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GIULIO CAMILLO

L'IDEA DEL THEATRO


CON «L'IDEA DELL'ELOQUENZA»,
IL «DE TRANS MUTATIONE»
E ALTRI TESTI INEDITI

A cura di Lina Bolzoni

ADELPHI
GIULIO CAMILLO

L'IDEA DEL THEATRO


CON «L'IDEA DELL'ELOQUENZA»,
IL «DE TRANS MUTATIONE»
E ALTRI TESTI INEDITI

A cura di Lina Bolzoni

ADELPHI
Giulio Camilla
Lidea del theatro
con «�idea dell'eloquenza»,
il « De transmutatione»
e altri testi inediti

Adelphi

A cura di Lina Bolzoni


L'idea del theatro è fra le opere che meglio in­
carnano lo splendore che l'arte della memo­
ria - nutrita di ermetismo e lullismo, neopla­
tonismo e suggestioni magiche, astrolo­
giche e cabalistiche - conosce nel Cinque­
cento. Rispetto ai trattati mnemotecnici lo
scarto è vertiginoso: la griglia di classifica­
zione che il suo autore, Giulio Camilla, ci of­
fre (quarantanove «luoghi», contrassegnati
da una o più immagini, che nascono dal­
l'incrocio fra l'ordine verticale dei sette pia­
neti e quello orizzontale dei sette gradi) fun­
ziona infatti come una scacchiera che, gra­
zie al movimento e alla combinazione delle
sue componenti, è in grado di generare nuo­
vi significati e nuovo sapere: come una men­
te artificiale, dunque, sicché ricordare diven­
ta pericolosamente simile a creare, o ricrea­
re, il mondo. Ma c'è molto di più: Lina Bolzo­
ni, che ne ha a lungo indagato l'intricatissi­
ma e frammentaria tradizione manoscritta,
ci rivela infatti che L'idea del theatro è in real­
tà solo la sintetica rievocazione di un imma­
ne progetto, un Teatro della memoria (o Ca­
sa della sapienza) la cui natura resta incerta
(libro, edificio, maquette di legno, modello pu­
ramente mentale), ma che intravediamo au­
dacemente sospeso tra idea e macchina,
metafisica e mito alchemico. Un progetto co­
sì ammaliante da sedurre intere generazioni
e da riaffiorare, attraverso plagi e riscritture,
nelle forme più sorprendenti e imprevedibili:
da una misteriosa villa in Friuli descritta dal
Doni sino alle opere d'arte contemporanee
di Marino Auriti e Achilles Rizzali. Il che non
stupisce: come osserva Lina Bolzoni, la sto­
ria del Teatro di Giulio Camilla ci conduce al
cuore del ruolo delle immagini nel Cinque­
cento, getta luce sul loro straordinario potere
- la capacità di attraversare «la mente del
lettore che legge un poema e lo visualizza, i
teatri della memoria, i palazzi e le collezioni,
reali o immaginari, e naturalmente la biblio­
teca».
Nato intorno al 1480, sodale di Pietro Bembo,
T iziano e Lorenzo Lotto, disprezzato come un ciar­
latano o esaltato come un essere divino, Giulio
Camillo è una delle personalità più enigmatiche del
Cinquecento. Sempre alla ricerca di mecenati di­
sposti a finanziare il suo ossedente progetto, trova
un potente protettore nel re di Francia Francesco I
e poi nel governatore di Milano Alfonso d'Avalos.
Muore d'improwiso, pare per stravizi amorosi, nel
1544. Oltre ali' Idea del theatro (la cui princeps risa­
le al 1550), la presente edizione propone un cospi­
cuo nucleo di testi inediti: L.:idea dell'eloquenza e il
De transmutatione, un brano del Teatro, o palazzo
d'invenzione tramandato da un manoscritto di
Austin, nonché la descrizione della villa «di ricrea­
tione» che il Doni attribuisce a Camillo. L'ampia, af­
fascinante Introduzione, il puntuale commento ai
testi e un ricco apparato iconografico - che rintrac­
cia le corrispondenze figurative delle immagini evo­
cate (pitture, sculture, medaglie, geroglifici, emble­
mi e imprese, reperti archeologici) - ci accompa­
gnano nella ricostruzione dei segreti del perduto
Teatro e delle sue metamorfosi.

Sull'astuccio: Il «gorgo dell'artificio», in Giulio Camil­


lo, Trattato delle materie, in Opere, Farri, Venezia, 1579,
voi. I, p. 166; Simbolo dedicato a Giulio Camillo, in
Achille Becchi, Symbolicarum quaestionum, de uni­
verso genere, quas serio ludebat, libri quinque, So­
cietas Typographiae Bononiensis, Bologna, 1574, li­
bro 111, Symb. LXXXVIII.
GIULIO CAMILLO

L'IDEA DEL THEATRO


CON « L'IDEA DELL'ELOQUENZA»,
IL« DE TRANSMUTATIONE» E ALTRI TESTI INEDITI

A cura di Lina Bolzoni

ADELPHI EDIZIONI
© 2015 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO
WWW .ADELPHI.IT
ISBN 978-88-459-2982·3

Anno Edizione

2018 2017 2016 2015 l 2 3 4 5 6 7 8


INTRODUZIONE
I. GIULIO CAMILLO

Alla fine, nell'ultimo canto dell'Orlandofurioso, la nave del


poema arriva in porto e l'Ariosto, che aveva rischiato a sua
volta di essere travolto dalla follia dell'amore, trova ad aspet­
tarlo, sulla riva, una folta schiera di dame e cavalieri, di prin­
cipi e poeti. Sono i suoi lettori ideali, una specie di foto di
gruppo della république des lettres che, come sempre capita,
scatena le ire di chi non vi è incluso. Fra questi, Niccolò Ma­
chiavelli, che esprime il suo disappunto in modo colorito
(«io mi dolgo solo che ... m 'habbi lasciato indreto come un
cazo »), un disappunt� reso più acuto dall'ammirazione che
prova per il poema. 1 E straniante per noi, che guardiamo a
quella folla che si accalca sulla riva dalla distanza dei secoli,
non trovare Machiavelli e trovare invece un personaggio che
sarebbe stato a lungo dimenticato e disprezzato, Giulio Ca­
millo:
E quei che per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano e più breve altro camino,
Iulio Camillo...2

1. Cfr. la lettera di Machiavelli a Lodovico Alamanni del 17 dicembre 1517


(in Niccolò Machiavelli, Tutte le opere, a cura di A. Capata, Newton Compton,
Roma, 1998, p. 948), che fa riferimento alla prima edizione del Furioso, del
1516.
2. Ludovico Ariosto, Orlando furioso, XLVI, 12, 5-7. L' elogio di Camillo fu
aggiunto da Ariosto nell'edizione del 1532. Anche Tasso cita più volte Ca­
millo: cfr. La cavaletta overo de la poesia toscana, in Dialoghi, a cura di E. Rai­
n
mondi, Sansoni, Firenze, 1958, pp. 305-307, 312; Conte overo de /'imprese,
ibid., p. 186; Discorsi del poema eroico, IV, 4, in Discorsi dell 'arlepoetica e del poema
eroico, a cura di L. Poma, Laterza, Roma-Bari, 1964.
10 INTRODUZIONE

Chi era dunque questo Camillo, al quale Ariosto (non si sa


con quanta convinzione) riconosce una specie di ricetta ma­
gica, quella che insegna la via breve e facile al comporre poe­
sia? Sappiamo che nasce in Friuli, verso il 1480, forse a Porto­
gruaro, o forse nel castello di Zoppola, e alla 'patria del Friuli'
resta sempre legato. 1 A volte si firma Giulio Camillo, che ave­
va il vantaggio di risuonare quasi come un nome latino, altre
volte aggiunge Delminio, forse da una città della Dalmazia da
cui pare provenisse la famiglia. Formatosi tra Venezia e Pado­
va, Camillo ha una buona preparazione filosofica ma è ali' ori­
gine soprattutto un letterato: poeta e oratore, maestro di
grammatica e di retorica, commentatore di poeti (Virgilio,
Petrarca) e di oratori classici, indirizza versi a poetesse e scrit­
trici come Veronica Gambara, Tullia d'Aragona e Margherita
di Navarra; fa parte dell'ambiente di Pietro Bembo e Trifon
Gabriele ed è protagonista, insieme con loro, della ricerca di
modelli linguistici e formali che segnino una nuova fase di ri­
nascita della letteratura volgare. Ma tutto questo non gli ba-
I. Su Camillo, cfr. Giorgio Stabile, Giulio Camillo, in Dizionario bwgrafico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, voi. XVII, 1974, pp. 218-30;
Frances A. Yates, L 'am della memoria, Einaudi, Torino, 1972, pp. 121-59; Cesa­
re Vasoli, I miti egfi astri, Guida, Napoli, 1977, pp. 185-218, 219-46; Lina Bol­
zoni, n reatro della memoria. Studi su Giuuo Camillo, Liviana, Padova, 1984, e La
stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell'età della stampa, Einaudi,
Torino, 1995; il numero a lui dedicato, Giuuo Camillo Delminio e altri autori, in
«Quaderni utinensi», III, 1985; gli interventi di Corrado Bologna: Giulio Ca­
millo, il canz.oniere provenz.aJe N2 e un inedito commento al Petrarca, in « Cultura
neolatina», XLVII, 1987, pp. 71-97; n "theatro » segreto di Giuuo Camillo: l'Urtext
ritrovato, in«Venezia Cinquecento», I, 2, 1991, pp. 217-71; Esercizi di memoria.
Dal « theatro della sapientia » di Giuuo Camillo agi.i « esercizi spirituau » di Ignazio di
Luyola, in La cultura della memoria, a cura di L. Bolzoni e P. Corsi, il Mulino,
Bologna, 1992, pp. 169-221; La macchina del «Furioso». Lettura dell'«Orlando»
e delle «Satire», Einaudi, Torino, 1998, pp. 123, 150-51; Leretourdesdieuxan­
ciens: Giuuo Camillo etFontainebf.eau, in«ltalique », V, 2002, pp. 111-38; Lii.rea
della Mente. Iniziazioni spirituau nel « Teatro della Sapienza» di Giuuo Camillo, in
Cenacou. Circou e gruppi letterari, artisti, spirituali, a cura di F. Zambon, Medusa,
Venezia, 2007, pp. 177-98. Cfr. inoltre Mario Turello, Anima artiftciaf.e. n reatro
magi.ca di Giuuo Camillo Delminio, Aviani, Udine, 1993; Maurizio Calvesi, n tea,.
tTo sapienz.iaf.e di Giuuo Camillo, in «Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei
Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», Quarta Serie, IX,
1998, pp. 579-600; Kate Robinson, A Search /or the Source o/ the Whirlpool o/
Artifice. The C:Osmology ofGiuuo Camilla, Drmedin Academic Press, Edinburgh,
2006; Giulio Camillo, Chiose al Petrarca, a cura di P. Zaja, Antenore, Roma­
Padova, 2009, e Autografi dei letterati itauani, n Cinquecento, a cura di M. Moto­
lese, P. Procaccioli, E. Russo, Salerno, Roma, 2009, pp. 95-104.
GIULIO CAMILLO 11
sta: vuole penetrare al di là della lingua e delle forme, fino a
catturare i segreti della bellezza che si nascondono nei testi
esemplari, e ancora oltre: vuole ricollocare i testi entro uno
schema che pennetta di andare dalle parole alle cose, di ri­
produrre l'ordine e la forza creativa del cosmo, fino a gareg­
giare con Dio. Di questo sogno faustiano, di questa queteosses­
siva che contrassegna gran parte della sua vita, i testi che qui
presentiamo ci offrono una immagine viva e insieme cangian­
te, ci aiutano a ricostruire un itinerario che è all'insegna della
metamorfosi e dell' ars combinataria, che esprime una ricerca
del tutto personale e insieme profondamente nutrita dei so­
gni e delle esperienze di una intera età. Una vicenda che è in
grado, ancora oggi, di affascinarci, di sollecitare la ricerca di
artisti e architetti di edifici impossibili, e di sperimentazioni
di video arte. A diversi artisti del resto Camillo è molto legato:
a quelli che frequentano il circolo di Pietro Aretino, Tiziano
in primo luogo, ma anche a un architetto come Serlio, e
all'inquieto Lorenzo Lotto. 1
Dal natio Friuli, e dal Veneto, Camillo si sposta per la peni­
sola, a Roma, a Genova, a Bologna, al seguito di amici e pro­
tettori, cercando signori che possano finanziare il suo pro­
getto di un universale teatro della memoria ( o della sapien­
za). A partire almeno dal 1530 trova un potente protettore in
Francesco I, il re francese che ama e coltiva le lettere e le arti
italiane. Al suo servizio cerca di portare a termine il progetto
del Teatro, e di tradurne in francese i testi, spesso in un fati­
coso andirivieni al seguito della corte, tra Francia e Italia.
Quando l'interesse e i finanziamenti del re si affievoliscono
sino a venir meno, trova nel 1543 un altro protettore in Al­
fonso d'Avalos, il governatore spagnolo di Milano, che per
lui ( o meglio per il 'segreto del suo Teatro') aveva avuto una
specie di innamoramento: « O vero o non vero, io lo voglio»
dice a Girolamo Muzio, il quale, da bravo amico e cortigiano,
risponde: « L'haverete, Signore, haverete il secreto et l'huo-

1. Il primo aprile 1528 Sebastiano Serlio, molto malato, fa test.unento e indi­


ca come erede universale Giulio Camillo, « cordialissimum et amicissi­
mum »; testimoni sono Lorenzo Lotto e Alessandro Citolini (Loredana Oli­
vato, Per il Serlio a Venezia: doc:umenti nuovi e doc:umenti rivisitati, in « Arte vene­
ta », XXV, 1971, pp. 284-91). Cfr. Massimo Firpo, Artisti, gioiellieri, eretici. fl
mondo di Lmenw Lotto tra Rifurma e Controrifurma, Laterza, Bari, 2001.
12 INTRODUZIONE

mo», e contratta per il Camillo la ricompensa generosa di


cinquecento scudi. 1
A meno di un anno di distanza, il 15 maggio 1544, Camillo
muore d'improwiso a Milano, pare per stravizi amorosi, in
compagnia di due donne che si era portato dalla Francia: 2
degna conclusione di una vita che aveva conosciuto sia l'estasi
mistica che i piaceri dei sensi. Del resto - lo aveva scritto alla
figlia Cornelia, chiusa in un convento - non approvava il tono
cupo dei libri di devozione, che riempiono la mente« di negri
pensieri e di continua tristezza et quasi di dispiacere di ritro­
varsi in questo mondo», e aveva aggiunto: « per dir in poche
parole il tutto, Dio ordinò il matrimonio, ma lo stato opposto
non ordinò giammai», dato che Dio stesso « ha seco l'uno et
l'altro sesso», contiene in sé sia il principio maschile che
quello femminile (De l'humana dei,_-ficatione, pp. 200 e 201) . 3
All'insegna della contraddizione è la figura del Camillo:
giocatore e libertino a Venezia, si mostra molto pio e dedito
alle Scritture negli ambienti riformati: suscita l'ammirazione
diJean Sturm, il grande educatore protestante, che lo dice
«vir recondita eruditione, mirabili pietate»;4 forse (ma l'i­
dentificazione non è sicura) compare d'improwiso a Ginevra
nell'ottobre del 1542, dove ostenta la sua conoscenza del Van­
gelo e provoca i sospetti di Calvino. 5 In effetti, anche in Italia,
tra Venezia, Bologna, Ferrara, Genova, Roma, Camillo appa-
1. Girolamo Muzio, Lettere, a cura di A.M. Negri, Edizioni dell'Orso, Alessan­
dria, 2000, libro Il, lettera IV, pp. 127 e 131.
2. Cfr. Achille Neri, Una lettera inedita di G. Muzio, in « Gicnna/,e starico della /,et­
teratura italiana», IV, 1884, pp. 229-40.
3. li passo è ricordato da Alexander Nagel, The Controversy ofR.enaissance Art,
University of Chicago Press, Chicago-London, 2011, p. 99, in relazione al
carattere androgino del Cristo morto di Rosso Fiorentino (Museum of Fine
Arts, Boston).
4. Nel novembre 1533 lo Sturm scrive in questi termini a Martin Butzer, che
desidera mettere in contatto diretto con Carnillo (cfr. Charles Schmidt, Gé­
rard Rlrusse� prédicateur de la reine Marguerite de Navarre, Schmidt et Grucker,
Strasbourg, 1845, pp. 219-20).
5. Cfr. Stabile, Giulio Camilla, cit., p. 225: « il 25-28 ott. 1542 Calvino comuni­
ca a Viret la presenza prolungata e inquietante del Carnillo ("Habemus hic
Jullium Carnillum cuius tam diuturna mora no bis nonnihil suspecta "). Egli
teme che dietro l'ostentato evangelismo ("liberaliter ore iactat Evange­
lium ") il Carnillo celi "aliquid clandestini consilii", quello forse d'un segreto
appoggio agli agenti italiani che braccano l'Ochino (cfr. Aimé-Louis Her­
minjard, Correspondance. . . , Genève-Paris, VIII, 1893, p. 165) ».
GIULIO CAMILLO 13
re legato ad ambienti dove molto forti sono le idee di riforma, 1
e nello stesso tempo le sue opere, nutrite di neoplatonismo,
di ermetismo, di cabala, sembrano muoversi su un terreno
altro rispetto alle religioni positive, caratterizzate come sono
dalla ricerca di una comune, antichissima sapienza che si ma­
nifesta in forme diverse.
Il suo progetto, la sua figura, suscitano reazioni contrastan­
ti: c'è chi lo esalta come uomo divino, chi lo guarda con so­
spetto, come Erasmo, chi lo disprezza come un ciarlatano
(come Étienne Dolet e altri letterati della corte francese, indi­
spettiti dalla accoglienza che il re gli ha riservato) ,2 chi lo invi­
dia, come Paolo Giovio. Una diffidenza che è durata a lungo,
anche nella nostra tradizione di studi, che si è trovata in
difficoltà di fronte a una vicenda in cui la linea 'magnifica e
progressiva' del classicismo di Pietro Bembo si contaminava
con pericolosi sogni magici ed enciclopedici, oltre che con la
fiducia nel potere delle immagini.
Ludovico Castelvetro tallona Camillo da vicino, con un mi­
sto di interesse e di dispettoso distacco: sottolinea le inesattez­
ze di alcune citazioni e interpretazioni di Virgilio e di Petrar­
ca, e smaschera impietosamente i suoi raggiri e le sue pretese
di alchimista. Camillo è nato in una « villa di Friuli», ricorda
Castelvetro in una lettera del 1536, ma« hora scrive a M. Fran­
cesco Greco ch'egli è estratto di nobilissima famiglia, e ric­
chissima ne' confini di Croatia», che finalmente tutti gli altri
eredi sono morti, per cui lo aspetta una grande eredità; deve
riscuoterla in Croazia e non ha soldi a sufficienza, nemmeno
1. CTr. Antonio Rotondò, Per la storia dell'eresia a Bologna nel secolo Xv1, in « Ri­
nascimento », Il, 1962, pp. 107-15; Alessandro Pastore, Marcantonio Flaminio.
Fortune e sfortune di un chierico nell1talia del Cinquecento, Franco Angeli, Milano,
1981; Corrado Bologna, Lo «spi.rito" del « Cymbalum mundi», in Le « Cymbalum
mundi", a cura di F. Giacone, Droz, Genève, 2000, pp. 201-36 (in particolare
pp. 211-19); Massimo Firpo, Valdesiani e spi.rituali. Studi sul Cinquecento religur
so italiano, Edizioni di Storia e letteratura, Roma, 2013.
2. CTr. Étienne Dolet, Currespondance. Répertoire analytique et chronologi.que suivi
du t,ext,e de ses lettres latines, a cura di C. Longeon, Droz, Genève, 1982, pp. 113-
16. Nella lettera a Francesco Calvo del 3 settembre 1530, da Bourges, An­
drea Alciato racconta delle promesse che Camillo ha fatto al re di Francia,
ironizza sulla sua pretesa di non rivelare il suo segreto a nessuno che sia in­
feriore al re, sottolinea la generosità del compenso ricevuto e conclude:
« vere or ne in fabulam res transeat» (Gian Luigi Barni, Le lettere di Andrea
Alciato gi.ureccmsulto, Le Monnier, Firenze, 1953, pp. 112-13).
14 INTRODUZIONE

per andarvi da solo, magari a piedi, e per questo chiede aiuto


a Francesco Greco. Solo che, nota Castelvetro, il povero Gre­
co è a letto, mezzo morto per aver bevuto « un certo oro pota­
bile » che Camilla dice di aver ritrovato in Francia, « il qual
beveraggio non solamente non l'ha a guisa di Pelia ringiove­
nito, sì come si credeva, ma l'ha condotto dove si trova ». 1 L'al­
chimia non era dunque per Camilla soltanto una via specula­
tiva di trasformazione interiore, di elevazione al divino, ma
anche una pratica pericolosa di produzione di 'rimedi' perlo­
meno inefficaci, come ci testimonia la lettera del Castelvetro,
che ha un tono da novella o da commedia.
Camilla era un maestro molto seguito, e un oratore a suo
modo efficace. Parlava come un invasato, per mettere in sce­
na il carattere divino di ciò che stava rivelando, ma anche per­
ché doveva far dimenticare alcuni dati fisici che non giocava­
no certo a suo favore: la balbuzie, una statura bassa, un corpo,
per così dire, imponente. Camilla ne è consapevole e si mo­
stra molto bravo nel rigiocarli a suo favore, nel presentarli
come prova della sua autentica grandezza. Ce lo conferma
l'episodio del leone. Il Betussi racconta che un giorno lui stes­
so, Camillo, Luigi Alamanni, il cardinale di Lorena e altri gen­
tiluomini erano a Parigi in visita a un serraglio, quando im­
provvisamente scappò un leone. Tutti si diedero alla fuga,
tranne Camilla, che restò immobile « non già per far prova di
sé, ma per gravità del corpo, che lo rendeva un poco più tardo
degli altri »; tra la meraviglia generale il leone « incominciò
andargli d'intorno e fargli carezze, senza molestarlo altri­
menti » finché fu catturato, mentre il Camilla « non per altro
fu stimato che restasse sano, se non per esser sotto il pianeta
del sole ». 2 È l'episodio ricordato nell'Idea del theatro, dove na­
turalmente viene rimosso il particolare sul corpo obeso e si
spiega che il leone si umilia davanti a Camillo, perché ricono­
sce « in lui esser molto della virtù solare » (qui a p. 186) . E così
l. Lettera di Lodooico Castelvetro a M. Antonio Modona a Brissello del lustro, et
dell 'Olimpiada, con altre lettere del medesimo Autore, in Raccolta d 'ofruscoli scientifi­
ci efilologi.ci, Simone Occhi, Venezia, 1752, voi. XLVII, pp. 413-32 (in partico­
lare pp. 431-32) .
2. Giuseppe Betussi, llRavert.a, in Trattati d'amore del Cinquecento, a cura di G.
Zonta, Laterza, Bari, 1912, p. 133. Il testo era stato pubblicato a Venezia nel
1544.
GIULIO CAMILLO 15
si suggerisce che il Sole, che occupa nel Teatro una posizione
centrale, è in realtà simbolo dello stesso Carnillo.
Nei vari scritti in difesa del Teatro, e in particolare nella Pro
suo de ewquentia theatro a,d Gallos oratio, Carnillo si mostra abilis­
simo nel delineare di sé un ritratto in cui tutti gli elementi di
debolezza fisica e psicologica vengono rovesciati così da con­
fluire in una efficace autoesaltazione, che si avvale di ricordi
classici e biblici: lui è come Dinocrate di Rodi, l'architetto che
presta i suoi servigi a Alessandro Magno, o come David, che
riesce a farsi ascoltare dal re benché sia piccolo e rozzo, e par­
li in modo semplice e incolto. Per di più Carnillo è straniero,
è balbuziente, si inceppa nel parlare, ma proprio per questo
ha puntato sulla semplice e nuda verità per conquistarsi la fi­
ducia del re. 1 Del resto, �gli ricorda, Dio rivela ai semplici quel
che nasconde ai dotti. E così, anche con questa spregiudica­
ta messa in scena del proprio corpo e della propria balbuzie,
che Camillo conquista prima il re di Francia e poi, come si
diceva, Alfonso d'Avalos. Con lui parla a lungo del suo Tea­
tro, come « rapito in ispirito ... il che io non poteva sofferire
senza spavento» ricorda Girolamo Muzio in una lettera del 5
febbraio 1544. Parla, appunto, senza lasciare nulla di scritto,
preoccupato com'è di mantenere il 'segreto'. Ma a un certo
punto deve andare a Venezia, e il Muzio consiglia al D'Avalos
di farsi lasciare « alcuna memoria in scrittura». Carnillo non
può rifiutarsi, ma dice di avere poco tempo, di essere troppo
stanco per scrivere, e di non volere che altri vedano la sua o­
pera. Il Muzio si offre allora di fare da scrivano: « ne è segui­
to» ricorda « che, dormendo noi in una medesima carnera in
due letti vicini, per sette mattine ad hora di matutino sveglian­
doci, et dittando egli et scrivendo io infino al dì chiaro, hab­
biarno ridutta la opera a compimento».2 Secondo il racconto
di Muzio questa è l'origine dell'Idea del theatro, l'opera che
1. « Corporis enim brevitas, aspectus ab omni amplitudine, ab omni dignita­
te inops, verba inculta omnem Davidi pastori scilicet fidem abrogabant, as­
sensum tolleban t » (Pro suo de eloquentia theatro ad Gallos uratio, p. 78) . Ha esi­
tato a lungo, aggiunge, prima di recarsi in Francia, non solo per pudore
personale, « sed totius ltaliae, cuius nomen nefas mendaci maculare auda­
cia. Neque dici potest me, qui ita confusis et perturbatis verbis loquor, qui
ita lingua saepe hesito, ut quodam modo mihi ipsi ostrepere videar, loquaci­
tate fretum, quae saepe mentis auditorum aciem perstringit, sed sola simpli­
ci, et nuda ventate ad fidem faciendam apta Regem adivisse » (p. 82).
2. Muzio, Lettere, cit. , libro Il, lettera V, p. 138.
16 INTRODUZIONE

sarà stampata nel 1550 e che nei secoli offrirà ai lettori l'im­
magine del progetto di Camillo. Di qui prenderemo le mosse.

II. L'« IDEA DEL THEATRO »

1. La Casa della Sapienza

L'arte della memoria arriva al Cinquecento carica di espe­


rienze: ha attraversato i secoli, adattandosi via via alle diverse
situazioni e dimostrando così la sua attitudine strutturale al
gioco delle metamorfosi. Nel mondo classico è stata al servi­
zio di politici e di oratori, oltre che dei poeti; nel Medioevo è
strumento indispensabile per i predicatori e per chi vuole
percorrere le vie che elevano a Dio, fino all'esperienza misti­
ca; nel Quattrocento riesce ad assecondare le esigenze di un
pubblico differenziato, fatto di mercanti e di giocatori, di me­
dici e di giuristi, di professori e di profeti. Fra Quattro e Cin­
quecento l'arte della memoria è oggetto di critica e di satira:
se ne prendono gioco Erasmo e Melantone, Agrippa e Rabe­
lais. I maestri di memoria vengono presi in giro per le inutili
fatiche che infliggono ai loro discepoli, per il carattere pura­
mente passivo e ripetitivo delle loro pratiche, per la pretesa di
comunicare rapidamente un sapere che si basa sulle parole
invece che sulle cose. La diffusione della stampa, inoltre, con­
tribuisce a creare una situazione in cui ricordare sembra me­
no importante: il libro, il dizionario, il repertorio forniscono
ai moderni lettori gli strumenti fondamentali per la cultura
personale come per la scrittura di opere nuove. Eppure, ben­
ché sia in crisi e bersaglio di polemica, l'arte della memoria
rinasce a nuova vita e conosce il momento di maggiore splen­
dore. Il segreto di questo paradosso sta nel felice incontro fra
l'arte della memoria e i principali aspetti della nuova cultu­
ra cinquecentesca: dalla fioritura delle lettere e delle arti alla
rinascita dell'ermetismo e del lullismo, alla ripresa del neo­
platonismo, agli interessi per la magia, l'astrologia, la cabala.
Il modo in cui funziona la mente umana, in particolare la
capacità di produrre immagini, non appare più come un se­
gno di debolezza, ma come una prova delle sue capacità crea-
L' « IDEA DEL THEATRO » 17
tive, della sua natura divina. La questione della memoria si
intreccia inoltre con quella del metodo: l'ordine logico, il
metodo da seguire nella ricerca e nella classificazione del sa­
pere diventano anche la base per ricordare e si va alla ricerca
di una clavis universalis che apra la strada a un sapere enciclo­
pedico.1
L'opera del Camillo è per certi versi esemplare delle nuove
caratteristiche di questa fase, delle pretese enciclopediche,
dei sogni utopici di cui l'arte della memoria si nutre. Quando
Camillo muore, la fama del suo Teatro è molto grande, ma
non c'è niente a stampa: circolano manoscritti, e molti ricor­
dano le sue lezioni e le sue promesse, fino a che, nel 1550,
viene pubblicata l'Idea del theatro. L'opera si presenta con una
scrittura lontanissima da quella tradizionale dei trattati mne­
motecnici dove, secondo uno schema costante, si distingue la
memoria naturale da quella artificiale e si danno le indicazio­
ni relative ai procedimenti e alle diverse tecniche che l'arte
prevede (per la memoria rerum, ad esempio, o per la memoria
verborum) . Per Camillo tutto ciò è ovvio e scontato, una specie
di premessa che si può tralasciare: è di altra natura e di altro
livello l'operazione che egli intende realizzare. L'avvio dell'I­
dea è all'insegna del segreto, del velo che deve ricoprire le
cose sacre se le si vuole comunicare salvaguardandole da oc­
chi impuri, allontanandole da menti troppo rozze. Punizioni
bibliche, avvertimenti evangelici e testimonianze ermetiche
vengono mobilitati a riprova di questa esigenza. L'immagine
della Sfinge che gli antichi collocavano davanti ai loro templi
porta immediatamente dentro il Teatro, sulla scorta di Pico
della Mirandola, il fascino e i segreti dell'antico Egitto: i peri­
colosi enigmi della Sfinge insegnano il modo in cui si deve
parlare delle verità divine, mentre l'invito finale al silenzio
(« Et tanto bastandoci di haver detto della riverenza di quel
silentio, nel qual si habbiano da tener le cose sante, passiamo,
col nome del Signore, a ragionar del nostro theatro »; qui a p.
148) ha fatto venire in mente a Frances Yates l'immagine di
Mercurio che regge un candelabro a sette braccia e si mette
un dito davanti alle labbra [fig. 1] : la troviamo nelle Symbolica­
rum questionum ... libri quinque, Io splendido libro-galleria di
1 . Cfr. Paolo Rossi, Clavis universalis. Arli della memuria e wgi.ca combinatoria da
Lullo a Leibniz, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960; 2• ediz., il Mulino, Bologna,
1983.
18 INTRODUZIONE

Achille Bacchi, pubblicato a Bologna nel 1555, 1 dove uno dei


'simboli' è dedicato a Giulio Camilla [fig. 2].
Il proemio dell'Idea è un vestibolo che introduce a un luo­
go sacro, dove si contengono misteri che hanno a che fare
con la dimensione originaria e più profonda della realtà.
Vengono subito evocate le sette colonne su cui la Sapienza ha
edificato la sua casa, e i sette governatori ai quali nel Amandro
ermetico il Demiurgo affida il compito di abbracciare con i
loro cerchi il mondo sensibile. Su questa dimensione si mo­
della il Teatro:
... non possiamo trovar magion più capace, che quella di Dio. Or
se gli antichi oratori, volendo collocar di giorno in giorno le parti
delle orationi che havevano a recitare, le affidavano a' luoghi cadu­
chi, come cose caduche, ragione è che, volendo noi raccomandar
eternalmente gli eterni di tutte le cose che possono esser vestiti di
oratione con gli eterni di essa oratione, troviamo a loro luoghi eter­
ni [qui a p. 1 50] .

Qui c'è tutta la hybris del progetto di Camillo: il suo Teatro


segna un salto di qualità vertiginoso rispetto alla tradizione;
cambia la natura di ciò che si vuole collocare/ricordare e
quindi deve c·ambiare la natura stessa del contenitore, del si­
stema dei luoghi che deve reggere la nuova impresa. Quel
che è in gioco non sono più le parti del discorso, non più la
memoria verborum, ma una discesa ( e insieme una ascesa) alle
radici metafisiche delle cose, che coincidono con quelle delle
parole; il Teatro rivendica la sua portata universale ed eterna,
e gareggia pericolosamente con Dio stesso. « L'alta adunque
fatica nostra è stata di trovare ordine in queste sette misure,
capace, bastante, distinto, et che tenga sempre il senso sve­
gliato et la memoria percossa» ( ibid.) : l'opera di Camillo
media tra divino e umano, tra alto e basso. Proprio questo
dà una nuova connotazione ai termini tradizionali che egli
usa. L'ordine è, insieme con i luoghi e le immagini, compo­
nente di base della tradizione della memoria. Nel brano ci­
tato « ordine» è questo, ma è anche qualcos'altro: è un ordi­
ne che riproduce quello divino, è « capace, bastante, distin­
to», sa contenere in sé l'unità e la pluralità, e nello stesso tem-
1. Achille Bocchi, Symbolirnrum quaestionum, de universo grmere, qua.s serio ludebat,
lilni quinque, Nuova Accademia Bocchiana, Bologna, 1555.
L ' « IDEA DEL THEATRO » 19
po sa agire efficacemente sulle facoltà degli uomini, sugli u­
tenti del Teatro ( « tenga sempre il senso svegliato et la memo­
ria percossa »). Allo stesso modo le immagini saranno tali da
condensare in sé nature ed esigenze diverse:
Ma considerando che, se volessimo mettere altrui davanti queste
altissime misure, et sì lontane dalla nostra cognitione, che solamen­
te da' propheti sono state anchor nascosamente tocche, questo sa­
rebbe un metter mano a cosa troppo malagevole. Pertanto in luogo
di quelle, piglieremo i sette pianeti, le cui nature anchor da' volgari
sono assai ben conosciute, ma talmente le useremo, che non ce le
propogniamo come termini, fuor de' quali non habbiamo ad uscire,
ma come quelli che alle menti de' savi sempre rappresentino le sette
sopracelesti misure [qui a pp. 150-5 1 ] .
Secondo tradizione, le immagini sono in grado di conden­
sare in sé, e quindi di attivare nella memoria, una rete di asso­
ciazioni (le nature dei pianeti sono note anche ai « volgari ») ;
nello stesso tempo portano con sé quei caratteri che sono
propri della sapienza riposta degli antichi e di tutto ciò che
nasconde/rivela i segreti divini: 1 non esauriscono i significati,
non segnano un limite (« non ce le propogniamo come ter­
mini ») ma indicano piuttosto un percorso, invitano le « men­
ti de' savi » ad andare al di là di esse. Camillo usa immagini
che parlano delle cose divine, ma «per cenni et per similitudi­
ni, a fine che per lo mezo delle cose visibili sagliamo alle invi­
sibili » (qui a p. 147) . Il Teatro della memoria, la Casa della Sa­
pienza, si annuncia da subito come una guida all'elevazione e
alla contemplazione. Una lunga tradizione medioevale inse­
gnava a costruire nella propria mente la Torre della Sapien-
1. Cfr. Idea del theatro, a introduzione dell'immagine delle Gorgoni, nel quar­
to grado: « Ma tempo è homai che discendiamo alle nostre imagini, il che
faremo se prima havremo detto una cosa, non pure appartenente a' theolo­
gici simboli che ho da dare a questa porta, ma a tutte le imagini del mio
theatro ». A imitazione, egli dice, degli antichi filosofi, « poi che io ho chiara­
mente rivelato il secreto delle tre anime et de' tre intelletti (cose apparte­
nenti all' huomo interiore), io gli coprirò de' debiti simboli, a fin che non
sieno prophanati et anchor per destar la memoria » (qui a pp. 211-12) . Le
« favole » antiche funzionano nello stesso tempo da allegorie di verità ripo­
ste e da immagini della memoria. Si veda anche il commento all'immagine
del quinto grado, Pasifae: « Questa alta philosophia a fin che non fosse pro­
phanata fu coperta nella theologia simbolica dalla favola di Pasiphe, perdo­
ché ella del toro inamorata significa l'anima, la qual secondo i platonici ca­
de in cupidità del corpo » ( qui a p. 220 ) .
20 INTRODUZIONE

za, basata sulle quattro colonne delle virtù cardinali [fig. 3) . 1


Nel Teatro di Camillo permane l'idea di una edificazione in­
teriore, ma la torre è diventata un teatro, e l'elevazione a Dio
ha caratteri enciclopedici e magici. Ricordare diventa perico­
losamente vicino a creare, o almeno a ri-creare il mondo.

2. La scacchiera dei luoghi

In primo luogo l'Idea offre una griglia di classificazione, un


modello per la mente, uno schema che prescinde dai modi
possibili delle sue proiezioni materiali. Vi troviamo quaranta­
nove caselle, o« luoghi » principali; essi nascono dall'incrocio
fra due tipi di ordine: uno che agisce in verticale (le sette co­
lonne, o porte raffigurate dai sette pianeti) e uno che agisce
in senso orizzontale (« sette porte, o gradi, o distintioni»; qui
a p. 154) . Come insegna l'arte della memoria, ogni luogo de­
ve essere contrassegnato da una o più immagini. I sette piane­
ti sono rappresentati - secondo una collaudata tradizione
iconografica - in forma umana: questo in un certo senso
semplifica le cose, perché una ricca tradizione astrologica
metteva ogni pianeta in corrispondenza con il micro e il ma­
crocosmo, con il corpo umano, le sue parti, i suoi umori, le
caratteristiche psicologiche (ancor oggi parliamo di tempera­
menti lunatici o saturnini), e con il mondo naturale e celeste.
Camillo può così far leva sulla tradizione (che anche i« volga­
ri » conoscono) e usare i sette pianeti come uno strumento di
base per classificare e ordinare l'universo mondo. Nello stes­
so tempo, ha scritto Frances Yates, le immagini dei pianeti a­
giscono da talismani interiori, sulla scorta della magia astrale
di Ficino, riattivando nella mente umana, anche a livello e­
motivo, i poteri e le connessioni di cui sono depositarie.2
Ma non basta: un gioco poliedrico di corrispondenze si sca­
tena intorno ai sette pianeti, che diventano a loro volta imma­
gini di memoria di tradizioni molto diverse. Camillo riprende
il modello sincretistico, sulla linea di Pico della Mirandola, e
in generale si fa forte dell'idea di una sapienza segreta, nasco-
1 . CTL Lina Bolzoni, Lo, rete delle immagi,ni. Predicazione in volgare dalle urigini a
Bernardino da Siena, Einaudi, Torino, 2002, pp. 72-83.
2. Yates, L 'arte della memoria, cit., pp. 140-47.
L ' « IDEA DEL THEATRO » 21
sta nei miti, nella poesia, nelle diverse tradizioni filosofiche e
religiose. Per chi sa vedere, le immagini usate convergono in
una 'tenebrosa e profonda unità', sono depositarie, come si
diceva, di verità che nascondono e insieme rivelano, velano e
comunicano. Così nel Teatro i sette pianeti rappresentano (ci
fanno ricordare, attraverso le corrispondenze) altre compo­
nenti dell'ordine universale. Ogni pianeta corrisponde a una
delle prime sette delle dieci Sefirot, e cioè i nomi segreti di
Dio, attraverso cui, nella tradizione cabalistica, Egli si espan­
de e opera nel mondo; 1 nello stesso tempo a ogni pianeta e a
ogni Sefirah corrisponde un angelo. Possiamo così intravede­
re uno dei modi di funzionamento del Teatro: davanti allo
spettatore ogni immagine si moltiplica, in una specie di dif­
frazione che rinvia a diversi livelli della realtà, ogni immagine
assume significati che corrispondono a loro volta a dimensio­
ni fisiche, metafisiche e divine. Per questo, anche se si mostra­
no a tutti, le immagini selezionano il proprio pubblico: c'è u­
na strada di accesso a significati sempre più riposti, i cui gradi­
ni corrispondono a modi e capacità diversi di ricezione.
I sette gradi costituiscono l'ordinamento in senso orizzon­
tale del Teatro. Il loro modello è il racconto biblico della crea­
zione, un racconto filtrato attraverso l'interpretazione cabali­
stica, reinterpretato e concordato con la tradizione ermeti­
ca e neoplatonica (il « gamone » pitagorico) . I sette gradi del
Teatro rappresentano l'espandersi dell'unità nella pluralità;
le immagini che li contrassegnano imprimono nella memoria
le diverse fasi, o meglio i diversi aspetti di un processo che ini­
zia nelle profondità del divino e si manifesta poi nella natura,
nell'uomo, e nel mondo che l'uomo produce. Lo schema del­
le immagini e dei loro significati è il seguente:
I grado: i sette pianeti (con l'eccezione del Sole, innalzato al se­
condo grado, e sostituito qui dall'immagine del convivio) rappre­
sentano i fondamenti divini del tutto, e le tradizioni relative agli dèi;
II grado: il convivio, il banchetto che l'Oceano offre ai suoi dèi

1. Sulla tradizione cabalistica nel Cinquecento, sempre preziosi sono i con­


tributi di François Secret, Les cheminements de la Ko.bbak à la Renaissance. Le
« Thélitre du monde" de Giulio Camillo De/minio et son injluence, in « Rivista criti­
ca di storia della filosofia», XIV, 1959, pp. 418-36, e Les kabbalistes chrétiens de
la Renaissance, Dunod, Paris, 1964. Cfr. inoltre Hebraic Aspects o/ the Renais­
sance. Sources and Encounters, a cura di I. Zinguer, A. Melamed e Z. Shalev,
Brill, Leiden-Boston, 2011.
22 INTRODUZIONE

rappresenta l' « acqua della sapienza » in cui si collocano le idee, gli


elementi primi;
III grado: l'antro in cui le ninfe tessono tele purpuree e le api
fabbricano il miele rappresenta gli elementi a livello di mondo natu­
rale e le loro commistioni;
IV grado: le Gorgoni, le tre sorelle dall'unico occhio, rappresen­
tano le tre anime dell'uomo, e quindi la sua dimensione interiore;
V grado: Pasifae col toro rappresenta la discesa dell'anima nel
corpo e quindi l'uomo esteriore, la sua dimensione fisica;
VI grado: i talari, i sandali alati di Mercurio, rappresentano le o­
perazioni naturali dell'uomo, quelle che egli compie senza ricorre­
re a strumenti o tecniche;
VII grado: Prometeo rappresenta tutte le arti e le scienze e i loro
prodotti.
L'ordinamento orizzontale dei sette gradi si intreccia con
quello verticale dei sette pianeti. Ne risulta una specie di scac­
chiera, sulla quale il gioco delle immagini si può attuare attra­
verso gli spostamenti e le combinazioni. Una stessa immagine
viene infatti usata in luoghi diversi e varia il suo significato in
relazione al grado in cui si viene a trovare. Così ad esempio
Giunone sospesa da Giove, per vendetta, tra cielo e terra com­
pare per la prima volta nella colonna di Giove nel secondo
grado, a rappresentare l'elemento dell'aria. « Ma sotto l'an­
tro» scrive Camillo « contenerà i quattro elementi in genera­
le, et appresso l'aere in particolare, con le sue parti et suoi
appartenenti ... Et sotto i talari significherà respirar, sospirar,
usar l'aperto cielo. Et sotto Prometheo significherà qualun­
que arte che per beneficio dell'aere si faccia, come i molini da
vento» (qui a p. 173) . Come si vede - e gli esempi si potreb­
bero moltiplicare - c'è un certo automatismo nel proliferare
dei significati in corrispondenza con lo spostarsi dell'immagi­
ne sulla scacchiera dei luoghi: basta infatti tener presente lo
schema dei significati dei diversi gradi che abbiamo riportato
sopra. Camillo giustifica questo procedimento in base a un
criterio di economia mnemonica (« per non aggravar la me­
moria di diverse imagini in cose medesime, facciamo che si
rivegga la medesima figura sotto diverse porte»; qui a p. 176) .
Questo tuttavia non esclude altri significati, altre interpreta­
zioni possibili: il meccanismo può funzionare da sé, generan­
do nuovi significati grazie al movimento e alle combinazioni
L ' « IDEA DEL THEATRO » 23
delle sue componenti. Così come dovevano fare le ruote di
Lullo, riscoperte e rilanciate nel cuore del Cinquecento, alla
ricerca di un metodo in grado di produrre da sé nuove com­
binazioni, nuovo sapere. Il fatto inoltre che i significati di una
stessa immagine variano in relazione al suo disporsi nei luo­
ghi del Teatro mette sotto gli occhi (e nello stesso tempo per­
mette di sperimentare nella pratica) l'immagine del cosmo
che il Teatro riproduce: un cosmo in cui c'è un rapporto pro­
fondo tra unità e molteplicità, tra identità e differenza, un
cosmo in cui, secondo il detto di Anassagora, tutto è in tutto.
I luoghi principali del Teatro sono quarantanove, e qua­
rantanove sono le immagini principali che li contrassegnano.
Così facendo Camillo ha imitato « l'ombra di queste salite»
(qui a p. 154), perché Mosè era asceso fino alla Binah, la setti­
ma Sefirot, sette volte sette, e quarantanove sono le parole del
Padre nostro nel testo ebraico di Matteo. Il Teatro, anche nel­
le sue scansioni numeriche, è così 'ombra' del divino archeti­
po: un termine, 'ombra', un'immagine della tradizione plato­
nica che Giordano Bruno avrebbe molto amato. In realtà le
immagini si moltiplicano, poiché ciascuno dei luoghi si divi­
de nei tre livelli del mondo terreno, celeste e sopraceleste, e
ospita un numero di immagini che variano a seconda della
necessità. Già nella Lettera a Marcilntonio Flaminio, del resto,
Camillo aveva esaltato la ricchezza dei luoghi del suo Teatro,
cento in più, egli assicura, di quelli di Metrodoro di Scepsi,
che usava i trecentosessanta gradi dello Zodiaco come siste­
ma di memoria. 1 Il Teatro di Camillo diventa dunque una
grande galleria di immagini, un vero thesaurus della memoria
iconografica. Viene a occupare un posto importante nell'am­
bito della costruzione di repertori, dizionari di immagini, che
in varie forme impegna il Cinquecento: i trattati illustrati di
mitologia, le raccolte di emblemi e di imprese, i Geroglifici del
mitico Orapollo riccamente illustrati, commentati, ampliati,
e infine l'Iconowgi,a di Cesare Ripa, destinata a una secolare
fama europea: tutto ciò ci testimonia, nel corso del secolo,
l'impegno di una ricerca che dobbiamo mettere accanto, e in
stretto collegamento, alla costruzione dei primi grandi dizio­
nari moderni delle lingue volgari. 2 Nel Teatro di Camillo pa-
1 . Quintiliano, Institutiones oraturiae, XII, 2, 22.
2. Cfr. Bolzoni, La stanza della memoria, cit., pp. XVI-XVII.
24 INTRODUZIONE

role e immagini stanno ancora fortemente insieme. La crea­


zione delle immagini, la loro disposizione entro i luoghi del
Teatro lo impegnano via via in una scommessa che non è sem­
pre facile vincere, perché di volta in volta si deve dimostrare
che l'immagine funziona, che è in grado di attivare la rete di
associazioni richiesta. Come ha scritto Umberto Eco, Camillo
è il« più incontinente fra i mnemotecnici», e« quanto a crite­
ri di correlazione sembra battere i più forsennati cacciatori di
segnature». 1

3. La costruzione deUe immagi,ni

Vediamo come lavora Camillo, come crea le sue immagini.


Rispetto alle sue fonti, egli mette in opera le più varie e spre­
giudicate tecniche del riuso: dalla ripresa fedele di compo­
nenti della tradizione si va alla combinazione inedita di ele­
menti eterogenei, fino alla creazione di nuove immagini. Ca­
millo ricorre in primo luogo alla mitologia, alla memoria co­
mune che associava gli dèi ai pianeti, e alle loro caratteristi­
che. E ricorre ai poeti: a Omero, Virgilio, Petrarca, riletti
nell'ottica della sapienza riposta, come depositari dunque di
immagini allegoriche, di segrete verità. Per questo, per Ome­
ro e Virgilio in particolare, Camillo poteva attingere a una
lunga tradizione esegetica. Così ad esempio l'antro delle nin­
fe, che contrassegna il terzo grado del Teatro, viene da Ome­
ro letto e interpretato da Porfirio. Rispetto alla forte presenza
della mitologia, quella della Bibbia è decisamente minore;
troviamo il passero solitario del Salmo 101, riletto attraverso
Petrarca (Rerum vulgarium frag;menta, 226) , e l'arca del patto,
che ha una funzione particolare: contiene in sé la rappresen­
tazione dei tre mondi, e il candelabro con sette lucerne, a signi­
ficare i sette pianeti, con una « lucerna separata» ( qui a pp.
194-95) , che rappresenta la posizione e il ruolo peculiare che
spettano al Sole. L'arca del patto diventa così una specie di mise
en al.rymedel Teatro, ci fa pensare ad altri modelli possibili, ad
altre forme che avrebbe potuto prendere.
A volte Camillo dichiara la fonte della sua immagine, e ac­
canto a poeti e filosofi troviamo le scoperte archeologiche: è il
1 . Umberto Eco, I limiti dell'interpretazione, Bompiani, Milano, 1990, p. 69.
L ' « IDEA DEL THEATRO » 25
caso della gru che vola verso il cielo lasciando cadere delle
frecce, « quale ho io veduto nel riverso di una antica meda­
glia» (qui a p. 215) , ma la testimonianza diretta sfuma in
un'ottica più vaga in De l'humana deificatione, dove la gru diven­
ta un disegno che un « prudente pagano a suo ammaestramen­
to portava» (pp. 210-11) . Ed è per noi molto interessante che
Lorenzo Lotto, stretto amico di Camillo, faccia più volte riferi­
mento, nel suo Libro di spese diverse, a un anello su cui è monta­
to un pezzo antico che rappresenta una gru: l'iconografia è
diversa, ma del tutto simile è il significato: « un anello legata
una bellissima corniola antica con una gruva che si leva a volo
significata per la vita activa e contemplativa, per haver ne li
piedi unjugo et nel rostro il segno caduceo»; e di nuovo, nel
testamento del 21 aprile 1546, troviamo tra i beni da vendere
la gru « et in becho el segno de Mercurio, significato la vita ac­
tiva e la contemplativa con meditazione spirituale levarsi dale
cose terrene». 1 Con il suo amico Lotto, del resto, Camillo con­
divideva la passione per le gemme, per i magici poteri delle
pietre, e una lettera del 1529 a Pietro Aretino ci testimonia la
sua amicizia con Valerio Belli, incisore di pietre fini e medagli­
sta, e con Luigi Anichini, « il più celebre intagliatore e incisore
di gemme e di cristallo a Venezia nel Cinquecento». 2
Ma vediamo più da vicino come Camillo costruisce la sua
immagine: spiega il significato di ogni dettaglio, così da tra­
sformare la gru in una imago agens, e commenta:
A questa imagine si conforma quel verso del salmo: « Quis dabit
mihi pennas, sicut colwnbae? et volabo, et requiescam ». Il che tradus­
se il Petrarcha in un suo sonetto , desiderando pur l'ale della colomba
da riposarsi et levarsi di terra. Questa gentile imagine ci conserverà la
elettione, il giudicio et il consiglio. Et si dà questa imagine a Giove, per
esser pianeta quieto, benigno et di mente composta [qui a p. 216].

Il testo del Camillo si dispone a diversi livelli: non solo co­


struisce l'immagine, ma per così dire la guarda dal di fuori, la
1. Lorenzo Lotto, Liùro di spese diverse (1538-1556), a cura di P. Zampetti, Isti­
tuto per la Collaborazione Culturale, Venezia-Roma, 1969, pp. 188 e 304.
n
2. Charles Davis, Ritratti di Valerio Belli, Valerio Belli ritrattista, in ritratto
nell'Europa del Cinquecento, a cura di A. Galli, C. Piccinini e M. Rossi, Olschki,
Firenze, 2006, pp. 243-77 (in particolare p. 276). La lettera all'Aretino è del
25 ottobre 1529. Il Belli, nota Davis, fu « a sua volta autore di una sorta di
'prontuario metallico', costituito di gettoni mnemotecnici per tramandare
la memoria degli illustri antichi, greci e romani » ( ibid., p. 277).
26 INTRODUZIONE

commenta. E suggerisce dunque altre associazioni possibili:


con un'immagine dei salmi, con Petrarca che tale immagine
aveva usato più volte, nel Canzoniere e negli scritti latini. 1 In
questo modo si rafforza la rete delle associazioni, così da prepa­
rare la strada alla creazione di nuovi testi, o di nuovi emblemi
e imprese: il motivo della gru sarà ripreso da Camillo Camilli,
ad esempio, nella sua raccolta di imprese. 2 Il Teatro si alimen­
ta della tradizione emblematica, e contribuisce ad alimentar­
la; in modo analogo opera con la tradizione dei geroglifici: il
testo del mitico Orapollo era stato tradotto e commentato, ed
è significativo che molte immagini, chiaramente derivate dal
Teatro, compaiano nei due libri che Celio Agostino Curione
aggiunge nel 1567 ai Hieroglyphica di Pierio Valeriano, un te­
sto che gode di enorme successo, così da costituire una specie
di Bibbia del linguaggio 'segreto', per immagini, usato dagli
antichi Egizi, 3 un prontuario disponibile per nuovi usi e nuo­
ve riscritture. Molto interessante, anche per la fortuna del Ca­
millo, è il personaggio che compie questa trascrizione delle
immagini del Teatro in chiave geroglifica: vissuto tra il 1538 e
il 1567, Celio era il figlio di uno dei più famosi letterati italiani
che avevano aderito alla Riforma e per questo era fuggito in
Svizzera. Appassionato di antichità, Celio insegna retorica
all'Università di Basilea, scrive un manuale dedicato al meto­
do dell'apprendimento e nel 1567 cura l'edizione delle ope­
re di Pietro Bembo.4
Ma torniamo al Teatro. Il fascino dei reperti antichi (l'anti­
ca medaglia da cui Camillo avrebbe derivato l'immagine della
gru) si mostra particolarmente vivo là dove viene evocata « La
fanciulla portante in capo il vaso de gli odori, quale fu trovata
in Roma» ( qui a p. 1 82). La sua immagine, a cominciare dal-
1'Antro su su fino a Prometeo, rappresenta gli odori, i profu-

1. Cfr. Sa� LIV, 7; Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di M. Santagata,


Mondadori, Milano, 1996, 81, 1 2-14; nel commento, il rinvio ad altri passi
petrarcheschi, latini e volgari.
2. Camillo Camilli, Imprese illustri di diversi, Francesco Ziletti, Venezia, 1586,
voi. Il, n. 32.
3. La presenza di Camillo in Curione è stata segnalata da Lu Berry Wenneker,
An examination of « L 1dea del Theatro » ofGiulio Camilla, including an annotated
translation, with special attention to his injluence on emblnn literature and icono­
graphy, tesi di PhD, University of Pittsburgh, 1970.
4. ar. Roberto Ricciardi, C'.elio Agostino Curione, in Dizionario biografico degli
italiani, cit., voi. XXXI, 1985, pp. 441-43.
L'« IDEA DEL THEATRO » 27
mi, e le arti che sono loro legate. Così rivive, nel Teatro, una
delle scoperte archeologiche che più avevano emozionato il
pubblico, fino a diventare oggetto di leggende e di false iden­
tificazioni: nel 1485, nella via Appia, era stato ritrovato il cor­
po di una fanciulla, quasi intatto, ricoperto di aromi e di pro­
fumi. Molto si era favoleggiato intorno a questa 'resurrezio­
ne', tanto che un'iscrizione, rivelatasi falsa, l'aveva identifi­
cata con Tulliola, la figlia di Cicerone. L'impatto della scoper­
ta era stato straordinario, paragonabile a quello che nel 1506
accompagna il ritrovamento del Laocoonte: con la fanciulla e
il Laocoonte, ha scritto Leonard Barkan, l'autentica vita
dell'antichità riemerge e chiede ai moderni di ascoltarne la
voce e di rispondere. 1 Camillo cita il Laocoonte nell'Idea
dell'el,oquenza, e nell'Idea del theatrofa risorgere di nuovo la fan­
ciulla dell'antica Roma, a recitare una parte nello spettacolo
della memoria, legata per sempre a profumi e odori.
La diretta esperienza visiva viene invocata a proposito della
« bocca tartarea aperta et divorante anime, qual nelle pitture
fiaminghe si suol vedere» (qui a p. 171) , una testimonianza
della solida fama che la pittura del Nord si era conquistata in
Italia. Il capitolo del rapporto fra le immagini del Teatro e
quelle dei pittori è tuttora aperto, e molto difficile, ma affasci­
nante, è distinguere fra scambi, influenze segrete, o semplici
analogie tematiche. Un esempio significativo, già segnalato da
Frances Yates,2 è quello che lega la parte inferiore di uno dei
quadri più enigmatici di Tiziano, la cosiddetta Allegoria del/,a
Prudenza, dipinta fra il 1560 e il 1570 (forse nel 1565) , con una
delle immagini del Teatro. 3 Camillo vi descrive le tre facce del
tempo, o meglio le tre facce di animali che le rappresentavano
e che, unite insieme da un serpente, costituivano il compa­
gno, mostruoso e fedele, del dio egizio Serapide, quello che
Plutarco (De Iside et Osiride, 78) aveva associato a Cerbero:
Scrive Macrobio che gli antichi, volendo figurare i tre tempi, cioè
il passato, il presente et il futuro, dipingevano le tre predette teste.
Et quella del lupo significava il tempo passato, percioché ha già de-

l. Leonard Barkan, Ummthing the Past. Archaeology arniAesthetics in the Makingof


Renaissance Culture, Yale University Press, New Haven-London, 1999, pp. 60-61.
2. Yates, L'arte della memoria, cit., p. 150.
3. Su questo quadro, e sulla bibliografia critica relativa, rinvio a Lina Bol­
n
zoni, cuore di cristallo. Ragionamenti d'amore, poesia e ritratto nel Rinascimento,
Einaudi, Torino, 2010, pp. 284-91.
28 INTRODUZIONE

vorato; quella del leone il presente (se il presente dar si può) percio­
ché gli affanni presenti ci mettono così fatto terrore, qual ci mette­
rebbe la vista d'un leone, se ci soprastesse. Et quella del cane significa
il tempo futuro, percioché a guisa di cane adulatore il tempo futuro
ci promette sempre di meglio [qui a p. 193].
Camillo cita la sua fonte, ma non si limita a tradurre il testo
di Macrobio (Satumalia, 1 , 20, 1 3-15): lo ricompone e lo varia
così da far venire in primo piano la carica di emozione e di
paura che il tempo esercita su di noi. Non c'è ad esempio in
Macrobio il terrore che ci coglie quando vediamo davanti a
noi gli affanni del presente, che Camilla associa all'improvvi­
sa apparizione di un leone; il leone rappresenta piuttosto la
forza e il fervore di una dimensione del tempo, il presente,
che si colloca nel mezzo delle altre due ( « dunque la testa del
leone rappresenta il tempo presente, perché la sua posizione
tra il passato e il futuro è forte e ardente grazie all'azione svol­
ta attualmente» ), 1 così come non c'è in Macrobio quella nota
'leopardiana' che Camillo introduce per spiegare perché il
cane rappresenta il futuro: « a guisa di cane adulatore il tem­
po futuro ci promette sempre di meglio». O se non altro è
meno esplicita, legata all'azione della speranza: « Così l'im­
magine del cane carezzevole indica il futuro, perché sempre
ci accarezza, per quanto incerta, la speranza nel futuro». 2 Ca­
millo inoltre fa sparire il serpente che, come ricorda Macro­
bio, tiene insieme le tre teste: 3 semplifica dunque l'immagine
(altro elemento di grande importanza per il suo rapporto con
il quadro di Tiziano) e nello stesso tempo la gestisce con di­
sinvoltura, rigiocandola in diverse caselle della scacchiera del
suo Teatro. Le tre teste sono infatti sempre collocate nella
colonna di Saturno: nel terzo grado rappresentano « questi
tre tempi saturnini et i loro appartenenti» (qui a p. 193), nel
quinto grado significano « l'huomo esser sottoposto al tem­
po» (qui a p. 194) e infine, nel settimo grado, significano sem­
plicemente « indugiarsi, far indugiare, dar termino, rimettere
in alcun tempo» (qui a p. 231).

1. « Ergo leonis capite monstratur praesens tempus, quia condicio eius inter
praeteritum futurumque actu praesenti valida fervensque est » (Macrobio,
Satumalia, l, 20, 15).
2. « Item canis blandientis effigies futuri temporis designat eventum, de quo
nobis spes, Iicet incerta, blanditur » (loc. cit.).
3. Il serpente è invece presente nella descrizione che dell'immagine dà Pe­
trarca nell'Africa (III, 160-164), collocandola accanto alla statua di Apollo.
L ' « IDEA DEL THEATRO » 29
In Tiziano le tre teste di animali sono sovrastate da tre volti
maschili, di un vecchio, un uomo maturo e un giovane, che
rappresentano appunto le tre età dell'uomo e le tre facce del
tempo. Il senso dell'immagine è suggerito dalla scritta collo­
cata in alto: « Ex praeterito, praesens prudenter agit ne futu­
rum actionem deturpet» : sulla base del passato, il presente
agisce prudentemente perché il futuro non rovini l'azione. Il
motto suggerisce la natura emblematica dell'immagine, la
quale insegna a conoscere il passato così da sapersi orientare
saggiamente nel presente e da non pregiudicare il futuro. Co­
me Panofsky ha dimostrato, la tradizione egizia del mostro a
tre teste che accompagna Serapide viene qui combinata con la
tradizione, classica e cristiana, delle tre età dell'uomo, e del
rapporto che si deve instaurare fra la memoria del passato,
l'intelligenza del presente, la capacità di prevedere il futuro,
così da creare la virtù della prudentia, o del « saggio consi­
glio». 1 Ma quel che dà al quadro di Tiziano una particolare
intensità è il fatto che non si tratta di facce qualsiasi, né soltan­
to di tipi fisiognomici associati ai tre animali: Panofsky ha ri­
conosciuto nel profilo del vecchio, quasi sommerso nell' oscu­
rità del passato, i tratti dello stesso Tiziano, quali compaiono
nell'autoritratto del Prado, mentre l'uomo barbuto che so­
vrasta il leone è identificato con Orazio Vecellio, il figlio del
pittore; la figura, più luminosa ed evanescente, del giovane
dovrebbe essere quella di un parente, Marco Vecellio, nato
nel 1545, che Tiziano si era preso in casa. Dalle analisi recenti
sembra che le tre facce di animali siano state aggiunte in un
secondo tempo, forse dallo stesso Tiziano. È stato lui a conce­
pire l'intero progetto, con la doppia serie delle teste? Il pro­
blema resta aperto, 2 ma il risultato è compatto e di affascinan-

1. Erwin Panofsky e Fritz Sax!, A Lat,e-Antique Religious Symhol in Works &y Hol­
bein and Titian, in « The Burlington Magazine », XLIX, 1926, pp. 177-81, poi
rielaborato in Erwin Panofsky, L'allegoria della prudenza di Tiziano: poscritto, in
ll significato nelle arti visive, Einaudi, Torino, 1962, pp. 149-68; Id., Tiziano.
Problemi di iconografia, a cura di A. Gentili, Marsilio, Venezia, 1992, pp. 104-
10. Mette in dubbio l'attribuzione a Tiziano Edgar Wind, La trinità di Serapi­
de, in Misteri pagani nel &nascimento, trad. it. di P. Bertolucci, Adelphi, Mila­
no, 1971, pp. 317-20 (in particolare p. 318) .
2. Oltre all'aggiunta delle tre teste animali, le diverse redazioni dell'opera
coinvolgono anche le tre teste umane: cfr. Nicholas Penny, Allegoria della
Prudenza, in Tiziano e il ritratto di ante da &ffaello ai c:arracci, a cura di N. Spi­
nosa, Electa, Napoli, 2006, pp. 174-75, e Peter Humfrey, scheda n. 64, in
30 INTRODUZIONE

te complessità. E forse proprio la lettura del Teatro di Camil­


lo è intervenuta a suggerire di integrare le tre facce, e i tre
busti umani, con l'inquietante geroglifico 'egizio' dei tre ani­
mali. Del resto l'amicizia di Camillo con Tiziano, e con il cir­
colo dell'Aretino, è ben documentata dalle lettere: è fatta di
reciproco sostegno e di qualche momento di crisi. Tiziano i­
noltre, come ricorda Camillo nel De l'humana deificatione, indi­
rizzato alla figlia Cornelia, gli ha fatto un ritratto 1 e soprattut­
to ha avuto un ruolo da protagonista nei tentativi che il Ca­
millo ha compiuto per far dipingere le immagini del suo Tea­
tro. Vasari ricorda che a Roma, intorno al 1535, affida questo
compito a Francesco detto de' Salviati: « Avendo ne' medesi­
mi tempi Giulio Camillo ... fatto un libro di sue composizioni
per mandarlo al re Francesco di Francia, lo fece tutto storiare
a Francesco Salviati, che vi mise quanta più diligenza è possi­
bile mettere in simile opera ». 2 Questo splendido manoscritto
è andato perduto. A sua volta l'incendio dell'Escorial, nel 1671,
può aver distrutto anche quella versione dell'Idea del theatro,
corredata da 201 fogli di pergamena dipinti da Tiziano, di cui
si parla nell'inventario della biblioteca di Diego Hurtado de
Mendoza, ambasciatore spagnolo prima a Venezia e poi a Ro­
ma, personaggio di straordinario interesse, a cui era dedicata
la prima edizione dell'opera. 3 Chissà se di tutto ciò è rimasta
Peter Humfrey, Timothy Clifford, Aidan Weston-Lewis e Michael Bury, The
Age o/Titian. Venetian Renaissance Arlfrom Swttish Collections, National Galler­
ies ofScotland, Edimburgh, 2004, p. 176.
1. « Fingiamo adunque, che tu, senza vedere il viso mio ch'io meco porto, tu
lo vedessi vagar in uno specchio; non credi tu che la mia imagine sia più
sottile ne l'aere di quella che ne lo specchio rilucesse? Et se la stessa vedessi
ancor poco appresso ne la pittura che con tanta meraviglia fece di me il gran
Tiziano, non credi tu che 'l tuo senso meglio l'abbracciasse? » (De l'humana
deificatione, p. 225).
2. Giorgio Vasari, Le vite dei fri,ù eccellenti fri,ttori scultmi e architettori nelle mlazioni
del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Ba­
rocchi, S.P.E.S., Firenze, voi. V, 1984, p. 517.
3. Cfr. Gregorio De Andres, Documentos para la historia del Monasterio de San
ùrrenu, el Real de El Escoria� lmprenta Saez, Madrid, 1964, p. 211; René Tay­
lor, Architecture and Magie. Considerations on the 'idea ' o/theEscoriai in Essays in
the histury o/arlpresented to Rudolf Wittkower, a cura di D. Fraser, H. Hibbard e
M. Lewine, Phaidon Press, London, 1967, voi. II, pp. 81-109, in particolare
p. 96, e Harold Edwin Wethey, The Paintings o/ Titian, Phaidon, London,
1975, voi. III, p. 62, nota 318. La biblioteca di Mendoza aveva costituito un
importante nucleo dei fondi dell'Escorial. Su Diego Hurtado de Mendoza,
L ' « IDEA DEL THEATRO » 31
traccia, e se è possibile individuare nella produzione di Tiziano
altri punti di contatto ravvicinato con le immagini del Teatro.
In una splendida stanza dipinta a Panna si ritrova una sin­
golare concentrazione di immagini presenti anche nel Tea­
tro: è quella realizzata dal Correggio, forse fra il 1518 e il
1519, su commissione di Gioanna da Piacenza, badessa del
monastero benedettino di San Paolo. 1 È una committenza fem­
minile, e di una nobildonna giovane e colta che difese con
intransigenza la libertà del monastero, vincendo la sua batta­
glia contro due papi, Giulio II e Leone X; solo Clemente VII
ebbe la meglio, con un decreto pubblicato l'anno stesso in cui
la badessa sarebbe morta, il 1524. Non è ancora stata propo­
sta, a quanto mi risulta, una lettura convincente del program­
ma iconografico. Ma certo è affascinante per noi ritrovare qui
immagini che il Teatro ci ha reso familiari, come la Giunone
sospesa, le tre Grazie, le tre Parche, Pan e la splendida Diana
che orna il camino. Una semplice coincidenza, forse, ma il
fatto che le nostre immagini siano sovrastate da una grande
volta, dove un pergolato si apre sul cielo, ci fa venire in mente
il tentativo di Camillo di usare le immagini per tenere unito il
mondo terreno con quello celeste e sopraceleste.
C'è inoltre uno straordinario libro che, con la sua struttura
e le sue immagini, esercitò sicuramente un grande fascino su
Camillo: l' Hypnerotomachia Poliphili, che Aldo Manuzio pub­
blica nel 1499. Lo troviamo citato nello zibaldone alchimisti­
co Adversaria rerum divinarum (cc. 19v-20r) :
Quel degno, et sopra tutti affettato scrittor chiamato Poliphilo,
rivelando maggiormente il secreto col dissegno che con le ridicule

cfr. Àngel Gonzilez Palencia e Eugenio Mele, Vula y olTras de donDiego Hurta­
do de Mendoza, 3 voli., Instituto de Valencia de D.Juan, Madrid, 1941-1943;
Erika Spivanovsky, Son oftheAlhamlna. Don Diego Hurtado de Mendoz.a, Vniver­
sity ofTexas, Houston, 1970; Stefania Pastore, Una spagna anti-papale. Gli
anni italiani di Diego Hurtado de Mendoz.a, in «Roma moderna e contempora­
nea », XV, 2007, pp. 63-94, e Firpo, Valdesiani e spirituali, cit., pp. 92 sgg.
1. Cfr. Erwin Panofsky, ll Correggi.o e la Camera di San Paolo, a cura di F. Baro­
celli, Electa, Milano, 1988, pp. 147-215 ( The Iconography ofCorreggi.o 's Camera
di San Paolo, The Warburg Institute, London, 1961); la recensione di Emst
Gombrich, in«The Art Bulletin �. 45, 1963, pp. 280-82; Michele Frazzi, Cor­
reggi.o: la camera alchemica, Silvana, Milano, 2004; Giancarla Periti, Enigmatic
beauty: Correggio s Camera di San Paolofresroes, in DrawingRelationships in North­
em ltalian Renaissance Art. Patronage and Theories ofInvention, a cura di G. Pe­
riti, Ashgate, Aldershot, 2004, pp. 153-76.
32 INTRODUZIONE

parole, nel dissegno ci fa vedere un Cupidine alato et in terra dimo­


rante ferire il cielo con un strale cacciato dal'arco, con quel Signore
appresso tenente uno scritto con lettere dicenti Nemo [fig. 4] ... A li
detti dissegni aggiunge in maniera di triomphante una vergine or­
natissima la qual riceve a guisa di Danae nel grembo copiosa piova
d'oro [fig. 5] . 1
Il modo in cui l'autore del Polifilo è citato esprime l'ammi­
razione e insieme il distacco di Camillo nei confronti di una
scelta linguistica che è molto lontana da quella adottata dal
circolo bembiano, in cui egli si riconosce. Interessante è l'af­
fermazione della superiorità del disegno sulla parola: Camil­
lo ricorda analiticamente alcune tavole del Polifilo, ne inter­
preta ogni dettaglio in chiave alchimistica premettendo ap­
punto che l'immagine rivela« maggiormente il secreto»: una
caratteristica che qui è legata alla pratica alchemica, ma ci ri­
corda anche quale funzione essenziale svolgano le immagini
nel Teatro.
Ci sono poi alcuni momenti, nel viaggio onirico di Polifito,
che ricordano da vicino la struttura del Teatro. Verso la fine
del libro I Polifilo giunge a un anfiteatro che ha una struttura
incredibile, inusitata, inaudita, tale da offuscare il tempio di
Efeso, il Colosseo, l'arena di Verona [fig. 6] .2 Penetrato all'in­
terno, nell'area centrale, Polifilo ha un momento di sbanda­
mento, come di vertigine, gli sembra di precipitare in un abis­
so, fino a che non si rende conto che il pavimento è di nera
ossidiana, lucidissima, « Nella quale petra chiaro vedevase, et
perfectamente cernivasi, quale in placido et flustro mare, la
lympitudine dil profondo caelo. Et similmente tutte le cose
quivi in gyro existente reflectevano, molto più di mundissimo
speculo, et cusì le soprastante». 3 Come in un gioco di scatole
cinesi, c'è un altro edificio che sta nel cuore dell'anfiteatro:
1. Cfr. Lina Bolzoni, Eloquenza e alchimia in Giulio Camillo: nuovi appunti, in
« Quaderni utinensi », 5/6, 1986, pp. 43-60. Le immagini citate da Camillo
sono in Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, tomo I, pp. 160 e 170.
2. Ha richiamato l'attenzione su questo punto Maurizio Calvesi, Teatro o
n
anfiteatro?, in mondo virtual.e di Giulio Camillo, a cura di V. Normando e N.
Moroni, Quaderni di Festina Lente, Roma, 1997, pp. 4-7.
3. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, tomo I, pp. 352-53; « Nel nitore di quella
pietra si vedeva e si distingueva perl'ettamente, come in un mare placido e
quieto, la limpidezza del profondo cielo: proprio così, tutte le cose che stava­
no attorno, come quelle incombenti, vi si riflettevano assai più che in un
tersissimo specchio » ( tomo Il, p. 359).
L ' « IDEA DEL THEATRO » 33
quello che contiene la fonte di Venere: un edificio con cupo­
la, di forma eptagonale e circolare all'interno, sorretto da set­
te colonne, ognuna contrassegnata dall'immagine di un pia­
neta, con il proprio attributo. 1 Possiamo immaginare che que­
sta complessa ed elegante struttura abbia colpito Camillo, per
la compresenza del circolo e della scansione settenaria, e an­
che per l'idea che, se ben orientato, lo sguardo di chi entra nel
Teatro può riflettersi nel cosmo e insieme conoscere se stesso.
Un altro momento del percorso di Polifilo risulta inoltre di
grande fascino nell'ottica della struttura del Teatro: a un cer-
. to punto una ninfa, Mnemosyne (la Memoria, dunque) , in­
troduce il giovane nel palazzo della regina: la corte è tutta la­
minata d'oro, vi sono dipinti i sette pianeti e i loro influssi, e il
Sole ha una posizione particolare, in corrispondenza con il
trono della regina [fig. 7) . 2 Accanto alla Casa di Salomone,
fondata su sette colonne, che Camillo cita, possiamo dunque
collocare anche l'anfiteatro che contiene al suo interno la
fonte di Venere e la reggia della regina del Poli.filo, sicuramen-
1. /bi,d., tomo I, pp. 358-60.
2. « Nell'area reliqua dunque circumvallata di queste turgiente gioie, cum
venustate perfectamente picturata di enchaustica opera, gli sette pianete
cum le sue innate proprietate cum grande piacere mirai ... Al sinistro ala­
mento, o vero pariete plasticato similmente era et cum gli intervalli et gioie
difforma, di ornato, di numero quale l'antidicto, cioè in septe rotundatione
sette triumphi degli subiecti dagli dominanti pianete, di dieta picturatione
faberrimamente facti contemplai. Et alla dextra parte aequalmente vidi an­
cora septe hannonie di quelli, et il transito del'alma, cum receptione quali­
tativa degli circularii gradi, cum incredibile historiato delle coeleste opera­
tione accedente. Il quarto alamento faceva il pallatio, cum distributione pa­
rimente quale negli insinuati, la porta dempta, occupatrice del mediano
intervallo: gli altri sei cum regulata correspondentia et hannonia degli reli­
qui nelle gioie (ad opposito degli pianeti et symmetriato congresso) le vir­
tuose operatione subinclinate a quelli, expresse in forma di elegante Nym­
phe, cum gli tituli et signi del suo effecto. La septima, mediana nel frontespi­
cio o vero fa.stigiato della porta, era collocata di directo in obvio della septi­
ma gioia continente il Pianeta Sole. La quale era più de I 'altre sublevata per
la locatione del throno della regina. Per la quale cosa omni parte acuratissi­
mamente di materia, di numero, di forma ad linea et qualunque minima
parte et locatione aequatissimamente et a libella correspondeva, et cusì mu­
tuamente la parte dextra cum la sinistra et de qui et de lì cum exquisitissimo
congresso convenivano. Del quale superexcellente loco ciascuno alamento
extenso era di passi vintiocto. Per tale elegante dispositione era aequabile
questa subdivale corte circumcirca tutta di perfectissimo oro ritecta, opera
miranda et ineffabile » (ilnd., tomo I, pp. 95-96).
34 INTRODUZIONE

te presente nella memoria dell'autore. Che a sua volta ci fa


venire in mente la Regina delle Isole Fortunate, che alla fine
degli Asolani di Pietro Bembo, i dialoghi sull'amore pubblica­
ti nel 1505, induce i suoi innamorati a sognare, legge i loro
sogni e decide del loro destino.

