziegler.
53
Crogiuolo di una drammaturgia in divenire:
La cantata dei pastori
1
Le rappresentazioni di questo spettacolo sono intervallate dalle due versioni de
L’osteria del melograno. La prima versione della Cantata debutta a Castellammare di Sta-
bia al teatro Salesiani il 23 dicembre 1976. Nel cast figurano, fra gli altri, lo stesso Ruccello
(Razzullo), Lello Guida (Giuseppe), Dora Romano (Gabriel, in osservanza alla tradizione
che vuole questo personaggio interpretato da una ragazza), Vanni Baiano (Ruscellio), Mi-
chele Di Nocera (Sarchiapone) e Francesco Autiero (Belfegor). Segue, fra il 1977 e ’78, il
debutto alle Terme di Castellammare della versione in tre atti de L’osteria. Poi una seconda
ripresa della Cantata (l’unica depositata in SIAE con data 19 ottobre 1978) in una versione
più arricchita musicalmente al Teatro Dehon di S. Antonio Abate (NA) ed infine una ver-
sione in due atti de L’osteria.
2
Usando lo pseudonimo Dottor Casmiro Ruggiero Ogone, Perrucci pubblica il testo
nel 1698 con il titolo Il Vero Lume, tra l’Ombre overo La Spelonca Arricchita per la Nasci-
ta del Verbo Umanato. Di nascita palermitano, Perrucci si trasferisce a Napoli all’età di otto
anni, dopo la peste del 1656. Qui studia Grammatica presso i Padri Gesuiti, Filosofia presso
i Domenicani e successivamente Giurisprudenza, laureandosi nel Collegio Napoletano dei
Dottori in Diritto Canonico. Nel 1699 pubblica il trattato Dell’arte rappresentativa preme-
ditata, ed all’improvviso. Un’opera di particolare rilevanza poiché si propone quale primo
studio dell’arte della recitazione. Cfr. Mariano d’Amora, Viaggio verso l’attore, Roma,
Bulzoni, 2007, pp. 36-37.
55
Se cantar mi fai d’amore...
3
Una volta i diavoli lo legano ad un albero per ucciderlo, un’altra volta lo fanno nau-
fragare durante una tempesta in un’imbarcazione troppo esile, poi gli scagliano contro un
drago volante che vomita fuoco e fiamme.
4
Ruccello scrive: «Ma se la presenza di Razzullo come “maschera” era necessaria alla
rappresentazione, bisognava però renderla inoffensiva e piegarla alle esigenze mistificanti
del teatro gesuitico. E così nell’azione teatrale del Perrucci, Razzullo, da maschera di Largo
Castello viene promosso scrivano divenendo così uno di quei «tipi napoletani» di cui
[…]abbondava il teatro gesuitico. Inoltre gli si nega qualsiasi secondo zanni o alter-ego con
cui dialogare e lo si costringe in una recitazione senza lazzi, ove il lazzo, che era appunto ti-
pico della commedia dell’arte, poteva permettere proprio la denuncia di quelle scottanti re-
altà psicologiche e sociali che il nostro autore tendeva a negare.» Id., Il sole e la maschera,
cit., pp. 48-49.
56
La cantata dei pastori
[…] nel tentativo di recuperare quanti più motivi possibili ai fini di una
successiva deformazione in chiave bigotta e reazionaria, il Perrucci invo-
lontariamente offrì l’opportunità alle classi popolari campane per una
continua trasgressione del testo e per un autentico trionfo delle istanze
più decisive della cultura tradizionale. Evidentemente i segni utilizzati
avevano una tale forza intrinseca e venivano estratti da una cultura tal-
mente radicata, che qualsiasi tipo di operazione che non fosse tesa alla
riaffermazione di questa, doveva comunque fallire5.
5
Annibale Ruccello, programma di sala de La cantata dei pastori, Castellammare di
Stabia, Tip. Fedeli, (anno non indicato), p. 3. Storiche rivisitazioni del testo perrucciano so-
no contenute in Roberto De Simone, La Cantata dei pastori, Torino, Einaudi, 2000.
6
Ivi, p. 6.
57
Se cantar mi fai d’amore...
zione con canovacci della tradizione, fino a diventare una delle più sen-
tite manifestazioni partenopee collegata alle festività natalizie, con re-
pliche dal 24 dicembre al 6 gennaio7. La figura che maggiormente te-
stimonia l’incontro fra verso barocco e canovacci popolari è quella di
Sarchiapone. Assente nella versione originale del Perrucci, questo per-
sonaggio viene inserito nel testo agli inizi del Settecento, rappresentan-
do, con Razzullo, il punto di confluenza delle istanze culturali ed emo-
tive di una popolazione da sempre oppressa e repressa, qual è quella
partenopea8. La comune origine fa sì che i due personaggi, pur trovan-
dosi nel bosco di notte, si riconoscano immediatamente (generando
immediati lazzi e risate):
7
Nel racconto di Benedetto Croce spettatore della Cantata, troviamo conferma delle
contaminazioni avvenute: «L’ultima volta che vi ho assistito è stata nello scorso anno 1888,
nel teatro della Fenice, dove era preceduto da un goffo prologo in versi, zeppo di spropositi
e non certo lavoro dell’abile Perrucci, nel quale compariva Plutone, che con le quattro “Fu-
rie”, Asmodeo, Belfegor, Astaroth e Belzebù, deliberava di opporsi all’opera della Reden-
zione». Id., I Teatri di Napoli, Milano, Adelphi, 1992, p. 133. Inoltre, il radicamento popo-
lare dell’opera trova riscontro anche nella composizione del cast artistico, formato da attori
non identificabili mediante un cognome ma solo attraverso un soprannome con il quale ri-
sultavano noti all’anagrafe popolare: «[…] la Madonna poteva essere «Nannina ’a buvare-
se»; San Giuseppe: «Ciciarotto d’’e beduine» oppure «Zi’ Tore d’’o Pennino»; il cacciatore
poteva essere «Tonino d’aglietiello», «Cenzeniello palla-’argiento », «Arpino ’e truppicel-
la», mentre il pescatore Ruscellio era «Mariettiello pesce d’oro» oppure «Gennariello sette-
capocchie» […] e via discorrendo» R. De Simone, La Cantata dei pastori, cit., p. XIII.
8
Cfr. Vittorio Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli, Guida editori, 1969, p. 222.
58
La cantata dei pastori
9
A. Ruccello, La cantata dei pastori, cit., p. 15.
RAZZULLO Spirito va’ indietro! / SARCHIAPONE Infilati in corpo il contabbasso! /RAZZULLO
Spirito maiurino! SARCHIAPONE Infilati in corpo il violino! / RAZZULLO Bello be’! / SAR-
CHIAPONE Brutto bru! […]. SARCHIAPONE A te chi t’ha partorito? / RAZZULLO Io sono nato a
Napoli! / SARCHIAPONE Vattene cane da guardia!/che gente così brutta non c’è in quel pae-
se!/Tu hai la coda dietro e sembri una scimmia giapponese! RAZZULLO Perché non sarei di
Napoli? / SARCHIAPONE Vattene ti sei sbagliato!/Mica Napoli ha prodotti mostri simili! […]
/ RAZZULLO Va’ a morir di subito, parla proprio lui!/E da quando i napoletani hanno anche
la gobba? / SARCHIAPONE Noi siamo sette fratelli e io sono quello più bellino!/ RAZZULLO E
gli altri pure hanno la gobba? / SARCHIAPONE Sicuro!/ […] / SARCHIAPONE Ma visto che
siamo anche paesani/Dammi un abbraccio, stringimi la mano/dei giovani belli io sono il
campione / RAZZULLO Io sono Razzullo! / SARCHAIAPONE E io sono Sarchiapone… Come
stai… Sto bene.
59
Se cantar mi fai d’amore...
10
Annibale Ruccello, programma di sala della Cantata dei Pastori, cit., p. 6. Ad esem-
pio, in merito all’interpretazione di Belfegor Ruccello scrive: «Per quanto riguarda la comuni-
cazione gestuale di tale personaggio, c’è da dire, che la caratteristica principale richiesta dal
pubblico a chi lo interpreta è che sappia cadere […]. Fra gli altri segni gestuali del diavolo,
anche questi molto attesi dal pubblico tradizionale, vi è anche quello del caratteristico rumore
che producono le catene volutamente battute contro la placca metallica che cinge la vita
dell’attore; nei momenti di maggiore pathos recitativo i migliori interpreti del personaggio so-
no in grado di compiere autentici virtuosismi esasperati con il gesto di scuotere le braccia e ca-
tene che mentre in altre forme di teatro risulterebbero solo un inutile istrionismo, qui acquista-
no la loro giusta valenza culturale.». Id., Il sole e la maschera, cit., pp.129-130.
60
La cantata dei pastori
Tutti gli elementi citati ritorneranno nei testi della maturità a riprova
di una caratteristica essenziale della drammaturgia di Ruccello: l’inseri-
mento in un contesto contemporaneo di elementi provenienti dalla tradi-
zione campana, attraverso una riconfigurazione critica degli stessi.
11
Annibale Ruccello, programma di sala della Cantata dei Pastori, cit., p. 8.
12
Ibidem.
61
Scrivendo con Lello Guida:
L’osteria del melograno, L’asino d’oro,
L’ereditiera
Nel 1977 Ruccello scrive con Lello Guida L’osteria del melogra-
no1. Largamente debitore a Lo cunto de li cunti di Giovanbattista Basile
e a La cantata dei pastori dell’Abate Perrucci, il testo contiene le regi-
strazioni di racconti popolari raccolti durante le ricerche svolte da Ruc-
cello nella provincia di Napoli2. Da quel materiale i due autori traggono
un testo affollato di personaggi di varia estrazione che, seppur disomo-
genei ai fini di un plot unitario, contribuiscono a dar vita ad un mondo
che si schiude allo spettatore nell’alternanza di canti e filastrocche, riti
e credenze. Nondimeno si scelgono quale perno centrale della narra-
zione i personaggi di Caterina e della vecchia Narratrice3 che scandisce
il tempo raccontando storie. Se Caterina contiene evidenti rimandi alla
1
Il testo viene depositato in SIAE il 1 gennaio 1977 e debutta lo stesso anno alle
Terme di Castellammare di Stabia (Na). Gli interpreti sono: Paola De Luca, Vanni Baiano,
Milena Fravola, Tito Del Gaudio, Nello Scarfato, Sergio Esposito, Pierluigi Fiorenza, Dora
Romano, Luisa Bruno, Angelo Manzi e gli stessi Ruccello e Guida.
2
È comunque ipotizzabile che, alla luce del notevole successo ottenuto nel 1976 (oltre
alla partecipazione durante le prove dello stesso Ruccello), anche Gatta cenerentola di De
Simone abbia svolto una significativa influenza su questo lavoro.
3
La didascalia presenta il personaggio come: «una donna anziana vestita del nero
delle monache di casa» Ruccello, Guida, L’osteria del melograno, p. 3. Questa e le succes-
sive citazioni sono tratte dal copione depositato nel 1977.
63
Se cantar mi fai d’amore...
4
La fiaba venne raccolta successivamente (su segnalazione di Ermanno Ruccello, pa-
dre di Annibale) da R. De Simone in Fiabe campane. I novantanove racconti delle dieci
notti, Torino, Einaudi, 1994, pp. 332-345.
5
Id., La festa della Madonna delle galline a Pagani, in Scritti inediti, cit. pp. 131-132.
6
La scelta dell’osteria quale location unica del testo riflette la presenza costante di
questo ambiente in larga parte del repertorio narrativo della tradizione campana. Nella can-
tata dei pastori, ad esempio, Belfegor, travestito da Oste, cerca di adescare la sacra coppia
per sopprimere la Madre vergine.
7
L’osteria del melograno, p. 3.
8
CAVALIERE […] Prepara presto la tavola e il letto/Che fra un po’ arriva il matrimo-
nio/La messa alla cappella è stata detta/ e gli sposi non devono più aspettare. Ivi, p. 3.
64
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
monete d’oro e si allontana. Nella prima versione del testo, dopo l’usci-
ta della Morte, l’Oste intona un canto con la figlia durante il quale assi-
stiamo alla sua trasformazione «in una donna vestita di verde e di rosso
con una maschera fallica sul viso»9. La metamorfosi del genitore da
maschile in femminile esprime un ulteriore momento di connessione
con la tradizione campana. Questa pratica, infatti, è riscontrabile ne La
canzone di Zeza, momento di teatro popolare risalente al 1500, in scena
nel periodo di Carnevale. In questa rappresentazione il ruolo di Zeza, la
madre fallica ed ossessiva, viene interpretato da un uomo (lo stesso va-
le anche per gli altri personaggi femminili). L’azione presenta quattro
maschere: Pulcinella, sua moglie Zeza, la figlia Tolla e Don Nicola
Pacchesicco, pretendente alla mano della ragazza. Pulcinella non desi-
dera che sua figlia si sposi, mentre Zeza, intrigante e ruffiana, lascia
che i due s’incontrino per scambiarsi la promessa di nozze. Dinanzi
all’ennesimo rifiuto di Pulcinella, Don Nicola s’arma di fucile e spara
fra le gambe al suocero. Solo a questo punto il genitore è costretto a da-
re il suo consenso alle nozze. Se da un lato, il comportamento di Zeza
trova riflesso nelle azioni dell’Ostessa (impegnata a garantire un buon
marito alla figlia), dall’altro, è significativo notare come la castrazione
di Pulcinella rappresenti un atto simbolico che esprime la condizione di
subalternità della figura maschile verso quella femminile. Condizione
che Ruccello riprenderà più volte nei drammi che scriverà in seguito.
Dopo il ballo, l’Oste si ritira ma non prima di aver chiesto alla fi-
glia di servirgli «sette cutenelle»10. A questo punto, dinanzi all’angoscia
della ragazza incapace di soddisfare la richiesta paterna, la Narratrice
inizia il racconto de ’O fatto ’e Miezu Culillo11. Al termine entra in
scena il personaggio dell’Orco seguito dall’Ostessa: «il cui ruolo è ri-
coperto dallo stesso attore che ha ricoperto quello di oste»12. L’Orco,
9
L’osteria del melograno (prima versione.), p. 8.
10
Il numero delle costolette non è casuale. Nel Cunto troviamo, infatti, una fiaba dal
titolo: Le sette cotonelle, in G. Basile, Lo cunto de li cunti, a cura di Michele Rak, Milano,
Garzanti, 1998, pp. 716-727.
11
’O fatto ’e Miezu Culillo è un’altra fiaba proveniente dalla tradizione campana e
successivamente raccolta da De Simone in Fiabe campane, cit. p. 1283-1285.