4. La « mensfenestrata »

Il Teatro, come viene detto all'inizio, adotta il punto di vi­


sta superiore, quello che tutto abbraccia, che permette di risa­
lire alle origini, di scendere alla pluralità e di tornare agli uni­
versali. È come se, scrive Camillo, immersi in un « gran bo­
sco » (il mondo terreno; qui a p. 151), non riuscendo a vedere
se non le piante vicine, ne uscissimo, salissimo lungo l'erta di
un colle (il mondo celeste) e giungessimo alla cima (il mon­
do sopraceleste). Fra i testi citati, il Somnium Scipionis di Cice­
rone, a richiamare alla memoria una celebre vista dall'alto
del cosmo e della terra e a celebrare il carattere superiore del
Teatro, che sa liberarsi dai vincoli del mondo terreno. Viene
in mente lo sguardo che nella Gerusalemme liberata (I, 7-8) Dio
volge sulle umane cose: uno sguardo che - come quello del
poeta - vede il tutto e gli infiniti dettagli, abbraccia l'unità e sa
penetrare nell'intimo dei cuori umani. E tuttavia subito av­
vertiamo una fortissima lontananza: quello di Camillo è un
Dio profondamente diverso, non ha più alcun carattere per
così dire personale; rappresenta piuttosto il termine primo e
ultimo di un mondo in cui ( come nel trattato XII del Piman­
dro ermetico) tutto è immortale, non esistono propriamente
vita e morte, ma solo un continuo apparire e nascondersi del­
le forme entro la materia prima, 1 che così si viene logorando,
e « quando non potrà più, ne seguirà il giudicio universale »
(qui a p. 166). Cristo è interamente dentro questo processo
metafisico: lontanissimo dalla storia, è la forza che dà la vita, è
lo spirito vitale che scende a unire i contrari, a far fiorire le
diverse forme, le diverse specie, i singoli individui:

1. « Or questa materia prima ... è continuamente sotto la rota non voglio dir
della generatione et della corruttione, come ha in costume di scriver Aristo­
tele, percioché questi vocaboli dispiacciano a Mercurio Trismegisto, ma,
secondo la sentenza di lui, della dimostratione et del nascondimento » ( qui
a pp. 161-62).
L ' « IDEA DEL THEATRO » 35
et riducendosi o trovandosi insieme le cose di diversa natura, co­
me è l'acqua et la terra, esse mai non si congiungerebbono in una
unione, se lo spirito di Christo non sopravenisse et in quelle entran­
do non le conciliasse ad esplicar fuori il seme occulto delle herbe et
de' fiori ... Lo Spirito di Christo ... discendendo da' sopracelesti ca­
nali, rinuova con la virtù sua tutti i cieli et porta giù tutte le loro im­
pressioni et tutte le loro virtù, et con quelle si ferma qua giù fra ani­
mali, herbe et fiori [qui a pp. 164 e 196-97] .
Posizioni come questa ci fanno intendere come il sincreti­
smo di Camillo, la sua interpretazione allegorica, spirituale
della Scrittura, lo portassero a posizioni lontane dalla orto­
dossia cattolica. Egli ribadisce puntigliosamente le sue idee, a
introduzione dei vari gradi del Teatro, per mostrare come il
Teatro incarni, renda visibile questa concezione di Dio e del
mondo.
Il tema della vista è centrale, è alla base stessa della scelta
del termine 'teatro' che nella sua radice greca rinvia appunto
al vedere. «Ma per dar (per così dir ) ordine all'ordine,» scri­
ve Camillo « con tal facilità che facciamo gli studiosi come
spettatori, mettiamo loro davanti le dette sette misure ... in
spettaculo, o dir vogliamo in theatro, distinto per sette salite»
(qui a p. 154) . Camillo pensa al teatro antico (lo cita subito
dopo) , ma è chiaro che il modello fisico viene incontro a
un'operazione di altro tipo, un'operazione mentale, in cui il
problema è la costruzione di un ordine totalizzante e 'visibi­
le'. Questo Teatro dove gli studiosi diventano spettatori, e tut­
to viene visto dall'alto, doveva essere probabilmente circola­
re. Gli utenti stanno idealmente al centro, sul palcoscenico,
mentre tutto intorno a loro si squaderna lo spettacolo, ordi­
nato e controllato, dei diversi gradi della realtà.
È un capovolgimento che trova la sua ragione in una delle
più efficaci descrizioni del Teatro che Camillo ci abbia dato.
La leggiamo nella Pro suo de ewquentia theatro ad Galws oratio,
un'appassionata difesa di sé e del suo progetto indirizzata alla
corte francese. Il Teatro si presenta come un nuovo linguag­
gio universale: risale alle origini, a quelle forme (« rerum no­
tiones », « impressiones rerum», « rerum imagines»; p. 38)
che le cose imprimono nel nostro animo e che sono comuni
a tutti, anche ai muti, a chi si esprime per gesti. Il Teatro recu­
pera una dimensione che viene prima dei diversi linguaggi e
che in essi trova diverse formulazioni. Camillo propone una
36 INTRODUZIONE

specie di esperimento: immaginiamo di avere davanti a noi


bambini di varie nazioni, e di possedere una vista così acuta
da guardare dentro le loro menti (« sint etiam nobis oculi ita
acres, ut horum mentes intueri possint »; loc. cit. ) , vedremmo
che le forme sono uguali e diverse le parole:
Oh se la mente degli uomini avesse una finestra ( come desidera­
va Socrate) , certamente vedremmo che in essa sono impresse innu­
merevoli forme delle cose ... La natura dunque ha prodotto in noi
una mente che abbraccia le impressioni che tutte le cose lasciano in
noi, e queste sono così comuni a tutti i popoli che tutte le nazioni
concepiscono le cose sotto la stessa medesima forma, ma per espri­
merle usano un diverso tipo di linguaggio. A similitudine di questa
mente anch'io ho costruito una grande mente fuori di noi, che con­
tiene le forme di tutte le cose e di tutte le parole, ma la mente che
abbiamo dalla natura è diversa da questa mia mente artificiale per­
ché di quella i sensi sono gli ambasciatori, mentre la mia è ambascia­
trice non solo dei sensi, ma anche della mente interiore attraverso i
sensi stessi. Infatti si presenta tutta ai sensi, si butta tutta nelle loro
braccia, così che la si può abbracciare, la si può stringere, come
qualcosa che si ama. 1
La descrizione del Teatro culmina in una specie di traspor­
to erotico: è oggetto di desiderio, di amore, lo si può stringe­
re, abbracciare. Esso rappresenta del resto la realizzazione di
un antico sogno, espresso dall'immagine della finestra che si
apre sull'anima, un sogno che era stato attribuito via via a Eso­
po e a Socrate. 2 Qui Camillo lo attribuisce a Socrate, sulla
scorta del proemio di Vitruvio al libro IIl,3 dove si ricorda che
1. « O si mens hominum fenestram haberet (ut cupiebat Socrates) innumera­
biles profecto rerum formas ad eam adhaerescere cemeremus ... Natura igi­
tur fecit in nobis mentem rerum omnium impressiones complectentem,
easque ita omnibus gentibus communeis, ut omnes nationes res sub una
eademque forma conciperent, diversum tamen sermonis genus in illis expo­
nendis inducerent: ad cuius similitudinem ego quoque magnam mentem
extra nos feci rerum omnium, verborumque formulas continentem, differt
tamen haec, quam a natura habemus, ab artificiosa mea, quoniam illius
nuntii sensus sunt, haec non solum sensuum, sed etiam interioris mentis per
ipsos sensus nuntia est. Tota enim sensibus obiicitur, tota etiam ita sese bra­
chiis dat, ut tanquam cara, tanquam amabilis amplecti, stringique possit »
(Pro suo ru el,oquentia theatro ad Gallos uratio, pp. 38-39).
2. Cfr. Mario Andrea Rigoni, Una finestra aperta sul cuure. (Note sulla metafura
rulla « Sinceritas " nella tradizione occi.dentale), in « Lettere italiane», IV, 1974,
pp. 434-58; Bolzoni, La stanza rulla memoria, cit., pp. 154-63.
3. Cfr. Bologna, Esercizi di memoria, cit., pp. 185-86.
L ' « IDEA DEL THEATRO » 37
Socrate, il più saggio degli uomini, aveva detto che sarebbe
stato bene che gli uomini avessero animi dotati di finestra e
aperti ( « oportuisse hominum pectora fenestrata et aperta es­
se »); in questo modo sarebbe stato possibile non solo scorge­
re da vicino vizi e virtù, ma anche avere sotto gli occhi, con
sicurezza, le scienze e le arti. In Vitruvio il topos ha una dop­
pia valenza: quella più tradizionale, e di più larga fortuna, per
cui l'immagine della finestra, come quella del cuore di cristal­
lo, esprime un sogno di verità, di trasparenza, di assenza di
confini tra esterno e intemo,1 e quella per così dire didattica
ed enciclopedica, legata al sogno di una immediata visibilità
delle scienze. Camillo usa il primo significato dell'immagine
in una orazione indirizzata al re di Francia a favore di Giovan
Battista Pallavicino, un carmelitano imprigionato sotto accu­
sa di luteranesimo, per 'far vedere' al re l'autenticità dei suoi
sentimenti;2 usa poi il secondo significato in relazione al Tea­
tro e lo rielabora in modo creativo. Prende infatti quell'anti­
co sogno alla lettera, lo proietta in una dimensione universale
(la finestra si apre sulle menti di tutti gli uomini), gli dà corpo
e vita traducendolo in una macchina che si fonda sulla natura
ma la supera, eliminandone i limiti. Le immagini nella men­
te possono essere perturbate e confuse, egli nota, « ma que­
sta nostra mente costruita dalle nostre mani, questa fabbrica

1. Cfr. Bolzoni, ll cuore di cristallo, cit., pp. xvn sgg.


2. Socrate, « il cui petto fu chiamato Tempio di Sapientia, haveva grande
desiderio che le umane menti fossero fenestrate talmente che per loro, co­
me per fenestra tutto l'animo dell'huomo potesse esser veduto. O se questo
fusse, liberalissimo Re, gli occhi di V. Maestà potrebbero al presente vedere
la divina imagine di se medesima seder nel più alto luogo deli 'anima mia, in
quella Maestà, in quel pietoso atto, nel quale al maggior mio bisogno la ho
veduta, senza haversene a muovere indi giamai, et li medesimi occhi suoi si
potrebbono vedere davanti la fedele mia costanza trasformata in un sacro
altare, sopra il quale ancor dopo la morte mia collocato starà il dono fatto­
mi, legato forte nel mezo con un capo di una indissolubile catena di obliga­
tione, la qual con l'altro capo tiene, et terrà in perpetuo circondato il collo
dell'huomo mio interiore » ( Oration seconda al re christianissi1TW, p. 243). Cfr.
Cesare Vasoli, ll " luterano .. Giovan Battista Pallavicina e due orazioni di Giulio
CamilloDelminio, in « Nuova rivista storica», LVIII, 1974, pp. 64-70. Anche in
un appunto che lo Sturm include nella lettera a Martin Butzer Camillo fa
riferimento al topos della trasparenza, della possibilità di vedere l'animo:
« lmmo pudore non impediar haec scribere: utinam animus esset nunc in
manibus atque in calamo, nam si eum videre posses, profecto tuum esse a­
gnosceres » (Schmidt, Gérard Rousse� cit., p. 220) .
38 L' « IDEA DEL THEATRO »

frutto di un'opera così grande, è talmente dotata di finestre


che lo stesso Socrate non avrebbe potuto desiderarla più a­
perta»; 1 la moltitudine delle immagini può sembrare infinita,
non controllabile, eppure « è stata elaborata con tanto ordine
e collocata in una serie di luoghi e di immagini tale che, qua­
lunque sia l'argomento che l'animo vuol trattare, anche il più
minuto, immediatamente ti si presenta il luogo e l'immagine,
e tu potrai non solo vederli con i tuoi occhi, ma anche toccar­
li col dito, e mostrarli agli altri » . 2
L'immagine straordinaria del Teatro come una mente pie­
na di finestre, una mente artificiale, dove viene rovesciato
all'esterno ciò che si nasconde nell'interiorità, ci aiuta a capi­
re, come si diceva, il capovolgimento cui il modello del Tea­
tro viene sottomesso. Lo spettatore è al centro, sul palcosceni­
co; intorno a lui si dispongono i luoghi e le immagini, ma
nello stesso tempo in quello spettacolo è la mente che si di­
spone in tutta la sua ricchezza: la mente umana capace di con­
tenere/ricordare/ricreare l'intera realtà. Sulle gradinate del
Teatro lo spettatore proietta dunque se stesso.
Di questa mensfenestrata l'Idea ci offre_ una rappresentazio­
ne sintetica ma sostanzialmente fedele. E vero che, soprattut­
to verso la fine, il testo sembra impoverirsi, quasi ridursi a un
elenco,' ma ci ha già trasmesso le informazioni essenziali: il
nuovo carattere dei luoghi e delle immagini, il loro tentativo
di catturare le strutture profonde e segrete della realtà, il fat­
to che le immagini si muovono sulla scacchiera dei luoghi as­
sumendo via via nuovi significati. In altri termini l'Idea ci offre
le regole del gioco.

1. « At nostra haec manu facta mens, nostra haec tanti operis fabrica, ita
fenestrata est, ut apertiora non potuisset desiderari a Socrate » (Pro suo de ew­
quentia theatro ad Gallos uratio, p. 40).
2. « Verumtamen eo ordine elaborata est, ea locorum imaginumque serie,
ut in quamcumque rerum dicendam ve) minutissimam animus sese iniiciat,
locus imagoque statim occurrat, quam non solum oculis percipere, sed digi­
to ipse tuo tangere, aliisque ostendere possis » ( loc. cit. ) .
3 . Cfr. Gabriele Cingolani, ll mondo in quarantanuve caselle. Una kttura de l'« I­
dea del Teatro» di Giulio Camillo, in Macrocosmo-Microcosmo. Scrivere e pensare il
mondo nel Cinquecento tra Italia e Francia, a cura di R. Gorris Camos, Schena,
Fasano, 2004, pp. 57-66.
5. La Biblioteca

L'unica attendibile descrizione del Teatro come un model­


lo in legno e del rapporto che Camillo ha con la sua 'creatura',
la troviamo nella lettera che Viglio Aytta da Zwichem, un gio­
vane giureconsulto che si trovava allora a Padova, scrive al suo
amico Erasmo 1'8 giugno 1532. È una testimonianza del tutto
attendibile perché sia l'autore della lettera sia soprattutto Era­
smo, il destinatario, sono pieni di sospetti nei confronti del
Camillo (pensano sia l'autore di un sanguinoso libello contro
Erasmo che in realtà era opera di Giulio Cesare Scaligero) 1 e il
resoconto di Viglio è carico di distacco e di ironia. Ho visto
l'anfiteatro, egli dice, e te ne scriverei più a lungo, se non te­
messi di offenderti con sciocchezze di questo genere:
L'opera è in legno, segnata con molte immagini e gremita, in o­
gni parte, di piccole cassette; e vi sono diversi ordini e gradi. Egli ha
assegnato il suo posto a ogni figura, a ogni singolo ornamento, e mi
ha mostrato una tal quantità di carte che, sebbene io abbia sempre
sentito che Cicerone è la più ricca fonte dell'eloquenza, difficilmen­
te avrei pensato che un autore potesse contenere tanta roba o che
dai suoi scritti si potessero mettere assieme tanti volumi ... Egli chia­
ma questo suo teatro con molti nomi, dicendo ora che è una mente
e un'anima artificiale, ora che è un'anima provvista di finestre. Pre­
tende che tutte le cose che la mente umana può concepire e che
non si possono vedere con l'occhio corporeo possono tuttavia, dopo
essere state sottoposte ad attenta considerazione, essere espresse
mediante certi simboli corporei in modo tale che l'osservatore può,
all'istante, percepire con l'occhio tutto ciò che altrimenti è celato
nelle profondità della mente umana. E appunto a causa di questa
percezione corporea lo chiama un teatro. 2

n
1. CTr. Lina Bolzoni, Erasmo e CamiUo: il dibattito suU'imitazione, in /,ettore crea­
tivo. Percorsi cinquecenteschi fra memoria, gioco, scrittura, Guida, Napoli, 2012,
pp. 235-68.
2. « Opus est ligneum multis imaginibus insignitum, multisque undique cap­
sulis refertum: tum varii in eo ordines et gradus. Singulis autem figuris et
omamentis sua loca dedit, tantamque mihi chartarum molem ostendit ut,
etsi semper audierim Ciceronem uberrimum eloquentiae fontem esse, vix
tamen induci ante potuissem ut crederem unum auctorem tam late patere,
totque ex eo volumina consarcinari potuisse ... Hoc autem theatrum suum
auctor multis appellat nominibus, aliquando mentem et animum fabrefac­
tum, aliquando fenestratum: fingit enim omnia quae mens humana conce­
pit, quaeque corporeis oculis videre non possumus, posse tamen diligenti
consideratione complexa signis deinde quibusdam corporeis sic exprimi, ut
40 INTRODUZIONE

Viglio ci presenta dal vivo Camillo in azione, balbuziente, che


via via si inceppa e parla male latino, e mette in risalto la sua tea­
tralità un po' istrionica: « quasi stupefatto per il carattere mira­
coloso della cosa, ha tirato fuori alcuni fogli, e ne ha recitato il
contenuto». 1 Il Teatro conteneva infatti molti 'fogli', molti ver
lumi, come l' /dm sottolinea più volte: leggiamo ad esempio che
Protheo di più forme con faccia humana significa la materia pri­
ma, che fu la seconda produttione. Et ci aviserà che dentro al suo
canone, sarà un volume ordinato per tagli, dove si tratterà della mate­
ria prima ... Nettuno prometterà che nel suo volume si tratterà dell' e­
lemento dell'acqua purissimo et semplicissimo [ qui a p. 1 70] .
Il rapporto che lega le immagini ai volumi è espresso in
forme diverse: nel brano citato le immagini 'avvisano', 'prer
mettono'; altre volte 'coprono' o semplicemente 'hanno'; al­
tre volte ancora viene in primo piano l'intervento demiurgico
di Camillo: « vogliamo che nel volume del suo canone si hab­
bia a trattar ... » ( imd.) ; « Adunque sotto questa imagine dare­
mo un volume, che comprenderà le sporchezze delle cose del
mondo ... » (qui a p. 178) . C'è anche una terminologia ricor­
rente, a proposito dei v<:_>lumi e delle immagini, che non è
sempre facile decifrare. E il caso del « canone», che sembre­
rebbe indicare lo schema degli argomenti trattati sotto cia­
scuna immagine. Possiamo farcene un'idea dagli schemi che
troviamo nel manoscritto genovese del Teatro (G) , di cui par­
leremo più avanti: 2 qui Camillo usa il termine « tavola»: « le
quali cose tutte nella tavola prima di entrare nelle porte de i
gradi saranno distintamente dichiarate» (c. 98r) leggiamo ad
esempio, e il manoscritto ce ne fornisce diversi esempi. An­
che i volumi dovevano avere delle caratteristiche particolari:
« volume ordinato per tagli» indica probabilmente un volu­
me i cui margini esterni sono tagliati e contrassegnati in mer
do tale da facilitare la ricerca degli argomenti.� Ce lo confer-
unusquisque oculis statim percipiat quicquid alioqui in profondo mentis
humanae demersum est. Et ab hac corporea etiam inspectione theatrum
appellavit » (lettera di Viglio Aytta da Zwichem in Erasmo da Rotterdam,
opus Epistolarum, a cura di H.M. Allen e H.W. Garrod, Clarendon, Oxford,
voi. X, 1941, pp. 29-30).
1. « Cuncta religiose quasi obstupescens rei miraculo, chartas aliquas obiecit,
easque recitavit » ( ibid., p. 29).
2. Si veda sotto, p. 84 e nota 2, pp. 93-99.
3. Cfr. Alessandro Citolini, La Tipocosmia, Vincenzo Valgrisi, Venezia, 1561,
L ' « IDEA DEL THEATRO » 41
mano altri passi, come « Sotto la imagine adunque di questo
Nettuno sarà contenuto il volume, dove saranno ordinate di­
stintamente per tagli l'acqua in genere, et l'acqua in specie...»
(qui a pp. 176-77) e « Un toro. Questa havrà per membri e­
straordinarii la lingua con le sue parti et conseguenti, come i
linguaggi et il parlar ordinato per li suoi capi ben distinti, co­
sa tanto maravigliosa, quanto si vedrà per li tagli del suo volu­
me» (qui a p. 222) . Importante è dunque la qualità visiva dei
volumi collocati nel Teatro. Essi rendono immediatamente
percepibili l'ordine, la distinzione che li caratterizza. È una
preoccupazione che Camillo ha ben presente anche nella fa­
se primitiva del Teatro, quella testimoniata dalla Lettera a
Marc'Antonio Flaminio, quando probabilmente il Teatro era
soltanto un libro. Il Flaminio, scrive Camillo, non è riuscito a
farsi un'idea del« libro» di cui gli ha parlato Alessandro Man­
zuoli, « compagno di tanta fatica»: 1 certo è tutto più compli­
cato perché Flaminio non lo ha davanti agli occhi ed è diffici­
le « mettere innanzi della sua divinità la forma grande, et
dell'ordine l'utilità maggiore» (p. 288) . « Per la grande vicini­
tà delle parti » continua Camillo « parrà forse a voi adombrar­
si il lume della distin tione; nondimeno se vedeste come nel libro
sono collocate parebbevi, non senza gran meraviglia, separata­
mente vedere in ordine da non uscire mai di mente tante ar­
che, o conserve, che dir vogliamo, da riporre ciascuna cosa, et
ciascun modo di dire che nel mondo sia» (p. 290) .
Fin dalle origini il libro cui Camillo confida la propria fati­
ca aveva dunque caratteri tali da rendere immediatamente
p. 296: a proposito del « gran libro» che rende visibile il sapere, si dice che è
possibile muoversi con facilità entro l'enorme massa del materiale anche
grazie a « un nuovo e gentile artificio, necessario ne' tagli de' margini de 'I
gran libro SUO ».
1. Camillo sembra molto legato al Manzuoli a sua volta amico di Pietro Bem­
bo, di Bartolomeo Ricci e di Sebastiano Sauli: la lettera a Ludovico Beccadel­
li dell' 8 aprile 1523 è spedita « dalli Casoni », e, come nota Gigliola Fragnito,
i Casoni è una tenuta dei Manzuoli, per cui « sembra che si possa congettu­
rare che, nel 1523, il C. fosse ospite di quello che sarà uno dei "fideiussori"
dell'eretico Camillo Renato ». È lo stesso ambiente ereticale in cui si muove
il Flaminio (Gigliola Fragnito, recensione a Marcantonio Flaminio, Lettere, a
cura di A. Pastore, Ateneo, Roma, 1978, in « Studi veneziani », Nuova Serie,
IV, 1980, pp. 324-34, la citazione a p. 332; e, della stessa autrice, cfr. anche
Evangelismo e intransigenti nei difficili equilibri delpontificatoJamesiano, in « Rivi­
sta di storia e letteratura religiosa », XXV, 1989, pp. 2047).
42 INTRODUZIONE

visibile l'ordine con cui il contenuto veniva trattato. La 'coll<>­


cazione' delle materie sulla pagina fa sì che il libro diventi un
grande tesoro della memoria, pronto per ogni necessità: Ca­
milla riprende alcune metafore tradizionali legate alla me­
moria, come « arche» e « conserve». Possiamo pensare che
usasse a questo scopo tavole, diagrammi, quegli strumenti l<>­
gici e mnemonici che si andavano diffondendo e che permet­
tevano di mettere sotto gli occhi (del corpo e della mente) il
metodo seguito nella inventio e nella dispositio del contenuto. 1
Anche in questa ottica vediamo come le tappe che Camilla
ha percorso alla ricerca di un ordine per il suo Teatro non
vengono eliminate, ma recuperate e integrate nella fase fina­
le del progetto. Nella Lettera a Marc'AntonioF/aminio racconta
come, scontento del metodo di Cicerone (l'edificio) e di Me­
trodoro (i segni dello Zodiaco), ha rivolto « tutto 'l pensiero
alla meravigliosa fabrica del corpo humano» (p. 290), il mi­
crocosmo, il piccolo mondo, che ha parti « che con tutte le
cose del mondo si confacciono» ( wc. cit.) , per cui vi si poss<>­
no collocare tutti gli enti e di conseguenza tutte le parole che
li significano. Tale modello - che aveva e avrebbe avuto fortu­
na nei trattati di memoria [fig. 8] - sarà disciolto nel Teatro,
così come, nei volumi collocati in corrispondenza con le di­
verse immagini, saranno conservate le caratteristiche tecni­
che (i 'tagli' del libro, i diagrammi e le tavole) che rendono
visibile l'ordine di ciò che vi è contenuto. Vediamo allora ce>­
me il Teatro diventi anche una grande biblioteca, anzi La Bi­
blioteca, e come le immagini ce ne forniscano un catalogo vi­
sualizzato. A noi oggi viene in mente Borges, e la sua bibliote­
ca-mondo, ma, in luoghi e tempi molto più vicini a Camilla, ci
fu chi progettò e in parte realizzò una biblioteca enciclopedi­
ca, capace di comunicare immediatamente il suo ordine e in­
sieme le sue potenzialità. L'Accademia Veneziana della Fa­
ma, che ebbe vita splendida ma effimera ( 1557-1561), aveva
affidato a Paolo Manuzio il compito di realizzare libri che fon­
dassero una nuova enciclopedia e che rendessero 'visibile' il
sapere; il 1 2 luglio 1560 gli accademici offrono ai procuratori
di San Marco i loro servigi per la biblioteca pubblica, e pr<>­
mettono

1. Cfr. Bolzoni, La stanza della memoria, cit., cap. 11: « Alberi del sapere e mac­
chine retoriche », pp. 26-86.
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 43

di por quello studio nella dispositione di essi libri, che sarà neces­
sario, acciò che visibilmente s'intendano le cose, che sono dall'intel­
letto solo comprese: e però dell'una parte saranno co' brevi nel loro
vero ordine collocate tutte le scienze et arti, et dell'altra le lingue,
con la qual distintione verranno per se stesse a scoprirsi e le cose
degne di lode, quelle che per qualche difetto havranno di miglio­
ramento bisogno. 1
La Biblioteca rende visibile l'enciclopedia, raccoglie in sé
ordinatamente il sapere esistente, lascia spazio per quello
possibile.

III. MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI,


OVVERO CIÒ CHE RENDE POSSIBILE IL TEATRO

Il Teatro, si diceva, doveva funzionare anche come una


grande biblioteca, dotata di un catalogo per immagini. Ma
che tipo di testi accoglieva? Camillo promette più volte che
nei luoghi del suo Teatro si potranno trovare sia le materie,
sia gli artifici (cioè le figure retoriche) e la lingua in cui sono
state trattate. Sul nesso fra queste componenti, fra le prime
due in particolare, si gioca la scommessa di Camillo. Per
quanto riguarda la lingua, il Teatro funzionerà anche da
grande macchina per la traduzione,2 e una delle preoccupa­
zioni di Camillo sarà di avere tempo e denari a sufficienza per
far tradurre in francese il materiale latino e italiano che aveva
preparato. Nei luoghi del Teatro erano collocati i frammenti
tratti dalle varie enciclopedie (ad esempio da Plinio) . Ma non
solo. Una delle promesse ricorrenti è che nel Teatro si trove­
ranno anche le forme migliori in cui le materie sono state
1. Supplica ai Procumtmi di San Marco, in Paul Lawrence Rose, The Accademia
Venetiana. Science and Culture in Renaissance Venice, in « Studi veneziani », XI,
1969, pp. 1 91-243 (la citazione a p. 231 ) .
2. Ce n e dà testimonianza Girolamo Muzio: per convincere il D 'Avalos della
validità del suo Teatro, egli scrive, Camillo « ne fece la prova col far latino il
sonetto che già scrisse il Marchese a me quando egli andò a Nizza » (Muzio,
Lettere, cit., libro Il, lettera V, p. 135) . Nella Pro suo de eloquentia theatro ad
Galws oratio (p. 63), Camillo ricorda di aver fatto tradurre il Miserere al conte
Claudio Rangone.
44 INTRODUZIONE

trattate: nei diversi luoghi, affidati alla forza memorativa e


vivificante delle immagini, Camillo deposita i risultati di quel
lavoro che lo aveva impegnato a lungo, e cioè l' « anatomia»
dei grandi testi, una specie di grande schedario in cui le belle
forme disperse nella tradizione sono ordinate, frammentate,
pronte al riuso. Proprio qui si misura il senso del progetto del
Camillo, ciò che gli conferisce un carattere insieme familiare
e del tutto straniante. Da un lato egli è interprete fedele del
classicismo del suo tempo: come Pietro Bembo crede che bi­
sogna imitare Cicerone e Virgilio se si scrive in latino, Boccac­
cio e, soprattutto, Petrarca se si scrive in volgare. Ma dall'altro
la questione dell'imitazione assume per lui un carattere più
forte, quasi metafisico: gli autori esemplari segnano /,a via da
seguire, l'idea dell'eloquenza ha confini certi, per questo si
può descrivere e catturare. Se così non fosse, l' « anatomia»
dei testi sarebbe un lavoro senza fine, malinconico impegno
ossessivo, e il Teatro non avrebbe senso. Il Teatro ridispone i
frutti della anatomia dei testi entro il tesoro della memoria, e
nello stesso tempo offre le condizioni perché le belle forme
riprendano vita. Lo strumento, come vedremo, è offerto dalla
topica, dalla costruzione di macchine retoriche. In questo
modo Camillo costruisce la via breve e artificiosa che lega fra
loro memoria, imitazione, invenzione. Prende sul serio i
grandi temi che appassionano i suoi con,temporanei, e ne dà
una versione insieme fedele e distorta. E molto interessante
vedere come, per spiegare e difendere il suo progetto, egli e­
vochi intorno a sé una comunità di amici, ma avvertiamo che
questi amici sono insieme partecipi e lontani: non capiscono,
sono un po' diffidenti. Indicativo in questo senso è il Discorso
in materia del suo theatro, indirizzato « a Triphon Gabriele ed ad
alcuni altri gentilhuomini », dove Bembo è subito citato, si
rievocano momenti di comuni letture, come la Metafisica di
Gasparo Contarini, si citano conversazioni avute con il giova­
ne Morosini e con Gerolamo Molino. Camillo è andato oltre i
suoi amici: se guardiamo al suo Teatro mettendo sullo sfondo
i testi canonici del classicismo, a cominciare da quelli di Bem­
bo, l'effetto è quello di una prospettiva sconvolta, di una spe­
cie di anamorfosi, dove a fatica si riconoscono le tracce del
disegno primitivo.
1. « Colui che imita un peifetto imita l,a peifezion
di mili.e raunata in uno »

Proprio l'importanza della posta in gioco dà un tono parti­


colare al testo in cui Camillo difende l'imitazione di un unico
modello, Cicerone, contro il Ciceronianus di Erasmo. In que­
sto dialogo, pubblicato nel 1528 (un anno dopo il sacco di
Roma) , Erasmo attacca con violento sarcasmo il culto ossessi­
vo e totalizzante di Cicerone che caratterizzava molti letterati
italiani, romani in particolare. Le questioni formali si intrec­
ciavano pericolosamente con quelle religiose: nel culto di Ci­
cerone Erasmo ravvisa una forma occulta di paganesimo, il
rifiuto di accettare la novità radicale che il cristianesimo aveva
introdotto nella storia. Il rapporto fra Erasmo e Camillo in­
torno alla questione ciceroniana è un dialogo tra sordi, una
commedia degli equivoci. Erasmo, come si ricordava sopra,
sospetta che Camillo sia l'autore di una orazione, pubblicata
a Parigi nel 1531, che lo attacca con estrema violenza, anche
sul piano personale; per questo incarica il suo giovane amico
Viglio Aytta da Zwichem di svolgere una inchiesta. È così che
Viglio incontra Camillo a Padova, vede il suo Teatro e ce ne
lascia una preziosa descrizione. Camillo e Viglio dialogano
senza capirsi: Camillo ignora i sospetti di Erasmo ed è interes­
sato soprattutto a esaltare il suo Teatro. La polemica con Era­
smo, che vedrà la luce solo nel 1544 col titolo di Trattato dell'i­
mitazione ma che certo circolava già nel 1533, 1 è infatti una
delle orazioni in difesa del Teatro e ce ne fa capire bene alcu­
ni dei presupposti essenziali.
Camillo tratta Erasmo con grande rispetto, ma rigetta con
forza l'idea che si possa scrivere bene imitando modelli diver­
si. Ci troviamo qui di fronte a una polarità radicale che attra­
versa tutto il dibattito, fra Quattro e Cinquecento, sui modelli
da seguire, sul canone letterario: il contrasto tra unità e plura­
lità. Camillo, come gli altri classicisti, è decisamente schierato
a favore dell'unità: per lui non esistono modi diversi di mani­
festazione della bellezza, ma un preciso criterio di valore, che
permette di giudicare ciò che è più o meno bello. E infatti le
immagini che usa per parlare della lingua e della letteratura
1. Mostra infatti di conoscerla un corrispondente di Erasmo,Julius Pflug, in
una lettera del 5 maggio 1533 (Bolzoni, Il /,ettore creativo, cit., p. 241).
46 INTRODUZIONE

sono ispirate a un modello organico di crescita, sviluppo, de­


cadenza:
La lingua latina, sì come tutte le altre cose del mondo, ha avuto il
suo oriente, il suo mezzodì e il suo occaso ... se noi vogliamo trovar
la sua perfezione non fa bisogno che ce la poniarn davanti quale ella
nacque o quale mori, ma qual era nella più forte e gagliarda età sua.
Et conciò sia cosa che, se alle istorie e alla verità creder vorremo, il
colmo della lingua latina nel secolo di Cicerone e di Cesare st.ato sia,
quel solo secolo debbiarno come perfetto tenere, e color che anda­
rono molto avanti o vennero dopo, come fanciulli non ben avezzi al
parlare o come vecchi già balbett.anti. 1
Le immagini usate dal Camillo danno corpo a un modello
unitario, delineano un quadro di riferimento entro cui trova
posto solo il meno o il più, mentre la molteplicità, la differen­
za non hanno alcun diritto di cittadinanza. L'esaltazione
dell'unità è profondamente legata a una visione ciclica della
vicenda cosmica. Proprio per questo imitare Cicerone assu­
me un significato che va ben oltre la dimensione della lettera­
tura: significa saper cogliere un ciclo vitale nel suo momento
culminante, comporta la possibilità di riprodurne artificial­
mente la bellezza e il vigore.
Nel momento culminante dello sviluppo di una lingua la
perfezione, per così dire, universalmente diffusa trova la sua
più compiuta espressione nell'opera di uno scrittore. Ci sono
per Camilla tre condizioni che permettono che questo si
verifichi: la prima è una natura individuale straordinaria (un
« perfetto ingegno » );2 la seconda, un'agguerrita tradizione re­
torica (una critica letteraria, oggi diremmo) capace di porta­
re alla luce l' « artificio », di far vedere le singole bellezze di­
sperse nelle tenebre dei secoli bui; la terza, infine, una felice
collaborazione fra il grande scrittore e i maestri di retorica: si
tratta di adunare insieme e di ridurre a norma ( di formalizza­
re, dunque) le bellezze che a caso, e in modo disperso e
disordinato, quei secoli avevano prodotto. Deriva di qui, se­
condo Camilla, la necessità di concentrare la propria imita­
zione su di un'opera esemplare: « Adunque, colui che imita
un perfetto imita la perfezion di mille raunata in uno ».3

1 . Trattato dell'imitazione, p. 162.


2. lbid., p. 1 75.
3. lbid., p. 1 76.
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 47
Il modello - metafisico e alchimistico - della purificazione
del molteplice, del suo concentrarsi nell'unità, trova anche
una precisa formulazione in termini di gusto e di lingua.
« Debbiamo ancor pensare » scrive Camillo « che Cicerone ...
abbia saputo con ... prudenzia cogliere le bellezze della lin­
gua latina e levar via le parole troppo popolaresche o comi­
che e dure o già antichette ». 1 Il 'perfetto scrittore' diventa
tale anche attuando un'opera di selezione e di depurazione
linguistica. È lo stesso ideale che troviamo, applicato al volga­
re, nelle Prose dell,a volgar lingua del Bembo.
In questo modo Camillo risponde alle argomentazioni di
Erasmo a favore di un'imitazione eclettica e il concentrarsi
su di un unico modello, su Cicerone in particolare, acquista
un senso e uno spessore, si carica di significati che investono
da vicino, in primo luogo, la concezione della storia. D'altra
parte è proprio su questo terreno che la posizione erasmiana
- per molti versi ben più aperta e duttile di quella dei suoi av­
versari - rivela aspetti di chiusura e di distorsione. Erasmo
continua infatti a trattare il latino come una lingua viva. Se da
un lato è così efficace nel sottolineare la lontananza, la alterità
del mondo classico, e nel denunciare la grottesca attitudine
dei ciceroniani romani che pretendono di rappresentarlo di
nuovo sulla scena del mondo, dall'altro egli resta del tutto
interno a quella tradizione umanistica che si muove tra greco
e latino, e si mostra poco sensibile verso la grande novità sto­
rica che si sta affermando in Europa: lo sviluppo, anche lettera­
rio, delle lingue volgari.
Camillo ha invece una precisa consapevolezza del fatto che
la stagione del latino come lingua viva, e quindi capace di ri­
generarsi e di trasformarsi, è definitivamente chiusa. Torna­
no puntualmente infatti immagini legate al ciclo organico, al
momento del declino e della morte: « perfin che il gentil se­
colo fu nello stato suo, la lingua era come una ghirlanda tes­
suta da bellissima vergine ... Ma poco dopo la morte di Cicero­
ne mori la vergine che avea in governo la ghirlanda, né ad al­
trui è dato far il medesimo, perché anco da radice è del tutto
secco il prato latino ». 2 Il mondo latino è finito, è qualcosa di
lontano e di estraneo:« E perché se io che sono straniero posso
l. lbid., pp. 176-77.
2. lbid., p. 163.
48 INTRODUZIONE

dal perfetto secolo levar quasi il tutto, debbo nell'altrui lin­


gua mescolar vocaboli o modi di parlar che non piacquero al
gravissimo giudicio di quelli che nel più felice secolo in quella
lingua parlarono, scrissero e giudicar seppero ... ?». 1 Questa
dimensione di estraneità rispetto a un mondo ormai lontano
nel tempo suggerisce al Camillo l'associazione con un'analo­
ga esperienza di estraneità, che egli vive al presente, in Fran­
cia: «Non ridereste voi Galli, se io straniero volessi aggiunger
vocaboli alla vostra lingua?». 2
Di qui Camillo deriva una conseguenza importante, la co­
scienza, cioè, del carattere tutto libresco, tutto artificiale, dello
scrivere in latino: «la lingua latina non si parla più come la
nostra popolare o la gallica, et è già fermata ne' libri, e noi, che
non siamo nati in lei, se la vogliamo avere, convien che la co­
gliamo dai libri dove si è fermata».3 La questione dei volgari -
l'italiano, il francese, ad esempio - emerge appunto in questo
contesto. Ne risulta in certo senso capovolta la prospettiva di
Erasmo, che aveva denunciato il carattere tutto artificiale del
ciceronianesimo, in nome della dimensione più naturale di
un'imitazione eclettica, rispettosa delle caratteristiche indivi­
duali. Camillo gli risponde che nel mondo moderno per natu­
ra si parla in volgare e che lo scrivere in latino è operazione del
tutto artificiale. Vedere e accettare fino in fondo questa di­
mensione di artificialità diventa per Camillo la via obbligata
per riconoscere e riprodurre la natura delle cose. «Io non cre­
do» scrive «che la natura dell'autore possa essere imitata già
mai, ma solamente que' consigli che da lei procedono ... Et
invero questi consigli sono di tanta virtù ... che di loro in loco
della natura a bastanza contentar ci possiamo».4 È interessan­
te il fatto che questo passo viene subito dopo l'affermazione
che coloro che negano la validità dell'imitazione, o predicano
un'imitazione eclettica, «confondono le parti della eloquen­
zia», «perché non hanno voluto filosofar intomo a questo fat­
to». 5 Camillo è d'accordo con Erasmo sul fatto che non si può
mutare la natura di ciascuno, ma rifiuta di trame le stesse con-
I . /bid., pp. 163-64.
2. lbid., p. 171.
3. lbid., p. 163.
4. lbid., pp. 1 78-79.
5. !md., p. 1 78.
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 49

seguenze. Il problema viene decisamente spostato sul piano


della retorica, o meglio di una filosofia della retorica di cui
Camilla ritiene di possedere una chiave innovativa e definitiva:
poco più sopra aveva parlato di una « natural filosofia del figu­
rar topicamente»1 rivendicandone la scoperta. L'artificio re­
torico e i suoi meccanismi costitutivi: questo è per Camilla il
terreno dell'imitazione. In questo modo egli viene a segnare
la propria differenza non solo da Erasmo, ma dallo stesso
Bembo. Pur condividendo con lui il ciceronianesimo, si collo­
ca su di un terreno diverso per quanto concerne la natura e la
pratica della imitazione. Per Camilla infatti essa riguarda il
modo di scegliere e di costruire le figure retoriche, investe
dunque un livello più profondo di quello tradizionalmente
collegato con l' ewcutio. Rispetto a Bembo, inoltre, la via di Ca­
milla non è soltanto tutta retorica e artificiosa, ma più breve e,
nello stesso tempo, più meccanica e universale.
Camilla dimostra una notevole capacità di riusare a pro­
prio favore alcune componenti del repertorio di immagini e
di storie esemplari che la tradizione - dal mondo classico
all'umanesimo - aveva usato per sostenere la necessità di imi­
tare una pluralità di modelli. L'immagine dell'ape, ad esem­
pio, che vola di fiore in fiore per succhiare il nettare da ciascu­
no e produrre il miele, aveva avuto una lunga fortuna ed era
diventata emblematica della necessità di attingere suggestio­
ni da testi diversi, per rielaborarle poi in modo nuovo e perso­
nale. Camilla isola di questa immagine solo un particolare,
quello della metamorfosi, della capacità di trasformare le co­
se. Dai testi esemplari, egli dice, dovremo ricavare le parole,
evitando le immagini retoriche che li caratterizzano, per non
diventare ladri anziché «usufruttuari»: cioè fare come l'ape,
«la qual, benché faccia il suo mèle dalla virtù de' fiori, che
non è cosa sua, nondimeno essa la trasforma ... e chiamasi
mele e non più fiori». 2
Il tentativo che Camilla compie - in questo, come in altri
testi - è quello di cogliere nel profondo la natura dell'artificio
retorico, il che significa, nella sua ottica, conoscere e control­
lare i meccanismi della scrittura letteraria. A questo è dedi­
cata la parte sui «tre principali ordini» che « possono essere
1 . Jbi,d., p. 167.
2. Jbi,d., p. 164.
50 INTRODUZIONE

della lingua accommodati a vestir ciascun nostro concetto: il


proprio, lo traslato, e quello a cui perfino a qui (forse per non
essere stato così bene inteso né conosciuto) non è caduto no­
me e che noi in tutta l'impresa nostra chiamiamo e chiamere­
mo sempre topico». 1 I tre ordini delineano in realtà un per­
corso che cerca di penetrare nel testo a livelli sempre più pro­
fondi. Al di là delle parole « proprie» (corrispondenti a un
discorso puramente denotativo) , e al di là anche delle figure
retoriche, Camillo cerca di risalire all'ordine topico, e cioè a
quei meccanismi logici che sono alla base della genesi stessa
delle figure. Riprendendo infatti una linea che era stata di
Rodolfo Agricola, Camillo applica alla retorica gli schemi« to­
pici» che tradizionalmente venivano usati per classificare e
per produrre le diverse argomentazioni logiche. In questa ot­
tica l'oratore e ancor più il poeta da un lato usano fino in
fondo tutti gli strumenti della logica, dall'altro lato ne dilata­
no il campo d'azione, facendo ricorso anche a luoghi topici
deboli dal punto di vista strettamente logico ma efficaci dal
punto di vista espressivo. Vediamo come questo schema logi­
co-retorico entra in gioco nell'imitazione letteraria.
Supponiamo, scrive il Camillo, che io voglia parlare della
nascita:« se io dicessi "uscir ne' paesi della luce", sì come disse
Lucrezio, per mio avviso porterei pericolo di esser notato ...
Ma la gran laude ch'io posso meritar, in questo terzo ordine
topico è posta, che, scoperto l'artificio di Lucrezio, con quel
medesimo posso fabricar un 'altra figura, non di minor bellez­
za, senza rubare». Per far questo, basterà capire che Lucrezio
ha derivato la sua figura dal« loco de' conseguenti». 2
Si tratta di smontare la figura, di risalire ai meccanismi che
l'hanno generata: in questo modo si passerà dal particolare
all'universale, da ciò che è unico e irripetibile a qualcosa che
invece si può controllare, manipolare, variare. È esattamente
questo procedimento - ricondurre cioè la figura di un testo ai
suoi luoghi topici - che permette di attuare l'imitazione/ e­
mulazione dei testi esemplari, e dunque di compiere quello
che per il classicismo costituisce il punto più alto della scrit­
tura letteraria. L'imitazione diventa un procedimento insie­
me meccanico e obiettivo, grazie al quale è possibile manipo-
1. Loc. ci.t.
2. Ibid., p. 166.
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 51
lare e riprodurre il tesoro delle bellezze depositate nei testi
esemplari.
Gran parte del lavoro del Camillo mira appunto a offrire
gli schemi, la griglia logica e retorica, che rendono possibile
tutto questo. Questo è il senso della profonda rielaborazione
cui sottopone la teoria delle forme di Ermogene e, soprattut­
to, della sua lunga applicazione ai luoghi topici. Alla Tvpi,ca in
particolare, del resto, sarà legata, nel secondo Cinquecento e
più oltre, fino al pieno Seicento, la sua fama.

2. Le novità della staria, l 'etemità del belw

Un'altra critica, di centrale importanza, che Erasmo aveva


rivolto al ciceronianesimo era, come si diceva, quella di igno­
rare la diversità, la novità della situazione storica. Camillo non
nega che il passare dei secoli abbia comportato delle novità,
ma gli sembra un problema di secondaria importanza. Lo si è
visto nei brani sopra citati sulla storia della lingua latina: la di­
mensione del divenire, della molteplicità degli aspetti della
lingua, viene pienamente riconosciuta; le varie fasi, però, inte­
ressano solo nella misura in cui si avvicinano al (o si allontana­
no dal) momento culminante in cui la lingua raggiunge la sua
perfezione. Un analogo modello unitario entra in gioco nella
questione dell'imitazione letteraria. Esiste un modello di per­
fezione formale, retoricamente scomponibile, che si pone al
di sopra, e al di là, del variare della storia; i luoghi topici - nella
nuova formulazione del Camillo - permettono di costruire i
meccanismi attraverso cui quel modello è catturabile e ripro­
ducibile. Si colloca in questo quadro la risposta che il Camillo
dà a chi sottolinea, contro l'autosufficienza del modello cice­
roniano, gli elementi nuovi che la storia ha prodotto: « a questi
rispondo che perfin che io posso aver oro non voglio né argen­
to né ferro, né, perché in alcun loco mi potesse mancar l'oro,
io lo voglio abbandonar, vedendo che l'argento o 'l ferro mi
potesse esser copioso per tutto». 1 Le posizioni degli avversari
vengono qui schiacciate a livello quantitativo: esse si limitano
a enumerare tutto ciò che di nuovo, di diverso, i secoli hanno
prodotto; Camillo invece ribalta la questione in senso qualita-
l. lbid., pp. 171-72.
52 INTRODUZIONE

tivo: il vero problema è quello di ricondurre il margine di no­


vità legato alla storia entro il modello di perfezione formale
che l'antichità ha tramandato. Si tratterà dunque di trovare le
vie attraverso cui sciogliere questo residuo entro le perfette
forme della classicità. E Camillo indica tre vie possibili, da lui
seguite nel suo Teatro: l'uso di una terminologia (ad esempio
per le diverse arti e scienze) derivata da autori vicini a Virgilio
e Cicerone, il ricorso a parole di derivazione greca e infine
l'impiego della circonlocuzione. Camillo, e lo ripete più volte
nei suoi scritti, crede di indicare così la strada che consenta
anche alla poesia religiosa di impadronirsi delle bellezze dei
classici, latini e volgari. Era una questione aperta, che si sareb­
be ripresentata anche nel secolo successivo, ad esempio nella
Roma 'ciceroniana' di papa Urbano VIII.
Contro il relativismo stori�o il classicismo proclama il carat­
tere eterno dei suoi valori. 1 E significativo che il problema del
futuro, e quindi dell'eternità, si affacci proprio nei testi dei ci­
ceroniani: il futuro è in qualche modo prevedibile e controlla­
bile. « A' futuri secoli dobbiamo ancor riguardar, pensando a
tutte quelle cose che potessero dispiacer a tutti quelli che dopo
noi verranno » scrive Camillo. 2 I grandi scrittori, afferma Pietro
Bembo nelle Prose della volgar lingua, si sforzano di piacere non
tanto ai contemporanei, quanto a coloro « che sono a vivere
dopo loro: con ciò sia cosa che ciascuno la eternità alle sue fati­
che più ama, che un brieve tempo »; bisogna dunque dare « al­
le nostre composizioni tale forma e tale stato ... che elle piacer
possano in ciascuna età, ed ad ogni secolo, ad ogni stagione
esser care ».3 Questa « forma » destinata a essere bella in eterno
la si costruisce ricordando e imitando i perfetti modelli antichi.

3. ll Teatro come tesoro della memaria deUe belkforme

La confutazione delle tesi di Erasmo e la difesa del Teatro


sono profondamente legate: la negazione della validità del ci-

1 . Cfr. Mare Fumaroli, L 'età dell'ewquenza. Returica e « res literaria " dal Rinasci­
mento alk soglie dell'epoca classica, trad. it. di E. Bas, M. Botto e G. Cillario, Adel­
phi, Milano, 2002.
2. Trattato dell'imitazione, p. 1 75.
3. Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, in Prose e rime, a cura di C. Dionisot­
ti, UTET, Torino, 1960, pp. 73-309 (la citazione a p. 1 1 8) .
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 53
ceronianesimo rischia infatti di minare alla base il Teatro stes­
so, mette in discussione una delle componenti fondamentali
che lo rendono possibile: l'idea appunto di una tradizione
letteraria chiusa, totalizzante, capace di realizzare la perfezio­
ne, di fornire il modello per ogni problema di scrittura.
Il legame fra il Teatro e il classicismo ciceroniano è di tipo
non solo quantitativo, ma anche strutturale. Il Teatro, infatti,
non si limita a raccogliere in sé il materiale ricavato dai testi
esemplari, ma riproduce artificialmente (e quindi condensa
nel tempo e nello spazio) il processo attraverso cui quei testi
si sono formati, costituendosi appunto come modelli. Si ri­
cordavano sopra le varie tappe che, secondo Camillo, si devo­
no attuare affinché, nel periodo di massimo splendore di una
lingua, nascano dei testi perfetti. Un grande autore opera un
processo di selezione e di depurazione della tradizione lin­
guistica; nello stesso tempo, con l'aiuto dei maestri di retori­
ca, riunisce e riduce a norma le « bellezze» formali che a ca­
so, in modo disordinato e frammentario, si trovano nei testi
degli autori che l'hanno preceduto. L'insieme delle opera­
zioni che Camillo compie nei riguardi della letteratura latina
per farne confluire i risultati nel Teatro riproduce esattamen­
te lo stesso schema. Egli procede in primo luogo a una sele­
zione dei testi, che poi sottopone a una minuta analisi: il ma­
teriale ottenuto viene collocato nei diversi « luoghi» del Tea­
tro e a questo punto, come abbiamo visto, attraverso il sistema
dei « luoghi topici» può facilmente essere riutilizzato per l'i­
mitazione letteraria. Il Teatro riduce a norma, per usare l'e­
spressione del Camillo, le bellezze disperse nella tradizione
letteraria. Esso muove dall'assunto della definitiva chiusura,
della radicale estraneità della grande stagione letteraria lati­
na, ma proprio su questo fonda la sua funzione universale. Se
infatti il Teatro può riprodurre un modello di perfezione let­
teraria è perché, storicamente, quel modello non è più vivo. Il
materiale in esso depositato, opportunamente combinato
con i luoghi topici, può produrre nuove bellezze letterarie
qualunque sia la lingua usata. Si tratterà solo di tradurre l'im­
ponente materiale linguistico che il Teatro custodisce. Nasco­
no di qui le promesse che Camillo fa al re di Francia: « Queste
son le vie, per le quali ascenderai alla immortalità ... anchor le
muse francesche potranno per questi ornamenti andare al
54 INTRODUZIONE

pari delle Romane e delle Greche». 1 Il Teatro pretende di


funzionare da macchina che facilita l'imitazione letteraria
nei riguardi non solo di un singolo autore, ma di un'intera
lingua, per i vari tipi di volgare, in particolare, che hanno il
problema di raffinarsi e di migliorare. Gli antichi latini - scri­
ve il Camillo nella TO'/Jica - non sarebbero arrivati a tanta ec­
cellenza, come riconosce Cicerone, « senza la essercitazion di
opponere quasi contendendo, le bellezze della loro lingua a quel­
le della greca ... Dalla qual essercitazion è nato che la lingua
latina ne va superba di tutte quelle bellezze che le si è potuto
trasportare» (p. 360) . Se noi vogliamo fare lo stesso, conclu­
de il Camillo, dobbiamo usare la topica e, naturalmente, il
Teatro. Esso diventa così, nell'ottica del suo autore, anche la
macchina universale che interpreta e facilita, riflette e accele­
ra, un processo storico in corso, quello appunto dello svilup­
po dei volgari letterari, e di una loro nuova autocoscienza.
Proprio in quanto riproduce artificialmente il modello at­
traverso cui si sono costituiti i testi esemplari, il Teatro indica
una via facile e breve per l'imitazione letteraria. Sarebbe pre­
suntuoso e soprattutto antieconomico, fa notare il Camillo, se
noi volessimo ripercorrere il cammino che Cicerone ha già
compiuto, se volessimo misurarci di persona con quei testi
della tradizione da cui Cicerone ha già selezionato il meglio
per condensarlo nella sua opera. Possiamo dedurre che, ana­
logamente, sarebbe presuntuoso e antieconomico, secondo il
Camillo, praticare l'imitazione senza usare il Teatro. Insieme
con la TO'/Jica, esso si presenta come la macchina straordinaria
che mette a disposizione di tutti, in tempi brevi, la capacità di
imitare/ emulare i testi esemplari; in altri termini promette di
offrire, in modo rapido e quasi meccanico, quegli stessi risul­
tati che la tradizione umanistica considerava come il frutto,
del tutto personale, di una lunga frequentazione dei testi, di
un� faticosa applicazione.
E interessante vedere come il tema si presenti nell'Idea
dell'eloquenza, una orazione che era rimasta inedita: come le
pietre preziose possono esercitare le loro specifiche virtù solo
dopo essere state purificate dal Sole, allo stesso modo, spiega
Camillo, le « virtù» di Cicerone e di Virgilio possono operare
negli animi solo a condizione che prima ci sia « un Sole che li
purifichi e renda netti de le mal ricevute opinioni ne le guaste
1. Trattato dell'imitazione, p. 1 70.
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 55
menti. È pur gran cosa che ancor ne' passati secoli si trovava­
no i libri di Cicerone e di Virgilio e si leggevano, ma le loro
virtù non hanno infuso se non in questo secolo ne' più purga­
ti lettori» (qui a p. 253) . Avremo occasione di tornare su que­
sto passo (cfr. sotto, p. 66) . Vogliamo intanto notare che un
linguaggio astrologico, quasi magico viene qui usato per rap­
presentare l'azione dei testi esemplari: esso sembra alludere a
una dimensione più profonda e segreta di quella - tutta tecni­
ca, quasi meccanica - che abbiamo visto finora. D'altra parte
il Sole che attiva le virtù dei singoli enti (e delle menti umane)
occupa nel Teatro la posizione centrale, e Camillo ama raffigu­
rare se stesso nei termini di un mago potentissimo, caratteriz­
zato appunto da una natura solare.
Il brano citato sembra alludere a una funzione misteriosa e
fondamentale che il Teatro svolge: esso ha saputo interpreta­
re e condensare in sé le potenzialità presenti in un'epoca che
viene connotata come straordinaria. Camillo si presenta co­
me il grande protagonista della rinascita classicista del suo
tempo. Il suo Teatro è lo strumento che interpreta e insieme
accelera il rinnovamento letterario e artistico in atto.

4. Creare testi, ricreare /,a vita:


la macchina, l'automa, l'« homunculus »

Abbiamo visto che, nel Trattato dell'imitazi,one, Camillo usa la


topica come strumento per penetrare dentro le bellezze dei
classici, per svelare la logica che ne sta alla base, così da impa­
dronirsene; a quel punto si potrà imitare il modello variando­
lo. Camillo è ad esempio colpito dalla bellezza di un'immagine
che Lucrezio usa più volte per parlare della nascita, 'uscire nei
paesi della luce' ( « nec sine te quicquam dias in luminis oras /
exoritur» leggiamo ad esempio nell'Inno a Venere, I, 22-23) , e
pensa che basterà analizzarla, scomporla, per catturarne il se­
greto; tutto consisterebbe nel fatto che Lucrezio si è avvalso del
« loco de' conseguenti», ha cioè attinto la sua immagine da ciò
che accade dopo la nascita, da ciò che le consegue. Il singolo
testo, la singola figura retorica danno così accesso al vasto mon­
do dei possibili cui il poeta, l'eloquente, opportunamente gui­
dati, potranno accedere. Affiora qui il carattere per così dire
manieristico del classicismo di Camillo, la sua idea che in fon-
56 INTRODUZIONE

do i segreti della bellezza dei classici siano riconducibili all'ar­


tificio, a qualcosa appunto che si può smontare. Camillo legge
e commenta i poeti (Petrarca e Virgilio in primo luogo) con un
impegno che gli assicura una fama notevole, e un posto di rilie­
vo nella cultura e nella pratica letteraria del primo Cinquecen­
to. Nello stesso tempo il suo è una specie di corpo a corpo col
testo, volto a strappargli i suoi segreti. Nell'Artificio della Bucolica
ad esempio studia i modi usati da Virgilio per lodare Varrone
per la filosofia epicurea e Gallo per la poesia, e commenta:
« Conosciuto il methodo siamo certi, che per così fatta via ha­
verebbe possuto lodar più huomini da studi sempre diversi»
(c. 88v) ; in questo modo, leggiamo poco sopra, « possiamo
quasi con mano toccar le vie per le quali è caminato Virgilio, et
dietro al lume eh' egli ci fa mover li passi» (c. 86v).
Camillo si presenta come colui che apre le vie, scopre i teso­
ri nascosti nei classici e nello stesso tempo ridà loro la vita, li
rende di nuovo operativi. Vediamo come, nel Discorso in mate­
ria del suo theatro, descrive il suo rapporto con gli antichi reto­
ri: nel Timeo platonico si racconta che alle origini il Demiurgo
affida agli dèi suoi ministri il compito di «fornir» la fabbrica:
la faranno mortale, imitando quella immortale prodotta dal
Demiurgo. Gli antichi retori, sostiene Camillo, sono come il
Demiurgo, hanno costruito retoriche vicine all'intelletto,
mentre lui « fabricherà dell'altre che caggiano sotto 'l senso»
(p. 13) . È interessante che, sia pure in un contesto apparente­
mente modesto, Camillo parli del suo lavoro in termini crea­
tivi: come gli dèi ministri hanno dato vita al mondo sensibile,
così lui ha ricreato la retorica. E nello stesso tempo l'ha rivo­
luzionata: egli utilizza la lezione degli antichi maestri, come
sottolinea più volte, di Cicerone, ad esempio, di Demetrio
Falereo, di Ermogene, ma partendo dal basso, dalle singole
materie invece che dai generi o dalle forme, e così, grazie alla
strumentazione retorica (la topica) e al Teatro, mette subito
a disposizione di tutti sia la materia da trattare sia le forme a­
datte. Coglie bene la natura del disegno di Camillo, il nesso
fra retorica ed enciclopedia, Francesco Patrizi, quando nel
1560 pubblica appunto la Topi,ca: « Hebbe un genio» egli scri­
ve « con ardor inestimabile volto verso l'eloquenza. Il quale
non capendo per la grandezza sua negli strettissimi termini
de' precetti dei maestri di Retorica, uscendone, l'allargò in
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 57
guisa che la distese per tutti gli ampissimi luoghi del Theatro
di tutto il mondo ». 1
Come spesso accade, il lettore proietta sul testo le sue attese,
i suoi modelli teorici. Così fa Camillo quando legge i classici: vi
scopre un 'metodo', e nello stesso tempo sospetta che in realtà
loro stessi ne fossero consapevoli, che loro stessi usassero aJ>"
punto i luoghi topici. Così nell' Anifìcio della Bucolica, a propo­
sito della quarta egloga, leggiamo che Virgilio, « volendo cele­
brare il nascimento di uno nobilissimo fanciullo, si apparec­
chia davanti la persona del fanciullo, dalla quale tira sette fon­
ti di lui con poetico artificio, et quantunque undeci ne insegni
Cicerone, nondimeno Virgilio ne elesse sette, cioè la natura,
la fortuna, lo habito, li studii, li fatti, li casi, l' affettione » ( cc.
76v-77r). È davvero singolare questa rappresentazione di Vir­
gilio che si accinge a scrivere uno dei suoi testi più famosi. Ca­
millo chiaramente vi proietta se stesso, o almeno il modo in
cui si mette in scena ad esempio nel Trattato delle materie, dove
mostra come i suoi luoghi topici siano in grado di produrre
testi, di mediare appunto tra memoria e invenzione. Camillo,
come sempre alla ricerca di sponsor e protettori, indirizza al
duca Ercole d'Este un sonetto che celebra la sua investitura e
insieme fa vedere con quali procedure l'ha costruito. « Doveva
primieramente, come feci, veder se ne gli ordini miei trovava
alcuno artificio ridotto all'universale, il qual mi potesse mo­
strare il camino alla trattatione di questa materia particolare »
scrive (p. 163), dopodiché mette sotto gli occhi del principe il
« gorgo dell'artificio » [fig. 9], uno schema basato su sette luo­
ghi topici opposti (ad esempio 'venuta in signoria', 'partenza
da signoria', 'venuta in vita', 'partenza dalla vita'). Per ogni
luogo topico sarà possibile attingere al modo in cui i grandi
poeti l'hanno trattato: la memoria poetica sarà così pronta
all'uso, incanalata entro lo schema dei luoghi topici. Abbiamo
qui una macchina retorica; nello stesso tempo l'immagine del
gorgo, e della fonte, suggerisce l'idea di qualcosa che vive: tut­
to ciò l'ho fatto, scrive Camillo, « con l'aiuto della similitudine
del Sole e de gli altri fonti topici e risplendono et con soave
mormorio corrono » (p. 168). È una specie di marchingegno
acquatico che entra in azione: i luoghi retorici sono da sempre
nella tradizione associati con la sorgente. Ma certo il punto di

1. Giulio Camillo, opere, Gabriele Giolito, Venezia, 1560, voi. II, p. 74.
58 INTRODUZIONE

riferimento essenziale sono le ruote lulliane, il mito dell' ars


commnatoria, la possibilità di mettere in moto qualcosa che
consente di ricordare e di creare.
Vere e proprie macchine retoriche entrano in gioco nel
progetto del Camillo, e le possiamo immaginare, pronte all'u­
so, accanto ai libri ordinati per tagli e collocati nei diversi luo­
ghi del Teatro. Camillo ne parla anche nel Discarso in materia
del suo theatro (pp. 20-21), dove garantisce che esse sapranno
offrire tutti gli strumenti necessari quando la materia da trat­
tare è difficile da abbellire, si presta male all'invenzione:
Ma quando la cosa non sarà honesta, overo sarà povera, se lo scrit­
tore la metterà dentro del centro di quella nostra artificiosa rota,
che già feci vedere al nostro molto Magnifico S.M. Agostino Abioso,
le Signorie de quali potranno dir quel, che io al presente passo con
silentio, se lo scrittore adunque la metterà dentro del cerchio della
detta rota tirando, ed assumendo dalla circonferentia al centro tutte
quelle cose, che la possano aggrandire, potrà senza dubbio farla pa­
rer quasi tale, quali sono le grandi.

La testimonianza di Agostino Abbiosi, oratore e poeta, am­


basciatore a Venezia per la città di Ravenna tra il 1527 e il
1528, viene qui invocata da Camillo a integrare la descrizione
del Teatro che indirizza a Trifon Gabriele e al gruppo di ami­
ci veneziani che si raccolgono intorno a lui. L' « artificiosa ro­
ta » di cui parla Camillo, e che l'Abbiosi ha potuto vedere con
i suoi occhi, doveva essere del tutto simile a quel « gorgo
dell'artificio » che vediamo in funzione nel Trattato dell.e mate­
rie; le edizioni cinquecentesche ce ne hanno tramandato l'im­
magine e noi possiamo figurarcelo, oltre che dentro il Teatro
del Camillo, come parte del magazzino ideale di macchine
per costruire testi in cui troverà posto ad esempio la macchi­
na dell'Accademia di Lagado, che Gulliver incontra in uno
dei suoi viaggi [fig. 10] . 1

1. « Ella, forse, si stupisce di vedermi lavorare all'impresa di far progredire le


scienze speculative con mezzi pratici e meccanici; eppure il mondo non tar­
derà ad accorgersi della utilità delle mie ricerche, ed io mi lusingo che pen­
siero più nobile mai zampillò dal cervello di un uomo ... Mi condusse, quin­
di, vicino alla macchina ... e su questa si trovavano scritte tutte le parole della
loro lingua ... Il professore mi invitò a prestare attenzione, ché appunto
s'accingeva a mettere in moto la macchina. Ciascun discepolo prese, al cen­
no del maestro, un manico di ferro (ce n' erano quaranta fissati intorno agli
orli della macchina) e d'un tratto lo fece girare. Naturalmente la disposizio-
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 59
La macchina per produrre testi (I'« artificiosa rota», il
« gorgo dell'artificio») si basa sull'artificio, sull'idea di una
scomposizione logica dei testi capace di catturarne i segreti.
Ma è interessante vedere come questo modello della macchi­
na si leghi a suggestioni di altro tipo, a cominciare da quella
degli automi, delle statue che si muovono, quasi prendono
vita. Nell'Anijicio della Bucolica (c. 85v) Camillo commenta,
come fa spesso, il passo delle Georgi,che (IV, 338 sgg.) in cui
Virgilio fa parlare Proteo legato, e Sileno e le Sibille sciolte; il
poeta, dice Camillo, si rifà a Platone, che nel Menone
non solamente dimostra la diritta opinione esser men degna del­
la scienza, benché ugualmente utile, ma assimiglia anchora la
scienza alle legate statue di Dedalo, et alle sciolte la diritta opinio­
ne. Et in vero bella fu cotal similitudine, percioché quelle artificiose
statue, che per le maestrevoli rote si solevano movere, o per altro
artificio, all'hora stavano ferme, et immobili che erano legate stret­
tamente, et all'hora pareva che caminassero, che erano liberate da
legami.
Le «maestrevoli rote», l' <, artificio», fanno pensare alle
macchine retoriche di cui abbiamo parlato, tanto più perché
Proteo rappresenta la materia prima su cui opera l'eloquen­
te. Come gli automi, così la materia, apparentemente legata e
immobile nel Teatro del Camillo, si potrà mettere in moto,
come a riprendere vita. Ed è interessante, in questa ottica,
anche il modo in cui Giovanni Domenico Salomoni presenta
la sua edizione di due scritti di Camillo, Le idee, ovvero forme
della oratione e l'Anijicio della Bucolica: le opere qui stampate,
egli dice « sono di quelle, che in guisa di nobili personaggi
dovevano comparire al cospetto de' dotti huomini nel gran
Theatro di Giulio Camillo» (c.n.n.) : il materiale collocato nei
l,oci del Teatro diventa qualcosa che prende vita, indossa le vesti
dell'attore, per recitare una nobile parte.
ne delle parole cambiò in tutto e per tutto. Il maestro ordinò allora a trenta­
sei scolari di leggere pian pianino i vari righi così come apparivano sulla
macchina; e quando quelli trovavano tre o quattro parole unite insieme che
potevano far parte d'una sentenza, le dettavano ai quattro rimanenti disce­
poli che fungevano da scrivani. Questo lavoro fu ripetuto tre o quattro volte,
e a ogni girata di manico, per il congegno speciale della macchina, le parole
cambiavano posto in seguito al rovesciarsi dei quadratini di legno » (Gionata
Swift, I viaggi di Gulliver, trad. it. di C. Fonnichi, Mondadori, Milano, 1933; 4•
ediz., 1 970, pp. 266-76) .
60 INTRODUZIONE

Il fascino degli automi, delle statue che si muovono e si ani­


mano, è presente anche nel Discorso in materia del suo theatro
(p. 33) , e stavolta è iegato all'armonia prodotta dal ritmo de­
gli endecasillabi in Petrarca, di cui Camillo ritiene di aver in­
dividuato la legge, la logica compositiva:
In Egitto già erano fabricatori di statue tanto eccellenti, che con­
dotta che haveano alcuna statua alla perfetta proportione, ella si
trovava animata de Spirito Angelico, perché tanta perfettione non
poteva star senza anima. Simili a cosifatte statue io trovo le parole
per virtù della compositione ... le quali parole subito che sono messe
nella lor proportione, si trovano sotto l'altrui pronontia quasi ani­
mate d'harmonia.
Egli ha notato in un libro come procede Petrarca, ripren­
dendo alcuni modelli danteschi; l'ha fatto per rispondere a
un quesito che gli ha posto Trifon Gabriele; è un ritrovato del
tutto nuovo, « per non esser stato nella considerazione delle
genti, né peraventura in quella del medesimo Poeta, nondi­
meno è non pur vero, ma tanto necessario, che non può esser
altrimenti, imperoché la ragion dell'aritmetica ci conduce a
forza a confessare il vero » ( loc. cit. ) . Il procedimento che Ca­
millo descrive è per certi aspetti simile a quello messo in atto
per i luoghi topici: ha analizzato i versi di Petrarca, vi ha indi­
viduato delle leggi oggettive, matematiche nella composizio­
ne delle sillabe e ha capito che sono proprio loro a dar vita ai
versi, così come accade alle statue egizie di cui parla Mercurio
Trismegisto nell'Asclepio (24, 34): le parole, nei versi petrar­
cheschi, una volta che siano pronunciate, si 'animano di ar­
monia', così come le perfette proporzioni delle statue egizie
reclamano, quasi obbligano, la presenza della vita («perché
tanta perfettione non poteva star senza anima») . Il fascino
delle statue egizie che prendono vita era del resto ben vivo, e
nel Seicento il pericolo diabolico di tale fascino viene denun­
ciato dal monaco camaldolese Pietro Passi, che accosta Camil­
lo a Cornelio Agrippa. 1
Il modo in cui Camillo guarda alla poesia e ai suoi segreti
1. Cfr. Pietro Passi, Della magic 'arte, uvero della magia Naturale, Giacomo Viola­
ti, Venezia, 1614, p. 21, citato da Yates, L'arte della memoria, cit., p. 145. Cfr.
Cornelio Agrippa, De occulta phil.osofJhia, I, 38. Su alcuni aspetti della fortuna
di Agrippa in Italia, cfr. Simonetta Adorni Braccesi, Fra eresia e ermetismo: tre
edizioni italiane di Enrico urrnelio Agrippa di Nettesheim, in « Bruniana e Campa­
neIliana », XIII (2007), pp. 11-29.
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 61
passa dunque attraverso la macchina, ma è sensibile alla pos­
sibilità che la macchina si muova, assuma forza e vita, come le
statue di Dedalo, come le magiche statue degli dèi egizi. Ma
c'è anche una dimensione, in parte segreta, che associa la
macchina alla vita. Vediamo ad esempio un passo del De imita­
tione dicendi, dove spiega che Demetrio Falereo e Ermogene
non hanno potuto far fronte alla moltitudine quasi infinita
delle forme e delle materie: « Vedevano infatti che quasi in­
numerevole è il numero delle forme, non diversamente dagli
argomenti di cui si può scrivere, owero le infinite materie che
quasi ogni giorno ci si presentano», ed esprime il desiderio
che qualcuno « possa ritrovare negli scrittori migliori le for­
me disperse, anche quelle più minute», le divida « quasi nelle
loro membra» e ne mostri l'ordine e l'efficacia. 1 È chiaro che
qui Camillo esalta il proprio lavoro: l'auspicio espresso corri­
sponde esattamente alla 'via breve' che ha costruito. Molto
indicativo è il paragone usato: lui ha cercato e catalogato an­
che le forme più minute, « quasi quaedam membra». Il testo,
secondo un'antica concezione, diventa un corpo, e le sue par­
ti sono come le membra. Questa è l'origine di un'altra imma­
gine, molto forte ed efficace, con cui Camillo descrive il lavo­
ro di analisi da lui condotto sui testi classici: « è stato mio con­
siglio» scrive nel Trattato dell'imitazione « di far di perfettissimi
auttori sì minuta anatomia, che tutti que' lochi che han potuto
esser fati ricchi della lingua de' nobilissimi scrittori non sono
stati contaminati della lingua de' non perfetti» (p. 173). I te­
sti dei classici sono come dei corpi, disposti sul tavolo dell'a­
natomista. Il lavoro di Camillo ha permesso di sezionarli così

1. « Animo enim videbant formarum innumerabilem pene numerum esse,


non aliterque rerum scribendarum argumenta, seu materiae quae nobis
infinita pene quotidie occurrunt »; « in optimis scriptoribus dispersas formas
ve! minutissimas inveniret » (De imitatione dù:endi, cc. 2r e 2v). Il testo del De i­
mitatione dù:endi corrisponde, con alcune varianti, alla parte della Pro suo de efn­
quentia theatro ad Gallos oratio dedicata all'imitazione. Il manoscritto è successi­
vo alla Pro suo de eloquentia theatro ad Gallos oratio, che infatti viene citata (c.
27r), e presenta diversi problemi: ad un certo punto si parla di Camillo in
terza persona e si racconta di un viaggio in Inghilterra in cui chi scrive ha
perso tutti i suoi libri, tranne un' edizione del Petrarca, amorevolmente an­
notata (c. l 7r). Il testo del manoscritto è, per la maggior parte, sicuramente
del Camillo, ma la notizia del viaggio in Inghilterra apre interrogativi inquie­
tanti. Si tratta di un particolare, finora sconosciuto, della biografia del Camil­
lo, oppure chi trascrive il testo, interpolandolo, è una persona a lui vicina?
62 INTRODUZIONE

da recuperarne le suutture nascoste e renderle visibili, come


nel teatro anatomico. Non si tratta di una semplice analogia.
Camillo segue da vicino, con grande interesse, gli esperimen­
ti contemporanei di anatomia (ricordiamo che il De humani
corporis falnica di Andrea Vesalio è pubblicato nel 1543) e li
ricorda proprio in relazione al lavoro condotto per il Teatro.
Ha scelto come modello il corpo umano, scrive nella Lettera a
Marc'AntonioF/aminio, per la sua perfezione. Ha letto a questo
proposito più volte il divino Timeo, Galeno, Aristotele, Corne­
lio Celso, Cicerone, Plinio, Lattanzio, ma soprattutto se ne è
convinto « per essermi ancora da uno eccellente anatomista
homai in due corpi humani, di membro in membro il divin
magisterio mostrato» (p. 291) . L'esperienza diretta è dunque
più forte della testimonianza dei libri. Nel Trattato dell'imita­
zione (p. 184) il ricordo dell'esperimento dell'anatomista si fa
preciso e dettagliato:
Ricordami già in Bologna che uno eccellente anatomista chiuse
un corpo umano in una cassa tutta pertugiata e poi la espose ad un
corrente d'un fiume, il qual per que' pertugi nello spazio di pochi
giorni consumò e portò via tutta la carne di quel corpo, che poi di sé
mostrava meravigliosi secreti della natura negli ossi soli e nei nervi
rimasi. Così fatto corpo, dalle ossa sostenuto, io assomiglio al model­
lo della eloquenzia, dalla materia e dal disegno solo sostenuto.
Camillo descrive qui con precisione uno dei metodi adot­
tati (forse l' « eccellente anatomista» era Berengario da Car­
pi) e ci restituisce dal vivo, basandosi su un esperimento
scientifico, l'idea che si potesse far qualcosa di simile sul te­
sto/ corpo, analizzarlo, cioè, anatomizzarlo, così da far riaf­
fiorare le suutture nascoste, le forme dell'eloquenza. Ma ac­
canto e oltre la suggestione della moderna anatomia, 1 c'era
un modello antico che entrava in gioco, simile a quello che
tendeva a prestare alle macchine i lineamenti dell'automa e
della statua vivente, e cioè l'alchimia. In altri termini, come
l. Cfr. Andrea Carlino, LaJablnù:a del carpo. Lil,,i e dissezione nel Rinascimento,
n
Einaudi, Torino, 1994; La bella anatomia. disegno del carpofra arie escienza nel
Rinascimento, a cura di A. Carlino, R. Ciardi e A. Petrioli Tofani, Silvana, Mi­
lano, 2009. Molto interessante è anche il saggio di Paula Findlen, The Struc­
ture of Knowkdge: Classifications of Science and Learning Since the Rcnaissance,
Office of History of Science and Technology, University of California,
Berkeley, 2001, che ricorda come nei primi anni del Cinquecento venissero
eretti dei teatri anatomici effimeri in legno (pp. 24-26).
MEMORIA E IMITAZIONE DEI CLASSICI 63

abbiamo visto, Camillo pensava che fosse possibile strappare


ai testi classici i segreti della loro bellezza, così da farla rivive­
re, da farla risorgere in forme nuove. L'equivalente del suo
progetto dunque non è tanto il lavoro dell'anatomista, del
moderno scienziato, quanto quello dell'alchimista che in la­
boratorio crea l' homunculus. Molto interessante è in questo
senso un passo del Trattato deUe materie dedicato alla diversa
origine che la materia può avere: può venire all'autore « o
dalla pura natura, o dal caso, o da alcune delle arti honorate
o manuale» (p. 152). Ad esempio, scrive Camillo (p. 154), la
nascita viene in genere dalla natura:
È vero che anco vive una persona nobilissima, dottissima e di san­
tissimi costumi ornata, la qual benché vergognosamente pur confes­
sa haver per artificio di lambicchi et di altri stromenti accomodati
all'opera, già più anni prodotto un bambino, il qual, come prima
venne alla luce, fu abandonato dalla vita. Il che se così fosse, et che
uno eloquente scriver ne volesse, havrebbe a riconoscer il nascimen­
to dall'arte di colui a cui non mancano i testimoni, i quali ardita­
mente affermano haver veduto quanto ho detto.