12
L’osteria del melograno, p. 11. La scelta di affidare ad un unico interprete entrambi
65
Se cantar mi fai d’amore...
i ruoli dei genitori della protagonista verrà adottata da Ruccello anche in Notturno di donna
con ospiti: «La mamma di Adriana – il cui ruolo è sintomaticamente ricoperto dallo stesso
attore che interpreta il ruolo del padre…» Notturno di donna con ospiti, Napoli, Guida edi-
tori, 1993, p. 98. Mentre ne L’ereditiera troviamo un altro esempio di travestitismo: «Ap-
paiono in scena Donna Margherita (il cui ruolo sarà rivestito dallo stesso attore che inter-
preta Don Ciccillo)» Guida, Ruccello, L’ereditiera, p. 10 (copione depositato in SIAE il 30
giugno 1982). E ancora ne I gingilli indiscreti: «Sopraggiunge una donna vestita da papa» I
gingilli indiscreti, p. 3. Infine in Ipata: «[…] appare un uomo travestito che intona la se-
guente canzone» Ipata, pp. 11-12.
13
OSTESSA […] Di certo non davamo i tovaglioli d‘argento per far pulire la bocca a un
porco! ...Figlia mia tu devi sposarti un principe bello come il sole! L’osteria del melograno,
p. 20.
14
Ivi, p. 28.
66
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
15
Il personaggio di Sciocà deriva dall’Antonio protagonista della fiaba Lu cunto
dell’uerco nel Pentamerone. Entrambi, infatti, avuto in dono un asino fatato vengono truffa-
ti da un oste. Si notano tuttavia due differenze, nel testo di Guida e Ruccello, Sciocà viene
truffato da un’ostessa e mai riavrà il suo asino. Nel testo di Basile, Antonio viene truffato da
un oste ed alla fine riesce a recuperare il maltolto. G. Basile, op. cit., pp. 32-47. Un asino
dalle doti particolari è presente anche in ’O ciuccio caca denari, poi raccolta da De Simone
in Fiabe campane, cit., pp., 540-553.
16
L’osteria del melograno, p. 45.
17
Abbiamo visto come questo personaggio sia già presente nel testo. Il riferimento è
anche in questo caso a Lu cunto dell’uerco, op. cit., pp. 32-47. Ma ancora una volta, il finale
viene cambiato poiché, in questo caso, la madre, stufa dell’ingenuità del figlio «pigliaie nu
piso tanto ruosso c’’chiavaie ’ncapa, e ntrummete e ntrummete ’o ’cceriette ’e mazzate»
(afferrai un peso grandissimo e glielo diedi sulla testa fino ad ucciderlo) L’osteria del melo-
grano, p. 52.
67
Se cantar mi fai d’amore...
neo dove brilla solo, per un istante, l’argentea falce del cavaliere»)18.
Nel terzo atto19, in un’osteria ormai vuota, entrano tre Orientali vestiti
di bianco. Gli uomini sono lì per uccidere l’Oste, colpevole di avergli
rubato l’oro20. Portato a termine il proprio compito, uno dei tre cerca di
abusare di Caterina ma la ragazza, armata di coltello, decapita il suo
aggressore. Altri personaggi, altre azioni si susseguono (non ultimo un
altro tentativo di aggressione ai danni di Caterina da parte del Monaco,
poi ucciso da Sciocà), fino all’ingresso dell’ultimo personaggio, il Bri-
gante (travestito da Monaca). A dimostrazione che l’arco narrativo è
ormai giunto a conclusione, il terzo atto si chiude mostrando Caterina
che «si colloca nel punto preciso dell’inizio del primo atto»21, mentre
la Narratrice riprende:
18
Ivi, p. 60. L’apparizione della morte al termine del banchetto ricorda l’apparizione
del Convitato di Pietra nel Don Giovanni di Mozart.
19
Ivi, p. 60. Esistono due versioni del testo. Dopo la prima rappresentazione, il copio-
ne subisce dei tagli passando da una struttura in tre atti ad una in due. Un cambiamento si-
mile comporta il decadimento di quei personaggi presenti solo nel terzo atto, ad esempio:
Gli orientali e il Brigante. Si notano, inoltre, episodi di riscrittura. Uno di questi lo si riscon-
tra all’inizio del primo atto ed è riscontrabile nella favola raccontata dalla Narratrice. Nella
versione in tre atti, l’anziana donna narra la prima parte della fiaba che riprenderà, poi, nel
secondo e terzo atto, ossia quella in cui racconta di un re che, affranto per la morte di parto
della consorte, decide di rinchiudersi in convento e del desiderio della figlia d’incontrare il
genitore mai conosciuto. Nella versione in due atti, invece, la donna narra di Mastu Franci-
sco e dei suoi tre stratagemmi per sfuggire alla morte. Anche questa fiaba sarà, poi, raccolta
da R. De Simone in Fiabe campane, cit. p. 178-195.
20
Anche qui si rimanda a Lu cunto. Nel testo sono presenti diverse fiabe in cui l’oste
viene descritto come un lestofante dedito a truffare i propri clienti per impossessarsi dei loro
beni. In particolar modo Lo cunto dell’uerco, in G. Basile, op. cit. pp. 32-47.
21
L’osteria del melograno, p. 79.
22
NARRATRICE E c’era una volta un vecchio e una vecchia/sopra un monte dietro a
uno specchio. Ivi, p. 79.
68
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
Dall’inizio alla fine, per l’intera durata dei tre atti, c’era al proscenio un
antico telaio. E dietro il telaio una vecchia, la nonna di Catarinella. In o-
gnuno dei tre atti, era – ostentatamente – il primo personaggio ad entrare
in scena e l’ultimo a uscirne: tesseva e raccontava fiabe, non v’era occa-
sione o battuta del dialogo che non gliene rammentasse una. Lei stessa, la
nonna di Catarinella, era ormai diventata una fiaba. Era la Fiaba in sé, che
veniva così esaltata in quanto genere letterario autoctono e originale e
contemporaneamente riletta in chiave critica più esattamente in chiave
69
Se cantar mi fai d’amore...
Noi speriamo con i nostri lavori di fare un discorso che serva a far luce sia
sull’utilizzo che oggi si può fare di una serie di fatti popolari, sia sui mec-
canismi inconsci […] Con l’Osteria, ad esempio, tramite il meccanismo
popolare della fiaba abbiamo messo in scena la conflittualità del rapporto
23
Enrico Fiore, Il rito l’esilio, la peste, Milano, Ubulibri, 2002, p. 50.
24
NARRATRICE E mentre le sventurate urlavano, l’orco se le mangiò tutt’e due.
L’osteria del melograno, p. 11.
70
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
25
Intervista ad Annibale Ruccello in G. Laurini, Una scuola sul “Carro”, cit., p. 7.
Lo spettacolo non ottiene il favore della critica: «La voglia di questi giovani […] li porta ad
esibire tutta insieme, e senza il dovuto controllo, l’enorme quantità di materiale raccolto nel
corso di una lunga ed appassionata ricerca. Ne deriva uno spettacolo a volte prolisso e in
più punti squilibrato, anche perché appare evidente una frattura a livello dei registri stilisti-
ci; si passa con eccessiva disinvoltura dal tono naturalistico a quello, per così dire, brechtia-
no.» Enrico Fiore, La nonna fiaba, «Paese Sera», 4 settembre 1977.
26
Il testo viene depositato in SIAE il 6 giugno 1980. Lo spettacolo debutta al teatro
Cilea di Napoli nel febbraio del 1981. Gli interpreti sono: Annibale Ruccello, Gigi D’Auria,
Michele Di Nocera, Dora Romano, Fabrizio Massaccesi, Maria Rosarosa e Andrea Vanaco-
re. La regia è di Ruccello. In seguito il testo viene rielaborato e il 15 dicembre dello stesso
anno, con il titolo di Ipata, viene riproposto al Teatro in Trastevere di Roma.
71
Se cantar mi fai d’amore...
27
«Il giorno in cui la cifra dei morti toccò la trentina, Bernard Rieux guardava il dispac-
cio ufficiale che il prefetto gli aveva passato dicendo: “Hanno avuto paura”. Il dispaccio reca-
va: “Si dichiari lo stato di peste. La città sia chiusa.”» Albert Camus, La peste, Milano, R. L. Li-
bri, 2005, p. 59.
28
Guida, Ruccello, Ipata, pp. 2-3. Questa e le successive citazioni sono tratte dal co-
pione depositato in SIAE nel giugno dell’80.
29
Ivi., p. 10.
30
Ivi, p. 11.
72
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
31
Ivi, p. 16.
32
Ivi, p. 18. Shakespeare è il drammaturgo maggiormente presente nel testo con chiari
rimandi ad altre sue tragedie. La prima fa riferimento alla scena di morte dei due protagoni-
sti di Romeo e Giulietta:
PSICHE Cos’è? Stringe tra le mani una fiala, il mio fedele amore?... Veleno…!Così si è
ucciso: il fiore della sua vita. Egoista!... Tutto se l’è bevuto, e non ha avuto la premura di la-
sciarmene una goccia che mi avrebbe aiutato. Ivi, p. 10. La seconda a Giulio Cesare:
73
Se cantar mi fai d’amore...
La regina si desta e con una danza fra lei e Lucio inizia la loro storia
d’amore33.
74
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
plessa serie di suggestioni che vanno dal tema dello ‘straniero’ suggerito
da Camus (è straniero l’uomo al mondo o il mondo all’uomo?) fino a
quello della ‘malattia’ secondo Kafka e Thomas Mann36.
Sul piano della scrittura, rispetto al lavoro svolto con L’osteria del
melograno, stavolta l’uso delle citazioni (pur dimostrando ancora una
forte subalternità del testo) viene spinto oltre diventando “tecnica di
scrittura” laddove ogni parola presente nel copione proviene da fonti
esterne. Bisognerà attendere la nascita di Jennifer perché si incominci a
ribaltare questa condizione, raggiungendo poi il momento di maggior
completezza con Ferdinando.
36
Enrico Fiore, Al Pacuvio il teatro arriva sul “Carro”, «Paese Sera», 24 maggio 1980.
37
Lo spettacolo debutta il 3 luglio del 1982 al Teatro Quartiere di Milano. Interpreti:
Annibale Ruccello, Tonia Guarino, Michele Di Nocera, Anita Cappelluti, Andrea Vanaco-
re, Enzo Piccolo, Rossella Ciocca. Regia di A. Ruccello. Il forte cambiamento rispetto a Le
cinque rose di Jennifer (presentato nel 1980), spiazza una parte della critica: «Diciamo su-
bito che “Hollywood-Napoli” non mantiene le premesse de “Le cinque rose di Jennifer” o
almeno lo fa solo in parte. Annibale Ruccello sembra infatti con questo lavoro aver scelto la
strada del puro intrattenimento, e anche se non mancano interessanti spunti di analisi di lin-
guaggi comparati, appaiono costantemente posti al servizio del divertimento degli spettatori
in un’atmosfera ludica fine a se stessa» Umberto Serra, Una farsa e niente più, «il Matti-
no», 28 novembre 1982.
38
Anche le musiche dello spettacolo confermano la natura da hellzapoppin di questo
lavoro spaziando da celebri canzoni dell’oleografia napoletana a Goldfinger, La gazza la-
dra, La traviata, il Gospel, oltre le musiche originali composte da Carlo De Nonno.
75
Se cantar mi fai d’amore...
39
Nell’adattamento si registra l’assenza della sorella di Morris: la signora Montgomery.
40
Il testo non è stato pubblicato. Questa e le seguenti citazioni sono tratte dal copione
depositato in SIAE il 30 giugno 1982. Guida, Ruccello, L’ereditiera, p. 11.
41
Ivi, p. 8.
76
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
42
Ivi, 15.
43
Ivi, p. 4.
44
PULCINELLA (Appare cantando con un piatto di spaghetti). Ma ’o paese cchiù bello
è d’’o mio/Ciele azzurre a canzone r’ammore… Ivi, p. 4.
45
Quest’aspetto viene sottolineato anche da alcuni critici in occasione del primo alle-
stimento dello spettacolo: «Un’ottima foérie di teatro del divertimento costruita sulla rifles-
sione e affidata alla risata liberatoria, alla coscienza del luogo comune. E poi la vigoria, la
poliedricità, la verve, il piacere del cuore che fa rima con amore, ma impiegati per demolire
gli stereotipi rosa» Rita Sala, Catarì torna a Surriento, «Il Messaggero», 11 novembre
77
Se cantar mi fai d’amore...
Nel primo atto apprendiamo che la cameriera Teresa aveva già co-
nosciuto don Felice in Spagna nel 1937, quando costui si faceva chia-
mare Josè. I due, in un turbine di bruciante passione, avevano generato
1982. Mentre Fiore scrive: «Un confronto senza pietà fra l’incredibile e struggente mondo
creato dalla Hollywood del ventennio ’40 -’50 e l’ironia partenopea, la disincantata visione
dei sentimenti specifica di una cultura che ha imparato a sue spese a non credere al falso, al-
la retorica, al palpito del cuore e al fremito dell’animo» Id., Se Scarpetta va ad Hollywood,
«Paese Sera», 13 settembre 1982.
46
Id., Pulcinella, in Scritti inediti, cit. p. 148.
47
L’ereditiera, p. 57.
78
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
48
Ivi, pp. 33-34.
49
Ivi, pp. 42-43.
79
Se cantar mi fai d’amore...
prio Felice, incontrato e amato nel maggio del ’52 in una locanda in
Transilvania, a Klausberg50. Ma non è finita, l’identità del genitore mu-
terà ancora una volta. Nella quarta scena la donna scopre che il cugino
di Caterina, Ciccillo è il suo vero padre. Il giovane aveva vissuto
un’intensa storia d’amore a Parigi con Juliette, ma:
50
Ivi, p. 49.
51
Ivi, p. 52.
52
Da notare un accenno anche al festival della canzone napoletana. VOCE MASCHILE
REGISTRATA: «[…] Al culmine della serata la fertile fantasia dell’ammiraglio Lauro, un ge-
niale ed intraprendente amico di famiglia inventò una simpatica gara canora che raccolse
subito l’entusiasta partecipazione dei presenti e che sarebbe diventata storia fra quelle inge-
nue popolazioni dei mari del sud», ivi, p. 60. Inoltre, in occasione della gita sul Vesuvio,
Pulcinella canta una canzone di Ernesto Murolo: Tarantelluccia. Ivi, pp.38-39.
53
Id., Natale in casa Cupiello, in Teatro, a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi,
Milano, Mondadori, 2000, p. 812.
80
L’osteria del melograno, L’asino d’oro, L’ereditiera
54
L’ereditiera, p. 61. Seppure in questo caso la citazione del presepe vada intesa co-
me omaggio al testo di Eduardo, Ruccello aveva maturato una dettagliata conoscenza dei
presepi napoletani. Già ne Il Sole e la Maschera, ne parlava lungamente proponendo una
differenza fra modello “popolare ” e “gesuitico”: «La prima cosa che risulta evidente
all’osservatore è che nel presepe gesuitico l’intera rappresentazione è completamente capo-
volta rispetto a quella popolare. Il presepe popolare tradizionale è caratterizzato da una serie
di discese in sughero che conducono a tre grotte, di cui la centrale contiene la natività […].
Il presepe gesuitico, invece, tende innanzitutto a una rappresentazione verso l’alto, con tre
colli. Sul più alto è collocata la Natività». Id., Il Sole e la Maschera, cit., p. 56.
81
Lavorando su commissione:
I gingilli indiscreti, La ciociara,
La fiaccola sotto il moggio
Su invito del regista televisivo Delle Haye, nel 1980 Ruccello scri-
ve I gingilli indiscreti. Il testo prende spunto dal lavoro di Diderot (Les
bijoux indiscrets)1, tuttavia Ruccello, frequentatore, in questo periodo,
di ambiti narrativi intessuti di antropologia e fiaba, aggiunge un breve
prologo perché sia chiaro che la vicenda si svolge durante il periodo di
carnevale. La collocazione si rivela funzionale per immettere nella tra-
ma elementi di scherzo e dissolutezza, oltre che figure paradossali e-
spressione di quello spirito di libertà epurato da obblighi sociali e da
gerarchie, in vita durante le dionisiache greche o i saturnali romani (fe-
stività durante le quali l'autorità ed il potere dei padroni sugli schiavi era
temporaneamente sospesa. Questi ultimi cambiavano i propri abiti con
quelli dei loro signori ed eleggevano un re per le feste). Allo stesso modo
qui vengono scelti come regnanti due straccioni eletti sovrani pro tempo-
re da un singolarissimo papa durante una cerimonia corredata di espliciti
riferimenti sessuali e libertini (quale ulteriore riferimento al clima orgia-
stico del carnevale Greco/Romano):
1
Il testo di Diderot viene pubblicato per la prima volta, in forma anonima, nel 1748.
La trovata di far parlare i genitali femminili (i gioielli, appunto), attraverso l'intervento pro-
digioso di una magia, è una citazione ripresa da un racconto del 1747 del Conte Caylus.
83
Se cantar mi fai d’amore...
2
Id., I gingilli indiscreti, p. 3 (del prologo) Le citazioni sono tratte dal testo depositato
in SIAE nel gennaio del 1980.
3
Ivi, p. 1.
4
Ibidem.
5
Nel prologo Ruccello fa intendere che i due attori scelti per questi ruoli siano effetti-
vamente madre e figlio:
4
DONNA …A proposito… Chi hanno scelto quest’anno come re e regina del Carnevale?
84
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
5
DONNA … Ah… Due straccioni… stavano in galera da non so quanto tempo… Sai…
lei è la vecchia Maria… quella che se la intendeva con il figlio… Ibid., p. 2 (del prologo).
6
La descrizione è presente nella prima versione del testo in Annibale Ruccello, Week-
end, in Teatro,Napoli, Guida editori, 1993, p. 168.
7
Id., Ferdinando, in Teatro, Milano, Ubulibri, 2005, p. 150.
8
Ivi, p. 3. In sintonia con i travestimenti del carnevale, la didascalia ci presenta il ma-
go come: «Un bambino travestito da vecchio eremita con barba finta, saio monacale e una
sorta di lanterna magica luminosa.» Ivi, p. 3. Sebbene il nome dato al personaggio sia lo
stesso, in Diderot questo travestimento è assente. Il genio è descritto come: «un vecchio i-
pocondriaco», Denis Diderot, I gioielli indiscreti, Firenze, Sansoni, 1966, p. 31.
9
I gingilli indiscreti, p. 3.
85
Se cantar mi fai d’amore...
10
Ivi, p. 4.
11
Ivi, p. 7.
12
Una nota spiega in che modo le attrici daranno voce ai loro gingilli: «Ogni donna,
esclusa Mirzoza è provvista di una maschera che viene impugnata dalla mano sinistra. Nel
momento in cui è il gingillo a parlare l’attrice porterà la maschera al volto e con questo mo-
vimento si apriranno le gonne a tendina». Ivi, p. 9.
13
In Diderot questo personaggio ha il nome di Eolipilo, non è un gioielliere bensì e-
sponente di una categoria di persone che: «la miseria rende industriosa. Non ruba né rubac-
chia, ma sta ai ladruncoli come questi stanno agli imbroglioni. Sa tutto, fa tutto, ha rimedi
per tutti». D. Diderot, I gingilli indiscreti, cit., p. 101.
14
I gingilli indiscreti, p. 14.
86
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
15
Ivi, p. 20.
16
Ivi, pp. 20-21.
17
Ivi, p. 21.
18
Ibidem.
19
Gli attori sono interpretati dagli accademici: «I professori si liberano delle toghe
professorali esibendo smaglianti costumi teatrali». Ivi, p. 22.
20
Da notare l’inserimento in questo atto della favola di Ilade e Ifide, due giovani con-
dannati dagli dei a non poter godere del proprio sesso e quindi costretti ad amarsi di amore
87
Se cantar mi fai d’amore...
ve il sovrano è ancora una volta preda della noia. È così che, tradendo
la promessa fatta alla sua consorte, Mangogul rivolge l’anello verso la
regina. Il gingillo della sovrana dichiara eterna fedeltà al suo re, ma la
donna, sopraffatta dalla vergogna ne muore:
spirituale finché: «l’incantesimo fu rotto». Ivi, pp. 3-4 (secondo atto). L’inserimento di una
fiaba, talvolta avulsa dallo svolgimento della trama, ricorre in altri testi di Ruccello,
L’osteria del melograno, Una tranquilla notte d’estate, Week-end e Mamma.
21
Ivi, p. 17 (secondo atto).
22
La didascalia finale dell’atto descrive la comparsa delle donne che si avvicinano
minacciose a Mangogul: «sull’urlo di Mangogul si richiude la conchiglia». Ivi, p.17 (se-
condo atto).
88
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
CESIRA […] Che frutto mi darebbe, a me, dare i soldi a Roberto per
la macchina? Che me ne entrerebbe a me?
ROSETTA A te no, ma a me sì! E specialmente a Roberto! Non può
andare ancora al lavoro con la lambretta. Tutti ci hanno la
23
La ciociara, con la regia di Aldo Reggiani, debutta a Frosinone il 5 novembre,
1985. Fanno parte del cast: Caterina Costantini, Patrizia Captano, Luigi Maria Burrano,
Francesca Faccini, Francesco Alderuccio, Sergio Coalizzi, Claudio Rosa, Luigi Moretti.
24
Moravia pubblica il suo romanzo nel 1957.
89
Se cantar mi fai d’amore...
MICHELE Vedi, Cesira, Rosetta tua non è stata cambiata dai maroc-
chini, dalla violenza, dalla guerra. Certo, tutto questo ha
contribuito. Ma non solo per Rosetta. È tutto intorno che è
cambiato. E se è così è giusto ormai che cambi anche lei...
CESIRA Ma tu l'hai sentita prima? Hai visto come pretende? E te la
ricordi com'era?
MICHELE Mi dispiace, Cesira, ma è solo l'inizio. È solo l'inizio di
un’orrenda rivoluzione che non è la bella rivoluzione che
sognavo io. Questa è una rivoluzione invisibile, che cor-
roderà inesorabilmente e impercettibilmente prima gli a-
nimi e poi i corpi stessi. Ha inizio adesso un processo di
omologazione ...27.
25
Questa e le successive citazioni sono tratte dal copione depositato in SIAE il 18 set-
tembre 1985. Id., La ciociara, p. 4.
26
Alberto Moravia, La ciociara, Milano, Rizzoli, 1957, p. 164.
27
La ciociara, p. 7.
90
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
[…] poiché il testo ha già dei connotati visivo cinematografici una strut-
tura on the road (un viaggio, una storia di sfollati che si spostano conti-
nuamente) abbiamo montato il lavoro immaginando di seguire il processo
della memoria, con il passare delle immagini l’una nell’altra29.
28
Ivi, p. 8.
29
Maria Pia Fusco, “La Ciociara” arriva anche in palcoscenico, «la Repubblica», 30
ottobre 1985. In realtà, al debutto alcuni critici contestano proprio l’impianto cinematogra-
fico dell’adattamento: «L’operazione complessiva però, risente di una sceneggiatura direi,
cinematografica, della storia che impedisce di cogliere reali sviluppi e progressioni
dell’azione scenica, della psicologia dei personaggi, del loro realistico essere “fettine” di
storie ed, al tempo stesso, allusive metafore degli eventi di trasmigrazione di culture in
91
Se cantar mi fai d’amore...
Così dopo una breve sortita nel 1955 si torna al 1944. In questa fa-
se del racconto il drammaturgo segue fedelmente l’ordine cronologico
degli avvenimenti indicati nel romanzo di Moravia, agevolando il pas-
saggio da una scena all’altra con una serie di dissolvenze incrociate.
Ritroviamo Cesira, eroina perdente del ceto bottegaio, modesta inter-
prete del mercato nero, in un frangente della storia che esalta il culto
dei viveri, della clandestinità alimentare, degli ideali del nutrirsi mentre
la guerra degenera in meschinità predatoria. Terrorizzata dai bombar-
damenti la donna decide di lasciare Roma per tornarsene con la figlia in
campagna, in Ciociaria. Segue il soggiorno a casa di Concetta30, l’aiuto
di Tommasino, l’alloggio da Filippo, l’incontro con Michele, lo stupro:
Dopo l’atto di barbarie, la vita delle due donne continua, come può.
Rosetta, orfana dei suoi sogni d’adolescente, affronta il presente con
inedito cinismo e praticità32. Laddove le ultime pagine del romanzo
mostrano le due donne alle porte di Roma, Ruccello propone un ultimo
flash-forward catapultandoci nel 1960:
grandi rivolgimenti sociali e politici.» E. P., Se una ciociara ricorda…, «La Gazzetta del
Mezzogiorno», 11 gennaio 1986.
30
La didascalia di presentazione di questo personaggio rivela la formazione da antro-
pologo di Ruccello: «[…] una contadina rumorosa e fastidiosa. La sua apparizione dovreb-
be essere improvvisa come quella di una divinità malefica. Uno spiritello contadino del ma-
le, un mazzamauriello, o un monaciello» La ciociara, p. 16.
31
Ivi, p. 53.
32
Ne è esempio il breve flirt della ragazza con il commerciante Clorindo.
92
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
[…]
ROSETTA Due mesi passano presto, mamma! Quante storie che fai!
CESIRA Ma non potevo venire pure io? Che c’ho la rogna?
ROSETTA Il villino è piccolo te l’ho detto. C’è giusto il posto per me,
mio marito, i pupi e la donna…
CESIRA Il posto per la cameriera c’è e per tua madre no!
ROSETTA La cameriera pulisce e ci tiene apposto i pupi! I bambini ci
sono affezionati ormai!
CESIRA E certo. Stanno più con lei che con la nonna!
ROSSETTA Mamma! Ma perché devi essere sempre così tragica! Ogni
volta che ci vediamo è una litigata! Non mi fai partire tran-
quilla e quelle poche vacanze diventano un inferno!
CESIRA Vai! Vai! Parti tranquilla! Non ti preoccupare…(Fra sé e
sé) Aveva ragione Michele…
ROSETTA Chi?
CESIRA Niente, niente!
ROSETTA A proposito. La macchina nuova è una cannonata. Fra un
anno abbiamo finito di pagare anche le cambiali e posso
comprarmi un’utilitaria per me! (guarda l’ora) Beh! Mam-
ma ciao, è tardi! Ti telefono domani mattina prima di parti-
re! Ciao!
CESIRA Ciao. […]33.
33
La ciociara, pp. 60-61. Questa secondo flash-forward viene criticato da Osvaldo
Guerrieri: «C’è un momento di troppo ne La Ciociara […] è il momento in cui Cesira e Ro-
setta, uscite mutate e ferite dalla guerra ci appaiono come due donne degli anni Sessanta.
Nel tinello del “quartierino” sopra la bottega di pane e pasta c’è il televisore, Rosetta è spo-
sata, sta per andarsene in villeggiatura con il marito, i figli e la domestica […] Con questa
scena da commedia borghese il riduttore Annibale Ruccello stempera e annulla la tragica
epopea delle due donne in fuga e insieme vittime della violenza, la violenza collettiva della
guerra e quella individuale della guerra.» Id., Guerra, ricordo lontano nella Ciociara anni
60, «La Stampa», 3 aprile 1986.
93
Se cantar mi fai d’amore...
34
Il testo sarà depositato in SIAE dopo la scomparsa dell’autore, il 20 ottobre 1986.
Lo spettacolo viene poi allestito da Piero Maccarinelli con un cast diverso ma con due col-
laboratori storici di Ruccello, Franco Autiero alle scenografie e Carlo De Nonno autore del-
le musiche. L’originale di D’Annunzio era andato in scena per la prima volta a Milano il 27
marzo 1905 con la Compagnia Drammatica di Mario Fumagalli.
94
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
pressa Tibaldo che ha così voluto evitare che la purezza dei figli venisse
contaminata da un delitto, ma soprattutto ha provato a seppellire
nell’oblio le sue colpe nei confronti della defunta moglie Monica:
35
Id., La fiaccola sotto il moggio, p. 78.
95
Se cantar mi fai d’amore...
Appare un’aula vastissima nella casa antica dei Sangro costruita sul dos-
so ineguale del monte. Alla robustezza della primitiva ossatura normanna
tutte le età han sovrapposto le loro testimonianze di pietra e di cotto, dal
regno degli Angioini al regno dei Borboni. Ricorre all’intorno un balla-
toio ricco di sculture, sopra arcate profonde; delle quali alcune sono
36
Valentina Valentini, Il poema invisibile. Le prime messe in scena delle tragedie di
Gabriele D’Annunzio, Roma, Bulzoni, 1993, p. 339.
37
La fiaccola sotto il moggio, p. 79.
38
Si noti che la tragedia è scritta in versi endecasillabi e settenari.
96
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
tutt’ora aperte, altre sono rinchiuse, altre sono rette da puntelli. Delle tre
in prospetto, la mediana prolunga la sua volta verso il giardino […]; la
destra mette a una scala che ascende e si perde nell’ombra; la sinistra
[…]s’incurva su la porta della cappella gentilizia […]. A destra gli archi
[…] si aprono su una loggetta del Rinascimento [….]. E il tutto è vetusto,
consunto, corroso, fenduto, coperto di polvere, condannato a perire.39
39
Gabriele D’Annunzio, La fiaccola sotto il moggio, Milano, Arnoldo Mondadori
Editore, 1940, pp. 37-38.
40
La fiaccola sotto il moggio, cit., p. 2.
41
Nel testo di D’Annunzio ci sono vari esempi di questo disfacimento: la Regina
Giovanna rotola dalla sua nicchia, il simulacro del re Roberto oscilla pericolosamente, il
pietrame si sfarina tra le mani dei manovali come fosse di sabbia e i mattoni ritornano molli
come fossero ancora crudi, le logge pendono e i puntelli non tengono. In merito alla sceno-
grafia il critico Nico Garrone scrive: […] il castello dei de Sangro è diventato un castello di
cartapesta, che non rimanda tanto ai fasti teatrali dell’Opera, neanche a Caracalla, nella sta-
gione estiva per turisti. Si avvicina semmai a una versione dello sfascio aristocratico di una
«Dynasty» molto disneyano con quelle finestrelle ai due lati che sembrano affacciarsi su un
paesaggio da «cartoon» come se il castello dei de Sangro fosse il castello della strega di
Biancaneve.” Id., Metti D’Annunzio nel castello della strega cattiva, «la Repubblica», 8
novembre 1986.