L'esempio che Camillo porta serve naturalmente ad accre­


scere le aspettative che, egli spera, favoriranno la sua perma­
nenza alla corte estense. Se al duca piacerà il trattato, aveva
detto del resto esplicitamente all'inizio, « io le prometto che
ella troverà aperta l'entrata a maggior cose alla venuta mia »
(p. 149). Possiamo immaginare che dietro la « persona nobi­
lissima, dottissima e di santissimi costumi ornata » Camillo
nascondesse se stesso, ma in ogni caso è significativo che ri­
chiami la produzione alchemica dell' homunculus nello stesso
testo in cui aveva esaltato la capacità creativa del proprio 'gor­
go dell'artificio', della propria topica. Creare testi si rivela pe­
ricolosamente vicino a ricreare la vita: come vedremo, la re­
condita corrispondenza fra eloquenza e alchimia è uno dei
segreti del Teatro.
A distanza di secoli,Jean:Jacques Rousseau avrebbe ripreso
il tema di Camillo come creatore dell' homunculus nell'Émik,
nel libro N, nella Profession defoi du Vicaire Savuyard:
Croiroit-on, si l'on n'en avoit la preuve, que l'extravagance hu­
maine put etre portée à ce point? Amatus Lusitanus assuroit avoir vu
un petit homme long d'un pouce enfermé dans un verre queJulius
64 INTRODUZIONE

Carnillus, comme un autre Prométhée, avoit fait par la science alchi­


mique.1
Rousseau associa la pretesa di Camillo di ricreare la vita a
quella, assurda, di chi vuol far nascere la poesia da un sem­
plice gioco combinatorio. Probabilmente senza saperlo, ave­
va colto bene il nesso tra fiducia nell'artificio, nell'arte com­
binatoria, e tentazioni prometeiche. D'altra parte, saldando
anatomia dei testi e alchimia, Camillo aveva interpretato a
modo suo uno dei miti costitutivi del Rinascimento, quello
che legava la rinascita al mito di Ippolito, il cui corpo lacera­
to era stato ricomposto e riportato alla vita da Esculapio. 2
Quel mito era riaffiorato nel modo in cui gli umanisti aveva­
no esaltato la scoperta da parte di Poggio Bracciolini del co­
dice di Quintiliano, un corpo prigioniero, lacerato e contu­
so che era stato liberato e restituito alla vita,3 e lo stesso mito
aveva rievocato Castiglione quando il suo giovane amico
Raffaello era morto, nel 1520, mentre era impegnato a rico­
struire, nei disegni, la Roma imperiale: avevi suscitato l'invi­
dia degli dèi, egli scrive, giacché « ricomponevi con il tuo
mirabile ingegno una Roma con il corpo tutto dilaniato», e
riportavi all'antica bellezza « il cadavere dell'Urbe lacerato
dal ferro, dal fuoco e dal tempo». 4 Thomas Greene ha nota­
to che la memoria del classicismo coinvolge metafore negro­
man tiche: essa opera infatti una specie di resurrezione. 5 Il

1. Jean:Jacques Rousseau, Émile, in Oeuvres complètes, a cura di B. Gagnebin e


M. Raymond, Gallimard, Paris, voi. IV, 1969, p. 579. Il personaggio cui Rous­
seau fa riferimento era un medico portoghese,Joiio Rodrigues (1511-1568),
un marrano, che aveva insegnato a Ferrara e aveva curato fra gli altri papa
Giulio III.
2. Cfr. A. Bartlett Giamatti, Hippolytus among the Exiles: the Romance ofEarly
Humanism, in Exile anti Change in Renaissance Literature, Yale University Press,
New Haven-London, 1984, pp. 12-32; Nicola Gardini, Rinascimento, Einaudi,
Torino, 2010, p. 85.
3. Lettera a Guarino Veronese, 16 dicembre 1416, da Costanza, in Poggio Brac­
ciolini, Lettere, a cura di H. Harth, voi. Il, Olschki, Firenze, 1984, pp. 153-56.
4. « Tu quoque dum toto laniatam corpore Romam / componis miro,
Raphael, ingenio, / atque Urbis lacerum ferro, igni, annisque cadaver / ad
vitam, antiquum iam revocasque decus, /movisti superum invidiam » (in
John Shearman, &phael in Early Modem Sources. 1483-1602, Yale University
Press, New Haven-London, 2004, voi. I, pp. 650-51).
5. Thomas M. Greene, The Light in Troy. Imitation antiDiscovery in Renaissance
Poetry, Yale University Press, New Haven-London, 1982, p. 32.
I SEGRETI DEL TEATRO 65
Teatro di Camillo si presenta anche come una grande mac­
china che garantisce tale resurrezione, che offre tutti gli stru­
menti tecnici e i presupposti metafisici che la rendono pos­
sibile.

IV. I SEGRETI DEL TEATRO

1. Il Teatro come idea dell'eloquenza (e dell'architettura)

I due testi rimasti manoscritti alla morte di Camillo e che


qui pubblichiamo - L 'idea dell'eloquenza e il De transmutatione -
ci danno una chiave importante per penetrare i segreti del
Teatro, ci fanno capire meglio come le sue mirabolanti pro­
messe avessero a loro modo un fondo di coerenza e di serietà.
L 'idea dell'ewquenza faceva parte delle sette orazioni in dife­
sa del Teatro: quel che ci mostra è nello stesso tempo una
delle condizioni che rendono possibile il Teatro (l'esistenza
dell'idea) e uno dei suoi segreti (il Teatro la cattura, la incar­
na, e con essa cattura e incarna le idee di tutte le arti, a comin­
ciare dalle arti figurative). La questione dell'idea e quella
dell'imitazione risultano strettamente legate: per scrivere be­
ne bisogna imitare i grandi autori canonici, classici e volgari;
nei loro testi si è incarnata l'idea della bellezza: attraverso i
grandi autori quel modello universale si fa più vicino e rag­
giungibile. Il Teatro, che dà ordinata collocazione al gigante­
sco lavoro di 'anatomia' che il Camillo aveva compiuto sui te­
sti esemplari della tradizione, aiuta a catturare l'idea, la ren­
de visibile e accessibile: « io intendo di mostrarvi questa intel­
legibile idea, e quasi la sua figura»; « condurrò, spero, con
nuovi modi al senso quella idea ch'io ho promesso» (qui a
pp. 258 e 249).
C'è un appassionato tono di battaglia che anima il nostro
testo: Camillo ha ben chiara l'importanza della posta in gioco
ed è pronto a difenderla con ogni mezzo: mettendo sullo stes­
so piano, spregiudicatamente, le diverse dottrine filosofiche
relative ali'origine delle idee e mostrando una sorta di dispo­
nibilità ali' esperimento che traduce in modo efficace, quasi
66 INTRODUZIONE

didattico, alcuni dei temi circolanti nel dibattito sull'imitazio­


ne e sulle arti. Ma vediamo come si dispiega la strategia del
testo. In primo luogo Camillo si abbassa per esaltarsi: denun­
cia la sua ignoranza per fare del Teatro il frutto di un dono
ricevuto da Dio, « il quale spesso rivela quello a' pargoletti ed
a' semplici, che a i maturi ed a' sapienti ha tenuto nascosto»
(qui a p. 248). La sua opera appare come quella di colui che
ha riscoperto il tesoro sepolto, nascosto nelle tenebre, coper­
to da uno spesso velo: abbiamo ricordato sopra il brano in cui
si paragona al Sole che purifica le pietre e le rende capaci di
agire, di esercitare le loro virtù. Così Camillo fa sì che le gran­
di opere dell'antichità svolgano di nuovo il loro benefico in­
flusso, e il suo Teatro interpreta e accelera la rinascita di una
intera età, sia nell'eloquenza che nelle altre arti:
È pur gran cosa che ancor ne' passati secoli si trovavano i libri di
Cicerone e di Virgilio e si leggevano, ma le loro virtù non hanno in­
fuso se non in questo secolo ne' più purgati lettori. Parimente le
medesime antiche statue che sono al presente e li medesimi edifici
erano avanti gli occhi de' statuari e di architetti già duecento o quat­
trocento anni, e tuttodì le miravano e misuravano, e nondimeno
solamente in questa età nostra, ne la qual di esser nati molto abbia­
mo a ringraziar Dio, hanno infuso le loro virtù ne gli animi de' sta­
tuari e di architetti, perché hanno avuto un Sole, o di quella ch'è
contraria a la persuasione, o de gli altrui documenti, o di quella divi­
na benignità e grazia che a tutte le arti ad un tempo ha dato una
nuova reformazione in questo nostro ben formato secolo [qui a
pp. 253-54] .
Quel che importa al Camillo è mostrare che il suo progetto
è praticabile, qualunque sia la vera dottrina sull'origine delle
idee: quella platonica, « che le anime nostre abbiano con esse
loro dal ciel portato così fatte idee» ( qui a p. 256), oppure
quella che fa leva sulla forza dell'immaginazione, oppure
quella peripatetica, e cioè l'universale che nasce « dapoi la
cosa » ( qui a p. 258). In modo spregiudicato, si diceva, Camil­
lo vuole lasciarsi alle spalle le diverse dottrine e da subito ci
offre esempi in cui la sua persona, la sua diretta esperienza si
collocano accanto a quella dei grandi artisti. Il terreno comu­
ne è quello dell'immaginazione, dell'idea che ci si costruisce
nella mente prima di vedere la cosa o la persona:
Leonardo Vinci ... come vide Roma la primiera volta disse, certo
così fatta io la ho veduta già per sogno. Ed a me ch'io scrivo è awe-
I SEGRETI DEL TEATRO 67
nuto che aspettando già uno con gran desiderio, che mai prima ve­
duto non havea, la imaginazion con tutta l'anima tanto sopra questo
pensiero dimorò, che la notte avanti il giorno che la persona venisse
tale la raffigurò e la dipinse quale poi vide. Maggiori sono le imagi­
nazioni, come poté esser quella di Serlio fatta del teatro di Verona,
formatosi nella mente tanto grande e magnifica che poi il veduto
teatro non li rispose [qui a pp. 256-57] .
La questione dell'idea dell'eloquenza è strettamente legata
all'idea delle diverse arti, e Carnillo sottolinea la propria vici­
nanza ai grandi protagonisti del rinnovamento artistico. E
così tiene a ricordare che lui era proprio lì, a Roma, testimo­
ne diretto dello straordinario impatto artistico che ha avuto la
riscoperta del Laooconte: « Ecco, io ho veduto un medesimo
Laocoonte rappresentato ne la divina statua ch'è in Roma e
benché la detta statua sia perfettissima e che quella medesima
si mostri a diversi pittori, nondimeno uno non la sa ritrar co­
me un altro, e ciascuno quantunque la veda excellentissima, ha
più o men buona via nel rappresentarla» (qui a pp. 251-52) .
Quel che sta a cuore a Carnillo è mostrare che l'idea, qua­
lunque sia la sua origine, è conoscibile, catturabile, perché ha
confini precisi, non ha una crescita indeterminata ma si ma­
nifesta in un certo momento della storia, nella fase culminan­
te di un processo. Per questo discute il seguente quesito: se
Cicerone e Virgilio fossero vissuti più a lungo, avrebbero crea­
to una idea migliore dell'eloquenza? E mette in risalto tutta la
pericolosità che questo comporta per il suo progetto: « si po­
trebbe concluder che quella forma de la eloquentia che gli
antichi autori ci hanno lasciata, non sia la perfettissima» (qui
a p. 259) . Se così fosse, il suo lungo lavoro sarebbe senza sen­
so, una ossessione malinconica degna davvero di quel Noso­
pono cui lo aveva paragonato Viglio Aytta da Zwichem: Noso­
pono è il personaggio del Ciceronianus di Erasmo che dedica
tutto il suo tempo a trarre da Cicerone dizionari e dizionari di
parole e figure retoriche, per cui, da quel compagnone gau­
dente che era, si riduce a una specie di larva, privo di ogni vi­
talità.
Al dubbio formulato Carnillo dedica un'ampia discussione.
Tutta la sua costruzione rischia di crollare se si mette in dub­
bio la capacità dei modelli di rendere visibile l'idea, se si ipo­
tizza dunque che qualcosa di nuovo possa apparire nel mon­
do della qualità, nel mondo della bellezza formale. Carnillo
68 INTRODUZIONE

risponde usando il modello già collaudato del ciclo vitale: la


vita dell'uomo ha una durata media, nell'ambito della quale
tutte le sue facoltà possono raggiungere il massimo sviluppo,
dopodiché c'è solo decadenza. Inoltre la concezione per cui
le parole sono proprie solo dell'uomo offre una specie di ga­
ranzia prowidenziale della possibilità di arrivare all'idea del-
1' eloquenza: Dio, certo, « quella perfetta idea ha voluto che
dell'uomo che puoco vive tosto fusse, che sarebbe stata se la
sua vita avesse disteso a più lontani termini con alcuno indu­
gio » ( qui a p. 260) , così come ha riservato alla rosa una bellez­
za di breve durata, ma perfetta.
Come si diceva, Camillo accompagna le sue teorie con una
sorta di inedito e insolito gusto sperimentale. Vediamo ad e­
sempio come ritraduce in termini concreti, figurativi, la me­
tafora del velo corporeo, che va sollevato se si vogliono ritro­
vare le idee, scoprirle agli occhi della mente: « supponendo
esser queste idee ne la mente nostra velate dal corpo, a guisa
de le figure in una camera, egli è gran differenza ad insegnar
a scoprirle più in un modo che in un altro, non altrimenti che
se alcuno svelasse una figura non verso il suo lume, per il qua­
le si lasciasse veder tutta, ma verso quel aere che più tosto la
facesse parer una macchia che una figura » ( qui a p. 251 ) . Le
idee diventano qui delle opere d'arte, e la mente una « came­
ra », lo studio di un artista, o una collezione, dove le opere
sono coperte da un telo. Il ruolo del maestro Camillo ( e del
suo Teatro) sta anche nella capacità didattica di togliere il
velo nella giusta maniera, così che le idee vengano illuminate.
È un'immagine che possiamo collocare accanto a quella di
Camillo/Sole che purifica le pietre e ne fa scaturire le ener­
gie, i poteri nascosti.
Un vero e proprio esperimento viene proposto per dar cor­
po all'affermazione che ci sono dei limiti, che l'idea dell'elo­
quenza raggiunge a un certo punto la sua perfezione, come il
corpo umano:
fingiamo una camera tutta incrostata di materia lucida ed a rap­
presentar imagini acconcia. Ed in questa camera sia nudrito un
bambino, né si abbia a levar perfin che non rappresenterà ne la luci­
da camera la più perfetta forma sua. E sia ancor un gran marmore,
del quale un perito scultor voglia far alcuna perfetta statua. Cresca
ad un tempo il fanciullo e facciasi la statua. Certo di giorno in gior­
no ciascuno di questi rappresenterà ne gli specchi più perfetta for-
I SEGRETI DEL TEATRO 69
ma, né però è da creder che così come il fanciullo perfino a 25 o 30
anni rappresenta sempre più perfetta forma, eh' egli andando verso
la vecchiezza l'avesse a rappresentar più bella, anzi colui che fosse
venuto a li 25 o 30 anni, se si lasciasse più ne la camera, anderebbe di
giorno in giorno più rappresentando figura scadente, perché ogni
cosa mondana ha il suo crescimento, lo stato e discrescimento. Così
la statua di giorno in giorno lavorata ribatterebbe negli specchi più
perfetta la sua forma, ma giunta al termine de la sua perfezione, se
lo scultor volesse seguitare e la volesse più percoter, la guasterebbe,
e così incominciarebbe a dimostrar ne' specchi il cadimento de la
sua perfezione da quello stato nel quale ella la mostrava. E così co­
me manifestamente si comprende esser certi termini ne le cose de la
natura e de l'arte del disegno, così si dee creder che siano ne l'arte
de I' eloquenzia, perché sempre l'arte di qualunque facoltà imita, in
quanto può, la natura [qui a pp. 267-68] .
Anche qui abbiamo una 'camera' che è una specie di ate­
lier: c'è un fanciullo che cresce, e uno scultore che via via lo
ritrae. E ci sono gli specchi, in cui si riflettono la natura (il
fanciullo che cresce) e l'arte (la statua). C'è il senso di un e­
sperimento, si diceva: quel che si può vedere in natura viene
isolato, proiettato entro un ambiente artificiale perché lo si
possa meglio osservare e studiare. Ci ricorda, dal vivo, quelle
osservazioni sui cadaveri di cui pure Camillo nutre la sua ri­
flessione sulla retorica. Camillo ritiene di aver dimostrato
così che l'idea dell'eloquenza non vive in uno spazio inattin­
gibile per l'uomo: non è l'oggetto di una ricerca senza fine,
ma può essere catturata e rappresentata: io le costituirò, scri­
ve, « i confini dentro de' quali io intendo di mostrarvi questa
intellegibile idea, e quasi la sua figura» ( qui a p. 258). Il mo­
do in cui l'idea diventa visibile è legato alle varie fasi che at­
traversa nella sua discesa dall'universale al particolare.
Nell'Idea dell'eloquenza e nel Trattato dell'imitazione, Camillo fa
uno sforzo per definire i sette gradi che scandiscono questo
processo. La struttura, egli dice, è la stessa per le diverse arti
umane, perché una è la natura, e uno è lo schema della crea­
zione delle cose. Così nell'Idea dell'eloquenza Camillo cerca di
mostrare in parallelo i sette gradi attraverso cui si incarnano
l'idea della architettura e della pittura, quella della gramma­
tica, dell'arte militare e, appunto, dell'eloquenza. Nel Tratta­
to dell'imitazione l'esempio si limita all'idea dell'eloquenza e a
quella dell'architettura e della pittura. Se confrontiamo i
due schemi, riscontriamo differenze notevoli. Camillo dun-
70 INTRODUZIONE

que cambia via via i parametri sulla base dei quali rappresen­
ta i vari stadi della discesa dell'idea, ma tiene fermo un pun­
to: la possibilità di ricondurre il processo che dall'universale
scende al particolare entro un numero determinato e limita­
to di componenti.
Camilla ricicla a proprio uso e consumo anche il celebre
aneddoto di Zeusi, che dovendo dipingere Elena sceglie co­
me modello le più belle fanciulle di Crotone, così da ricavare
da ciascuna di esse una parte di perfezione, da radunare poi
nell'immagine ideale della bellezza. 1 Tradizionalmente l'a­
neddoto veniva citato a riprova della necessità di una imita­
zione eclettica; Camillo lo usa per ribadire che l'idea di bel­
lezza che Zeusi aveva nella mente lo iniziava a segreti« a' qua­
li né la natura né l'arte può pervenire» ( Trattatto dell'imitazio­
ne, p. 176) . L'episodio sarebbe la conferma dell'esistenza di
una precisa gerarchia, in cui l'idea si colloca al di sopra
dell'arte, e quest'ultima al di sopra della natura. Zeusi, nella
ricostruzione del Camillo, usa la natura (le più belle ragazze
di Crotone) solo come un aiuto per cogliere l'idea, si serve di
ciò che è sensibile e particolare per ascendere a un livello che
è universale e percepibile solo dalla mente. La discesa nel
molteplice non è dunque che una fase transitoria nell'ascesa
verso l'idea.
Il Teatro, come abbiamo visto, riproduce artificialmente la
mens dell'uomo nella sua dimensione universale. La sugge­
stione filosofica che sta dietro questa componente del Teatro
è pericolosamente eretica. Ce lo rivela un passo dell'Idea
dell'eloquenza, in cui, dopo aver chiesto perdono a Cristo per
l'uso di un esempio contrario alla verità cristiana, Camillo
scrive:
Poniamo adunque che quello che falso è sia, e per un poco sola­
mente, cioè che l'anima rationale sia unica, e poniamola non altri­
menti che un 'universale idea, da la quale tutti gli uomini abbiano
l'esser, i quali uomini da gli antichi furono simbolizati per le tre so­
relle Gorgoni, che aveano un solo occhio tra loro, il qual insieme se
lo prestavano [qui a p. 271 ) .

l. CTr. Pasquale Sabbatino, La bellezza di Elena. L 'imitazione neUa ktteratura e


nelle artifigurative del Rinascimento, Olschki, Firenze, 1997; François Lecercle,
La Chimère de Zeuxis. Portrait poétique et portrait peint en France et en ltalie à la
Renaissance, Narr, Tiibingen, 1987.
I SEGRETI DEL TEATRO 71
La dottrina eretica, che Camillo dice di accettare solo per
comodità di esempio, è dunque quella averroistica dell'esi­
stenza di un'unica anima razionale. La sua discesa, attraverso
le sfere degli elementi, fino a incarnarsi nel singolo uomo, vie­
ne paragonata appunto alla discesa attrav�rso cui l'idea dell' e­
loquenza arriva a dar vita al singolo testo. E importante notare
che l'immagine delle tre sorelle Gorgoni - che rappresenta
questa idea« falsa», e così chiaramente in contrasto con la dot­
trina cristiana - è presente nel Teatro e vi gioca un ruolo di
primo piano: contrassegna infatti il quarto grado, quello dedi­
cato all'uomo interiore. Che questo creasse un problema dal
punto di vista dell'ortodossia cattolica è provato anche da una
reazione che Anton Francesco Doni esibisce nei Marmi, a pro­
posito della dottrina delle tre anime:« Vedete quel che non è
star saldo a quello che hanno scritto i dottori della Chiesa»
dice lo Stucco al Satio, che tiene in mano una copia dell'Idea
del theatro. « Ma perché Giulio Camillo non fu santo, non vo
credere di cotesto Theatro nulla,» dice il Satio « et l'ho per a­
cuto ritrovatore ingegnoso et letterato, del resto non gli credo
nulla, et non voglio più cotesto libro, tolo per te». 1
Si è visto che l' eloql!enza è presentata come un dono che
è proprio dell'uomo. E chiaro dunque che la mens - cioè l'i­
dea universale dell'uomo - e l'idea dell'eloquenza sono stret­
tamente legate: la seconda è, per così dire, espressione della
prima. Ecco perché il Teatro è, nello stesso tempo, la riprodu­
zione artificiale della mens umana e dell'idea dell'eloquenza:
tendenzialmente, riempito di materiali di altro tipo, il Teatro
può diventare la riproduzione delle idee di tutte le arti umane.
Per Camillo il letterato e l'artista operano su materiali diver­
si, ma seguendo procedure idealmente identiche. Ne deriva
una conseguenza importante. L'idea dell'eloquenza, si diceva,
si manifesta pienamente, in modo interamente conoscibile,
nei testi esemplari; è proprio questo che dà un senso alla minu­
ta, spossante« anatomia» cui il Camillo sottopone i testi presi a
modello; è proprio per questo che il Teatro funziona da gran­
de macchina per l'imitazione letteraria. Nello stesso tempo la
sua struttura può fornire il modello, può essere utilizzata per
costruire qualcosa di simile nelle arti figurative. Anche qui, in­
fatti, le grandi opere del passato hanno catturato l'idea, l'han-
I . Doni, Imarmi, voi. I, pp. 99-100.
72 INTRODUZIONE

no resa visibile; anche nella pittura e nella scultura, ad esem­


pio, le grandi opere classiche potrebbero essere analizzate e
riordinate così da fornire modelli già pronti per l'imitazione,
come leggiamo nel Trattato dell'imitazione (p. 177) :
E se li scoltori e pittori del presente secolo avessero ... tutte le per­
fezioni de' simulacri, da' quali potessero coglier tutte quelle parù le
qual convenissero a finger non pur l'uomo ma tutù gli altri animali,
sì come abbiamo noi tutte le parole accommodate come mollissima
cera a cader sotto qualche sigillo de tre maniere di dir divinamente
trattate da Cicerone e da ciascun altro perfetto, sarebbono di quella
faùca liberi della qual siamo noi.
E nell'Idea dell'eloquenza, a proposito del settimo grado del­
la idea dell'architettura, Camilla scrive: « se l'architetto vorrà
far uno edificio ad un particolare dio o uomo in alcuno se­
gnato loco, a lui si converrà aver veduti tutti gli edifici antichi
che per il mondo si trovano, e del più simile accommodar a
quello eh' egli volesse far le vie ed i consigli, avendo rispetto al
sito ed ai venti» ( qui a pp. 276-77) . Possiamo pensare che un
lungo e faticoso vagabondaggio per il mondo alla ricerca di
tutti gli edifici antichi sarebbe risparmiato all'architetto se di­
sponesse di qualcosa in cui tutte le immagini e le informazio­
ni relative sono ordinatamente collocate: un « teatro dell'ar­
chitettura», appunto, del tutto simile a quello che Camilla ha
costruito per i letterati. Tutto ciò non era destinato a restare
nel campo delle pure possibilità: proprio Sebastia.no Serlio,
l'amico architetto citato nell'Idea dell'eloquenza, avrebbe orga­
nizzato il suo trattato sull'architettura così da trasformarlo in
qualcosa di molto simile al progetto qui auspicato dal Camil­
la. Francesco I è del resto il protettore di entrambi; Serlio gli
dedica nel 1540 Il terzo libro . . . nel qual sifigurano e descrivono I.e
antiquità di Rnma e I.e altre che sono in Italia efuori d 'Italia, un li­
bro innovativo, in cui le illustrazioni rendono visibili gli anti­
chi edifici, « accioché» scrive Serlio « qualunque persona che
di architettura si diletta potesse in ogni luogo, ch'egli si tro­
vasse, togliendo questo mio libro in mano, veder tutte quelle
maravigliose ruine de i loro edifici». Come Camilla, Serlio
'avvicina al senso' i grandi edifici degli antichi e così interpre­
ta e accelera il rinascimento in atto: « in questa età la bella et
util arte de l'architettura ritorna a quella altezza che ella era a
quel felice secolo de i Romani e de i Greci trovatori de le buo-
I SEGRETI DEL TEATRO 73
ne arti » . 1 E a sua volta Camillo ( Trattato dell'imitazione, p. 169)
rinvia in modo ravvicinato all'architetto, e al suo riuso dell'an­
tico, per dare un'idea di come ha proceduto nell"anatomia'
dei testi esemplari, scegliendo di volta in volta le singole paro­
le o il loro raggrupparsi a formare una figura retorica:
Sia, per grazia di essempio, smarrita l'arte di far mattoni, i quali
non si potessero aver se non negli edifici antichi, ne' quali l'arte
de' mattoni fermata si fusse; e venga in desiderio ad un architetto
de' nostri tempi di fare un bello edificio di mattoni secondo il dise­
gno che avesse fabricato nella mente. Certo, sarebbe astretto di
abbatter a terra alcuno edificio antico e con quelle pietre cotte far
il lavoro; e se fusse architetto nobile, non doverebbe già levar i
pezzi di muro della fabrica antica per metter quelli nella sua, che
sarebbono conosciuti per non suoi; ma ridur tutto il muro a quel
cumulo di pietre dove l'una fusse dall'altra 1ivisa sì come furon
mentre il primo fabricator in opera le messe. E il vero che quando
venisse alle cornici, alle colonne, o ad altra figura di marmore che
fusse in alcun nicchio, esso la doverebbe conservar così intiera, o
per farne alcuna simile ad essempio di quella, o per farla in alcun
prudente modo diventar come sua. E benché le parole tutte che
debbiamo cogliere dagli auttori, non debbiamo ordinar dissipate
per semplici, che alcune ancor delle proprie nonché delle traslate
vanno accompagnate, e così deono esser conservate et usate, non­
dimeno tutte queste che non sono da esser disgiunte sono come
fusser ridotte ai loro principii, mentre vanno secondo l'uso degli
auttori con le loro compagnie.
Nel Discorso sopra Hermogene (p. 77) lo scrittore e l'architetto
sono accomunati dall'esigenza di avere prima di tutto un mo­
dello mentale, cui adeguare i diversi strumenti usati:
Sì come l'architetto, non con sana mente si condurrebbe a fabri­
care alcuno edificio con le pietre, et altri semplici, se prima nella

I . Serlio, Il terzo libro, p. 111. Cfr. Olivato, Per il Serlio a Venezia, cit., in parti­
colare pp. 284-85; Id., Dal Teatro della memoria al grande Teatro dell 'architet­
tura: Giulio Camillo Delminio e Sebastiano Serlio, in « Bollettino del Centro
Internazionale di Studi di Architettura "Andrea Palladio" », XXI, 1979,
pp. 233-52; Sebastiano Serlio, a cura di C. Thoenes, Electa, Milano, 1989;
Mario Carpo, Metodo ed ordini architettonici dei primi moderni: Alberti, Raffael­
lo, Serlio e Camillo, Droz, Genève, 1993; Id., L 'architettura dell 'età della stam­
pa. Oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell 'immagine
nella storia delle teorie architettoniche,Jaca Book, Milano, 1998; Sabine From­
mel, Sebastiano Serlio architetto, Electa, Milano, 1998; Sebastiano Serlio à Lyon,
voi. I: Architecture et imprimerie, a cura di S. Deswarte-Rosa, Mémoire Active,
Lyon, 2004.
74 INTRODUZIONE

mente non havesse con belli et dotti pensieri fatto una mental fab­
brica, ad imitation di cui di fuori essercitasse le mani, così di niuno
consiglio è da giudicare quello componitore, il quale a caso dà a
mettere insieme le parole, et altri ornamenti, senza regger lo stile
secondo alcuna forma prima collocatasi nella mente.
Se Panofsky avesse conosciuto il testo del Camillo, certo
gli avrebbe riservato un posto importante nella sua ricogni­
zione del ruolo svolto dall'idea nel dibattito sulle arti. 1 L'idea
dell'eloquenza non solo ci aiuta a penetrare nei segreti del Tea­
tro, ma ci testimonia un momento inedito, e di notevole ric­
chezza, della riflessione sui rapporti fra letteratura, pittura,
scultura, architettura. Lo possiamo collocare accanto ai testi
più famosi, come le due lettere attribuite a Raffaello, quella
al Castiglione su come rappresentare la bellezza di Galatea
nella villa della Farnesina e quella a papa Leone X sulla pos­
sibilità, e il dovere, di far rinascere la Roma antica, senza di­
menticare il proemio di Bembo al libro III delle Prose della
volgar lingua, che celebra la rinascita delle arti e la indica
come modello e auspicio per una rinascita delle lettere. Nel
suo vagabondare per l'Italia e per la Francia, nei suoi rap­
porti di amicizia personale con gli artisti, Camillo sperimen­
ta dal vivo alcune questioni cruciali, come il rapporto con
l'antico, il ruolo del disegno, il gioco fra imitazione della
natura e fedeltà al modello mentale. Nel Teatro, dietro il
modello di tutti i poemi (e le orazioni) possibili, si intravede
quello di tutti i quadri, le statue, gli edifici possibili. Si capi­
sce allora il fascino che la sua opera esercita sui trattati d'ar­
te, ad esempio sul Lomazzo, l'artista che, diventato cieco, si
dedica alla scrittura e fonda la sua Idea del tempio della pittura
( 1590) su sette colonne.2 E questo forse ci aiuta anche a ca­
pire come il Teatro si sia potuto trasformare, attraverso una
complessa vicenda di plagi e metamorfosi, in un palazzo, in
una galleria, in una villa.

1. Erwin Panofsky, Idea. Contributo alla sturia dell'estetica, La Nuova Italia, Fi­
renze, 1952 (l' edizione originale è del 1924).
2. Cfr. Robert Klein, Les « sept gouverneurs de l'art " selon Lomaz.z.o, in « Arte
lombarda », IV, 1959, pp. 277 sgg.; e i puntuali riferimenti nella Introduzio­
ne e nel commento di Roberto Ciardi a Gian Paolo Lomazzo, Scritti sulle arti,
a cura di R.P. Ciardi, Marchi e Bertolli, Firenze, 1973.
2. Le arti della metamoifosi

E veniamo ora a un breve testo, De transmutatione, anch'esso


rimasto inedito per secoli, che nella sua brevità, nel suo stile
un po' oracolare, a metà strada tra il didattico e il sapienziale,
ci offre la chiave più importante per capire il Teatro e anche
per collocarlo, sia pure con una forte specificità, entro una
tradizione secolare che usava le tecniche della memoria co­
me strumento di meditazione e di elevazione a Dio.
A prima vista siamo di fronte a un parallelo fra le arti della
deificazione, dell'eloquenza e dell'alchimia: compito dell'o­
peretta sarebbe appunto quello di illustrare la «mareveglio­
sa corispondenza» che esiste fra queste tre arti «transmuta­
torie» (qui a p. 281) . La costruzione stessa del testo, tuttavia,
sembra suggerire un livello più profondo di significato: al
centro sta una segreta unità fra le diverse arti, l'esperienza
della «trasmutazione» che investe l'uomo e lo eleva fino a
Dio, in un certo senso lo fa diventare Dio. È un tema che Ca­
millo affronta in altri testi, come nella Lettera del rivolgi:mento
dell'huomo a Dio, più volte pubblicata nel corso del Cinquecen­
to, e in un testo inedito indirizzato alla figlia Cornelia e inti­
tolato appunto De l'humana deificatione. Questa esperienza di
trasformazione divina dell'uomo investe anche il suo rappor­
to con le cose (alchimia) e con le parole (eloquenza) , ha cioè
una portata totalizzante. Vediamo infatti che i tre procedi­
menti delle arti trasmutatorie, quali Camillo qui suggerisce, si
svolgono secondo un metodo unico, che comporta fasi simili,
anche se operanti in campi diversi. A questa prospettiva ci ri­
chiama anche l'insistito parallelismo del testo (qui a p. 281):

Arte Effetto negativo prelimi- Risultato finale


nare

Deificazione «levare da sé ... ogni im- «diventar infinito»


puro et creato»

Eloquenza «levando l'impuro et crea- «trovare il prodotto che


to» è infinito, et eterno»

Alchimia «sligare la virtù semina- «virtù seminaria, che è


ria ... dal impuro et crea- infinita»
to»
76 INTRODUZIONE

È possibile, secondo Camillo, andare al di là della moltepli­


cità delle cose e delle parole, individuare le loro forme uni­
versali, risalire alla radice unica ed eterna della realtà, e ripar­
tire di qui per ricreare il mondo. Conoscere e agire sono stret­
tamente legati: indicativa è la contrapposizione fra « sofista »
e « divino », dove « sofista » è chi per incapacità o paura si fer­
ma a metà strada nell'ascesa e così compromette irrimediabil­
mente la trasformazione integrale di se stesso e delle capacità
di capire e di operare che quell'ascesa comporta.
Il passo dedicato alla 'trasmutazione' che la vera arte dell'e­
loquenza comporta può apparire sibillino, come è nello stile
del nostro testo, ma in realtà acquista un senso preciso pro­
prio alla luce di quanto è detto nell'Idea dell'e/,oquenza: « Laude
della transmutatione dell'eloquenza, la qual nelle parole, che
paiano caduche, fa vedere prodottione et eternità, corrum­
pendo et dissolvendo le perfette scritture antiche, con la con­
servation delle forme. Lume da puochi vedutto » (qui a p.
282) . È il procedimento che abbiamo visto in atto: l' operazio­
ne che Camillo ha compiuto nei confronti delle « perfette
scritture antiche » è stata quella di sezionare, 'anatomizzare' i
testi così da cogliervi le tracce dell'idea, perché in essi l'idea si
manifesta in modo più evidente che nel mondo naturale. In
questo modo Camillo ha potuto 'corrompere e dissolvere' gli
individui mantenendo, conservando le forme. Il linguaggio è
volutamente molto vicino a quello dell'alchimia: identico è
del resto il punto di arrivo (e, metafisicamente, di partenza)
dell'alchimista e dell'eloquente, e cioè la materia prima, la
quale contiene in sé quella « virtù seminaria » che l'alchimista
deve « sligare ». Come si dice esplicitamente, questa materia
prima è « quel genere generalissimo principe nella logica et
philosophia reale » (qui a p. 287) , base unitaria delle parole e
delle cose, fonte originaria delle diverse forme possibili. L'im­
magine che la rappresenta, Proteo, è ricordata anche nel Trat­
tato deUe materie (pp. 186-87) , dove si elencano appunto le ma­
terie che, insieme con gli artifici e le parole, sono gli elementi
costitutivi dell'eloquenza:
Ma facendo ritorno alla materia passionata, dico che può pren­
der talhor una, et talhor più d'una passione. Ma accioché ella sia
meglio intesa, dico che gli antichi theologi symbolici chiamarono
materia prima quella che può soggiacere a molte figure, et a molti
accidenti, et l'intesero sotto la favola di Proteo, il qual si cangiava
I SEGRETI DEL TEATRO 77
sotto molte, et varie figure, rimanendo sempre quel medesimo nella
medesima sustanza, o materia che dir vogliamo.
Proteo, il dio delle infinite metamorfosi, viene a rappresen­
tare la natura profonda del progetto di Camillo. Un segreto
del Teatro è la pretesa di guidare il saggio al compimento
dell'opera alchemica. A garanzia di questo sta il carattere par­
ticolare della sua 'fabrica', e cioè la sua similitudine con la
materia prima:
Hor fatto ritorno a quel ch'io dissi, che la materia prima è recetto
de tutte le essentie de tutte le nature et de tutte le substantie delle
cose, perché de esser il recetto et proportionato alli ricevuti et in sé
colocato, di che darà vera similitudine questo nostro theatro fabri­
cato della virtù de 7 pianetti (le quale sono etterne) e contiene in sé
li concetti de tutte le cose in eterna virtù prodotte et non create,
perché non è destinata a una cosa più ch'a un'altra, anci ciascuna
sta nel universale, che è eterna; e così si comprende le colatione
fatte da Cicerone et da altri antichi et moderni, non per vicinarsi a
questa eterna similitudine, percioché erano in ediffitio conutibile,
et medesimamente li colocati erano corruttibili, imperoché non co­
locavano se non materia corruttibile et che tutto dì nascevano et
morevano, et così li lor colocati havevano proportione con li luochi.
Ma noi volendo colocar cose etterne, produtte et non create, habia­
mo anchora luoco procatiato, ricetto etterno et non creato, che è la
fabrica del theatro [qui a pp. 290-9 1 ] .
È un brano del tutto simile a quello che leggiamo all'ini­
zio dell'Idea del theatro, 1 e ritrovarlo qui, in questo contesto,
ci fa capire che una delle dimensioni segrete del Teatro, cui
l'Idea spesso allude, è appunto il compimento dell' opus al­
chimistico. Lo stesso possiamo dire dei brani dove si illustra­
no i rapporti fra la materia prima e lo spirito di Cristo: del
tutto simili a quelli dell'Idea del theatro, qui essi hanno una
dimensione per così dire più pratica, servono cioè a mostra­
re che è possibile portare a compimento l' opus, catturare la
forza vitale. Lo spirito di Cristo costituisce per Camillo il le­
game unitario tra i vari gradi dell'essere, così da garantire
l'affiorare e il diffondersi della vita delle diverse forme. La
conseguenza di questa visione, dal punto di vista della natu­
ra, è espressa con notevole efficacia nella Interpretatione
dell'arca del patto : Cristo
I. « Or se gli antichi oratori ... troviamo a loro luoghi eterni» (qui a p. 150).
78 INTRODUZIONE

si diffonde in tutto il corpo del mondo, così come l'anima indivi­


duale si diffonde in tutte le membra del suo corpo ... come l'uomo
parla nella bocca, vede negli occhi, ode negli orecchi, cammina nei
piedi, ecc., così Cristo, prima vita del tutto, spirito vivificante, nel
Sole illumina e riscalda tutto, nelle diverse stelle influisce in modo
diverso, piove nelle nubi, spira nell'aria, fiorisce nella terra, opera
cose diverse nelle acque nei pesci e negli altri animali, e nei diversi
uomini. Dice Paolo: « omnia in omnibus ». 1

È un Cristo cosmico quello che si diffonde e opera nella


natura, tanto che Dio, natura e vita non si possono distingue­
re: « non è altro la natura universale se non Dio che è diffuso
in tutte le cose e in tutte opera». 2
Anche la tematica escatologica dei nuovi cieli e della nuova
terra, presente nell'Antico e nel Nuovo Testamento, è riassor­
bita in questa logica vitalistica: essa infatti viene a significare il
rinnovamento della vita che continuamente si attua adesso,
in questo mondo. Lo si vede nell'Idea del theatro, dove l'azione
dello spirito di Cristo, che fa nascere sulla terra « animali, her­
be et fiori», viene così commentata:
Et questa è peraventura quella città che Giovanni vide nell' Apoca­
lissi santa discendente piena di gioie. Et per questo David canta il
cantico nuovo, vedendo tante cose rinovate. Et Esaia dice: « Creabo
coelum novum, et terram novam ». Et nel!' Apocalisse anchora è scrit­
to: « Ecce nova facio omnia » . Et questa è la scala di Iacob, per la
quale discendono et ascendono gli spiriti, che lo scendere è il venire
a far questa rinovatione, et lo ascendere è il tornare dello spirito a
rifocillarsi col superiore universale [qui a p. 197] .

Il Teatro riproduce questo duplice processo di discesa dal­


l'universale al particolare, e di risalita all'universale (anzi lo fa
nell'ottica divina, cominciando dall'universale, dai princìpi
primi). Come cattura e incarna l'idea dell'eloquenza ( e delle
arti), così costituisce una guida al vero compimento dell' opus:

I . « Sese diffundit in totum mundanum corpus, sicut anima particularis in


omnia membra corporis sui ... sicut homo loquitur in ore in oculis videt, in
auribus audit, in pedibus ambulat, etc, sic Christus prima omnium vita, spiri­
tus vivificans, in Sole omnia illustrat et calefacit, in sideribus variis diversa
influit, in nubibus pluit, in aere spirat, in terra genninat, in aquis piscibus et
aliis animalibus diversa operatur, sic et in diversis hominibus operatur. In­
quit Paulus Omnia in omnibus » (/nterpretatione dell'arca del patto, cc. 42r-v ) .
2 . « Nec est alia natura universalis nisi Deus qui i n omnia diffusus et i n omni­
bus operatur » ( il,i,d., c. 42v ) .
I SEGRETI DEL TEATRO 79
Adunque la transmutatoria vera o sopra naturale o naturale mira
la corruptione et la generatione simpliciter, et non secundum quid,
perché quella che è secundum quid è sophistica. Et quando sarà
corruptione simpliciter giongeranno alla materia prima. Et volen­
dola trovare, la spogliaremo della seconda materia, che è la compo­
sta delli elementi generabili et de tutte le altre compagne alterità et
levando via per gratia de Dio tutte le gravezze et impurità che ha
ciascuno delli 4 elementi, se giongerà allo spirito de ciascaduno del­
li 4, che è la parte purissima de ciascuno. Et si trarà dalla union de
quelli un quinto, che fa la quinta essentia, chiamata ancora cielo et
regn um, il perché si legge: « Regnum Dei quod intra vos est» [qui a
p. 291 ) .

Il Regno di Dio viene identificato con l o spirito di Cristo, e


quindi con la quintessenza che è il risultato finale dell'opus. Il
culmine dell'opera alchemica « divina » e non « sophistica »
dà il potere di incidere sul centro propulsore del meccanismo
vitale dell'universo. Attraverso la « retrogradatione » ( qui a
p. 284) , partendo cioè dalle cose singole che gli stanno intor­
no, l'alchimista - ma anche l'uomo che si deifica, l'eloquente
- riesce a catturare lo spirito di Cristo, quel Verbo che è la
prima « prodution » di Dio, « dentro della essenza della sua
divinità » (qui a p. 159) . Se teniamo presente questo e leggia­
mo nel De transmutatione « Adunque fuor del spirito de Chri­
sto non è scientia né sapientia, però chi non lavora nel spirito
de Christo lavora in ignorantia » (qui a p. 287) , questa affer­
mazione, che sembra animata da una religiosità molto devota
e tradizionale, ci appare in una luce ben diversa, carica di ten­
tazioni prometeiche.
L'uomo che cattura la quintessenza, che arriva al nucleo
vero della vitalità del mondo, cattura in un certo senso anche
la forza operativa del cristianesimo ( e delle altre religioni) .
Questo gli permette fra l'altro di superare fin da ora (prima
del Giudizio universale) il condizionamento del peccato ori­
ginale. La materia prima, infatti, si presenta all'alchimista co­
sì com'era prima del peccato di Adamo:
La qual materia prima, avanti che Adam peccasse, non haveva
contracta machia alcuna, ma peccando Adam fatto signor de tutte le
cose, contrasse ancor rugine, machia et alterità la detta materia, sì
che non può esser dalli occhii nostri veduta, se non dalli philosophi
della natural transmutatoria, mentre levando tutte le alterità della
cosa che desiderano, la scaricano da ogni graveza [ qui a pp. 287-88) .
80 INTRODUZIONE

È un terna che torna in altre opere di Camilla: la tradizione


alchemica e suggestioni cabalistiche interagiscono nell'indi­
care la possibilità di collocarsi, qui e ora, fuori dai condiziona­
menti del tempo e dello spazio. 1 Quello che qui è riservato
all'utente ideale del Teatro, all'uomo che si fa Dio, nel corso
del secolo diventerà una componente del pensiero utopico:
la Città del So/,e di Campanella, ad esempio, cercherà di rime­
diare, con la sua struttura economica e politica, ai mali che
vengono in genere attribuiti al peccato originale. E in tempi e
luoghi molto vicini a Camilla, Guillaurne Postel (1510-1581) ,
esperto di lingue orientali, tra i primi seguaci di Ignazio di
Loyola, combina ermetismo e cabala per profetizzare un
mondo nuovo, una concordia universale, prefigurati da una
vecchia monaca veneziana, la madre della nuova èra, la «nuo­
va Eva » . 2
Come accennavamo all'inizio, c'era un'antica tradizione
che usava le tecniche della memoria a scopo devozionale, co­
me guida alla meditazione, come tappe dell'itinerario che
porta a Dio. Camilla doveva conoscere quella tradizione, e
nell_o stesso tempo la riscrive a propria immagine e somiglian­
za. E significativo che nel De transmutatione, accanto a passi di
Mercurio Trismegisto, di Aristotele, e a versi di Virgilio e Ora­
zio interpretati in senso sapienziale, Camilla citi i versi di uno
«spiritual rnonacho» ( qui a p. 290) : nelle cose divine, egli scri­
ve, bisogna abbandonare non solo i sensi, ma anche la
acuteza della mente de perdere il suo orgoglio, nella mainiera
che disse il spiritual monacho:
se l'atto della mente
è tutto consopitto,
in Dio stando rapito,
e in sé non si ritrova,
de sé riman perdente
posto ne l'infinito.

1. Alexander Nagel analizza queste idee di Camilla nel quadro di analoghe


posizioni dello Zorzi e dell'ambiente veneto, e le utilizza per una suggestiva
lettura della pala d' altare marmorea della cattedrale di Vicenza (Girolamo
Pittoni e Giacomo da Porlezza, 1534-1541); cfr. Nagel, The Most Abstract Al­
tarpiece o/the ltalian Renaissance, in The Controversy o/Renaissance Art, cit., pp.
261-85.
2. Cfr. Bologna, Esercizi di memoria, cit., p. 201; Postello, Venezia e il suo mondo, a
cura di M.L. Kuntz, Olschki, Firenze, 1988.
LA GALASSIA DEL TEATRO 81
Sono versi di un poeta francescano che ha cantato l'amore
divino con straordinaria intensità: vengono infatti dalla lauda
dijacopone da Todi, che inizia con
Sopr'onne lengua Amore,
bontà senza figura,
lume for de mesura,
resplende en lo meo cuore. 1
Jacopone canta qui la infigurabilità dell'Amore, il suo col­
locarsi in un abisso di tenebra. Ricorrente è il tema della de­
formazione/trasformazione che tale esperienza comporta ed
è possibile che proprio per questo la lauda si sia presentata
alla memoria di Camillo che stava scrivendo sulle arti trasmu­
tatorie. Possiamo intravedere così un'altra dimensione che
interviene nel progetto del Teatro. Eloquenza, alchimia,
deificazione costituiscono, come abbiamo visto, i suoi segreti,
legati come sono alla concezione del cosmo come un tutto
vivo e unitario, e alla possibilità di catturare il processo di di­
scesa e risalita delle idee. L'arte della memoria offre, per così
dire, il contenitore ideale di tutto ciò, proprio perché per se­
coli, e in modo rinnovato ai tempi di Camillo, aveva insegnato
a costruire gli spazi dell'interiorità per accogliervi Dio. Anche
in questo senso Camillo si impadronisce di una lunga tradi­
zione e con spregiudicato sincretismo la rimodella per il pro­
prio Teatro.

V. LA GALASSIA DEL TEATRO: LA TRADIZIONE MANOSCRITTA

1. Meraviglia e desiderio

Il Teatro di Camillo resta a lungo un fantasma, un tesoro da


riscoprire; è d'altra parte l' opus magnum, l'opera definitiva,
quella che dà la chiave universale di accesso alle arti e al sape­
re, e che per sua natura non può mai essere veramente com­
piuta, non può mai vedere la fine. C'è un misto di ammirazio­
ne e di attesa, di entusiasmo e di insoddisfazione, nelle <ledi-

1. Iacopone da Todi, Laude 92, « Sopr'onne lengua Arnore», w. 41-46 (in


Laude, a cura di F. Mancini, Laterza, Bari, 1974, p. 296).
82 INTRODUZIONE

che e nelle prefazioni che accompagnano le edizioni delle


sue opere dopo la sua morte. Quanto Camillo ha fatto è solo
in realtà un abbozzo, scrive Ludovico Dolce: la natura pur­
troppo fa mancare presto coloro a cui ha dato grande inge­
gno. Così è capitato a Pico della Mirandola, Angelo Poliziano,
il Navagero e appunto Camillo,
a cui, se stato fosse conceduto di vivere il tempo, che è conceduto
a molti, che ci vivono inutilmente, non è dubbio che dal suo più to­
sto divino, che humano ingegno, non si fosse partorito giovamento
grandissimo a gli studiosi delle belle lettere, percioché egli haveva
con la dottrina delle buone arti congiunta la cognition delle poeti­
che et oratorie discipline in sì fatto modo, che niuno è, che non istu­
pisca solo a leggere gli accennamenti de suoi pensieri. 1
E il Verdizzotti, un giovane letterato, amico e segretario di
Tiziano, scrive di aver deciso di pubblicare « quei scritti del
famosissimo M Giulio Camillo che ha avuto in dono dal Trevi­
sano e che non sono ancora pubblicati, prima che alcuno po­
co cortese se l'usurpasse [la lode] tutto di nascosto per lui»;
divulga dunque « questo pretioso thesoro » così che i lettori
abbiano « quel guadagno di sapere, che ne caveranno quan­
do habbiano gustato questo soave e dolcissimo fonte, donde
abondantemente deriva tutto il bello, e tutto il buono dell'or­
nata elocutione ».2
Pagine come queste del resto non fanno che rilanciare il
modo in cui il Domenichi, nel 1550, aveva presentato al mon­
do l'Idea del theatro: quel testo era stato composto negli ultimi
anni di vita, su pressante richiesta del D'Avalos, l'ultimo pro­
tettore del Camillo: era solo una versione sintetica, e scritta
rapidamente, del suo « tanto mirabil Theatro », « una idea, o
vogliam dire modello di tutta la fabrica d'esso ». Ma il vero
Teatro, l'intera fabbrica, resta un oggetto del desiderio, « non
potendosi anchora scoprire la macchina intera di sì superbo
edificio, la quale empie di maraviglia et di desiderio chi pur
solamente l'ode ricordare », ecco che l'Idea del theatro ce ne
darà solo un esempio, una piccola traccia da cui capire che le
grandi promesse fatte dal Camillo erano credibili. E potrebbe
anche funzionare da monito, conclude il Domenichi, perché

I. Camillo, opere, voi. I, c.n.n.


2. Giovanni Mario Verdizzotti in Giulio Camillo, Topica dellefigurate wcutioni,
Rarnpazzetto, Venezia, 1560, c. 54v.
LA GALASSIA DEL TEATRO 83
chi ha avuto da Camillo il vero testo del Teatro, « così raro do­
no» (qui a p. 143) , lo pubblichi e ne faccia parte al mondo in­
tero, che tanto lo desidera e lo attende.

2. I manoscritti encidopedici

Possiamo dire oggi, io credo, che al di là dei toni messianici


di Ludovico Dolce, e dei sospetti suscitati dal racconto del
Muzio ( « per sette mattine ad bora di matutino svegliandoci,
et dittando egli et scrivendo io infino al dì chiaro, habbiamo
ridutta la opera a compimento») , 1 con il suo indulgere sul
sette e sull'alba, il quadro che esce dalle dediche è sostanzial­
mente fedele. Lo mostrano i vari manoscritti che sono venuti
alla luce e che ci consegnano una versione più ampia dell'I­
dea, una griglia più articolata dei 'luoghi' in cui depositare il
materiale. Il quadro che ne risulta è però piuttosto concorde,
testimonianza di un'ansia classificatoria, di una ricerca enci­
clopedica che possiamo benissimo collocare accanto ali'Idea,
o meglio alle sue spalle, sullo sfondo, così da arricchirne le
prospettive, da moltiplicarne le dimensioni.
Abbiamo a disposizione, per il momento, quattro mano­
scritti che ci consegnano questa versione più ampia del Tea­
tro: il cod. Otto b. Lat. 1777 della Biblioteca Apostolica Vati­
cana (V ) ;2 il cod. Zibaldone Nappi, 52, busta Il, n. 1, cc.
473r-552r, della Biblioteca Universitaria di Bologna (B) , in cui
l'opera del Camillo è intitolata Teatro (o Theatro, nel codice
bolognese) ;' la redazione conservata a Manchester, The Ry-
1. Muzio, Lettere, cit., libro II, lettera V, p. 138.
2. Su questo codice, che risale probabilmente al primo Seicento, cfr. Bolo­
gna, Il « theatro» segreto di Giulio Camilla, cit., pp. 234-42, che ricorda come
« nella schedatura del fondo ms. Ottoboniano (consultabile presso la Biblio­
teca Apostolica Vaticana, Sala Con. mss., n. 89), compilata dallo scriptor lati­
nus Pier Luigi Galletti, è definito Teatro di Giulio Camillo (scheda n. 967) ...
Galletti ne dichiarava la provenienza dalla libreria della famiglia Altemps,
che fu organizzata dal duca Giovanni Angelo, venendo poi incorporata do­
po la sua morte (5. XII. 1620) entro l'Ottoboniana, per approdare infine
nella Vaticana» (la citazione a p. 235).
3. Il testo è stato segnalato da Franco Bacchelii, Di una lettera su Erasmo ed altri
appunti da due codici bowgnesi, in « Rinascimento», Seconda Serie, xxvm,
1988, pp. 257-87, che scrive: « nessuno si è accorto che gli ultimi 79 fogli del
codice (da c. 473ra c. 552r), nemmeno nominati negli Inventari [del Sorbe!-
84 INTRODUZIONE

lands University Library (M) , Christie, ms. 3 f 8, che si intitola


Theatro della sapientia e proviene da Napoli, dalla biblioteca di
un convento dei cappuccini, come si legge nella nota di pos­
sesso del frontespizio; 1 l'ultima redazione rinvenuta nel codi­
ce genovese (G) , sezione Conservazione, I, 1, 6 della Bibliote­
ca Berlo, che reca il titolo di Theatro universale di tutte le arti et
scienze ridotte per tavole generali alli suoi frrimi frrincipii et luochi co­
muni appartenenti ad ogni concetto di materia d'arte o di lingua 2 e
costituisce, per molti aspetti, come vedremo, un caso a parte.
Doveva circolare anche del materiale sparso, come ci testi­
moniano i Luoghi conservati a Milano, alla Biblioteca Ambro­
siana: il cod. I 204 inf. contiene alle cc. 311r-21r (numerazione
più antica 1-10) Alcuni luoghi di Giulio Camillo e alle cc. 323r-37v
Luoghi havuti dal Ziletti. Credo siano cose di Giulio Camillo o simili.
Il cod. I 108 inf. contiene alle cc. 273r-304r (con numerazione
più antica 1-30) i Luoghi di Giulio Camillo. 3 Si tratta appunto di
li] , sono una lunga e minuziosa descrizione delle partizioni del Teatro di
Giulio Camillo » (p. 257, nota 1). Franco Bacchelli mi ha gentilmente comu­
nicato alcune informazioni sul codice bolognese, che qui trascrivo: « La de­
signazione "Zibaldone Nappi" è impropria. È in realtà un grosso brogliac­
cio, che nel Seicento era di proprietà di Ovidio Montalbani (e poi nel Sette­
cento di Giacomo Biancani Tazzi, archeologo, numismatico e ricco raccogli­
tore di codici). Il Montalbani ha fatto legare assieme allo zibaldone quattro­
centesco e primocinquecentesco del notaio Cesare Nappi vari fascicoli del
terzo e quarto decennio del Cinquecento molto importanti anche per la
storia dell'eresia a Bologna. In quella sezione si trova infatti l'unica copia dei
Carmina del siciliano Lisia Fileno, alias Camillo Renato, che poi mori esule
in Svizzera verso il 1 575, dopo aver protestato contro il martirio di Serveto.
Il fascicolo contenente il Teatro è stato con ogni probabilità aggiunto in un
secondo tempo ».
I . Cfr. Bologna, Il " theatro » segreto di Giulio Camillo, cit., pp. 217-71; sulla
provenienza da Napoli, cfr. ibid., p. 253.
2. Il manoscritto, trovato da Maurizia Migliorini, che me lo ha gentilmente
segnalato, fa parte del ricco fondo acquisito da Carlo Giuseppe Vespasiano
Serio (1712-1794), un dotto abate appassionato di scienza. È probabil­
mente, come mi segnala Elena Putti, di mano secentesca. Ho seguito, per le
citazioni, la moderna numerazione delle carte, che arriva a c. 338. A c. 95r
inizia la seconda parte.
n
3. CTr. Bologna, " theatro » segreto di Giulio Camillo, cit., pp. 249-52; Tra i fondi
dell'Ambrosiana. Manoscritti italiani antichi e moderni, a cura di M. Ballarini, G.
Barbarisi, C. Serra e G. Frasso, Cisalpino, Milano, 2008, p. 176. Lo Ziletti cui
si fa riferimento nel primo manoscritto potrebbe essere Giordano Ziletti, e­
ditore attivo a Venezia a metà Cinquecento, oppure, come ha suggerito Cor­
rado Bologna, Francesco Ziletti, stampatore legato a Gianvincenzo Pinelli.
LA GALASSIA DEL TEATRO 85
frammenti del materiale che trova collocazione nei luoghi del
Teatro, in V, B e G. È difficile dire, come scrive Corrado Bolo­
gna, « se questi fogli siano stati smembrati per mere ragioni
meccaniche da una copia completa del Theatro, o invece diffu­
si intenzionalmente nella forma attuale». 1 Siamo di fronte a
una galassia di testi, dove è arduo distinguere l'apporto di di­
scepoli, commentatori, copisti. Come capita del resto anche
per il commento a Petrarca, che impegna Camillo così a lun­
go, e con tanto successo: l'editore moderno ha riconosciuto
che è impossibile ricondurre la tradizione dei testi a un unico
archetipo e che bisogna fare i conti anche con le tracce lascia­
te dall'insegnamento, dalla comunicazione orale. 2
Sarebbe necessario curare un'edizione che permetta di
chiarire i rapporti e la cronologia che legano fra di loro B, V,
M, G. Ma già a una prima lettura emergono elementi signifi­
cativi. In tutti e quattro i manoscritti troviamo lo stesso sche­
ma di base dell'Idea: abbiamo anche qui i sette pianeti e i sette
gradi, indicati con gli stessi segni grafici [fig. 11] :
1. Il pianeta, inteso anche come dio;
2. il primo mondo, la natura elementare;
3. il secondo mondo, la natura;
4. l'uomo interiore;
5. l'uomo esteriore;
6. le azioni;
7. le arti.

Varia l'ordine in cui si dispone il materiale: V, M e G inizia­


no infatti con Saturno, mentre B inizia con Venere. Varia an­
che lo spazio destinato a spiegare e commentare l'ordine se­
guito. Del tutto particolare è il caso di G che, come vedremo,
contiene sostanzialmente il testo dell'Idea e lo integra entro
una più ampia trattazione enciclopedica. Ciò che più imme­
diatamente differenzia i manoscritti dall'Idea è l'uso sistema­
tico delle categorie aristoteliche: sostanza, qualità, quantità,
relazione, loco, tempo, sito, avere, fare, subire, secondo la
terminologia del Camillo. Le categorie erano per Aristotele i
1. Bologna, Il « theatro » segreto di Giulio Camillo, cit., p. 249.
2. Cfr. l'Introduzione di Zaja a Camillo, Chiose al Petrarca, cit.: si riconosco­
no, entro «un unico progetto esegetico riconducibile al magistero camillia­
no, fasi distinte di elaborazione e organizzazione non necessariamente rap­
presentative di una riconoscibile volontà autoriale» (p. xvr).
86 INTRODUZIONE

generi sommi che raccolgono tutte le proprietà che si posso­


no predicare dell'essere, sia in riferimento alle qualità prima­
rie, sia in relazione con gli accidenti, con le qualità sottoposte
al cambiamento. È significativo che Camillo le citi, nel Tratta­
to dell'imitazione (pp. 1 72-73 ) , insieme alle lettere dell'alfabe­
to, proprio per rendere credibile il carattere universale del
suo Teatro:
se da poi che si trovarono i libri già scritti fusse smarrito il numero
delle lettere deli 'alfabeto, e che alcuno volesse prometter di condur­
le tutte fuor dei libri a certo e picciol numero, sarebbe egli uccellato
da quelli che meriterebbono maggiore uccellamento? ... Appresso,
prima che fussero stati veduti i predicamenti d'Aristotile, chi avreb­
be mai creduto che a dieci principii tutte le cose che sono in cielo, in
terra e nell'abisso si potessino ridurre? E pur sono in luce, e tutto dì
si veggono, leggono e si conosce che sono bastanti soli dieci. 1
Nei manoscritti ogni luogo del Teatro viene per così dire
filtrato attraverso la griglia delle dieci categorie, ed è appunto
questo procedimento che aumenta il materiale, che moltipli­
ca gli elenchi di ciò che possiamo collocare/trovare in ciascu­
no dei luoghi. Rispetto allo schema dell'Idea è come se si apris­
se così un altro scenario, come se la scena del Teatro acquistas­
se in profondità spalancandosi su altre dimensioni, su altre
prospettive. Il senso e le ragioni dell'operazione compiuta ci
vengono spiegati nel manoscritto vaticano. A proposito della
categoria del fare, « accioché ciascuno de setti gradi del nostro
theatro porti seco i suoi ordini predicamentali distinti » (V, c.
12r) , bisogna sapere, spiega Camillo, che il 'fare' richiede
grandissima considerazione perché si trova in tutti i sette gra­
di, ma nello stesso tempo va ben distinto. Ad esempio Mercu­
rio ha tutte quelle azioni che si possono fare intorno a lui.
Inserita entro i luoghi del Teatro, la griglia delle categorie
funziona da schema logico e mnemonico. Aiuta dunque a ri­
trovare quel che serve, favorisce l' inventio: ad esempio, leggia­
mo sempre in V, a proposito delle azioni legate a Diana, chi
vuole « ritrovar questo concetto 'far acqua dolce d'amara' su­
bito vulgirà la mente a acquatico mondano, et ricordatosi che
l'acqua dolce è sotto le differenze et le differenze sotto il pre-
I . Nel De imitatione dic:endi Carnillo cita la tradizione dell'arte della memoria
e dice che è possibile imprimersi nell'animo un ordine basato sulla natura
dei pianeti e sulle categorie aristoteliche (cc. 4v e 5 v ) così da ritrovare facil­
mente tutto quel che serve.
LA GALASSIA DEL TEATRO 87
dicamento della sostanza, in quel medesimo loco havrà a cer­
car nel acquatico dell'attione il detto concetto» (c. 45r). Le
categorie segnano il cammino, guidano nella mappa del Tea­
tro, plasmano di sé il procedimento che la mente deve segui­
re. Nello stesso tempo garantiscono che il Teatro agisca da
dizionario enciclopedico, che ogni cosa, e ogni parola, possa
trovare la sua collocazione. Così leggiamo, sempre nella co­
lonna lunare, nel grado dell'uomo esteriore: « Io vi metto
membra in generale, percioché la Luna tiene più del compo­
sito di tutti gli altri pianeti, acciò che habmarw l.oco da collocar vo­
cabol.o che potesse significar membro in generale» ( c. 42r).
Quel che interessa al Camillo è in primo luogo che il Tea­
tro funzioni. Ritroviamo infatti anche nei manoscritti del
Teatro, a proposito delle categorie, un atteggiamento prati­
co, che segna, rispetto alla tradizione filosofica, uno spazio di
autonomia. Alla categoria della sostanza, egli nota, Aristotele
riconduce sempre la generazione e la corruzione, « nondime­
no per gli ordini nostri è da esser inteso sanamente, imperoché
pigliandosi la corruttione per la distrutione del modo, che se
dice la corution d'una cosa esser generation dell'altra», si
può mettere la generazione sotto il predicamento della so­
stanza, e la corrispondente corruzione sotto quella del patire.
Ma se consideriamo cosa questa corruzione genera, la possia­
mo mettere sotto la sostanza, continua Camillo, e dà come e­
sempio la corruzione dell'acqua che genera l'aria, il che si
può considerare o come patire dell'acquatico, o come sostan­
za dell'aereo. « Molte cose, quantunque considerate nella lo­
ro natura andrebbero sotto ad altri predicamenti, che a quel­
lo che lor habbiamo dato noi, nondimeno noi considerando­
le nella compagnia d'altre, le facciamo essere d'altro predica­
mento» (V, c. 8v). Quel che lui fa può non piacere « alla seve­
rità d'alcun philosopho», ma
io lo priegho, che si acontenti di conceder al Autor di questa im­
presa qualche cosa, imperoché deve credere che io il quale ho sem­
pre davanti agli occhi della mente questo lavoro, l'intenda meglio di
lui; né debbo havere tanto riguardo ad una cosa che per collocar
ben quello io havessi a far star a disaggio infinite altre cose. Debbo
dunque in tutta questa machina imitar la divina providentia nelle
sue, imperoché Dio molte volte per restituir la proportion a gli ele­
menti, lascia piovere di maniera, che si sommerge il picciol campi­
cello d'alcun poveretto, et così sia più rispetto al tutto che ad una
parte [V, cc. 8v-9r, e G, c. 12v] .
88 INTRODUZIONE

Contro il filosofo supercilioso Camillo rivendica il valore del­


la sua esperienza, del suo specifico sapere e, con la modestia
che lo contraddistingue, si paragona alla divina provvidenza.
Quel che gli preme è usare le categorie in modo che la colloca­
zione dei diversi enti nei luoghi del Teatro rifletta la rete delle
relazioni che li lega. Per i filosofi, avverte, la relazione è un
predicamento piccolo. « È il vero, che chi sottilmente volesse
ricercar di lui, poche cose sarebbeno senza relatione, ma tale
più sotto partorirebbe confusione, che ordine, il perché noi
l'usiamo solamente in quelle cose, nelle quali ella è molto ma­
nifesta» (V, c. l l r). Anche l'ombra trova così una sua elegante
collocazione sotto Venere, nel mondo naturale, tra le « vaghez­
ze terrene»: « et nella relatione è l'ombra perché ha relatione
con le fronde delle quali essa è ombra» (V, c. 29v) .
Il materiale che i quattro manoscritti trasmettono non do­
veva essere facile da maneggiare: per lo più si trattava di una
serie di �lenchi, più o meno lunghi, da collocare nel giusto
ordine. E difficile dire quanto derivi dal Camillo e quanto via
via sia stato magari aggiunto, levato, corretto dai suoi discepo­
li e da chi trascrive il manoscritto. Un copista testimonia che
uno dei problemi era appunto gestire lo spazio del foglio, as­
segnare a ciascuno degli elenchi una parte adeguata: ali'elen­
co delle arti legate alla Luna, leggiamo ad esempio in V, si dà
un quarto della carta, mentre alle arti navali « se danno 4 car­
te» (c. 47r) . Si capisce anche bene, leggendo i manoscritti,
come un ordinamento enciclopedico che intendeva essere il
più articolato possibile tendesse a sconfinare nel dizionario,
fin quasi a sciogliersi, per così dire, nel dizionario. Siamo del
resto in una fase storica in cui i confini tra dizionario, enciclo­
pedia, repertorio, non sono sempre ben definiti. 1 Così, ad e­
sempio, sotto la porta di Venere troviamo le « parti della men­
sa», e si elencano « trespoli, tavola, tapeto da tavola, credenza,
vasi», e poi i « vasi pertinenti al beveraggio» (B, c. 484v). Gli
elenchi relativi alle diverse arti (ad esempio alla lavorazione
della canapa) ci ricordano la Tipocosmia del Citolini, il libro/bi­
blioteca/ dizionario pubblicato nel 1561, a lungo sospettato
1 . Nel Dittionario volgare et latino di Orazio Toscanella, Comin da Trino, Ve­
nezia, 1568, ad esempio, le singole voci tendono a espandersi verso l'enci­
clopedia e il repertorio emblematico e iconologico (cfr. Bolzoni, La stanza
della memoria, cit., pp. 61-64) . E cfr. Claudio Marazzini, L 'ordine delle parol,e.
Storia di vocabolari italiani, il Mulino, Bologna, 2009.
LA GALASSIA DEL TEATRO 89
di aver utilizzato e plagiato il Teatro di Camillo, 1 mentre un
altro amico di Camillo, Pietro Aretino, ci viene in mente
quando leggiamo l'accurata anatomia dell'« arte libidinosa »
(B, c. 49l r) e delle varie« modalità della copula » (G, c. 274v,
dove, nella lista di ciò che pertiene al coito femminile, trovia­
mo anche la « fuga di femina con femina »). Ci sono poi elen­
chi che hanno un certo fascino, poiché la forza dell' evocazio­
ne si lega alla qualità fonica delle parole, come ad esempio
nel caso dell'afflizione, collocata naturalmente sotto Saturno.
Sotto la categoria dell'impotenza troveremo « il nocivo, lo
strascinato, il ribattuto, il rimosso, il divino, l'escluso, il rove­
sciato, l'abatuto et urtato perché mostrano non haver havuto
potenza di resistere »; sotto il patire« il percosso, il penetrato,
il fiaccato, il rotto, il pestato, il roso, il tagliato, il conquassato,
il minato, la roina, il destrutto et l'adnihillato » (V, c. 18v). E
il lettore contemporaneo è tentato di ritrovare il sapore di
certe classificazioni alla Borges in elenchi come questo (V, c.
7 r) , che fa parte del mondo naturale sottoposto a Saturno:
Quadrupedi di unghia bisulca
Quadrupedi unghiuti
Serpenti in genere
Serpenti gambuti
Serpenti non gambuti
Vermi gambuti
Vermi non gambuti.
I manoscritti ci testimoniano bene la tensione tra la molte­
plicità, tendenzialmente infinita, e l'unità dello schema che
caratterizza il progetto del Camillo. Chi è ben consapevole
della difficoltà di tenere insieme i diversi schemi, di farli com­
baciare, è colui che trascrive il manoscritto di Bologna. Questi
ha sott'occhio sia l'Idea del theatro sia una versione manoscritta
che lui chiama il« libro del Milano » e che doveva essere molto
vicina a quella di V e di M. 2 È un editore del testo molto atten-
1. Cfr. Anna An tonini, La « Tipocosmia " di Al.essandro Citolini: un repertorio
linguistico, in Repertori di parai.e e di immagini. Esperienze cinquecentesche e moderni
«data bases "• a cura di P. Barocchi e L. Bolzoni, Scuola Normale Superiore,
Pisa, 1997, pp. 159-232.
2. Franco BaccheIli mi ha comunicato un'interessante ipotesi: potrebbe trat­
tarsi di Giulio da Milano, cioè di Giulio della Rovere, agostiniano milanese,
grande predicatore presente a Bologna alla fine degli anni Trenta, dove in­
cappa - prima di fuggire Oltralpe - in un procedimento inquisitoriale con­
temporaneo a quello del Fileno.
90 INTRODUZIONE

to a segnalare le varianti, a spiegare le ragioni delle sue scelte,


tese a ricostruire uno schema il più ricco possibile. « Qui man­
ca secondo l'Idea il Paradiso terrestre, quale nel libro del Mila­
no è sotto 'l convivio solare» scrive ad esempio nel convivio di
Venere, a proposito dei luoghi beati in cielo, e poco dopo,
nell'antro di Venere: « Luoghi beati in terra, secondo il libro
del Milano, che nell'Idea non se ne ragiona» (B, c. 473r) . In­
teressante anche la terminologia che usa per indicare i diversi
elenchi: sotto Venere, nel sesto grado, tra le azioni relative alla
natura troviamo « Giocondità»: « Questo trattato ci manca»
scrive il nostro copista « secondo l'ordine dell'Idea, quale si
figura con l'imagine di Bacco» (B, c. 477v) . « Trattato» indica
per lui dunque ciò che dà il titolo all'elenco.
In tre dei nostri manoscritti (V, M, B) dominano gli elenchi
e molto minor spazio hanno, rispetto all'Idea, le parti per così
dire teoriche, che collegano il Teatro al modello del cosmo,
alla natura profonda del mondo e dell'uomo. Un'eccezione è
rappresentata dalla parte dedicata all'anima umana, con una
ricca gamma di citazioni: ad esempio, oltre a Aristotele e san
Tommaso, Averroè, Alessandro di Afrodisia, Giovanni Dama­
sceno (V, cc. 64v-65v; B, cc. 500v-501r) . Quel che differenzia
nettamente questi tre manoscritti dall'Idea è, per quanto ho
potuto vedere, l'assenza della tradizione cabalistica, che viene
invece ampiamente convocata nell'Idea (e in G) per rafforza­
re il sistema delle corrispondenze tra le diverse tradizioni
filosofiche e religiose, fino a costituire un ingrediente essen­
ziale del Teatro.
Fra i tre manoscritti l'unico che inizia con una parte teori­
ca è M. Vi ritroviamo temi cari al Camillo, come la riafferma­
zione del fatto che la sua retorica si basa su di un modello
divino, e che il Teatro comporta sia un processo di discesa
alla molteplicità del particolare, di ciò che è accessibile al
senso, sia la possibilità di risalire all'universale, ai princìpi
primi. Il testo si apre segnando per così dire un limite: la lu­
ce invisibile che circonda il prodotto divino è inaccessibile
sia all'uomo che all'angelo, per cui bisognerà adottare il
punto di vista di ciò che Dio ha prodotto (« acciò non se ne
vaneggi nell'ente infinito») : « Dio chiamandosi sfera in o­
gni modo tiene il centro, quale mentre è in ogni loco, non
constituisce circonferenza, ma stando in moto, gira l'eterne
LA GALASSIA DEL TEATRO 91
rote dell'universo, da che l'intelletto humano qua giù ardi­
sce mirare per quanto può che la deità dell'immenso del
suo grembo offerisce et produce, et il prodotto è circondato
da invisibile luce» (c. I r) . 1 L'opera di Camillo, la sua retori­
ca in primo luogo, si modella appunto sulla produzione di­
vina, scendendo fino in basso, al particolare, all'individuo,
così da fornire quegli strumenti che gli antichi non hanno
saputo dare:
Né credo che gli antichi havessero totalmente costretto il tutto
nelle lor Rhetoriche che non vi fosse rimasto alquanto da pensare
da chi venisse di poi et perché il proposito mio è di rivolgerme in
quella parte che è amica del senso, la fatica è molto maggiore,
imperoché le cose quanto vengono più agli individui, tanto fanno
maggior numero, et quanto più vanno verso i più alti universali,
tanto vengono a mostrarsi più poche. In pochi capi se faticarno
l'antichi, poiché non discesero alla specialissima specie de quali
entro a parlar de gran numero. Et dico se verrò a parlar de Socra­
te o de Platone, che mi sarà più commodo l'andare all'huomo, il
quale è loro vicino, che all'animale, o al vivente, et alla sostanza
[M, c. 3r] .
Nella sua opera, egli sostiene, « si scorgerà minutamente
l'ordine della sapienza humana» (frase che probabilmente è
legata al titolo del manoscritto, Theatro della sapientia) e nello
stesso tempo, una volta terminata l'impresa, sarà possibile
tornare agli « universalissimi principii» (M, c. 3v) , anzi più in
alto ancora, poiché si potrà ricondurre tutto ai due princìpi
del bene e del male, e procedere per diminuzione e accresci­
mento, partendo addirittura, se necessario, dalla materia pri­
ma. Il Teatro intende muoversi dalle altezze più remote fino
ai livelli più bassi e molteplici, delle singole ma�erie, poiché
c'è un unico principio che opera a ogni livello. E molto inte­
ressante che intervenga a questo punto, per dare un'idea del
procedimento, un esempio figurativo:« ho veduto nell'imagi­
ne di Cesare secondo la sua grandezza naturale composta del
tutto in una piccola corniola» (M, c. 4r) , immagine poi ripro­
dotta quattro volte più grande del naturale, « et pur tutte era-
1. Molto vicini alcuni passi iniziali dell' Interpretatione dell'arca delpatto, dove si
ricorda che i cabalisti hanno rappresentato l' infinitezza divina (En Sof) con
un circolo la cui metà inferiore è oscura e quella superiore è lucida, « non
perché la divinità sia per sé oscura, ma perché mette in oscurità et tenebre
tutte quelle menti che per loro forze la vogliono indagare » ( c. 3v) .
92 INTRODUZIONE

no le vere imagini de Cesare» ( wc. dt. ) . La « vera imagine », il


modello, può agire a diversi livelli, essere presente al di là del­
le dimensioni e del materiale usato. Il ritratto diventa così l'e­
sempio della possibilità di catturare l'idea, e di inseguirla at­
traverso i diversi livelli dell'essere. 1 Interessante è anche il ri­
ferimento a un ritratto in miniatura: il fascino per questo ge­
nere di produzione risaliva al mondo classico (Plinio, Historia
naturalis, VII, 85, e XXXVI, 43) e conosce una rinnovata for­
tuna nel Cinquecento. 2 Il testo che segue in M prende le mos­
se dalle 'produzioni divine', dalla materia prima fino all'azio­
ne conciliatrice e generativa dello spirito di Cristo: una tratta­
zione del tutto simile a quella che, nell'Idea del theatro, apre il
grado del Convivio.
Rispetto all'Idea, infine, i manoscritti del Teatro presenta­
no una galleria di immagini in parte diversa, o almeno più
ricca (come se alcune delle immagini principali ne generasse­
ro altre): troviamo ad esempio in V, sotto Diana, il fanciullo
nascondente il viso, sotto Mercurio angeletti versanti acqua
dal cielo nel primo grado, e nel secondo due fanciulli che si
sospingono e un fanciullo con la cassetta (c. 47r). Nella colon­
na di Venere, inoltre, Giove bacia la dea, e incontriamo « il sati­
ro d'intorno alla sonachiosa» (c. 48r); la colonna di Giove ci
propone il « corno delle divitie» ( c. 49r), Mercurio con la cico­
gna e la nave di Ulisse, mentre in Saturno figura una misterio­
sa « dea pensosa» ( c. 49v).
Se proviamo a far interagire l'Idea del theatro con le versioni
dei tre manoscritti, ci troviamo di fronte a un gioco combina­
torio non facile ma non impossibile. Abbiamo uno schema di
base che resta fisso, con qualche variante nelle immagini e
nella classificazione di un materiale molto ricco, nella costru­
zione di quei 'luoghi' che dovevano servire anche a collocare
tutti i frammenti derivati dalla anatomia dei testi.