97
Se cantar mi fai d’amore...
42
Piero Maccarinelli, Quasi un diario di bordo, «Sipario», 466, 1987.
43
Gabriele D’Annunzio La fiaccola sotto il moggio, Milano, Arnoldo Mondadori Edi-
tore, 1981, p. 36.
44
Il titolo stesso dell’opera esprime il radicamento in questione. Il moggio, una sorta
di piccolo tino usato come unità di misura per le granaglie, rimanda al mondo contadino,
nel cui ambito si svolge la storia. Il detto “tenere una fiaccola sotto il moggio” significa
“possedere una verità nascosta” che è appunto quella di Gigliola la quale intuisce la vera
causa della morte materna, ma non la manifesta, se non alla fine.
98
I gingilli indiscreti, La ciociara, La fiaccola sotto il moggio
45
Il personaggio di Edia è uno dei pochi ad ottenere l’apprezzamento della critica nel
1905: «Questo personaggio è di una meravigliosa potenza evocativa, ed è veramente
l’Abruzzo selvaggio; l’Abruzzo con le sue superstizioni e i suoi sortilegi, i suoi spiriti paga-
ni inutilmente combattuti dal Cristianesimo» Ettore Moschino, La Fiaccola sotto il moggio
al Manzoni di Milano: l’Abruzzo nella tragedia, «Il Marzocco», 2 aprile 1905.
46
In merito al rapporto fra D’Annunzio e la figura del serparo, Fernando Trebbi scri-
ve: «D’Annunzio racconta di averlo incrociato, un giorno d’estate, nella sua terra
d’Abruzzo e di aver ascoltato, sotto il portale di una Chiesa, la magica melodia ricavata da
un osso di cervo a cinque buchi che un antenato aveva rinvenuto in uno dei sepolcri che si
trovano lungo la strada romana. Analogamente al serparo della Fiaccola, anch’egli si pre-
senta come l’ultimo discendente di una dinastia sacerdotale che nel corso dei secoli ha for-
nito serpenti sacri alla cisterna del Santuario; anch’egli conosce le tecniche che i suoi avi gli
hanno trasmesso, e anche al suono del suo incanto la genia serpigna si agita nel sacco di
cuoio a forma di otre sospeso alla spalla marcata con il segno Tutelare.» Id., Le porte
dell’ombra. Sul teatro di D’Annunzio, Roma, Bulzoni Editore, 1998, p. 122.
99
Se cantar mi fai d’amore...
100
Una nuova direzione:
Le cinque rose di Jennifer
1
Lo spettacolo debutta a Na babele Theatre di Napoli il 16 dicembre 1980 (il testo era
stato depositato in SIAE il 10 ottobre dello stesso anno). La regia dello spettacolo è firmata da
Michele di Nocera, Ruccello interpreta Jennifer mentre a Francesco Silvestri viene affidato il
ruolo di Anna. Avendo riscosso un notevole interesse presso i critici napoletani, lo spettacolo
viene poi ripreso nel marzo del 1981 al Teatro della Tammorra di Napoli. In maggio lo spetta-
colo si sposta a Roma al Teatro Convento Occupato riscuotendo la stessa approvazione da par-
te della critica, come conferma la seguente recensione: «Il più convincente, aggressivo, duro
pezzo di teatro en travestì visto da parecchio tempo a questa parte. Recitato benissimo […]
Storia di ordinaria follia metropolitana, che riesce ad unire la scioltezza, la naturalezza del tea-
tro dialettale di tradizione partenopea con umori comici, surreali e grotteschi da commedia
dell’assurdo» Nico Garrone, Le rose di Jennifer fioriranno, «la Repubblica», 26 maggio 1981.
Esiste anche una versione cinematografica di questo lavoro (il titolo è inalterato) realizzata nel
1989 da Tommaso Sherman con interprete principale Francesco Silvestri.
101
Se cantar mi fai d’amore...
un appartamento in penombra. Dalla luce del giorno che filtra dalle tap-
parelle dell’unica finestra, peraltro molto ampia, si intravede un notevole
disordine. Indumenti femminili sparsi un po’ dovunque, un tavolo in-
gombro dei resti di una cena, un vaso con delle rose rosse appassite, un
letto sfatto, rotocalchi popolari, trucchi ecc. La luce esterna, per un invo-
lontario gioco delle tapparelle, pone in evidenza soprattutto una radio e il
telefono, bianco […] La luce metterà in evidenza tutto l’orribile kitsch
dei mobili e dei soprammobili affastellati nell’appartamento3.
2
Franco è un ingegnere del nord che dopo aver trascorso una notte con Jennifer, tre
mesi prima, promette di tornare.
3
Id., Le cinque rose di Jennifer, in Teatro, Milano, Ubulibri, 2005, p. 21. Un detta-
gliato resoconto dello stretto rapporto fra status culturale dei personaggi e scenografia nei
lavori di Ruccello viene fornito da Rita Picchi in Scenografia e oggetti di scena fra tradi-
zione e Kitsch in Scritti inediti, cit., pp. 31-33.
102
Le cinque rose di Jennifer
4
Le cinque rose di Jennifer, p. 29.
5
Ivi, p. 27.
103
Se cantar mi fai d’amore...
commento alle azioni più intime del quotidiano esistere del travestito in
scena, stabilendo un dialogo tra musica e memoria, tra musica e vita:
6
Ivi, p. 29. In occasione dell’ultima ripresa dello spettacolo da parte di Ruccello, am-
mirato da questa scena, Franco Cordelli cita Scende giù per Toledo di Patroni Griffi (dimen-
ticando il più vicino Persone naturali e strafottenti): «La sua idea più intelligente, il mo-
mento in cui Jennifer fa roteare il vestito che si è appena tolto sul capo, il momento in cui
apre la toletta per il trucco, quando si finge lui il cantante… Qui siamo in presenza di una
vera drammaturgia sul testo (artistico) più italiano che ci sia, la canzone d’amore. Non sono
un appassionato di canzoni, ma ho l’impressione che non ci sia film neorealista o stilismo
Armani che dica altrettanto bene che cosa sia essere italiani. Tra l’altro Ruccello, a questo
punto, si è anche liberato dal fantasma di Patroni Griffi, dall’eroe di «Scende giù per Tole-
do» Id., La canzone dell’amore, «Paese Sera», 8 gennaio 1986.
7
VOCE DELLO SPEAKER Si infittisce il mistero inerente agli omicidi nel nuovo quartiere
dei travestiti. Stamani alle nove è stato scoperto un nuovo cadavere in un monolocale al ter-
zo piano del numero sette di via del Cespuglio… Le cinque rose di Jennifer, p. 2. L’assas-
sinio di uomini gay da parte di un maniaco rimanda al film Cruising di William Friedkin
con Al Pacino, uscito nel 1980.
104
Le cinque rose di Jennifer
8
I continui guasti nella linea, il ruolo di veicolo unico attraverso il quale transitano le
inquietudini di Jennifer, rendono la funzione del telefono in quest’opera simile a quella ne
La Voix humaine (1930) di J. Cocteau. Anche in questo caso, in scena è presente soltanto
una donna, costantemente al telefono. Dopo essere stata lasciata, la donna chiama il suo
amante (del quale non si sente mai la voce all'altro capo del telefono). La protagonista tenta
anche il suicidio. A causa del basso livello del servizio telefonico di Parigi la conversazione
viene interrotta più volte.
9
Le cinque rose di Jennifer, p. 24.
10
Un’approfondita analisi della figura del travestito nei carnevali campani è sviluppa-
ta da De Simone in Il travestimento da donna e altre maschere in Annabella Rossi, Roberto
De Simone, Carnevale si chiamava Vincenzo, Roma, De Luca Editore, 1977, pp. 209-222.
105
Se cantar mi fai d’amore...
11
Lo stesso Ruccello conferma la sua familiarità con l’opera di Patroni Griffi: «[…] non
mi identifico con una drammaturgia nazionale. L’unica che esista, in questo momento, è napo-
letana. Qui c’è una tradizione, qui ci sono ben due padri spirituali tra i quali scegliere, Viviani
ed Eduardo, c’è un suo sviluppo successivo con Patroni Griffi […]» Titti Marrone, Dalle «Ro-
se» al «Weekend». È il momento di Ruccello, «Il Mattino», 28 gennaio 1986, p. 21.
12
Rossella Santilli, Jennifer o dell’ossessione, «Napoli Oggi», 15 aprile 1981. La
condizione metaforica del travestito trova conferma anche nella recensione di Antonio Tri-
comi: «I protagonisti de Le Cinque rose di Jennifer sono due travestiti, ma potrebbero an-
che non esserlo: quello che conta è la loro dimensione di povere anime perdute, confinate in
un ghetto metaforico dove non c’è spazio per la dignità del pudore, e dove si è disposti a
tutto per elemosinare un po’ d’affetto, o almeno qualche parola attraverso il filo del telefo-
no». Id., Solo me ne vo, «Paese Sera», 20 maggio 1983.
106
Le cinque rose di Jennifer
Il segno infatti del travestirsi è alla base stessa del teatro popolare campa-
no. Il travestimento più frequente è quello dell’uomo vestito da donna. Le
motivazioni alla base sono molteplici. […] il travestimento corrisponde
all’esigenza di far emergere nel momento del rituale tutto il represso quo-
tidiano e quindi anche l’ermafroditismo13.
13
Annibale Ruccello, Il teatro popolare in Campania, in Scritti inediti, cit. pp. 135-36.
14
MARIA CALLAS […] Io proclamo. Sono una trombetta che strepita per le strade: fuo-
ri, fuori dalle case, vigliacchi, a raccolta! Sbalordimento e scandalo. G. Patroni Griffi, Per-
sone naturali e strafottenti, in Tutto il teatro, Milano, Mondadori, 1999, p. 391.
15
Ruccello sottolinea l’intenzione dello spettacolo di: «[…] rappresentare l’impos-
sibilità, per la solitudine, di rappresentarsi oggi come evento eroico» Enrico Fiore, Tutti i
travestiti confinati in un ghetto, «Paese sera», 30 marzo 1981. Nella successiva recensione
allo spettacolo, lo stesso Fiore mette in risalto questo aspetto: «Un testo che, per dirla con
un termine preso in prestito dalla new wave, non si evolve, ma viene inesorabilmente de-
evoluto e insomma, continuamente devitalizzato com’è, non trasmette la solitudine, ma è la
107
Se cantar mi fai d’amore...
solitudine». Id., Per la solitudine dei giorni solo il viatico della paura, «Paese sera», 5 no-
vembre 1981.
16
Il riferimento è ancora a Patroni Griffi e alla sua prima commedia D’amore si muo-
re (1958) contenuta in Id., Tutto il teatro, cit., pp. 33-111.
17
Ferdinando Taviani usa questa espressione riferendosi alla ricorrente presenza del
travestito nella nuova drammaturgia napoletana, «[…] ritorna di commedia in commedia
quasi come il nuovo “tipo” d’una tradizione, un nuovo trasgressore, temerario - vigliacco
fuori casta, un figlio del destino che è quasi un Pulcinella virato dal color bianco al nero».
Id, Uomini di scena. Uomini di libro, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 195-96.
108
Le cinque rose di Jennifer
18
Le cinque rose di Jennifer, p. 31. In realtà Mina è presente nel testo anche, e soprat-
tutto come interprete musicale. Nella scaletta indicata dall’autore, compaiono cinque suoi
brani: Quattr’ore e’ tiempo, Grande Grande Grande, Ancora Ancora Ancora, Vorrei che
fosse amore, Bugiardo e incosciente.
109
Se cantar mi fai d’amore...
19
Interessante notare come al Nord, il diverso milieu linguistico non impedisce allo
spettacolo di ottenere successo al Teatro Quartiere di Milano. Renato Palazzi scrive: «le po-
che novità dotate di un minimo di interesse vengono da gruppi minori, o nascono comunque
nell’ambito di proposte estemporanee o marginali…». Id., Nel ghetto dei travestiti un as-
sassino ama le rose, «Corriere della Sera», 9 gennaio 1982.
20
La presenza della gatta, nell’introdurre una dimensione infera, evoca Basile, raccon-
ti orali e filastrocche popolari campane.
21
Le cinque rose di Jennifer, p. 41.
22
Pronto… prego?... Non comprendo! Inglese?!... Yes I am Jennifer, tu chi sei?...
Want me, are you English?... Mh… Sorry… I don’t understand… Comprì… Ouì… yes?
No!... Non conosco nemmeno la lingua marocchina! Ivi, p. 27.
110
Le cinque rose di Jennifer
23
Sulla collocazione di “deportati” dei personaggi di Ruccello (seguendo una defini-
zione dello stesso autore, Enrico Fiore offre una serie di osservazioni in Id., Ripensando a
Ruccello: le figure deportate, in Annibale Ruccello. catalogo della mostra di Antonio Gar-
giulo «Ricordando Annibale», Castellammare di Stabia, Eidos, 2000, p. 7.
24
Le cinque rose di Jennifer, p. 33.
25
Quanto scrive Rita Picchi sembra confermare il rapporto problematico dello stesso
Ruccello con la religione: «Comunque già al terzo anno di università aveva smesso di andare
in Chiesa, il suo atteggiamento era diventato critico un po’ per i nuovi amici che frequentava,
111
Se cantar mi fai d’amore...
Negli anni in cui scrive, dirige ed interpreta i suoi testi, non è inu-
suale per il drammaturgo stabiese (come per altri) ritoccare i propri lavo-
ri (in particolar modo all’indomani della prova con il pubblico). Ma
Ruccello non altera la struttura profonda del testo limitandosi ad agire
sulla superficie, si notano, infatti, tagli di battute (talvolta maggiori altre
minori, arrivando a semplici correzioni) in varie parti del copione26. Nel-
la versione pubblicata nel 1993, nella prima telefonata di Jennifer tro-
viamo un breve riferimento alla televisione, poi tagliato nella versione
successiva:
un po’ per il tipo di ricerche antropologiche che effettuava sul campo, al fianco di De Simo-
ne», Rita Picchi, Annibale e il suo rapporto con la religione, in Scritti inediti, cit., p. 33.
26
I riferimenti musicali, largamente diffusi già nella prima versione, pubblicata da Guida
nel 1993, acquistano ulteriore corposità nella seconda versione attraverso una scaletta di brani
indicata dall’autore in appendice al testo. Id., Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 43.
Inoltre, in questa seconda versione risulta l’inserimento nel testo di vari brani cantati dalla
stessa Jennifer: Purtatele ’sti rrose (ivi, p.21), Paraviso e fuoco eterno (ivi, pp.22-23), Se tele-
fonando (ivi, p. 26) ed, infine, un collage di canzoni composto da "Verde luna" (tema del film
"Sangue e Arena"), primi 4 versi; "Tema di Lara" (tema del film "Il Dottor Zivago"), versi 5-
13; "Quando mi innamoro" versi 14-23; "El Borriquito versi 24 a finire, (ivi, p. 37).