I. Nelle carte di M qui analizzate molti sono i punti di contatto con ( e a volte
puntuali riprese di) altri testi di Camillo: cfr. Pro suo de eloquentia theatro ad
Galles oratio, pp. 18-25, e Disanso in ma/ma del suo theatro, pp. 22-24, dove ri­
troviamo la possibilità di ridurre tutto a due princìpi, secondo il modello
pitagorico, e l' esempio del ritratto di Cesare.
2. Cfr. ad esempio quel che dice il Vasari di Properzia de' Rossi, delle figure
che riusciva a intagliare in noccioli di pesca (Vasari, Le vite, cit., voi. IV, 1976,
p. 401) .
3. Là dove le tradizioni si mescolano: il manoscritto di Cenava

Ma è venuto di recente alla luce un nuovo manoscritto, che


per certi aspetti ci esime dal porre in atto il nostro gioco com­
binatorio perché lo realizza al suo interno. Il manoscritto di
Genova, infatti, purtroppo mal conservato, con ampie parti di
lettura difficile e a volte impossibile, fa, a quanto pare, il lavo­
ro per noi, nel senso che inserisce il testo dell'Idea del theatro
in una trattazione più ampia e complessa, dove riaffiorano le
categorie e i lunghi elenchi che abbiamo visto nei tre mano­
scritti, con in più una vera e propria enciclopedia e una serie
di tavole che sintetizzano e visualizzano l'ordine del Teatro.
Una serie di disegnini, naif ma efficaci, accompagnano le de­
scrizioni delle immagini e scandiscono le principali articola­
zioni dei luoghi. Il suo titolo, Theatro universale di tutte le arti
et scienze ridotte per tavole generali alli suoi primi principii et luochi
comuni appartenenti ad ogni concetto di materia d 'arte o di lingua
da M. Giulio Camillo Del Minio composto in gratia del re Christia­
nissimo di Francia in due parti diviso, con il rinvio al mecenati­
smo del re francese, ci fa pensare all'opera di cui parla Gio­
vanni Giuseppe Capodagli nella sua Udine illustrata, del 1665:
« il stimatissimo Theatro delle scienze, rimase scritto di suo pu­
gno in mano della maestà del re Christianissimo, né so se sii
stampato». 1 Molto interessante è per noi il fatto che il mano­
scritto si trovi a Genova, città che ha un ruolo importante nel­
la vita di Camillo ed è legata alla sua amicizia con la famiglia
Sauli, con Stefano Sauli in particolare. Già nel periodo pado­
vano, come ricorda Paolo Manuzio, Camillo faceva parte del
gruppo di amici, fra i quali Marc'Antonio Flaminio e Christo­
phe de Longueil, che frequentava casa Sauli;2 Sebastiano Sau­
li e Flaminio compaiono inoltre insieme con Camillo come
interlocutori nel dialogo De iudicio, pubblicato a Ferrara nel
1562 da Bartolomeo Ricci e dedicato al cardinale Luigi d'E­
ste: Ricci incontra i tre amici a Bologna, a casa di Alessandro
Manzuoli; di lì, ricorda, avrebbero accompagnato il Sauli a
Roma per poi passare l'estate insieme nella sua bellissima vii-
1 . Giovanni Giuseppe Capodagli, Udine illustrata da molti cittadini così nelle
lettere, come nelle armifamosi, e non tanto per dilf'l,ità ecclesiastiche e secolari, Nicolò
Schiratti, Udine, 1665, p. 334.
2. Cfr. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Molini, Landi e
C., Firenze, tomo VII, parte prima, 1 809, p. 196.
94 INTRODUZIONE

la genovese, « in literarum otio, quasi Platonico instituto». 1


Tra Padova, Bologna, Genova, si muove un gruppo di amici
impegnati nella poesia, nelle lettere, e interessati a idee di ri­
forma religiosa.2 A quanto pare Camillo, Flaminio e Sebastia­
no Delio erano ospiti del Sauli a Genova nel giugno 1525. E
c'è una testimonianza che potremmo associare al manoscrit­
to genovese del Teatro: la troviamo nella Prefazione al volga­
rizzamento delle orazioni di Cicerone che Sebastiano Fausto
da Longiano dedica nel 1556 proprio a Sebastiano Sauli: nel­
la sua villa, egli scrive, Giulio Camillo, « in quel piacevolissimo
colle sopra il mare, ritrovò, principiò e terminò con la scorta
del giudizio di Vostra Signoria, la Fabrica del suo Teatro». 3 Ci
piace pensare al nostro manoscritto sullo sfondo del mare, tra
Italia e Francia, nel buen retiro di una scelta compagnia di a­
mici. 4 E lo possiamo fare aiutati da un sonetto di Camillo, de­
dicato appunto alla bella villa dei Sauli affacciata sul mare
dove « i pesci scherzano con gli Amori»:
D'ombre, d'herbe et di fiori altero scoglio,
ove tesson le Muse ampia corona
al nome Saulio: o porto a me tranquillo,
è ben ragione se tanti d'honor ti voglio,
che 'n sul sasso, che 'n giù più s'abbandona,
diposto ha i suoi sospir Giulio Camillo.5

1. Bartolomeo Ricci tiene nel 1547 a Ferrara l'orazione funebre per Fran­
cesco I di Francia, dedicata a Renata di Francia, ed esalta il mecenatismo del
re; Luigi Alamanni e Giulio Camillo sono citati fra coloro che ne furono
testimoni. L'orazione si legge in operum Bartholomaei Ricci Lugiensis tomus
frrimus, Giovanni Manfrè, Padova, 1748, p. 115. Il dialogo De iudicio è alle pp.
165-203, cfr. in particolare p. 170.
2. Cfr. Alessandro Pastore, MarcantonioFlaminio, in Dizionario biograjiro degli
italiani, cit., voi. XLVIII, 1997, pp. 282-88; Lucia Gualdo Rosa, Sebastiano De­
lio, in Dizionario biograjiro degli italiani, cit., voi. XXXVI, 1988, pp. 650-51.
3. Orationi di M. T. Cicerone di latine fatte italiane. Diviseper i generi in giudiciali,
deliberative, e dimostrative . . . Con l 'annotationi de /,e cosepiù degneper cognitione de
la Republica Romana, traduzione di Sebastiano Fausto da Longiano, Ludovi­
co Avanzi, Venezia, 1556, c.n.n.
4. Bartolomeo Ricci, in una lettera, esalta l'accademia privata, fatta di pochis­
simi amici, quale quella che Stefano Sauli, « in hisce nostris studiis elegantissi­
mus », ha radunato «in amoenissima villa sua in agro Genuensi cum Marco
Antonio Flaminio, cumJulio Camillo ac Sebastiano Delio» ( Dperum Barthofb.
maei Ricci Lugiensis tomus secundus, Giovanni Manfrè, Padova, 1748, p. 95).
5. Il sonetto è contenuto in De /,e rime di diversi nobili poeti toscani, racrolte da M.
Dionigi Atanagi, Ludovico Avanzi, Venezia, 1565, tomo Il, c. 166r.
LA GALASSIA DEL TEATRO 95
Ai Sauli Camillo sarà legato fino alla fine: nella lettera che
descrive gli ultimi momenti di vita di Camillo, Girolamo Mu­
zio ricorda che quella sera andarono a cavallo a casa di Dome­
nico Sauli, « il quale ha due figliuoli giovinetti, di lettere stu­
diosi, a' quali egli si diedi ad interpretare alcuni versi di Virgi­
lio»; e sarà proprio Domenico Sauli a prendersi cura della sua
sepoltura, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. 1 Molto vi­
cina al 1525 è una data che troviamo nel manoscritto di Geno­
va: si ricorda che le comete possono avere la forma di un col­
tello, o di falce, o di spada, « come successe lo anno 1526 et
durò dalle 23 d'Agosto fino ali 6 di Settembre» (c. 9lr) .
Nel frontespizio del codice, una citazione dal libro dei Pro­
verbi, (18, 4 ) , « aqua profunda verba ex ore viri et torrens re­
dundans fons sapientiae », contrappone le parole umane alla
fonte della vera sapienza e, come possiamo facilmente imma­
ginare, suggerisce che il Teatro si colloca nella dimensione in
cui l'acqua della sapienza divina irrora il mondo umano. Le
prime carte (2r-4v) sono molto vicine ad alcuni importanti
passi del Discorso in materia del suo theatro (pp. 11-12) che abbia­
mo già ricordato: Camillo rivendica, con un misto di umiltà e
di megalomania, la sua posizione rispetto alla grande tradi­
zione antica; cita il Timeo platonico (41b-42e) per spiegare
che i retori antichi sono per lui il Demiurgo, e il suo contribu­
to è simile a quello degli dèi ministri, nel senso che rende
sensibili i loro insegnamenti, li fa accessibili, più articolati,
più vicini alle materie, e anche li arricchisce con quanto di
nuovo l'esperienza storica ha prodotto. Ma non si tratta sol­
tanto di una versione più ampliata, e didatticamente più
efficace dell'antica retorica. Il riferimento al Timeo, e all'azio­
ne creatrice, non è soltanto un dotto paragone. Col suo Tea­
tro Camillo ricrea il mondo e significativamente anche qui,
all'inizio del manoscritto di Genova, riprende il tema della
misteriosa grandezza che è nell'uomo e che gli ha permesso
di ritrovare appunto un ordine nella molteplicità delle cose
che nel Teatro sono collocate.
Né però è maraviglia, ch'io habbia trovato dentro di queste cose
un ordine con alcuna arte tanto grande, percioché la ragion d'Avi­
cenna nel sesto de i naturali può molto appresso di me, dove dice,
nell'anime nostre essere una certa virtù di alterar le cose, et farle o-

1. Neri, Una lettera inedita di G. Muzio, cit., p. 238.


96 INTRODUZIONE

bedienti a noi, mentre l'anima nostra è portata da alcuna grande


affettione sopra esse. Et di qui credono alcuni esser nate le incanta­
gioni et le negromantie; perché a punto quelli che indovinano, di­
cono nessun tempo esser più accomodato, che quando l'animo det­
ta: o sia perché la grande affettione alteri il corpo, et quelle cose,
sopra le quali egli si muove; o sia per dignità dell'huomo, ch'è ima­
gine di Dio, a cui le cose inferiori obediscono, o per altra cagione
assegnata da Naturali; benché io il tutto riconosca da Dio
leggiamo nel Discorso in materia del suo theatro (pp. 1 1-12), e
accenti del tutto simili possiamo faticosamente decifrare in
G, in una pagina di difficile lettura (c. 3r). Quel che è in gioco
è il potere della mente umana (qui evocato attraverso il gran­
de tema della forza magica della imagi,natio) , 1 e cioè una delle
condizioni essenziali perché il Teatro possa anche solo essere
concepito. La tradizione manoscritta ci mostra - e ne abbia­
mo dato solo qualche esempio - un continuo riuso di passi e
argomentazioni presenti in altre opere di Camilla. Tutto que­
sto ci dà l'idea di un puzzle, di un mosaico continuamente
costruito e rifatto. Probabilmente Camilla stesso riciclava via
via, a seconda delle circostanze, 'tessere', pezzi di spiegazione
e di difesa del suo Teatro; la ricca e frammentata tradizione
manoscritta dovette dare a sua volta un contributo a questa
decostruzione e ricomposizione di testi.
La parte che G dedica alle categorie, all' « ordine predica­
mentale » (c. 1 1 r) sembra molto vicina a V. La discussione di
ciascuna di esse rivela un'ampia conoscenza dei commentato­
ri aristotelici: oltre a rivendicare, come abbiamo già visto, la
sua sapienza pratica nei confronti delle distinzioni filosofiche,
Camilla esalta la propria capacità di concordare le tradizioni,
di risolvere i contrasti e le difficoltà che hanno diviso i filosofi.
Il modo in cui la categoria del luogo è intesa nel Teatro, dice
ad esempio, è « più utile per il compendio e brevità sotto la
quale vogliamo nelle tavole del nostro Theatro dichiarare tut­
te le scientie, arti et operationi» (c. 33). Le tavole diventano
così lo strumento che facilita l'accesso rapido al sapere, un e­
quivalente del metodo facile e breve per scrivere bene che l'A­
riosto aveva esaltato in Camilla ( Or/,andofurioso, XLVI, 12, 5-7).

I. Camillo fa qui riferimento a Avicenna, De anima, IV, 4: « quando ... l'ani­


ma immagina qualche immaginazione e si fissa in essa, subito la materia
corporea riceve una forma che è legata a quella immaginata da una qualche
similitudine o qualità ».
LA GALASSIA DEL TEATRO 97
Se le categorie forniscono la griglia logica per dare ordine
e collocazione all'intera realtà, la parte dedicata ai « nove
principii generali o siano predicamenti assoluti», che inizia a
c. 74v, è una vera e propria enciclopedia, in cui da Dio, dalla
materia prima, dalla fonna, si discende ai quattro elementi
del mondo inferiore, alla loro generazione e corruzione, ai
« tanti e sì meravigliosi effetti» ( c. 82r) che così si producono
e che nel secondo libro le tavole, dedicate a ciascuno dei sette
gradi del Teatro, visualizzano per la comodità degli studiosi/
spettatori. Ed è forse proprio l'ampiezza e la qualità di questa
parte enciclopedica a testimoniare una dimensione nuova, o
almeno largamente inedita, del nostro personaggio. Trovia­
mo anche qui una accurata attenzione, uno sguardo ravvici­
nato al mondo delle arti e dei mestieri (per esempio all'arte
del barbiere e a quella dei profumi, ai giochi e agli spettacoli,
alla coltivazione delle viti e dei giardini) ; ci si sofferma a lun­
go sui segreti nascosti nel settenario, sulla perfezione del set­
te; molto spazio è dato all'astrologia e al calcolo del tempo,
alle cronologie dei diversi popoli; impariamo tutto sul nume­
ro e le qualità degli angeli e degli spiriti che abitano i diversi
elementi; una serie di ricette ci insegna i rimedi e i segreti per
tutti i problemi: dai filtri amorosi al mal di denti, alle ferite,
alla magia erotica degli specchi di cristallo, a come interpreta­
re i portenti, a come decifrare i segni fisiognomici che ogni
parte del nostro corpo reca con sé. Se racconta queste cose,
scrive a un certo punto Camillo, è perché si capiscano « la
forza e la possanza che Dio s'è degnato dar all'huomo» (c.
73r) . Ci vengono in mente i libri dei segreti, ma anche la
grandiosa opera che, nella seconda metà del secolo, Giambat­
tista Della Porta dedicherà alla magia naturale, mentre l'at­
tenzione alla mitologia, ai significati dei diversi attributi degli
dèi e delle fatiche di Ercole ci fanno pensare ai repertori
mitografici di Natale Conti o di Vincenzo Cartari. Nello stesso
tempo è fortissima la presenza della tradizione medioevale, e
la citazione di Cecco d'Ascoli (c. 70v) ne è solo un piccolo
indizio. Dal punto di vista biografico, il manoscritto di Geno­
va aiuta a capire, e a rendere credibili, alcuni aspetti rimasti
un po' oscuri e marginali, come ad esempio l' « oro potabile»,
che abbiamo ricordato all'inizio, che Camillo aveva propinato
a un suo sfortunato cliente promettendogli la giovinezza, o
le ricette a lui attribuite in uno zibaldone alchimistico, come
98 INTRODUZIONE

l'« oglio di antimonio», o un« biondo da capelli di una donna


a S. Marcuola». 1 Tutto questo, ci mostra il manoscritto di Ge­
nova, non è altro rispetto alla ricerca dell'universale Teatro
della memoria e del sapere: ne è, per così dire, la parte prati­
ca, ne è una componente, allo stesso modo delle raffinate ci­
tazioni di sant'Agostino e della discussione dei testi cabalisti­
ci. Del resto Camillo ricorda le sue pratiche di geomanzia nel
De l'humana deificatione, prendendo come spunto il bisogno di
non distrarsi, di concentrarsi, nel processo di elevazione a
Dio, e vi si ferma in modo dettagliato, pur rinnegandole co­
me pratiche in cui non crede più.2
Come gli altri manoscritti del Teatro, anche G ci presenta,
entro lo stesso schema delle immagini di base, altre immagi­
ni, che animano ulteriormente i diversi luoghi, le diverse arti­
colazioni del Teatro. Una sua caratteristica unica, a quel che
mi risulta, è il fatto che ci dice che alcune delle immagini so­
no scolpite: « Sotto la porta di Saturno in questa colonna si
vede scolpita una figura d'Hercole nella lotta con Antheo»
(c. 232v), e ancora: « sotto la Pasiphe del Sole si vedono scol­
pite sei immagini con sei volumi differenti» (c. 290r) . La tra­
dizione finora conosciuta parlava di immagini dipinte. Nel
carme latino indirizzato a Bembo Camillo invoca le sette divi­
nità planetarie, che reggono tutta l'architettura del mondo,
così come reggono tutta la macchina del Teatro, distinguen­
do i suoi luoghi dipinti (« vos certa nostri regitis loca picta
Theatri») . 3 La testimonianza di G ci fa immaginare anche la
1. Cfr. il codice Magi. II III 399 della Biblioteca Nazionale di Firenze, Raccol­
ta di processi chimici 1538- '48, cc. 1 r, 79v, 5v, segnalato da Francesco Flamini,
Le lettere italiane alla cmte di Francesco I re di Francia, in Studi di storia letteraria
italiana e straniera, Giusti, Livorno, 1895, pp. 197-337 (in particolare p. 325).
2. « Ho io in essempio me medesimo, me, dico, ne' tempi che mi parea
pigliar li celesti consigli da i vani punti di geomantia; et invero mentre io
gittava la figura, sì fissamente univa per la mano la mia mente col moto del
cielo che ad altro io non intendeva. Per la qual ferma unione mi pareva che
piovesse nella figura ogni verità dal cielo; ma se alcuno fosse soprawenuto,
o la penna non havesse havuto tanto inchiostro che mi fosse possuto bastar
a tutta la figura, senza aver bisogno di tingerla di nuovo, non mi pareva poter
giudicar per quella, essendomi stato interrotto il corso de l'intentione. Ma
se in sì fatte vanità io usava tanta religione, quanta maggior dobbiamo usar
ne l'intentione da esser senza rompimento servata nel cammino che ci con­
duce a Dio? » (De l'humana deijicatione, p. 2 12) .
3. Giulio Camillo, Epistula ad Petrum Bembum, in Pro suo de eloquentia theatro ad
Gallos oratio, cc.n.n., v. 27.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 99

presenza di sculture (bassorilievi?) , che danno una nuova di­


mensione, una diversa consistenza alle immagini del Teatro.
La chiusa del nostro manoscritto sottolinea il carattere cir­
colare del Teatro, che riproduce « l'ordinatissimo circolo»
con cui gli antichi Egizi hanno collegato i giorni della settima­
na ai pianeti e spiega che le immagini « servono a guisa di stel­
le fixe» (c. 337v) , che agiscono sia da sole sia in unione con i
pianeti. E propone una specie di sintesi del progetto che ha
preso vita nelle centinaia di carte che precedono: «Si ritroverà
poi anche a suoi luochi sotto le loro colonne per li gradi sparsi
li vestimenti di tutti li concetti di arte e di lingua che si ponno
offerire all'uso humano. Oltre la dichiaratione di molti passi
della Scrittura Cabalista et le favole de Poeti et Gentili ridotte
al loro vero significato et tutto sia ad Honore et gloria del trino
spirto et sommo Iddio in seculorum secula Amen» (c. 338r).

VI. ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO

1. Metamaifosi e plagi,

Camillo aveva posto il suo Teatro all'insegna della meta­


morfosi, dell'arte della trasmutazione: una cifra in certo senso
profetica, che ben si addice ai modi della sua fortuna, ai diver­
si volti che via via assume, vivendo anche di vita autonoma:
modello, fantasma, mito affascinante che altri interpretano,
rivestendolo di forme nuove, ricombinandone gli elementi
nel gioco di una indiavolata ars comlnnatoria. C'è infatti una li­
nea, nella fortuna del Teatro, in cui il modello architettonico
si fa forte, per cui i luoghi e la struttura di un edificio vengono
in primo piano, oscillando tra teatro e villa; d'altro canto le
immagini acquistano una particolare energia: più che inserirsi
nello schema, così da scandire i luoghi dell'ordine, fisico e
mentale, tendono ad assumere una forza autonoma, a imporsi
soprattutto per la capacità di costruire intorno a sé una rete di
associazioni, di pescare e riattivare ricordi, insegnamenti mo­
rali, suggestioni iconologiche e letterarie. E questo mi ha fatto
venire in mente quel che scrive Elias Canetti nella Vienna del
primo Novecento: « Le immagini son reti, quel che vi appare è
100 INTRODUZIONE

la pesca che rimane. Qualcosa scivola via e qualcosa va a male,


ma uno ci riprova; le reti le portiamo con noi, le gettiamo noi
e, via via che pescano, diventano più forti». 1
Ci sono, in questa intricata vicenda, protagonisti, registi e
comparse. Alcuni ci sono noti, come Anton Francesco Doni e
Orazio Toscanella, altri restano, per il momento, nell'ombra.
C'è sicuramente una complicata storia di plagi, di attribuzioni
incerte, una storia non ancora completamente chiarita e che,
secondo la logica teatrale, non ha rispanniato, e forse non ri­
spannierà in futuro, qualche buon colpo di scena. Proviamo a
raccontarla. All'inizio sta un onesto testimone, Orazio Tosca­
nella (1520 ca-1579) . 2 Toscano di origine, si trasferisce a Vene­
zia, dove si guadagna la vita come precettore privato, maestro
di scuola e collaboratore dei più importanti editori. La sua si­
tuazione economica non è delle più floride, ma è uno appas­
sionato del suo lavoro, che ha una grande fiducia nel libro, nel
libro in volgare e costruito in modo tale da facilitare l'accesso
al sapere: Toscanella realizza infatti parte del progetto utopico
dell'Accademia Veneziana della Fama che abbiamo già ricor­
dato, quello di rendere visibile il sapere attraverso tavole, albe­
ri, schemi, diagrammi, che mettono sotto gli occhi il procedi­
mento logico seguito, e aiutano la memoria e l'invenzione. I­
nutile dire che Giulio Camillo è oggetto della sua ammirazio­
ne, è uno dei suoi punti di riferimento. Ricordo ancora l'emo­
zione che ho provato, in anni ormai lontani, quando, leggen­
do un suo commento all' Or/,ando furioso, stampato nel 1574,
ho trovato citati dei brani che, assicurava l'autore, venivano
dal Camillo, anzi dal Teatro perduto del Camillo, proprio
quello conservato in Francia e a lungo ricercato invano, anche
dai nostri migliori eruditi di fine Seicento. 3 Il testo, affermava
1. Elias Canetti, Ilfrutto delfuoco. Storia di una vita (1921-1931), trad. it. di A.
Casalegno e R Colomi, Adelphi, Milano, 1982, p. 121.
2. Cfr. Bolzoni, La stanza della memoria, cit., pp. 53-75.
3. « Vi fu il celebre P. Montfaucon, che facilmente a richiesta di qualche
nostro letterato di Friuli, e forse dell'Arcivescovo Fontanini, ch'era di lui
amicissimo, scrisse all'abate Boivin bibliotecario del Re di Francia, pregan­
dolo che facesse diligenza in ricercare se questo Teatro restato presso il re
Francesco, vi potesse essere in quella regia Biblioteca. Ma il lodato Abate li
rispose, con lettera datata di Parigi il 21 giugno 1700 che sta originale presso
lo spesso lodato Signor Abate Fontanini, che avendo scorsi tutti i Cataloghi,
e spezialmente de' Mss. d'essa Biblioteca non ne aveva rinvenuto vestigio »
(Gian Giuseppe Liruti, Notizu delle vite ed <>/)ere scritte da ' l,etterati del Friuli,
Fratelli Gallici, Udine, 1780, voi. III, p. 129).
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 101
il Toscanella, proveniva dalla « libreria dello illustrissimo Car­
dinal Vecchio di Lorena», da cui era stato tratto « dal rarissimo
Luigi Alamanni». 1 Le informazioni erano plausibili: Luigi Ala­
manni, letterato fiorentino esule alla corte francese per le sue
idee repubblicane, aveva favorevolmente accolto il Camillo, lo
aveva lodato in termini molto simili a quelli dell'Ariosto e ne
aveva esaltato l'opera presso il re, suo ammiratore e discepolo
nell'arte poetica. 2 Il cardinale Giovanni di Lorena aveva pro­
tetto Camillo dai suoi nemici, lo aveva voluto al suo seguito
nelle missioni compiute in Italia nel 1 534 e nel 1 536, e aveva
testimoniato per il Teatro un'ammirazione che all'invidioso
Paolo Giovio era risultata decisamente eccessiva. 3 Certo i brani
che Toscanella attribuiva a Camillo proponevano qualcosa di
diverso da quanto si conosceva: il Teatro, « o, per dirlo più
chiaramente il libro delle sue nuove inventioni», si veniva de­
lineando come un palazzo ornato di immagini (la fama, l'a­
more, la fortuna, lo sdegno, la morte, il sonno e il sogno) accu­
ratamente descritte, secondo un'iconologia spesso bizzarra e
fantasiosa, capace di ricombinare i lacerti di una complessa
memoria letteraria, visiva, mitologica e scritturale. 4 Le imma-
1. Oratio Toscanella, Bellezz.e delFurioso di M. Loduuico Ariosto, Pietro dei Fran­
ceschi, Venezia, 1574, p. 19.
2. « Poi ripien di dottrina e d'alto ingenio / il buonjulio Camillo vedrai, /
che di lingue apparar mostra il sentiero / sì corto, piano e bel ch'ogni alma
chiara / al grand miracol nuovo alza la vista » (Luigi Alamanni, operetoscane,
Giunti, Venezia, 1542, voi. Il, Selva I, p. 21); e cfr. Pro suo de ewquentia theatro
ad Gallos aratio : tu, o Alamanni, scrive Camillo, sei molto grato al re, « qui ex
carminibus tuis plenis et artis et venustatis, saepe flores colligit, ex quibus
corollas saepe facit, ut te imitando gallicanas musas ornet, graecoque inces­
su ex te ducere choreas doceat ». Ricorda poi il sostegno che gli ha dato:
« Tu etiam qua de causa toties Regem hortatus esses, toties Regi ostendisses
artem, quam attuleram, omnium artium esse maximam, quae alias artes dif­
fusas, confusasque constringeret, illustraret, atque in promptu essent,
efficeret: nisi tantum de arte mea vidisses, quantum ad acquirendum gravis­
simum testimonium tuum satis fuisset » (p. 92).
3. Cfr. le lettere del 12 febbraio 1535 e del 15 luglio 1535 indirizzate a Ro­
dolfo Pio di Carpi, nunzio di Francia: il Giovio è indignato perché il cardina­
le di Lorena si è dimenticato di pagargli la pensione che il re gli aveva
promesso; glielo ricordi, egli scrive, « un dì, quando mira el mirabil teatro
del dottissimo Iulio Camillo » (Paolo Giovio, Lettere, a cura di G.G. Ferrero,
Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1958, pp. 142 e 160).
4. Toscanella, Bellezz.e del Furioso, cit., p. 89. Cfr. inoltre pp. 19, 24, 154-56,
187-89, 191-93.
102 INTRODUZIONE

gini segnavano le tappe di un percorso morale, e insieme di­


chiaravano di essere capaci di accogliere in sé (di ricordare/
far ricordare/esprimere) tutti gli exempla antichi e moderni
concernenti il tema, così da « allegare et porre ciascuna cosa al
luoco suo », come leggiamo a proposito del sogno. 1 Si trattava
di una iconologia morale, che in qualche modo integrava lo
schema astrologico che sta alla base del Teatro?
Mi sono posta allora il problema di analizzare da vicino i
brani che Toscanella attribuiva a Camillo ed è così che è venu­
to sulla scena, come per un secondo atto, quello che è il vero
protagonista della nostra storia, anche se il suo ruolo non è
ancora del tutto chiaro: Anton Francesco Doni. Seguendo al­
cuni indizi, e i suggerimenti di Paola Barocchi, sono andata a
Firenze, alla Biblioteca Nazionale, e lì ho letto una sua opera
pubblicata nel 1564: Pitture del Doni Accademico Pell.egrino nell.e
quali si mostra di nuuua inventione Amore, Fortuna, Tempo, Casti­
tà, Religione, Sdegno, Iuforma, Morte, Sonno et Sogno, Huomo, Re­
pubblica, et Magnanimità. Mi sentivo un po' come l'investigato­
re quando, nei romanzi gialli, ha davanti a sé tutti i personag­
gi, nella scena finale in cui l'assassino, o l'assassina, si rivela. I
brani che il Toscanella citava come scritti da Giulio Camillo
erano lì, alla lettera, con alcune variazioni che avevano tutta
l'aria di nascondere un plagio. Non sapevo che, come capita
nei migliori romanzi gialli, la scena finale era tale solo in ap­
parenza, e si trattava di andare ancora oltre.
Ma cominciamo intanto da quelli che mi apparivano come
i segni di un plagio compiuto dal Doni. In primo luogo il Do­
ni aveva un'idea per così dire discutibile della proprietà
letteraria: 2 quel che per noi oggi è un plagio per lui era solo
uno dei modi possibili del riuso, della combinazione, prassi
resa legittima dal fatto che tutto è stato detto, tutto è stato
scritto, e le lettere, i pensieri, le parole, come la vita dell'uo­
mo girano continuamente su se stessi, come la ruota di un
mulino. D'altra parte Doni conosceva bene Camillo: 3 si era
già impadronito della sua Grammatica nel 1552, spacciandola
come frutto di lezioni che lui avrebbe sentito a viva voce da un
1. lllùl., p. 89.
2. Cfr. Paolo Cherchi, Polimatia di riuso. Meu.o secolo di plagio (1539-1589),
Bulzoni, Roma, 1 998; Sondaggi sulla riscrittura del Cinquecento, a cura di P.
Cherchi, Longo, Ravenna, 1998.
3. Cfr. Bolzoni, n t.eatro della memoria, cit., pp. �9.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 1 03

accademico Peregrino, «grand'huomo et letterato»; in com­


penso Camillo veniva arruolato, per così dire, nella fantoma­
tica Accademia Peregrina di cui Doni era presidente e segre­
tario.1 Nella Lil,raria Doni scrive: « Quando gli huomini si tro­
vano come phenice al mondo non doverebbono mai aspetta­
re i secoli a illustrare il mondo con le lor dottrine; ond'io ho
dolor grandissimo che non sia la dottrina di Giulio Camillo,
spirito dottissimo, seminata per varii et assai volumi di libri
per il mondo, perché gli huomini havrebbono da legger cose
degne et alte, sì come in queste poche si può vedere».2
Doni si rivelava insomma al di sotto di ogni sospetto, e forse,
pubblicando sotto il proprio nome, nelle Pitture, la versione
'iconologica' del Teatro del Camillo, aveva pensato di fare o­
pera meritoria, di rimediare a modo suo alla grave mancanza
denunciata nella Lil,raria. Il confronto fra i testi che Toscanel­
la attribuiva a Camillo e i corrispondenti passi delle Pitture
sembrava rafforzare tale sospetto. Tra le varianti spiccano
quelle che sopprimono ogni riferimento alla corte francese
per dare al testo una patina italiana e magari fiorentina: così
troviamo nel Doni l'aggiunta di un riferimento al« padre Stra­
dino fondatore della Accademia de gli Humidi»; i motti sulla
morte non sono attribuiti al santo re Luigi, ma diventano mas­
sime trovate in casa di Filippo Scottiuoli, nobile anconetano;
sopra il letto del Machiavelli, invece che su quello del « gran
Contestabile» di Francia, viene collocata, con curiosa variazio­
ne, l'impresa relativa al sonno.' Una ulteriore metamorfosi
subisce la figura della Fortuna: scultura appartenuta al re
Francesco I nel testo citato dal Toscanella, nelle Pitture si tra­
sforma in un cammeo antico visto dal Doni medesimo « nello
studio del Magnifico M. Gabriele Vendramino (molto diligen­
temente scolpito) ».4 La testimonianza diretta è invocata an­
che per la pittura dell'Amore: quel quadro di Rosso Fiorenti­
no che Camillo (secondo Toscanella) diceva di aver visto nel
« guardarobba del Re »5 diventa un quadretto che il Doni ha
1 . Doni, Tre libri di kttere, pp. 263-92.
2. Doni, La libraria, p. 59.
3. Cfr. l'edizione, con ampia Introduzione e note a cura di Sonia Maffei, che
registra la primitiva impaginazione. Doni, Pitture, p. 258 (c. 59v ) , p. 259 (c.
60r ) , p. 232 (c. 44r ) .
4 . /bid., pp. 160-61 ( c . lOr ) .
5 . Toscanella, Bellezze delFurioso, cit., p. 24.
104 INTRODUZIONE

potuto osservare, fatto« per mano di Canata, pittore molte va­


lente» 1 ma, possiamo osservare, difficilmente identificabile.
Particolarmente sospetta appare poi un'altra variante, che in­
troduce un gioco interpretativo sulla parola 'morte' ispirato al
notarikon di derivazione cabalistica: « Da questo nome morte
... se ne trae una sostanza della cosa, et di qui io cavai la strada
dell'allegoria sopra il nome di Lucretia, per via de i cabalisti, et
la feci volgare» leggiamo nel testo del Toscanella. 2 Ma nelle
Pitture l'io scompare: « et di qui cavò Giu. Cam. la strada dell'al­
legoria sopra il nome Lucrezia per via degli Acaballisti, et la
fece volgare».3 L'impressione era che una citazione obbligata
ma pericolosa venisse celata dalle abbreviazioni del nome e
del cognome (con un procedimento inconsueto) . Per di più il
nome di Camillo viene omesso in quella « Tavola de gli autori
allegati, et altri huomini nominati nel presente libro» che tro­
viamo a c. 3r delle Pitture. Tutti questi indizi spingevano a pen­
sare che Doni fosse entrato in possesso del manoscritto perdu­
to del Teatro del Camillo, quello che ne dava una versione di­
versa rispetto all'Idea del theatro (una versione non tanto enci­
clopedica, quanto piuttosto architettonica e iconologica) , che
lo avesse utilizzato pienamente nelle Pitture e prima, parzial­
mente, in altre sue opere, per poi riciclare il testo, nel 1 565,
nella Zucca, in un libro V intitolato Il seme del/,a zucca composto di
chimere et castegli in aria, dove sifigurano di nuova inventione rrwlte
pitture confavole et historie non più udite, diviso in dodici trattati. Il
Toscanella doveva aver attinto a una diversa copia del mano­
scritto e, spinto da quella ammirazione leale che nutriva nei
confronti del Camillo, aveva citato la sua fonte, ignorando
probabilmente il plagio compiuto dal Doni. Data la personali­
tà del Toscanella, un'operazione in senso contrario, che cioè
avesse ritrascritto le Pitture del Doni così da attribuirle a Camil­
lo, era del tutto improbabile: era un onesto traduttore, un sen­
sibile protagonista della vita editoriale veneziana, non coltiva­
va i ghiribizzi, le « chimere et castegli in aria» che il Doni ama­
va, né condivideva con lui la disinvolta procedura del plagio e
del riuso dei testi altrui.
C'era però qualcosa che non tornava in questa ricostruzio­
ne. In primo luogo i brani che Toscanella attribuiva a Camillo
1 . Doni, Pitture, p. 225 (c. 41 r) .
2. Toscanella, Bellez.z.e delFurioso, cit. , p. 90.
3. Doni, Pitture, p. 264 (c. 62r ) .
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 105
avevano caratteri formali molto lontani dai testi del Camillo,
e invece del tutto riconducibili al Doni per la lingua, per lo
stile, per il procedimento stesso che sta alla base dell'inven­
zione delle immagini: una vertiginosa ars commnatoria, anima­
ta da un divertissement intellettuale che si fa spesso canzonato­
rio e cupamente moralistico. Come minimo si poteva pensare
che Doni avesse sottoposto a una integrale riscrittura suggeri­
menti, indicazioni che gli venivano da Camillo, da un mano­
scritto o dalla tradizione orale.
In questi ultimi anni, intanto, gli studi sul Doni si sono mol­
tiplicati: monografie, edizioni, convegni sono stati dedicati a
un personaggio che era stato tradizionalmente ai margini del
canone e della storiografia letteraria. 1 Le moderne edizioni
commentate del manoscritto delle Nuaue pitture (1560) , delle
Pitture (1564) e della Zucca (1565) , 2 oltre agli studi dedicati
alle altre opere del Doni, hanno permesso di mettere meglio
in luce come questi testi si inseriscano nel suo variegato per­
corso di scrittura e come singole parti dei testi vengano via via
riusate, riscritte dallo stesso Doni, che applica anche a se stes­
so i procedimenti con cui plagia e maschera i testi altrui. Fra
gli altri è emerso un dato importante per la nostra 'ricerca
dell'assassino', e cioè il fatto che Doni, interessato alle impre­
se, attinge da subito alle Devises heroiques di Claude Paradin,
pubblicate a Lione nel 1551 senza commento testuale, e poi
nel 1557 con il testo esplicativo. Di qui Doni deriva, come ha
mostrato Sonia Maffei, tre delle cinque imprese che inserisce
nelle Nuaue pitture. 3 Camillo era morto nel 1544, e questo sem­
brerebbe allontanare dal Doni ogni sospetto. Ma, come ve­
dremo, al solito le cose non sono così semplici.

1 . Mi limito a rinviare a / « Manni " di AF. Doni: la swria, i generi e le arti, a cura di
G. Rizzarelli, Olschk.i, Firenze, 2012; Dissonanze disamii. Temi, questioni e pers<>­
naggi intmno ad AF. Don� a cura di G. Rizzarelli, il Mulino, Bologna, 2013.
2. Oltre che le Pitture, Sonia Maffei ha curato Le n=pitture; cfr. inoltre Anton
Francesco Doni, Le nuvelle, tomo II: La z.ucca., a cura di E. Pierazzo, Salerno Edi­
trice, Roma, 2003, e Elena Pierazzo, Dalle«N=pitture» al «Semedellaz.ucca», in
«Una soma di libri». L'ediz.ione delleopere di AntonFrancesroDoni, a cura di G. Masi,
Olschk.i, Firenze, 2008, pp. 271-97. Sui manoscritti di Doni, cfr. Giorgio Masi e
Carlo Alberto Girotto, Le carùi diAF. Don� in «L'Ellisse », III, 2008, pp. 171-218.
3. Doni, Le nuove pitture, pp. 130, 140, 151 (cc. 19v, 23v, 26v ) . L'indicazione
delle carte rinvia al codice della Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, cod. Patetta 364.
2. Il teatro del Doni: liuro, edificio, chimera

Ripartiamo allora dal Doni, e vediamo come si delinea in


lui il progetto che sfocia nelle Pitture. La sua natura incerta e
mutevole, il suo oscillare fra architettura, mente e libro, è
per noi di grande interesse anche perché, al di là delle diver­
se vicende personali, ci riporta nel cuore del progetto del
Camillo.
All'inizio c'è un progetto architettonico: un tempio, o un
teatro della Fama, affidato a testi che ricercano un sostegno
economico, e che mantengono una componente visionaria, il
sospetto di un gioco illusionistico, a cominciare dall'autore,
dall'identità del proponente: ora è il Doni in prima persona,
ora è il Doni in quanto segretario della fantomatica Accade­
mia Pellegrina. 1 Nel 1561 l'immagine del teatro della Fama
compare in un manoscritto autografo, intitolato Una nuova
opinione circa all'imprese amorose e militari (Firenze, Biblioteca
Nazionale, N.A. 267) . Il tono è ironico, polemico, dissacrato­
rio, come spesso capita nel Doni: molti saccenti saranno certo
contrari, egli scrive, al suo ingresso nel teatro della Fama, « la
qual par che habbi serrato l'uscio, et posto fuori l'insegne di
molti grandi scrittori et dotti huomini», ma lui ha deciso di
entrarvi lo stesso, di dire la sua, fino a esserne cacciato fuori, e
di attaccare la sua impresa al muro del suo palazzo, « et che vi
stia a suo dispetto, perché il privilegio della libertà ch'io ten­
go in seno me lo concede come a gl'altri del dire, et perché
non debbo usare? Tanto più che in libertà io vivo, et in terra
di libertà» (cc. 6r-v) .
L'anno dopo, nel 1562, il teatro della Fama comincia a
prendere una consistenza materiale: si trasforma in un pro­
getto architettonico destinato ad avere una collocazione
quanto mai significativa: Arquà, uno dei luoghi topici della
memoria letteraria per il suo legame con Petrarca. Pubblican­
do infatti il Cancellieri, il Doni fa parlare la Fama, che invita
tutti a partecipare ali' « impresa d'Arquà», a contribuire cioè
al progetto dell'Accademia Pellegrina di « edificare un nuovo
tempio alla ... Chiesa vecchia d'Arquà con un antiporto in-
1. Cfr. Rodolfo Signorini, ll mancato teatro degli Accademici Pellegrini di Venezia
ad Arquà (d-Ocumenti mantovani), in « Accademia Nazionale Virgiliana di
Scienze, Lettere ed Arti. Atti e memorie », Nuova Serie, LXXV, 2007, pp.
151-58.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 107
nanzi quasi un teatro, sopra il cimiterio con alta tribuna et
colonnata, sotto la quale verrà l'archa del Petrarcha, huomo
veramente di celeste spirito»; tutto intorno, le statue dei più
grandi scrittori italiani, con epitaffi latini e volgari incisi nel
marmo e una grande ricchezza di ornamenti: « con tutto il
corpo del tempio sacrato di capitelli rari, di cornicioni hono­
revoli, di nichi scanellati, d'historie di bassorilievi, fregi, grot­
tesche et lavori di stucco» . 1 Il progetto sancisce dunque ( anzi
sfrutta per la pubblicità) quel culto del Petrarca che il Doni
mette spesso ferocemente alla berlina. Si ispira a una ricca
tradizione sia letteraria che artistica: dal « monte di Parnaso»
al Museo di Paolo Giovio, ben noto al Doni, che ne dà una
duplice descrizione, di cui una burlesca. 2
Nel 1563 il Doni cerca dei finanziamenti per il suo progetto
e scrive a questo scopo delle lettere a Alfonso II d'Este e a Co­
simo I. Se i principi finanzieranno l'impresa, egli promette, le
loro insegne saranno scolpite accanto alla statua degli scrittori
che hanno protetto o che hanno fatto grande la città da loro
dominata. Le armi estensi saranno naturalmente accanto al­
la statua dell'Ariosto, e quelle medicee accanto alle statue di
Dante, Petrarca, Boccaccio. Dalle parole alla pietra: il teatro
della Fama sembra prendere consistenza fisica. Ma a quanto
pare i principi non si mostrano troppo sensibili alle richieste
del Doni e di nuovo, l'anno dopo, le cose si fanno più ambigue
e sfuggenti. Siamo arrivati alla pubblicazione delle Atture, nel
1564, l'opera da cui siamo partiti. Se il titolo dell'opera è, co­
me abbiamo ricordato sopra, Pitture . . . nelle quali si mostra di
nuova inventione Amore, Fortuna, Tempo, Castità, Religione, Sde­
r;no, lufcmna, Morte, Sonno et Sor;no, Huomo, Repubblica, et Mar;na­
nimità, nel titolo che precede il Proemio, Il Petrarca composto in
Arquà, ritroviamo il nesso con il progetto degli anni preceden­
ti. Nello stesso tempo il bellissimo palazzo ornato dalle im­
magini che realizzano le nuove, straordinarie « invenzioni»
dell'autore sembra vivere nello spazio illimitato della parola
piuttosto che in quello tridimensionale del marmo e della pie­
tra, fino a diventare quasi una visione, disponibile per la con­
templazione e il gioco delle interpretazioni: « Le mie pitture»

1. Doni, Il Canc.ellieri, p. 6.
2. La descrizione burlesca è in Doni, Tre libri di lettere, pp. 74-86, mentre quel­
la seria è in Doni, Disegno, pp. 98-100.
108 INTRODUZIONE

leggiamo « saranno certe grottesche in aria, per che io non


son sì mentecatto ch'io non conosca che il dipingere l'inge­
gno et la pazzia, il figurare la memoria ... non sieno se non ca­
stegli in aria: ma lo fo per entrare ancora io fra' capi rotti». 1
Mentre il proclama del Cancellieri e le lettere dell'anno prima
chiedevano soldi, indicavano un luogo e un progetto architet­
tonico, qui le coordinate temporali creano immediatamente
un senso di straniamento: « Quando si fabbricò la mia casa
(per non dir palazzo) » scrive il Doni « che fu in quel tempo
che il gran Ficino fece fare il fondamento del suo museo, io
entrai in bizzarria di far dipingere tutta di dentro, mosso dal
suo dire che così al suo palazzo voleva fare, sì che l'addomano
con poca spesa, sì per mostrar nuove inventioni». 2 Il Ficino e­
ra morto nel 1499, mentre Doni nasce nel 1513. Ma non è solo
questa indicazione a rendere l'immagine illusoria, a scompor­
la come al caleidoscopio. Un nuovo termine,« museo», si asso­
cia a« tempio» e a« teatro»; sparisce inoltre, sia qui che in se­
guito, ogni allusione alle statue di uomini illustri, mentre il ri­
ferimento a Arquà e alla tomba del Petrarca ricorre, oltre che
nel sottotitolo, nelle lettere di dedica delle singole « invenzio­
ni». Vediamo come continua il brano citato:
Io son certo che questi, i quali il mio teatro veggano al presente
son pochi, a rispetto all'infinito numero che per l'avenire lo vedran­
no, ma più certo sono che lo scritto per mezzo della stampa durerà
assai più secoli; però intendo di farne una breve copia con la penna,
acciò che qualche uno ne tragga, se non utile assai, almanco qual­
che poco di diletto ... coloro adunque che verranno (rovinato sia il
casamento) lo vedranno ancor in piedi di dentro al loro intelletto;
poi che la scrittura ha questa forza di fabbricare in un tratto ogni
gran macchina et di dipingere in un subito quanto la parla et quan­
to la disegna.�
Al centro del brano è ora il gioco fra l'immagine visibile,
realizzata dal pittore e dall'architetto, e l'immagine descritta
con la penna, l'immagine affidata al deposito ben più sicuro
della stampa. Componente tradizionale del confronto fra poe­
sia e pittura era la maggior durata dei testi rispetto alle opere
d'arte. Su questo topos si innesta il motivo, così vivo nel Doni,
1. Doni, Pitture, pp. 143-44 (c. 6r) .
2. Loc. cit.
3. Ibid., pp. 1 43-44 (cc. 6r- v ) .
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 1 09
delle possibilità nuove offerte dalla stampa. Nello stesso tem­
po si finge di descrivere un edificio realmente esistente, o al­
meno in via di costruzione, con le pitture che lo ornano, ma
la finzione è insieme velata e svelata, accennata e giustificata,
dalle osservazioni finali: è nell'intelletto (e quindi nella me­
moria) che le immagini trovano la loro più stabile collocazio­
ne, sottratta all'azione rovinosa del tempo.
Le Pitture che il Doni pubblica nel 1564 sono un libro che
descrive (che è costruito come) un edificio: il palazzo è collo­
cato in cima a una montagna; vi si accede per una scala di
quarantadue gradini, cui sono associati vizi e virtù; a metà si
incontra una loggetta con una tribuna rotonda dove sono di­
pinte le immagini dei premi corrispondenti alle singole virtù.
Le «invenzioni», le pitture cioè che rendono visibili i concetti
astratti, sono collocate entro un sistema di «luoghi », ne se­
gnano il percorso (anche se le motivazioni dell'ordine non
sono chiare, ci viene spontan,eo di associare le 'pitture' alle
diverse stanze del palazzo) . E interessante notare che così
non è sempre stato. In una prima versione, Le nuove pitture,
contenuta in un manoscritto autografo del 1560 (Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Patetta 364) ,
troviamo le stesse invenzioni (mancano soltanto la Castità e la
Magnanimità) , ma la successione è diversa e, soprattutto,
manca la griglia dei «luoghi», lo schema architettonico: le
immagini si susseguono in ordine sparso, e il loro numero è
destinato a crescere su se stesso in modo indeterminato (se­
condo un modulo tipico del Doni) . Il manoscritto delle Nuove
pitture comprende infatti una lettera, indirizzata al pittore ve­
neziano Battista Franco, in cui Doni lo invita a preparare i di­
segni per illustrare molte sue opere, fra cui «un libro di più di
cento inventioni di pitture, diviso in più parti, le quali son si­
mili a queste: Tempo, Fortuna, Sdegno, Religione, Morte,
Riforma, Amore, et altre non più fatte né vedute. Una scala
de' gradi delle virtù, dove non è passo che non sia fondato o
sopra Platone, Seneca, Plutarco, et altri stupendi et prudenti
huomini». 1 Le «invenzioni» che gli manda sono solo le pri­
me di una lunghissima serie; l'unico elemento ordinatore cui
sono associate è una scala delle virtù, un'iconografia di me­
dioevale memoria, ma riscritta con materiale classico.
I. Doni, Le nuove pitture, p. 91 ( c. 6v).
110 INTRODUZIONE

Nel 1561, tuttavia, il Franco muore. L'anno dopo arriva a


Venezia Federico Zuccari, per dipingere la cappella Grimani
in San Francesco della Vigna. Con lui ,il Doni instaura un rap­
porto di amicizia e di collaborazione. E grazie allo Zuccari che
le « invenzioni» delle Pitture prenderanno in parte vita: a pochi
anni di distanza dipinge (o fa dipingere) l'immagine del Tem­
po nella splendida villa che il cardinale d'Este si sta facendo
costruire a Tivoli; accanto a essa, nella Sala della Gloria, trovia­
mo anche altre « pitture» descritte dal Doni, e cioè la Nobiltà,
la Gloria, la Fortuna, la Magnanimità e la Religione. 1 Più tardi,
nel 1577, lo Zuccari avrebbe ripreso l'iconografia doniana del
Tempo in una saletta della sua casa fiorentina: segno di un fa­
scino duraturo, tale da informare di sé anche gli spazi privati. Il
tempio della Fama che si doveva innalzare in Arquà e che in­
tanto vive, profondamente trasformato, negli spazi del libro
delle Pitture trova dunque, in un certo senso, parziale realizza­
zione a Vìlla d'Este a Tivoli. Dall'edificio, al libro, alle chimere,
alla villa: un percorso significativo, e che introduce nel cuore
del codice delle immagini del Cinquecento europeo.

3. Camillo e il manoscritto ritrovato:


il « Teatro, o palazzo d 'invenzione »

Come entra in gioco il Camilla con il suo Teatro in questo


percorso a spirale, che dal Doni, dai suoi progetti visionari, dai
suoi molteplici esperimenti di scrittura, e di disegno, arriva
fino a Villa d'Este a Tivoli? Riflettendo, nel 1987, sulla miste­
riosa vicenda che lega fra di loro le Pitture del Doni e il com­
mento ariostesco del Toscanella, scrivevo: « Si presentano, a
questo punto, due possibilità, la prima è che Doni abbia pla­
giato Camilla ... C'è però anche una seconda possibilità, che
cioè il Toscanella si fosse trovato fra le mani un manoscritto in
cui qualcuno aveva riscritto le invenzioni del Doni attribuen­
dole a Camillo». 2 Se la prima possibilità, per i motivi che si di-
1 . Sonia Maffei, « Qui bi.sogna invenzione non piccola... ». Il manoscritto delle
« Nuove pitture» del Doni e i suoi percorsi di lettura, in Doni, Le nuove pitture, pp.
157-216 (in particolare p. 215) .
2. Lina Bolzoni, Riuso e riscrittura di immagini: dal Palatino al Della Porta, dal
Doni a Federico Zuccari, al Toscanella, in Scritture di scritture. Testi, generi, modelli
nel Rinascimento, a cura di G. Mazzacurati e M. Plaisance, Bulzoni, Roma,
1987, pp. 171-206 (la citazione a p. 199) .
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO lll

cevano, non sembra plausibile, è la seconda che di recente ha


trovato una felice conferma, regalandomi uno di quei mo­
menti bellissimi che ben conosce chi fa ricerca in territori ac­
cidentati. Nel lontano Texas, a Austin, un'intelligente politica
di acquisti ha fatto sì che un intero fondo di manoscritti italia­
ni, di provenienza bolognese (Ranuzzi Collection) , fosse ac­
quisito dall'Harry Ransom Center. E proprio qui, in un volu­
me con un titolo un po' anodino, Varie prose di diversi auttori
manoscritte, tomo II (ms. Ph 12801) , è conservato un mano­
scritto dal titolo Teatro, o palazzo d 'invenzione figurato in Franzia
rappresentante la distribuzione di diverse virtù ne quartieri del mede­
mo palazzo, e particolarmente quelli della fortuna del tempo della ri­
forma della magnanimità dell'amore della religi,one della repubblica
dello sdegno del sonno e sogno e della morte fatto da messer Giulio
Camillo e cavato dalla libreria del cardinal vecchio di Lorena. 1 Me
l'ha segnalato un giovane ricercatore, Eugenio Refini, che sta­
va dando la caccia, nelle biblioteche di diversi Paesi, ai volga­
rizzamenti di Aristotele. Come già appare dal titolo, e come la
lettura del testo ha confermato, è proprio questo il nostro ma­
noscritto: non esattamente quello che Toscanella usava e cita­
va (le cose non sono mai semplici e lineari) , ma certo il più vi­
cino, quello che attribuiva a Camillo una versione del Teatro
inteso come« palazzo d'invenzione», una versione rimasta in
Francia, nella biblioteca del cardinale vecchio di Lorena da
cui l'aveva tratta, come ci dice la lettera che apre il testo, Luigi
Alamanni: gli stessi personaggi chiamati in causa dal Toscanel­
la. A questo punto la partita si arricchiva e complicava: oltre
alle due opere del Doni - il manoscritto delle Nuove pitture
(1560) e il testo a stampa delle Pitture (1564) -, oltre alle Bellez­
ze delFurioso del Toscanella (1574) , con le citazioni dei brani
attribuiti a Camillo, un altro giocat!)re si sedeva per così dire al
tavolo: il manoscritto di Austin. E difficile datarlo in modo
preciso, sembra risalire a fine Cinquecento, o al primo Seicen­
to, ma certo doveva derivare da un testo anteriore al 1574, co­
me quello che era nelle mani del Toscanella.2
1 . Per maggiori ragguagli, si veda sotto la Nota ai testi, pp. 1 33-34.
2. Di scarso interesse sembra essere il manoscritto conservato a Trieste, Bi­
blioteca Civica, ms. I, 3, intitolato n Petrarcha del Doni, composto in Arquà, duue
sifigurano di nu<n.1a inventione molte Pitture confavok et histurie non più udite, di­
viso in dodici trattati, che « presenta una selezione del testo del 1564 » (Maffei ,
Introduzione a Doni, Pitture, p. 40) ; cfr. Masi e Girotto, Le carte di AF. Doni,
cit., pp. 206-207.
112 INTRODUZIONE

Già è stato notato che si rivelavano complessi i rapporti fra il


testo del Toscanella e le due versioni del Doni: ad esempio, la
parte più ampia riservata alla pittura dello Sdegno accomuna il
Toscanella e il manoscritto delle Nu(Yl)e pi,tture, ma a sua volta il
Toscanella è più vicino al testo a stampa delle Pi,tture nella parte
dedicata al notarikon sulla morte. 1 Il ritrovamento del mano­
scritto di Austin (l'ultimo, per il momento, colpo di teatro) ci
permette di allargare il confronto a tutto il testo, al di là dei
brani già citati dal Toscanella. E di nuovo la situazione si intor­
bida, perché il nuovo manoscritto contiene la pittura della Ma­
gnanimità, che non compare nel manoscritto delle Nu(Yl)epi,ttu­
re, ma solo nell'edizione a stampa. Ci manca ancora qualche
tassello del mosaico, non c'è dubbio. Va detto poi che la distri­
buzione delle materie non corrisponde né a quella delle Pi,tture
né a quella delle Nu(Yl)e pi,tture, anzi il titolo ci promette un ordi­
ne che poi non sarà rispettato: si inizia infatti con la Magnani­
mità, non con la Fortuna. Ma altrettanto infedele, si deve nota­
re, si rivela il titolo delle Pi,tture del Doni, che mette per primo
l'Amore, mentre il testo prende le mosse dalla Fortuna e si con­
clude con la Morte, non con la Magnanimità come il titolo an­
nuncia. Evidentemente l'ordine, così essenziale nell'Idea del
theatro, era diventato molto meno stringente, una griglia varia­
bil�, difficilmente controllabile, tendenzialmente esplosiva.
E interessante vedere come il manoscritto di Austin registri
questa oscillazione fra il disordine delle invenzioni, l'enumera­
zione tendenzialmente caotica delle 'pitture' (il coté doniano,
insomma) e il richiamo all'ordine, alla successione ordinata
dei luoghi e delle immagini: a c. 2v il titolo reca Luogo frrimo del
Teatro di meser Giulio Camillo cavato della libraria del Cardinal vec­
chio di Lorena, ma subito dopo si parla del Libro delle nu(Yl)e inven­
tioni non pi,ù vedute né udite diviso in dieci trattati, elencati, come si
diceva, in modo infedele, così come lo sono nel titolo del fron­
tespizio. Leggiamo tuttavia anche un riferimento alla griglia
I. Pierazzo, Dalle «Nuavepi,tture» al « Seme deUa z.ucca », cit., pp. 280-83; Maffei,
Introduzione a Doni, Atture, p. 74. Un esempio di una maggiore vicinanza
fra il manoscritto di Austin e il manoscritto delle Nuave pi,tture è nella pittura
della Fortuna: cfr. Doni, Pi,ttum, p. 163 (c. l l r): « allega il caso di Tiranone »;
ms. di Austin, c. 14r: « alega il caso de Teramene »; è lo stesso personaggio
citato, più correttamente, nel codice delle Nuave pi,tture, p. 79 (c. 2v): « alle­
ga il caso di Tiramene ", che, come dice la nota di Sonia Maffei, è uno dei
trenta tiranni, ricordato da Doni anche nel Cancellieri, nella sezione dedicata
alla Fortuna.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 1 13
architettonica, «rappresentante la distribuzione di diverse vir­
tù ne quartieri del medemo palazzo» (qui a p. 295) : griglia che
sarà puntualmente descritta nella lettera di Luigi Alamanni ai
lettori. Qui troviamo la mappa, la collocazione delle singole
pitture entro i luoghi 4_el palazzo, che le Pitture del Doni ci fan­
no solo immaginare. E in fondo il modello classico dell'arte
della memoria, per cui si collocano le imagi,nes agentes entro i
luoghi di un edificio, solo che l'invenzione delle immagini ha
assunto, come si diceva, caratteri nuovi e bizzarri, in cui la ric­
chezza della memoria culturale si alimenta del gusto delle chi­
mere e delle visioni, e di un moralismo amaro e inquieto.
Un'altra tensione che il testo registra è fra il modello del-
1' edificio ornato di pitture e quello enciclopedico associato
tradizionalmente al Teatro di Camilla: «Ecco che vi si por­
ge» leggiamo all'inizio della lettera dell' Alamanni «del gran
Giulio Camillo il Teatro primo delle stanze delle inventioni,
il quale voi vedrete molto bene adorno, per poter allogar poi
tutte le varie scienze distinte» (qui a p. 296) . E alla fine del
Proemio: «La fabrica in questo libro primo comincia da una
casa di dieci stanze sotto dieci historie et sotto quelle cagioni
tutte le attioni humane et tutte le scienze, con le quali s'entra
poi nel teatro et al lor luogo si mettono sotto i lor segni» (qui
a p. 303) . Viene da chiedersi come si potrà usare quella spe­
cie di galleria allegorica morale che le «invenzioni» costrui­
scono per collocarvi tutte le scienze, l'enciclopedia del sape­
re, ordinatamente distinta. E inoltre, come per una specie di
destino, anche qui il testo rinvia a qualcos'altro, denuncia la
sua incompiutezza, formula promesse che non mantiene.
Un indizio è subito dato dall'incertezza terminologica: nel
titolo ci si riferisce al «Luogo primo del Teatro», ma nel bra­
no citato si parla di «Teatro primo», e la lettera si conclude
promettendo l'ascesa a un secondo teatro, di cui non trovia­
mo alcuna notizia: «Ma come sia il sito di questo primo tea­
tro, come si saglia al secondo, et a che fine, le signorie vostre
lo intenderanno qui seguente» (qui a p. 297) . Un riferimen­
to alla seconda parte del Teatro torna nella Camera della re­
ligione, a proposito della distinzione fra senso, immaginazio­
ne e ragione, dove si riassume quel che si dice a questo pro­
posito anche nelle Pitture,1 e si aggiunge: «per in sino eh'io
1. Doni, Pitture, p. 195 (c. 27v): « per non mi distendere a fare il savio con
distinzioni e termini de' dotti ».
114 INTRODUZIONE

non entro nella seconda parte del teatro in quelle dottrine et


distintioni» (c. 31r) . Questo sembrerebbe suggerire una spe­
cie di collage fra il modello architettonico e quello enciclo­
pedico, consegnato soprattutto alla tradizione manoscritta,
contrassegnata da uno sforzo minuzioso, come abbiamo vi­
sto, di catalogazione, di collocazione del sapere.
La parte centrale della lettera dell'Alamanni si preoccupa
di delineare l'ordine delle invenzioni: è un percorso per le
varie stanze di un edificio, che vengono designate in modo
diverso, così da dare la parvenza di una vera mappa e da aiu­
tarci a ricordare la successione dei luoghi:
c. 9v La sala della magnanimità
c. 12v La camera della fortuna
c. 17r Camera del tempo
c. 24r Anticamera della riforma
c. 3lr Camera della religione
c. 37v Studio della repubblica
c. 39v Loggia dello sdegno
c. 46r Stanza dell'amore
c. 49r Ridotto del sonno et del sogno
c. 55r L'Androne della morte.
La terminologia architettonica è piuttosto minimale, e solo
qua e là compaiono delle associazioni che ci aiutano a collo­
care il soggetto dell'invenzione proprio in quella stanza e
non in un'altra: è il caso dello studio « il più bello et il più
fornito di libri che si possa vedere», dove è accolta la Repub­
blica, con tutte le testimonianze dei« padri antichi delle pa­
trie libere» e dei suoi trionfi (qui a p. 296) ; comprendiamo i­
noltre molto bene come il Sonno e il Sogno siano situati in
« un ridotto per l'inverno da starsi al foco ben serrato et ben
comodo» ( wc. cit. ) .
Dopo la lettera dell'Alamanni, troviamo quello che viene
presentato come l'inizio del Teatro di Giulio Camillo e che
corrisponde al Proemio delle Pitture del Doni o, più precisa­
mente, a quel brano che abbiamo sopra citato sulla capacità
delle lettere, e della stampa in particolare, di conservare la
memoria. « Io son certo che questi, quali qui in Franza il mio
teatro veggono al presente son puochi all'infinito numero
che per lo awenire lo vedranno, ma più certo sono che lo
scritto per mezzo della stampa durerà assai più secolo» leggia­
mo nel manoscritto di Austin (qui a p. 297) ; e nelle Pitture del
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 1 15
Doni: « Io son certo che questi, i quali il mio teatro veggano al
presente son pochi ». 1 La variante del manoscritto, « qui in
Franza », serve ad accreditare l'idea che il testo sia stato scritto
da Carnillo alla corte francese: una linea ricorrente nelle va­
rianti; un'altra linea è quella che, alla fine delle singole inven­
zioni, aggiunge qua e là il richiamo al percorso dei luoghi, ri­
chiama cioè alla mente del lettore la mappa architettonica
delineata nella lettera dell'Alarnanni. « Udite il divin Poeta »
leggiamo alla fine della pittura della Fortuna nelle Pitture,2 « e
poi uscirò di questa prima carnera, nella quale ritornerò poi a
empiria di quello che le conviene » continua il manoscritto ( c.
l 7r). La pittura della Repubblica termina, nelle Pitture, con
un'impresa che Doni disegna in modo splendido nel mano­
scritto delle Nuove pi,tture [fig. 12] : una tela di ragno, implaca­
bile verso i piccoli insetti, impotente nei confronti di quelli
grandi, che sta a significare la debolezza, la sostanziale ingiu­
stizia delle leggi, con il motto « Lex exlex » (legge illegale). 3
Nel manoscritto di Austin l'impresa non c'è e si rinvia a un
fantomatico seguito, a un altro luogo del Teatro: « della si­
gnificatione et delle altre cose che caderanno sotto questa pit­
tura lo leggerà il mondo seguendo il luogo suo nel teatro dove
si poseranno infinite cose non più audite delli antichi et de
moderni » ( c. 39v). Analoga la variante nella pittura della
Morte: « ne metterò solarnente un'altra e terminerò il mio di­
scorso » leggiamo nelle Pitture ;4 ne metterò solamente un'al­
tra e « terminerò il mio principio del luogo commune da di­
stribuire le cose del mio teatro », promette il nostro mano­
scritto (cc. 63v-64r). L'ambiguità del termine qui usato, « luo­
go commune », torna alla fine del testo: « Fine de luoghi com­
muni del teatro » (c. 65v). Qui 'luoghi comuni' sembra rife­
rirsi alle pitture, alle invenzioni che precedono. Le varianti
che dovrebbero confermare la paternità camilliana del testo
mostrano una certa debolezza. Viene il sospetto che si tratti di
una citazione derivata dall'altra tradizione del Teatro, ad e­
sempio da quella testimoniata dal manoscritto di Genova.
Rispetto ai testi del Doni, inoltre, le varianti del manoscritto

I. Ibid., p. 143 (c. 6 r ) .


2 . Ibid., p . 172 (c. 1 5 r ) .
3. Doni, Le nuuvepitture, p. 1 30 (c. 19v ) .
4. Doni, Pi.tture, p . 265 (c. 62v) .
116 INTRODUZIONE

diAustin esibiscono l'ambientazione francese. Ritroviamo qui


quelle che già avevamo notato nel testo del Toscanella e che a
suo tempo ci avevano fatto sospettare un plagio da parte del
Doni, con qualche particolare in più: l'albero della Fortuna,
che Toscanella descriveva semplicemente come scolpito, è un
cammeo antico « in man del grande et non mai lodato a ba­
stanza Re Francesco» ( c. 13v), esattamente come un cammeo
era quello che Doni diceva di aver visto nello studio di Gabrie­
le Vendrarnin. Molto interessante è una variante che riguarda
sempre la Fortuna: « non è molto tempo» leggiamo nelle Pit­
ture « che io la viddi dipinta alla plebea in una cassa, che la
volgeva una ruota»; 1 e il manoscritto di Austin: « non è molto
tempo ch'io viddi in Lione dipinta in un quadro fiammingo di
paese alla plebea dove la volgeva una ruota» (c. 14r) ; il riferi­
mento a Lione rafforza l'ambientazione francese, e il riferi­
mento a un« quadro fiammingo» ci fa venire in mente la cita­
zione delle pitture del Nord che troviamo nell'Idea del theatro a
proposito della bocca dell'Inferno, con la variante, qui di una
iconografia molto diffusa, popolare,« dipinta alla plebea».
L'ambientazione a Lione torna in una variante della pittu­
ra del Tempo, insieme ad altre molto significative: « Chi ha
veduto ne può far fede in quelle feste della Sensa a Venezia»
si dice nelle Pitture; 2 il riferimento alle feste dell'Ascensione a
Venezia si colora, nel manoscritto, di un elogio alla città e in­
sieme di una rivendicazione di appartenenza e di testimo­
nianza diretta: « chi ha veduto come ho veduto io nella Città
mia signora divina in quelle feste della Sensa» ( c. 17v). Lascia
perplessi questa rivendicazione della 'venezianità' di Camillo,
che si presentava piuttosto come figlio della 'patria del Friuli'.
« Fu bella inventione ancora quella del Pigro a far depingere
nell'Accademia di Lione il tempo» leggiamo nel manoscritto
( c. 22v) ; e le Pitture: « Fu bella invenzione ancora quella del
Pigro a far dipingere nell'Accademia il Tempo». 3 Il riferi­
mento all'Accademia, e a uno dei suoi membri, poteva essere
rischioso se davvero si stava camuffando un testo del Doni,
che, lo si è detto, amava presentarsi come portavoce dell'Ac­
cademia Pellegrina. Un'altra variante può essere intesa a neu-
1 . Ilnd., pp. 162-{i3 (c. I O v ) .
2. 1/Jid., p . 1 74 (c. 16v).
3. Ilnd., p. 181 (c. 20r) .
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 1 17
tralizzare l'evocazione del Doni e di un personaggio molto
legato a lui e all'ambiente artistico fiorentino da lui frequen­
tato: leggiamo nello studio della Repubblica « e non fu mai il
più impazzato homo, secondo che mi raccontò una volta il
Doni fiorentino di Ridolfo del Grillandaio » (c. 37v); « E non
fu mai il più impacciato uomo di Ridolfo dal Grillandaio» si
limita a dire il testo delle Pitture. 1
L'Alamanni, l'esule fiorentino alla corte francese che a­
vrebbe recuperato il Teatro del Camillo, si presta egregia­
mente a fare da mediatore, a dare, se necessaria, una patina
francese a eventi, detti, personaggi, troppo spiccatamente
fiorentini. Ne abbiamo un esempio poco dopo il brano citato,
dove si racconta di come il Ghirlandaio cerca aiuto per l'in­
venzione della Repubblica e si rivolge a Filippo Strozzi: « Se
egli l'ebbe non lo so, né come la cosa si andasse, ma bene è 'l
vero che fece un belissimo quadro et era in pittura così fatto:
una donna ... » è la versione delle Pitture ;2 « Lo Allamanni mi
dice che la fu sua inventione certo, ma che Filippo gl'impose
che non dicesse mai di questo a persona nulla et era così fatta:
una donna...» ci racconta il manoscritto (c. 39r) . Sempre l'A­
lamanni compare, al posto del Molza, come inventore della
pittura dell'Amore.3 Ma naturalmente il personaggio che me­
glio incarnava il legame tra Firenze e la corte francese era
Caterina de' Medici, e anche lei entra in gioco nel turbine
delle nostre varianti. « Ci è il sogno del Savonarola dichiarato
dal Signor Conte Pico della Mirandola, il quale ha oggi la rei­
na Caterina nel suo scrittoio, e questo credo che pochi l'abbi­
no visto» leggiamo nelle Pitture (p. 235; c. 45r) , in un brano
che corrisponde sia al testo del Toscanella (p. 192) sia a quel­
lo del manoscritto Austin (c. 51 r, dove si aggiunge « et questo
credo che puochi l'habbino letto o veduto») . Fra Bartolomeo
« lo dipinse a olio sopra una gran tela mirabilmente, la qual fu
portata poi in Francia in compagnia d'un San Bastiano divino
al re Francesco primo» continuano sia le Pitture (p. 235; c. 45v)
che il testo di Toscanella (p. 192) ; « la quale fu portata qui in
Franza in compagnia di un San Bastiano molto divino al Re
I. Ibid., p. 205 (c. 32r).
2. Ibid., pp. 206-207 (c. 33r).
3. Ibid., p. 227 (c. 41 v ) : « bella pittura certamente, invenzione del Molz a »;
ms. Austin, c. 47 v : « Bella pittura certamente inventione dell'Alamani ».
1 18 INTRODUZIONE

Francesco» dice il manoscritto di Austin ( c. 51 v), dove il « qui»


ricolloca il punto di vista, rafforza l'idea di un Teatro ricostrui­
to a partire dalla Francia, e la cosa è tanto più significativa per­
ché effettivamente Francesco I acquistò un San Sebastiano di
Fra Bartolomeo, mentre la complessa invenzione del 'sogno
di Savonarola' è con ogni probabilità solo un 'ghiribizzo', sug­
gerito dalla devozione che Fra Bartolomeo ebbe per il Savo­
narola.1
Il manoscritto di Austin, allo stato attuale delle conoscen­
ze, sembrerebbe dunque una riscrittura delle 'pitture' del
Doni, il quale risulterebbe così, per una specie di contrappas­
so, vittima a sua volta di quella disinvolta appropriazione di
testi altrui da lui tante volte praticata. Ricorrenti sono, come
abbiamo visto, la costruzione di una patina francese, l'inse­
rimento delle 'pitture' entro un percorso architettonico, e
infine i rinvii al Teatro di Camillo, con risultati per lo meno
ambigui. Quello che abbiamo di fronte ci appare come un
collage con punti di sutura piuttosto deboli. In altri termini il
modello enciclopedico, con la sua ansia classificatoria, e quel­
lo iconologico appaiono difficilmente combinabili.
Restano molti problemi aperti. Chi è stato il regista di que­
sta operazione che così pienamente aveva convinto il Tosca­
nella? Quale è stato in tutto questo il ruolo del Doni? Gli era­
no arrivati dei suggerimenti, frammenti di 'invenzioni' attri­
buiti a Camillo che lui aveva ripreso e riscritto? Sappiamo
che gli era giunta almeno notizia della tradizione 'enciclope­
dica' del Teatro, poiché nel 1558, nel secondo trattato della
Liuraria, dedicato agli « autori veduti a penna, i quai non so­
no anchora stampati», cita di Camillo « il theatro della sa­
pienza». 2 Nel 1562, inoltre, in un anno che sta nel bel mezzo
del periodo che divide il manoscritto delle Nuove pitture e la
stampa delle Pitture, Doni scrive un'operetta, I numeri, in cui
insegna a predire il futuro e disegna una figura, « detta dal
Conte Pico della Mirandola, Casa degli elementi», che « ha
sette stanze principali secondo i Cabalistici» [fig. 13] ; « le due
dell'Occasione e del Tempo fanno chiaro esser significate per
il corpo et per l'anima, come afferma Giulio Camillo nel suo

1 . Cfr. Janet Cox-Rearick, Chefs-d 'oeuvre de la Renaissance. La coUection de


François l", Albin Miche!, Paris, 1995, pp. 163 e 171.
2. Doni, La libraria, p. 227.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 1 19
Teatro»: 1 una citazione che, a quanto mi risulta, non trova
corrispondenza né nell'Idea del theatro né nelle versioni ma­
noscritte (anche se per il gusto numerologico e gli elementi
cabalistici fa venire in mente il manoscritto di Genova) e vie­
ne a complicare ulteriormente il quadro del gioco indiavola­
to che Doni sembra aver ingaggiato col Teatro del Camillo.
Ci possiamo anche chiedere se è di qualche rilevanza il fat­
to che Doni dedichi le Nuove pitture a Luigi d'Este, figlio di
Ercole II e di Renata di Francia, che nel 1560 era appena tor­
nato appunto dalla Francia, da una fuga con cui aveva cercato
di sottrarsi al destino, per lui segnato, di una carriera ecclesia­
stica. E come dobbiamo interpretare i riferimenti del mano­
scritto di Austin a Lione, grande centro editoriale, caratteriz­
zato da una forte presenza della cultura italiana? Non essen­
do in grado, finora, di trovare una risposta, metteremo per il
momento da parte le questioni su paternità, plagi, riscritture,
per sottolineare che tutto ciò è stato possibile. I testi delle
« invenzioni», delle 'pitture', hanno potuto attraversare tante
frontiere, comparire sulla scena non solo attribuiti ad autori
diversi, ma usati anche in contesti così lontani fra di loro, qua­
li l'arte della memoria, la costruzione di palazzi veri e/o men­
tali, la lettura di grandi testi letterari, come l' Or/,ando furioso,
l'iconologia. Forse questo è ancora più appassionante della
ricerca dell'assassino, di chi ha plagiato chi.