27
Id., Le cinque rose di Jennifer, Napoli, Guida editori, 1993, p. 26.
112
Le cinque rose di Jennifer
28
Uffa e quanto siete spiritosa signorina… E quanto parlare inutile. Allora: a Fran-
co… Da parte di Jennifer che lo aspetta fidente…Non fetente…fidente…ma le pare che
l’aspettavo fetente… ma con chi crede di parlare. Ivi, p. 31.
29
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 32.
30
Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 27.
31
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 25. Si sente persino uno sparo nella
prima versione, accompagnato da squilli di telefono: «Si sente uno sparo. I solito squilli di
telefono in lontananza» Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 37. Sostituito nella secon-
da versione da: «Lunga pausa» Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 34.
32
Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 37.
33
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 34.
113
Se cantar mi fai d’amore...
È vestita nello stesso modo con cui ha arredato la sua casa: indossa una
gonna ed una giacca di un tessuto pesante ed una camicetta di chiffon con
un fiocco grande. Il modello rappresentativo è quello della «signora»
borghese sul finire degli anni sessanta, come si vedono circolare ancora
in tanti sceneggiati televisivi. Ha qualcosa di vistoso, ma insomma non è
la classica rappresentazione del travestito36.
È vestito come una massaia che sia scesa a far compere e infatti è straca-
rico di pacchettini, scatole, buste….37
34
ANNA […] E così sono diventata testimoniatrice di Geova. Le cinque rose di Jenni-
fer, Guida, cit., p. 35.
35
In merito a questo cambiamento accolgo l’interessante riflessione che Enrico Fiore
ha offerto durante la giornata organizzata a Castellammare di Stabia “25 anni senza Anniba-
le” il 17 settembre 2011: «Enola Gay è il nome del bombardiere B-29 Superfortress che il 6
agosto 1945, poco prima del termine della Seconda Guerra Mondiale, sganciò sulla città
giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica della storia ad essere stata utilizzata in
guerra. La scelta di Ruccello suggerisce proprio questo: il bombardamento, il devastamento
subìto dalla nostra cultura».
36
Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., pp. 23-24.
37
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 21.
114
Le cinque rose di Jennifer
38
Ivi, p. 24. Nella versione precedente la didascalia appare notevolmente ridotta: (Ab-
bassa il volume, poi torna al telefono) Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 26.
39
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., pp. 33-34.
40
Ivi, p. 45.
115
Se cantar mi fai d’amore...
diventa:
43
…Ti uccido... .
Oppure:
44
E non pozzo perdere ’o tiempo appriesso a te…
diventa:
E ancora:
41
Ivi, p. 43.
42
Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 28. Nello stesso monologo si può notare
come, pur conservando il dialetto, l’espressione viene edulcorata. «So’ cazze r’ ’e tuoie (so-
no cazzi tuoi?)» diventa: «so’ fatte d’ ’e tuoie? (sono fatti tuoi?)». E ancora nello stesso
monologo, «scassavuallera» (rompipalle) diventa: «scassacazzo». In altre occasioni alcune
bestemmie di Jennifer vengono tagliate. Ad esempio, la battuta detta al termine delle telefo-
nata di Sonia in Radio: «…C’he cacato ’o cazzo…» (ivi, p. 30), viene poi eliminata nella
seconda versione.
43
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 26.
44
Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 28.
45
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 26.
116
Le cinque rose di Jennifer
diventa:
Dice… Gesù, tu ci tieni più per la gatta che per me… Quello così si schi-
fa e se ne va…47.
46
Le cinque rose di Jennifer, Guida, cit., p. 39.
47
Le cinque rose di Jennifer, Ubulibri, cit., p. 36.
48
Stefano De Stefano identifica l’abitazione post terremoto di Jennifer a «Scampia,
alcuni insediamenti di edilizia popolare di Secondigliano, la periferia di San Giovanni, o
quella di Ponticelli, la lista purtroppo è lunga». Id., Le cinque rose di Jennifer, in Annibale
Ruccello e il teatro nel secondo novecento, a cura di Pasquale Sabbatino, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2009, p. 120.
49
Nel programma di sala del 1986 Ruccello conferma i riferimenti cinematografici e
sociali del testo: «L’attuale spettacolo vuole mettere in evidenza innanzitutto la doppia tes-
situra che hanno sempre i miei testi. Da un lato, appunto, la storia, una storia banale, in que-
117
Se cantar mi fai d’amore...
sto caso la giornata tipo di una persona in casa, le sue alienazioni, le sue manie, i suoi rituali
privati, le sue vergogne e, soprattutto, il suo sentimento. Dall’altro il gioco delle citazioni,
dei riferimenti, dei riporti da un fantastico principalmente filmico nella consapevolezza che
oggi non è più possibile raccontare una storia se non soltanto per ammiccamenti, virgolet-
tandola quasi, rendendola anch’essa null’altro che un repertorio di un immaginario il più
possibilmente collettivo…». Annibale Ruccello, Programma di sala (1986).
50
In merito ai rapporti che Jennifer esprime con altre drammaturgie, si evince che e-
lementi quali la solitudine, l’incombente senso di minaccia, il sentimento di angoscia esi-
stenziale, il senso di suspense in questo testo sono speculari a quelli riscontrabili in The
Dumb Waiter (1958) di Pinter.
118
Provincia di sangue:
Notturno di donna con ospiti1
1
Il 3 marzo del 1982 l’autore deposita in SIAE una prima versione del testo intitolan-
dola Una tranquilla notte d’estate. In seguito Ruccello ne scrive una seconda versione dal
titolo Notturno di donna con ospiti (depositata il 9 luglio 1983). Entrambe vengono pubbli-
cate in Id., Teatro, Napoli, Guida editori, 1993. L’ultima versione del testo, anch’essa inti-
tolata Notturno di donna con ospiti, viene pubblicata in Id., Teatro, Milano, Ubulibri, 2005.
2
In merito al rapporto fra i due testi l’autore dichiara: «[…] mentre nelle Cinque rose
di Jennifer il riferimento più evidente era il cinema di Hitchcock qui ci rifacciamo in manie-
ra più palese a una cinematografia di serie C in voga nei primi anni Settanta e oggi ripropo-
sta in dose massiccia dalle emittenti private, in cui si trova il ‘topos’ della casa isolata nella
notte, la donna isolata nella casa e dei minacciosi individui che seminano sgomento e orrore
[…]». Annibale Ruccello, Programma di sala, in «Patalogo», 7, cit., pp. 26-27. Questa con-
nessione con il cinema non incontra il favore di alcuni critici: «Patito di cinema – come
stranamente molti dei giovani che oggi fanno teatro – Ruccello ricalca a sua volta, e forse
con insufficiente distacco critico, una certa produzione filmica o tele filmica intesa a rispec-
119
Se cantar mi fai d’amore...
ALTRA DONNA Ed ora, per la nostra serata con sentimento continua il ci-
clo dedicato a una grande interprete di Hollywood: Olivia
de Havilland. Accanto a lei l’allora esordiente Montgo-
mery Clift nel film L’ereditiera di William Wyler4.
120
Notturno di donna con ospiti
121
Se cantar mi fai d’amore...
7
Pino Simonelli traccia un parallelo linguistico con Eduardo: «Certo la più recente
creazione di Ruccello si situa in quell’area della creatività teatrale a Napoli legata profon-
damente alle radici culturali del territorio, piuttosto che tentare la fuga nell’idea della nevro-
si napoletana. Una evoluzione che, distaccandosi progressivamente dall’universo simbolico
del folklore, di cui conserva forse un tratto irrealista di sogno, si situa nuovamente in nuclei
e in dinamiche familiari espresse in un dialetto fortemente italianizzato, procedendo in una
direzione più legata al messaggio di Eduardo che a sperimentalismi di rottura». Id., Nottur-
no di Ruccello, «Paese Sera», 26 novembre 1984.
8
Nel primo allestimento i due ruoli vengono interpretati dallo stesso Ruccello.
9
L’età della protagonista subisce delle piccole variazioni. Nella prima versione A-
driana «è una donna di al massimo venticinque anni», cit., p. 49; nella seconda «è una don-
na di cerca ventisette anni», cit., p. 80; nella terza è nuovamente «una giovane donna di
circa venticinque anni», cit. p. 49. Inoltre la sua gravidanza risulta evidente solo nella se-
conda e terza versione. Nel primo caso ne accenna Michele: «…E poi è meglio che non ti
stanchi… (Indica il pancione)», cit. p. 81; Nel secondo caso viene menzionata già nella di-
dascalia iniziale: «incinta di qualche mese», cit., p. 49. Anche la professione di Michele
cambia da «guardia notturna» nella prima versione, cit., p. 51, a «casellante d’autostrada»
nella seconda versione, cit. p. 81. Nella terza l’autore non specifica.
122
Notturno di donna con ospiti
dall’atto unico alla divisione in due tempi; mentre nella terza versione
si riduce il numero dei personaggi, scompaiono Salvatore e Giovanna.
La loro funzione è legata a Rosanna e Arturo piombati in casa di A-
driana quali emissari di un supermarket locale che intende premiarla
come loro millesima cliente offrendole «una serata speciale…in-di-
men-ti-ca-bi-le…»10. Giovanna e Salvatore sono loro complici, in par-
ticolar modo Salvatore, ingaggiato per sedurre Adriana. Nella terza
versione sarà Arturo ad assumere questo compito, mentre Rosanna as-
sorbe buona parte delle istanze drammaturgiche di Giovanna11. Inoltre,
fra la prima e la terza versione acquistano maggiore evidenza le figure
dei genitori di Adriana, in particolar modo la madre che, inizialmente
presente solo come interlocutore telefonico12, già dalla seconda versio-
ne, diventa protagonista di una serie di flash-back della memoria, du-
rante i quali la ragazza rivive i momenti più bui della sua adolescenza,
momenti di un passato ancora fortemente vivo. Significativo il
flashback in cui Adriana si vede costretta a rivelare la sua gravidanza
(il padre è Sandro). La madre non esita ad imporre la soluzione più
“opportuna”:
10
Una tranquilla notte d’estate, Guida, cit., p. 53.
11
Muta inoltre il pretesto iniziale della loro visita notturna. Rosanna, ora sposata con
Arturo e non più promoter di un supermercato, irrompe in casa di Adriana per sfuggire a
un’aggressione:
ROSANNA […] Mi stanno ammazzando! Apra!
ADRIANA Sentite, andatevene o chiamo la polizia!
ROSANNA Ma Cristo in croce! La chiamiamo insieme la polizia! Mi faccia entrare!
ADRIANA (cedendo) Ma insomma siete sicura…
ROSANNA (categorica) Apra! Notturno di donna con ospiti, Ubulibri, cit., p. 53.
12
Vedi monologo di Adriana in Una tranquilla notte d’estate, Guida, cit., p. 51.
123
Se cantar mi fai d’amore...
13
Notturno di donna con ospiti, Ubulibri, cit., pp.70-71.
MADRE E di quanti mesi sei?
ADRIANA Due mesi…
MADRE E chi è lui?! Che fa? A quale famiglia appartiene si può sapere?
ADRIANA Lo sai chi è! È Sandro.
MADRE Che ti venga un colpo! Il figlio dell’idraulico? Lo sapevo!
[…] Ma piccola, questo non l’avrà vinta! Tu sei libera di essere scema quanto vuoi ma
sei la mia unica figlia e io non ti lascio andare con il primo pezzente che passa! Senza arte
né parte! Una bella ripulita e torna tutto come prima ! […].
Questa scena, in forma di monologo, sarà poi inclusa in Mamma. Piccole tragedie mi-
nimali.
14
Ad esempio: «Rosanna afferra per i capelli Adriana e prende a trascinarla per la
stanza mentre Sandro inizia a schiaffeggiarla», oppure «Sandro le molla un calcio nella
pancia» Notturno di donna con ospiti, Guida, cit., p. 112.
124
Notturno di donna con ospiti
15
R. W. Fassbinder, Libertà a Brema, in «Sipario», cit., p. 73.
16
Ivi, p. 77.
17
Notturno di donna con ospiti, Guida, cit., p. 113. La scena è presente solo nella
prima e seconda versione del testo.
125
Se cantar mi fai d’amore...
18
«La Figlia del sole…Molto potente…abitava dentro una grotta…in cima ad una
montagna verso il lontano oriente». Ivi, p. 115.
19
PADRE […] Questa gente barbara non potrà mai capirti… Prenditi i tuoi figli… La-
vali… Afferra un coltello e come fossero agnelli, taglia loro la gola… Solo allora potrai sa-
lire in cielo con me su una trave di fuoco! Notturno di donna con ospiti, Guida, cit., p. 117.
20
Oltre quella citata, nel testo si menzionano altre due fiabe, AcciaBellaccia e ’O cun-
to ’e Catarinella (quest’ultima già presente ne L’osteria del melograno). Ivi, pp. 92-93. I-
noltre, in questa seconda versione, troviamo un riferimento anche ad un altro elemento ri-
corrente nel teatro di Ruccello, la filastrocca, ancora una volta, affidata alla figura del padre:
126
Notturno di donna con ospiti
127
Se cantar mi fai d’amore...
22
Una tranquilla notte d’estate, Guida, cit., pp.75-76. La figura del medico, soprag-
giunto per portar via Adriana, ricorda il finale di Un tram chiamato desiderio di Tennessee
William. Nella seconda versione Giovanna sostituisce il medico, in seguito, dopo la canzo-
ne di Iglesias, la sua ricomparsa segue dinamiche diverse: «[…] Dopo pochi istanti si apro-
no di colpo i battenti dell’armadio. Nell’armadio, spoglio, appare Giovanna in abito da se-
ra. Mentre rovescia il capo all’indietro in una irresistibile risata, buio improvviso» Nottur-
no di donna con ospiti, Guida, cit., p. 118. Nella terza versione vengono eliminati i ruoli del
dottore e degli infermieri.
128
Notturno di donna con ospiti
23
Notturno di donna con ospiti, Ubulibri, cit., p.77. Anche la modalità con cui la don-
na uccide i suoi bambini riporta alla mente il testo di Fassbinder: (Fuori scena si sentono i
bambini piangere e gridare; Geeshe s’accascia piangendo, ma poi fa forza su se stessa, e-
sce fuori dai bambini, che dopo un momento cominciano a gridare più forte. Geeshe rien-
tra. S’inginocchia davanti al crocefisso, comincia a cantare. Durante la seconda strofa i
bambini tacciono improvvisamente. È un silenzio di morte) R. W. Fassbinder, Libertà a
Brema, in «Sipario», cit., p. 76.
129
Se cantar mi fai d’amore...
24
Jennifer è l’unico fra i personaggi di Ruccello a non avere una famiglia di riferi-
mento. Nondimeno anche quando, in seguito, i personaggi avranno rimandi familiari, il loro
stato di solitudine non cambierà. Al contrario, i problematici rapporti con i parenti eviden-
zieranno ancor di più questa condizione.
25
La critica non è compatta nell’apprezzare il lavoro: «Letta a suo tempo la comme-
dia non mi era parsa del tutto convincente e il vederla realizzata non ha diradato completa-
mente le perplessità suscitate all’epoca. Siamo lontani, infatti, dalla fresca, provocatoria ve-
na de “Le cinque rose di Jennifer” ed anche dall’eloquente pregnanza culturale di “Ipata”.
In questa storia contorta, piuttosto involuta, domina un cerebralismo che neanche l’uso,
spesso felice di una parlata quotidiana e svilita riesce a nascondere» Umberto Serra, Ospiti
da incubo, «Il Mattino », 24 ottobre 1983.
26
Lo stesso Ruccello conferma: «teatralmente mi stimolano di più i personaggi fem-
minili» in Rodolfo di Giammarco, Non chiamatemi autore, sono un “allestitore” e un ex
antropologo, «la Repubblica», 27 marzo 1984.
27
Sebbene portata ad estreme conseguenze, la scelta drammaturgica di Ruccello foto-
grafa qualcosa effettivamente in atto nella società italiana in quegli anni: «È ricorrente nella
riflessione socio-antropologica l’idea che la perdita di autorità paterna possa corrispondere
all’emergere di quella materna, con un alternarsi di autorità patriarcale e matriarcale nella
gestione familiare». Bianca Barberio Avanzini, Famiglia e donna, in Id. (a cura di), Primo
rapporto sulla famiglia in Italia, cit., p. 51.
130
Notturno di donna con ospiti
IDA E voi? ...Voi non siete vacche? Che il midollo ci avete suc-
chiato ai mariti vostri! Il midollo!...Il midollo del caz-
zo!...Voi succhiavate e loro sempre più gialli, secchi, brutti,
deperiti… E voi chiatte! Chiatte abboffate di sangue di
sperma!... Puttane! Puttane!...29.
28
PADRE […] Sanghe d’’a marina fetente, mmano a te so’ addeventato ll’urdemo
strunzo?! Tutt’ e sante dummeneche ca ’o Pataterno ha criato chella adda vedè comme me
l’adda ’ntussecà! Na femmena ca tene ’o diavolo ’ncuorpe! […] Tu me staie facenne scuntà
’nterra tutt’ ’e pene ’e l’inferno! Cchiù d’ ’e peccate c’aggio fatto! Io vulesse sapè che male,
vulesse sapè!... (Maledizione, fra le tue mani sono diventato l’ultimo dei fessi?! Quella
donna cerca di rovinarmi ogni santa domenica che il buon Dio ha creato! Una femmina che
ha il diavolo in corpo! […] Tu mi stai facendo pagare in terra tutte le pene dell’inferno! Più
dei peccati che ho fatto! Io vorrei sapere che male, vorrei sapere!...) Notturno di donna con
ospiti, Ubulibri, cit., p. 57.
29
Id., Week-end, in Teatro, Ubulibri, 2005, p. 100.
131
Interno borghese:
Week-end
1
Depositato in SIAE il 24 giugno 1983, Week-end vince il Premio IDI under 35 e de-
butta il 2 novembre dello stesso anno al Teatro dell’Orologio di Roma. Regia: Marco Ga-
gliardo, interprete principale: Barbara Valmorin. Nel 1986 Ruccello riallestisce lo spettaco-
lo al Teatro Nuovo di Napoli, con la sua regia e mantenendo la stessa interprete. Mario Pro-
speri coglie la condizione del personaggio di Ida nel suo essere espressione di una transi-
zione fra la realtà contadina e quella metropolitana: «Dello psicopatico si dice che la sua vi-
ta è uno psicodramma al quale non riesce a dare una conclusione. Potrebbe essere questa la
metafora assunta da Ruccello per fissare una condizione umana così caratteristica della cul-
tura che stiamo vivendo: dal trauma ancora aperto dell’esodo da un contesto contadino
all’indistinto panorama di agglomerati «in via di sottosviluppo», in cui il soggetto accede
alla catarsi primaria del delitto come unica possibilità di equilibrio.». Id., “Week-end”
all’Orologio, «Il Tempo», 5 novembre 1983.
2
Come già accennato, il personaggio di Ida è un condensato di riferimenti a lavori di
Tennessee Williams: la zoppia richiama Laura di Zoo di vetro mentre la sua inclinazione
all’alcool e la condizione di single ricordano la Blanche di Un tram chiamato desiderio.
133
Se cantar mi fai d’amore...
3
I riferimenti cinematografici sono mutati rispetto ai primi due testi della “trilogia da
camera”, come dichiara l’autore: «Negli altri due lavori della trilogia ho assorbito l’influsso
di film americani, ma in questo caso la matrice è noir, francese, o più confidenziale alla
Commissario Maigret, anche se emerge un forte contrasto con la disco music Erotic&Esotic
di peggior gusto anni ’80, diffuse dalle radioline e TV.» Intervista ad Annibale Ruccello di
Rodolfo di Giammarco, In una storia da quattro soldi i deliri di una professoressa, «la Re-
pubblica», 15 febbraio 1986.
4
Week-end, Ubulibri, cit., p. 81.
5
Ivi, p. 84.
6
Ivi, p. 86.
134
Week-end
7
Week-end, Guida, p. 126.
8
Week-end, Ubulibri, cit., p. 84.
9
Alla fine del primo quadro si legge: «Ida si inginocchia ai piedi di Narciso. Buio».
Ivi, p. 86. Alla fine del secondo quadro, la scena segue dinamiche pressoché simili: «[…]
Ida rimane col braccio teso, poi gli si inginocchia davanti. Narciso le afferra la testa e se la
spinge verso il ventre. Buio». Ivi, p.89. Da notare che le dinamiche del primo approccio ses-
suale fra i due sono meglio dettagliate nella versione pubblicata da Ubulibri. Infatti, nella
prima versione si legge:
NARCISO La chiavetta era aperta, signorina.
(Si incammina verso il divano ed è la prima volta dall’inizio della rappresentazione
che Ida esibirà in presenza di qualcuno la sua menomazione. Si siede e gli porge lo Strega.
Narciso beve, poi prende una mano di Ida e se la mette fra le cosce divaricate). Week-end,
Guida, cit., p. 127. In seguito il dialogo viene ampliato:
NARCISO La chiavetta era aperta, signorina…
IDA Aperta? E com’è allora che non perde più?
NARCISO E che ne so…
IDA Oh Gesù! Questa è proprio bella. Posso giurare che ha perduto per tre giorni di
seguito. Lo giuro!
NARCISO E no’ non perde più…
135
Se cantar mi fai d’amore...
[…] Narciso si è liberato dall’asciugamano e tira Ida per terra. Nel ca-
dere Ida si impossesserà di un coltello sul tavolo con il quale minaccia
Narciso. La colluttazione fra i due è in bilico fra il coito e la lotta. Narci-
so tenta di baciarla. Ida si divincola. I due si rotoleranno fino alla came-
ra da letto da cui giungeranno in scena dei sospiri e degli ansimi molto
forti […] un urlo di Narciso porrà fine al primo tempo12.
IDA Oh povera Ida! Che figura col Sor Mario! Dopo che ho insistito tanto…(Ridendo)
Povera Ida… Appresso a quei ragazzi ti sei proprio rimbecillita… Eppure è strano… perché
perdeva… Ma ha controllato bene, sì?
NARCISO Se volete posso ridarci un’occhiata…
IDA Oh! Ecco, bravo! Perché non si può mai sapere… Alle volte fanno certi scherzi.
Grazie. Un altro già mi avrebbe mandato a quel paese.
Narciso torna in camera da letto. Ida sempre immobile vicino al tavolo aspetta. Riappa-
re Narciso con in mano il vestito rosso indossato da Ida nella scena precedente. Lo appogge-
rà significativamente su di una poltroncina poi si siederà sul divano a gambe divaricate.
IDA Niente?
NARCISO Niente.
Ida versa in un bicchierino dello Strega. Si volta verso Narciso.
IDA Uno strega?
Si incammina verso il divano ed è la prima volta dall’inizio della commedia che esibirà
in presenza di estranei la sua menomazione alla gamba. Si siede accanto a Narciso, gli porge
il bicchiere, Narciso beve, poggia il bicchiere sul tavolino nei pressi del divano, prende una
mano di Ida e se la poggia fra le gambe divaricate. Week-end, Ubulibri, cit., pp. 85-86.
10
Week-end, Guida, cit., p. 127. Nella versione successiva, quello stesso asciugamano
sarà usato per cingergli la vita. Week-end, Ubulibri, cit., p. 86.
11
Week-end, Guida, cit., p. 130
12
Ivi, p. 134.
136
Week-end
IDA Sor Mario?.. E sono la signorina Ida!... Come che c’è… vo-
levo ringraziavi per il servizio di venerdì! Quale servizio?...
Fino alle nove ho aspettato! Come una cretina!... No, che
non è venuto! Non è venuto nessuno!...Come?! Non ci credo
che me l’avete mandato!... Allora non mi credete? Vi dico
che qua non è venuto nessuno17.
13
Dalla didascalia iniziale apprendiamo che è presente in scena anche un televisore,
sebbene mai in funzione.
14
La prima didascalia del testo introduce al genere di musica amata da Ida: «Si dirige
poi verso il giradischi e mette su un disco di musica classica (Mozart, Eine kleine Na-
chtmusik)». Ivi, p. 83. Nella versione di Guida, in questo primo quadro c’è anche un breve
riferimento alla TV: «Accende, distratta il televisore che trasmetterà alcune scene di Scan-
dalo con Lisa Gastoni». Ivi, p. 125.
15
I gusti musicali di Narciso nella prima versione sono più nostrani: «Dal bagno una
radiolina a tutto volume trasmette «Piccolo amore» dei Ricchi e Poveri» ivi, p. 127. In se-
guito il ragazzo preferirà ascoltare musica inglese: «Dal bagno una radiolina trasmette una
canzonetta inglese da discoteca» Week-end, Ubulibri, cit., p. 86.
16
Si registrano anche altri cambiamenti nella colonna sonora del testo. Alla fine del
terzo quadro, nella prima versione arrivavano dall’esterno le note di: «L’amore è bestia
l’amore è poeta» cantata da Mina» Week-end, Guida, cit., p. 134.
Nella seconda versione Mina viene sostituita da: «una canzonetta rock mandata da un
autoradio» Week-end, Ubulibri, cit., p. 92. Allo stesso modo, la canzone di: «Lucio Dalla
(Balla ballerina)» Week-end, Guida, cit., p. 135, viene sostituita da: «un pezzo rock italia-
no» Week-end, Ubulibri, cit., p. 93.
17
Ivi, p. 94.
137
Se cantar mi fai d’amore...
Nel suo intimo Ida non ha mai superato l’antica condizione di zop-
pa del paese coltivando una rabbia sorda verso il mondo e verso la vita
che l’ha segnata dalla nascita. Ruccello veicola questo rancore, usando,
come in Notturno…, il rapporto madre-figlia, ancora nutrito di frustra-
zioni inespresse e laceranti sensi di colpa. Questo rapporto in Week-end
acquista toni densamente problematici, esprimendo una marcata con-
flittualità, talvolta estesa anche ad altri membri del nucleo familiare.
Consumato l’atto sessuale con Marco, in un lungo monologo liberato-
18
Torna ancora una volta Pinter: «Ora «il gioco» di cui Ruccello – o per meglio dire il
suo stile – è un falso naturalismo che deriva da Pinter il gusto dell’ambiguità tra reale e im-
maginario: si assiste alla penetrazione dei fantasmi e degli atti semplicemente desiderati nel
pieno contesto della realtà, che in tal modo – deformata dagli «a priori» della soggettività
dei personaggi – acquista un aspetto inquietante.» Mario Prosperi, “Week-end”
all’Orologio, cit.
19
Week-end, Ubulibri, cit., p. 98. Gli incontri sessuali, sia con Narciso che con Marco,
si consumano fuori scena. Lo stesso autore conferma l’intenzionalità della scelta: «In verità
in scena non avverrà mai niente di veramente importante, per lo svolgimento dell’azione.
Le cose importanti avvengono nelle scene che non si vedono, di cui si parla soltanto.» In-
tervista ad Annibale Ruccello, in Giulio Baffi, Il morboso giallo firmato Ruccello, «Il Gior-
nale di Napoli», 28 gennaio 1986.
138
Week-end
rio, Ida sembra incolpare le sorelle e la madre delle sue azioni, vomi-
tando l’amarezza, la delusione, i ricatti che l’hanno fatta esiliare dalla
famiglia e dall’amore. Invade la scena la rabbia forsennata di una don-
na che ha a lungo macerato la propria diversità e la sconfitta ed è ora
pronta a rendere partecipe il mondo delle verità segrete di famiglie in
cui donne arpie succhiano la vita dei loro uomini, riducendoli allo
stremo per consumo sessuale. Api regine dalla sessualità vorace che
s’ingrossano ingurgitando sangue e sperma:
IDA […] Sì sono una vacca! Una vacca! Una vacca! Una vacca!
Una grande vacca!... E voi?... Voi non siete vacche? Che il
midollo ci avete succhiato ai mariti vostri! Il midollo!... Il
midollo del cazzo!...Voi succhiavate e loro sempre più gial-
li, secchi, brutti, deperiti… E voi chiatte! Chiatte abboffate
di sangue di sperma!... Puttane! Puttane!... Io poi sarei la
puttana? ...Io? ...Voi siete le puttane! Voi! ...E pure tu
mammà! Tu sei più puttana di loro!... Sì… Ti puoi fare tut-
te le comunioni che vuoi… Sbattiti le ponje npietto!
...Sbatti! Sbatti! Puttana! Che ci vai a fare in chiesa? Pure
l’assoluzione di Don Benedetto ti sei comprata! Pure quel-
la! E papà! ...Chi l’ha zucato a papà! Chi l’ha zucato? Tu!
... E quelle zoccole delle sorelle mie!...20.
20
Week-end, Ubulibri, cit., p. 100. Queste ultime battute sul rapporto ipocrita della
madre con la Chiesa riecheggiano un rimprovero già avanzato da Adriana alla genitrice in
Notturno:
ADRIANA E tu sarisse ’a cattolica? Chella ca se fa scrupelo ’e trasì dint’ ’a na chiesa cu
’e vracce scummigliate! Tu si’ n’ipocrita! Chesto si’! N’ipocrita! (E tu saresti la cattolica?
Quella che ha timore di entrare in Chiesa con le braccia scoperte! Tu sei un’ipocrita! Questo
sei! Un’ipocrita!) Notturno di donna con ospiti, Ubulibri, cit., p. 71.
21
Si pensi che il testo nasce su suggerimento dell’attrice Barbara Valmorin, di origini
pugliesi.
139
Se cantar mi fai d’amore...
22
In merito alla lingua da usare durante le conversazioni di Ida con la madre, Ruccello
scrive: «Le battute di questa telefonata andranno elaborate dall’attrice nel più stretto dialetto
della sua regione di provenienza» Week-end, Ubulibri, p. 93.