4. L 'ultima ( ?) metamarfosi: /,a vil/,a « di ricreatione »

A - momentanea - conclusione del nostro percorso possia­


mo mettere una villa friulana che, secondo Doni, Camillo a­
vrebbe descritto. È interessante che il nome del Camillo rie­
merga - siamo ormai nel 1573 - associato, sia pure indiretta­
mente, a un edificio, e in un contesto che ci ripropone un
gioco complesso di finte attribuzioni, una combinazione fatta
di costanti - la descrizione della villa - e di variabili: i nomi dei
proprietari, i luoghi, gli artisti:
Tra i vari progetti che impegnano il Doni nell'ultima parte
della sua vita - tra la fine degli anni Cinquanta sino alla mor-
1 . Doni, I numeri, p. 1 17. L'operetta, rimasta inedita alla morte del Doni, era
dedicata a Georg FuggeL
1 20 INTRODUZIONE

te - ce n'è uno dedicato alle ville,1 dove si propone di descri­


verle classificandole in cinque tipi, in base cioè ai diversi ceti
sociali di chi le possiede e alle diverse funzioni che sono chia­
mate a svolgere. Abbiamo così la villa civile da signore; la villa
da spasso del cittadino, del gentiluomo, del letterato; la villa
« di ricreatione», del mercante; la villa di risparmio dell'arti­
giano e infine la villa dell'utile, del contadino. Se questa è la
gerarchia sociale, il Doni la osserva e insieme la capovolge,
secondo l'ottica evangelica per cui gli ultimi saranno i primi:
I contadini sono gli ultimi i quali godono la villa da dovero, et ser
no i primi villaiuoli che ricevessino la zappa da Adamo, onde per
monti, colli, pianure, et per le valli hanno da sudare, et dove con

1. Abbiamo un'edizione a stampa: Doni, Le ville, e quattro codici: 1. La villa


Fucchera: lil,ro pri11W delle Ville del Doni, 1559, Monaco, Bayerische Staatsbiblio­
thek, cod. it. 36, dedicato ajacob Fugger, su cui cfr. Ulrike Bauer -Eberhardt,
AntonFrancescoDoni: la VìllaFucchera, in « Studi trentini di scienze storiche»,
sez. Il, LXXXVI, 2007, pp. 107-108; 2. L'Attavanta, Villa del Doni a Pandolfo
Attavanti, 1559-1560, Venezia, Museo Correr, ms. Correr 1433, il cui testo è
stato pubblicato nell'Ottocento (Attavanta, a cura di V. Lazari, Le Monnier,
Firenze, 1859); 3. Le viUe delDoni lil,ro V, 1565, Reggio Emilia, Biblioteca Mu­
nicipale A. Panizzi, ms. regg. F. 536, su cui cfr. Ugo Bellocchi, Le ville di Anton
Francesco Doni, Aedes Muratoriana, Modena, 1969; 4. Le ville delDoni.fiorentino,
1573, Milano, Biblioteca Trivulziana, ms. Triv. n. 15, scaff. n. 81, palch. n. 1:
cfr. Franca Pissinis, Il codice Trivul.z.iano n. 15 e l 'edizione delle Vìlledi AF. Doni, in
« Rendiconti dell'Istituto Lombardo. Classe di Lettere e Scienze morali e sto­
riche », CXI, 1977, pp. 199-206, e Sonia Maffei, Tra SOf;T!O e disincanto. Le utopi,e
di Doni dai «Mondi " al manoscritto trivulziano delle « Ville"• in L'utopia di cucror
f;T!Q tra '500 e '700. Il caso della Fratta nel Polesine, Atti del XXXII Convegno di
Studi Storici, 27-29 maggio 2010, a cura di A. Olivieri e M. Rinaldi, Minellia­
na, Rovigo, 2011, pp. 175-201. Un altro codice (Milano, Biblioteca Ambrosia­
na, Z 57 sup.) è copia più tarda dell'edizione a stampa. In realtà, come scrive
Maffei, i testi conservati sembrano corrispondere a una parziale realizzazio­
ne del progetto delle Ville; nella lettera a Battista Franco, infatti, si annuncia­
no « cinque libri di Ville variate e diverse, che sono XXV, cinque per libro,
sotto diversi titoli: la signorile, la nobile, la mercantile, quella d'arte et la na­
turale rustica: VìllaFucchera si chiama questa prima. La seconda è detta Atta­
vanta: da principe, da gentiluomo, da mercatante, da artigiano et da contadi­
no; di civiltà, di spasso, di ricreazione, di risparmio et dell'utile fia il terzo li­
bro, detta Villa Saracca. La quarta è Montecucola: villa possessione podere, casa
et capanna. L'ultimo libro sarà la Tolomea: modo, ordine, misura, termine et
sesto». Sulle Vìlledel Doni, cfr. Sabine Frommel, Da la casa del povero contadino
a la casa del ricco cittadino: maisons ruro/,es et maisons des champs dans /,e Sixième li­
vre de Sebastiano Serlio, in Maisons des champs dans l 'Europe de la Renaissance, a
cura di M. Chatenet, Picard, Paris, 2006, pp. 48-68, e la scheda di Guido Bel­
tramini, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, a cura di
G. Beltramini e H. Bums, Marsilio, Venezia, 2005, pp. 326-27.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 121
diletto affaticarsi, che per elettione con gli stenti c i arriva, e t quale
per destino o buono o reo ci nasce: et questa è la parte della villa
necessaria all'utile et questa è quella senza la quale non si può fare
in alcun modo. 1
Il progetto delle Vitte prende forme diverse in un'edizione a
stampa, del 1566, e in quattro manoscritti, ornati da disegni e
imprese, dove il Doni dispiega tutte le sue raffinate capacità di
disegnatore e di calligrafo. Il Camillo compare sulla scena solo
nell'ultimo atto, nel manoscritto milanese della Trivulziana
che la lettera di dedica data « il primo giorno d'Aprile 1573 nel
mio Castel di Monselice » . 2 Rispetto agli altri manoscritti, quel­
lo milanese presenta anche una particolare tipologia di imma­
gini: ciascuno dei tipi di villa è raffigurato da un albero/uomo,
con frutti e foglie, e iscrizioni [fig. 14] : si costruisce così una
immagine allegorica, e insieme una immagine di memoria,
delle diverse condizioni sociali e dei diversi tipi di governo che
vi sono associati: il principato, la repubblica, la tirannia (asso­
ciata quindi alla villa del mercante), e infine la condizione u­
mana, che culmina nel trionfo della morte. 3 Forse proprio la
presenza di queste immagini di memoria, di queste elaborate
allegorie messe al servizio di una riflessione morale fortemen­
te critica nei confronti della società e della stessa esistenza u­
mana, ha suggerito al Doni il ricordo di Camillo.
A lui infatti il Doni attribuisce qui la descrizione di una villa
del terzo tipo, quella del mercante, una misteriosa villa colloca­
ta in Friuli, detta la Falcona piropa. Nell'edizione a stampa la
villa non compare, mentre viene accuratamente descritta nei
manoscritti. Resta costante in sostanza la descrizione, e il luogo
(il Friuli), ma di volta in volta cambiano i proprietari cui la villa
viene attribuita: il codice di Reggio Emilia nomina il reverendo

1 . Doni, Le viUe, ms. Triv. cit.


2. Sul Doni a Monselice, cfr. Roberto Valandro, L 'eredità monseliciana di Anton
Francesco Doni. n trattato suUe ville e fa discussa ultima dimura del poligrafofiaren­
tino, in Monselice nei primi due secoli di dominazione veneziana, Venezia e Monselice
nei secoli XV e XVI. Ipotesi di una ricerca, a cura di R. Valandro, Il Comune di
Monselice, Monselice, 1985, pp. 9-84; in La letteratura di villa e di villeggiatura,
Atti del Convegno di Panna, 29 settembre-1° ottobre 2003, Salerno Editrice,
Roma, 2004, cfr. Francesco Sberlati, Vìll,ania e conesia. L 'opposizione tra città e
campagna dal Medioevo al Rinascimento, pp. 65-114, e Rinaldo Rinaldi, Bagni di
Venere e Veneri al bagno. Dal giardino allegurico aU'erotismo termale, pp. 355-78.
3. Cfr. Maffei, Tra sogno e disincanto, cit.
122 INTRODUZIONE

canonico Paolo Barisoni, mentre i codici di Venezia e di Mona­


co la assegnano a Simone e Giovanni Mauro Pupaiti, e stavolta
si tratta di una famiglia ben nota (Popaite) che aveva dawero
possedimenti anche in Friuli. Ci sono varianti, inoltre, nei no­
mi degli artisti che vi avrebbero lavorato. Va detto subito che la
villa del mercante è quella trattata peggio nell'ottica moralisti­
ca del Doni: i mercanti non costruiscono, approfittano dei pro­
getti degli altri, comprano splendide ville per due soldi, e le u­
sano per piaceri extraconiugali: la villa non è per la moglie, ma
per la « femina », per la « druda », per la « favorita », e per i pia­
ceri che può dare; se uno non l'ha già, se la procura, così come
si compra la villa. Si capisce allora che Doni si premura di collo­
care nel passato la villa del mercante quando la attribuisce a dei
contemporanei: è arrivata nelle loro mani, dice, magari già un
po' segnata dall'azione del tempo.
La villa che Camillo avrebbe 'posto in luce' non si rispar­
mia nulla: ha tutte le delizie delle grandi ville venete, contie­
ne opere di artisti locali (come il Pordenone) ma mobilita
Donatello e Sansovino, e amici del Doni come il Montorsoli.
Come le città utopiche è isolata e protetta dalle acque;
l'edificio ha forma quadrata, e il quattro scandisce anche le
divisioni interne, come i quattro appartamenti o le sculture
delle quattro stagioni, di materiali diversi e collocate in corri­
spondenza con i punti cardinali: « dalla parte di levante c'è la
Primavera di candido marmo, figura di mano di Donatello; a
mezzogiorno la State, figura d'una pietra rossiccia, ma molto
delicata, opera del Montorsoli. Alla tramontana, c'è uno In­
verno di pietra di macigno duro, del Montelupo scultor mira­
bile et è fatta bene. All'altro canto un Autunno di bronzo del
Sansovino, molto mirabilmente gettato » (qui a p. 306). Ci
sono stucchi, grottesche, festoni, figure mostruose e bizzarre
che svolgono un ruolo importante nei giochi d'acqua. Pro­
prio nel centro della villa infatti è scavato un pozzo profondo,
con una scala che via via si allarga in spazi dove si può « como­
damente stare a tavola et passeggiare intorno », mentre una
conduttura centrale permette all'acqua di risalire, uscendo
« per varii mostri et maschare », e « artifitiose figure », fino a
formare un piacevole lago ( qui a p. 307). Il grande pozzo è
una specie di teatro rovesciato, come sottolineano alcune ver­
sioni manoscritte: « scendendo giù, in quel teatro », leggiamo
nel codice di Monaco (c. 19r); « Et chi riguarda di quel basso
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 123
in su, gli par vedere un Coliseo» commenta il manoscritto ve­
neziano (p. 61) . E viene infatti riproposto, a sua volta rovescia­
to, in« una montagnetta artifitiosa, fabbricata a gradi, che par
proprio la forma cavata del pozzo » (qui a p. 308) , dove natura
e artificio convivono e gareggiano, perché vi sono disposti
grandi vasi con piante che hanno la forma di navi e di uccelli.
È singolare questa ricomparsa di Camillo collegata a un luo­
go di delizie, a una villa tutta costruita all'insegna del piacere,
dove la natura è asservita e modulata« con modi artifitiosissimi »
( wc. cit.), e dove il Teatro viene citato, rovesciato, raddoppiato.
Siamo, si diceva, nel 1573. L'anno dopo Doni muore e Tosca­
nella pubblica le sue Bellez.ze del Furioso, con la riscoperta del
'perduto' Teatro di Camillo. Come era venuto in mente al Do­
ni di convocare il Camillo in questo suo teatrino delle mario­
nette, in cui diversi personaggi diventano via via non solo i
dedicatari della stessa opera, ma vengono anche associati alla
stessa« invenzione » (di luoghi, di opere d'arte, di ville)?
Possiamo qui citare un brano della dedica ai lettori che tro­
viamo nel manoscritto di Milano, ma è sostanzialmente la
stessa nelle varie versioni delle ViUe: ho molto letto sulle ville e
molte ne ho viste, scrive Doni,
Così non resto mai, da qual tempo si voglia, poi che questi tai mi
hanno con le ville posto un sì fatto humor nel capo, di lambiccanni il
cervello, per fanni una bella villa, che sia fatta a mio dosso. Talvolta
questo mio piacevole et honesto pensiero compra un dominio, verbi­
gratia nn gran paese del quale mi pare in breve spatio di mesi farr1e un
raro et stupendo villaggio: poi veduto veramente che io sogno, il dise­
gno in fummo et la villa si viene a risolvere. Ma io non isto molte hore
da poi ad imaginannene un'altra, et l'acconcio da tutti gli spassi et
diletti, da huomo pratico, poi quando ben considero di non poter
nulla in atto possedere, come tutto ho in potenza, con molto mio
cordoglio me la passo spiritualmente, et mi rimetto in messer dome­
nedio, con un dire ciò che disse il più savio, tutto è vanità. 1
La materia di Doni è quella dei sogni, degli umori che si agi­
tano nel suo cervello; così, con le parole, con l'immaginazio­
ne, egli può costruire tutte le ville che vuole, p�r poi dissolver­
le proprio come sparisce il palazzo di Atlante. E questo lo spa­
zio che solum è suo, ed è la via intermedia fra due estremi: da
un lato i vincoli economici, il duro principio di realtà, che non
1. Doni, Le ville, ms. Triv. cit., cc. 5v-6r.
1 24 INTRODUZIONE

gli garantisce i mezzi per costruire dawero una villa ( o il tem­


pio della Fama), e dall'altro il monito sapienziale e nichilista
dell'omnia vanitas. Ci fa piacere pensare che proprio qui, nello
spazio dell'invenzione e della fantasia, ricompare Camillo.
Già nel 1559 Bartolomeo Taegio aveva rievocato il Teatro
di Camillo collocandone la pittura in una villa, quella in cui
Pomponio Cotta, « fuggendo talvolta dalle noiose carceri di
Melano », cerca « di perder gli altri huomini per ritrovar se
stesso». Proprio qui, « fra le mirabili pitture che vi sono, si ve­
de l'alta et incomparabile fabrica del meraviglioso theatro
dell'eccellentissimo Giulio Camillo ». 1 Il Teatro tende a so­
vrapporsi a quello spazio 'altro', a quel luogo utopico in cui ci
si separa dal mondo per ritrovare se stessi, in compagnia dei
libri, degli amici, di ciò che dà piacere: un luogo fisico e men­
tale, che aveva esercitato un forte fascino anche nell'ambien­
te del Bembo, del Camillo e dei loro amici. 2
Ed è ora giunto per noi il momento di cercare di trarre le
somme del nostro percorso. A partire dall'Idea del theatro, e da
quel che si dice su di lui, abbiamo provato a dar fiducia a Giu­
lio Camillo, ad ascoltarlo, per provare a capire su quali fonda­
menti ha tentato di costruire il suo Teatro, a quali miti e biso­
gni ha inteso dar vita. E abbiamo pensato che, se Marguerite
Yourcenar l'avesse conosciuto, avrebbe potuto scrivere un'al­
tra puntata della sua Oeuvre au noir.
Per certi aspetti, per tutta la vita Camillo insegue il suo so­
gno, e scrive sempre la stessa opera, o meglio rimodula via via
quel che ha scritto e pensato in modo tale da far tutto conver­
gere verso la difesa, la costruzione del Teatro. Abbiamo riper­
corso i testi che aiutano a capire quali sono i presupposti del
Teatro, i testi che interpretano in modo eccessivamente fede­
le, e quindi deformato, i temi del classicismo contempora­
neo: l'imitazione dell'antico come strada per la creazione del
nuovo, la ricerca del bello, il bisogno di controllare la memo­
ria, di percorrere e ridisegnare le vie misteriose che legano la
memoria e l'invenzione, la lettura e la scrittura. E abbiamo
visto come Camillo si affidi per questo a macchine retoriche,
e al mito alchemico della ricreazione della vita.

1. Bartolomeo Taegio, La villa, Francesco Moscheni, Milano, 1559, p. 71.


2. Cfr. Gigliola Fragnito, In Museo e in villa. Saggi sul Rinascimento perduto,
Arsenale, Venezia, 1988.
ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO 125
Tra metafisica e artificio, tra la costruzione di una mente
artificiale e la diabolica tentazione di impadronirsi della forza
creatrice di Dio: in questo territorio di mezzo si situa il Tea­
tro. I suoi segreti, come ci mostrano i testi inediti da noi recu­
perati, sono la possibilità di catturare l'idea (dell'eloquenza,
ma anche di tutte le arti) e di guidare la mente umana a com­
piere le tre grandi arti della metamorfosi, quelle che agiscono
sulle parole (l'eloquenza) , sulle cose (l'alchimia) , sulla men­
te stessa (la deificazione) .
Non solo il Teatro che promette di essere utile a tutti gli uo­
mini, a cominciare dai giovani studenti, nasconde segreti ac­
cessibili a pochi eletti, ma la sua stessa natura resta incerta (li­
bro, edificio, maquette di legno, modello puramente mentale),
e incerta, tragicamente incompiuta appare la tradizione testua­
le che ce lo trasmette. Abbiamo visto come in questi anni sia
riaffiorata una massa ingente di manoscritti, come l'Idea del
theatro si inserisca in una vera e propria galassia di testi, in cui il
modello enciclopedico si dilata, si articola in più direzioni. La
scoperta più recente, quella del manoscritto di Genova, sem­
bra indicare che Camillo aveva davvero scritto tutto (o quasi) il
Teatro, e che l'Idea ne costituisce una sintetica rievocazione.
Ma le metamorfosi non finiscono qui. Il Teatro di Camillo,
quello non ancora ritrovato, oggetto di desiderio per genera­
zioni, ricompare sulla scena per frammenti, e sotto un volto
diverso: un palazzo di invenzioni, un edificio vero e/o imma­
ginato ornato di immagini complesse e fantastiche, che deli­
neano un iter morale. Abbiamo ripercorso la vicenda davvero
indiavolata di plagi e riscritture, che vede coinvolti l'onesto
Toscanella e il meno credibile Anton Francesco Doni, il quale
però, per una volta, appare vittima di un plagio. Fino a che
anche qui, con un ultimo colpo di scena, è ricomparso il ma­
noscritto di Austin, che giura di trasmetterci la vera versione
del Teatro: il testo delle Pitture del Doni, in realtà, camuffato
con qualche verniciatura francese, per far credere si tratti
davvero del mitico manoscritto composto per il re France­
sco I e ritrovato nella biblioteca del cardinale di Lorena. Co­
me già si accennava, è per noi affascinante, al di là dell'intri­
cata questione dei plagi e delle riscritture, pensare a quante
frontiere di generi il testo ha attraversato: Doni lo usa per dar
corpo a delle «invenzioni», alla costruzione di immagini che
possono o no essere dipinte, che combinano in modo fanta-
1 26 ALLA RICERCA DEL TEATRO PERDUTO

sioso frammenti di memoria di testi e immagini, capaci a loro


volta di generare altri testi e altre immagini; le sue «invenzio­
ni» possono essere soltanto chimere, trovare spazio nella pa­
gina stampata, oppure anche nei luoghi di un edificio. Tosca­
nella usa alcune di quelle «invenzioni» per commentare l' Or­
lando furioso: i personaggi del poema, le loro vicende scorro­
no davanti a noi per bloccarsi d'improvviso in una scena cari­
ca di insegnamento morale, per generare immagini allegori­
che. Il poema si trasforma così in una galleria di immagini in
cui allegoria e memoria convivono, immagini cioè che aiuta­
no a ricordare i modi in cui si possono rappresentare le pas­
sioni e le componenti di base della vita, come l'amore e il so­
gno, la fortuna e la morte. È proprio per questo che Toscanel­
la può citare i passi che, egli crede, provengono dal Teatro
della memoria di Giulio Camillo. Nel dibattito tardocinque­
centesco su Ariosto e Tasso, del resto, spesso i poemi vengono
paragonati a edifici: «quando entro nel Furioso» scrive Gali­
leo «veggo aprirsi una guardaroba, ornata di cento statue an­
tiche de' più celebri scultori ». 1 Vediamo allora schiudersi,
dietro il poema ariostesco, gli splendidi saloni degli Uffizi;
allo stesso modo, nella versione 'francese' del Teatro di Ca­
milio che Toscanella cita, si ricordano opere d'arte conserva­
te nel «guardarobba del Re», così che intravediamo, in fili­
grana, la preziosa collezione di Francesco I. 2 La nostra storia
di plagi e riscritture ci introduce nel cuore del ruolo delle
immagini nel Cinquecento, della loro capacità di attraversare
luoghi diversi: la mente del lettore che legge un poema e lo
visualizza, i teatri della memoria, i palazzi e le collezioni, reali
o immaginari, e naturalmente la biblioteca: una straordinaria
sperimentazione del potere delle immagini.
Per questo non ci stupiamo più di tanto quando, come ve­
diamo nel nostro ultimo testo, il Teatro del Camillo evoca per
Doni una misteriosa villa in Friuli. Ma questa è solo una fine
provvisoria. In modo efficace, ad esempio, la Biennale di Ve­
nezia del 20133 accostava il Teatro del Camillo ai progetti uto­
pici di un Palazzo Enciclopedico del sapere, disegnato negli
1. Galileo Galilei, Considerazioni al Tasso, in Scritti /,etterari, a cura di A. Chiari,
Le Monnier, Firenze, 1970, p. 502.
2. Toscanella, &lle:u.e del Furioso, ciL, p. 24.
3. n Palazzo Enciclopedico. Bienna/,e Arte 2013, a cura di M. Gioni, Marsilio, Ve­
nezia, 2013.
ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI 127
anni Cinquanta del Novecento da un nostro emigrato negli
Stati Uniti, Marino Auriti [fig. 15] , e alle incredibili cattedrali
ed edifici simbolici, meticolosamente elaborati, a cui Achilles
Rizzoli (1896-1981) , in California, affidava il compito di rap­
presentare l'interiorità delle persone amate [fig. 16] .
Ma le suggestioni che si possono ricollegare alla storia che
abbiamo cercato di ricostruire sono davvero proteiformi. Ad
esempio ritroviamo qualche traccia, o almeno riconosciamo
alcune componenti familiari, nel Giuoco dell.e peri.e di vetro che
Hermann Resse inventa negli anni bui del nazismo: un gioco
giocato da una élite intellettuale, che consisteva« nell'allinea­
re, ordinare, raggruppare e contrapporre idee concentrate,
prese da numerosi campi del pensiero e della bellezza, in una
veloce evocazione di valori e forme fuori del tempo»,1 e poi
nel disporle come in una scacchiera così da moltiplicare i lo­
ro rapporti e reciproci influssi; si gioca insomma con l'enci­
clopedia combinando memoria e creatività, e cercandovi una
guida per la trasformazione interiore.
Mentre in anni più vicini a noi Ogawa Yoko ci racconta la
storia inquietante di un distinto signore, Deshimaru, che in
un laboratorio sotterraneo raccoglie i ricordi delle persone e
li trasforma in« esemplari».2

ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI

Fig. 1 Mercurio invita al silenzio, in Achille Bocchi, Symboli­


carum quaestionum, de universo genere, quas serio ludebat, lilni
quinque, Societas Typographiae Bononiensis, Bologna, 1574,
libro III, p. 138, Symb. LXIIIL
Fig. 2 Simbolo dedicato a Giulio Camillo, ibid., p. 186, Symb.
LXXXV/IL
Fig. 3 La Torre della Sapienza, miniatura, ultimo quarto del
XN secolo. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, cod.
Pluteo 30-24, c. 1r.
Fig. 4 « Un Cupidine alato et in terra dimorante ferire il cie-
l. Hermann Hesse, ngiuoco delleperi.idi vetro, trad. it. di E. Pocar, Mondadori,
Milano, 1955; ediz. 2010, p. 35.
2. Ogawa Yoko, L 'anuw.re, trad. it. di C. Ceci, Adelphi, Milano, 2007.
1 28 INTRODUZIONE

lo con un strale cacciato dal'arco, con quel Signore appresso


tenente uno scritto con lettere dicenti Nemo» (Adversaria re­
rum divinarum, c. 19v) . Immagine tratta da Colonna, Hypnero­
tomachia Poliphili, tomo I, p. 160.
Fig. 5 « In maniera di triomphante una vergine ornatissima
la qual riceve a guisa di Danae nel grembo copiosa piova d'o­
ro» (Adversaria rerum divinarum, c. 20r) . Immagine tratta da
Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, tomo I, p. 170.
Fig. 6 L'anfiteatro, in Colonna, Hypnerotomachia Poliphili,
tomo I, p. 351.
Fig. 7 Il trono della regina, ibid., p. 98.
Fig. 8 Il corpo umano come sistema di luoghi di memoria,
in Filippo Gesualdo, Plutosofia, Paolo Meietti, Padova, 1592,
c. 27r.
Fig. 9 Il« gorgo dell'artificio», in Trattato delle materie, p. 166.
Fig. 10 Macchina dell'Accademia di Lagado, in Gionatan
Swift, Viaggi di Gulliver nelle lontane regioni, versione dall'inglese
di G. Barbieri, illustrazioni di Grandville, Vedova di A.F. Stella
e Giacomo figlio, Milano, 1842, p. 274.
Fig. 11 Un esempio degli schemi che visualizzano i diversi
gradi del Teatro, in M, c. 61 r.
Fig. 12 L'impresa che chiude la pittura della Repubblica, in
Doni, Le nuove pitture, p. 130 (c. 19v).
Fig. 13 La Casa degli elementi, in Doni, I numeri, p. 34.
Fig. 14 L'albero del principato, in Le ville delDonifiorentino,
manoscritto Trivulziano cit., c. 22v.
Fig. 15 Marino Auriti, llPalazzo Enciclopedico.
Fig. 16 Achilles G. Rizzoli, The Kathredal, 1935. © The Ames
Gallery Berkeley, CA.
"AAR Z. A. J:' .M:!.H 1' 0Al'A KH %
-M&n'.NOH:!:E ;z:......,.,:.r.u,..,.t bY-<>ÉroT.r.
_ }___ - .L

Fig. I

Fig. 2
Fig. 3

Fig. 4
Fig. 5

Fig. 6
Fig. 7

Fig. 8
Fig. 9

Fig. 10
Fig. 1 1

Fig. 1 2
Fig. 1 3

Fig. 14
Fig. 1 5

Fig. 1 6
NOTA AI TESTI

L 'idea del theatro

L'edizione riprende quella data in Giulio Camillo, L 'idea


del theatro, a cura di Lina Bolzoni, Selleria, Palermo, 1991; il
testo è stato rivisto e corretto, e le note di commento sono
state arricchite. L'edizione su cui il testo si fonda è quella fier­
rentina che Lodovico Domenichi cura per il Torrentino nel
1550 (riscontrata sulla copia conservata a Oxford, Biblioteca
di Ali Souls College, III, 7, 12). Nello stesso anno a Venezia e­
scono due stampe dell' ldea del theatro, rispettivamente presso
Agostino Bindoni e Baldassarre Costantini. Il fatto che en­
trambe portino la lettera di dedica del Domenichi, il quale
nel 1550 era un collaboratore fisso del Torrentino, e che pre­
sentino in alcuni casi lezioni peggiori mi ha indotto a ritenere
che quella fiorentina corrisponda alla prima edizione e che
gli editori veneziani se ne siano impadroniti sperando di fare
buoni affari grazie alla fama dell'autore.
Ho conservato le caratteristiche grafiche dell'edizione Tor­
rentino, limitandomi a sciogliere le abbreviazioni e a interve­
nire sulla punteggiatura e sulle maiuscole. Trattandosi della
stampa di un manoscritto che proveniva dall'area veneta, ci
sono incertezze nell'uso delle doppie, con relativi fenomeni
di ipercorrettismo. Basandomi sulle successive edizioni cin­
quecentesche, sono intervenuta solo nei casi in cui la com­
prensione del testo diventava difficile - cfr. p. 1 77 cannone]
canone, p. 187 leca] lecca.
Sono inoltre intervenuta nei seguenti casi: a p. 165 ho cor­
retto lo schema che riduce a tre i sei princìpi pitagorici, ren­
dendolo conforme al testo; a p. 190 ho aggiunto « Danae »
dopo « il caduceo » , integrando una evidente lacuna dell'edi-
1 30 INTRODUZIONE

zione fiorentina, che permane nelle successive; a p. 226 ho


sostituito il simbolico astrologico di Marte con quello di Sa­
turno.

L 'idea dell'ewquenza

n
L'edizione riprende quella fornita in Bolzoni, teatro della
memoria, cit., pp. 107-27.
Il testo ci è giunto, a quanto mi risulta, attraverso due ma­
noscritti:
U = Udine, Biblioteca Comunale, Fondo principale n.
1423, Orazione e trattato dell'umana deificazione. opuscoli inediti
di Giulio Camillo Del Minio, codice settecentesco segnalato da
Giuseppe Mazzatinti, Inventari dei manoscritti della Biblioteche
d 1talia, voi. III, Luigi Bordandini, Forlì, 1893, p. 194. Com­
prende due opuscoli ( nel secondo la numerazione delle carte
ricomincia infatti da 1 ) : 1 . c. 2r: Orazione di Giulio Camillo Dal­
minio inedita; cc. 3r-4r: lo schema delle sette « difese» del Tea­
tro; cc. 5r-27r: il testo della terza orazione. Alla fine, a c. 27r, si
legge: « Terza orazione estratta da altra copia fatta sull'origi­
nale di mano dell'autore Giulio Camillo Dalminio, e poi in­
contrata»; 2. cc. 2r-23r: Giulio Camillo Dal Minio alla carissima
suafigliuola Camelia dell'umana deificazione.
Ve = Verona, Biblioteca Comunale, cod. 294, tomo X (Mi­
scellanea Ongaro, 9 1 .6) , Raccolta di opuscoli, 1,ettere ed altri docu­
menti riguardanti per la maggi-orparte la Patria delFriuli. Il codice
fa parte delle carte di Domenico Ongaro ( 1 7 1 3-1 796) ed è
segnalato, su indicazione di Silvano Cavazza, in Paul Oskar
Kristeller, Iter Italicum, The Warburg Institute, London-Brill,
Leiden, voi. VI, 1992, p. 289. Alle cc. 76r-77r, sotto il titolo Di
Giulio Camillo Delminio operette inedite, l'Ongaro trascrive alcu­
ne notizie su Camillo; alle cc. 80r-100r figura l'opuscolo (del
XVI secolo) che contiene il nostro testo; a c. 80r leggiamo il
titolo dell'orazione che abbiamo qui adottato, Proemio della
tena oratione di Giulio Camillo Delminio. L'idea dell'eloquentia; al­
le cc. 103r-21 r il trattato De l'humana deificatione, che l'Ongaro
trascrive di propria mano, fra il 1 769 e il 1 779, da un codice
cinquecentesco.
Abbiamo inoltre una parziale edizione:
A = Federico Altan di Salvarolo, Memorie intorno alla vita ed
NOTA AI TESTI 131
all'opere di Giulio Camillo Delminio, in «Nuova raccolta d'opu­
scoli scientifici e filosofici», tomo XXII, 1755, pp. 241-88.
L'autore dice che don Angelo Calogierà gli ha dato un mano­
scritto «che dicesi cavato dall'originale» (p. 273) , dove si con­
servano lo schema delle sette «difese» del Teatro ( che egli
pubblica alle pp. 28�8), la terza orazione ( di cui trascrive il
Proemio alle pp. 284-85) , e il trattato Dell'umana de ificazione.
Da un confronto tra il testo di A e la parte corrispondente
compresa in U ( cc. 3r-5v, fino a «de la sincerità e de la fede») ,
appare evidente in A una maggior tendenza a grafie etimolo­
giche, mentre scarse e poco rilevanti sono le lezioni diverse,
che segnaliamo in apparato. Mancano inoltre in A le due am­
pie annotazioni marginali che in U accompagnano lo schema
delle sette «difese».
Il confronto fra U e Ve si limita necessariamente al testo
dell'orazione. Mancano in Ve le note di rinvio al manoscritto
da cui il testo è copiato quali troviamo in U ( quella alla fine
del testo, già ricordata, e quelle che, a piè di pagina, segnala­
no che le lacune erano già presenti nella copia originaria) .
Che a tale copia faccia capo anche Ve mi sembra provato dal
fatto che le lacune del testo sono identiche a quelle di U. Le
differenze significative tra U e Ve sono poco consistenti e ren­
dono improbabile che U sia copia di Ve. Mi è sembrato op­
portuno scegliere come base per la trascrizione U, che ci of­
fre anche lo schema delle sette «difese» e che sembra testi­
moniare una copiatura più attenta e fedele: si veda ad esem­
pio la dimenticanza in Ve (c. 95r) dell'esemplificazione rela­
tiva al primo grado dell'idea della milizia; il passo viene poi
malamente integrato nel brano relativo al secondo grado. I
pochi casi in cui ho adottato la lezione di Ve sono segnalati in
apparato. Nella trascrizione di U mi sono limitata ad ammo­
dernare l'uso delle maiuscole e della punteggiatura.

Apparato
Indico con B le mie correzioni; i numeri rinviano alle pagi­
ne della presente edizione.
p. 243 quella scoprirò] U questa scoprirò A p. 244 orator copio­
so] U orator tanto copioso A p. 245 ridur] U indur A p. 246 lealtà]
U realtà A p. 247 consentimento] U conoscimento A p. 247 farse­
ne] U farne A p. 247 e dell'esercitazione] U e l'essercitatione
Ve pp. 247-48 siccome i medesimi] U siccome medesimi Ve p. 249
132 INTRODUZIONE

fine più l'appressa] U fine l'appressa Ve p. 249 bastava poter] U ba­


stava per Ve p. 249 onor mio compassione] U onor compassione
Ve p. 253 di spegner] Ve dispegne U p. 253 così fatte] U così
Ve p. 253 desiderassero di farsi] U desiderassero farsi Ve p. 254 di­
vina benignità] Ve benignità U p. 255 exempio dato di] U esempio
de Ve p. 255 appresso i] U appresso Ve p. 256 del rustico] U di
quel rustico Ve p. 256 facciamo di Dio] Ve facciamo di U p. 256 a
me ch'io] U a me, che Ve p. 257 venisse] U venireVe p. 258 istessa
cosa con] B cosa è con U Ve p. 259 apunto] Ve punto U p. 260
mille, o due milanni] U milanni Ve p. 261 mostra di fuori] Ve mostra
U p. 261 anderebbe più sempre] U anderebbe sempre Ve p. 262
risponderete] U rispondere Ve p. 263 tirar] U ritrar Ve p. 263 ri­
marrò di dire] U rimarrò dire Ve p. 264 la vedea] U l'havea Ve pp.
265-66 ad uno con cui abbiamo ... racconciliato] U ad uno reconcilia­
to, altrimenti ad uno che ci sia stato sempre amico, altrimenti ad uno
con cui habbiamo dimestichezza, et altrimenti ad uno con cui non
l'habbiamo Ve p. 266 lingue che] U lingue et Ve p. 266 perito
può] U perito rappresentar può Ve p. 266 hanno più] U fanno più
Ve p. 268 la può] U la può tutta Ve pp. 268-69 di Platone, o] Ve di
Platone e U p. 269 sono li altissimi] U sono altissimi Ve p. 269 sen­
so che quando] B senso quando U Ve p. 269 mentre ella è] U men­
tre è Ve p. 270 vicina al tauro] U vicina al tutto Ve p. 272 esser ne]
Ve esserne U p. 272 le sue maniere ... Ed il primo] U le sue maniere.
Et il primo Ve p. 273 apparar] Ve appar U p. 273 ne ha più l'uno]
U ne ha più uno Ve p. 273 sono vestir] U sono di vestire Ve p. 273
colpi] B corpi U p. 273 de la persona ... ma de] U de la persona a sa­
per tirar un man diritto, un rovescio, un fendente, un colpo di sotto in
su, et una punta in tutte le sue maniere, ma de Ve p. 273 colpi, ma
ancor] B corpi, ma ancor U Ve p. 274 sarebbe di saper] U sarebbe
saper Ve p. 274 apparecchiarsi] U apparecchiar Ve p. 275 puri] U
pure Ve p. 278 tirata giù] U tirata qui Ve p. 280 utili e più facili] U
utili e facili Ve p. 280 e più excellenti] U et eccellenti Ve.

De transmutatione

Alla morte di Camillo il testo era rimasto inedito. Riprodu­


co qui l'edizione data in Bolzoni, Il teatro della memoria, cit.,
pp. 99-106, basata sul codice Aldino 59 (P) (cc. 40r-46v) della
Biblioteca Universitaria di Pavia (cfr. Luigi De Marchi e Gio­
vanni Bertolani, Inventario dei manoscritti della R Biblioteca Uni­
versitaria di Pavia, Hoepli, Milano, 1984, p. 26) . Avevo allora
tenuto presente anche un altro manoscritto, il codice S.M.
XXVIII 2-13 (cc. 50r-56v) della Biblioteca dei Gerolamini di
NOTA AI TESTI 133
Napoli (Kristeller, Iter /talicum, cit., voi. I, 1977, p. 396; voi. Il,
1977, p. 546) (N) , che presenta una versione più breve del
testo (finisce con« Et questa è la vera via da indagar la materia
prima, non da gli occhi del corpo, ma da quelli dell'anima»;
qui a p. 292) . Sia in P che in N il De transmutatione segue l 'lnter­
pretatione dell'arca delpatto. Interessante la nota di possesso di P
(c. 1v) , datata Basilea 18 agosto 1586, di« Dionisius Regnard»
che si dice discepolo di Giovan Battista Olgati. Oltre a P e N, è
in seguito venuto alla luce un terzo manoscritto che ci tra­
manda il testo: Università di Yale, Beinecke Library, Italian
Castle Archive, Generai Collection, 110.51, cc. 43r-48r, Frag­
mento delle tre trasmutationi del divino Giulio Camilo (Y) , su cui
cfr. Lina Bolzoni, Una l.ettura sospetta del « teatro » di Giulio Ca­
millo (a proposito del codice ltalian Cast/,e Archive, Genera[ Col/,ec­
tion, 110.51 della Beinecke Li'7rary di Yak), in La scena del mondo.
Studi sul teatro per Franco Fido, a cura di L. Pertile, R.A. Syska­
Lamparska e A. Oldcorn, Longo, Ravenna, 2006, pp. 69-77. Il
codice di Yale, contenuto in una raccolta di manoscritti che
proviene probabilmente dall'Italia meridionale, non presenta
differenze rilevanti rispetto ai due codici già noti, tranne che in
un caso che indicheremo in nota e che ha tutte le caratteristi­
che di una aggiunta del tutto estranea al pensiero di Camillo.

Dal « Teatro, o palazzo d 'invenzione »

Il testo è conservato a Austin, Harry Ransom Center, Ra­


nuzzi Collection, ms. Ph 12801 Varie prose di diversi auttori ma­
noscritte, tomo Il, cc. 2r-65r; si trascrivono qui le cc. 2 r-9v, am­
modernando le maiuscole e la punteggiatura e correggendo
il testo nei luoghi indicati.
Come mi segnala Eugenio Refini, che ringrazio, la Ranuzzi
Collection (che contiene codici dell'omonima famiglia bolo­
gnese) fu acquistata prima da Thomas Phillipps e poi compra­
ta dall'Harry Ransom Center di Austin: cfr. Catalogue of the Cel­
e'7rated Collection ofManuscriptsfonned l:,y Sir Thomas Phillipps, Bt.
(1 792-1872), Bibliotheca Phillippica New Series, parte quarta,
catalogo dell'asta tenuta il 25 giugno 1968, Sotheby & Co.,
London, p. 132, e Maria Xenia Zevelechi Wells, The Ranuzzi
Manuscripts, University of Texas, Austin, 1980. Il ms. Ph 12801,
segnalato da Paul Oskar Kristeller (Iter ltalicum, cit., vol. V,
134 INTRODUZIONE

1990, p. 207) , comprende una serie di tre manoscritti; il testo


attribuito a Camillo è nel secondo torno. Si tratta di una mi­
scellanea prirnoseicentesca di testi vari copiati da mani diver­
se; legatura in cartone e costola membranacea, mm 145 x 192.

« La villa "posta in luce" da Giulio Camillo »


di AntonFrancesco Doni

Il testo è conservato a Milano, Biblioteca Trivulziana, rns.


Triv. n. 15, scaff. n. 81, palch. n. 1 (su cui cfr. Pissinis, Il codice
Trivulziano n. 15 e l'edizione delle Ville di A.F. Doni, cit.) , cc.
35r-38r. Il testo viene confrontato con l'edizione a stampa, Do­
ni, Le ville, e con i codici: La villaFucchera: liuroprimo delle Ville del
Doni, cit., L 'Attavanta, Villa del Doni a Pandolfo Attavanti, cit., Le
ville delDoni liuro V, cit. (per più ampi ragguagli sulla tradizione
delle Ville, si veda sopra, p. 120 nota).

Questo lavoro trae le sue origini in anni lontani e sarebbe


stato impensabile senza gli insegnamenti e la generosa e ap­
passionata disponibilità di maestri come Paola Barocchi, Nico­
la Badaloni, Eugenio Garin, Ezio Rairnondi. Si è nutrito via via
di preziosi incontri e scambi di idee: mi limiterò a ricordare le
sollecitazioni di Mare Furnaroli a ripensare il significato pro­
fondo, in chiave contemporanea, dei luoghi topici, i dialoghi
con Paula Findlen e Siri Hustvedt, l'invito di Mary Carruthers a
tener presente l'esperienza medioevale, le domande seducen­
ti e inquietanti di Alexander Nagel. Devo a Roberto Calasso e a
Giorgio Pinotti l'invito a riprendere le mie ricerche sul Teatro
di Camillo; senza di loro questo libro non esisterebbe e io non
avrei sperimentato il piacere di ripercorrere vecchi testi e di
trovarne di nuovi, di aprire nuove prospettive ( « les lieux et les
livres queje revois me rient toujours d'une fraiche nouvelleté»
diceva Montaigne) . La cura acuta e implacabile con cui Gior­
gio Pinotti ha rivisto il testo è una riprova del fatto che l'antico
amore per i libri è ancora vivo: anche di questo gli sono grata.
TAVOLA DELLE OPERE CITATE
IN FORMA ABBREVIATA

1. opere di Giulio Camillo


Adversaria rerum divinarum Adversaria rerum divinarum, Venezia, Bi­
blioteca Nazionale Marciana, cod. lat. XIII, 1 1 1 ( 4039) .
Artificio della Bucolica Artificio dell,a Bucolica di Virgilio, i n Le idee, ovve­
roforme della oratione da Hermogene considerate, et ridotte in questa lin­
gua per M. Giulio CamiUo Delminio friul,ano. A questa s'aggiunge
l'artificio della Bucolica di Virgilio spiegato dal detto M. Giulio CamiUo,
opere nuovamente mandate in luce da Gio. Domenico Salomoni
al Signor Andrea Sasso suo compare in Udine, appresso Gio. Bat­
tista Natolini, 1 594, cc. 67r-I00r.
De imitatione dicendi De imitatione dicendi, Città del Vaticano, Biblio­
teca Apostolica Vaticana, cod. Vat. lat. 6565, cc. 1-36.
De l'humana deificatione De l'humana deificatione, in Cesare Vasoli,
Uno scritto inedito di Giulio CamiUo: «De l'humana deificatione», in
« Rinascimento », Seconda Serie, XXIV ( 1984) , pp. 198-227.
De transmutatione Si veda qui, pp. 281-94.
Discorso in materia del suo theatro Discorso in materia del suo theatro, in
opere, voi. I, pp. 7-40.
Discorso sopra Hermogene Discorso sopra Hermogene, in opere, voi. Il,
pp. 77-98 (nel frontespizio l'opera appare con il titolo Discorso so­
pra l 'Idee di Hermogene) .
lnterpretatione deU'arca delpatto Interpretatione deU'arca del patto, Na­
poli, Biblioteca dei Gerolamini, cod. S.M. XXVIII, 2-13.
L 'idea deU'ewquenz.a Si veda qui, pp. 243-80.
Le idee, ovveroforme della oratione Le idee, ovveroforme della oratione da
Hermogene considerate, et ridotte in questa lingua perM. Giulio CamiUo
Delminiofriul,ano. A questa s'aggiunge l'artificio dell,a Bucolica di Virgi­
lio spiegato dal detto M. Giulio CamiUo, cit.
Lettera a Luigi Guicciardini Lettera a Luigi Guicciardini ( 1 1 gennaio
1 536) , in I Guicciardini e /,e scienze occulte. L'oroscopo di Francesco
1 36 INTRODUZIONE

Guicciardini. Lettere di alchimia, astrof.ogia e cabala a Luigi Guicciardi­


n� a cura di R. Castagnola, Premessa di E. Garin, Olschki, Firen­
ze, 1990, pp. 374-83.
Lettera a Marc'Antonio Flaminio A M. Marc'Antonio Flaminio, in ope­
re, voi. I, pp. 289-94.
Lettera del rivolgimento dell'huomo a Dio Lettera del rivolgimento dell 'huo­
mo a Dio, in opere, voi. I, pp. 41-56.
opere opere, Farri, Venezia, 2 voli., 1 579.
Oration seconda al re christianissimo Oration seconda al re christianissi­
mo, in opere, voi. I, pp. 24249.
Pro suo de ef.oquentia theatro ad Gallos oratio Pro suo de ef.oquentia theatro
ad Gallos oratio, Somaschi, Venezia, 1587.
Sermoni Sermoni della cena di Nostro Signore Gesù Cristo, Seth Viotto,
Parma, 1571.
Tapica Tapica, i n Trattati di poetica e di retorica del Cinquecento, a cura
di B. Weinberg, Laterza, Bari, voi. I, 1970, pp. 357407.
Trattato dell'imitazione Trattato dell'imitazione, in Trattati di poetica e
retorica del Cinquecento, cit., pp. 161-85.
Trattato delle materie Trattato delle materie, in opere, voi. I, pp. 14 7-95
(l'edizione di Weinberg, Trattati di poetica e retorica del Cinquecento,
cit., pp. 321-56, non ha la parte del testo su cui è stampata l'imma­
gine del « gorgo dell'artificio ») .

Recenti riproposizioni di opere di Camillo sono in Giulio Camil­


lo Delminio, L 'idea del theatro, Discorso in materia del suo theatro, Rime,
Lettere, Società di Storia, Portogruaro, 1984, e L 'idea del theatro e altri
scritti di retorica, a cura di D. Chiodo e R Sodano, RES, San Mauro,
1990.

2. Altri testi

Bembo, Le epistol,e «De imitatione » Le epistol,e «De imitatione » di Gio­


vanfranasco Pico della Mirandola e di Pietro Bembo, a cura di G. San­
tangelo, Olschki, Firenze, 1954.
Colonna, Hypnerotomachia Poliphili Francesco Colonna, Hypneroto­
machia Poliphili, riproduzione dell'edizione aldina del 1499, In­
troduzione, traduzione e commento di M. Ariani e M. Gabriele,
Adelphi, Milano, 2 tomi, 1998.
Curione, Hieroglyphicurum commentariurum libri Celio Agostino Cu­
rione, Hierogf,yphicorum commentariorum libri, in Hierogf,yphica sive de
sacris Aegyptiurum, aliarumque gentium literis commentarii Ioanni Pie-
TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI 137
rii Valeriani ... a Caelio Augustino Curione duouus lil,ri aucti, per Tho­
mam Guarinum, Basel, 1575.
Doni, Disegno Anton Francesco Doni, Disegno, a cura di M. Pepe,
Electa, Milano, 1970.
Doni, I marmi Anton Francesco Doni, I marmi, Marcolini, Venezia,
2 voli., 1552-1553.
Doni, I numeri Anton Francesco Doni, I numeri, a cura di A. Del
Fante, Bulzoni, Roma, 1981 .
Doni, fl Cancellieri Anton Francesco Doni, fl Cancellieri, libro dell'e'lo­
quenza, Gabriele Giolito, Venezia, 1 589; la prima edizione è del
1 562.
Doni, La libraria Anton Francesco Doni, La libraria, Gabriele Gioli­
to, Venezia, 1558.
Doni, Le nuove pi,tture Le nuove pi,tture del Doni Fiorentino, a cura di S.
Maffei, con una nota musicale di V. Bemardoni e una nota lingui­
stica di C.A. Girotto, La Stanza delle Scritture-Biblioteca Aposto­
lica Vaticana, Napoli, 2006.
Doni, Le ville Le ville del Doni, Benacci, Bologna, 1566.
Doni, Pitture Pitture delDoni Academico Pellegrino, a cura di S. Maffei,
La Stanza delle Scritture, Napoli, 2004.
Doni, Tre lil,ri di lettere Anton Francesco Doni, Tre lil,ri di /.ettere, Mar­
colini, Venezia, 1552.
Equicola, Libro de natura de amore Mario Equicola, Libro de natura de
amore, Lorenzo Lorio da Portes, Venezia, 1535.
Ficino, opera omnia Marsilio Ficino, opera omnia, Bottega d'Era­
smo, Torino, 1 959, ristampa anastatica dell'edizione Officina
Henricpetrina, Basel, 1576.
Giorgio, Commento Commento sopra ilpoema delRev. PadreFraFrance­
sco Giorgio, Napoli, Biblioteca Nazionale, XIII, B, 59.
Giorgio, De harmonia mundi Francesco Giorgio (o Zorzi) Veneto,
De harmonia mundi, A. Berthelin, Paris, 1545.
Giorgio, Problemata Francesco Giorgio Veneto, In Scripturam sa­
cram problemata, Bernardino Vitali, Venezia, 1536.
Lullo, Testamentum Raimondo Lullo (attribuito a) , Testamentum
duobus lil,ris universam artem chymicam complectens, Iannem
Birckrnannum, Koln, 1623.
Mercurio Trismegisto, Hermetica Mercurio (o Hermes) Trismegi­
sto, Hermetica, a cura di W. Scott, Clarendon Press, Oxford, 4 voli.,
1924-1936.
Pico della Mirandola, Commento Giovanni Pico della Mirandola,
Commento sopra una canzona de amore composta da Giro/,amo Benivie-
1 38 INTRODUZIONE

ni, in De hominis dig;nitate. Heptaplus. De ente et uno e scritti vari, a


cura cli E. Garin, Vallecchi, Firenze, 1942, pp. 445-581.
Pico della Mirandola, De hominis dig;nitate Giovanni Pico della Mi­
randola, De hominis dig;nitate. Heptaplus. De ente et uno e scritti vari,
cit., pp. 101-65.
Pico della Mirandola, Heptaplus Giovanni Pico della Mirandola, De
hominis dig;nitate. Heptaplus. De ente et uno e scritti vari, cit., pp.
167-383.
Pico della Mirandola, Le epistole «Deimitatione» Le epistole «De imita­
tione » di Giovanfrancesro Piro della Mirandola e di Pietro Bembo, cit.
Serlio, I sette lilni dell'architettura Sebastiano Serlio, / sette lilni dell'ar­
chitettura, Forni, Bologna, 1978, ristampa anastatica di Tutte l'opere
d'architettura di Sebastiano Serlio, Francesco de' Franceschi, Vene­
zia, 1584.
Serlio, n terzo libro n terzo libro di Sebastiano Serlio bowgnese nel qual si
figurano e descrivono le antiquità di Roma e le altre che sono in Italia e
fuori d1talia, Marcolini, Venezia, 1540.
Serlio, Regole generali di architetura Sebastiano Serlio, Regole generali
di architetura sopra le cinque maniere de gli edifici, cioè, thoscano, dorico,
ionico, rorinthio, et composito, ron gli essempi dell'antiquità, che, per la
magiorparte concordano ron la dottrina di Vitruvio, Marcolini, Vene­
zia, 1537.
Valeriano, Hieroglyphica Hieroglyphica sive de sacris Aegyptiorum, alia­
rumque gentium literis rommentarii /oanni Pierii Valeriani ... a Caelio
Augustino Curione duobus lilni aucti, cit.
Zohar Sepher ha-Zohar (Le livre de la splendeur), a cura diJ. de Pauly,
Leroux, Paris, 6 voll., 1906-191 1 .
L'IDEA DEL THEATRO
[LETIERA DI DEDICA]

All'illustrissimo signore il signor don Diego Hurtado


di Mendozza, ambasciatore appresso il Sommo Ponte­
fice et del consiglio di sua Maestà Cesarea. 1
Pochi anni avanti che di questa a miglior vita passasse
lo eccellente et non mai a bastanza lodato Messer Giu­
lio Camillo, ritrovandosi egli allhora in Milano in gran­
de stima appresso il signor Marchese del Vasto,2 che
l'haveva invitato et trattenuto seco con honorate condi­
tioni, et domandato da lui che gli facesse vedere et co­
noscere alcuna cosa di quel suo tanto mirabil Theatro,
fece in ispatio di pochi giorni una idea, o vogliam dire
modello di tutta la fabrica d'esso. La quale dopo la mor­
te dell'uno et dell'altro, che seguì poco tempo dapoi, 3
venuta alle mani di Messer Antonio Cheluzzi da Colle,
et da lui amorevolmente accommodata agli stampatori, 4
1. Don Diego Hurtado de Mendoza (nato agli inizi del secolo, morto
nel 1 575) , letterato, filosofo, storico, ambasciatore di Carlo V prima
a Venezia poi al Concilio di Trento e, nel 1 550, presso Giulio III, e­
letto papa nel febbraio dello stesso anno. Nel 1549 il Doni gli dedica
il Diseg;no (Gabriele Giolito, Venezia, 1 549) e nel 1 550 Sopra l'effigi.e di
Cesarefatta per M. Enea Vico da Parma, uno scritto sul ritratto di Carlo
V dipinto da Tiziano e inciso da Enea Vico.
2. Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto ( 1 502-1546) , nobile di ori­
gine spagnola, marito di Maria d'Aragona, generale delle armate
imperiali e, dal 1 538, governatore del ducato di Milano.
3. Camillo muore nel 1 544 e il D'Avalos nel 1 546.
4. Per sedici anni Antonio Cheluzzi è al servizio dello stampatore
142 L'IDEA DEL THEATRO

è questa breve operetta che io hora, strettamente a ciò


fare da lui persuaso, humilmente intitolo a Vostra Ec­
cellenza. Del quale ufficio quantunque forse alcuni, i
quali troppo sono presti a giudicare le attioni altrui, mi
potessero temerario chiamare, usurpandomi auttorità
sopra cosa ch'a me nulla appartiene, spero nondimeno
che voi, il quale maturamente et rettamente tutte le co­
se solete giudicare, diverso giudicio et più amorevole
farete, et non solo me non riprenderete di ciò che per
piacere all'amico mio, per giovare al ben publico, et
per honorarne il celeberrimo nome vostro ho fatto, ma
ne loderete ancho chi s'è mosso a mandarla in luce,
affin che, non potendosi anchora scoprire la macchina
intera di sì superbo edificio, la quale empie di maravi­
glia et di desiderio chi pur solamente l'ode ricordare,
da questo picciolo esempio di lei si conosca come l'aut­
tor suo promise cose simili al vero et se ben difficili a
mediocri intelletti, non però impossibili, ma agevoli al
suo grandissimo ingegno, il quale con l'altezza de' suoi
pensieri arrivava dove huom per sé non sale. 1 Et spero
anchora che molti di coloro i quali, quel che ne fosse la
cagione, o invidia o ignoranza, dicevano che Messer
Giulio Camillo troppo haveva promesso, leggendo que­
sta idea conosceranno che a lui era così facile l'osserva­
re, come pronto il promettere; et come dalla misura
dello stadio, il quale Hercole correva, Pithagora com­
prese la forma del piede, et dal piede venne in cognitio-
Francesco Calvo, che muore a Milano nel 1 548 (cfr. Carlo Errera, Le
« Commentationes Flmentinae de exilio » di Francesco Fiklfo, in « Archivio
storico italiano », V, 5, 1890, pp. 1 96-98) ; collabora poi col Giolito,
per il quale segue fra l'altro la stampa delle opere del suo amico Gi­
rolamo Muzio ( cfr. Angela Nuovo e Christian Coppens, / Giolito e la
stampa nell1talia del XVI secolo, Droz, Genève, 2005, p. 233). Su di lui,
e su di una lettera a lui indirizzata da Guglielmo Sirleto, cfr. Bolo­
gna, n « theatro » segreto di Giulio Camillo, cit., pp. 217-71 (in particola­
re p. 247) .
1. Il Domenichi (per il quale si veda sotto, p. 1 44 nota) allude qui a
un'origine divina della sapienza di Carnillo.
LETIERA DI DEDICA 143
ne di quanto egli avanzasse gli altri huomini di statura, 1
tale argomento et conclusione faranno eglino di questo
poco c'hora si dà a leggere, considerando tutto quel
ch'egli ha scritto. Et ciò potrebbe essere peraventura
cagione che quegli huomini illustri, i quali furono, vi­
vendo l'auttore, riputati da lui degni di possedere così
raro dono, mossi dal desiderio universale, s'inducesse­
ro, publicandolo, a fare questo supremo honore alla
immortal memoria del divino Messer Giulio Camilla, e
il perfetto beneficio a tutto 'l mondo, che sommamente
l'aspetta et desidera. Restarebbe che io scusassi l'ardir
mio, il quale m'ha persuaso a intitolare l'altrui fatiche a
Vostra Eccellenza, di eh' è stato cagione la riverente affe­
tione che già molti anni sono io porto all'infinito valore
et a' grandissimi meriti di quella. La quale affettione ri­
trovandosi hora nel mio core coperta sotto uno humil
silentio, nuovamente s'è desta et manifestata per le pa­
role del molto virtuoso et gentilissimo messer Arnoldo
Arlenio, 2 devotissimo servitor di quella et mio honoratis­
simo amico, il quale m'ha confermato a credere che ciò
non sarebbe stato discaro all'Eccellenza Vostra, anzi che
infinitamente le sarebbe piaciuto, sì come a persona
dottissima et dignissimo estimatore di sì lodevole fatica.
Di che la prego quanto più so et posso, et insieme rive­
rentemente bacio le mani di quella et raccomandando-
I. L'episodio è narrato in Aulo Cellio, Noctes Atticae, I, 5.
2. Arnoldo Arlenio (Arnould de Lens) , di origine fiamminga ma
di formazione italiana; esperto grecista, copia per don Diego Hurta­
do de Mendoza numerosi codici greci della biblioteca del cardi­
nale Bessarione. Dal 1 547 al 1 562 è a Firenze, dove lavora insieme
al Domenichi nella tipografia di Lorenzo Torrentino. La sua ope­
ra di revisore e correttore si applica in particolare ai testi classi­
ci. Il Torrentino ( di origine olandese, il suo vero nome era Laurens
Leenaertsz van der Beke) era stato chiamato a Firenze da Cosi­
mo de' Medici, che lo nomina stampatore ducale. Per i testi da lui
pubblicati, cfr. Domenico Moreni, Annali della tipografia .fiorenti­
na di Lorenzo Torrentino impressore ducal,e, Francesco Daddi, Firenze,
1 81 9.
144 L'IDEA DEL THEATRO

mi nella sua buona gratia, pregando Iddio che le accre­


sca felicità et grandezza.
A dì primo d'aprile MDL. Di Fiorenza.
Di Vostra Eccellenza
humil servitore
Lodovico Domenichi 1

1 . Lodovico Domenichi ( 1515-1 564) svolge un'intensa attività edito­


riale, prima a Venezia, presso il Giolito, e poi a Firenze. Vi si trasferi­
sce nel 1 546, lavorando prima nella stamperia dei Giunti e poi in
quella di Anton Francesco Doni. Dal 1 547 è impegnato presso la
stamperia di Lorenzo Torrentino. Imprigionato nel 1 552 sotto accu­
sa di eresia, viene presto liberato per interessamento di Cosimo de'
Medici. Cfr. Alessandro D'Alessandro, Prime ricerche su Lodovico Do­
menichi, in Le curtifarnesiane di Pa1111a e Piacenza. 1545-1622, voi. II, a
cura di A. Quondam, Bulzoni, Roma, 1978, pp. 1 71-200, e Enrico
Garavelli, Lodovico Domenichi e i « Nicodemiana » di Calvino. Sturia di un
lilno perduto e ritrovato, Vecchiarelli, Manziana, 2004.
[IL PRIMO GRADO DEL TEATRO]

I più antichi et più savi scrittori hanno sempre havuto


in costume di raccomandare a' loro scritti i secreti di
Dio sotto oscuri velami, accioché non siano intesi se non
da coloro i quali ( come dice Christo) hanno orecchie da
udire,1 cioè che da Dio sono eletti ad intendere i suoi
santissimi misteri. Et Melisso dice che gli occhi delle ani­
me volgari non possono sofferire i raggi della divinità. 2
Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale,
scendendo dal monte sopra il quale egli anchor per lo
mezo dell'angelo haveva parlato con Dio, non poteva
esser guardato dal popolo, se egli il viso col velo non si
nascondeva. 3 Et gli Apostoli anchora veduto Christo
trasfigurato, cioè quasi partito dalla grossezza della hu­
manità alla quasi gloria della divinità, non sufficienti a
riguardarlo per la debolezza, cadderono. 4 Et nell 'Apoca­
lipsi si legge: « Et significavit mittens per Angelum suum
servo sua Ioanni ». 5 Dove è da notare che anchor a Gio­
vanni, con tutto che egli fosse servo suo, non aperse l'in­
tendimento suo, se non per significationi et per visioni.
Et veramente sì come nella mondana militia sono ado-

I . Mt, 1 1 , 15; 13, 9e 43.


2. Melisso di Sarno (V secolo a.C.) , seguace di Parmenide.
3. Es, 34, 33.
4. Mt, 1 7, 1-6; Mc, 9, 2-13.
5. Ap, l , 1-2.
146 L'IDEA DEL THEATRO

perate le voci de' capitani et le trombe et le insegne per


conducere et inanimar le armate schiere con tra i nimici,
non in altra maniera nella militia divina habbiamo noi
per la voce le parole del Signore, le angeliche trombe, le
quali sono le voci de' propheti et de' predicatori, et le
insegne, et queste sono i segni delle visioni, le quali
significano et non esprimono. A questo habbiamo da
aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar
religioso et pien di Dio, viene ad esser violato quando gli
sopraviene moltitudine volgare. 1 La onde non senza ra­
gione gli antichi in su le porte di qualunque tempio te­
nevano o dipinta o scolpita una sphinge, con quella ima­
gine dimostrando che delle cose di Dio non si dee, se
non con enigmi, far publicamente parole. 2 Il che in più
maniere ci è stato anchora insegnato da Dio, che parola
di Christo è che le margarite non si debbiano gittare a'
porci, et che a' cani non vogliamo dar le cose sante. Et
parlando a gli Apostoli suoi, disse loro: « Vobis datum est
nosse misteria regni coelorum, coeteris in parabolis, ut
videntes non videant, et audientes non intelligant ». 3 Et
nel quarto di Esdra Dio, parlando di Mosè fatto salir so­
pra il monte, dice: « Et detinui cum apud me diebus
multis, et narravi ei mirabilia multa, temporum secreta
et finem, et dixi: haec in palam facies, et haec abscon-
1. Mercurio (o Hermes) Trismegisto ( tre volte grandissimo) , mitico
antico sapiente egizio, cui vengono attribuiti scritti ( Corpus Hermeti­
cum) che sono in realtà composti nella tarda età ellenistica, in am­
bienti platonici. Quattordici opuscoli del Corpus Henneticum furono
tradotti da Marsilio Ficino e pubblicati nel 1 471 col titolo di Pi.man­
der, che era originariamente il titolo del primo opuscolo. Un altro
opuscolo, l'Asdepius, era conosci,uto in una versione latina attribuita
ad Apuleio: nel 1505 Lefèvre d'Etaples raccoglie in un solo volume
la traduzione ficiniana del Pi.mandere dell' Asclepius. La citazione del
Camillo si riferisce al prologo dell 'Asclepius, I b (Mercurio Trismegi­
sto, Hennetica, voi. I, pp. 286-88) .
2 . L'interpretazione del significato della sfinge deriva d a Pico della
Mirandola, De hominis dilfTl,itate, p. 1 56, e Heptaplus, Prooemium, p. 1 72
(l'intero proemio è molto vicino a queste pagine di Camillo) .
3 . Mt, 7 , 6, e 1 3, 11-14.
IL PRIMO GRADO DEL TEATRO 147
des ». 1 Et David a Dio parlando dice: « Revela oculos
meos, et considerabo mirabilia tua »,2 dove disse non di
dover palesar, ma solamente di considerar le alte mara­
viglie. Poi appartenendo le cose divine al sopraceleste
mondo, et essendo quello separato da noi dalla massa di
tutti i cieli, et non potendo la lingua nostra giunger alla
espression di quello se non ( dirò così) per cenni et per
similitudini, a fine che per lo mezo delle cose visibili sa­
gliamo alle invisibili, non ne è lecito, anchor che Dio ci
desse qualche gratia di ascendere al terzo cielo, et di ve­
dere i suoi secreti, 3 quelli (dico) non ci è lecito di revela­
re, percioché quelli revelando, doppio error si viene a
commettere, et cioè di scoprirgli a persone non degne,
et di trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo
quello il suggetto delle lingue de gli angeli. I quali due
inconvenienti volendo fuggir Giovanni, scrisse le sue vi­
sioni senza cercare in altra guisa di dichiararle. 4 Et noi
nelle cose nostre ci serviamo delle imagini, come di
significatrici di quelle cose che non si debbon profana­
re. Et quanto a Dio sia caro che le cose sue siano tenute
nella riverenza de' loro velami, esso medesimo ne fa fe­
de, chiamando Mosè fedel ministro suo. 5 Et da' cabalisti
Ezechiel vien chiamato propheta villano per haver, alla
guisa d'un huomo di villa, scoperto tutto quello che egli
havea veduto.6 Né tacerò io che i medesimi cabalisti ten-
i . 4 Esd, 1 4, 4-7. I libri III e IV di Esdra sono considerati apocrifi.
2. Sa� 1 1 8, 18.
3. Cfr. 2 Cur, 1 2, 2-4, dove Paolo racconta di essere stato rapito al ter­
zo cielo. Camillo allude qui a un'esperienza analoga.
4. Il riferimento è all'Apocalisse.
5. Nm, 12, 7.
6. La cabala corrisponde a una tradizione mistica radicata nel mon­
do ebraico che si presenta come frutto di una rivelazione divina se­
greta, tramandata oralmente attraverso i secoli. I due testi cabalisti­
ci più importanti sono Sepher Yetziraho Lilrro della creazione, attribuito
al patriarca Abramo, che contiene la dottrina delle dieci Sefirot
(nomi, o emanazioni di Dio che producono il mondo) , e lo Zoharo
Lilrro dello spkndore (del XIII secolo) , costituito da un commento al
148 L'IDEA DEL THEATRO

gono che Maria, sorella di Mosè, fosse dalla lebbra op­


pressa, per haver revelate le cose secrete della divinità1
et che per lo medesimo delitto Ammonio morisse di
sporca et misera morte. 2 Et tanto bastandoci di haver
detto della riverenza di quel silentio, nel qual si habbia­
no da tener le cose sante, passiamo, col nome del Signo­
re, a ragionar del nostro theatro.
Salomone al nono de' Provermi dice la sapienza haver­
si edificato casa, et haverla fondata sopra sette colonne. 3
Queste colonne, significanti stabilissima eternità, hab­
biamo da intender che siano le sette Saphiroth del so­
praceleste mondo, che sono le sette misure della fabrica
del celeste et dell'inferiore, nelle quali sono comprese
le idee di tutte le cose al celeste et all'inferiore apparte­
nenti.4 Di che fuori di questo numero cosa alcuna non
Pentateuco. Il riferimento di Camilla a Ezechiele potrebbe essere le­
gato a Ez, 3, 26, dove si dice che Dio lo rende muto fino al momento
in cui dovrà parlare al popolo, oppure a Ez, 1 1 , 25, dove il profeta
dice di aver raccontato tutte le cose che Dio gli ha fatto vedere.
1. In Nm, 1 2, Maria, sorella di Mosè, è colpita dalla lebbra, ma a cau­
sa della sua gelosia e della sua maldicenza. L'interpretazione di Ca­
milla si lega forse alla tradizionale identificazione della sorella di
Mosè con l'alchimista Maria Giudea.
2. Ammonio Sacca (Il-III secolo d.C.) , filosofo alessandrino, fu ini­
ziatore del neoplatonismo e maestro di Plotino; Erennio, Origene
e Plotino avevano promesso di tener segreti i dogmi del maestro
(Porfirio, Vita Plotini, 3, 10 e 25) , che non ha lasciato nessuno scrit­
to. L'idea della punizione di Ammonio è forse legata alla tradizione
(piuttosto controversa) per cui da cristiano si sarebbe fatto pagano.
3. Pro, 9, 1.
4. La dottrina dei tre mondi - sopraceleste, celeste e naturale - era
molto diffusa in ambienti influenzati dal neoplatonismo e dalla ca­
bala. Si veda ad esempio Pico della Mirandola, Heptaplus, Aliud frroo­
emium, pp. 1 84 sgg. Delle dieci Sefirot della tradizione cabalistica le
prime tre erano in genere considerate come più interne ai processi
divini, le altre sette come più legate all'espansione del divino nel
mondo; per questo venivano fatte corrispondere ai sette pianeti.
Nel Teatro di Camilla i sette pianeti costituiscono il principio ordi­
natore universale, quale si manifesta nel mondo celeste e nel mon­
do 'inferiore' (cioè naturale) ; nello stesso tempo i sette pianeti rin-
IL PRIMO GRADO DEL TEATRO 149

possiamo imaginare. Questo settenario numero perfet­


to, percioché contiene l'uno et l'altro sesso, per esser
fatto di pari et di dispari, onde volendo dir Vìrgilio « per­
fettamente beati », disse « Terque quaterque ». 1 Et Mer­
curio Trismegisto nel Pimandro, parlando della creation
del mondo, induce sé medesimo a domandare: « Ele­
menta naturae unde manarunt? ». Et Pimandro rispon­
de: « Ex voluntate Dei, quae verbum complexa, pul­
chrumque intuita mundum, ad eius exemplar reliqua
sui ipsius elementis, vitalibusque seminibus exomavit.
Mens autem Deus, utriusque sexus foecunditate plenis­
simus, vita et lux, cum verbo suo mentem alteram
opificem peperit, qui quidem Deus ignis atque spiritus
septem deinceps fabricavit gubernatores, qui circulis
mundum sensibilem complectuntur ». 2 Et nel vero ha­
vendo la divinità esplicate fuori queste sette misure, se­
gno è che nello abisso della sua divinità siano anchor
implicitamente contenute, percioché nemo dat quod
non habet. 3 Queste colonne, Esaia le chiama femine,
viano alle sette misure del mondo sopraceleste, cioè alle sette Sefirot
cui conispondono. Cfr. Interpretatione dell'arca delpatto: le prime tre
Sefirot sono quelle attraverso le quali « fiunt omnia », ma grazie alle
altre sette le cose vengono prodotte; per questo « dicuntur numera­
tiones fabricae » ( c. 5r) .
1. Virgilio, Aeneis, I, 94. Nella numerologia pitagorica il numero di­
spari è maschile, il numero pari femminile. L'idea che l'elemento
femminile sia una componente del divino e che concorra, con l'ele­
mento maschile, alla generazione del mondo è ben presente nella
tradizione cabalistica. Sui caratteri che, in questa ottica, assume il
numero sette, cfr. un passo di Giorgio, Commento: il settenario, si di­
ce, è fatto del « ternario virile e divino » e del « quaternario femmini­
le et elementale » ( c. 53v ) . Nella Lettera a Luigi, Guicciardini il Camil­
lo scrive: « Quantunque la Sapienza, mentre ha relazione al Padre,
sia femina, cioè abia virtù passiva, per venir dal padre ... nondimeno
la medesima Sapienza, mentre ha relazione a le sottoposte sette mi­
sure de la fabrica prodotte da lei, ha virtù maschile e attiva, e esse
sette misure l'hanno feminina, cioè passiva » (p. 379) .
2. Mercurio Trismegisto, Pimander, I, 8-9, in Hermetica, voi. I, pp.
1 1 7-19.
3. Espressione proverbiale che esprime un principio giuridico.
150 L'IDEA DEL THEATRO

quando dice: « Septem mulieres apprehenderunt sibi


virum unum » • 1 Et chiamale femine, che vuol dir passive,
cioè produtte. Ma se, come dice Paolo: « Portat omnia
verbo virtutis suae » ,2 et altrove: « Unum in omnibus, et
omnia in uno » ,3 et a' Colossensi: « Est imago Dei invisi­
bilis, primogenitus omnis creaturae, quoniam in ipso
condita sunt universa in coelis et in terra, visibilia et invi­
sibilia, sive Throni, sive Dominationes, sive Principatus,
In ipso i dest sive Potestates, omnia per ipsum et in ipso creata sunt », 4
implicite. segue che non possiamo trovar magion più capace, che
Per ipsum
i de st quella di Dio. 5 Or se gli antichi oratori, volendo collocar
explic ite. di giorno in giorno le parti delle orationi che havevano
a recitare, le affidavano a' luoghi caduchi, come cose
caduche,6 ragione è che, volendo noi raccomandar eter­
nalmente gli eterni di tutte le cose che possono esser
vestiti di oratione con gli eterni di essa oratione, trovia­
mo a loro luoghi eterni. 7 L'alta adunque fatica nostra è
stata di trovare ordine in queste sette misure, capace,
bastante, distinto, et che tenga sempre il senso svegliato
et la memoria percossa. 8 Ma considerando che, se voles­
simo mettere altrui davanti queste altissime misure, et sì
lontane dalla nostra cognitione, che solamente da' pro­
pheti sono state anchor nascosamente tocche, questo
sarebbe un metter mano a cosa troppo malagevole. Per-
1. /s, 4, 1.
2. Eb, 1 , 3.
3. Cfr. Gv, 1 7, 21; Rm, 12, 5; Ga� 3, 26-28.
4. Co� l , 15-1 7.
5. Il Teatro, che vuole dare una collocazione a tutto, si modella su
Dio, la « magione » più ampia che si possa trovare.
6. Allude ai procedimenti della mnemotecnica classica, che usava
luoghi di memoria sensibili (ad esempio le parti di un edificio o del
foro) e quindi « caduchi ».
7. Camilla vuole collocare nel Teatro le strutture universali delle
cose ( « gli eterni di tutte le cose » ) e, insieme, le strutture universali
della retorica ( « gli eterni di essa oratione ») .
8. Le tecniche di memoria devono avere infatti un forte impatto sui
sensi e sulle emozioni.
IL PRIMO GRADO DEL TEATRO 151
tanto in luogo di quelle, piglieremo i sette pianeti, le cui
nature anchor da' volgari sono assai ben conosciute, ma
talmente le useremo, che non ce le propogniamo come
termini, fuor de' quali non habbiamo ad uscire, ma co­
me quelli che alle menti de' savi sempre rappresentino
le sette sopracelesti misure. 1 Et è ben ragione, che sì co­
me parlando delle cose inferiori, la loro natura i sette
pianeti ci rappresenta, secondo che questa a quello, et
quella a quell'altro è sottoposta, così anchor de' pianeti
parlando, ci ritornino alla mente quei principii donde
quelli hanno havuto la loro virtù.
Questa alta et incomparabile collocatione fa non sola­
mente officio di conservarci le affidate cose, parole et
arte, che a man salva ad ogni nostro bisogno informati
prima le potremo trovare, ma ci dà anchor la vera sa­
pienza ne' fonti di quella, venendo noi in cognition del­
le cose dalle cagioni et non da gli effetti. Il che più chia­
ramente esprimeremo con uno esempio. Se noi fossimo
in un gran bosco et havessimo desiderio di ben vederlo
tutto, in quello stando al desiderio nostro non potrem­
mo sodisfare, percioché la vista intorno volgendo, da
noi non se ne potrebbe veder se non una picciola parte,
impedendoci le piante circonvicine il veder delle lonta­
ne; ma se vicino a quello vi fosse una erta, la qual ci con­
ducesse sopra un alto colle, del bosco uscendo, dall'erta
cominceremmo a veder in gran parte la forma di quello;
poi, sopra il colle ascesi, tutto intiero il potremmo
raffigurare. Il bosco è questo nostro mondo inferiore, la
erta sono i cieli, et il colle il sopraceleste mondo. Et a
voler bene intender queste cose inferiori, è necessario
di ascendere alle superiori, et di alto in giù guardando,
di queste potremo haver più certa cognitione. Di questo
modo di intender, par che gli antichi scrittori gentili
1. « Sarà ... questo mio tempio di pittura sostenuto e retto da sette
governatori, come da sette colonne, et imitarò in ciò Giulio Camillo
nella idea del suo teatro, ancora che troppo umile e rozza sia questa
mia a petto a quella fabrica » (Lomazzo, Scritti sulle arti, cit., cap. 1x:
Idea del tempio della pittura, p. 278) .
152 L'IDEA DEL THEATRO

non ne fossero al tutto digiuni. Di che Massimo Tirio al­


lega Homero, che induce Ulisse asceso in alta parte con­
siderare i costumi de gli habitanti. 1 Et Aristotele ci lasciò
scritto che, se noi fossimo sopra i cieli, si potrebbe da
noi conoscere l'eclissi del Sole et della Luna per le loro
cagioni, senza volere a quelle ascendere da gli effetti. 2 Et
Cicerone nel sogno del menore &ipione fa che di cielo
l'avolo suo a lui dimostra le cose terrene. 3 Ma et Cicero­
ne et Aristotele, come quelli che più oltra non intende­
vano, ne' cieli si fermarono. Et noi, a cui Dio ha dato il
lume della gratia sua, non dobbiam star contenti di fer­
marci ne' cieli, anzi col pensiero ci dobbiamo inalzare a
quella altezza donde sono discese le anime nostre, et
dove elle hanno da ritornare, ché questa è la vera via del
conoscere et dell'intendere. Alla qual perciò non dob­
biamo presuntuosi pensar di dover per nostra virtù po­
ter pervenire, ché a questo modo ci sarebbe detto da
Dio quello che fu risposto a Mosè nella sua presuntione:
« Posteriora mea videbis, faciem autem meam non vide­
bis » . 4 Et cioè, tu vederai gli effetti delle cose, ma non le
cagioni di quelle. Anzi habbiamo noi a pregar la divina
sua Maestà, che ci faccia degni di quella gratia la quale,
quando poi piacque a lei, ella donò al medesimo Mosè,
mostrandogli le molte sue maraviglie, il che sarà quan­
do noi saremo fatti tali, che annichilati, et di noi stessi
nulla presumendo, potremo con l'Apostolo dire: « Iam
non vivo ego, sed vivit in me Christus » . 5
Or essendo il proceder nostro così ragionevole, come
1 . Massimo Tirio, Phiwsaphumena, Il, 6, lx:. Il passo è commentato
negli Adversaria rerum divinarum, c. I08r, dove si trae la conclusione
che dobbiamo elevarci « in sublimem aliquam animi speculam » per
indagare la natura divina. È da tener presente che il colle è tradizio­
nalmente associato alla sapienza, alla conquista di un punto di vista
superiore sulla realtà.
2. Aristotele, Analytica posteriura, I, 3 1 .
3 . Cicerone, Somnium Scipionis, in De republica, VI , 9 , 1 1 .
4. Es, 33, 23.
5. Ga� 2. 20.
IL PRIMO GRADO DEL TEATRO 153
mostrato habbiamo, del conoscer di alto le cose basse, et
di prender nella fabrica nostra, ad imitation della cele­
ste, il numero settenario, per venire al primo ordine, di­
co che io non lo trovo né più perfetto, né più divino, che
per uno altro settenario, applicato a ciascuna delle dette
colonne, overo a ciascuno de' detti pianeti, che dir gli
vogliamo. Dicono adunque i secretissimi theologi, i qua­
li sono i cabalisti, che Mosè sette volte passò per le sette
Saphirot, senza poter giamai passar la Binà. 1 Et dicono
quello esser il termino al quale l'intelletto humano può
esser levato. Et benché Mosè, giunto alla detta Binà, ha­
vesse di rimpetto la faccia della corona superiore, et
quella della Chochmà, onde è scritto: « Loquebatur fa­
cie ad faciem » , 2 nondimeno veramente ad esso Dio non
parlò, se non per l'Angelo (come si legge ne gli Atti de
gli Apostoli) , 3 et questo avenne percioché « Nemo novit
Filium, nisi Pater, neque Pattern quis novit, nisi Filius, et
cui voluerit Filius revelare » . 4 Et essendo Mosè arrivato
alla Binà, nella quale è un officio di angelo detto Mitra­
thon, cioè Princeps facierum, con quello hebbe i suoi
ragionamenti. 5 Essendo egli adunque salito sette volte
sette fiate, che sono quarantanove (numero della remis­
sione, al qual numero anchor Iesù Christo volse che a­
scendessimo, facendo oratione al Padre, impercioché la
1 . La Binah è la terza Sefirah, e significa l'intelligenza di Dio.
2. Es, 33, 1 1. La l;lokhmah è la seconda Sefirah, che corrisponde alla
sapienza, o idea primordiale di Dio.
3. At, 6, 15.
4. Mt, 1 1, 27.
5. La corrispondenza tra Sefirot e angeli è una componente della
tradizione cabalistica. Camillo sembra qui però discostarsi dagli ab­
binamenti tradizionali, secondo i quali Metatron, il primo degli an­
geli, detto « principe del volto divino, o della presenza divina » , è
collegato con la prima Sefirah ( e non con la Binah, che è la terza) .
Piuttosto diffuso è comunque il collegamento fra Metatron e il pun­
to più alto dell'ascesa al divino: Francesco Giorgio, ad esempio, nei
suoi Prob/.emata, cc. I 37r-38r, trattando della visione diretta di Dio
( « visio facie ad faciem » ) , dice che ad essa guida Metatron.
154 L'IDEA DEL THEATRO

oratione che dominical chiamiamo, secondo l'hebreo


testo scritto da Matteo, è di quarantanove parole) , 1 l' om­
bra di queste salite imitando noi, habbiamo dato sette
porte, o gradi, o distintioni, che dir le vogliamo, a cia­
scun pianeta. 2
Ma per dar (per così dir) ordine all'ordine, con tal
facilità che facciamo gli studiosi come spettatori, mettia­
mo loro davanti le dette sette misure, sostenute dalle mi­
sure de' sette pianeti, in spettaculo, o dir vogliamo in
theatro,3 distinto per sette salite. Et perché gli antichi
theatri erano talmente ordinati che sopra i gradi allo
spettaculo più vicini sedevano i più honorati, poi di ma­
no in mano sedevano ne' gradi ascendenti quelli che e­
rano di menor dignità, talmente che ne' supremi gradi
sedevano gli artefici, in modo che i più vicini gradi a' più
nobili erano assegnati, sì per la vicinità dello spettaculo,
come anchora perché dal fiato de gli artefici non fosse­
ro offesi,4 noi, seguendo l'ordine della creation del
mondo, faremo seder ne' primi gradi le cose più sempli­
ci, o più degne, o che possiamo imaginar esser state per
la disposition divina avanti alle altre cose create. Poi col-
I . Mt, 6, 7-13. Una lunga tradizione medioevale metteva in risalto la
presenza, nel Padre nostro, del numero sette: sono sette le « petizio­
ni », o domande, che si rivolgono a Dio ( cfr. Bolzoni, La rete delle im­
magi,ni, cit., cap. 11). Qui Camilla fa leva sul numero delle parole nel
testo ebraico per sottolineare come il quarantanove sia il « numero
della remissione » , il numero cioè che simboleggia il percorso attra­
verso cui ci si purifica dai peccati e si sale a Dio.
2. I luoghi principali del Teatro sono infatti quarantanove (i sette
gradi moltiplicati per le sette colonne) . In questo modo il Teatro
si modella sul « numero della remissione » diventando una guida
per l'elevazione a Dio. Questo 'segreto' è svelato da Camilla nel De
transmutatione (qui a pp. 281-94) .
3. In entrambe le parole usate ( « spettaculo », « theatro ») si sottolinea
la componente visiva presente nella etimologia delle parole stesse.
Camilla vuol dire che intende rendere visibile la struttura dell'or­
dine.
4. La descrizione del teatro antico si ispira a Vìtruvio, De architectura,
V, 6, e a Serlio, I sette limi dell'architettura, libro II, c. 48v.
IL PRIMO GRADO DEL TEATRO 155
locheremo di grado in grado quelle che appresso sono
seguite, talmente che nel settimo, cioè nell'ultimo gra­
do superiore, sederanno tutte le arti et facultà che cado­
no sotto precetti, non per ragion di viltà, ma per ragion
di tempo, essendo quelle come ultime da gli huomini
state ritrovate.
Nel primo grado adunque si vedranno sette porte
dissimili, percioché ciascun pianeta in figura humana
sarà dipinto sopra la porta della a lui destinata colonna, 1
salvo che alla colonna del Sole, impercioché essendo
quello il più nobil luogo di tutto il theatro, vogliamo
che quello Apollo, il qual dovrebbe per sua ragione es­
ser dipinto in pari grado con gli altri, cieda al convivio
della latitudine de gli enti, che è imagine della divinità.
Adunque sotto la porta di ciascun pianeta saranno con­
servate tutte le cose appartenenti così alla misura del
sopraceleste suo corrispondente, 2 come a quelle che
appartengono ad esso pianeta et alle fintion de' poeti
intorno a quello, sì come diremo hora particolarmente
di ciascuno.
Sotto la porta della Luna si tratterà del suo mondo C[
sopraceleste, Marcut et Gabriel. 3
Del celeste4 la Luna, la opacità, la grandezza et la di­
stanza di lei.
1. Vicino al Teatro di Camillo è il palazzo della regina descritto nella
Hypnerotomachia Poliphyli: Polifilo vi viene introdotto dalla ninfa
Mnemosyne e ammira la corte, tutta laminata d'oro, dove sono di­
pinti i sette pianeti e i loro influssi, e il Sole ha una posizione partico­
lare, in corrispondenza con il trono della regina. L'intera struttura
è inoltre giocata sulla perfezione del sette e sul quattro ( cfr. Colon­
na, Hypnerotomachia Poliphyli, tomo I, pp. 95-96) .
2. Saranno cioè conservate tutte le cose che si possono ricollegare
alla Sefirah corrispondente a ciascun pianeta.
3. Il sistema delle corrispondenze fra Sefirot, angeli e pianeti che
qui Camillo inizia a delineare corrisponde - con qualche variazione
- a quello tradizionale, fissato dallo 'Zohar.
4. « Del celeste » significa « del mondo celeste »; per ognuna delle
'porte' del Teatro, Camillo delinea una triplice divisione, che corri­
sponde ai tre mondi.
156 L'IDEA DEL THEATRO