23
Ivi, p. 100.
140
Week-end
24
Ivi, p. 102.
141
Sesso e morte:
Ferdinando
1
Ferdinando vince il premio IDI nel 1985, il Premio IDI migliore novità dell’anno
nel 1986, il Premio Lauro d’Oro alla protagonista Isa Danieli e il Premio Nazionale della
Critica nel 1986.
2
Il testo viene depositato in SIAE il 15 giugno 1984. Lo spettacolo debutta in ante-
prima a San Severo di Foggia il 28 febbraio 1986. Il cast è così composto, Donna Clotilde:
Isa Danieli, Donna Gesualda: Fulvia Carotenuto, Don Catello: Annibale Ruccello, Ferdi-
nando: Pierluigi Cuomo. Regia dello stesso Ruccello. A marzo lo spettacolo viene presenta-
to al Teatro Cilea di Napoli. Ad aprile Ferdinando è riproposto per una sola sera al Teatro
Quirino di Roma. Il testo avrà anche una versione cinematografica, nel 1990 viene realizza-
to Ferdinando uomo d’amore, con la regia di Memè Perlini e protagonista Ida Di Benedet-
to. Mentre nel 1998 Giuseppe Bertolucci cura la regia della riduzione televisiva di Ferdi-
nando (andato poi in onda su Rai Due per “Palcoscenico”).
3
Incentrando il testo così fortemente sul napoletano e sulla sua cultura, Ruccello non
143
Se cantar mi fai d’amore...
manca di lanciare un messaggio polemico a quelle compagnie partenopee che avevano cer-
cato una propria identità utilizzando drammaturghi stranieri. Si pensi, per esempio, al grup-
po teatrale napoletano che in quegli anni riscuoteva larghi consensi, «Falso Movimento».
Le loro produzioni di maggior successo, fino a quel momento, includevano: Il desiderio
preso per la coda da Picasso (1985), Coltelli nel cuore da Brecht (1985), Ritorno ad Alpha-
ville da Godard (1986).
4
La storia si svolge nel palazzo di Clotilde sulla costa napoletana fra Ercolano e Torre
del Greco. Non a caso zona prediletta dai Borbone per le vacanze estive.
5
Matteo Palumbo mette in evidenza «la dilatazione della vita interiore dei personag-
gi» in contrasto con «la limitazione carceraria dei luoghi» nei personaggi femminili di Ruc-
cello: «Per ognuna di esse la casa, più che costruire un contenitore naturalisticamente pre-
sente o un centro di raccordo che collega personaggi distinti per il loro carattere e per i loro
comportamenti, diventa il luogo di un’avventura mentale, in cui ciò che accade realmente
può perfino confondersi con la possibilità o con il timore che accada.» Id., Le «Piccole tra-
gedie minimali» di Annibale Ruccello, in «Nord e Sud», 4, 2000, p. 119.
144
Ferdinando
6
Cfr. Luigi Pirandello, Tutti i romanzi. I vecchi e i giovani, Milano, Mondadori, 1941.
7
Si noti che il cognome del personaggio è lo stesso del celebre drammaturgo napole-
tano del Settecento Pietro Trinchera (1702-1755), non a caso anch’egli Notaio (almeno fin
quando non abbandonò la professione per dedicarsi pienamente al teatro).
8
In una didascalia l’autore descrive così il suo personaggio: «È un giovane di circa
sedici anni, di una bellezza apollinea, con lunghi riccioli biondi che gli scendono quasi fin
sulle spalle, un corpo esile e slanciato e un’aria di ingenua tristezza che gli conferisce mag-
gior fascino». Ferdinando, cit., p. 151.
145
Se cantar mi fai d’amore...
e mm’’o stipo! Sulo d’’o mio adda essere! sulo d’’o mio! E
nisciun’ata!9
9
Fatti toccare! Stringere! Pizzicare! Voglio essere sicura che sei vero e non un sogno!
Fatti mettere le mani nei pantaloni! (Toccandogli il membro nei calzoni) Questo! Questo qua!
Deve essere solo mio! Se vengo a sapere che lo dai a qualcun altro, te lo taglio! Me lo mangio!
Lo strappo via e me lo conservo! Solo mio deve essere! E di nessun altro. Ivi, p. 174.
10
Guardami! E toccami! Non sono meglio io di Don Catellino! […]Guarda qua! Questa
carne fresca! Soda! Di cera! Senti il mio profumo! È un profumo che Don Catellino mai potrà
farti sentire! Lo capisci? (La bacia in bocca) Ti sapeva baciare così Don Catellino! Ivi, p. 170.
146
Ferdinando
11
Ivi, p. 183. Il brindisi è preceduto dalla scrittura di una lettera da parte di Don Catello.
Nella missiva, sotto dettatura di Clotilde, il Parroco scrive : «[…] Sento che le mie colpe sono
un fardello troppo pesante, e non posso ulteriormente sopportarle. Per questo ho deciso, pur fra
mille dubbi e ripensamenti, pur fra mille paure, di compiere ciò che fino a ieri mi sembrava
impossibile». Ivi, p. 182. L’utilizzo di due missive per lo sviluppo della trama (la prima è quel-
la in cui si annuncia l’arrivo di Ferdinando) mostrano la familiarità di Ruccello con la tecnica
delle “pièce bien faite” ideate dal drammaturgo francese Eugène Scribe nel 1825.
12
Si pensi almeno al dialogo fra Gesualda e Don Catello sulle loro pratiche sessuali.
Ferdinando, p. 165-168.
13
Palladini scrive: «[…] A tale modernità strutturale fa da contraltare in Ruccello un
solido, antico impianto di comicità popolare, e l’uso anch’esso noto di sottili strategie lin-
guistiche dove un napoletano ricco e incandescente viene qua e là intervallato, secondo pre-
cipue connotazioni psicologico – narrative, con il latino, il francese e l’italiano.» Id., Canta
Napoli, Napoli Millenaria, «Paese Sera», 14 aprile 1986.
147
Se cantar mi fai d’amore...
FERDINANDO Nun ve so’ nipote, nun ve so’ parente, nun ve so’ niente.
So’ figlio ’o nutaro Trinchera, ca lentamente, cu pacienze,
negli anni, sotto i nomi più svariati se ’mpussessato ’e tutte
ll’ipoteche voste, ’e tutte ’e cambiale, e tutte ’e diebbete…
’A primma famiglia burbonica veramente fedele ai Sa-
voia… Pe’ chesto me chiamo Filiberto. P’ammore d’ ’o
rre. No re Burbone ma ’o rrè… Chillo ’e mo’!15
14
Ruccello definisce la propria generazione: «dell’immagine, che non ha più un pas-
sato alle spalle…non avendo memoria non si ha nemmeno futuro» Luciana Libero, Ferdi-
nando non solo, «Il Mattino», 12 dicembre 1986.
15
Non sono vostro nipote, non vi sono parente, non vi sono niente. Sono figlio del no-
taio Trinchera che lentamente, con pazienza, negli anni, sotto i nomi più svariati si è impos-
sessato di tutte le vostre ipoteche, di tutte le cambiali, di tutti i debiti… La prima famiglia
borbonica veramente fedele ai Savoia…Per questo il mio nome è Filiberto. Per amore verso
il Re. Non il Re Borbone ma il Re…quello che c’è ora. Ferdinando, p. 184.
148
Ferdinando
della modernità, non accetta che l’italiano (la lingua dei vincitori) fac-
cia ingresso in casa sua, usando il napoletano quale baluardo a difesa
della propria identità:
CLOTILDE E non parlare italiano! Hai capito! Nun voglio sentì ’o tta-
liano dint’a sta casa…Io e isso c’avimme appiccicate il 13
febbraio del 1861 […] Contemporaneamente all’ammai-
narsi della gloriosa bannera ’e re Bburbone s’ammainaie
pure ll’italiano dint’ ’o core mio…Na lengua stranie-
ra!...Barbara!...E senza sapore, senza storia! ...Na lengua ’e
mmerda! ...Na lengua senza Ddio!16 ...
FERDINANDO Perdonate zia. A casa avevo tanto sentito parlare di voi che
è come se vi conoscessi da sempre. Il vedervi, perciò, mi fa
quasi rivivere davanti gli occhi le voci dei miei cari… Il
papà… La mamma …17.
16
E non parlare italiano! Hai capito! Non voglio sentire l’italiano in questa casa… Io
e lui ci siamo divisi il 13 febbraio del 1861 […] Contemporaneamente all’ammainarsi della
gloriosa bandiera del Re Borbone si ammainò anche l’italiano nel mio cuore…Una lingua
straniera!... Barbara!... E senza sapore, senza storia!... Una lingua di merda!... Una lingua
senza Dio!... Ivi, p. 141.
17
Ivi, p. 151.
149
Se cantar mi fai d’amore...
18
G. G., L. G., Ruccello una drammaturgia sui corpi, cit., p. 74. L’alta cifra linguisti-
ca del testo colpisce significativamente i recensori in occasione del debutto napoletano dello
spettacolo. Rodolfo Di Giammarco scrive: «[Ferdinando] appartiene a quell’ordine di eventi
che linguisticamente e formalmente dovrebbero fare storia, riaprire capitoli.» Id., Moliere
col Vesuvio tra vecchi gattopardi, «la Repubblica», 9 marzo 1986. Anche Savioli sottolinea
l’importanza della lingua nello spettacolo: «un vernacolo denso di umori, corposo, plastico,
innervato di arcaici fraseggi e di vigore plebeo, vera struttura portante dell’azione e suo
commento polemico» Id., Ferdinando re del dialetto, «L’Unità», 8 marzo 1986.
19
Annibale Ruccello, Presentazione di Ferdinando, a cura di Luciana Libero, op.
cit., p. 84.
20
Basti pensare ad opere quali: I sei personaggi in cerca d’autore, Così è se vi pare,
Enrico IV, etc.
150
Ferdinando
Ci sono poi altri riferimenti letterari. Il testo si apre all’ora del Ve-
spro con le due donne intente a recitare il Rosario. La stessa scena si
trova all’inizio del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. An-
che in quel caso una famiglia di nobili (siciliani) si è riunita per il Ve-
spro24. Ma al di là del singolo episodio si nota una similitudine nel pro-
filo dei due protagonisti. Al pari di Donna Clotilde, il Principe di Salina
non accetta l’Unità d’Italia. Illusoriamente ha creduto di poter fermare
la storia. Nondimeno dinanzi agli inevitabili cambiamenti culturali, di
stile e di cerimoniali imposti dalla classe dominate, egli non può che
21
Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello, in Teatro, cit., pp. 797-798.
22
Ferdinando si presenta travestito da Arcangelo Gabriele, con la spada sguainata,
proprio nel momento in cui Clotilde e Gesualda avvelenano Don Catello.
23
Allora…(Inizia a leggere) “E poi con questa lingua toscana avete rotto l’anima a
mezzo mondo! Vale più una parola napoletana sentita che tutti i vocaboli della Crusca!...”.
Ferdinando, p. 143.
24
«La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del
Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; […] Adesso, taciutasi la voce, tutto
rientrava nell’ordine, nel disordine, consueto». Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gatto-
pardo, Milano, Feltrinelli, 1958, p. 17.
151
Se cantar mi fai d’amore...
[…] dopo la morte del marito […] non aveva voluto lasciare, prima
Combray, poi a Combray la sua casa, poi la sua stanza, infine il suo letto,
e non scendeva più, sempre giacendo in uno stato incerto di dolore, di
debolezza fisica, di malattia, d’idea fissa di devozione26.
25
Il Principe preferisce rinunciare al seggio offertogli in Parlamento proponendo, al
suo posto, il nipote Tancredi.
26
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Torino, Einaudi, 2008, p. 38. Inoltre,
anche Clotilde (prima della venuta di Ferdinando), come la Zia Lèonie: «non riceveva nes-
sun altro all’infuori del signor curato», M. Proust, op. cit., p. 53.
27
Il pettegolezzo è una delle poche cose che veramente riescono a farti vivere, a farti re-
spirare ed avere un minimo di interesse verso una vita così brutta e amara. Ferdinando, p. 152.
28
Un povero arricchitosi. Ivi, p. 154.
152
Ferdinando
29
Anche questa figura mostra delle ascendenze proustiane inglobando due personaggi
della Recherche, Françoise (la domestica) e Eulalie (una protégée povera).
30
Si noti, tuttavia, che Pepe il romano non compare mai in scena.
31
Rivolgendosi a Sloane Kath afferma: You have a skin on you like a princess […] I
like a lad with a smooth body (Hai la pelle di una principessa […] Mi piacciono gli uomini
con corpi così soavi. Id., Entertaining Mr Sloane, cit., p. 77.
32
Pur di non perdere i favori di Ed, Sloane non esita ad offrirsi a lui:
SLOANE Let me live with you. I’d wear my jeans out in your service. Cook for you.
ED I eat out.
SLOANE Bring you your tea in bed.
ED Only women drink tea in bed.
SLOANE You bring me tea in bed, then. Any arrangement you fancy. (SLOANE. La-
sciami vivere con te. Farei di tutto per te. Potrei cucinare per te. ED Mangio fuori. SLOANE.
Portarti il tè a letto. ED Solo le donne bevono il tè a letto. SLOANE. Potresti portarmi tu il tè a
letto, allora. Come preferisci.) Ivi, p. 135.
Tornando al romanzo di Proust, si noti che la condizione di Morel quale “gigolò”
sembra un buon precedente per il giovane Ferdinando. Id., Sodoma e Gomorra. Alla Ricer-
ca del tempo perduto, cit. pp. 1165-1555.
153
Se cantar mi fai d’amore...
33
DON CATELLO […] Ma m’ha ’cciso l’ammor…l’ammore ca te fa perdere ’e sienze e
nun te fa capì cchiù niente! (Mi ha ucciso l’amore…l’amore che ti fa perdere i sensi e non ti
fa capire più nulla!) Ferdinando, p. 183.
34
E desso!... E adesso il colpo per la morte di Don Catellino, probabilmente sarà trop-
po forte per me… La partenza inaspettata di Ferdinando…Troppe emozioni… Probabil-
mente mi sentirò un’altra volta debole… talmente debole che dovrò rimettermi a letto… E
forse stavolta penso che difficilmente mi alzerò più! Ivi, p. 186.
154
Ferdinando
ENRICO IV Ora sì… per forza… qua insieme, qua insieme… e per
sempre!35
35
Id., Enrico IV, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1969, p. 219.
36
Gesualdì… Gesualdì… Ci pensi… Non si chiamava nemmeno Ferdinando! Ferdi-
nando, p. 186.
155
Divertissement sul presente:
Mamma. Piccole tragedie minimali1
1
Lo spettacolo, scritto fra il 1983 e il 1986, depositato in SIAE il 28 giugno 1986, de-
butta al Teatro Oriente di Torre del Greco nel luglio dello stesso anno. Regista e interprete
unico: Annibale Ruccello.
2
Ad esempio, la prima parte Le fiabe viene così introdotta: «Il personaggio entra dal
fondo della scena. il palco è vuoto, solo una sedia e un piccolo tavolinetto con il telefono.»