Nelle favole Diana, le sue insegne et il numero delle


Diane.
� Sotto la porta di Mercurio nel suo mondo sopracele­
ste sarà Iesod et Michael.
Nel celeste il suo pianeta.
Nelle favole, Mercurio messaggier de' dei et suoi ar­
nesi.
9 Sotto la porta di Venere, nel sopraceleste Hod, Ni­
zach, Honiel.
Nel celeste, Venere pianeta.
Nelle favole, Venere dea, Cupidine, suoi arnesi, il nu­
mero delle Veneri et de' Cupidini.
d la Sotto la quarta porta del primo grado del Sole, sopra
quale troveremo (come è detto) non Apolline, né il
Sole, ma un convivio, del quale parleremo trattando del
secondo grado, sotto la quarta porta, adunque, primie­
ramente troveremo la latitudine, o vogliamo dir la lar­
ghezza de gli enti, fatta a guisa di piramide,1 sopra la cui
sommità imagineremo un punto indivisibile, che ci ha­
vrà a significar la divinità,2 et senza relatione, et con rela-
1 . Nel Timaeus platonico ( 56b) è una delle forme primordiali degli
elementi. In Curione, Hieroglyphicorum commentariorum libri, c.
438v, la piramide rappresenta la natura delle cose, ovvero la mate­
ria prima. L'immagine della piramide compare anche in uno dei
manoscritti del Teatro (B) , nella colonna di Giove, sotto il Convi­
vio, collegata al mondo angelico: « Una figura pyramidale secondo
Dionisio Aroepagita la quale ne la punta ha un coverchio, ov'è la
fonte de la luce che si distende per tutte le tre hierarchie de gli
Angeli che sono ne la pyramide per fino al tenebroso nostro mon­
do » (c. 522r) .
2. Nel manoscritto De imitatione dicendi la piramide viene indicata
come efficace immagine di �emoria della natura divina e del
rapporto di Dio con gli esseri. E un'immagine, si dice, derivata dalla
antica teologia, « et omnium eruditissimorum scriptorum firmata
consensu » ( c. 4v ) . Si tratta di un punto posto sulla punta di una
piramide, piena di immagini: quanto più ci si allontana dal punto,
tanto più diventano grandi, e viceversa. Una volta impressa nella
memoria, l'immagine non si scorda più: con quel punto (cosa
piccolissima) gli antichi ci insegnano che Dio non è contenuto né
nel tempo né nello spazio, che regge tutto, che non ha avuto origine
IL PRIMO GRADO DEL TEATRO 157
rione, il Padre, il Verbo, avanti la incarnatione et da poi,
et lo Spirito Santo.
Appresso vi si vedrà una imagine di Pan, il quale, per­
cioché con la testa significa il sopraceleste, con le coma
d'oro, che in su guardano, et con la barba, i celesti in­
flussi, et con la pelle stellata il mondo celeste, et con le
gambe caprigne l'inferiore, 1 sotto questa figura ci saran­
no significati i tre mondi.
Nel terzo luogo sotto la porta medesima ci si appre­
senteranno le Parche, significatrici del fato, della cagi<r­
ne, del principio, della cosa, dell'effetto et del fine. Et
quest'istessa imagine, sotto Pasiphe significherà l'hu<r­
mo esser cagione di alcuna cosa. 2
Et sotto i talari significherà dar cagione.
Una quarta imagine sarà anchor sotto questa porta.
Et questa sarà un arboro con un ramo d'oro, il quale è
quello del qual scrive Virgilio, che senza quello non si
può andar a veder il regno dell'infemo. 3 Et questa ima-
da nulla, ecc. È cosa mirabile, commenta Camillo, che un sol punto
ci insegni più dei grandi volumi di saggi.
1 . Pan vie9 e interpretato come simbolo del tutto in ambienti neo­
platonici, sulla base di Platone, Cratylus, 408b-d. Cfr. in particolare
Servio, In Vergilii Bucolica commentarius, 2, 3 1 ; Pasqua Colafrance­
sco, Iconografia e iconologia del dio Pan tra Servio e Virgilio, in « Invigi­
lata lucernis », XXIII, 2001, pp. 27-51 , e Philippe Borgeaud, &cher­
ches sur l,e dieu Pan, Droz, Genève, 1 979. L'interpretazione neopla­
tonica viene citata da Giorgio, De harmonia mundi, cantica Il, tono
Il, cap. XIII, c. 2 1 1 r: « Universi syrnbolum Pana, idest totum dixe­
re ». Anche nella Interpretatione dell 'arca del patto, c. IOv, Camillo
scrive che Pan è un « meraviglioso simbolo delli tre mondi » (come
l'arca del patto, costruita da Mosè ) , e in De l'humana deificatione
precisa che Pan rappresenta sia le tre anime dell'uomo che i tre
mondi (pp. 2 1 8-19 e 222) . Si veda anche Curione, Hieroglyphicorum
commentariorum libri, c. 425v.
2. Inizia qui un procedimento di lettura in senso verticale dell'ordi­
ne del Teatro: una stessa immagine si può presentare a diversi « gra­
di » o livelli, e si preannunciano i diversi significati che via via assu­
me. Pasifae è l'immagine che contrassegna il quinto grado, dove so­
no collocate le azioni naturali dell'uomo.
3. Virgilio, Aeneis, VI, 1 35.
158 L'IDEA DEL THEATRO

gine in questo luogo ci significherà cose intelligibili, et


che non possono cader sotto il senso, ma solamente le
possiamo imaginare et intendere illuminati dallo intel­
letto agente. Et questa istessa imagine sotto le Gorgoni
significherà l'intelletto agente, del quale parleremo al
suo luogo.
èf Sotto la porta di Marte si tratterà nel mondo soprace­
leste Gabiarah et Camael.
Nel celeste, Marte pianeta, et nelle favole Marte dio et
suoi arnesi.
2/, Sotto la porta di Giove, nel mondo sopraceleste, Cha­
sed et Zadchiel.
Nel celeste, Giove pianeta.
Nelle favole, Giove dio et le sue insegne.
!J Sotto Saturno haveremo nel sopraceleste Binà et
Zaphchiel.
Nel celeste, Saturno pianeta.
Nelle favole, Saturno dio et le sue insegne.
Et con questi suggetti viene ad esser concluso il primo
grado del theatro.
IL CONVMO

Il secondo grado del theatro haverà le porte sue di­


pinte di una istessa imagine, et questa sarà un convivio.
Finge Homero l'Oceano far un convito a tutti i suoi dei,
né senza altissimo mistero l'altissimo poeta fece tal
fintione, 1 intorno alla quale con la gratia di Dio noi ne
diremo alcuna cosa. Due sono state le produttioni che Due
Dio ha fatte, l'una dentro della essenza della sua divini­ produttioni
di Dio.
tà, et l'altra di fuori. La produttion di dentro, che è pro­
duttion senza principio et (per dir così) consustantiale,
o coessentiale, et eterna, è quella del Verbo;2 della qual
così dice Hieremia: « Ego, qui coeteris generationem tri-

1 . È un'interpretazione piuttosto libera di Omero, flias, I, 422-425:


« Zeus è andato ieri a un banchetto presso i Nobili Etiopi, verso l'O­
ceano, e tutti quanti gli dei l'hanno seguito ». Vicina a quella del
Camilla la lettura data da Proclo: cfr. Moralis interpretatio errorum
Ulyssis Homerici. Commentatio Porphyrii Phiwsophi de Nympharum antro
in XIII lilno Odysseae Homericae. Ex commentariis Procli Lycii Phiwsophi
Platonici in lilnos Platonis de R.epublicae apowgi,ae quaedam pro Homero
fabularum aliquot enarrationes, Christoph Froschauer, Zii.rich, 1 542,
p. 84.
2. Cfr. sant'Agostino, Confessiones, XI, VII, 9. Cfr. Giorgio, De harrno­
nia mundi: « Quod foecundissima mens illa prima, quae Deus dici­
tur, ad in tra extraque produxerit » ( cantica I, tono I, cap. vn, c. 8r) .
La dottrina cosmogonica che Camilla qui illustra e che nasce da una
mescolanza di elementi neoplatonici e cabalistici viene da lui svilup­
pata anche nel De transmutatione, qui a p. 287, e nella lnterpretatione
dell'arca delpatto, cc. I3rsgg.
160 L 'IDEA DEL THEATRO

buo, sterilis ero? ». 1 Et Giovanni, volendo dir che fosse


In principio coeterna, disse: « In principio erat Verbum ». Et per di­
idest chiarar che Dio è il principio, aggiunse: « Et Verbum e­
in principe
patte. rat apud Deum ». Appresso, per farci intender la coes­
sentia, perché « ego in Patre, et Pater in me est », sog­
giunse: « Et Deus erat Verbum ». 2 La produttion di fuori
non è coessentiale, che fu fatta « verbo tantum », et di
niente et in tempo. Et questa fu la materia prima, chia­
Chaos, mata altramenti chaos, et da' platonici anima del mon­
anima del
mondo,
do, et da' poeti Proteo. 3 Della quale Dio poi trasse il cie­
Proteo. lo, la terra et tutte le cose. Et perché Platon nel Timeo
1. Non si tratta di Geremia, ma di Is, 64, 9.
2. Gv, 1, I, e 10, 38.
3. Di origine stoica è l'interpretazione di Proteo come allegoria
della materia che non si è ancora divisa nei quattro elementi. Tale
lettura gode di una certa fortuna nel Cinquecento. « Che altro è
Proteo se non la materia che piglia di ogni forma? » scrive Equicola
nel Libro de natura de amure (p. 61 ) . Interessante è il fatto che, nel di­
battito sulla imitazione con Pico della Mirandola, Bembo usi il mito
di Proteo contro l'idea che si possano imitare autori diversi, colle­
gandolo dunque con le questioni dello stile: « Ac mihi quidem vetus­
tissimi poetae finxisse Protea videntur; cum illum modo aquam
fieri, modo ignem, modo belluam dicerent; nunquam tamen eo­
dem aspectu plus unam formam prae se tulisse; non solum quia id
posse fieri non existimabant, sed etiam propterea, quod quo modo
diversae facies res inter segue variae apte coniungentur, non vide­
bant » (Bembo, Le epistol.e «De imitatione », p. 49) . Importante è un
passo del Trattato dell.e materie di Camillo: « gli antichi theologi
symbolici chiamarono materia prima quella che può soggiacere a
molte figure et a molti accidenti, et l'intesero sotto la favola di Pro­
teo, il qual si cangiava sotto molte et varie figure, rimanendo sempre
quel medesimo nella medesima sustanza o materia che dir voglia­
mo, qual cera, che senza cangiar se medesima sotto diverse figure
può successivamente passare ... Alla materia adunque del Proteo o
della cera noi assomigliaremo la materia che vuol trattare l 'eloquen­
te. Et la figura varia che la detta natura del Proteo, o della cera, può
prender, diremo esser tale, qual è l'artificio » (pp. 186-87) . Proteo
diventa così anche immagine del fatto che le strutture delle cose e le
strutture delle parole si corrispondono. Nell'Aminta di Tasso Proteo
compare nell'Intermedio primo come inventore dell'arte che muta le
scenografie teatrali e gli amanti.
IL CONVIVIO 161
crede questa materia prima essere stata gemina, 1 penso
che leggendo Mosè in quel luogo, « in principio creavit Coelum
Deus coelum et terram » , credesse Dio haver fatto due et terram,
idest
materie, l'una del cielo et l'altra della terra. 2 Et qui è ben materiam
da notare che se havessimo ad intender in questo pas­ caeli et
saggio Mosè così semplicemente, cioè che Dio nell'un terrae.
giorno creasse il cielo et la terra, per cielo formato et per
terra formata, quali veggiamo, inutilmente ripiglierel:r
be poi che il secondo giorno havesse fatto la Rachia, che
vuol dire la massa de' cieli, et non il firmamento, come
dicono gli interpreti. 3 Et inutilmente havrebbe anchor
messo il terzo giorno, nel qual fece apparir la terra. Ma
sì come se uno si volesse vestir di lana, havendo davanti
una massa di lana non lavorata, potrebbe dir che quella
fosse la sua bereta, la sua cappa et le sue calze, così disse
Mosè che Dio creò il cielo et la terra, intendendo di
quella massa, donde quelli si havevano a formare. Et
Raimondo Lulio rende testimonio nel libro che egli
chiama il suo testamento, scritto mentre egli era ritenu­
to in Inghilterra, che Dio creò una materia prima, poi la La materia
divise in tre parti, et che del fior della più eccellente fece prima
triplice.
gli Angeli et le anime nostre, dell'altra i cieli, et della
terza questo mondo inferiore. 4 Or questa materia prima
1 . Probabile rinvio a Platone, Timaeus, 49b-52d.
2. Gn, 1 , J. L'idea che Platone derivasse la sua dottrina da Mosè è ti­
pica della tradizione della « prisca theologia » . Ficino ad esempio,
sviluppando indicazioni presenti nei Padri della Chiesa (Agostino e
Lattanzio in particolare) , aveva delineato una genealogia che, dai
tempi antichissimi di Mosè, Zoroastro, Mercurio Trismegisto, arri­
vava fino a Platone. Cfr. ad esempio Marsilio Ficino, Concordia Mosis
etPlatonis, in opera omnia, pp. 866-67.
3. Come Camillo dice esplicitamente nella Interpretatione dell'arca
del patto (c. 1 2v ) , l'obiettivo polemico è l'interpretazione data da
Giovanni Pico della Mirandola (cfr. Heptaplus, I, 3 e 5, pp. 2 1 4 e
218).
4. Il Testamentum è un'opera pseudolulliana; per la citazione, cfr.
Lullo, Testamentum, Theorica, cap. LXXXIV, p. 203. La prima edizione
risale al 1 566, il che significa che Camillo la conosceva attraverso un
manoscritto. Lo stesso, come ha fatto osservare il Secret, vale per que-
162 L'IDEA DEL THEATRO

appartenente et alla massa celeste et a questo mondo


inferiore, è continuamente sotto la rota non voglio dir
Generatione della generatione et della corruttione, come ha in costu­
et corruttione. me di scriver Aristotele, 1 percioché questi vocaboli di­
spiacciono a Mercurio Trismegisto, ma, secondo la sen­
tenza di lui, della dimostratione et del nascondimento.
Dice Mercurio nel Pimandro al XII capitolo: « Sed appel­
lationes quaedam falsae homines turbant; neque enim
generatio vitae creatio est, sed latentis explicatio vitae,
neque mutatio mors, sed occultatio potius. Quum haec
igitur, ita se habeant, immortalia omnia ». 2 Et per dir in
questo suggetto quello che al presente ci occorre della
generatione delle cose, fanno i pithagorici una connu­
meration di sei principii, da' quali vogliono che tutte le
Gamon. cose provengano, et questo chiamano gamone, et que­
sto è tale: Sol, lux, lumen, splendor, calor, generatio. 3 Et
per Sole, intesero Dio Padre, per la luce il Figliuolo, per
lo lume la mente angelica o il mondo intellegibile, per
sto passo del Testn:rrumtum pseudolulliano citato dal Postel (cfr. Fran­
çois Secret, Postel et ['alchimie, in «Archivio di filosofia », I, 1980, pp.
209-19; in particolare p. 2 1 1 , nota 9). L'importanza che tale opera
assume per Camillo appare chiara dalle due citazioni contenute nel­
la Interpretatione dell'arca del patto (cc. 51'-v e 7v) : Lullo, vi si dice, dap­
prima usava ben nove princìpi, ma, dopo aver letto un libro di Salo­
mone, li ha ridotti a tre. Il Testamentum pseudolulliano, dunque,
permette a Camillo di concordare anche Lullo con !"antichissima
sapienza' mosaica, pitagorica, platonica, relativa ai princìpi primi
che generano la realtà.
1 . Aristotele, De generatione et corruptione, I, 1 , 314a, 8.
2. Mercurio Trismegisto, Pimander, XII, 2, 18, in Hermetica, voi. I, p.
235.
3. Il « gamone » pitagorico è lungamente trattato da Camillo anche
nella Interpretatione dell'arca del patto, dove si dà la spiegazione del
termine. Pitagora, si dice, ha dimostrato « senarium numerum gene­
si nuptiisque prorsus accomodari, unde et gamon appellat » ( c. 28v) .
Molto vicine alla trattazione di Camillo sono le posizioni di Marsilio
Ficino (cfr. in opera omnia, De Sol.e, pp. 96!>-75, De lumine, pp. 976-78,
e soprattutto In Timaeum commentarium, cap. x, p. 1 44 1 , e cap. XII,
p. 1442, che Camillo trascrive in Adversaria rerum divinarnm, cc. 27v-
28v ) .
IL CONVIVIO 163
lo splendore l'anima del mondo, o dichiamo il chaos, et
per lo calore lo spirito del mondo, o sia il fiato dell'ani­
ma; et così sarà il gamone:
Sol lux lumen splendor calor generatio
Deus Deus mens angelica anima mundi spiritus
Pater Filius mundus chaos mundi
intelligibilis flatus
animae

Et in questa loro divisione è da notar che così i pitha­


gorici come Plotino, trattando delle idee, non volser col­ Le idee in
locar quelle in Dio, per esser semplicissimo, et perciò Dio.
quelle collocarono nella mente angelica. 1 Il qual loro
rispetto fu soverchio, essendo quello, il sopraceleste di-
co, medesimamente semplicissimo, che anche il Sole è
semplice, et moltiplici sono i suoi raggi et i suoi effetti.
Et Dionisio dice che anchor che l'anima sia semplice,
moltiplici sono le sue operationi, 2 sì come anchor ci si
dimostra per quel luogo del Petrarcha:
Anima, che diverse cose tante
vedi, odi, et leggi, et scrivi, et parli, et pensi. 3
Et noi sappiamo pur che in Dio sono le idee, dicendo
Giovanni: « Quod factum est, in ipso vita erat ». 4 Non è
da passar con silentio la cagione perché sotto il nome
dello splendore intendessero il chaos. È adunque da sa- Chaos.
pere che Orpheo scrive il chaos esser nato antiquissimo
con l'amore nel grembo, il quale lo rivolge alla mente,
nella quale sono impresse le idee, et da quelle la forma
concependo, per la lor bellezza viene ad acquistar splen-
dore. 5 Ma per tornare alla materia della generatione,
1. Plotino, Enneades, V, 5.
2. Dionigi Areopagita, De divinis nominilms, IX, 5.
3. Petrarca, Rerum vul,gariumfragmenta, 204, 1-2.
4. Gv, 1 , 3-4.
5. Prendendo le mosse dai versi delle Argonautica di Apollonio Ro­
dio (I, 494-51 1 ) in cui Orfeo canta l'origine degli elementi, si attri-
164 L'IDEA DEL THEATRO

credono i pithagorici et i platonici il calore essere spiri­


to, cioè fiato dell'anima del mondo in ogni cosa, ma oc­
culto, et che di quello pregna la detta anima anelando lo
parturisca nel grembo della natura, et così lo congiunge
col moto, et indi congiunto di eterna compagnia con
maggior affetto soffia fuori, spingendolo sotto alla di­
mensione, né per tutto ciò lo sparge, ma in cotal circuito
a sé lo raccoglie. Et quanto essa più si diffonde, tanto più
circonfonde et manda quasi fuori, con origine nuova,
un quasi continuato spirito di lei spirante. Questa ope­
nione hanno tenuto quegli eccellenti spiriti, i quali non
Come intesero Christo, ma la verità della generatione, o pur
si generino della dimostratione et del nascimento delle cose, è che,
le cose.
essendo la materia prima in ogni parte, et riducendosi o
trovandosi insieme le cose di diversa natura, come è l'ac­
qua et la terra, esse mai non si congiungerebbono in u­
na unione, se lo spirito di Christo non sopravenisse et in
quelle entrando non le conciliasse ad esplicar fuori il
seme occulto delle herbe et de' fiori. Et quella dimostra­
tion si fa per lo ingrossamento della materia, la qual poi
assottigliandosi, il che è lo seccarsi, le cose manifeste si
nascondono, et lo spirito resta et vive. Et così secondo la
sentenza del Trismegisto « immortalia omnia » . 1 Ma que­
sta è la chiave de' versi, i quali non vogliamo publicare,
accioché non si prophanino. 2 In confermation della
qual cosa dice Paolo: « Spiritus Christi, Spiritus vivifi-
buisce a Orfeo un poema intitolato Argonautica che, a partire dal
1 500, ha numerose edizioni. Nel 1519 viene pubblicata la traduzio­
ne latina. Per la citazione di Camillo, cfr. Orfeo, Argonautica, 421-
424. Quella del rapporto fra amore e caos era un'idea molto amata
dai neoplatonici: cfr. ad esempio Pico della Mirandola, Commento,
libro Il, cap. XIV, in particolare p. 504.
1. Mercurio Trismegisto, Asdepius, I, 4, in Hermetica, voi. I, p. 290.
2. Il senso di questo riferimento, volutamente misterioso, si chiari­
sce con un passo degli Adversaria rerum divinarum, c. l 6r, in cui risul­
ta che dalla teoria del 'gamone' pitagorico si fanno derivare indica­
zioni per il compimento dell' opus alchimistico e che a tale segreto
Camillo allude nel suo poemetto latino Davalus.
IL CONVIVIO 165
cans » . 1 Et altrove dice la Scrittura: « Ego caelum et ter­
ram impleo. Ego via, veritas et vita ». 2 Et se questo spirito
non sopravenisse a far la conciliatione, i contrarii mai
non si accorderebbono. Et intorno a ciò Mercurio ne fa
un libro, Quod Deus latens simul ac patens fit. 3 Pertanto
havendo di sopra proposto il gamone de' pithagorici,
quello riduceremo a tre capi, o vogliamo dire a tre prin­
cipii, in questo mondo.

Sol lux, lumen, calor splendor, generatio


artifex exemplar hyle4
Deus Verbum materia prima

Che il primo è l'autor di tutte le cose, et il secondo è la


vera luce et sapienza di Dio, in cui sono le idee di tutte le
cose, et il quale sparge lo spirito vivificante. Et la terza è
la materia, nella quale s'imprimono le diverse forme
della dimostratione, la quale chiamano generatione,
che viene in consequenza, et non come principio.
Et per più chiara dimostratione che la materia prima
non sia coessentiale, ci piace di provarlo per lo principio
del Timeo di Platone il qual così comincia: « Unus, duo, Platon nel
tres » . Unus significat Sol, duo lux, tres lumen. Poi sog­ Timeo.

giunge: « Uhi quartus? ». Et vien risposto: « Quartus la­


borat adversa valetudine » . 5 Et per questo s'intende la
materia prima, la qual sempre si altera per le mutationi,
occultandosi et dimostrandosi, et tale essendo, non è
consustantiale, et è inferma già tanti migliaia d'anni, et
per tante mutationi è da creder che vada deteriorando

I. 2 Car, 3, 5-6.
2. Ger, 23, 24, e Cv, 14, 6.
3. È il titolo del trattato V del Amander.
4. « Hyle » è la trascrizione della parola greca che significa «materia».
5. È l'inizio del Timaeus platonico, dove Socrate si riferisce alle per­
sone presenti: solo tre di quelle con cui ha parlato il giorno prima
sono con lui, mentre la quarta è malata.
166 L 'IDEA DEL THEATRO

et che si frusti, et quando non potrà più, ne seguirà il


giudicio universale.
La materia prima veramente dichiamo noi esser ac­
quea, percioché Mosè, incontanente che hebbe fatto
mention di quella, come di sopra habbiamo detto, della
materia comune al cielo et alla terra (la qual disse esser
inane et vacua, cioè d'ogni forma) esplicò per apposi­
Eloin idest tion la sua natura, dicendo: « Et spiritus Eloin ferebatur
verbi. super aquas », 1 benché il testo hebreo suoni « incuba­
bat ». Et Morieno conclude così: « Ergo aqua fuit, ante­
Et questo quam coelum et terra ». 2 Et nel vero, se la prima produt­
chiaramente tion di dentro, che è del Verbo, porta il simbolo dell'ac­
testifica Pietro
nella seconda qua, essendo quello l' esemplar di tutte le cose, ragione
sua epistola era che anchor la produttion di fuori fosse acquea, per­
al terzo cap. cioché « omnia per Verbum fecit ». 3 Et quello fece il tut­
dicendo:
« Coeli erant to consimile. Et benché dica l'acqua esser stata favorita
prius et terra dallo Spirito di Eloin, che dee significar in alcun modo
de aqua et calore, nondimeno l'humor nelle cose divine (come an­
per aquam
consistentes », chor pruova Plotino) non è senza calore, né il calor sen­
dove dicendo za l'humore, onde egli pruova in cielo non esser altro
« de aqua » che lume et calor humido, et humor calido, senza la
mostra
la causa
qual unione non si potrebbe far generatione. 4 Et qui è
materiale et da notar che i pithagorici nel loro gamone, dopo il calo­
per quelle re, mettono la generatione, senza precedente humore,
parole « per
aquam »
quasi lasciandolo per inteso sotto il nome del calore,
dinota percioché sono inseparabili. La qual verità facilmente
la causa conosceremo nel sopraceleste, impercioché quantun­
efficiente.
que dichiamo la Chochmà acquea, et la Binà ignea, non­
dimeno Esaia, volendo dir che nel figliuolo di Dio era
I. Gn, 1 , 2.
2. Morienus era, secondo la tradizione, un dotto eremita cristiano
del VII secolo, che insegnò i segreti dell'alchimia al principe Kha'lid
ibn Yazid. Per la citazione di Camillo, cfr. Morienus, De compositione
alchimiae, injean:Jacques Manget, Bibliotheca chemica curiosa, Chouet,
G. De Tournes, Cramer, Perachon, Ritter e S. De Tournes, Genève,
1 702, voi. I, p. 513.
3. Gv, l , 3.
4. È una interpretazione piuttosto libera di Plotino, Enneades, Il, l , 7.
IL CONVIVIO 167
ogni cosa, disse: « Cibavit eum Dominus pane vitae et Eum idest
intellectus ( et l'intelletto è dello Spirito) et aqua sapien­ Filium.
tiae salutaris potavit illum » . 1 Et altrove: « Egredietur vir­ Virga idest
ga de radice lesse, et flos de radice eius ascendet, et re­ Maria.
quiescet super eum Spiritus Domini, Spiritus sapientiae
et intellectus »,2 essendo pur la sapienza della Chochmà,
et l'intelletto della Binà. Et altrove anchor Esaia: « Do­
nec abluerit sordes filiorum Sion in spiritu iudicii et in
spirito ardoris » ,3 dove è da notare che, essendo il giudi­
cio del Figliuolo (perché « omne iudicium dedit mihi
Pater » ) 4 et essendo l'ardor dello Spirito Santo, et essen­
do la misura del Figliuolo l'acqua, usando quel verbo a­
bluere, dimostra che l'humor con l'ardore insieme sia­
no congiunti. Et non essendo venuto altra persona a la­
var, che Christo, egli è quello che ha fatto questo lava­
mento d'humor mescolato con calore. Sì che se ben
Mosè disse che lo spirito di Eloin favoriva le acque, non
parla di cose separate, ma di cose unite et inseparabili,
et a questo si accorda Plotino nel libro De coelo, il qual
tiene niuna altra cosa essere in cielo consimile alle no­
stre qualità in alcun modo, se non calor unito con hu­
mor et lume. 5 Et dice che il lume si ha in luogo d'intelli­
genza, et vuol che 'l calor là suso sia l'efficacia della vita,
et l'humor sia il moto et il nutrimento di quella. Né qui­
vi si sente altramente il calor, che è quasi un favore et
nutrimento et ricreatione et vigore. Né vi si sente altra­
mente l'humore, che quasi uno aumento, amplificatione
et soave agilità, quali talhor sentiamo appresso a noi. A­
dunque il calor del cielo non pur dee esser chiamato
caldo, ma anchor humido, cioè liquido, fluido, agile,
lubrico et piacevole, et al tatto della natura soave; dissi al
tatto della natura, percioché quello dell'huomo non vi
1 . Non si tratta di Isaia, ma di Qo, 15, 13.
2. /s, 1 1 , 1-2.
3. Is, 4, 4.
4. Gv, 5, 22.
5. Plotino, Enneades, II, 1 , 6.
168 L'IDEA DEL THEATRO

può anivare, et dissi della natura, per una cotal similitu­


dine al nostro tatto, et a' nostri oggetti. Et altrove affer­
ma il medesimo auttore, il detto calore et humor celeste
esser molto diverso in genere dal nostro, et anchor più
ch'il calor naturale in un vivo dall'ardor di una fornace,
et che la tepidezza del Sole dalle nostre fiamme. 1 Adun­
que sì come l'humor celeste non distilla per bagnare,
così il calor celeste non scalda per consumare. Et così
fatto humore è almen tanto dal nostro humore aereo
differente, quanto è differente l'humore dell'aere no­
stro da quello dell'acqua,2 et io aggiungo alla sottile ope­
nion di Plotino, che quella differenza che esso fa dal ca­
lor et humor celeste a quello di questo mondo, si dee
intender che sia ancor dal sopraceleste al celeste.
Ma tornando noi al convito che l'Oceano fa a' dei, di­
Oceano. chiamo l'Oceano non esser altro che l'acqua della sa­
pienza, che fu anchora avanti alla materia prima, che è
la prima produttione, et i dei convitati non esser altro
che le idee nel divino esemplar conspiranti in un mede­
simo spirito, percioché tutto quello che è in Dio, è esso
Dio. Santo Agostino, gran fautor delle idee, sopra quel
luogo di Giovanni: « Quod factum est, in ipso vita erat »,3
adduce il detto di Salomone, che Dio haveva fatte tutte
le cose in numero, in peso et in misura,4 et conclude che
Numero, sì come noi in questo mondo numerando, pesando et
peso misurando, non diamo co' numerati, pesati et misurati,
misura.
i numeri, i pesi et le misure, ma ce li conserviamo, così
Dio ci fa veder in questo mondo tutte le cose ben nume­
rate, pesate et misurate, ma i numeri, i pesi et le misure
ha voluto che siano fuor di quelle. 5 Et essendo tutte le
1. Plotino, Enneatm, Il, 1, 7.
2. L'umore celeste viene alimentato dall'umore aereo, il quale è tan­
to diverso dal primo, quanto l'umore aereo è diverso dall'umore
acqueo.
3. Gv, 1 , 3-4.
4. Sap, 1 1 , 21.
5. Sant'Agostino, De civitateDei, XI, 30.
IL CONVIVIO 1 69
cose che sono o Dio o cosa produtta di fuori, et i detti
numeri, pesi et misure, non essendo produtti, come gli
altri numerati, pesati et misurati, seguita che siano esso
Dio. Or di questi numeri, pesi et misure, ne fa mentione
la Scrittura, che nell' Evangelio si legge: « Capilli capitis
vestri numerati sunt ». 1 Et nell'Apocalipsi si fa mention
dell'Angelo con le bilance, et d'un altro che misura con
una canna. Et in Esaia si legge: « Ego sum ipse, ego sum
primus et novissimus; manus mea fundavit caelos, et
dextera mensa est caelos, vel palmo conclusit caelos ». 3
Sono adunque le idee forme et esemplari delle cose Le idee.
essentiali nell'eterna mente, in quella esistenti anchor
prima che le cose fatte fossero, onde tutte le cose create
tirano l'essere et portano, come da sigilli, particolare
impressione. Et così sempre nel loro essere con Dio per­
severano. Et la loro eternità fa che tutte le specie riman-
gano eterne, anchor che gli individui siano caduchi et
mortali. Adunque quantunque gl'individui si trasmuti-
no et corrompano, overo si nascondano, nondimeno le
specie et le eterne idee in Dio vivo sempre vivono. Et per
questo Giovanni disse: « Quod factum est, in ipso vita e-
rat »,4 cioè tutto quello che è, et che noi veggiamo di fat-
to in questo, o nel celeste mondo, era vita nel Verbo, né
volle dir vivo, ma diede la medesima appellation del Ver-
bo, che è vita. Et è anche ben da considerar quel preteri-
to « erat » che si contrapone a quello « est » apparente.
Per le quali ragioni possiamo ben considerare il torto
che hanno i peripatetici, negando le idee et dicendo gli
universali procedere a posteriori, non a priori, et ciò è
percioché la divina sapienza va dimostrando loro l 'om-
bra et i panni talhor di sé, ma 'l viso nascondendo. Or
I. Le, 1 3, 7.
2. Ap, 6, 5, e 1 1 , 1.
3. Citazione a memoria di Is, 48, 12-13; cfr. inoltre Is, 40, 12.
4. Gv, 1, 3-4.
5. Per la confutazione della dottrina platonica delle idee, cfr. Aristo­
tele, Metaphysica, I, 9, 990b sgg.
170 L'IDEA DEL THEATRO

adunque sotto la porta del convivio appartenente a qua­


lunque pianeta, daremo gli elementi semplicissimi, ove­
ro cose più vicine o all'intelletto, o credute per auttorità,
che sottoposte al senso.
( Sotto la porta del convivio lunare saranno coperte
due imagini, quella di Protheo et quella di Nettuno col
tridente.
Protheo di più forme con faccia humana significa la
materia prima, che fu la seconda produttione. Et ci avi­
serà che dentro al suo canone, sarà un volume ordinato
per tagli, 1 dove si tratterà della materia prima, o del
chaos che dire il vogliamo, et della sua natura capace di
tutte le forme per successione; di essa forma, della priva­
tione, et di cosa naturale.
Nettuno prometterà che nel suo volume si tratterà
dell'elemento dell'acqua purissimo et semplicissimo. Si
dà alla Luna, per esser la reina delle humidità.
Questa medesima sotto l'antro significherà l'acquati­
co et suoi animali.
Sotto i talari, tentare il guado, passar l'acqua, lavar
con acqua, bagnar, bere, spruzzare.
Et sotto Prometheo, arti sopra l'acque, come aque­
dutti, fontane artificiate, ponti, arzanà, 2 arte navale, et
l'arte del notare et pescare.
� Sotto il convivio di Mercurio sarà una imagine di ele-
fante, il quale percioché è detto da' scrittori essere il più
religioso animal di tutti i bruti, 3 vogliamo che nel volu­
me del suo canone si habbia a trattar della origine de'
dei favolosi, della loro deità et de' loro nomi. Et perdo­
ché dal cicalare delle favole venne quella openione,
I. Non è chiaro cosa significa - qui e in altri contesti analoghi - « ca­
none ». Sembrerebbe indicare lo schema degli argomenti che ven­
gono ordinati sotto ciascuna immagine. « Volume ordinato per ta­
gli » indica probabilmente un volume i cui margini esterni sono ta­
gliati e contrassegnati in modo tale da facilitare la ricerca degli argo­
menti.
2. Arsenale.
3. Plinio, Historia naturalis, VIII, I, 1 .
IL CONVIVIO 171
questo suggetto a Mercurio s'appartiene, come a patron
della lingua et del favoleggiare. Questa medesima figura
sotto Prometheo, significherà religione verso i dei favo­
losi.
Sotto il convivio di Venere sarà una spera con dieci
circoli, et il decimo sarà aureo, et carico di spiritelli da­
9
pertutto, il cui volume sarà in suggetto di campi Elisii et
dell'anime de' beati, o stati già in questo mondo, o per
venire, secondo la openion di platonici et di alcuni poe-
ti.1 Et in quello si tratterà anchor del paradiso terrestre. Et
sotto Venere si locano per la dilettatione et vaghezza di
quei luoghi.
Del convivio del Sole habbiamo parlato nel primo o'
grado. Or sì come in quel luogo, dove per l'ordinario
doveva esser Apollo, vi fu locato il convivio, così in que-
sto luogo ordinario del convivio sarà collocato Apollo et
sotto la porta sua nel mondo sopraceleste si tratterà di
Tipheret et di Raphael.
Nel celeste si tratterà di esso Sole, della luce, del lume,
dello splendore et de' raggi.
Nelle favole, di Apollo dio et suoi appartenenti.
Sotto il convivio di Marte saranno due imagini, un �
Vulcano, et una bocca tartarea aperta et divorante ani­
me, qual nelle pitture fiaminghe si suol vedere. 2
1. Per il luogo in cui si trovano le anime che stanno per incarnarsi,
cfr. Platone, De republica, X, 616 sgg.; si tratta di un prato, dove Ne­
cessità fila, aiutata dalle tre Parche, sue figlie. La descrizione plato­
nica degli otto cerchi concentrici che formano il fusaiolo e girano
velocemente, così da sembrare una colonna di luce che unisce il
cielo e la terra, potrebbe aver influenzato Camillo nella costruzione
dell'immagine, sovrapponendosi alla tradizionale rappresentazio­
ne del sistema tolemaico.
2. Abbiamo numerose testimonianze sulla conoscenza della pittura
fiamminga in Italia, a Venezia in particolare. Inoltre Camillo po­
trebbe aver visto quadri fiamminghi alla corte francese. Per l'icono­
grafia qui ricordata, Wenneker (p. 1 4 1 ) cita fra l'altro lo scomparto
destro del Giudiziofinal.edi Petrus Christus del 1 452, conservato nel­
la Gema.ldegalerie di Berlino.
172 L'IDEA DEL THEATRO

Vulcano significherà sotto questa porta il fuoco sem­


plice.
Sotto l'antro l'ethere, il foco elementale, l'incendio
universale, il fuoco nostro, l'incendio particolare, favil­
la, fiamma, carbone et cenere.
Sotto i talari significherà batter fuoco, pigliarlo nell' e­
sca, accenderlo, metter incendio et estinguere.
Sotto Prometheo contenerà tutte le arti fabrili che si
fanno con fuoco.
La bocca tartarea coprirà un volume, dove si tratterà
distintamente del Purgatorio et de' purgatorii luoghi,
secondo l'openione de gli scrittori che ne hanno lascia­
to scritto, il qual Purgatorio diamo a Marte, percioché
anchora il fuoco misto è martiale, et non differente
dall'infernale, che appartiene a Saturno, se non in
quanto la pena, che le anime patiscono nel martiale, è
temporale, ma quella dell'inferno et saturnina è eterna,
conveniente alla tardità di Saturno.
Questa medesima bocca contenerà anchor quel luo­
go, che è chiamato Limbo, con tutte quelle anime che
stanno con qualche speranza di salute.
'f. Sotto il convivio di Giove saranno due imagini, una
sarà Giunon suspesa, et l'altra Europa.
Giunon suspesa pigliamo da Homero, il qual finge
Giove tener quella suspesa per una catena, et Giunone
haver a ciascun piede un contrapeso. 1 Giove è il rettore
di tutto l'aere; Giunone è l'aere; il contrapeso del più
sollevato piede è l'acqua, et quello del più basso è la ter-
1 . Omero, Ilias, XV, 17-20. Per l'interpretazione di Giunone come a­
ria, cfr. Proclo, In Platonis Cratylum commentaria, 404 b9-c4, SeIVio, In
Vergilii Aeneidos librum frrimum commentarius, 47. Wenneker (pp. 142-
47) ha notato la corrispondenza fra questa immagine e la Giunone
sospesa che Correggio dipinge a Parma nel 1518-1 519, nella Camera
di San Paolo ( cfr. Panofsky, fl Carreggio e la Camera di San Paow, cit.; su
Giunone, pp. 203-206). Come ha notato Calvesi (fl teatro sapienziale di
Giulio Camillo, cit., p. 597) , più vicina al testo di Camillo è l'immagine
di Curione, Hieroglyphicorum commentariorum libri, c. 432v, in cui una
gamba è piegata al ginocchio e l'altra distesa. Il passo omerico è illu­
strato e discusso anche in Valeriano, Hieroglyphica, cc. 3537'-v.
IL CONVIVIO 173
ra. Questa imagine adunque in questo luogo significherà
l'aere semplice. Ma sotto l'antro contenerà i quattro ele­
menti in generale, et appresso l'aere in particolare, con
le sue parti et suoi appartenenti, come si dirà in quel
luogo.
Et sotto i talari significherà respirar, sospirar, usar l'a­
perto cielo.
Et sotto Prometheo significherà qualunque arte che
per beneficio dell'aere si faccia, come i molini da vento.
Europa rapita dal toro, et per lo mare portata, riguar­
dando non la parte alla quale ella è portata, ma quella
onde ella si è partita, è l'anima portata dal corpo per lo
pelago di questo mondo, la qual si rivolge pure a Dio,
terra sopraceleste, et questa coprirà un volume, apparte­
nente al Paradiso vero et christiano et a tutte l'anime
beate già separate. Et questo è dato a Giove, per esser
pianeta di vera religione.
Et questa sotto Prometheo significherà conversione,
consentimento, annichilatione, santità et religione.
Sotto il convivio di Saturno saranno due imagini, di �
Cibele una, come ella è descritta da Lucretio, inghirlan- Cibele.
data di torri et tirata da due leoni legati al carro di lei, 1 la
quale significando la terra, a noi, in questo luogo,
significherà la terra semplice et virginea.
Questa medesima sotto l'antro con tenerà la terra et le
sue parti et qualità, come si dirà nel luogo suo, et sarà
anchor questa sotto i talari et sotto Prometheo.
L'altra imagine di Cibele gitterà un vomito di fuoco,
et sotto questo sarà il volume dell'inferno et de' nomi
delle sue magioni, et le anime dannate. Et la cagione
perché diamo l'Inferno a Saturno, è detta nel convivio
di Marte.

1 . Lucrezio, De rerum natura, Il, 598-609.


L'ANTRO

Il terzo grado haverà per ciascuna delle sue porte di­


pinto un antro, il quale noi chiameremo l'antro homeri­
co, a differenza di quello che Platon descrive nella sua
Republica. 1 Homero adunque finge sopra il porto di Itaca
uno antro, nel quale alcune Nimphe tesson tele purpu­
ree, et finge api che escono et tornano a fabricare i loro
melli,2 le quali tessiture et fabricamenti significando le
cose miste et elementate, vogliamo che qualunque de'
sette antri, secondo la natura del suo pianeta, habbia a
conservare i misti et elementati a lui appartenenti. Et per
haver qualche information delle cose miste et elementa­
te, dico che, secondo la distintion messa da Mosè, poiché
I giorni della Eloin l'un giorno creò la materia prima per fare il cielo
creation del et la terra, perché non si conveniva alla materia tutto l'in­
mondo.
flusso de' sopracelesti ruscelli, il secondo giorno formò
la Rachia, cioè la massa de' cieli, et non il fermamento,
secondo che detto habbiamo anchora, percioché egli è

1 . Platone, De republica, VII, 514b sgg.


2. Omero, Odyssea, XIII, 126-137. L'antro omerico era stato inter­
pretato allegoricamente anche da Porfirio, De antro nympharum.
Come nota Calvesi (ll teatro sapienzia"3 di Giulio CamiUo, cit. , p.
586) , è probabile che Camillo usasse l'edizione latina del 1 542,
dove il testo di Porfirio è seguito da un commentario di Proclo su
Omero, che interpreta il convivio degli dèi in modo vicino a
quello che sta alla base del secondo grado del Teatro (Maralis
interpretatio errorum Ulyssis Homerici, cit. ) .
L'ANTRO 175
solamente l'ottava spera, et mise la detta massa distesa fra
il mondo sopraceleste et l'inferiore, a fine che dividesse
l'acque de' sopracelesti ruscelli, che non bagnano, dalle Le acque sopra­
acque di questo mondo, che bagnano, delle quali sopra­ celesti.

celesti acque è scritto: « Benedicite aquae omnes, quae


super coelos sunt Domino ». 1 Fu interposta adunque la
detta massa celeste et distesa accioché non piovesse mag­
gior l'influsso delle acque superiori che alla capacità
della materia si convenisse. Et intorno a queste acque è
da notare che Gregorio Nazianzeno si inganna, inten­
dendo per quelle il cielo cristallino,2 il qual vanamente è
stato finto da alcuni sopra il firmamento, ma non hanno
né ragion né fondamento, né della sacra né della pro­
phana scrittura. Nel terzo giorno dice Mosè che Eloin
comandò che si congregassero le acque che sono sotto il
cielo in un luogo, cioè tutte le virtù germinative insieme,
et apparesse fuori la terra arida, a fin che, per le dette
germinative virtù raccolte, essa divenisse feconda, il che
fatto, disse: « Producat terra herbam virentem, et lignum
(se dir si potesse) seminiferum ». 3 Nel quarto giorno fu­
rono fatti i luminari, et collocati nella massa de' cieli, la
Luna nella prima et il Sole nella quarta spera, per li quali
si havesse da distinguer la luce dalle tenebre, cioè le cose
che haveano già ricevuto forma da quelle che anchor in­
formate non erano. Nel quinto giorno parla della comu­
nication della vita in tutti gli animali, percioché vuol che
le acque, cioè le germinative virtù, producano tutte le
1 . Sa� 1 48, 4. Cfr. Giorgio, Commento: « La massa del ciel donque su
la via / fatta bilancia libra e bel coperchio / a tutta quella bassa mo­
narchia / / acciò non men sia dato né soperchio / di quel che per
giustitia si conviene / a quei che son sotto al celeste cerchio. // Che
se aperte fusser quelle vene / del divin fonte, senza la misura / più
del dover, serian le cose piene » ( c. 1 35r) .
2. Gregorio di Nissa, Apologia in Hexaemeron, �l sgg. Cfr.Jean Pépin,
Le cie� kfirmament et /,es eaux chez /,es pères de l'Eglise, in Théologie cosmi­
que et théologie chrétienne, PUF, Paris, 1964, pp. 390-41 7.
3. Cfr. Gn, 1 , 1 1: « Genninet terra herbam virentem et facientem se­
men et lignum pomiferum ».
1 76 L'IDEA DEL THEATRO

diversità de gli animali, così acquatici, come volatili et


terrestri qui a basso, a differenza di quelli di lasù. Nel se­
sto giorno produsse l'huomo, et nel settimo riposò. A­
dunque dopo la materia prima non veggiamo che Dio
creasse nuova materia, ma della prima formò tutte le co­
se, le quali noi chiamiamo miste et elementate. Et le qua­
li habbiamo a trovar nel terzo grado delle sette colonne
sotto la porta dell'antro, eccetto l'huomo, il quale, essen­
do stato separatamente formato et fatto signor di tutti i
misti et elementari, vogliamo che habbia grado particola­
re, come poi si vedrà.
([ Sotto la porta adunque dell'antro lunare troveremo
cinque imagini, Nettuno, Daphne, Diana a cui Mercurio
porge la vesta, le stalle d'Augia, et Giunon fra le nubi.
Né si habbia a maravigliare alcuno che Nettuno, il quale
era sotto il convivio, si habbia a riveder sotto l'antro, sot­
to i talari et sotto Prometheo, il che averrà anchor di al­
tre imagini, et in questo et in altri pianeti, percioché an­
che Homero dice che Ulisse havea veduto Hercole et fra
i dei in cielo et nell'inferno, 1 il che se a lui non si disdice,
men si dee disdire a noi, i quali, per non aggravar la me­
moria di diverse imagini in cose medesime, facciamo
che si rivegga la medesima figura sotto diverse porte.
Proteo significherà forma già sopravenuta, suggetto
et cosa naturale.
Nettuno adunque sotto il convivio significa l'elemen­
to dell'acqua simplicissimo, ma sotto l'antro lo signifi­
cherà già misto, percioché in questo mondo non veggia­
mo alcuno elemento sì puro, che misto non sia, sì come
lungamente ha provato et tenuto Anaxagora. 2 Sotto la
1. Omero, Odyssea, XI, 818-854.
2. La filosofia di Anassagora, per cui tutto è in tutto, viene interpre­
tata come una riprova della visione del cosmo prima delineata e,
quindi, anche della possibilità di compiere l' opus alchimistico. :Si
veda anche un passo della Lettera a Luigi Guicciardini: « E perché tut­
te le cose che sono in questo mondo inferiore, overo nel celeste,
hanno le loro idee, le loro verità ne l'intellettuale, si mostra Anassa­
gora calunniato nel primo de la Physica da Aristotele, a dir "quodli­
bet esse in quolibet" » (p. 379).
L'ANTRO 177
imagine adunque di questo Nettuno sarà contenuto il
volume, dove saranno ordinate distintamente per tagli
l'acqua in genere, et l'acqua in specie; et l'acqua in ge­
nere si dividerà nel suo tutto et nelle sue parti. Il tutto è
come dir acqua solamente; le sue parti, come goccia. Vi
saranno anchor le qualità delle acque et le quantità. Le
qualità, come dolce et salsa, et le dolci stanti et correnti,
et gli altri accidenti. Et oltre a ciò i letti, le ripe, et altri
appartenenti, et anchor gli animali aquatici; et sotto
questo Nettuno, non vi si impaccia anchor l'huomo,
percioché e' fu l'ultimo creato de gli animali. Ma quan­
do troveremo Nettuno sotto i talari, percioché quelli
significano la operatione che può far l'huomo intorno a
ciascuna cosa creata avanti a lui naturalmente et fuor di
arte, vogliamo che egli abbia nel suo canone operationi
humane et naturali intorno alle acque, come è detto an­
chor nel convivio.
Et sotto Prometheo ci dimostrerà le arti sopra le ac­
que.
Daphne che si trasmuta in lauro sarà simbolo del bo­
schivo. Et qui si contenerà ciò che giamai Theophrasto o
altri scrittori hanno scritto de plantis co' suoi conse­
guenti, che sono le ombre.
Ma sotto i talari Daphne significherà le operationi na­
turali intorno al legname, come piegar, portare.
Et sotto Prometheo contenerà i giardini et tutte le arti
intorno al legname.
Daphne veramente, cioè il boschivo, è ben dato alla
Luna, cioè a Diana dea de boschi, percioché è regina
(come habbiamo detto) delle humidità, senza le quali
niuna pianta crescerebbe. Laonde Virgilio nel quarto
della Gea,rgi,ca:
Oceanumque patrem rerum, nymphasque sorores,
centum, quae sylvas, centum quae flumina servant. 1
Diana a cui Mercurio porge la vesta è la terza imagine.
1. Virgilio, Georgfra, IV, 382-383.
1 78 L'IDEA DEL THEATRO

Si legge fra le favole greche, che veggendo Giove Diana


andare ignuda, essendo ella casta, non gli piacque, et
commise a Mercurio che le facesse una vesta. E per mol­
te che egli gliene facesse, non ne fu mai alcuna che le si
potesse accommodare. 1 La qual fintione ci dà simbolo
significante la mutatione et le sue specie, cioè la genera­
tione, la corruttione, l'augumento, la diminutione, l'al­
teratione, la mutatione secondo il luogo et il moto, con
tutte le specie, recitate da Aristotele2 et distinte per li
suoi tagli.
Questa imagine sotto Pasiphe significherà la muta­
tion dell'huomo o secondo la openione, o secondo la
trasfiguratione del corpo.
Et sotto i talari significherà muovere o mutar cosa, ri­
cever, disporre, operation fatta tosto o subito.
Ma sotto Prometheo contenerà i mesi et le loro parti.
Le stalle di Augia così chiamate sono da' Greci perdo­
ché Augia fu un re ricchissimo di possessioni et di cam­
pi, ma la grande abondantia di bestie che teneva ingom­
brò sì il suo paese di letame, che corruppe la fertilità de'
campi. Adunque sotto questa imagine daremo un volu­
me, che comprenderà le sporchezze delle cose del mon­
do, le muffe, i fracidumi, le viltà, le imperfettioni et cose
simili non piacevoli.
Questa medesima imagine sotto Pasiphe contenerà le
1 . Non ho trovato alcuna fonte classica di questo mito, né alcuna
documentazione iconografica (cfr. Lexicon iconographicum mythok>­
giae classicae, Artemis Verlag, Ziirich-Mimchen, voi. Il, tomo I,
1984, pp. 618-855) . Nell'Interpretatione dell'arca del patto Camilla
usa questa stessa immagine come simbolo della variabilità del ri­
sultato dell' opus alchimistico: « et se [la bianchezza della pietra]
vedete tanto variarvi, ricordativi che si come il Sole fu suo Padre,
così la Luna è sua madre. Voi ben sapete che Mercurio non trova
mai modo di vestir Diana perché la sua variabilità facea che esso
non potea prender misura » (c. 26v ) . L'immagine e il commento
vengono ripresi da Curione, Hieroglyphicorum commentariorum libri,
c. 353.
2. Aristotele, Metaphysica, XII, 1 069b.
L'ANTRO 1 79

sporchezze del corpo humano et suoi escrementi, come


quelli delle orecchie, del naso, delle unghie, de gli oc­
chi, il sudore, lo sputo, il vomito, il mestruo, l'urina, etc.
Ma sotto i talari significherà le sporche operationi,
bruttar, macchiar, etc.
Et queste stalle si danno alla Luna, percioché non vi
ha sporchezza, se non da humidità corrotta.
Giunon fra le nubi: Giunon significa l'aere, et questa
coperta di nubi ci darà signification di cose nascoste in
natura, et di quelle che da' peripatetici sono chiamate
scibili, ma che non sono anchor sapute. Et significherà
anchor tempo brieve. Et queste cose si danno alla Luna,
percioché non habbiamo pianeta che in più breve tem­
po ci si nasconda.
Questa imagine sotto Pasiphe significherà l'ascondi­
mento che può far l'huomo di sé.
Ma sotto i talari dinoterà huomo nasconder cosa o al­
tra persona.
Sotto Mercurio saranno sei imagini: il vello dell'oro, �
gli atomi, la piramide, il nodo gordiano implicato, il me­
desimo esplicato, Giunon finta di nubi.
Il vello dell'oro (quantunque nella mistica philoso­
phia habbia significatione del più alto dono che il Si­
gnor Dio soglia donare a pochi de' suoi eletti,1 et che
habbia gran signification per così fatto rapto la con­
gregation de gli heroi, la nave prima et il perdimento
che fece Iason del calzaio nel fiume solo al mondo sen­
za vento,2 onde peraventura è tratto l'ordine del To-
1. Allude al dono della 'deificazione', o trasformazione nel divino, e
ali' alchimia.
2. « Per così fatto rapto », cioè per il 'rapimento' nella dimensione
del divino a cui il mito allude, assumono un grande significato tutte
le sue componenti: il riunirsi degli eroi, la nave A,go, la perdita di un
sandalo da parte di Giasone. Il significato alchimistico del mito di
Giasone è alla base del carme latino Vellum aureum di Giovanni Au­
relio Augurelli che Camillo cita e in parte trascrive negli Adversaria
rerum divinarum, cc. 23r-25v.
180 L'IDEA DEL THEATRO

sone, 1 il quale consente con la magia di Zoroastro, la qua­


le era la prima cosa che insegnar si dovesse al novello
prencipe da' Persi, accioché e' non fosse tiranno) nondi­
meno, tirando noi dalla altezza del suo misterio questa
aurea pelle alla bassezza del nostro bisogno, ella ci servirà
per imagine di tutti gli oggetti che s'appartengono al giu­
dicio del peso, o del toccamento, come grave et leggie­
ro, aspro, molle, duro, tenero, et simili; intendesi nondi­
meno di quelle cose che son fuor dell'huomo.
Questa medesima imagine sotto Pasiphe significherà
le cose medesime del corpo humano.
Et sotto i talari significherà l'operation senza arte di
far duro, molle, aspro.
Et questa imagine con tal significatione si dà a Mercu­
rio, percioché le mani, che principalmente fanno questi
giudicii, sono di Gemini, che è cosa di Mercurio. 2
Gli atomi ci significheranno tutta la quantità discreta
nelle cose.
Et sotto Pasiphe significheranno il medesimo ne gli
huomini, come alcuno.
Ma sotto i talari significheranno quantità discreta fat­
ta dall'huomo senza arte, come far in pezzi una cosa
continua, dissolvere et spargere.
Et per esser questo suggetto della arithmetica, la qua­
le è scienza di Mercurio, a lui si dà questa imagine.
La piramide significa quantità continua nelle cose.
Sotto Pasiphe, ne gli huomini, come grande, picciolo,
mezano.
Sotto i talari significa operatione senza arte, come al­
zare, abbassare, ingrossare, assottigliare.
Le quali due quantità, essendo l'una della arithmeti-
1. Era un ordine cavalleresco fondato nel 1 429 a Bruges, dal duca
Filippo il Buono di Borgogna. Il riferimento al mito di Giasone era
presente nell'insegna: un collare d'oro da cui pendeva un vello in
oro smaltato, con il motto: « Pretium non vile laborum ». Ai tempi di
Camillo Gran Maestro dell'ordine era l'imperatore Carlo V.
2. Entra qui in gioco il sistema di corrispondenze astrologiche fra le co­
stellazioni dello Zodiaco, i pianeti e le diverse parti del corpo umano.
L'ANTRO 181
ca, et l'altra della geometria, scienze appartenenti ad
Hercole 1 tirante la saetta di tre punte, saranno sotto
questa imagine comprese sotto Prometheo.
Il nodo gordiano implicato fu porto ad Alessandro da
esplicare, et egli impatiente lo tagliò. Sotto questo si
contenerà quantità continua implicata, come un filo, od
una fascia.
Et sotto i talari significherà l'intricar delle cose.
Il nodo medesimo esplicato dinoterà cosa continua
esplicata.
Et sotto i talari, esplicatione di cose intricate.
Giunon finta di nubi è tratta dalla favola, che essendo
ella stata da Issione ricercata di adulterio, gli appresentò
un corpo di nubi che a lei si assimigliava, et con quella
egli si giacque. Or per questa beffa fatta a colui di quella
cosa finta, sotto questa figura saranno contenute le cose
apparenti, ma non vere. 2
Sotto Pasiphe dinoterà natura simulatrice et astuta et
fraudolenta.
Et sotto i talari, fingere et ingannare.
Et questa imagine diamo a Mercurio, per esser egli
l'autor delle malitie.
Sotto l'antro di Venere sono cinque imagini: Cerbe-
ro, una fanciulla che porta in capo un vaso di odori,
9
Hercole purgante le stalle d'Augia, Narcisso et Tantalo
sotto il sasso.
Cerbero è stato dipinto con tre teste, a significar le tre
1 . Ercole ha un ruolo importante nel Teatro e, come si legge nel ma­
noscritto genovese, « ha senso mistico » ( c. 49v) . Sulla simbologia so­
lare di Ercole, cfr. Porfirio, Sui simulacri, a cura di M. Gabriele, trad. it.
di F. Maltomini, Adelphi, Milano, 2012, pp. 208-12, note 101-102, e
Macrobio, Satumalia, I, XX, 6 e 1 O. Una sala dedicata a Ercole fa parte
della Corte Cornaro in Padova, voluta da Alvise Cornaro: cfr. Simona
Boscaglia, Dal caos al cos1TW: ilprogramma decurativo della Carte Curnaro in
Pa.dava, in « Comunità », XXXVII, 1983, pp. 379-99, e Alvise Curnaro e il
suo tempo, a cura di L. Puppi, Antoniana, Padova, 1980.
2. Ricorrente è in Plutarco l'interpretazione del mito di Giunone e Is­
sione come simbolo di chi si fa ingannare dalle apparenze, da vani si­
mulacri ( Vitae, inizio della vita di Agide; Maralia, Amatorius, 765-766, ecc.) .
182 L' IDEA DEL THEATRO

necessità naturali, che sono il mangiare, il bere et il dor­


mire; le quali, percioché impediscono molto l'huomo
dalla speculatione, finge Virgilio che Enea, per consi­
glio della Sibilla, volendo passar alla contemplation del­
le cose alte, gli gitta un boccone, et di subito passa. 1 Il
che significa che, quantunque noi habbiamo a sodisfare
a queste tre necessità, con poco habbiamo loro a sodisfa­
re, se vogliamo haver tempo di contemplare.
Questa imagine adunque sotto l'antro conserverà co­
se appartenenti alla fame, alla sete et al sonno, vittua­
glie, beveraggi, et cose che sonno inducono. Et a Venere
si dà questa figura per la dilettatione.
Sotto Pasiphe significherà fame, sete et sonno et con­
seguenti.
Sotto i talari, mangiar, bere et dormire, et conseguen­
ti operationi naturali.
Poi sotto Prometheo significherà la cucina, i conviti
deliciosi, et le delicie accommodate al dormire, come i
suoni et i canti.
La fanciulla portante in capo il vaso de gli odori, qua­
le fu trovata in Roma,2 nell'antro significherà tutti gli o­
dori. Et per essere il vaso di Venere, a lei si dà.
1. Virgilio, Aeneis, VI, 421-423. Cfr. De l'humana deificatione, pp. 202-
203: l'episodio virgiliano rappresenta l'astinenza, che corrisponde
al secondo grado della deificazione. Molto vicina a quella di Camilla
è l'interpretazione di Cerbero e delle sue tre teste data da Vincenzo
Cartari, Imagini delli dei degl'antichi, Tomasini, Venezia, 1 647, p. 1 50
(la prima edizione è del 1556).
2. Camillo potrebbe riferirsi al ritrovamento di un sarcofago, oggi per­
duto, così descritto da Pirro Ligorio: un « sepulchro di marmo chiuso,
et indorato dentro, e la donna oltre al balzamo che havea, era ancho
essa tutta indorata nella faccia e nelle mani » ( citato in Carlo Gasparri,
ll sarcofago con Nekya di Vìlla Giulia restaurato. Ancora sull'inizio della�
duzione di sarcofagi, a Roma, in Praestant interna: Festschrift far Ulrich
Hausmann, a cura di B. von Freytag gen. Lòringhoff, D. Mannsperger,
F. Prayon, Ernst Wasmuth, Tubingen, 1 982, pp. 165-72, in particolare
p. 169). Il ritrovamento aveva avuto luogo nel 1 485 e aveva da subito
suscitato un grandissimo interesse; una epigrafe, ora ritenuta falsa, a­
veva indotto a identificare la fanciulla con Tulliola, figlia di Cicerone:
cfr. Barkan, Unearthing thePast, cit., pp. 57-63.
L 'ANTRO 183
Sotto i talari significa le nostre operationi intorno a
gli odori fuor di arte, come odorare et portare odori.
Ma sotto Prometheo contiene le arti pertinenti ad o­
dori et a profumieri.
Hercole purgante le stalle d'Augia è indotto percio­
ché le favole dicono che quel re, vedendosi oppresso
dalle molte immonditie, chiamò Hercole a levarle via.
Et qui significherà le cose nette per natura.
Sotto Pasiphe significherà le nettezze del corpo hu-
mano.
Sotto i talari il nettar senza arte.
Et sotto Prometheo bagni et barberie.
Et questa figura a Venere ci conviene, per la vaghezza
et delicatezza.
Narcisso si guardò nell'acqua transitoria di questo
mondo, et significa la mortal bellezza, la cui verità a chi
trovar la vuole, fa bisogno di ascender al sopraceleste Ti­
feret, dove Hippia platonico la doverebbe cercare. 1 Et tut­
ti noi anchora, percioché quivi è ferma et immortale. Or
sotto questa imagine haveremo la bellezza che ci appari­
sce in questo mondo nelle cose naturali et desiderabili.
Questa figura sotto Pasiphe significherà la bellezza
humana et suoi conseguenti, morbidezza, vaghezza, de­
lettatione, disegno, amore, speranza, innamorarsi et es­
ser amato.
Sotto i talari significherà far bello, far innamorare, far
desiderare, far sperare, etc.
Et sotto Prometheo contenerà l'arte de' lisci et de'
belletti.
Tantalo sotto il sasso significa le cose vacillanti, o tre­
manti, o che stanno in pendente.
Sotto Pasiphe dinoterà natura timida, suspesa, dubio­
sa, et maravigliarsi.
Et sotto i talari far temer, far tremar, far dubitar, far
vacillar, far maravigliare, etc.
1. È l'interlocutore di Socrate nell' Hippias maior, dove discute sulla
definizione della bellezza. Era un sofista (V secolo a.C.) di cui si ri­
corda l'abilità mnemotecnica.
184 L'IDEA DEL THEATRO

cf Sotto l'antro del Sole sono cinque imagini: Argo solo,


la vacca guardata da Argo, Gerione ucciso da Hercole,
un gallo et un leone, et Apolline che saetta Giunone.
Argo solo pieno di occhi significa tutto questo
mondo, 1 di cui il capo sono i cieli, et gli occhi le stelle,
con le quali così favorisce le cose inferiori a venire alla
apparenza della generatione di lontano, come lo struz­
zo le sue ova,2 donando a loro la vita di quello spirito,
che è nelle sue rote, del qual così parla Ezechiel: « Et
spiritus erat in rotis ». 3 Questo, come che tenga in vita
tutti gli elementi, nondimeno più favorisce il fuoco che
l'aere, et più l'aere che l'acqua, et più l'acqua che la ter­
ra. Ma se questa terra, che è men favorita, per la vita et
fecondità che le dona questo spirito, germina tutto dì
tante varietà di cose, che debbono far gli altri elementi,
la cui fecondità a noi invisibile favorisce anchor la terra?
La terra Mercurio nel Pimandro dice la terra per niun modo esse­
esser re immobile, anzi essere agitata da molti movimenti,
mobile.
nondimeno in comparatione de gli altri elementi esser
quasi stabile. Et aggiunge che non è da creder che essa,
la quale è nutrice di tutte le cose, et che concepisce et
parturisce, manchi di movimento, percioché è impossi­
bil cosa che senza movimento possa parturire.4 Et sì co­
me le stelle sono gli occhi di questo mondo, così l'herbe
et gli arbori, che molto per la loro sottilità ricevono del
detto vitale spirito, sono a guisa di peli et di capelli del
suo corpo, et i metalli et le pietre sono a guisa di ossa. 5
1. In Macrobio, Satumalia, I, 19, Argo è interpretato come simbolo
del cielo pieno di stelle. L'interpretazione di Camillo è ripresa da
Curione, Hieroglyphicorum commentariorum lilni, c. 430.
2. Plinio, Historia naturalis, X, 1.
3. Ez, l , 20.
4. Mercurio Trismegisto, Amander, XII, 2, in Hermetica, voi. I, p. 234.
5. Tutte queste immagini nascono dall'idea, molto diffusa in am­
biente neoplatonico ed ermetico, del mondo (e della terra) come
un grande animale. Cfr. ad esempio Marsilio Ficino, De vita coelitus
comparanda, libro III, cap. 11, in opera omnia, p. 533.
L'ANTRO 185
Non è adunque maraviglia se i theologi simbolici hanno
figurato il mondo sotto il simbolo di Argo pieno di oc­
chi, percioché il mondo vive. Questa imagine adunque
ci rappresenterà il mondo tutto in universale, et in spe­
cie la massa celeste et i corpi celesti.
La vacca guardata da Argo, anchor che significar pos­
sa la terra, nondimeno a noi significherà tutti i visibili et
tutti i colori. 1
Gerione, a cui Hercole tronca le tre teste, significa il
principio, la consistenza, et l'occaso del tempo apparte­
nente al Sole. 2 Et questa imagine significherà a noi non
solamente le età del mondo, ma anchor le quattro sta­
gioni, le quali si fanno per l'accesso et recesso del Sole,
et parimente il giorno et la notte con le sue parti.
Et sotto Pasiphe significherà l'età dell 'huomo.
Sotto i talari, operationi naturali intorno a' minuti,
all'hore, all'anno, alla età et all'horologio.
Et sotto Prometheo gli anni artificiali, minuti, hore,
horologii et istrumenti di tempo.
Il gallo col leone. Non solamente Plinio apre questa
significatione, ma Iamblico platonico anchora et Lucre­
tio dicono che, quantunque amendue questi animali
siano solari, nondimeno il gallo porta ne gli occhi alcun
grado più eccellente del Sole, nel quale riguardando il
1 . Giunone, per gelosia, tramuta Io in vacca e ne affida la guardia
a Argo. La possibilità di usare l'immagine per « tutti i visibili et tut­
ti i colori » è legata al fatto che Argo ha molti occhi. L'interpretazio­
ne della vacca come immagine della terra è in Macrobio, Satuma­
lia, I, 19.
2. Ercole, per rubare le giovenche purpuree, uccide Gerione, un
mostro con tre corpi e tre teste. Il mito è interpretato in chiave
autobiografica nella Pro suo de eloquentia theatro ad Gallos uratio, pp.
77-78: Gerione rappresenta l'inverno, mentre Ercole è l'eroe solare.
Camillo, « nuovo Gerione », covava dentro di sé il progetto del Tea­
tro, come l'inverno che nasconde le messi; poi Dio, suo Ercole, suo
sole, l'ha spinto a tirarlo fuori, a dargli vita, come fa la primavera
con i fiori.
186 L'IDEA DEL THEATRO

leone, si hwnilia a lui. 1 Et all'auttore di questo Theatro


avenne che ritrovandosi egli a Parigi, nel luogo detto il
Tornello,2 con molti gentilhuomini in una sala ad alcu­
ne finestre riguardanti sopra un giardino, un leone, u­
scito di prigionia, venne in quella sala, et a lui di dietro
accostandosi, con le branche lo prese senza nocumento
per le coscie, et con la lingua lo andava leccando. Et a
quel toccamento et a quel fiato essendosi egli rivolto et
havendo quello animai veduto, essendo tutti gli altri chi
qua et chi là fuggiti, il leone a lui si humiliava, quasi in
atto di domandar mercede. Il che non è da dire che ave­
nisse per altro, se non che quello animale iscorgesse in
lui esser molto della virtù solare. 3 Questa imagine adun­
que contenerà la eccellenza delle cose naturali per com­
paratione.
1. Cfr. Eliano, De natura animalium, III, 3 1 , V, 50, e VI, 22; Lucrezio,
De rl!'TUm natura, IV, 710-735; Giamblico, Protrepticus, 2 1 . E cfr. anche
Pico della Mirandola, De hominis dignitate: Pitagora « ut gallum nu­
triamus nos admonebat, idest ut divinam animae nostrae partem
divinarun rerum cognitione quasi solido cibo et caelesti ambrosia
pascamus. Hic est gallus cuius aspectus leo, idest omnis terrena po­
testas, formidat et reveretur » (p. 1 26) .
2. Si tratta di piace de la Toumelle, dove si amministrava la giustizia
criminale.
3. È chiaro che con questo racconto Camillo vuole raffigurare se
stesso come mago solare, dotato della straordinaria potenza che de­
riva da un contatto privilegiato con i livelli più profondi della divini­
tà, di cui il Sole è immagine. Grazie alla irregolare posizione di Apol­
lo, del resto, il Sole è centrale nell'ordine del Teatro, nella griglia
dei suoi luoghi. Dell'episodio del leone una versione ben diversa è
data da Giuseppe Betussi, nel suo dialogo flRaverta, cit.: tutti fuggo­
no davanti al leone, « salvo messer Giulio Camillo, non già per far
prova di sé, ma per gravità del corpo, che lo rendeva un poco più
tardo degli altri, ivi rimase » (p. 1 33) . Fra gli interlocutori del dialo­
go del Betussi c'è anche il Domenichi, il futuro editore dell'Idea del
theatro. Filippo Camerario riprenderà invece la spiegazione dell' epi­
sodio fornita da Camillo, facendone un esempio della « heroica leo­
num natura » (Philipp Camerarius, operae horarum subcisivarum sive
meditationes histuricae, Hoffmann, Frankfurt, 1658, Centuria I, cap.
XXI, p. 1 18) .
L'ANTRO 187
Sotto Pasiphe significherà la eccellenza dell'huomo,
la superiorità, la dignità, l'auttorità et dominio in cosa
degna d'honore.
Sotto i talari significherà far superiore, dar dignità et
grado.
Ma sotto Prometheo contenerà i prencipati et i regni,
i quali tutti da' scrittori sono con precetti stati regolati;
così fossero ben servati!
Apollo che saetta Giunone fra le nubi, è imagine op­
posta alla Giunon nascosta fra le nubi, che è della Luna.
Et benché Homero induca questa favola, non è perciò
da credere che voglia introducer guerre fra i dei, sì co­
me accenna Socrate nel Menane, 1 ma significa cose mani­
feste.
Et sotto Pasiphe significa l'huomo manifestarsi et ve­
nir a luce.
Ma sotto i talari, manifestar persona o cosa.
Sotto l'antro di Marte sono quattro imagini: Vulcano, èf
una fanciulla i cui capelli stanno levati verso 'l cielo, due
serpi che combattono, et Marte sopra un dracone.
Vulcano porta talmente seco la significatione del fuo­
co, che non ha mestier di dichiaratione. Et perché il fuo­
co è partito in tre maniere, conciosia cosa che la più sot­
til parte sua lecca appunto il concavo della Luna, ha ot­
tenuto anchor da' Latini esser chiamato aere, laonde
Cicerone, De natura deorum 44: «Aether, qui constat ex
altissimis ignibus; mutuemur hoc, quoque verbum dica­
turque tam aether latine, quam dicitur aer » . 2 Et benché
per questo luogo alcuni l'accompagnerebbono con l'ae­
re, che va sotto l'antro di Giove, nondimeno risguardan­
do noi alla sua natura sì ignea, che è anchor superiore al
fuoco, vogliamo che sia più tosto del fuoco che dell'ae­
re. Et tanto più che Cicerone dice nel medesimo a 34:
1. Cfr. Omero, flia.s, V, 392-395, dove però Giunone è ferita da Erco­
le. La questione è affrontata non nel Meno platonico, ma nello /on
(531c).
2. Cicerone, De natura deQTUm, Il, 36.
1 88 L'IDEA DEL THEATRO

«Ardor coeli, qui aether, vel coelum nominatur ». Et a


37: « Tenuis ac perlucens, et aequabili calore suffusus
aether » . 1 A questo seguirà il fuoco elementare, et nel
terzo luogo sarà collocato il fuoco nostro. Et percioché
questa imagine è anche nel convivio, et sotto altre porte
di quella habbiamo nel convivio detto più ampiamente,
qui ci basterà di tornar a dire che Vulcano in questo luo­
go significherà l'ethere, il fuoco elementare con l'in­
cendio universale, et appresso il fuoco nostro con l'in­
cendio particulare, la favilla, la fiamma, il carbone et la
cenere.
Et questa imagine co' contenuti da lei non può conve­
nire ad altro pianeta, che a Marte, percioché solo Marte
è caldo e secco, sì come è il fuoco, là dove il Sole è caldo
et humido.
La fanciulla co' capelli levati verso 'l cielo, così è finta
da noi percioché l'huomo, secondo Platone, è arbore
rivolto, ché l'arbore ha le radici all'ingiù et l'huomo le
ha all'insù. 2 Et Origene et Hieronimo suo seguace vo­
gliono che, quando la Scrittura fa mention di capelli o
di barba, non si habbia ad intender di capelli né di bar­
ba del corpo, ma dell'anima, la quale per metaphora ha
capelli et barba et occhi et altre parti corrispondenti al
corpo. Et perché se uno si esponesse ignudo all'aere
notturno, più manifesterebbono i capelli et la barba il
contratto humore dal cielo, che altra parte del corpo,
vogliono che, sì come l'arbore per le radici sue tira a sé
l'humor nutritivo dalla terra, così la barba et i capelli del
nostro huomo interiore tiri la rugiada, cioè l'humor
1. Cicerone, De natura deorum, Il, 15 e 2 1 .
2. Platone, Timaeus, 90a. Camillo viene ripreso d a Curione, Hiero­
glyphicorum commentariorum libri, c. 435. Nella Topica questa idea pla­
tonica viene usata anche come criterio estetico: Camillo condanna
le voci che « duramente sono trasportate », come ad esempio quan­
do Dante scrive « della vagina delle membra sue » per indicare la
pelle. Migliore, dice, è Petrarca, che la chiama scorza, « sì perché si
havea a mostrar mutato in lauro, et sì per esser da Platone descritto
l'huomo per un arbore rivolto, è più honesta et piacevole » (p. 14).
L'ANTRO 189
vivificante, da gli influssi de' sopracelesti canali, onde
ne segua tutto il suo vigore. 1 Et di qui è che si legge nel­
la Cantica: « Comae tuae iunctae canalibus »,2 intenden­
do de' sopracelesti ruscelli; la qual sentenza porta si­
gnificatione, che quella anima fosse piena del soprace­
leste vigore. Et nel Salmo si legge della rugiadosa barba
di Aaron in questo medesimo sentimento. 3 Adunque
questa imagine coprirà il volume appartenente al vigor
che possa haver cosa in questo mondo, et significherà
cosa vigorosa, o forte, o veritevole. Et la verità poniamo
in questo luogo, come quella della quale da' savi di Da­
rio fu concluso che ella havesse forza sopra tutte le altre
cose.
Sotto Pasiphe questa imagine significherà natura vi­
gorosa, forte et verace.
Et sotto i talari dar vigore, o forza, o operar intorno al
vero.
Et è da notar che la Gaburà è verità et che per quella
via si dichiara: « Misericordia et veritas obviaverunt sibi. Salmo 84.
Iustitia et pax osculatae sunt ». 4
I due serpenti combattenti ci rappresentano quella
favola che si legge di Mercurio, che si incontrò in due
serpi, che combattevano; sotto la qual imagine colloche­
remo la discordanza, la differenza et la diversità delle
cose.
Et sotto Pasiphe significherà tale imagine natura con­
tentiosa.
Et sotto i talari contendere.
Et sotto Prometheo l'arte militare, et la guerra terre­
stra et mari.lima, et le loro pertinenze.
1. Cfr. Sermoni: dall'acqua che sta nel mondo sopraceleste, attraver­
so il mondo celeste, « i capelli del nostro interiore huomo tirano
l'humore vivificante, sì come le radici di un arbore tirano quello
della terra » (c. 9v) .
2. Ct, 7, 6.
3. Sa� 1 32, 2.
4. Sa� 84, 1 1. La Gevurah, quinta Sefirah, indica propriamente la
giustizia divina, che si manifesta nel giudizio.
190 L'IDEA DEL THEATRO

Marte sopra il dragone è finto da noi con questa ra­


gione. Detto habbiamo i pianeti ricever le loro nature et
influssi dalle corrispondenti Saphiroth sopracelesti. Et
perché la Gaburà, che dà l'influsso a Marte, ha per so­
prastante una angelica intelligenza chiamata Zamael,
che significa veleno di Dio, percioché per mezo di que­
sta Dio castiga il mondo, et percioché i cabalisti dicono
tale intelligenza haver figura di dragone, noi le ponia­
mo Marte a cavallo. 1 Et a quest'imagine daremo un volu­
me, contenente cose nocive et velenose naturali.
Et sotto Pasiphe significherà natura nociva, crudele et
vindicatrice.
Et sotto i talari, nuocere, incrudelire, vendicarsi, im­
pedire.
"I, L'antro di Giove contenerà cinque imagini: Giunon
suspesa, i due fori della lira, il caduceo, Danae a cui pio­
ve l'oro in grembo, et le tre Gratie.
Giunon suspesa è nel convivio di Giove anchora, dove
significa l'aere semplice. Et qui significherà i quattro e­
lementi in universale, et l'aere in particolare, il quale
essendo diviso in tre regioni, nella più bassa collochere­
mo rugiada, brina, matina, luce, freddo, fresco, caldo et
nebbia. Nella seconda, nubi, venti, tuoni, lampi, fulmi­
ni, piova, gragnuola et neve. Nella terza et alta, comete,
fuochi correnti et stelle cadenti in apparenza.
Questa sarà ancor sotto i talari, e sotto Prometheo,
come è detto nel convivio.
I due fori della lira habbiamo fatti per necessità, ma
con questa ragione, che la natura, havendo fatto gli o­
recchi a gli animali et principalmente all'huomo con vie
ritorte et accommodate a ricever l'aere percosso da al­
cun suono (impercioché esso si contorce a guisa di ac­
qua percossa da pietra, et la natura per riceverlo gli tie­
ne apparecchiato luogo parimente contorto) , questo
aere battuto et entrato nell'orecchia dell'animale, per-
I . Camilla fa notare di essere il creatore dell'immagine ma di essersi
basato su una precisa tradizione sapienziale.
L'ANTRO 191
cuote quell'aere di dentro, il qual chiamano connatura­
le, et il connaturale battuto batte alcuni nervi di dentro,
per li quali l'animale ode; adunque gli antichi fabricato­
ri della lira, per commodità di toccare i nervi di quella,
fecero quelli di fuora, ma i fori, ad imitation delle orec­
chie, principalmente dell'huomo. Di che questa imagi­
ne haverà il volume continente tutte le cose udibili, et
ogni strepito et suono naturale.
Questa imagine sotto i talari significherà far strepito.
Et si appartiene più a Giove, che ad altro pianeta, per
esser egli patron dell'aere, senza 'l quale non si può far
suono.
Il caduceo è la verga di Mercurio, la quale egli pose
( come dicono le favole) fra i due serpenti che egli trovò
a combattere, secondo che si è detto in Marte, et essi
con perpetua unione intorno a quella si avinchiarono.
Et questa imagine ci dinoterà cose uniformi, medesime,
non differenti et equivalenti.
Sotto Pasiphe contenerà natura amichevole, inclinata
alla cura famigliare et alla republica.
Et sotto i talari, amicitia, o conversatione esercitata.
Sotto Prometeo, la città et la cura famigliare, la quale
è divisa in padre di famiglia, madre di famiglia, figliuoli
et servi.
Danae con la piova d'oro, anchor che ne gli alti miste­
rii significhi quell'istesso che il vello dell'oro et gli horti
delle Hesperidi, 1 a noi qui significherà buona fortuna,
pienezza et abondanza delle cose, ché ogni plenitudine
et ogni cosa buona viene da alto.
Sotto Pasiphe dinoterà buona fortuna, felicità, nobil­
tà, ricchezze, sanità, gloria, ottenimento di desiderio.
Sotto i talari, operatione intorno alla buona fortuna
et alle cose dette di sopra.
Le tre Gratie erano da gli antichi talmente dipinte, che
l'una teneva il viso nascosto, et questa significava il benefi-
1 . Indica cioè la possibilità della 'deificazione' e dell'opera alchimi­
stica.
192 L'IDEA DELTHEATRO

cio del dante, che non dee esser palesato da colui che lo
dà. Et Iesù Christo dice: « Cum facis elemosinam, noli
tuba canere ante te». Et altrove: « Nesciat sinistra tua
quid faciat dextera tua». 1 L'altra il mostrava tutto, et
significa il recevitor del beneficio, a cui si appartiene
dimostrare il viso, cioè palesar la gratia ricevuta. La ter­
za parte ne asconde et parte ne mostra, et significa il
beneficio compensato, mostrando il ricevuto et celan­
do il dato. 2 Or questa imagine in questo significherà
cose utili.
Sotto Pasiphe, natura benefica.
Sotto i talari, dar favor, beneficio et aiuto.
L'antro di Saturno coprirà sette imagini: Cibele, tre
capi, di lupo, di leone et di cane, l'arca del patto, Proteo
legato, un passer solitario, Pandora et una fanciulla, a
cui i capelli levati verso 'l cielo siano tagliati.
Cibele habbiamo havuta nel convivio, et significa la
terra, et per la corona turrita significa le città da lei soste­
nute. Questa è tirata da due leoni nel carro, percioché
come il leone è forte davanti et debile di dietro, così il
Sole, onde i leoni hanno cotale natura, è più possente
nella parte davanti, che in quella di dietro. Di questa s'è
detto anche nel convivio; et qui, et ne' talari, et in Prer
metheo, non vomiterà fuoco, percioché significherà pu­
ramente la terra. Et sotto l'antro dinoterà la terra in ge­
nerale, con tutte le sue speci tratte da Plinio, cioè dal
capitolo che fa De terrarum generibus,3 come creta et are­
ne. Poi significherà terra habitata et non habitata, piana
et montuosa. La piana contenerà tutti i luoghi aperti. La
montuosa havrà le valli, le convalli, i colli, i monti, et
I. Mt, 6, 2e 3.
�- Per l'interpretazione delle tre Grazie, cfr. Seneca, De beneficiis, I, 3.
E un'immagine molto diffusa: cfr. ad esempio il retro della meda­
glia di Niccolò di Forzare Spinelli per Giovanna Tornabuoni, il qua­
dro di Raffaello al Musée Condé di Chantilly, una delle lunette della
Camera di San Paolo, a Parma, del Correggio; da Camilla deriva Cu­
rione, Hieroglyphirorum commentariurum lilm, c. 434v.
3. Plinio, Historia naturalis, XXXV, 16 sgg.
L'ANTRO 193
suoi appartenenti, come pietre, marmi, minere di me­
talli, et altri minerali, et a queste cose si aggiungeranno
anche gli altri animali terrestri.
Questa imagine contenerà sotto i talari le operationi
che può far l'huomo naturalmente intorno alla terra,
pur che non concernano i piedi, i quali portano le sue
operationi appresso, sì come gli altri membri.
Ma sotto Prometheo contenerà la geometria, geo­
graphia, cosmographia et agricoltura, et le parti di lei,
impercioché questa distingueremo in agricultura d'in­
torno alla terra et intorno a' frutti della terra, d'intorno
a gli arbori et intorno a' frutti de gli arbori, d'intorno a
gli animali, et intorno a' frutti de gli animali, et in queste
sei parti evacueremo tutti gli scrittori dell'agricultura. 1
Et si dà questa parte a Saturno, per esser freddo et secco,
et per essere il più immobile, essendo la terra di tal natu­
ra, secondo il Trismegisto.
Le tre teste di lupo, di leone et di cane sono tali. Scrive
Macrobio che gli antichi, volendo figurare i tre tempi,
cioè il passato, il presente et il futuro, dipingevano le tre
predette teste. Et quella del lupo significava il tempo
passato, percioché ha già devorato; quella del leone il
presente (se il presente dar si può) percioché gli affanni
presenti ci mettono così fatto terrore, qual ci mettereb­
be la vista d'un leone, se ci soprastesse. Et quella del ca­
ne significa il tempo futuro, percioché a guisa di cane
adulatore il tempo futuro ci promette sempre di me­
glio. 2 Adunque questa imagine contenerà questi tre
tempi satumini et i loro appartenenti, percioché tutti
quei tempi che non si comprendono per vicinanza o
1. Significa: entro questo schema potremo collocare tutte le infor­
mazioni ricavate dalle opere sull'agricoltura.
2. Macrobio, Satumalia, l, 20. Frances Yates (L'arte della mem<nia, cit.,
pp. 150 sgg.) ha notato la corrispondenza fra questa immagine del
Teatro e un quadro di Tiziano, L'aUegoria della Prudenza (London,
The National Gallery, Collezione Francis Howard). Cfr Valeriano,
Hieroglyphica, c. 229r, che ricorda come alcuni interpretano le tre
teste di animali come il Sole.
194 L'IDEA DELTHEATRO

Tempi. lontananza del Sole, o sono saturnini, o sono lunari. Sa­


Saturnini. tumini, come questi tre che habbiamo detti, i quali non
Solari.
Lunari. ci si manifestano per lo corso del Sole, come fa la notte
et il giorno, le quattro stagioni, le hore, i minuti et gli
anni. La lontananza adunque di questo pianeta fa che
questi tre predetti tempi non li conosciamo altramente
se non per lo passato, per lo presente et per lo futuro. I
lunari veramente sono sotto l'antro della Luna, et sotto
i talari di quella,et sotto Prometheo, coperti dalla imagi­
ne di Diana a cui Mercurio porge la vesta.
La medesima imagine delle tre teste sotto Pasiphe
significheràl'huomo esser sottoposto al tempo.
Et sotto i talari,tutte le operationi d'intorno al tempo
non conosciuto per lontananza o vicinanza del Sole, né
per corso lunare, come indugiar, far indugiar, dar ter­
mine, o rimettere in altro tempo.
L'arca del patto, 1 quantunque nel suo alto misterio
si gnifichi i tre mondi che habbiamo dati a Pan, percio­
chéera talmente fatta che un cubito et mezo la misurava
sì per lungo, come per largo, et ciascun cubito constan­
do di sei palmi, segue che nove palmi fosse per lungo et
nove per traverso, il qual numero haveva da significare i
nove cieli,et il decimo era figurato per lo coperchio d'o­
ro, il quale non si stendeva se non sopra la prima et so­
pra la seconda divisione, et la terza rimaneva scoperta.
Or questa scoperta, sì come habbiamo ne' misteri reve­
lati,si gnificava questo mondo inferiore,esposto a piove,
a venti, a caldi, a freddi et a tutte le mutationi. 2
La seconda significava il celeste mondo, et per tal ca­
gione conteneva un candelabro aureo con sette lucer­
ne, significanti i sette pianeti; poi haveva una lucerna
I. Es, 25, 10, e 31-39.
2. L'idea che la descrizione biblica dell'arca del patto si possa inter­
pretare come immagine dell'universo gode di una larghissima for­
tuna: Camillo vi dedica un'opera rimasta manoscritta, L 'inte,pretatio­
ne dell'arca del patto.
L'ANTRO 195
separata con tre calami per lato, la quale anchora signifi­
cava il Sole nella sua superiorità. 1
Appresso vi erano alcuni vasi, i quali significavano il
ricevimento, il quale facevano i pianeti da gli influssi s�
pracelesti. Et erano figure speriche, le quali significava­
no i globi. Eranvi anchora fiori, nella significatione de'
quali giace il secreto di tutti i secreti, che non è lecito a
rivelar, se non a tempo et con la volontà di Dio. 2 La terza
divisione era chiamata propiciatorio, favorita da due
cherubini, 3 l'uno de' quali significava la natura divina et
l'altro la humana in un medesimo Christo, per lo qual
propiciatorio si faceva la remission de' peccati, a signifi­
care che per lo venturo Christo si haveva a far così fatta
remissione. Et questa division terza significava il sopra­
celeste. Et chiamandosi la parte di mezo sancti, questa
terza si chiamava «sancti sanctorum», sì come anchor
« caelum caeli », o per dir meglio, «caeli caelorum », 4
percioché gli Hebrei non danno singulare a' cieli. Et di
questi tre mondi fece mentione Giovanni, quando dis­
se: «In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et
mundus eum non cognovit»,5 che dicendo «in mundo
erat» intese del sopraceleste, et quando disse «et mun­
dus per ipsum factus est», significò il celeste. Et in dire
«et mundus eum non cognovit » parlò del mondo infe­
riore. Adunque anchor che per la arca ci vengano si­
gnificati ( come habbiamo detto) i tre mondi, nondi­
meno per haver noi già affidata alla guardia di Pan le
significationi di quelli, vogliamo che ella habbia a co­
prire il volume appartenente al luogo et a tutte le sue
1. Cfr. Filone Alessandrino, De vita Mosis, Il, 102-103, in cui si spiega
che il candelabro con le sette lampade simbolizza i sette pianeti, con
la posizione centrale accordata al Sole.
2. È un'allusione al segreto alchimistico, come risulta dalle immagi­
ni ricorrenti negli Adversaria rerum divinarum.
3 . .&, 25, 17-18.
4. .&, 26, 34.
5. Gv, 1, 10.
196 L'IDEA DELTHEATRO

differenze. Et questo ci par di haver ragionevolmente


ordinato, percioché contenendo l'arca tutti tre i mondi,
dà conseguentemente luogo a tutte le cose. Et sì come
l'arca, per contenere tutte le cose, merita la conserva­
tion del luogo con tutte le sue differenze, così havendo
ella da esser data ad uno de' sette pianeti, non può ad
altrui convenire meglio che a Saturno, il quale per la sua
ampiezza del circolo comprende tutti gli altri. Questa
sotto i talari significherà i movimenti che può far l'huo­
mo intorno al luogo, come collocar cose qua et là.
Proteo legato, a differenza del Proteo sciolto che è nel
convivio lunare, et qui è collocato da noi per quello che
appresso si dirà. Et benché questa legatura possa esser
magica et naturale pura, nondimeno qui intendiamo
della pura naturale. Dissi magica percioché la legatura
che fa Aristeo di Proteo per consiglio di Cirene sua ma­
dre appresso di Homero et di Virgilio è legatura magi­
ca. Et qui habet aures audiendi audiat », percioché
1
((

appartiene al secreto, del quale habbiamo parlato di so­


pra. 2 Ma la legatura naturale, et della quale sotto questa
figura intendiamo, è tale quale diremo. Lo Spirito di
Christo è quello ( come habbiamo anchor detto nel con-
I. In Omero ( Odyssea, IV, 453 sgg.) Proteo è legato da Menelao, su
consiglio di Idotea, figlia di Proteo. La citazione virgiliana è inve­
ce esatta: Georgica, IV, 338 sgg. Il passo virgiliano è commentato
anche nell'Artificio della Bucolica: Proteo legato rappresenta la sal­
dezza della scienza: « diremo quella cognitione in noi esser scien­
za, la quale è immobile et ferma, e così strettamente legata, ma
quella è solamente diritta opinione, la quale sciolta può vagare»
(c. 85v).
2. Si tratta, anche qui, del segreto alchimistico. Ai due tipi di legatu­
ra corrispondono due diversi processi, di diversa durata temporale,
che portano al compimento dell'opera: cfr. Detransmutatione, qui a
p. 290, e Adversariarerum divinarum, c. 15v: dopo aver citato i versi di
Virgilio sulla legatura di Proteo, Camillo commenta: « in modo
ch'io non trovo philosopho alcuno, almeno ne la transmutatoria,
che n'habbia detto tanto, anchor che oscurissimamente, dopo Ho­
mero ». Cfr. anche De l'humana deificatione, p. 214, e Lettera del rivolgi­
mento dell'huomo aDio , p. 46.
L'ANTRO 197
vivio) il quale, discendendo da' sopracelesti canali, ri­ La rinova­
nuova con la virtù sua tutti i cieli et porta giù tutte le loro tione
delle cose.
impressioni et tutte le loro virtù, et con quelle si ferma
qua giù fra animali, herbe et fiori. Et se così non rinovas­
se, le cose tutte perirebbono. Et questa è peraventura
quella città che Giovanni vide nell'Apocalissi santa di­
scendente piena di gioie. 1 Et per questo David canta il
cantico nuovo, vedendo tante cose rinovate. 2 Et Esaia
dice: «Creabo coelum novum, et terram novam». 3 Et
nell'Apocalissi anchora è scritto: « Ecce nova facio
omnia». 4 Et questa è la scala di Iacob, per la quale di­
scendono et ascendono gli spiriti,5 che lo scendere è il
venire a far questa rinovatione, et lo ascendere è il tor­
nare dello spirito a rifocillarsi col superiore universale.
Ma di questa rinovatione volendo far mentione il Petrar­
ca ( come colui che non passava il celeste mondo) fece
quel sonetto il qual comincia:
Quando il pianeta, che distingue l'hore
ad albergar col Tauro si ritorna,
dove dicendo
cade virtù da l'infiammate coma,
che veste il mondo di nove! colore,6
vien a dare a' cieli questa operatione di tornar a far
bello il mondo, non intendendo che l'anima del mondo
piena di vivificante spirito, che è Christo, portata dal So­
le giù dal concavo della Luna con maggior abbondanza
et fecondità quando il Sole comincia a girar sopra di
noi, che quando è più lontano, sopraviene alla mistion
che vuol far la natura, volendo far la produttion delle
I. Ap, 21, 2.
2. Sa� 45.
3. Is, 65, 17.
4.Ap, 21, 5.
5. On, 28, 12-13.
6. Petrarca, Rerum vulgariumfragnumta, 9, 1-4.
198 L'IDEA DELTHEATRO

herbe, de' fiori et delle altre cose elementate. Et se e'


non intervenisse come mediatore a conciliar le qualità
contrarie, che fanno il misto, le loro contrarietà non po­
trebbon mai stare insieme sotto la forma di questa o di
quella herba, di questo o di quel fiore. Tale è adunque la
temperanza del divino spirito di Christo, che accorda
anchora i discordanti. Et è quello che dice il propheta:
« Ego caelum et terram impleo» 1 et altrove dice la Scrit­
tura: « Pleni sunt caeli et terra gloria tua». 2 Questo a­
dunque spirito di Christo, et non dell'anima del mondo
(come dicono i platonici) è non solamente mediatore,
conciliatore, vivificatore et sostenitore di questi quattro
discordi elementi, ma mosso dalla sua misericordia, è
anchor mediatore et conciliatore fra la divina giustitia et
la humana fragilità. Et che questo veramente sia lo spiri­
to vivificante tutte le cose, habbiamo dal salmo: «Aver­
tente te faciem tuam, turbabuntur et omnia in pulverem
revertentur ». Et « emitte spiritum tuum, et renovabis
faciem terrae ». 3 Chiamandolo adunque « spiritum
tuum», mostra questo essere spirito di Dio, et non dell'a­
nima del mondo. Et Paolo lo chiama spirito vivificante. 4
Sopravenendo adunque la materia prima, cioè Proteo
pieno di questo spirito vivificante, alla mistion delle her­
be et de' fiori et de gli altri misti, sta naturalmente tanto
legata dentro da' termini di questo fiore, o di quella her­
ba, per fin che si vengano a dissolvere. Et qui è da notare
un detto di Mercurio Trismegisto nell'Asclepio: « Quic­
quid de alto descendit, generans est, quod sursum ver­
sus emanat nutriens, id est praestans vitam, hoc est
vivificans». 5 Scendendo adunque questo spirito sopra-
I. Ger, 23, 24.
2. Is, 6, 3.
3. Sa� 103, 29-30.
4. 2 Cor, 3, �6.
5. Parafrasi di Mercurio Trismegisto, Asdepius, I, 2b, in Hermetica,
voi. I, p. 288.
L'ANTRO 199

venente alla mistione,che vorrebbe far la natura mesco­


landosi con quelli che sarebbono stati discordi, gli con­
cilia et genera. Et mentre la pianta o lo animal cresce, lo
nutrisce et vivifica. Sta adunque legato in qualunque in­
dividuato, per fin che venga il tempo della dissolutione,
chiamata indegnamente morte secondo Mercurio, il
qual così scrive nel Pimandroal X II capo: « Non moritur
in mundaquicquam,sed composita corporea dissolvun­
tur; dissolutio mors non est, sed mistionis resolutio
quaedam. Solvitur autem unio non ut ea quae sunt inte­
reant, sed ut vetera iuvenescant». 1 Per quanto tempo a­
dunque la union de' misti sta insieme, per tanto riman
legata et fermata et ristretta quella parte di Proteo con
quello spirito inchiuso. Et per tal cagione vogliamo che
questa imagine habbia a conservar sotto di sé cose im­
mobili, fermate, o ferme.
Sotto Pasiphe significherànatura ostinata et immuta­
bile.
Et sotto i talari far cosa alcuna immobile,come ferma­
re, arrestare.
Et questa imagine a Saturno vien data per la sua tar­
dità.
Il passer solitario assai per sésenza altra dichiaratione
mostra havere a contener cosa sola o abbandonata. 2
Sotto Pasiphe significherà natura solitaria, et huomo
solo et abbandonato.
Ma sotto i talari significherà andar solo, star solo, ab­
bandonare, et lasciar persona,o luogo, o cosa.
1. Mercurio Trismegisto, Pimander, XII, 2, 16, in Hermetica, voi. I, pp.
232-34.
2. Cfr. Sa� 101, 8, e Petrarca, Rerum vulgariumfrafs"U!"l,ta, 226, 1. Gior­
dano Bruno scriverà poi un sonetto, Mio passar solitario, che include
in De l'infinito, universo e mondi e, con delle varianti, negli Eroicifurori
(cfr. Giordano Bruno, Diawghi fiwsofici italiani, a cura di M. Ciliber­
to, Mondadori, Milano, 2000, pp. 320 e 822). Ho discusso di questo
tema con Nicola Cipani, che ringrazio.
200 L'IDEA DELTHEATRO

Et questa imagine a Saturno si conviene, come a natu­


ra malinconica. 1
Pandora nell'antro significa afflittion di cose.2
Sotto Pasiphe, afllittion dell'huomo, et tutte le sue
male fortune, infelicità, ignobilità, povertà, infermità, et
non ottener desiderio.
Sotto i talari, dar afflittione altrui.
La imagine de' capelli tagliati alla fanciulla, i quali ve­
demmo in Marte distesi verso il cielo, porterà tutte le
cose opposite, cioè deboli. Né ciò habbiamo fatto senza
auttorità, impercioché Alceste appresso Euripide, non
potendo morire della disiderata morte, il mandato Mer­
curio le taglia il capello, et ella si muore. 3 Et Niso non fu
da Minos abbattuto, se non poi che la figliuola innamo­
rata gli tagliò il fatato capello. 4 Né Dido appresso Virgi­
lio può finir di morire, se non dapoi che Iris mandata da
Giunone le ha tagliato il capello. 5 Et il consiglio di Virgi­
lio è che Iris, per significar co' colori gli elementi,
significhi gli elementari. Et il tagliare il capello sia disso-
1. Cfr. Cicerone, De natura deorum, II, 64, e Raymond Klibansky, Er­
win Panofsky e Fritz Saxl, Satum andMelancholy. Studies in theHistory
ofNaturalPhilosphy, Religi,on andArt, Thomas Nelson, London, 1964
(trad. it. Saturno e la me lanconia. Studi su storia del la.filosofia naturale,
mediana, religi,oneearte, Einaudi, Torino, 2002).
2. Pandora con un significato vicino a questo, nota Wenneker (p.
381), è nell'emblema che Achille Bocchi costruisce per un poeta
latino amico di Camillo e interessato alla riforma religiosa, Marc'An­
tonio Flaminio: cfr. Bocchi, Symbolicarum quaestionum, de universoge­
nere, ed. 1574 cit., libro IV, p. 262, Symb. CXXIII/: tutti i mali si con­
centrano nella curia romana. Nella stessa opera un emblema è dedi­
cato a Camillo (libro III, p. 186, Symb. LXXXVII[). Sul mito di Pando­
ra, cfr. Dora e Erwin Panofsky, Pand ora'sBox. TheChangi,ng Aspects of
a Mythical Symbo� Princeton University Press, New Haven-London,
1991 (la prima edizione è del 1956; trad. it. Il vaso diPandora. I muta­
menti di un simbolo, Einaudi, Torino, 1992).
3. Nell'Alcestis di Euripide non è Mercurio, ma la Morte stessa che
interviene a tagliare il capello fatale.
4. Cfr. Ovidio, Metamorphoses, VIII, 1-151.
5. Virgilio, Aeneis, IV, 693.
L'ANTRO 201
lution di elementi. I quali misteri da' poeti sono stati
robati a' propheti, come da quel luogo de' capelli taglia­
ti a Sansone. 1
Questa imagine sotto Pasiphe significherà debilità
dell'huomo, stanchezza, natura falsa et bugiarda.
Ma sotto i talari significherà debilitar persona o cosa,
o mentire.

I. Gdc, 16, 18-20.


LE GORGONI

Sagliamo al quarto grado appartenente all'huomo in­


teriore, il qual fu l'ultima et la più nobil creatura, fatta
da Dio a sua imagine et similitudine. Et qui è da notare
che nel testo hebreo quello che è tradotto per imagine,
è detto Celem, et quello che è detto similitudine, è scrit­
to Demut. Le quali parole nel Zoardi Rabi Simeon, 1 che
suona « illuminator » ( cioè dator di luce) , sono interpre­
tate in questo senso, che Celem significhi (per dir così)
la stampa, over la forma angelica, et Demut importi gra­
do divino, percioché vuole che Dio non solamente tiras­
se l'anima nostra alla eccellenza de gli Angeli, ma an­
chor le aggiungesse il grado divino. Et aggiunse il detto
autor del Zoar, che questo antivedendo l'angelo, che fu
poi scacciato,2 mosso da invidia et dall'amor proprio,
parlò contra il voler della divina Maestà. Ma Mercurio
Trismegisto nel suo Pimandro prende la imagine et la
similitudine per una cosa istessa, et il tutto per lo grado
divino, dicendo così: «At pater omnium intellectus, vita
et fulgor existens, hominem sibi similem procreavit,
atque ei tanquam filio suo congratulatus est; pulcher e­
nim erat, patrisque sui ferebat imaginem. Deus enim re

I. 'Zohar, I, 25a, e III, 207c-208a. «Rabi Sirneon » è Shirn'on barYoJ:iai,


l'autore del nucleo più antico dello 'Zohar. La dottrina delle tre ani­
me, con numerose citazioni dallo 'Zohar, è trattata anche in De l'huma­
na dei,ficatione, pp. 216-27.
2. Cioè Lucifero.
LE GORGON I 203
vera propria forma nimium delectatus, opera eius
omnia usui concessit humano». 1 Et il medesimo nello A­
sdepio: «O Asclepi, magnum miraculum est homo, ani­
mal adorandum atque honorandum; hoc enim in natu­
ram Dei transit, quasi ipse sit Deus, hoc demonum genus
novit, utpote qui cum eisdem ortum esse cognoscat, hoc
humanae naturae partem in se ipso despicit, alterius
partis divinitatis confisus». 2 Altri scrittori cabalisti han­
no lasciato scritto la similitudine appartenersi alla ope­
ratione, quasi volendo dir Dio haver fatto l'huomo a
fine di operar per lui. 3 Et con questa openione consente
la scrittura santa, dove fa mention le opere buone che
facciamo, non essere nostre, ma di Dio, et noi esser sola­
mente gli istrumenti. 4 La onde alcuni contemplativi
chiamano queste opere, opere eterne. Di che Paolo di­
ce: «Quid habes homo, quod non accepisti? Et si accepis­
ti, quare gloriaris, quasi non acceperis? ». 5 Et è da notar
che le più delle fiate quando la Scrittura fa mention
dell'huomo, intende solamente dell'interiore, il che
chiaramente si truova nel libro di Mosè intitolato lob,
che dice: «Pelle et carnibus vestiti me, ossibus et nervis
compegisti me». 6 Per le quali parole et per quel prono­
me «me» dà chiaramente ad intendere altro esser l'huo-
1. Mercurio Trismegisto, Pimander, I, 12, in Hermetica, vol. I, p. 120.
2. Mercurio Trismegisto, Asdepius, I, 6, in Hermetica, voi. I, p. 294.
3. Cfr. Gershom Scholem, Le grandi correnti della mistica euraica, trad.
it. di G. Russo, Il Saggiatore, Milano, 1965: « Le parole della Bibbia,
secondo le quali Dio creò l'uomo a sua immagine, hanno per i cab­
balisti un duplice significato: primo, che le forze delle Sefiròth -
quest'archetipo della vita divina - vivono e agiscono anche nell'uo­
mo; secondo, che lo stesso mondo delle Sefiròth - cioè il mondo di
Dio in quanto si manifesta come creatore - può essere rappresenta­
to ad immagine dell'uomo. Così quindi le membra dell'uomo ...
non sono altro che una effigie di un certo modo di essere interiore,
spirituale, che si manifesta nella simbolica figura dell'Adàm Qadmòn
- l'archetipo dell'uomo» (p. 294).
4. /s, 26, 12; 1 CM, 15, 10.
5. 1 Cor, 4, 7.
6. Gb, 10, 1 1.
204 L'IDEA DELTHEATRO

mo interiore dall'esteriore. In questa openione viene


Socrate nel suo primo Alcibiade appresso Platone, dispu­
tando della natura dell'huomo, percioché sì come la ve­
sta che portiamo non è noi, ma cosa usata da noi, così il
corpo, anchor che sia portato da noi, non è noi, ma cosa
usata da noi. 1 Per la qual cosa sono da esser considerate
le parole di Mosè nel Genesi : « Faciamus hominem ad i­
maginem et similitudinem nostram », le quali non suo­
nano se non l'interior huomo. Et che vero sia, alquanto
sotto soggiunse: « Nondum erat homo, qui operaretur
in terra». 2 Era adunque avanti nel sopraceleste fatto
l'huomo interiore, che Dio gli formasse il corpo di terra
a fin che potesse operar in questo mondo et essere istru­
mento delle opere divine. Et perciò Mosè soggiunse:
« Plasmavit Deus hominem de limo terrae», il qual limo
3

non significa fango ( come molti avisano) ma il fiore et


(per dir così) il capo di latte della terra, che era virgina­
le, percioché non haveva anchor contratto macchia, sì
Adam. come contrasse quasi famiglia di Adam dopo il peccato
di lui. La qual terra virginale era chiamata Adema, onde
Adam trasse il nome. 4 Né questo tacerò, che Christo, per
sodisfare alla giustitia divina, si appresentò per purgator
di tutte le humane colpe in corpo consimile a quello che
haveva Adam prima che peccasse, cioè in corpo fatto di
terra verginale et di sangue purissimo di Maria Vergine.
A queste cose si aggiunga, poi che a parlar di Adam
siamo entrati, che egli avanti il peccato era in due modi
nell'horto delle delitie, non dico paradiso terrestre, co­
me molti interpretano quel che Mosè non disse giamai.
1. Platone, Alcibiades, l 29e-f. Cfr. il commento di Proclo, tradotto da
Ficino: Proclus in Alcibiadem Platonicum de anima et daemone: « Homo
est anima utens corpore, ut instrumento » (in opera omnia, p. 1927).
2. Gn, 1, 26; 2, 5.
3. Gn, 2, 7.
4. È una dottrina di origine cabalistica ( Zohar, III, 83b), ripresa da
Camillo nel De transmutatione, qui a pp. 282-83. Ne deriva la fiducia
che, attraverso l'alchimia, si possa recuperare la condizione di Ada­
mo prima della caduta.
LE GORGON I 205
Nel primo modo adunque era nell'horto sopraceleste, Paradiso
non presentialmente, ma nella gratia di Dio, godendo terrestre.

di tutti i beati influssi. Ma come hebbe peccato, così fu


cacciato del detto horto sopraceleste, et cioè che levati
gli furono i già detti influssi, non che esso corporalmen­
te fosse mandato fuori, non altramente che se un servi­
dor prima a Cesare gratissimo in Egitto si ritrovasse,
mentre egli fosse nella gratia del prencipe suo si direbbe
che fosse nella sua famiglia, ma peccando, privo della
gratia sua, si potrebbe dir che fosse cacciato dalla corte. 1
Né si maravigli alcuno che io metta questa quistione in
campo, che l'horto del quale fu cacciato Adam fosse il
sopraceleste giardino, percioché questa fu openione
prima di Origene, et poi di Hieronimo suo seguitatore. 2
L'altro modo di dire, che Adam era in paradiso, sarà se­
condo il vocabolo non hebreo, ma greco, et dichiamo
che Adam avanti il peccato era nella terra virginal di
questo mondo, et mentre dimorò in quella senza macu­
lar il corpo suo di peccato, era in paradiso terrestro. Et
fatto il peccato, la terra contrahesse macchia, et così
venne ad esser cacciato del paradiso. Avvenne adunque
al mondo fatto per Adam quel che potrebbe avenire ad
un baron di Cesare, il quale se peccasse, tutta la sua fa­
miglia verrebbe a contragger macchia, anchor che ella
non havesse peccato, et tutti la guarderebbono con oc­
chio torto. Peccando adunque Adam, peccarono tutti
gli elementi per contrattion di macchia. Di che in loro
non essendo più la prima virginità, si può dire che per
questa cagione Adam sia detto essere stato cacciato dal
terrestre paradiso.
Ma seguendo il proposito nostro, è da sapere che in
1. Per questa interpretazione, di origine cabalistica, del paradiso ter­
restre, cfr. Giorgio, Commento, canto V, cc. 35r sgg. Camillo ne dà
un'ampia trattazione nei Sermoni, cc. 12v sgg., dove si cita, oltre allo
'Zohar, il Talmud, cioè l'insieme dei testi che raccolgono la tradizione
rabbinica.
2. Origene, In Genesim homiliae, in Patrol.ogi,a Graeca, a cura di J.-P.
Migne, Paris, voi. XII, 1862, pp. 99-102.
206 L'IDEA DELTHEATRO

Tre anime noi sono tre anime,1 le quali tutte tre, quantunque goda­
nostre. no di questo nome commune «animo», nondimeno
ciascuna ha anchor il suo nome particolare, impercio­
ché la più bassa et vicina et compagna del corpo nostro,
è chiamata Nephes, et è questa altrarnente detta da Mo­
sè «anima vivens». 2 Et questa, percioché in lei capeno
tutte le nostre passioni, la habbiamo noi comune con le
bestie. Et di questa parla Christo quando dice: «Tristis
est anima mea usque ad mortem»,3 et altrove: «Qui non
habuerit odio animam suam, perdet earn». 4 Al qual vo­
cabolo non aspirando la lingua, né greca, né latina, non
si può rappresentar nelle traduttioni la sua significatione,
come (per cagion di esempio) in quel salmo: «Lauda a­
nima mea dominum»,5 quantunque lo scrittor dello Spi­
rito Santo habbia posto il vocabolo di Nephes, ci fanno
usare il comune. Et fu ben ragione che il propheta usas­
se il vocabolo Nephes, volendo lodar Dio con la lingua
et con altri membri che formano la voce, et sono gover­
nati dalla Nephes, che è più vicina alla carne. L'anima di
mezo, che è la rationale, è chiamata col nome dello spi­
rito, cioè Ruach. La terza è detta Nessamah, da Mosè
spiraculo, da David et da Pithagora lume, da Agostino
portion superiore, da Platone mente, da Aristotele intel­
letto agente. 6 Et sì come la Nephes ha il diavolo, che le
ministra il dimonio per tentatore, così la Nessamah ha
Dio che le ministra l'angelo. La poverella di mezo da a-
l. La dottrina delle tre anime è di origine cabalistica: cfr. 'Zohar, I,
206a; Il, 141b; III, 70b. Camillo ne tratta a lungo in De l'humana
dnficatione e nella Lettera del rivolgi.mento dell 'huomo a Dio.
2. Gn, 1, 30.
3. Mt, 26, 38.
4. Mt, 16, 25.
5. Sa� 145, 2.
6. Questo modo di procedere è tipico di Camillo: l'accostamento
delle diverse definizioni dei filosofi vuol mostrare come, al di là del­
le parole usate, tutti concordino sulle verità essenziali. Cfr. Gn, 2, 7;
Sa� 36, 9; sant'Agostino, De trinitate, XV, 7, 11; Platone, De republica,
436b; Aristotele, De anima, III, 4-6, 429-430c.
LE GORGON I 207
mendue le parti è stimolata. Et se per divina permissio­
ne s'inchina a far unione con la Nephes, la Nephes si u­
nisce con la carne, et la carne col dimonio, et il tutto fa
transito et trasmutatione in diavolo. Per la qual cosa dis­
se Christo: « Ego elegi vos duodecim, et unus ex vobis
diabolus est». 1 Ma se per la gratia di Christo ( da altrui
non può venire un tanto beneficio) la anima di mezo si
distacca, quasi per lo taglio del coltello della parola di
Christo,2 dalla Nephes mal persuasa, et si unisce con la
Nessamah, la Nessamah, che è tutta divina, passa nella
natura dell'angelo et conseguentemente si trasmuta in
Dio. Per questo Christo, adducendo quel testo di Mala­
chia: «Ecce ego mitto angelum meum » ,3 vuol che si in­
tenda di Giovanni Battista trasmutato in angelo nella
providenza divina, ab initio et ante secula. Ho fatto men­
tion del coltello del verbo di Christo, il qual solo col suo
taglio divide l'anima bassa dall'anima rationale, la quale
habbiamo detto haver il nome dello spirito, laonde Pao­
lo disse: « Vivus est sermo Dei, et efficax, et penetrantior
omni gladio ancipiti, pertingens usque ad divisionem a­
nimae et spiritus».4 Et a fin che riconosciamo le tre ani­
me ciascuna con nome diverso nelle parole di Mosè so­
pra tocche nel Genesi, è da notare che quando disse << Fa­
ciamus hominem», intese dell'anima rationale. Et
quando disse « posuit eum in animam viventem», intese
della Nephes. Ma dicendo « flavit in nares eius spiracu­
lum vitae» significò la Nessamah. 5 Non posso far ch'io
non metta sopra questi passaggi la openion dello scrit­
tor del 7,oar, la Nephes esser un certo simulachro, overo
ombra nostra, la qual non si parte mai da sepolchri et
lasciasi vedere non solamente la notte, ma anchor di
giorno da quelli a' quali Dio ha aperti gli occhi. Et per-
1. Gv, 6, 71.
2. Riferimento a Mt, 10, 34.
3. M� 3, 1.
4. Eb, 4, 12.
5. Gn, 1, 26; 2, 7.
208 L'IDEA DELTHEATRO

cioché il detto scrittor dimorò all'heremo per quaranta


anni con sette compagni et con un figliuolo per cagion
di illuminar la Scrittura santa, e dice che un giorno vide
ad uno de' suoi santi et cari compagni distaccata la
Nephes, talmente che gli faceva di dietro ombra al capo.
Et che di qui s'avide che questo era il nuncio della vicina
morte di colui, ma con molti digiuni et orationi ottenne
da Dio che la detta staccata Nephes da capo al corpo suo
si ricongiunse et così unita restò per fin al fine della im­
presa. 1 Il qual luogo da me veduto mi fa pensare che
Virgilio, toccando la vicina morte di Marcello, 2 si sia ser­
vito di quello et che o da Hebrei o da Chaldei cabalisti
havesse inteso un tal secreto.
Appresso dice il detto scrittor del Zoar che questa
Nephes è presente dal principio alla formation dell'em­
brione, ma che la Ruach non entra se non il settimo
giorno dopo la natività, et che perciò Dio comanda che
il fanciullo sia appresentato a lui et alla circoncisione
l'ottavo dì, cioè un giorno dapoi che l'anima rationale
ha fatta l'entrata. Et quantunque la Nessamah non entri
se non al trigesimo giorno, non si havere ad aspettar tan­
to a far la circoncisione, alla qual non debbono interve­
nir se non l'anima che può peccare et quella che fa pec­
car, ché la Nessamah, essendo divina, non può peccare.
Et in questo passaggio così consente Plotino, intenden­
do della terza anima alta, quando dice: « In anima non
cadit peccatum, neque poena ». 3 Ha ben voluto il bello
ingegno di Aristotele prender fatica intorno ad una al­
tra triplicità, che è nell'huomo interiore, ma in quella
non pone se non questa terza alta, impercioché dispu­
tando dottissimamente de' tre intelletti nostri, chiama
l'uno possibile, over passibile, chiamato da' nostri latini
et volgari ingegno, altramente da Cicerone, « intelligen-
1 . Zohar, III, 1 3b.
2. Virgilio, Aeneis, VI, 855.
3. Zohar, I, 81 b, 226a-b; Plotino, Enneades, I, 1 , 1 2, e 8, 4.
LE GORGON I 209
tiae vis »; l'altro intelletto in havere, che è l'intelletto
1

prattico, significando haver già appreso et possedere; il


terzo, intelletto agente, et è quello per virtù del quale
noi intendiamo. Et in questo passo san Tomaso, volendo
provar l'intelletto agente essere in noi, se ben mi ricor­
da, dà l'esempio della potenza nostra visiva, et di quel
raggio di fuoco che dentro a noi risponde all'occhio, il
quale noi assai sovente fregandoci alcun de gli occhi col
dito, veggiamo internamente in similitudine di fiamma
in rota, per la qual rota fiammeggiante spesse volte avie­
ne che noi svegliati, et aprendo gli occhi nella oscura
notte, per picciolissimo spatio veggiamo et discerniamo
delle cose nella camera, la qual rota poi debilitandosi, a
poco a poco perde il vigore. 2 Adunque sì come nell'uni­
co occhio habbiamo il poter vedere, il vedere et la rota
che ci fa vedere, così è in noi non solamente l'intelletto
che può intendere, cioè l'ingegno, o l'intellettiva capa­
cità, che dir la vogliamo, et esso intender, che è l'intel­
letto prattico, ma anchor l'intelletto agente, cioè quello
che fa che intendiamo. La rota di fuoco di che habbia­
mo detto, si legge ne gli occhi di Tiberio essere stata sì
grande et sì virtuosa, che per gran pezza discerneva nel­
la sua camera la notte tutte le cose. 3 Laonde seguita che
altri l'ha più et altri meno. Et Aristotele, quando e' di­
venta phisionomista, dice che quando con difficultà
affisiamo gli occhi ne gli occhi altrui, quel lume dà
signification di futuro prencipe. 4 Laonde alcuni antichi
hanno lasciato scritto gli occhi di Iesù Christo essere sta-
1. Aristotele, De anima, III, 4-6, 429a-430c; Cicerone, Definibus bono­
rum et malorum, V, 32.
2. Cfr. Tommaso d'Aquino, In Aristotelis librum De anima commenta­
rium, Il, 9, 734: vi si polemizza contro chi sostiene che l'intelletto a­
gente è separato, ma non si usa l'esempio citato da Camilla.
3. Plinio, Historia naturalis, XI, 143; Svetonio, De vita Caesarnm, Tibe­
rius, III, 68, 2; Marsilio Ficino, El libro dell'amore, a cura di S. Niccoli,
Olschk.i, Firenze, 1987, oratione VII, cap. 1v, p. 191.
4. Ps. Aristotele, Physiognomica, VI, 81 1 b.
210 L'IDEA DELTHEATRO

ti così fatti. 1 Ma Simplicio, volendo dimostrare et prova­


re in ogni modo questo intelletto agente esser di fuori,
dice che egli non altramente è fuori di noi, che è ancho­
ra il Sole fuor della potenza visiva, anchor che essa per lo
detto Sole vegga. 2 Adunque sì come nell'occhio nostro
sano è il poter vedere, et anchor tal'bora il vedere, ma il
far vedere, che appartiene al Sole, o ad altro suo vicario,
è di fuori dell'occhio, così quantunque nel nostro huo­
mo interiore sia il potere intendere, cioè l'intelletto pos­
sibile, o passibile, et l'intendere ancor prattico, nondi­
meno l'intelletto agente, che è il raggio divino, o ange­
lo, o esso Dio, esser fuor di noi. Questa openione di Sim­
plicio par che più sia approvata dalla Scrittura et massi­
mamente per quel luogo di David: « Intellectum tibi da­
bo, et instruam te in via hac qua gradieris ». 3 Se adunque
Dio ne è il datore, è anchor quello che lo sottragge, o a
tempo, o per sempre. Di che temendo David, disse: « Et
spiritum sanctum tuum ne auferas a me » . 4 Et altrove
della perpetua sottrattione è scritto: « Relinquentur do­
mus vestrae desertae ». 5 Segue adunque che questo in­
telletto agente, o raggio divino, è fuor di noi, et in pote­
stà di Dio. Il quale intelletto i philosophi ignoranti di
Dio il chiamarono ragione, per la quale dicono l'huomo
separarsi dalle bestie. Ma nel vero l'huomo è chiamato
rationale, o per dir meglio intellettuale, per esser solo
fra gli animali capace di questo intelletto agente; ma
quando a Dio non piace darlo, colui che se ne va senza,
1. La fonte è uno degli aprocrifi del Nuovo Testamento, la lettera
che Publio Lentulo, procuratore romano della Giudea, avrebbe in­
viato a Tiberio; cfr. Lettera di Lentul,o, in Apocrifi del Nuovo Testamento,
a cura di L. Moraldi, lITET, Torino, 1994, voi. III, pp. 15-16 (in par­
ticolare p. 16) .
2. Simplicio, filosofo del VI secolo d.C., cerca di mostrare la conver­
genza delle dottrine platoniche e aristoteliche. Per la posizione ri­
cordata da Camillo, cfr. il commento al De anima aristotelico.
3. Sa� 31, 8.
4. Sa� 50, 12.
5. Mt, 23, 38.
LE GORGON I 211
non è differente nel dentro dalle bestie, essendo scritto
nel salmo: (( Homo cum in honore esset, non intellexit,
comparatus est iumentis insipientibus, et similis factus
est illis». 1 Con questo luogo s'accorda quello oscurissi­
mo passaggio dell' Apocalissi: (( Numerus hominis, nume­
rus bestiae; numerus autem bestiae sexcenti sexaginta
sex»,2 percioché il numero che arriva a mille, per la
giunta dell'intelletto agente, è il numero dell'huomo il­
luminato. Et perciò nella Cantica, volendosi desiderar
bene a chi si parla, si dice nel testo hebreo: (( Mille tibi
Solomoh » . 3 Il che significa: io ti desidero non solamen­
te la figura humana, ma anchora il raggio divino. Per la
qual cosa, quando io saluterò il mio eccellentissimo
prencipe, in luogo di dargli il buon dì, io gli dirò: (( Mille
tibi ». Ma io mi riservo in altro tempo il dichiarar di que­
sti numeri. 4 A questa openione par che si conformi an­
chor Virgilio descrivendo il suo ramo d'oro,5 il quale es­
sendo di materia diversa dall'albero, et non bastando
l'humana volontà ad haverlo, mostra che sia cosa di fuo­
ri, et che il favor di Dio ci si convenga a conseguir il do­
no di questo intelletto. 6 Ma tempo è homai che discen­
diamo alle nostre imagini, il che faremo se prima havre­
mo detto una cosa, non pure appartenente a' theologici
I . Sa� 48, 13.
2. Ap, 13, 18.
3. Ct, 8, 12.
4. Forse qui Camillo allude a del materiale che troviamo nel mano­
scritto genovese del Teatro, dove larga parte è dedicata alla numero­
logia. Rispetto a questo brano dell'Idea, G presenta alcune varianti
interessanti (c. 231 v): si precisa « il numero che arriva a mille», cioè
il trecentotrentaquattro, mentre manca il brano sulla formula usata
per salutare il suo signore e sulla promessa di trattare i segreti dei
numeri (da « Per la qual cosa, quando io saluterò... » fino a «dichia­
rar di questi numeri »).
5. Virgilio, Aeneis, VI, 135.
6. Nella Lettera del rivolgimento dell 'huomo a Dio, il ramo d'oro virgilia­
no viene citato a riprova del fatto che « il nostro libero arbitrio si dee
trovar disposto al ratto che Dio fa di noi» (p. 55).
212 L'IDEA DELTHEATRO

simboli che ho da dare a questa porta, ma a tutte le ima­


gini del mio theatro.
Appresso gli antichi adunque era in costume che quei
philosophi medesimi i quali insegnavano et mostravano
le profonde dottrine a' cari discepoli, poi che le haveva­
no chiaramente dichiarate, le coprivano di favole, a fin
che così fatte coperte le tenessero nascose et così non
fossero prophanate. Il qual costume aggiunse infino al
tempo di Virgilio, il qual nel suo dottissimo Sileno, sotto
quel nome induce Sirone cantar, cioè manifestar chiara­
mente i principii del mondo a Chromi et a Nasillo, cioè
a Varro et ad esso Virgilio. 1 Et poi che quelli ha cantati,
entra in favole, cosa che par molto strana a' lettori igno­
ranti del detto costume. Ad imitatione adunque di così
grandi philosophi, poi che io ho chiaramente rivelato il
secreto delle tre anime et de' tre intelletti ( cose apparte­
nenti all'huomo interiore) , io gli coprirò de' debiti sim­
boli, a fin che non sieno prophanati et anchor per de­
star la memoria. Fra le favole greche adunque si legge di
tre sorelle cieche, chiamate le Gorgoni, le quali fra loro
havevano un solo occhio commutabile fra loro, percio­
ché l'una all'altra il poteva prestare, et quella che l'have­
va, tanto vedeva quanto l'haveva. 2 Nel qual simbolo gia-
1. Virgilio, Bucolica, VI, 13.
2. Nella tradizione mitologica più diffusa le tre sorelle che dispongo­
no di un unico occhio sono le Graie, a loro volta sorelle delle Gorgo­
ni. Igino (Astronomica, Il, 12 sgg.) racconta che Perseo si impadroni­
sce dell'unico occhio e dell'unico dente che le Graie possiedono e,
dietro promessa di restituirli, ottiene tutto ciò che gli occorre per
uccidere Medusa, la più antica e la più terribile delle Gorgoni. Cal­
vesi (Il teatro sapùmz.ial,e di Giulio Camillo, cit., pp. 587-88) nota che e­
siste una fonte che attribuisce l'unico occhio non alle tre Graie ma
alle tre Gorgoni, e cioè Giovanni Tzetze, Chiliades, 22, 5. L'opera fu
pubblicata una prima volta nel 1546: Camillo, che muore nel 1544,
doveva conoscerla attraverso un manoscritto. Se invece, continua lo
studioso, la fonte è l'opera a stampa, saremmo di fronte alla prova
del fatto che il racconto del Muzio sulla genesi del Teatro è inatten­
dibile, che cioè il testo dell'Idea è stato come minimo manipolato.
La seconda ipotesi è infondata perché l'immagine delle Gorgoni è
LE GORGON I 213
ce tu tto il mis terio della veri tà aper ta di sopra, e t ci si fa
in tender il raggio divino esser di fuori, e tnon dentro di
noi. Or ques ta imagine cop rirà tu tto l'ordine del quar to
grado, con tenendo so tto le cose appar tenen ti all'huo ­
mo in teriore secondo la na tura di ciascun piane ta.
E tper venire al par ticolar de lle por te, so tto le Gorgoni ([
della Luna saràla imagine della tazza di Bacco, la quale è
fra 'l Cancro e til Leone . E tsecondo che dicono i pla to ­
nici, le anime che vengono in ques to mondo, scendono
per la por ta del Cancro e t nel ri torno ascendono per
quella del Capricorno. E tla por ta di Cancro ède tta por -
ta de gli huomini,per scendere l'anime ne' corpi mor ta -
li, e t quella del Capricorno è de tta por ta de' dei, per
tornar elle in su alla divini tà, secondo la na tura dell'ani ­
male, che è segno di quella. 1 E t è il Cancro casa della
Luna, della quale la in telligenza è Gabriel. E t per scen­
der egli pi ùvol te manda to da Dio, la Sc rittura il chiama
huomo, dicendo : « Ecce vir Gabriel ». 2 E tper tornare a'
pla tonici, dicono che le anime in discendendo beono
della tazza di Bacco, e tsi domen ticano tu tte le cose di là
su, chi pi ùe tchi meno, secondo che ciascuna pi ùe tme -
no ne bee. Fingeremo adunque un Zodiaco in modo
che nella sua pi ù al ta e t pi ù visibil par te si vegga il Can­
cro e til Leone,e tla tazza in mezo con una vergine inchi­
na ta a berne. E tques ta imagine conse rveràso tto volume
per tinen te alla humana oblivione (quale che essa si sia ),
co' suoi conseguen ti necessarii, come la ignoranza e tla
rozezza. E t ques ta imagine alla Luna si appar tiene, per
esser (come habbiamo de tto ) la casa di lei il Cancro, in ­
tendendo ques ta fanciulla per l'anima in comune di tu t-
to quello che delle tre habbiamo de tto .
So tto le Gorgoni di Mercurio sarà la imagine di una �
facella accesa, la quale in tendendo noi che sia quella
usata nello stesso modo anche in altri testi di Camillo, ad esempio in
De l'humana deificatione, p. 219.
1. Macrobio, In somnium Scipi.onis, I, 12.
2. Dn, 1 1 , 21.
214 L'IDEA DELTHEATRO

che accese Prome theo in cielo con l'ai uto di Pallade,vo­


gliamo che significhi lo ingegno, cio è l'in telle tto possi ­
bile o passibile, e tla docili tà di c ui il ve rbo è impa ra re.
Di q ues ta facella pa rle remo a pieno nel se ttimo g rado,
dove di Prome theo tra tte remo.
9 So tto le Go rgoni di Vene re sa ràcope rta la imagine di
E uridice p un ta nel piede dal serpe, 1 e tpe rcioché il pie­
de e t in particola re il calcagno, o il talone, che di re il
vogliamo, significa i nos tri a ffe tti gove rna ti dalla nos tra
volon tà, vogliamo che q ues ta con tenga la h umana vo­
lon tà, che è una delle po tenze de l 'anima, la q uale si di­
vide rà in libe ra e t non libe ra. E t con tene rà q ues ta an­
cho rla Nephes. E ta fine che non ci fugga dalla memo­
ria, habbiamo a sape rche gli ana tomis tidicono dal talo­
ne ai lombi esse re una tal co rrispondenza di alc uni
nervi, 2la q ual fa che le sc ri tture alc una vol ta piglino l' un
pe rl'al tro. Di che Ch ris to, volendo di rche i nos tri affe tti
e t la nos tra volon tà s tesse cas tiga ta e t monda, disse:
« Sin t l umbi ves tri p raecinc ti » 3 e tanche lav ò i piedi nel
s uo pa rti r, cio è gli a ffe tti a gli Apos toli . Alla q ual lava tio­
ne non volendo consen ti r Pie tro, gli disse : « Nisi lave ro
te, non habebis partem mec um » . 4 E tnel Genesi èscri tto :
« E tinsidiaberis calcaneo ei us » . 5 App resso si legge nelle
favole g reche Achille fanci ullo pe resse re s ta to imme rso
nelle acq ue s tigie, esse r diven uto in tutte le pa rti in vul­
ne rabile, salvo che ne i piedi, pe r li q uali fu ten uto, e t
dove l'acq ue non tocca rono, il che significa che tan to
1. Cfr. De l'humana dei.ficatione, p. 209, nella parte dedicata al quarto
grado, alla separazione di noi da noi stessi. Cfr. Curione, Hieroglyphi­
curum commentariurum lilni, c. 434r.
2. Camillo è molto interessato all'anatomia. Nel Trattato dell'imitazio­
ne (p. 184) ricorda di aver partecipato a Bologna all'esperimento di
un anatomista che ha fatto scarnificare un corpo chiuso entro una
cassa forata in più punti immergendo il tutto entro la corrente di un
fiume.
3. Le, 12, 35.
4. Cv, 13, 8.
5. Gn, 3, 15.
LE GORGON I 215
huomo in tutte le parti poteva essere costante, pur che
non fosse tocco ne gli affetti. Né senza mistero Iasone,
andando a rapire il vello dell'oro, perdé l'uno de' calzai
nel fiume unico al mondo senza vento. De' piedi di An­
theo ripiglianti la forza della terra qualunque volta la
toccava, ne parleremo al luogo suo.
Sotto le Gorgoni solari coprirassi la imagine del ramo o'
d'oro, et questa ci significherà l'intelletto agente, la Nes­
samah, l'anima in generale, l'anima rationale, lo spirito
et la vita.
Sotto le Gorgoni di Marte sarà la imagine di una fan- èf
ciulla con un piede scalzo et con la vesta scinta. Et questa
significherà la deliberatione, overo proposito fermo et
nato subito, a differenza di quella deliberatione che è
una cosa istessa col consiglio, la quale è gioviale. Et l'es­
sere scinta et scalza assai è inteso per la dichiaratione de'
lombi, et del piede di Iasone scalzo. Et questa figura ci
espresse Virgilio nella subita et ferma deliberatione di
morire che fece Dido, dicendo di lei che ella era « unum
exuta pedem vinclis, in veste recincta ». 1 Et da lui hah­
biamo noi presa questa imagine.
Sotto le Gorgoni gioviali, sarà la imagine di una gru, "21,
che vola verso il cielo portando nel becco un caduceo, et
lasciandosi cader da' piedi una pharetra, della quale le
saette uscendo cadono all'in giù per l'aere spargendosi,
quale ho io veduto nel riverso di una antica medaglia. 2
Et la gru significa l'animo vigilante il quale, già stanco
del mondo et de' suoi inganni, per haver tranquillità vo-
i. Virgilio, Aeneis, IV, 518.
2. Camilla usa la stessa immagine in De l'humana deificatione, in cui
dice che soleva portarla un pagano: « Il prudente pagano a suo am­
maestramento portava una gru dissegnata talmente che, altra che
pareva volar verso l'alto cielo, teneva ancor nel becco la verga di
Mercurio, la quale significa pace; et pareva che da li piedi ella si la­
sciasse cadere il turcasso di Cupidine, dal quale tutte le saette verso
terra piovevano. Le quai saette significano tutte quelle cure, tutte
quelle sollecitudini et passioni che ci dà l'amore et la cupidità delle
cose di questo mondo» (pp. 210-11).
216 L'IDEA DELTHEATRO

la verso il cielo, portando il caduceo in bocca, cio è la


pace et la tranquilli tàdi lui. Et da' piedi le cade la phare­
tra con le saette , che signi ficano le cure di questo mon­
do. Aquesta imagine si con forma quel verso del salmo:
«Q uis dabit mihi penn as, sicut columbae ? et volabo, et
requiescam ». 1 Il che tradusse il Petrarcha in un suo so ­
netto, desiderando pur l 'ale della colomba da riposarsi
et levarsi di terra.2 Questa gent ile imagine ci conserverà
la elettione, ilgiudicio et ilconsiglio. Et si dàquesta ima­
gine a Giove , per esser pianeta quieto, benigno et di
mente composta .
Sotto le Gorgoni di Saturno saràla imagine di Herco­
le, il qual leva Antheo sopra il petto. Hercole è l'hum a­
no spirito, Antheo è il corpo; il petto di Hercole è la se­
dia della sapienza et della prudenza. 3 Questi due (come
dice Paolo ) fanno continua lotta et incessabil guerra,4
perciochédi continuo la carne risurge contra lo spirito,
et lo spirito con tra la carne, né pu òlo spirito esser vinci ­
tor della bat taglia, se non leva tanto alto dalla terra il
corpo, che co' piedi, cio è con gli a ffetti, non possa ripi ­
gliar le forze dalla madre, et tanto lo tenga s tretto che
l 'uccida. Dove due cose principalmente habbiamo a
considerare: l'una èla morte del corpo, l 'altra èquasi la
tras format ion di lui nello spirito. Et nel vero, se 'l corpo
nos tro non muore della morte degli a ffet ti, non si pu ò
fare spirituale, né farsi uno in Christo . Della qual morte
così parla Paolo: « Mortui est is, et vita ves tra abscondita
1. Sa� 54, 7.
2. Petrarca, Rerum vulganumfrag;menta, 81, 12-14.
3. Con lo stesso significato il mito di Ercole e Anteo è citato da Ca­
milio in De l'humana deificatione, p. 209, nel quarto grado, quello del­
la separazione da noi stessi, e nei Sermoni, c. 42r, dove è collegato alla
sorte che toccherà dopo il Giudizio universale. Cfr. Giorgio, Com­
mento: le cose superiori attirano le inferiori, « il che fu dato a veder
sotto 'l simbolo di Hercole che leva da la terra Anteo figliuol di quel­
la, e tanto anchor lo stringe sopra 'l petto, il quale è seggio de la sa­
pientia, che l'uccide» (c. 2v).
4. Ga� 5, 6.
LE GORGON I 217
est c um Christo in Deo » 1 et David : « Preciosa in conspec­
t u Domini mors sanctor um ei us ». 2 Et nel salmo 62si leg­
ge la carne rivolgere il desiderio s uo a Dio al pari dello
spirito: (( Sitivit in te anima mea , q uam m ultipliciter tibi
caro mea ». 3 Et Paolo al terzo a ' Philippensi : (( De us re­
format ur us est corp us h umilitatis vestrae , con figurando
ips um corpori claritatis s uae». 4 Et Christo nella similit u­
dine della morte del grano : (( Nisi gran um fr umenti ca­
dens in terra mort uum f uerit , ips um sol um manet ; si
a utem mort uum fuerit , m ult um fr uct um a ffert». 5 Et se
ben saràconsiderata la nostra interpretatione , si troverà
che habbiamo anchor mani fes tata la trasm utatione , la
q uale èl 'una delle d ue cose da noi proposte . Et ci ò gen ­
tilmente tocc ò il Petrarca q uando disse :
Volando al ciel con la terrena soma. 6
Questa trasm utatione anchora assai si man ifesta nelle
tre cieche sorelle , le q uali havendo l 'occhio non loro ,
ma di fuori , et prestandosi l 'una all 'altra , consentendo
si con formano insieme et divengono una cosa istessa ,
come Nessamah tirata dall 'angelo , che tira la Ruach , et
q uella la Nephes. Et così si fa la tras formatione spirit ua­
le . Hor q uesta imagine , per signi ficare et tenacitànella
strettezza che fa Hercole , et sollevation da terra in alto ,
coprirà un vol ume nel q uale saranno distinte t utte le co­
se a q ueste parti appartenenti , come le impressioni che
l 'anima porta dal cielo , la memoria , la scienza , la ope­
nione , l 'intelletto prattico , cio è l 'intendere , il pensa­
mento ,la imaginatione et la contemplatione. Et a Sat ur­
no si conviene q uesta imagine , prima percioché la me­
desima mis ura nel sopraceleste della Binà, cio è del -
I . Co� 3, 3.
2. Sa� 1 15 , 15.
3. Sa� 62, 2.
4. Fi� 3, 21.
5. Gv, 12, 24-25.
6. Petrarca, Rerum vulgarium.frag;menta, 28, 8.
218 L'IDEA DEL THEATRO

l'intelletto, è comune a Saturno, et poi per esser cosa


ferma. Una altra imagine sarà anchor sotto questa porta,
et cioè una fanciulla ascendente per lo Capricorno. Et
questa significherà la ascesa delle anime in cielo. Et que­
sta imagine è data a Saturno, per esser il Capricorno ca­
sa di lui.
PASIPHE

D icono i platon ic i le an ime nos tre là suso ha vere un


veh iculo igneo , o vero ethereo , perc ioché altramente
non ha verebbono mo vimento , perc ioché cosa non s i
muo ve se non per mezo del corpo. 1 Il che ècomproba to
ne gl i angel i da Da vid , quando d ice: « Qu i fac it Angelos
suos sp ir itus , e t m in istros suos flammam ign is vel uren ­
tem » . 2 Et agg iungono iplaton ic iche quando a c iascuna
delle dette an ime èapparecch iato nel ventre materno il
veh iculo igneo , se ben la an ima che è nel so tt il iss imo
veh iculo igneo s i volesse copular col corpo ,c io è veh icu­
lo terreno , non potrebbe , perc ioché tan ta so tt il ità con
tanta grossezza non po trebbe con ven ir senza un mezo
che tenesse della natura dell'uno et dell'al tro. Et che
per tanto scendendo ella d i c ielo in c ielo , e td i spera d i
elemento in spera d i elemen to , va ta nto ingrossandos i,
che acqu is ta un veh iculo aereo , il qual tenendo della na ­
tura d iamendue , viene a fac il copulat ione .
Ques ta open ion tenne anchor Vìr gil io nel sesto , do ve
d ice che le an ime peccatr ic i, par tendos i da questo cor ­
po ,anchor che elle dal terren veh ic ulo s iano l iberate ,per
tu tto c iònon sono l ibere dell'aereo ,e tper talca gion i van ­
no a luogh ipurga tor iido ve tanto d imo rano , che dell'ae ­
reo veh iculo sono l ibere ,et r itornate nel puro igneo ,nel

1. Platone, Phaedrus, 245c-d-e.


2. Sa� 103, 4.
220 L'IDEA DELTHEATRO

quale al beato luogo ascendono. 1 Questa alta philoso­


phia a fin che non fosse prophanata fu coperta nella
theologia simbolica dalla favola di Pasiphe, percioché
ella del toro inamorata significa l'anima, la qual secondo
i platonici cade in cupidità del corpo.2 Et non si possendo
far questa copula di cosa tanto sottile et tanto grossa, le
danno una vacca finta, che significa il finto corpo aereo,
co'l quale venuta a congiungimento concepisce et par­
torisce un mostro chiamato Minotauro, del quale al suo
luogo parleremo. Questa imagine adunque di Pasiphe
sopra qualunque porta del quinto grado del theatro co­
prirà tutte quelle imagini alle quali saranno raccoman­
dati volumi contenenti cose et parole appartenenti non
all'huomo interiore solamente, ma a quello che è coper­
to anchor dallo esteriore, et appresso alle membra parti­
colari del corpo secondo la natura di ciascun pianeta, le
quali membra particolari et soggette alla natura del con­
venevol pianeta saranno sempre sotto la ultima imagine,
che sarà un toro solo. 3
( Sotto la Pasiphe della Luna saranno sei imagini.
Una fanciulla scendente per lo Cancro, et questa
significa l'anima scender dal cielo, la entrata sua nel cor­
po, la dimora di quella nel corpo avanti il nascimento et
il nascimento co' loro appartenenti.
Diana a cui Mercurio porge la vesta, significa muta­
tion d'animo o di figura di corpo.
Le stalle d'Augia significano le sporchezze del corpo
et i suoi escrementi.
Giunon fra le nubi significa ascondimento di per­
sona.
Prometheo appresso un monte, il quale mette in dito
1. Virgilio, Aeneis, VI, 730-751.
2. Platone, Phaedo, 81b. La stessa interpretazione del mito di Pasifae
viene proposta da Camillo nel Trattato dell'imitazione, p. 168, in pole­
mica con chi vi vedeva il simbolo di una libidine sfrenata.
3. « Sarà un toro solo» perché il toro di cui Pasifae si innamora rap­
presenta appunto il corpo.
PA SIPHE 221
uno anello d'un a c aten a att acc at a al detto monte. Et è
d a s apere che nelle antiche favole si legge che per lo
furto che Prometheo fece del fuoco, Giove lo leg ò o
d ann ò ad esser leg ato con un ac aten a al monte Cauc aso,
poi mosso d all a su a pietà lo liber ò. Et egli gr ato di tal
beneficio prese uno anello dell a c aten a, et un poco di
s asso del Cauc aso, et l'uno et l' altro si leg ò ad un dito.
Onde dicono essere ad un tempo n at al ainven tion dello
anello et il proverbio di h averl asi leg ata al dito. 1 Quest a
im agine conserveràl agr atitudine,l aoblig atione et il de­
bito et simili, et s' appartiene all a Lun a per l' app arente
beneficio che tutto dìriceve d al Sole pi ùche alcun al tro
pi ane ta.
Un t auro solo, il qu ale h a acontener (sìcome in ogni
altr a P asiphe ) alcuni membri del corpo hum ano . Et di
quelli, alcuni estr aordin arii et alcuni ordin arli . Estr aor­
din arii chi amo, percioché tutto il c apo dell'huomo, se­
condo gli astrologi, consegn ato all 'Ariete che è uno de'
segni del Zodi aco, r agionevolmente v atutto sotto il t au­
ro dell a P asiphe di M arte, per esser l' Ariete l a su a c as a.
Nondimeno le vi amo fuori del detto c apo i c apelli, l a
b arb a, et tutti i peli del corpo, et anche il cer vello . Et gli
consign amo per l aloro humidi tà, o per l a at tr attion di
quell a, a' membr iestr aordin arii dell a Lun a,l a qu ale per
membri ordin ar li hail petto et le poppe,perciochétut ta
l a p arte del petto è, secondo gli astrologi, del Cancro,
che è c asadell a Lun a.
Sotto l a P asiphe di Mercurio sono cin que im agini. �
Il vello dell'oro, il qu al con tiene l a gr avezz a et legge­
rezz adel corpo hum ano, l a asprezz a, l amollitie et l aso­
lidezz adi quello.
1. Si tratta di una versione piuttosto rara del mito di Prometeo: cfr.
Ateneo, Dei,pnos<J'fJhistarum epitome, XV, 674. Analoga funzione è attri­
buita a un certo tipo di anelli nella Vita di Benvenuto Cellini: « ricer­
cando quei dotti, dissono che queste anella le portavano coloro che
avevano caro di star saldi col pensiero in qualche stravagante acci­
dente avvenuto loro » (I, 31) .
222 L'IDEA DELTHEATRO