Id., Mamma. Piccole tragedie minimali, Ubulibri, cit., p. 119.
3
Anche le recensioni mettono in rilievo questo aspetto. In riferimento alle quattro
donne rappresentate, Andrea Manzi scrive: «Compongono un affresco dell’impoverimento
del popolo». Id., Donne di ordinaria follia, «Il Mattino», 15 ottobre 1987.
157
Se cantar mi fai d’amore...
giunga a tutto ciò che il testo (proprio in virtù della sua struttura) è una
summa simbolica dei temi presentati da Ruccello in larga parte della sua
produzione drammaturgica. Non a caso, una parte del monologo
d’apertura Le fiabe, appare già ne L’osteria del melograno4, allo stesso
modo Il mal di denti è ripreso da Notturno di donna con ospiti.
La prima delle quattro donne racconta delle fiabe servendosi di un
napoletano in bilico fra arcaico e contemporaneo:
4
Tanto la storia di Miezuculillo quanto il personaggio di Catarinella (sebbene, come
già visto, siano effettivamente presenti ne L’osteria del melograno) provengono dalla tradi-
zione campana e compaiono in Roberto De Simone, Fiabe campane, cit. Un breve riferi-
mento alla filastrocca Il re dei piriti è presente anche in Notturno…. Il padre della protago-
nista recita: «E piripinnecchia marinaio e vott’’a necchia, uh che pereto fetente ca ce tiene
int’ ’a stu ventre. E ce tengo quatto alice, quatto alice rint’ ’o piatto, vene ’o miereco e t’ ’e
n’tacca, e te ’ntacca cu ’e fasule…» Notturno di donna con ospiti, Guida, cit. p. 92.
5
Piccola… Piccola, vieni qua, vieni… E non aver paura… Vieni, vieni, adesso la
mamma ti racconta le favole…Vieni…Vieni…C’era una volta…un padre, una mamma e
due figliole…Una si chiamava Rosetta e l’altra… la maggiore… si chiamava Catarinella.
La mamma, voleva far crescere queste bambine sagge, giudiziose, sistemate… Diceva loro:
Fate i letti, spazzate il pavimento… pulite il gabinetto…spolverate i tappeti” …ma queste
ragazze non avevano voglia di fare niente. Mamma. Piccole tragedie minimali, p. 119.
158
Mamma. Piccole tragedie minimali
sta dei contenuti. La fiaba narrata contiene nomi volgari, termini scurrili
ed elementi dissacratori, inoltre è priva di accenni consolatori e presenta
una smitizzazione della figura materna qui assurta a male costante dal
quale purificarsi (non a caso la prima madre di cui si narra nella fiaba
viene uccisa dalla figlia Catarinella su suggerimento della futura matri-
gna, ricevendo sulla testa il coperchio del baule.)6. Alla luce delle opere
successive, il monologo acquista un ruolo di particolare rilievo laddove
lo stato di conflitto qui in corso tra madre e figlia, diventa elemento ri-
corrente e determinante la psicologia dei personaggi femminili in almeno
altre due opere di Ruccello, Notturno di donna con ospiti e Week-end.
6
È interessante notare come questa modalità sia la stessa usata dalla serva Angizia ne
La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio per uccidere Monica, moglie del Principe Tibal-
do del quale la donna punta a diventar consorte. In quel periodo Ruccello sta lavorando
proprio all’adattamento del testo di D’Annunzio.
159
Se cantar mi fai d’amore...
7
Un giorno me ne stavo tranquilla e beata in camera mia a leggere “Sorrisi e Canzo-
ni” con la radiolina accesa che trasmetteva una canzone dei Ricchi e Poveri, a un certo pun-
to bussarono alla porta! […]Vado ad aprire e questo mi dice: “Ave Maria!”. “No mi dispia-
ce”, risposi io, mia madre è all’antica e dice che il detersivo non lava altrettanto bene del
sapone grezzo! […] in questa casa né Ava, né Sole piatti, né Svelto, né Dash, possono en-
trare! Pensate che una volta venne anche Mr. Dixan, ma mio padre lo cacciò a calci nel se-
dere! Ivi, p. 126.
8
Sapete che vi dico? Io mi sono stufata di fare la Madonna incompresa! Stanotte,
quando mi viene in sogno glielo dico che s’è sbagliato! Io non sono la Madonna! Lo Spirito
Santo si è sbagliato! Io non sono Maria! Il mio nome è Orietta! Orietta Berti. Ivi, p. 127.
160
Mamma. Piccole tragedie minimali
L’atto estremo della ragazza induce a riflettere sul fatto che sebbene
il ruolo predominante in scena sia svolto dalle madri, l’attenzione va po-
sta sulla famiglia nella sua interezza. Anche il rapporto fra genitori e figli
rivela la modernità di Ruccello laddove la prole non è più fonte d’amore
ma destinataria primaria dei comportamenti vessatori, irrazionali e terro-
rizzanti del genitore. Siamo ormai non più nel campo dell’invenzione
drammaturgica ma al cospetto di donne che vivono il rapporto con i pro-
pri figli come momento estremamente problematico. Fonti di nevrosi,
ansie, turbamenti, istinti omicidi, tali comportamenti vengono largamen-
te documentati dalla letteratura sociale sulle “madri disturbate”10.
9
Proprio oggi che avevo il mal di denti. Ivi. p. 135.
10
Edi Gatti Pertegato, Madri disturbate, in Dietro la maschera. Sulla formazione del
Sé e del falso Sé, Milano, Franco Angeli, 1987, pp. 142-149.
161
Se cantar mi fai d’amore...
11
E che nome gli darai?.. Mhm…non mi piace proprio…Senti…Perché non li chiami
Maurizio e Costanzo così magari appariranno su retequattro […] però Pippo e Mike nean-
che mi piacciono molto! ...Mike magari sì …Ma Pippo …si fosse trattato di una femmina
facevi Pippo e Katia e poteva anche andare …No! […] A quel punto meglio Corrado, scusa
… […] Io invece ho già presentato domanda per portare Ursula e Pier Paolo a Piccoli Fans
…Eh! La trasmissione di Sandra Milo …No perchè ho pensato: Pier Paolo porta gli occhiali
ed è un po’ bassino…Ursula invece è già altina e con i capelli neri lunghi …gli faccio fare
Albano e Romina. Mamma. Piccole tragedie minimali, cit., p. 133.
12
Le analisi sociali condotte sulla composizione delle famiglie napoletane conferma-
no che: «Campania is distinguished in the 1980s by having the largest family size and the
highest fertility rate in the country. In 1979 the natural rate of increase of the population for
Campania was 9.1 (compared to a national rate of 2.5)» (la Campania si distingue nel 1980
per la presenza di famiglie più numerose e il tasso di fertilità più alto nel paese. Nel 1979
l’aumento della popolazione procedeva ad un tasso di 9.1 (paragonato al tasso nazionale di
2.5) V. A. Goddard, Gender, Family and Work in Naples, Oxford, Berg, 1996, p. 171. E
ancora: «But regardless of a woman’s qualities and accomplishments, motherhood was re-
garded as making her a full and proper woman. Not surprisingly, few women were willing
to envisage a future without children. Indeed, children were often considered to be the natu-
ral product of all sexual relationships, but were also seen as the cement that kept a couple
together» (ma a dispetto della qualità della donna e dei suoi raggiungimenti, la maternità
162
Mamma. Piccole tragedie minimali
veniva vista come l’unico elemento perché una donna fosse completamente realizzata. Non
a caso, poche donne erano disposte ad immaginare un futuro senza figli. In effetti, i figli e-
rano spesso considerati come il frutto naturale di ogni rapporto sessuale, ma erano visti an-
che come il collante che tiene una coppia unita) ivi, p. 186.
13
Delle volte, mi credi?... Li ucciderei tutti! Lì sul posto!...Aprirei la chiavetta del gas
e gli farei fare la fine degli Ebrei… Mamma. Piccole tragedie minimali, p. 132.
163
Un allestimento postumo:
Anna Cappelli
1
Il testo viene allestito al Teatro Tenda di Roma il 26 settembre 1986. Interprete e re-
gista: Benedetta Buccellato. L’autore lo aveva depositato in SIAE il 29 agosto 1986.
2
L’ispirazione del monologo può essere rintracciata, ancora una volta, nella cronaca.
Nel 1981 suscita notevole scalpore la storia dello studente giapponese Issei Sagawa che a
Parigi uccide e divora la sua compagna di corso, Renée Hartevelt.
165
Se cantar mi fai d’amore...
ANNA Mi sono presa un’arrabbiatura con mio padre oggi per tele-
fono! Vuole dare la mia camera a Giovanna…No! Che non
gliela darei mai! Né a Giuliana né a Teresa e nemmeno se
scendesse il Padreterno in terra con tutto il paradiso e tutti i
santi in riga per settanta!3
3
Id., Anna Cappelli, Ubulibri, cit., p. 107.
4
Ivi, p. 110.
166
Anna Cappelli
ANNA Sai Tonino tu non mi abbandonerai mai più […] E sai per-
ché… Perché io adesso… Ti mangio… Sì, ti mangio… Ti
mangio tutto […] Ho fatto il calcolo che mi ci vorranno
una quindicina di giorni […] Dunque devi sapere che in
questi giorni mi sono informata molto… E ho letto che ti
perderei di nuovo… Capisci… E io non posso assolutamente
concedermi il lusso di perderti di nuovo […] Pensa che non
andrò nemmeno in bagno per non perderti in parte…6.
5
Un episodio di antropofagismo è già presente nell’opera di Ruccello. Ne L’osteria
del melograno, il personaggio di Miezuculillo, per punire la ragazza che ha osato servirgli
escrementi al posto della carne, la divora, cit., pp.12-13.
6
Anna Cappelli, p. 114.
167
Se cantar mi fai d’amore...
propria sorte. È evidente che questa storia trascende la sfera dei motivi
puramente sentimentali per porsi quale ragionamento teatrale sull’emar-
ginazione (tanto fisica quanto psicologica), causa primaria di quell’alte-
razione patologica del vissuto quotidiano che spinge Anna a un tale at-
to, simbolico finale di una favola nera, a metà fra realtà e immaginario.
Come si è già visto in precedenza, Ruccello ama chiudere i suoi lavori
con finali estremi ricorrendo ad atti clamorosi, solo parzialmente scalfi-
ti da pentimenti postumi. Dopotutto, il mutato contesto sociale permette
al drammaturgo di liberare i suoi personaggi femminili da una sorta di
clausura culturale7. È lancinante in queste donne il desiderio di essere
protagoniste del proprio destino. I loro gesti estremi si pongono in una
cornice profondamente personale, interpretabili come rivendicazione di
libertà individuale. Il costo da pagare per giungere a quest'agognato
stato salvifico è molto alto: la morte. Atto finale al quale si giunge at-
traverso una via dolorosa puntualmente percorsa, dove le componenti
base dell’esistenza umana subiscono profonde mutazioni assumendo
toni cupi, espressione della degradazione dell’individuo. Ne è esempio
il sesso che nei drammi di Ruccello è spesso anticamera di morte o por-
tatore d’infelicità. Se l’amore fra Anna e Tonino sfocia nell’assassinio
di quest’ultimo ad opera di Anna, in Ferdinando l’eros esploso in se-
guito all’arrivo del ragazzo è causa dell’avvelenamento di Don Catello.
E ancora, Jennifer vive il sesso come triste professione, l’unico mo-
mento d’amore desiderato, quello con Franco, le è costantemente nega-
to; Adriana subisce uno stupro che le cambia irrimediabilmente l’ado-
lescenza, costretta poi dalla madre ad un aborto; gli amplessi fra Narci-
so e Ida avvengono attraverso dinamiche di ambigua sottomissione.
Vittime di rapporti impari con il proprio partner, queste donne espri-
7
Ancora una volta le analisi sociologiche svolte in quegli anni sembrano sostenere
l’interpretazione di Ruccello. Rita Randazzo scrive: «Gli anni ’70 sono decisivi per l’avvio
di uno studio attento della condizione della donna e di un’esatta comprensione della rile-
vanza economico-sociale del suo ruolo familiare. […] oggi il concetto di “doppia presenza”
riassume la condizione di passaggio dal “dentro” al “fuori” la famiglia e di presenza paralle-
la entro mondi collegati a logiche diverse. […] esso precisa la volontà delle donne di andare
alla ricerca di una propria identità, di essere appunto “presenti” nella vita sociale e persona-
le» in Id., Strategie familiari, ruolo e identità femminili in trasformazione nell’Italia meri-
dionale, in «Inchiesta», 74, 1986, p. 25.
168
Anna Cappelli
8
Anche Jennifer si suicida in scena, ma l’autore non mostra l’atto, bensì solo il prima
e il dopo: «La pistola. La punta. La bocca. L’avvicina. Cazzo sembra di fare un pompino.
Buio…
Torna la luce. La luce dell’abat-jour. Lui è lì. Riverso per terra». Le cinque rose di
Jennifer, Ubulibri, cit., p. 43.
9
L’equazione donna-Napoli viene confermata dallo stesso Ruccello in un suo saggio:
«E in un gioco angosciante e indecifrabile in cui ogni ruolo è ribaltato alla ricerca di
un’impossibile ricomposizione finale, la donna diviene la stessa città di Napoli che costan-
temente ricuce i pezzi smembrati della propria cultura (o del proprio sposo-figlio-fratello-
padre), in attesa di un Gesuita (allucinante se stesso repressivo) che costantemente sbrani,
dilani, tale realtà, senza riconoscerla e riconoscersi, con l’aggressività di tutti i maschi ango-
sciati dalla castrazione o che violentemente la desiderano fino ad esibirla in quanto cultura,
in quanto storia. E Napoli è qui intesa come ventre, come utero, o come luogo privilegiato
dell’inconscio di ognuno di noi.». Id., Mistero napoletano, in Scritti inediti, cit. p. 113.
169
Bibliografia del’autore
Bibliografia critica
AA.VV., Annibale Ruccello. Catalogo della mostra di Antonio Gargiulo “Ricor-
dando Annibale”, Castellammare di Stabia, Eidos, 2000.
Baffi Giulio (a cura di), Il sentimento del drammatico, Cataloghi della Mostra La
scrittura e il gesto. Itinerari del teatro napoletano dal Cinquecento ad oggi,
Napoli, Guida Editori, 1982.
Barbagallo Francesco (a cura di) Storia della Campania, Napoli, Guida Editori, 1978.
Basile Giambattista, Lo cunto de li cunti, a cura di Michele Rak, Milano, Garzanti,
1998.
171
Se cantar mi fai d’amore...
172
Bibliogrfia
Patroni Griffi Giuseppe, Tutto il teatro, a cura di Paolo Bosisio, Milano, Monda-
dori, 1999.
Palumbo Matteo, La funzione degli spazi:da Raffaele Viviani ad Annibale Ruccel-
lo, in La civile letteratura. Studi sull’Ottocento e il Novecento offerti ad An-
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