Gli atomi significheranno quantità discreta ne gli


huomini, come alcuno.
La piramide significherà quantità continua ne gli
huomini, come grande, picciolo, di mezana statura.
Giunon cinta di nubi, simulatore et dissimulatore, a­
stuta et ingannevol natura.
Issione legato ad una ruota significa, secondo la ope­
nion di Lucretio, le mortali cure. 1 Et a questa imagine
sarà dato in guardia la natura negociosa, faticosa et in­
dustriosa.
Un toro. Questa havrà per membri estraordinarii la
lingua con le sue parti et conseguenti, come i linguaggi
et il parlar ordinato per li suoi capi ben distinti, cosa
tanto maravigliosa, quanto si vedrà per li tagli del suo
volume. I membri ordinarli saranno di due maniere,
per haver Mercurio due case, cioè Gemini et Vergine. Et
per conto di Gemini haverà gli homeri, le braccia et le
mani per Vergine haverà.
Sotto Pasiphe di Venere saranno sette imagini.
Cerbero significherà fame, sete et sonno.
Hercole purgante le stalle di Augia contenerà le net­
tezze del corpo.
Narciso contenerà bellezza, vaghezza, leggiadria, a­
mor, disegno, inamorarsi, desiderio, speranza etc. et ha­
vrà due catene. 2
Bacco con l'hasta in mano vestita di hedera, signifi­
cherà lui non voler combattere, ma darsi buon tempo.
Et per tanto haverà volume pertinente all'otio et alla
1. Lucrezio non parla di Issione. Cfr. Ovidio, Metamorphoses, IV, 460
sgg.
2. Le « due catene » sembrano alludere a una duplice divisione della
materia collocata sotto l'immagine; qui a p. 224 ( « Issione che vuol
abbracciar la Giunon finta di nubi ... havrà sotto di sé ... due catene »),
una ulteriore divisione della materia è indicata con l'immagine degli
« anelli ». Narciso è nominato anche in De l'humana dei.ficatione come
esempio di quel che non si deve fare per accedere al quarto grado,
cioè alla « separation nostra da noi medesimi » (pp. 207-208).
PA SIPHE 223
tranquillità dell'animo, dinotando natura allegra, sol­
lazzevole, et che attenda a darsi buon tempo.
Un Minotauro. Questo è il parto di Pasiphe secondo i
poeti, congiunta col toro. Et qui è da notar che la theo­
logia simbolica1 non senza misterio ha introdutto non
pure il Minotauro, ma i Centauri et i Satiri et i Fauni et
simili, che portano la figura humana infino al bilico, et
dal bilico in giù la portano di bestia, percioché gli huo­
mini che sono vitiosi et che non sono partecipi del rag­
gio divino ( del qual s'è detto) hanno solamente la figura
humana, ma nel rimanente sono da essere comparati
alle bestie. Scrive Platon nel Timeo, la parte irascibile no­
stra esser da dare al cuore; et che la concupiscibile è sot­
to la cartilagine chiamata diaphragma, sotto laquale so­
no tutte le passioni et questa divide quasi noi da noi me­
desimi. Et havendo noi questa parte più bassa comune
con le bestie, se le compiacciamo diveniamo bestie. 2
Con gran ragione adunque gli antichi hanno finto
l'huomo trasformato in bestia da quella parte in giù. A­
dunque a questa imagine daremo natura inclinata al vi­
tio, quantunque non lo esercitasse, qual fu quella di So­
crate per la confession di lui medesimo.3 Et questo dico,
percioché il vitio esercitato si tratterà ne' talari.
Tantalo sotto il sasso dinoterà natura timida et suspe­
sa et dubiosa et maravigliosa. 4
1. La « theologia simbolica» è quella che rivela, e nello stesso tempo
nasconde, i suoi segreti, rappresentandoli attraverso 'favole' poeti­
che e immagini simboliche.
2. Platone, Timaeu s , 70a-b.
3. Cfr. Cicerone, Tuscu lanae dispu tationes , IV, 80. Molto diffusa è la
storia di Socrate che, analizzato da Zopiro, esperto di fisiognomica,
si rivela portato al vizio, ma vince con la filosofia la naturale inclina­
zione.
4. Camillo opera qui una contaminazione del mito. In genere è Sisi­
fo associato al sasso: spinge infatti su una salita un macigno che, una
volta arrivato in cima, rotola a valle. Tantalo cerca invano di bere
l'acqua del lago in cui è immerso e di mangiare la frutta degli alberi
che gli stanno vicini. I due personaggi compaiono insieme nell' Odys­
sea (XI, 582-592). L'associazione di Tantalo al sasso, inoltre, può es-
224 L'IDEA DELTHEATRO

Un toro per membri estraor dinarii ha veràil naso et la


virt ù o dorat iva , percioché Venere ha anchora gli o dori ,
et ha vrà anchora le guance , le labbra et la bocca per la
loro bellezza . Per membri or din arii ha verà per Tauro il
collo , la gola , l'inghiottire , e 'l di vorare , et per la Libra
ha vràla parte di die tr o , che è la gro ppa.
Sotto la Pasi phe del Sole saranno cinque imagini. 1
Gerione ucciso da Hercole significherà l'età del­
l'huomo .
Il gallo col leone significherà eccellen za , su periori tà,
degnità, auttorità, dominio dell'huomo in cose di ho­
nore.
Le Parche significheranno l'huomo esser cagion di
alcuna cosa .
La vacca guar da ta da Argo ha verà i colori del cor po
humano.
Apollo , che ferisce Giunon fra le nubi , significheràla
mani festation dell'huomo ,et il venire a luce.
Un tauro per membri estraor dinarii ha verà gli occhi
con le loro o perat ioni , come sono il mirare et il ve dere ,
et per membr ior dinarii ha vràla schiena et i fianchi , per
esser quelli del Leone , che è casa del Sole.
èf Sotto Marte saranno sei imagini.
Issione che vuol abbracciar la Giunon finta di nubi ,
che si legge nelle antiche fa vole che Issione fu sì su per­
bo di natura et sìarrogante et sì presuntuoso , che senza
ha ver a Gio ve alcun ris petto , non solamente si die de a d
amar Giunone , ma anchora de' suoi abbracciamenti la
richie de. Di che ella s degnata , per ischemirlo finse una
Giunon di nubi , con la quale Issione si giacque , et di
quella giacitura ne nacquero i Cen tauri. Questa imagine
a dunque ha vràsotto di sénello ascosto volume due cate ­
ne , l'una a ppartenente alla presun tione di Issione , et
sere stata favorita dal racconto di Pausania ( Graeciae descriptio, X, 31,
12), secondo cui Polignoto aveva dipinto Tantalo tormentato, oltre
che dal supplizio della sete e della farne, dall'incombere di una rupe.
1. Le immagini in realtà sono sei.
PA SIPHE 225
l'altra allo sdegno di Giunone . La prima ha vràper anelli
natura orgogliosa , superba , vantatrice , presuntuosa , a r­
rogante et simili . Et l'altra , natura sdegnosa et scherni­
trice , et be ffatrice.
Due serpi combattenti significheranno natura con ­
tentiosa.
Una fanciulla co' capelli levati verso il cielo contenerà
natura forte , vigorosa et verace .
Marte sopra il dragone significheràna tura nociva .
Un huomo sen za capo , cio è sen za il ce rvello , il quale
è il letto dell'intelletto. Et per questa imagine ci sarà
significata natura furiosa , o pa zza.
Un tauro. Questo non havràmembra estraordinar ie ,
ma per ordinarie per l' Ariete havrà la testa , et per lo
Scorpione ha vràle parti genitali con le loro operationi.
Sotto la Pasiphe di Giove saranno sei imagini. "/-
Il leone ucciso da Hercole. Alla dichiaration di questa
fabula ci fa bisogno intendere che quel luogo della Scri t­
tura: « Israel , si me audieris , non adorabis Deos alienos ,
ne que erit in te Deus recens » 1 ci fa intender che possia -
mo far due gravissimi peccati , l'uno di non adorar Dio
vero et solo , l'al tro di cometter maggiore idolatria , che
non faceva l'antica simplicità. Impercioché quella ado­
rava dei fuori di sé , ma i pi ù di noi adoriamo i dei che ci
facciamo dentro di noi , percioché de' capi sacrati ne'
monisteri , molti hanno fatto dentro di séun idolo della
loro continen za et castità. Et non solamente essi la ado ­
rano ,ma vorrebbono per quella dagli al tr iessere adora -
ti , et così hanno diri zzato dentro della loro fantasia una
dea Vesta et i pi ù letterati hanno diri zzato una Pallade ,
la qual non solamente essi adorano , ma vorrebono an­
chor che fosse da tutti stimata et adorata. I prencipi de
gli esserciti hanno diri zzata nel cuore la deità di Marte.
Nésolamente essi la reputano et adorano ,ma vorrebb o-
no che tutti a quella s 'inchinassero. Et per dir brieve ,
tutti habbiamo dentro un fiero et superbo leone , che
I. Sa� 80, 9-10.
226 L'IDEA DELTHEATRO

significa la nostra malvagia et indomita ambitione. 1 Et è


il recente dio, che ci habbiamo dentro. Se adunque il
nostro spirito diverrà un Hercole fortissimo, ucciderà
questo leone, il quale ucciso, ne seguirà la humilità, nel­
la qual sola possiamo piacere a Dio, divenendo pargoli
et poveri di spirito. Questa imagine adunque sotto la Pa­
siphe di Giove ci significherà natura humile, vergognosa
et inclinata alla bontà et a tutte quelle cose che se ben
da' philosophi non sono chiamate virtù, sono nondime­
no disposizione a quella, come habbiamo detto della
vergogna.
Ma sotto i talari significherà esercitatione di tal bontà,
o buona dispositione.
Il Minotauro ucciso da Teseo nel labirintho, darà
significatione di inclinatione alla virtù.
Ma sotto i talari significherà qualunque delle virtù
nelle sue attioni, che altramente non sarebbono virtù,
che molti sanno la diffinitione della virtù senza haverla;
et questa da Cicerone è virtù chiamata attuosa et da Vir­
gilio ardente, et così dal Petrarca. 2 Et nel vero se il Mino­
tauro vivo significa vitio, morto dee significare virtù.
Il caduceo significherà natura amichevole et inchina­
ta alla cura familiare et alla republica.
Danae significa buona fortuna, felicità, sanità, ric­
chezza, nobiltà et ottenimento di desiderio.
Le Gratie significano natura benefica.
Un tauro ha per membra estraordinarie gli orecchi et
le loro operationi, udire et ascoltare, et anche la passio­
ne, come la sordezza, ordinarie per lo Sagittario le co­
sce, per li Pesci i piedi et loro operationi.
!} Sotto la Pasiphe di Saturno sono sette imagini.
I tre capi, del lupo, del leone et del cane significano
huomo esser sottoposto al tempo.
1 . Cfr. De l'humana deificatione, p. 203: l'umiltà rappresentata da Er­
cole che uccide il leone è il primo grado della deificazione.
2. Cicerone, De natura deornm, I, 1 10, 40; Virgilio, Aeneis, VI, 1 30; Pe­
trarca, Rerum vulgariumfrag;menta, 19, 7.
PA SIPHE 227
Proteo legato significa natura ostinata et immutabile.
Il passer solitario significa natura solitaria, o huomo
solo, o abbandonato.
Pandora malvagia fortuna, infelicità, ignobilità, po­
vertà, infamia, infermità, non ottener desiderio.
La fanciulla co' capelli tagliati dinoterà debilità del­
l'huomo, stanchezza et menzogna.
Endimione addormentato sopra un monte et bascia­
to da Diana. Si legge appresso cabalisti, che senza la
morte del bascio non ci possiamo unir di vera unione
co' celesti, né con Dio. 1 Questo dico, percioché fra il nu­
mero di più morti, nelle quali entra anchor quella che
dicemmo di Anteo, è questa del bascio, della quale Salo­
mone così fa mentione nel principio della Cantica: « Os­
culetur me osculo oris sui » , 2 il qual senso per altre pa­
role è più apertamente detto da Paolo, quando dice:
3
« Cupio dissolvi, et esse cum Christo » . Il qual desiderio
non è espresso da Salomone nella significatione del ver­
bo, come da Paolo, ma sì nel modo desiderativo. Et il
Petrarcha lo mise nell'indeclinabile, quando disse:
O felice quel dì che dal terreno
carcere uscendo, lasci rotta et sparta
questa mia grave et frale et mortai gonna,
et da sì lunghe tenebre mi parta,

1. Il mito di Endimione e la Luna è piuttosto tardo; è infatti in con­


trasto con un tipico attributo di Diana, la castità: cfr. Luciano, Dialo­
gi, deorum, 19, 11; Apollonia Rodio, Argrmautica, IV, 57. Gode di note­
vole fortuna negli autori influenzati dal neoplatonismo e dalla caba­
la: cfr. ad esempio Leone Ebreo, Diawghi d 'amore, a cura di S. Cara­
mella, Laterza, Bari, 1939, pp. 171-78; Giorgio, Commento: gli ebrei
la chiamarono « la morte del baso, la qual desiderava Salomone per
intender le cose divine quando ci disse: Basiato io sia con il bascio
della sua bocca » (c. 62v). Sulla tradizione ebraica, cfr. Michael Fish­
bane, The Kiss of God. Spiritual and Mystical Death injudaism, Vniver­
si ty of Washington Press, Washington, 1996 (trad. it. ll bacio di Dio.
Morte spiritual.e e morte mistica nell,a tradizione elrraica, Giuntina, Firen­
ze, 2002).
2. Ct, l , 2.
3. Fi� 1 , 23.
228 L'IDEA DELTHEATRO

volando tanto in su nel bel sereno,


eh'io vegga il mio Signore et la mia donna. 1
Adunque il corpo essendo quello che ci tien separati
dalla union vera et dal bascio che vorrebbono fare le
cose celesti alle anime nostre, raccogliendole a loro, se­
gue che per la dissolution di quello si verrebbe a questo
bascio. Il che i theologi simbolici volendo aprire, hanno
lasciato nelle lor favole che Diana (la qual tenendo il
regno di tutte le misure sopracelesti, et per lei passando
tutti gli influssi superiori, è vicaria et luogotenente di
tutte le cose superiori) hanno finto, dico, che questa,
Endimione, innamorata di Endimione, cioè dell'anima nostra, la
et sua favola. quale si aspetta là su, desiderosa di poterlo basciare,
mentre fugge l'addormenta di sonno perpetuo sopra
un monte, et havendolo addormentato, può nel basciar­
lo satiar le sue voglie. 2 Il qual sonno perpetuo signifi­
cando la morte, questa imagine contenerà l'esser morta­
le, la morte et tutti gli anelli a lei appartenenti, come la
pompa funebre.
Un toro. Questo per membra estraordinarie havrà i
peli canuti et le crespe. Et per ordinarie per conto di
Capricorno le ginocchia, et per Aquario le gambe.

1. Petrarca, Rerum vulgariumfrag;menta, 349, 9-14.


2. Sulla fortuna di questo tema nella cultura del Quattro e Cinque­
cento, cfr. Francesco Gandolfo, n « dolce tempo ». Mistica, ermetismo e
sogno nel Cinquecento, Bulzoni, Roma, 1978, pp. 43-75.
I TALARI

Il sesto grado del theatro ha sopra la porta di qualun­


que pianeta i talari et altri guarnimenti che Mercurio si
mette quando va ad esequir la volontà de' dei, sì come
favoleggiano i poeti. La onde ci sveglieranno la memo­
ria a ritrovar sotto così fatte porte tutte le operationi che
può far l'huomo d'intorno a' gradi sottoposti natural­
mente et fuor d'ogni arte.
Sotto i talari della Luna saranno sette imagini. �
La fanciulla scesa dal Cancro significherà la comare
che leva i figliuoli, et l'officio del levarli.
Nettuno dinoterà il guado, passar l'acqua, lavar con
acqua, bagnar, bere, spruzzare.
Daphne operationi naturali intorno al legname.
Diana a cui Mercurio porge la vesta, muover o mutar
cosa, ricever, diporre, operation fatta tosto o subito.
Le stalle d'Augia, bruttar, sporcare o macchiare.
Giunon fra le nubi, asconder persona o cosa.
Prometheo con l'anello, operatione intorno alla gra-
titudine o obligatione.
Sotto i talari di Mercurio saranno sette imagini. �
Il vello dell'oro dinoterà aggravar, alleggerir, indurar,
intenerir, inasprar, lisciare.
Gli atomi significheranno minuzzar, discontinuar,
spargere, dissolvere.
La piramide, alzare, abbassare.
230 L'IDEA DELTHEATRO

Il nodo gordiano inesplicato significherà implicar, in­


tricar, annodare.
Il nodo gordiano esplicato, spiegar, dissolvere, distri­
care.
Giunon finta di nubi dimostra usar simulation o dissi­
mulatione, astutia o inganno.
Ission legato alla rata significa dar o ricever negocio,
fornire, investigare, vigilanza, industria, diligenza, per­
severanza, fatica.
Sotto Venere saranno sette imagini.
Cerbero significa mangiar, bere, dormire.
Hercole purgante le stalle di Augia, purgare et net­
tare.
Narciso far bello, far inamorare, far desiderar, far spe­
rare.
La fanciulla col vaso d'odori, profumare.
Bacco con l'hasta vestita d'hedera, darsi buon tempo,
giubilar, rider, far ridere, consolar, far allegrare.
Tantalo sotto il sasso, far vacillar, far tremar, far dubi-
tar, far temere.
Il Minotauro, operation di vitii.
Sotto il Sole saranno cinque imagini.
La catena d'oro 1 significherà andare al sole, pigliare il
sole, stendere al sole.
Gerione ucciso dinoterà operationi intorno a' minuti,
all'hore, all'anno, alle sue parti, et all'età naturalmente.
Il gallo col leone, far superiore, honorar, dar luogo.
Le Parche, dar cagione, incominciar, menar a fine.
Apollo che saetta Giunone significa manifestar perso-
na o cosa.
èf Sotto i talari di Marte saranno cinque imagini.
Vulcano dinoterà batter foca, pigliarlo nell'esca, ac­
cenderlo, mettere incendio, estinguerlo.
1. Cfr. Macrobio, In somnium Scipionis, I, 24, 15, per l'interpretazione
della catena d'oro di cui parla Omero. La catena d'oro è citata an­
che nella Lettera del rivolgi,mento dell'huomo a/Ji,o, p. 53, come immagi­
ne del libero consenso all'azione divina.
I TA LA RI 231
Issione schernito da Giunone havrà due catene: l'una
contenerà l'insuperbirsi et far insuperbire, presumer et
far presuntuoso, vantarsi et far vantare, arrogarsi et far
arrogante, et l'altra haver a sdegno, beffare et ischernire.
La fanciulla co' capelli dirizzati al cielo, dar vigore o
fortezza, overo operare intoro al vero.
Due serpenti combattenti, contendere.
Marte sopra il dracone, nuocer, incrudelir, vendicar­
si, impedire.
Sotto i talari di Giove saranno sette imagini. "I,
Giunone suspesa significherà respirare, suspirare, u-
sar l'aperto cielo.
I due fori della lira, fare strepito.
Il leone ucciso da Hercole, esercitar la humilità, bon-
tà, semplicità et vergogna.
Il Minotauro ucciso da Theseo, esercitar virtù.
Il caduceo, esercitar l'amicitia o conversatione.
Danae, operatione et consecution di buona fortuna.
Le Gratie, dar favor, beneficio et aiuto.
Sotto i talari di Saturno saranno sette imagini. !)
Cibele dinoterà operation fuor di arte intorno alla
terra.
I tre capi di animale, indugiarsi, far indugiare, dar ter-
mino, rimettere in alcun tempo.
L'arca del patto, locar et collocare.
Proteo legato, far cosa immobile.
Il passer solitario, andar solo, star solo, abbandona­
re, etc.
Pandora dar tribulationi.
La fanciulla co' capelli tagliati, debilitar cosa o men­
tire.
PROMETHEO

Il settimo grado è assegnato a tutte le arti, così nobili


come vili, le quali hanno sopra ciascuna porta Prome­
theo con la favella accesa. Et accioché s'intenda la ca­
gion, per la qual vogliamo che egli ci sia il simbolo delle
arti, fa bisogno intender quello che dice Socrate nel Pr�
tagora di Platone. 1 Dice egli adunque che essendo venu­
to il tempo fatai della creatione de gli animali, i dei, che
all'hora erano soli, formarono essi animali nelle viscere
della terra, di fuoco et di terra et di quelle cose che col
fuoco et con la terra sono mescolate. Et mentre erano in
volontà di mettergli in luce, commisero a Prometheo et
ad Epimetheo che distribuissero a ciascuno le convene­
voli forze. Et Epimetheo pregò Prometheo che a lui la­
sciasse far così fatta distributione, et che egli solamente
si stesse a porvi mente. Consentì Prometheo et Epime­
theo fece la distributione. Ad alcuni adunque diede ro­
bustezza senza celerità, et ad alcuni più deboli diede ve­
locità, alcuni armò, et a quelli che mancavano di arme
trovò alcuna cosa accommodata alla lor salute. Et di
quelli che erano chiusi in picciol corpo, parte ne fece
levar per l'aere dalle piume, et parte serper per la terra.
Et quelli che erano di ampia grandezza, volle che essa
grandezza desse loro forza per la loro salute. Et poi che
Socrate ha molto vagato intorno alla varietà de gli ani-

I. Platone, Protagvras, 320d-322d.


PROMETHEO 233
mali bruti,dice che Epimetheo poco savio consum òtut­
te le doti nelle bestie, et non avert i di lasciar parte di
tanta larghezza da donare all'humana specie. Restava a­
dunque la specie humana vo ta et priva d'ogni dote . Ma
Prometheo vedendo la mala distribu tion fatta da Epime­
theo et giàvicinarsi il giorno fa tale nel qual faceva biso­
gno far uscir in luce gli animali , non trovando altra via
da poter alla humana salute provedere , nascosamente
col fuoco fur ò l'arti ficiosa sapienza di Vulcano et di Mi­
nerva , perciochénon si poteva far che alcuno senza fuo­
co , cio è senza acutezza di ingegno , la potesse né conse ­
guir né usare. Questa adunque mise Prometheo ne gli
huomini , la qual appartiene solamente al vivere , ma la
civile mancava , la quale era bene appresso Giove. Ma
non fu lecito a Prometheo ascender tanto alto , per do­
ché horribili custodie che stavano intorno alla rocca di
Giove ne lo spaventavano. Per quel furto adunque l'huo­
mo solo fra gli animali fatto partecipe della divina sorte ,
hebbe cogni tion de' dei da principio , per la qual cogni­
tione divenne religioso , et a loro dedic ò altari et statue.
Distinse con arte articolatamente la voce in parole ,
edi fic òcase , fece vestimenti ,letti ,et raccolse nu trimenti
della terra. Ma pur gli huomini sparsamente vagavano
dal principio , percioché non anchora erano edi ficate le
cit tà ,donde aveniva che gli huomini , essendo pi ùdeboli
delle fere , erano da quelle per tutto dissipati . Bene era
trova ta la facul tà appartenente all'apparecchio del vive­
re , ma da combatter con tra le fere non havevano il mo­
do ,perciochéla civil facul tà ,della qual la militia n' èuna
parte ,non era fra loro . Pur per potersi gli huomini dalle
fere di fendere , si congregarono et edi ficarono le città.
Ma ohim è, che cosìcongregati non si potevano l 'un l'al­
tro comportare , et tra loro si facevano di mille ol traggi ,
percioché della civil facultànon erano partecipi . La on­
de s forzati ad uscir delle cit tà,tornarono a divenir pastu­
ra delle fere. Al fin Giove , mosso a pietà della humana
in felici tà ,mand ò Mercurio ,che por tasse a gli huomini il
pudore et la giusti tia , a fin che queste due cose ornasse -
234 L' IDEA DELTHEATRO

ro et legassero talmente le cit tà, che gli huomini si con ­


ciliassero con benivolenza. 1 Mercurio, havendo da por­
tar ques ti due ornamen ti,inte rrog òil padre,se havea da
dis tribuir quest idue doni nella maniera che erano s tate
distribuite le art i, delle quali l'uno ne haveva l'una, et
l'altro l'al tra, o se pur le havesse da dare a tut ti egual ­
mente. A tutt i, rispose Giove, percioché tut ti gli uomini
ne debbono esser partecipi, ché al tramente le cittàcon ­
se rvar non si potrebbono, che se bene un medico o un
calzolaio in una cittàpotesse sodis fare a mol ti non medi ­
ci et a molti non calzol ai, uno nondimeno di pudore et
di gius ti tia ornato fra molti che né pudor né giust itia
non havessero, non si po trebbe conservare. Appresso
Giove commise che da sua parte facesse una legge, che
qual si trovasse nudo di pudore et di giust itia, fosse co­
me peste della città con es tremo supplicio tolto dal nu­
mero de' v iv i. Ma noi vogliamo che ilnostro Prometheo
non solamente contenga tutte le ar ti nobili et ignobili
che da lui furono dis tribuite, ma anchor la civ ile et la
militar facultà, per non levaril thea tro a pi ùalto grado.
([ Sotto il Prometheo del la Luna saranno cinque imagini.
Diana a cui Mercurio porge la vesta contenerà i mesi
et le lor part i.
Net tuno ci daràle ar ti sopra le acque,come acquedut­
ti, fontane arti ficiate, pon ti, por ti, arzanà, arte navale et
del pescare .
Daphne contenerà i giardini, et l'ar ti intorno al le ­
gname.
Himeneo significherànozze et paren tadi . 2
Diana con l'arco dinoteràla cacciagione.
� Sotto il Prome theo di Mercurio saranno sei imagini .
Un elephante. S ì come ques ta imagine sotto il convi­
vio significa favolosa deità, cos ì qui dinoterà favolosa re ­
ligione, ri ti et cerimonie co' suoi appartenenti.
1. Il mito di Prometeo, di Giove e di Mercurio è sinteticamente evo­
cato anche nella Pro suo de e[,Oquentia theatro ad Gallos uratio, p. 12.
2. Nel manoscritto genovese del Teatro leggiamo: « antica imagine
scolpita si vede nelle nozze d'un imperator romano» (c. 321 v) .
PROMETHEO 235
Hercole che tira una saetta con tre punte, 1 è nobilissi­
ma imagine di tutte le scienze pertinenti alle cose cele­
sti, a questo mondo et all'abisso, percioché i theologi
simbolici vogliono che Hercole significhi l'humano spi­
rito, il quale come saetta di tre punte possa penetrar con
l'una i secreti celesti, con l'altra quelli di questo mondo
et con la terza quelli dell'abisso. Adunque contenerà un
volume molto ben distinto, nel qual si vederanno ordi­
nate senza eccettione tutte le scienze, con tutti gli anelli
appartenenti alle loro particolari catene. 2 Et finalmente
la eloquenza come ricetto et ornamento di tutte, la elo­
quenza dico appartenente alla oratione sciolta, in tutte
le sue speci, percioché il poema è solare, et andrà alla i­
magine di Apollo fra le Muse, et sotto questo Hercole
anchora sarà compresa la libreria.
L'arco celeste con Mercurio. Per esser Iris messaggie­
ra di Giunone et Mercurio de' dei, questa imagine have­
rà il volume delle ambascerie, del nuncio privato et del
mandato sottomano. Et il privato contenerà i pertinenti
alle lettere che si mandano et che si ricevono.
Tre Palladi, una edificante città, l'altra che tessa tela
figurata, la terza che faccia una statua. Dell'edificar
habbiamo Virgilio, « Pallas quas condidit arces, ipsa co­
lat ». 3 Della tela figurata ne testifica il congresso con A­
rachne.4 Et che ella fosse statuaria di plastica, il ci possia-
1. Omero, flias, V, 393.
2. Risulta qui chiaro che la disposizione grafica del testo doveva
essere tale da visualizzare la classificazione del materiale: qualco­
sa di analogo a quanto, nel secondo Cinquecento, farà Orazio To­
scanella, seguace e ammiratore di Camillo, il quale ricorre ad « al­
beri », diagrammi, tavole sinottiche, per facilitare nel lettore la
comprensione, il ricordo. Cfr. gli esempi precedenti di uso di « a­
nelli» (qui a p. 225) a indicare appunto una articolazione della
materia.
3. Virgilio, Bucolica, II, 61-62.
4. La possibilità di associare Pallade con la filatura si basa sul mito di
Aracne: abile tessitrice, sfida Pallade e viene, per punizione, da lei
tramutata in ragno.
236 L'IDEA DELTHEATRO

mo persuader dalle cose dette di sopra et dalla favola di


Socrate di sopra da noi recitata, quando dice che i dei
formarono tutti gli animali senza nominare alcuno in
particolare. Questa imagine adunque conserverà volu­
me appartenente al disegno, all'architettura, alla pittu­
ra, alla prospettiva, alla plastica et alla statuaria et a tutti
i loro appartenenti. Et la distintion sarà tale ne' tagli,
che farà apparire maraviglioso l'ordine.
Mercurio con un gallo significherà la mercatura et suoi
appartenenti. Né so onde il Landino se l'abbia tratto. Ma
a me basta il testimonio suo nelle sue allegorie, nelle qua­
li e' dice l'antichità havere usato così fatto simbolo per la
mercatura, aggiungendo non so che ragione della garru­
lità di Mercurio, rappresentante quella de' mercatanti. 1
Prometheo con la facella, come è anchor in su la por­
ta, rappresenterà arti et artefici in generale. Né ciò paia
nuovo, che anchora Aristotele, nella sua Priora, dice es­
ser lecito per difetto di vocaboli dar tal 'hora alla specie il
nome del genere. 2
9 Sotto Venere saranno sette imagini.
Cerbero contiene la cucina et appartenenti a' conviti
et al dormir solenne.
I venni che fan la seta contenerà il ginecio, con la ve­
stiaria, con gli antecedenti et conseguenti. Antecedenti,
come filar, tessere, sartoria, tintoria. Conseguenti, ve­
stirsi, spogliarsi, resarcire et la guardaroba.
Hercole purgante le stalle d'Augia contenerà bagni et
barberie.
La fanciulla col vaso d'odori significherà la perfu­
meria.
Il Minotauro qui è arte vitiosa, ruffianesmo, bordello
et arte meretricia.
1. Camillo si riferisce probabilmente alle Disputationes Camaùtulenses
di Cristoforo Landino, in cui i libri III e IV sono dedicati alle allego­
rie virgiliane.
2. Aristotele, Analytica priora, I, 35, 48a.
PROMETHEO 237
Bacco con l'hasta coperta di hedera, musica et arti di
giochi.
Narciso contenerà l'arte de' belletti.
Sotto il Prometheo del Sole saranno sette imagini. o'
Gerion ucciso da Hercole contenerà minuti, hore, an-
no, horologio.
Il gallo col leone contenerà il principato et suoi ap­
partenenti.
La Sibilla col tripode significherà la divinatione et le
sue specie et la prophetia.
Apollo fra le Muse dinoterà la poesia.
Apollo che uccide il serpente, cioè i veleni delle in­
firmità, havrà tutta la medicina.
Apollo pastore ci darà l'arte pastorale.
Un huomo a cavallo con un logoro in mano contenerà
la caccia dello sparviere et del falcone, esercitii nobili. Et
benché appresso gli antichi non fossero in costume, non­
dimeno potendosi per perplexionem1 accommodar mol­
ti modi di parlare, et accioché volendosi dissolver le no­
velle del Boccaccio, buchi non manchino, habbiam dato
questo luogo.2 Et qui dirò quattro parole della utilità della
mia fatica, che proponendomi lo stato di questa età et
della nostra religione, ho cercato di accommodar molte
cose al nostro costume, come per esempio: quantunque
Cicerone non habbia mai parlato di Christo, né dello Spi­
rito Santo, considerando io il bisogno nostro del parlare
et dello scriver delle persone divine, sotto la imagine della
latitudine de gli enti ho apparecchiato gran selva tratta da
gli scritti di Cicerone, con la qual ciceronianamente si po­
trà vestire il nome del Figliuolo et dello Spirito Santo. 3 Et
1. Cioè parlando in modo oscuro, figurato.
2. Abbiamo cioè elaborato questa immagine, posta in questo luogo
del Teatro, per poter collocare tutto il materiale derivato dalla « ana­
tomia » del Decameron.
3. È la soluzione che i ciceroniani avevano trovato per poter parlare
di argomenti relativi alla religione cristiana restando nell'ambito
del codice esemplato sugli scritti di Cicerone. Proprio questo modo
238 L'IDEA DEL THEATRO

quello del Figliuolo ha due selve1 separate, l'una per vesti­


re il suo santissimo nome, come Verbo et Sapienza, l'altra
come Verbo incarnato, cioè Christo et Christo crocifisso
per noi. Questa dico, percioché molti de' cabalisti hebrei
hanno conosciuto la Sapienza et il Verbo, ma non hanno
creduto quella essersi incarnata et haver per noi patito. Il
che vedendo Paolo, dice un sottil passaggio: «Non per
sapientiam Verbi, ne crux Christi evacuetur ».2 Di che se
esso gelosissimo Paolo havesse havuto a scriver l'Evangew
di Giovanni, haverebbe peraventura detto: «In principio
erat Christus, et Christus erat apud Deum, et Deus erat
Christus», benché Giovanni diede il rimedio, quando dis­
se: «Et Verbum caro factum est». 3
� Sotto Marte saranno sette imagini.
Vulcano ci darà l'arti fabrili di fuoco.
Un centauro: benché nella natura delle cose non sia­
no mai stati i centauri, pur leggendosi che quando si co­
minciarono a domare i cavalli, a coloro che di lontano
miravano, pareva che il cavallo et cavalcatore fosse una
cosa istessa, sotto questa imagine copriremo le arti al ca­
vallo et al suo beneficio appartenenti. Et si dà a Marte,
per esser il cavallo animai martiale.
Due serpenti combattenti conteneranno l'arte milita­
re et la guerra terrestre et navale.
Due giuocatori di cesti conteneranno tutti i giuochi
martiali.
Rhadamanto giudicante le anime haverà il foro crimi­
nale distinto.
Le furie infernali, per esser esecutrici delle pene, con­
teneranno il barigellato,4 cattura, carcere, tortura, sup­
plicii.
di procedere viene violentemente criticato nel Ciceronianus di Era­
smo, che lo giudica pagano e grottesco.
1. «Selve » significa 'repertori', 'raccolte di citazioni'.
2. 1 Cur, l , J.
3 . È l'inizio del Vangelo di Giuvanni.
4. Cioè l'ufficio del bargello, del capitano delle guardie.
PROMETHEO 239
Marsia scorticato da Apollo ci darà il macello.
Sotto il Prometheo di Giove, saranno cinque imagini. 1 "'I,
Giuno suspesa contenerà arti fatte per beneficio di
aere, come molini da vento.
Europa sopra il toro significa la conversione, il con-
sentimento, la santità, la annichilatione et la religione.
Il giudicio di Paris haverà il foro civile.
La sphera dinoterà l'astrologia.
Sotto il Prometheo di Saturno saranno cinque ima- !)
gini.
Cibele contenerà la geometria, geographia, cosmo­
graphia et agricoltura.
Un fanciullo sopra la tavola dell'alphabeto ci darà la
grammatica.
La pelle di Marsia conserverà l'arti d'intorno a' cuoi
et pelli.
Una feria contenerà l'uccellagione co' notturni uccelli.
Un asino, per esser animai saturnino, et nato alle fati­
che, significherà vetture, facchini, pistrino2 et servi a
quello condannati.

1. In realtà le immagini indicate sono solo quattro: manca quella del


caduceo.
2. « Pistrino » significa 'mulino', o 'frantoio'.
LE IMMAGINI DEL TEATRO
Per le immagini che seguono si vedano le pp. 311-24.
Fig. 1

Fig. 2
Fig. 3

Fig. 4
Fig. 5

Fig. 6
Fig. 8
Fig. 1 0

Fig. 1 1
Fig. 1 2

Fig. 1 3
Fig. 1 4

Fig. 1 5
Fig. 16

Fig. 17
Fig. 1 8

Fig. 1 9
Fig. 20

Fig. 21
Fig. 22

Fig. 23
Fig. 24

Fig. 25
Fig. 26

Fig. 27
Fig. 28
Fig. 30
Fig. 31

Fig. 32
Fig. 33

Fig. 34
Fig. 35

Fig. 36
Fig. 37

Fig. 38
Fig. 39

Fig. 40
Fig. 41

Fig. 42
Fig. 43

Fig. 44
Fig. 45

Fig. 46
Fig. 47

Fig. 48
Fig. 49

Fig. 50
Fig. 5 1

Fig. 52
Fig. 53

Fig. 54
Fig. 55
Fig. 56
Fig. 57
Fig. 59
Fig. 60

Fig. 61
Fig. 62
Fig. 63

Fig. 64
Fig. 65

Fig. 66
Fig. 67

Fig. 68
Fig. 69

Fig. 70
Fig. 7 1

Fig. 72
Fig. 73

-�--·

Fig. 74
Fig. 75
Fig. 76

Fig. 77
Fig. 78
Fig. 79
Fig. 80

Fig. 8 1
SEGRETI E METAMORFOSI DEL TEATRO
L'IDEA DELL'ELOQUENZA

Dirò esser più nobile De le sette difese, ch'io


questa filosofia, sì per aver­ intendo di fare, la prima pi­
la fatta tutta primo e solo glierà quella parte dove di­
( ché Aristotele prese la sua mostro aver imitato la natu­
da molti) come per esser ra et in quella scoprirò il
di cose più vere e più per secreto partito ne' luoghi
avventura nobili. memorabili, dimostrando
che ciascun loco sarà tenu­
to di dar materia, artifizio
e lingua. 1 E di ciascuna di
queste tre parti tanto par­
lerò quanto potrà bastar
per introdur altrui, cioè
partendo le materie, gli ar­
tifici e la lingua ne la loro
quantità, acciò che si sap­
pia quanti esser possano.
La seconda de imitatio­
ne, e dimostrerò che senza
quella nessuna cosa fu mai
fatta buona, et in questa
1. Il riferimento può essere sia a Pro suo de ewquentia theatro ad Gallos
aratio sia al Discurso in materia del suo theatro, dove leggiamo: « il pen­
siero adunque mio è ... di faticarmi in questo, che ciascun loco del
theatro mio habbia ad esser loco in qualunque nostro concetto di
materia, di arte, et di lingua » (p. 8).
244 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

per nuova via dirò altri­


menti che non disse Era­
smo, toccando tutti quelli
che di lei hanno scritto,
senza biasmo d'alcuno. 1
La terza, posta la imita­
zione, non si poter far sen­
za la cognizion delle idee, e
prima disputerò de la po­
ca utilità che possono dar
quelle di Hermogene. 2 La
qual via poiché sarà distrut­
ta per introdur la mia, di­
stinguerò le idee nella uni­
versale e nelle particolari;
ma tutta la oration sarà con­
sumata ne la universale.
In questa io non darò so­ La quarta tratterà de le
lamente destinta ciascuna particolari idee con le li­
idea particolare siccome nee dimostrative secondo
poté lasciare Zeusi la figura l'oratore, e dimostrerò
dell'uomo in tutte le sue e­ che quando Cicerone ve­
tà, ma ancor appresso inse­ deva ne la mente un ora­
gnerò gli artifici che hanno tor copioso di dottrine, 3 lo
fatto riuscir sì belle tutte vedea per la virtù de' par­
quelle figure, sicché e gli ticolari, i quali soli posso­
inchinati e i non inchinati no esser governati da le
potranno legger e veder, scienzie, anzi sono esse
ma gli inchinati meglio sa­ scienzie.
pranno metter in opera.
La quinta de le medesi­
me particolari idee secon­
do il poeta...
1. Si riferisce al Trattato dell'imitazione, in cui discute le tesi sostenute
da Erasmo nel Ciceronianus ( 1528) .
2. Cfr. Discorso sopra Hermogene.
3. Si riferisce al De oratore.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 245
La sesta come si possa
una materia severa di fi­
losofia o di teologia, che
non fosse mai stata trattata
da la eloquentia, condur a
la prosa ovver al verso, e
per quali vie. E come un
poeta nuovo potrebbe ne'
suoi versi indur l'anima
infiammata dell'amor di
Cristo far tutti que' lamen­
ti che ha in costume di fa­
re l'innamorato. 1 E de le
vie di ridur le materie; ap­
presso de l'interpretar
sensi di materie dotte de'
poeti, ovver allegorizzan­
dole ancor in modo che
l'autor non vi avesse mai
pensato, può esser utile
per insegnarci le vie per le
quali potessimo introdur a
l'eloquenza di così fatte
materie, che mai state non
fussero. 2 Ed a voler inter-
1. Camillo interpreta così una tendenza della poesia contempora­
nea che trova un'importante espressione nel Petrarca spi:ritual.e del
francescano Girolamo Malipiero (1480 ca-1547), edito dal Marcoli­
ni nel 1536. Interessante è inoltre il fatto che Malipiero sia in contat­
to con Francesco Giorgio la cui influenza su Camillo è ben docu­
mentata (cfr. la voce di Paolo Zaja nel Dizionario lnografico degli italia­
ni, cit., voi. LXVIII, 2007, pp. 211-15).
2. Questo passo chiarisce bene il senso di quella interpretazione dei
« sensi riposti» dei testi poetici (spesso sovrabbondante e gratuita)
che Carnillo praticava: l'interpretazione allegorica dei testi esempla­
ri, in altri termini, offre lo spunto per nuove «invenzioni». Il modo
di commentare i testi proprio del Camillo viene ricordato e lodato
da Luca Contile: « Chi havesse udito il divino Giulio Camillo (che
ben laudo gli ignoranti che lo biasmano) dar dieci interpretazioni
246 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEATRO

pre tar i poe ti ci bisogna


le gger que' libri e quella
maniera di filoso fia de la
quale essi prendevano di­
le tto , perch é dobbiamo
creder che la vir tù di que'
libri sia rinchiusa negli au­
tori .
La se ttima de li posa­
men ti di ciascun senso, de
l'ar te de le figure topiche,
di quelle de le colloca tioni
e degli agion ti e finalmen­
te di tu tti gli omamen ti. 1

Non posso far, o padri de le buone le ttere,2di non ar­


rossir avend'io a far parole nel cospe tto vos tro. Ed inve­
ro è sì grande la cosa la qual me tte il mio nome nel ro­
mor de le gen ti , che l'animo mio non trova riposo per
fin eh'io non l'abbia a mia e ta vos tra sa tis fazion talmen­
te aper to che voi possia te, in tese le mie ragioni, dar sin­
cero giudizio non pur de' miei s tudi , ma di quella lealtà
che dee pi ù esser cara a ciascuno , il quale sia d'orna ti

sopra un sonetto del Petrarca, sopra una lezzione di Vergilio, sopra


un'ode di Horazio o sopra di qual si voglia altri degno scrittore, ha­
vrebbe detto (come dico io e come dicono molti altri che l'hanno
più di me goduto) altro non voglio udire, meglio non posso inten­
dere, e cosa più alta non posso imparare. Quegli auttori, che esso
interpretava, erano nella sua interpretazione dieci volte più dotti di
quello che nelle scritture loro si legge » (Discurso ... sapra li cinque
sensi del corpo nel comento d 'un sonetto del signur Giuliano Gosellini, al
cavalier Leone sculture Cesareo, Valerio e Girolamo de Meda, Milano,
1552, cc. 6r-v).
1. Si riferisce alla Topica. Gli «aggiunti », classificati in precedenti,
accompagnati, seguenti, rientrano nei luoghi della locuzione figu­
rata e indicano un legame non necessario, ma che si verifica « spesse
volte » ( Topica, p. 397).
2. Il testo pare indirizzato a un consesso accademico.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 247
costumi,che tutte le scienze e tutte le ricchezze insieme.
Faccia Dio che né amor néodio verso di me sia ne' petti
vostri, né anco quella impression, la qu al mol ti hanno,
che questa cosa sia impossibile, perché ciascuna di que­
ste quali tà se tenesse occupato l'animo vos tro, non la­
sciarebbe loco ispedito per il qual potessero en trar le
mie ragioni al purgato e netto vos tro cons entimento.
Udirete, padri, udirete, se con tal sinceri tà m'ascoltare ­
te, qual dimanda una causa tanto gius ta e ta nto nuova,
udirete dico ragionar uno che non per far mostra di do t­
trina, ma per mostrar qual sia la sua fede spiegheràtutto
quel che per modestia giàgran tempo ha tenuto involto
nel suo segreto. 1 Queste or azioni,padri,sono il mio par ­
to, che nella lingua latina i' porgo al mondo. 2 E piacesse
a Dio ch'io non fussi tirato a forza a la composizion di
quelle, imperocché assai mi sarebbe s tato conoscer che
le fatiche mie havessero potuto mos trar ancor a questi,
che mi lacerano, con qual facili tàpossano esser messe a
le voglie nos tr e le latine parole insieme, senza farsene e
mos trar ne' miei scritti la prova, perché quello sarebbe
di uomo solamente u tile,e questo ancor di glorioso. Pur
poiché le ingiurie di quei a' quali ancor penso di giovar
non si rimangono di voler guastar l'onor mio, son con ­
tento che per queste sette mie di ffese facciate giudizio
non di quella bellezza che all'eloquenzia suol dar il sa­
pere e dell'eserci tazione che in me non sono, ma de la
sinceri tàe de la fede. Saràbella cosa udir parlar meravi­
gliose cose de le scienze e dell'eloquentia ad uno che
mai non diede opera agli studi di quelle, siccome i me -
I. Accenti del tutto simili aprono la Pro suo de eloquentia theatro ad
Gallos oratio.
2. Fabio Paolini, basandosi su di una lettera che il genero di Camillo,
Giuseppe Maetano, aveva scritto a Andrea Sasso, ricava che i testi
delle sette «difese » del Teatro, composti in latino, furono tradotti
in volgare dal Maetano stesso, « perché tutti non intendono la lin­
gua latina» (Hebdomades sive septem de septenario lilrri, Francesco de'
Franceschi, Venezia, 1589, p. 27) .
248 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

desimi suoi calunniatori confessano, ad un uomo pura­


mente naturale, ad uno che faticato sempre dai vari em­
piti de la fortuna, se non ne' pubblichi alberghi pieni di
rumori mai non conobbe riposo; ad uno che ne' conti­
nui viaggi ha avuto il seno per istudio o il collo d'impa­
zienti cavalli per cancello, sopra 'l quale ha spesso, per
poter esser utile ad altrui, e letto e scritto. È pur forza,
padri, che questa cosa mia sia o una chimera di vano e di
malizioso uomo, over trovato partorito da alcuna copio­
sa e profonda cognizion delle scienze, o puro dono di
Dio. Chimera no, che se la cosa fosse tale, non potrebbe
aver quelle naturali e chiare ragioni per fondamento, le
quali per fino a qui avete udito e ne le altre mie difese
udirete, ed anch'io fuggirei coloro che mi si volessero
opporre, né mi farei incontro a loro, né potrei satisfare
a quei che dottissimi ed eloquentissimi sono, i quali con
molti argomenti e con molte dubitazioni me ne hanno
dimandato, e pur se ne sono appagati, se la verità non
stesse da la parte mia. Né può la cosa esser nata da tanta
cognizion di lettere, perché già vi ho detto in me non
esser dottrina. E se pur da cognizion grande di lettere
potesse nascer, già sarebbe stata trovata e messa in luce
da quelli che dottissimi ed eloquentissimi sono stati e
sono. Adunque segue che ella sia dono di Dio, il quale
spesso rivela quello a' pargoletti ed a' semplici, che a i
maturi ed a' sapienti ha tenuto nascosto e spesso ancora
siccome nella prima diffesa ho mostro, a' peccatori ed a'
nemici. Io adunque non per diffender presuntuoso er­
ror nel quale io fossi caduto, o defficienzia che in me sia,
ma il dono di Dio dato ad uno ignorante, non inimico,
ma peccatore ed approbato dal testimonio d'un tanto re
e di tutti quegli uomini excellentissimi, che meco n'han­
no voluto tener ragionamento, e non far nuovi pensieri
da loro medesimi non degnano di volermi prima senza
passione alcuna udire che darne sentenza, incomincie­
rò in questa terza fatica a dipingervi quale idea de l'elo­
quenza io mi vegga ne la mente, ancorché la mano non
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 249
le giunga, e quale io possa prometter di collocar nell 'al­
trui mente, e per av ventura farla pi ù vicina a la loro ma ­
no, ch'ella non è alla mia. Néquesto vi dee parer impos ­
sibile, imperoché anco il testor che tesse il panno per­
chédi lui si abbia a vestir il corpo umano ,per tale e ffetto
lo fa pi ù vicino a le mani del sarto che a le sue medesi ­
me.1 E colui che fabrica la cetera perché con lei s 'abbia
a sonare, per cotal fine pi ùl'appressa al musico che a se
stesso. Ed il domator de' fieri ca valli non rende quelli
accommodati a la guerra per lui medesimo, ma per il
forte ca vagliere . Questo è quello ch'io sopra dissi , che a
me non era all'animo di far l'eloquente, ed assai mi ba­
sta va poter esser utile a quelli che di esser eloquenti han­
no cura. In difesa adunque non di scientia che in me sia,
ma d �lla stessa verità, del testimonio d'un tanto re e di
così e xcellenti uomini i quali al suo loco nominer ò2 e
per non lasciar vituperar il dono di Dio, condu rrò, spe­
ro,con nuo vi modi al senso quella idea ch'io ho promes­
so, e se non sarà quella de la qu ale alcuni senza a ve rmi
mai ascoltato e senza a ver all'onor mio compassione,
vorrebbon che mal mio grado mi vantassi, sarà certo
quella de la qual sempre ho parlato, ed anche se non
meriteràesser chiamata de l'eloquenza idea, non molto
mi curo , purché ella sia almeno idea de la lealtà e de la
candidissima fede mia.
Se vera è l'opinion di quei che credono l 'anima no­
stra portar seco dal cielo tutte le forme de le cose, 3 po­
tremo pensar che in noi siano le dette forme coperte dal
velo corporeo, non altrimenti che infinite imagini in u -
1. Analoghe affermazioni si leggono nel manoscritto genovese del
Teatro (c. 4v).
2. Nella Pro suode ewquentia theatro ad Galw s ora tio (pp. 82-92) Camil­
lo ricorda gli illustri personaggi della corte francese di cui vanta il
sostegno; queste pagine sono analizzate da François Secret, Un
té moig;n age ou blié de G. Ca milw Delmine sur la Ren aissance enFra nce, in
« Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance », XXXIV, 1972, pp.
275-78.
3. Si riferisce alla filosofia platonica.
250 SEGRETI E METAMORFOSI DEL TEATRO

na ca mera, delle quali ciascuna fusse nasc osa dal su o


par tic olar pann o,sìche una s ola per v ol ta potesse essere
sc oper ta. E se il ciel on on inchinasse quest ou omoa svel­
ler una e quell o un'altra, e che ess o la inclinazi on n on
mettesse in us o,le dette for me si rimarrebb on làdentr o
tutte velate e tali c ome se n on v i fosser o. Se adunque
c osì fat ta opini on fusse vera, pens o che quelle istesse i­
dee che s on onella mente divina, ribattute poi ne l'ange­
lica, sarebb on o anc or ne l'ani ma n os tra. Ma c on quella
d ifferenzia, c on la quale si potrebbe veder rilucer una i­
stessa c osa in tre s pecchi,de li quali un o fosse cristallin o,
l'al tr o d'argent o, il terz o di misture di ra me e di stagn o;
tutt itre ques tis pecchi potrebb on o mos trar le medesi me
i magini, ma il cr istallin o le ra presenterebbe purissi me,
quell o d'argent o men sincere e men oanc o quell os pec­
chi o che di pi ù vili misture fosse s tat o fabricat o, e pur
sarebb on o le medesi me i magini. È il ver che quelle che
ci possia mo i maginar sian o ne la divina mente , a cui h o
dat oil cris tall o, n on pr oced on o da le c ose, c ome le i ma­
gini che gli s pecchi mos tran o,anzi le c ose pr oced on oda
esse i magini. E l o s pecchi o angelic o, che all'argent o h o
ass omigliat o, s tand o se mpre riv olt o nel divin o, ra ppre ­
senta ne l o s pecchi o de l 'ani ma n os tra anc or da quest o
c or po mist o aggrava ta le istesse for me . Le quai c ose, se
c osì fosser o, tutti gli u omini avrebb on le medesi me i­
dee , e tale idea de l'el oquenzia avrebbe un calz olai o
ch 'ebbe Cicer one. Se n on si v olesse dir che ne le mede ­
si me ani me n ostre, avend o ris pett o a i c or pi che pi ù o
men ole aggravan oc on la l or o mistura, pi ùe men o pure
in l or o sien o ra ppresen tate le i magini, ed anc o sarebbe
da creder che l'ani ma d'un o inchinat o ed e xercitat o
qua si s pecchi o pi ù lucid o avesse in sé pi ù vere le i magi ­
ni, se il min or aggrava ment o del c or po e la inclin azi on
n on fosse una medesi ma c osa . Ma qui potrebbe nascer
un dubbi o: se le idee de le c ose s tann o nel predett o mer
d o, perché Apoll onia pigliava una mercede da li disce -
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 251
poli che da altrui non avevano appreso la ricordanza e
doppia mercede da quelli che appresa l 'avevano ? 1 E se
Apollonio faceva ci ò per la fatica che egli avea di levar
pr ima ilmal preso abito eh 'egli avesse a fondar il buono ,
che cosa era questo abito ? Imperoché se la idea era g ià
prima ne l 'anima a colui che voleva di lei pigliar la r icor ­
danza , facea pur bisogno che il maestro dicesse a quel
fanciullo cose pert inen tia quella idea e non ad un 'altra;
e così fatte cose che diceva pert inenti a la proposta idea ,
certo par che pi ù tosto avessero ad isvelare che a copri­
re , dicesse in qual modo egli si volesse. Io r isponderei
che supponendo esser queste idee ne la mente nostra
velate dal corpo , a guisa de le figure in una camera , egli
ègran di fferenza ad insegnar a scoprirle pi ùin un modo
che in un altro , non altrimenti che se alcuno svelasse u­
na figura non verso il suo lume , per il quale si lasciasse
veder tutta , ma verso quel aere che pi ù tosto la facesse
parer una macchia che una figura; certo tutti li maest ri
insegnano a levar il velo che nasconde l 'idea , pochi co ­
noscono il buon lume dal quale si convenga levar la par ­
te del velo. E come il fanciullo piglia l 'abito di levar il
velo da una parte ed in quello cotal modo sempre a
quella medesima corre , ed in quella maniera alza il pan­
no , e tale macchia vede sempre , qual li fupr ima mos tra.
Nésol amente possono i maestr iinsegnar a svelar le figu­
re da quella parte che non mostra la verità , ma ancor le
possono insegnar a rappresen tar fuori per sinis tre vie ,
che quando ancor la idea de l'eloquenzia fosse dentro
bene svelata da la parte del suo lume ,possono dar e buo­
ne e non buone vie nel rappresentarla .
Ecco, io ho veduto un medesimo Laocoonte rappre­
sentato ne la di vina statua eh ' èin Roma e benchéla det ­
ta statua sia per fettissima e che quella medesima si mo­
st ri a diversi pittori , nondimeno uno non la sa ritrar c o-
l . Si riferisce forse a quell'Apollonio di Alabanda che Cicerone cita
nel De oratore (l, 75) .
252 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEATRO

me un altro, e ciascuno quantunque la veda excellentis­


sima, ha più o men buona via nel rappresentarla. 1 Colui
adunque che porta in desiderio che li sia svelata la idea,
o egli a quella è inclinato, o no; se no, non dovrebbe at­
tender quella che il ciel li nega; se sì, egli può aver o non
aver appreso da qual parte egli abbia a svelarla. E se egli
ha appreso dal buon lume, è molto tenuto a colui che
glien' ha data la via, ma se ha appreso la via dal mal lume
e continuato in tal cosa, ciò si chiama mal abito, per il
levamento del quale doppia mercede voleva Apollonio,
imperoché faceva bisogno ch'egli vi ponesse e tempo e
fatica per purgar il macchiato animo, e per condurlo a
quella nettezza ne la quale era prima che non avea rice­
vuto macchia d'alcun habito. Scrive alcuno de' lapida­
rii2 che le pietr_e preziose tali dapoi lo spazio di molti
1. Una copia del celebre gruppo marmoreo, di età alessandrina,
era stata trovata a Roma, presso l'Esquilino, nel 1506. Sulle ricadu­
te letterarie e artistiche della scoperta, cfr. Salvatore Settis, Lao­
coonte. Fa ma e sti le, Donzelli, Roma, 1999. Della sua fortuna presso i
pittori abbiamo ora una nuova, preziosa testimonianza: Laocoonte
è presente in un fregio riscoperto a Palazzo Leopardi a Roma, che
risale probabilmente al secondo decennio del Cinquecento: cfr.
Alessandro Zuccari, Ilfregi o riswpert o di Palazz o L eopa rdi a R oma , in
« Storia dell'arte», 137-138, 2014, pp. 9-32. Il riferimento di Camil­
lo si inserisce inoltre in una rete di rapporti che per noi è di grande
interesse: verso il 1525 una copia del Laocoonte era stata realizzata
per Francesco I e una stampa viene inclusa in Urbi s R oma e Topo­
grap hia B. Ma rlia ni ad Fra nciscum regem Gallo-ru m , Valerio e Luigi
Dorico, Roma, 1544. Nel restauro voluto da Clemente VII fra il
1532 e il 1533 era intervenuto Giovanni Angelo Montorsoli, sculto­
re e frate servita fiorentino che era stato segnalato da Michelange­
lo. Successivamente, nel 1534-1535, Montorsoli è al servizio del re
Francesco I; il cardinale Ippolito de' Medici lo aveva raccomanda­
to al cardinale François de Tournon, che Camillo cita nella sua Pro
suo de eloquentia thea tro a d Ga llos ora ti o , p. 84. Montorsoli era stretto
amico del Doni: nel 1540 lasciano insieme il convento dell'Annun­
ziata a Firenze.
2. Diversi trattati, che spesso rielaboravano la tradizione classica, fu­
rono dedicati nel Medioevo e nel Rinascimento alla natura e alle
qualità delle pietre. Cfr. ad esempio Camillo Leonardi, Sp ecu lum la ­
pi dum, Giovanni Battista Sessa, Venezia, 1502, che Lodovico Dolce
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 253
anni diveng on o per benefizi o del S ole, il quale le
purifica di ogni c oncetta bruttezza e le disp one ad esser
acc oncie a ricever la v irt ù de la l or o stella; néprima che
'l S ol le renda purificate p otrebb on o ricever la richiesta
virt ù, anc or se stesser o ligate al c orp o de la l or o stella
cent o millanni. E le l or o virt ù s on o diverse, sec ond o la
diversitàde le l or o specie, imper ocché il diaspr o purga­
t o dal S ole e d otat o da la sua stella ha virt ù di frenar il
sangue e la libidin osa c oncupiscenza, il t op azi o di spe­
gner il calar e l'ebrezza; la c orni ola di rattemperar l'ira.
Ac osì fatte pietre i o ass omigli oquelli che l'inclin azi one
hann o a la idea di alcuna gent il arte, a l o svelament o de
la quale fosser o s tati mal instituiti. E quantunque essi
desiderasser o di farsi e xcellenti, n ondimen o se pr ima
n on fosser o stati purificati da la bu ona c ognizi on di
qualche perit o che a guisa di S ole p otesse le altrui t orte
opini oni levare,n on mai a la veritàgiunger p otrebb on o.
Quanti c on osc o i o a' n ostri dì, che pur avend o udit o lo­
dar Cicer one e Virgili o, gli altri hann o abband onat o, A­
pulei o, Quintilian o, Plini o, Lucan o e Stati o, e tutt o dì
hann o nelle mani Cicer one e Virgili o 1 e n ondimen o la
virt ù di nessuna di queste due stelle si appiglia al l or o
mal abituat o anim o,né mai si appiglierà, quand o anc or
fosser o eternamente incatenati a quelli, perché n on
precede un S ole che li purifichi e renda netti de le mal
ricevute opini oni ne le guaste menti. È pur gran c osa
che anc or ne' passati sec oli si tr ovavan o i libr i di Cicero­
ne e di Virgili o e si leggevan o, ma le l or o v irt ù n on han­
n oi nfus ose n on in quest osec ol one' pi ùpurgati lett or i.
Parimente le medesime antiche statue che s on o al pre­
sente e li medesimi edifici eran o avanti gli occhi de' sta -
volgarizza nel 1565, col titolo Delle divers e sort i dellegemme che pro duce
la natura. Del la qualità , wandez.z.a , bellez.za etvirtù loro (Giovanni Batti­
sta e Melchiorre Sessa, Venezia) .
1. Cicerone e Virgilio erano stati indicati come modelli perfetti dai
ciceroniani (ad esempio da Pietro Bembo) , in sostituzione dei mo­
delli della tarda latinità sopra ricordati.
254 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

tuari e di architetti già da ducento o quattrocento anni,


e tuttodì le miravano e misuravano, e nondimeno sola­
mente in questa età nostra, ne la qual di esser nati molto
abbiamo a ringraziar Dio, hanno infuso le loro virtù ne
gli animi de' statuari e di architetti, 1 perché hanno avuto
un Sole, o di quella ch'è contraria a la persuasione,2 o de
gli altrui documenti, o di quella divina benignità e gra­
zia che a tutte le arti ad un tempo ha dato una nuova re­
formazione in questo nostro ben formato secolo. Veg­
go, padri, veggo che in questo cupo mar di filosofia fa­
rebbe bisogno che fusse entrato un gagliardo e ben for­
nito legno, ed anche guidato, non come il mio, che mal
fornito e debile è, da la semplice e rozza natura, ma da
quella grande sapienza che un tanto viaggio, non mai
per altrui fatto, dimanderebbe, ma pur dapoi che ho già
incominciato a solcar, arditamente seguirò, ponendo
fede in voi, che dall'alto monte de la dottrina vostra
m'abbiate di lunge a far segno con la mano, com'io pos­
sa tutti gli scogli fuggire. E per trovar via di ·dar forma a
questa forma di eloquenzia giudico esser ben fatto di
distinguer le idee in tre considerazioni: avanti la cosa,
ne la cosa, dapoi la cosa. Idea avanti la cosa è per grazia
di exempio la forma del teatro ne la mente divina prin­
cipalmente, poi ne l'angelica e secondo i platonici ne la
nostra, ma sotto il globo lunare in quello stato che può
dar l'esser a tutti i teatri che potessero esser fatti al mon­
do. Idea ne la cosa fu poi quella forma del teatro che al­
cuno architetto messe già in quella materia che si vede
1. Per l'idea di una rinascita delle arti, basata sull'imitazione dei mi­
gliori modelli dell'antichità, questi passi di Camillo sono molto vici­
ni al proemio al libro III delle Prose della volgar lingua di Pietro Bem­
bo. Il riferimento a « statuari» e «architetti» che « miravano e misu­
ravano» le opere degli antichi fa inoltre venire in mente la lettera di
Raffaello a Leone X: cfr. Francesco Paolo Di Teodoro, Raffaello,
Bal.dassar Castiglione e la Lettera a Leone X, Nuova Alfa, Bologna, 1994;
il testo della lettera, nella versione conservata nell'Archivio Privato
Castiglioni, è alle pp. 63-85.
2. Cioè la scienza.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 255
in Roma ed in Verona, ma idea dapoi la cosa è quella
che l'architetto può trar da quella che è in esser nel tea­
tro di Roma o di Verona e collocar nella mente. 1 Così
diremo la idea de l'eloquenza avanti la cosa essere stata
ed esser sì come sempre sarà ne la mente divina, dove ha
lo stato suo perfettissimo, e quella istessa rilucer ne la
mente angelica, e come credono i platonici anco ne le
anime nostre, ma non, come penso, con quella perfezio­
ne che ha ne l'alta cagione, ma quale si richiede a la na­
tura angelica e all'umana in quella digradazione che
abbiamo veduta ne l'exempio dato di tre diversi specchi.
E per lasciar ragionar a li sapientissimi di quella che rilu­
ce ne la mente divina ed angelica, diremo qualche cosa
solamente di quella che potesse esser ne la nostra mente
se pur così fusse, come tiene Platone, avanti la cosa.2 Di­
co adunque che se questa idea avanti la cosa, cioè avanti
che noi abbiamo veduto la cosa, ancor che la cosa vera­
mente fusse in esser sì come la idea dell'eloquenzia, può
esser per così fatta opinione ne la mente nostra simile a
quella che fu ed è ne la mente di Dio, ma tal qual vi può
capere, ancorché da la parte sua essa sia ne la cosa, cioè
ne' libri degli autori. Certame.nte può esser veduta da
noi là dentro se essa non fusse aggravata da velo corpo­
reo, qual ella è ne' libri, e tal per awentura vede re Fran­
cesco, il qual senza imitar alcuno autore meravigliosa­
mente rappresenta ne' scritti suoi, sì che degli altrui sve­
lamenti non può aver molto di bisogno; 3 tal ancor ap­
presso i Romani vedea e rappresentava Sulpitio ne le sue
divine orazioni, non imitando altrui che se medesimo,4
1. È chiaro, ed è molto interessante, che qui Camillo usi «teatro »
nel senso dell'anfiteatro romano.
2. Cfr. ad esempio Platone, Phaedrus, 247c-e; Phaedo, 72e-77b.
3. Il riferimento al re Francesco I serve in realtà a esaltare l'efficacia
degli insegnamenti di Camillo e avvicina ulteriormente questo testo
alla Pro suo de ewquentia theatro ad Galws oratio.
4. Di Servio Sulpicio Rufo Cicerone dice che le sue doti oratorie
sono tali « ut unus ad dicendum instructissimus a natura esse videa-
256 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

ma a rari èdato questo,ed a que' soli che Dio e la natura


avesse fatto se nza così fatto velo. Ma se questa opinione
fusse f alsa,che le anime nostre abbiano con esse loro dal
ciel por tato così fatte idee, o che li veli de l'idee da nes­
suno levati fossero, potremo dir che in loco di queste,
che sono avanti che abbiamo veduto la cosa, siano le i­
maginazioni che tutto dì facciamo prima che veggiamo
le cose . E queste possono esser di due maniere, o v era­
mente del tutto lontane da le cose, sì come fu quella i­
maginazione del rus tico bolognese che correndo per
veder l'imperatore, disse, poi che l'ebbe veduto, «ch'e­
gli èun uomo come noi, ed io mi avea imaginato eh'egli
fusse qualche cosa dolce da mangiar come il zucche­
ro »; 1 aver rivolte alle cose,e queste rivolte possono esser
minori o eguali o maggiori. Minori sono quale è quella
che facciamo di Dio per le neg azioni, imaginandosi Lui
non esser né elemento, né anima, né buono, né cosa,
ma che avanzi ed elemento, ed anima, e buono,2et - - - - -
ci ò non li possiamo per venire eguali - - - - -3 Leonardo
Vìnci, ilqual come vide Roma la primiera vol ta disse,cer­
to così fatta io la ho vedu ta giàper sogno.4 Ed a me ch'io
tur» (« che sembra l'unico caso di qualcuno reso dottissimo nell'o­
ratoria dalla natura »; De oratore, III, 8).
l . Potrebbe essere un riferimento all'incoronazione di Carlo V a
Bologna, nel 1530.
2. Si riferisce alla teologia negativa.
3. Nel codice trascritto delle lineette indicano due lacune. Nel mar­
gine inferiore si legge: « Così il manoscritto trascritto».
4. Non ho trovato riscontro negli scritti di Leonardo. Come mi segna­
la Carlo Vecce, che ringrazio, « la testimonianza di Camillo è molto
importante, perché è una delle rare testimonianze sul rapporto tra
Leonardo e Roma. Nei codici vinciani, la prima nota riferibile ad un
viaggio a Roma ha la data del 10 marzo 1501 (1500 in stile fiorentino):
"a Roma, a Tivoli vecchio, casa d'Adriano" (Codice Atlantico, f. 618
verso): una visita quindi delle rovine della villa di Adriano. Sono ipo­
tizzabili altri brevi soggiorni all'inizio del 1503 (al tempo del Valenti­
no), mentre l'unico periodo sicuro è quello al servizio di Leone X
(1513-1516). Quindi Camillo aveva ragione: Leonardo vede Roma
solo molto tardi (a quasi 50 anni), dopo averla, negli anni precedenti,
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 257
scrivo è avvenuto che aspettando già uno con gran desi­
derio, che mai prima veduto non havea, la imaginazion
con tutta l'anima tanto sopra questo pensiero dimorò,
che la notte avanti il giorno che la persona venisse tale la
raffigurò e la dipinse quale poi vide. 1 Maggiori sono le
imaginazioni, come poté esser quella di Serlio fatta del
teatro di Verona, formatosi nella mente tanto grande e
magnifica che poi il veduto teatro non li rispose. 2 E cer­
to diremo che quelli che imitano se medesimi è quella
idea de l'eloquenza da la loro bella natura ne la mente
fabricata; se fusse falsa la opinion di Platone, si potrebbe
dir ch'ella fosse imaginata tale qual essa veramente è,
non minore, né maggiore, si come abbiamo detto essa
ritrovarsi al presente ne la mente del re e già in quella di
Sulpitio. E tanto sia detto de la idea avanti la cosa e de la
solo 'immaginata' (cioè 'veduta già per sogno') . Fondamentale il rap­
porto di Leonardo a Milano con gli artisti appassionati dell'antico,
disegnatori e misuratori di 'anticaglie': Bramante, Gian Cristoforo
Romano, e anche Francesco Di Giorgio e Sangallo; oltre al 'prospetti­
vo milanese' che va a Roma nel 1496 e gli indirizza le Antiquarie pro­
spettiche romane, invitandolo appunto a Roma».
1. Questo aneddoto è volto a suggerire le doti straordinarie, la natu­
ra eccezionale di Camillo. Al di là della autoesaltazione, la questione
dei poteri della immaginazione è di grande rilievo: nel Discors o in
materi a de l su o theatro Camillo fa appunto riferimento alla teoria avi­
cenniana della imagi natio per spiegare il successo da lui ottenuto
nella ricerca di un ordine efficace per il suo Teatro: « Né però è ma­
raviglia, ch'io habbia trovato dentro di queste cose un ordine con
alcuna arte tanto grande, percioché la ragion d'Avicenna nel sesto
de i naturali può molto appresso di me, dove dice, nell'anime nostre
essere una certa virtù di alterar le cose, et farle obedienti a noi, men­
tre l'anima nostra è portata da alcuna grande affettione sopra esse »
(p. 11) .
2. Sui rapporti tra Serlio e Camillo, cfr. Carpo, Metod oed ordini archite t­
tonici dei primi modern i, cit., e Sylvie Deswarte-Rosa, Le traiti d'architeau ­
re de Seba tianoSeruo, l'oeuTRe d'u ne vie, in Sebas tianoSeruo à Lyon, cit., pp.
3 1-66. Serlio offre un disegno dell'arena di Verona nel suo Terr.o libro:
« Fra le molte e belle antiquità che sono in Verona, è un Amphithea­
tro d'opera rustica detto l'Arena dal vulgo » (pp. 72-73) . La notizia
della sua delusione alla vista dell'edificio fa forse parte della tradizio­
ne orale, dal momento che Camillo e Serlio erano amici.
258 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

idea ne la cosa, perché già mi apparecchio a dir di quella


che è dapoi la cosa tenuta ed approbata da' peripatetici.
Questa, padri, è quella che non altrimenti che l'altre è
una istessa cosa con gli universali, imperocché veduto io
quest'uomo, questo bue e questo lione e tutti gli altri
individui muoversi, comprendo questa natura comune,
cioè questa comune idea esser ne la cosa, cioè in tutti gli
animati individui, che ogni animai si muove. E così fatta
universale idea, tratta di tutti gl'individui che tengono
anima, dipoi la cosa, cioè dipoi ch'io gli ho veduti, ho
collocato ne la mente. Così essendo una certa idea perti­
nente a tutte le specie ed a tutti gli individui in alcun li­
bro di perfetto autore, questa può esser levata da tutti
gl'individui ne la mente nostra, padri, né è meraviglia se
difficilmente da la mente è dipinta, perché non è una
cosa che ad un solo individuo partenga, ma a tutti e indi­
vidui e specie de la eloquenzia, e si come difficil cosa è
raffigurar con la mente la idea commune a tutte le spe­
cie ed a tutti gl'individui del animale, imperocché se
non per gl'individui si può dipinger, così non si può
raffigurar quella de la eloquentia tratta fuori da le spe­
cie e da gli individui, ma sol con l'intelletto comprender
imperocché tutta è separata da cose che caggiono sotto
il senso. E benché ella sia così difficile da raffigurare, mi
dà il cuore, se le possiamo trovar i termini, di mostrarve­
la in alcun modo tale che non vi sarà rincresciuto l'aver­
mi porto sì benigne e sì attente le orecchie. Ma prima
che io le costituisca i confini dentro de' quali io intendo
di mostrarvi questa intellegibile idea, e quasi la sua figu­
ra, muoverò questo grande dubbio, ne la soluzion del
quale attenderò a quanto ho promesso. Si dubita adun­
que se Cicerone o Virgilio fossero vissi lunghissima età,
se avessero concetto ne la mente e fatta veder ne' suoi
scritti più eccellente idea de l'eloquentia di quella che
fatto hanno.
E par che in ogni modo dovessero aver mostro forma
più nobile, perché se Ciceron di vent'anni avanzò Cice­
rone mentre era di quindeci, e quando venne alli qua-
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 259
ranta l asci ò a dietro sé medesimo mentre ne avea 20, o
25, o 30, par che dovesse seguir che quanto pi ù fosse
visso, tanto pi ù eccellente forma avesse con la penna
possuto lasciar vedere, altrimenti gli umani studi sare b­
bero vani, se di continuo non si facesse meglio. Appres­
so pare che se l'umana vita fusse da Dio data al uomo di
mille o due millanni, che se Cicerone o Virgilio fussero
visso tanto, che pi ù divina o pi ù per fetta forma di dire
potessero aver e xp ressa quando fussero giunti a due mi­
lanni che quando ai mille, ponendo che la lunga età
non avesse loro possuto mai levar il vigore. Il perché si
potrebbe concluder che quella forma de la eloquentia
che gli antichi autori ci hanno lasciata, non sia la pe rfet­
tissima, perciocché non ci hanno potuto mostrar se non
quella che han possuto comprender ne la vita di 60anni
vigorosi. E se vogliamo salir per gradi e dar ad ogni n er
stravigoroso anno un grado di questa per fetta cogni zi er
ne de la idea eloquente, la qual possiamo incominciar a
conciper ne la mente da li 15 anni, diremo uno studioso
e nato a la eloquentia,quando saràd'anni 30,non potrà
aver se non quindici gradi di questa per fe zione . E quan­
do ne avrà 40, solamente 25 gradi, e così propor zionata ­
mente andasse multiplicando perfino a mille o due mi­
lanni. E se si vivesse due milanni, che potrebbono dar a­
punto millenovecentoottan tacinque gradi di questa c er
gni zione,che sarebbe la per fettissima,par in ogni modo
che si potess e sperar pi ù e xcellente forma di quella che
appare; ma non avendo nessuno autor visso pur cento
vigorosi, che di una grande quantitàdi gradi siano stati
privi . A questa dubita zione si potrebbe rispondere che
nel vero non essendo a Bruto assai piacciuta la forma del
dir di Cicerone, né sempre a Cicerone quella di Dem er
stene,nessuna idea di cose in questo mondo si pu òveder
tanto per fetta che ad alcuno in alcuna - - - - - 1 del Cris tia­
nissimo a noi, perciocché da Colui che per la nostra vita
mor ie che èunica e general salute di tutto l'universo, ci
1. « Così il manoscritto trascritto » si legge nel margine inferiore.
260 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

fu lasciata ne' suoi de tti per fet tissimamen te e xpressa la


idea del vero cris tiano, la qual dopoi la cosa possiamo,
volendo,per fettamente concepir ne la mente. Pur aven­
do egli, che una istessa cosa è con Colui ch'è infini to,
da to all'uomo lo spazio de la vita o ttanta anni nel pi ù, de
li quali solamen te i sessanta hanno vigore, ha piaciuto a
la sua potentia di dar tut ta quella virt ù all'uomo di con­
cepir la forma de la eloquentia in ques ta brevitàd'anni
che dato avrebbe con pi ù lentezza, se lo avesse volu to
lasciar viver mille, o due milanni. Scrive,credo, Aristo te­
le di uno animale che non vive pi ùd'un giorno, il quale
quando il Sol è a mezzo cerchio, èvisso la metàde la sua
vita e mentre è all'occaso, egli è non pur giunto a la sua
vecchiezza, ma a la morte, 1 e nondimeno perché Dio gli
abbi tol to la lunghezza di vi ta, non gli ha per tutto ci ò
tolto insieme quella virt ùche a la specie di cotal animale
si conviene . Tale è la rosa, che quantunque in quel me­
desimo giorno che nasce moia, nondimeno non le ha
leva to par te alcuna de la bellezza e de la soavità che dee
esser richies ta a la rosa; anzi veggiamo che Dio a tut te le
cose che tosto mancano, dà tosto loro tu tto quello che a
quelle si conviene, compensando il tos to dono con la
brevità de la vita. Non veggiamo noi tu tto dì che a que'
fanciulli che hanno tosto a chiuder i termini de la vi ta,
ancor sopra il debi to de l'e tà dona quelle doti che con
alcuno indugio suol dare a chi lunga vita vive ? E ne le
fanciulle,perché tosto a loro manca quel vigore che pi ù
dura ne' maschi,veggiamo tosto la maturezza. Il medesi­
mo si direbbe de le piante e di altre cose. Così volendo
che l'eloquen tia sia dell'uomo, e non di un'al tra specie,
e non gli avendo cons titui to pi ù di co tanta vita, quella
per fe tta idea ha voluto che dell'uomo che puoco vive
tosto fusse, che sarebbe sta ta se la sua vi ta avesse dis teso
a pi ù lontani termini con alcuno indugio. E quando si
diceva che Ciceron di 50anni avanz òsémedesimo men ­
tre era di 25 o di 30, io dico che quando da giovine tto a -
l . Aristotele, Historia animalium, 490a, 34b; 552b, 1 7-23.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 261
vesse concetto la vera e perfetta idea de la eloquentia, o
ne la tenera età li fosse stata mostra, sì come penso la
concepesse, e da perfetti maestri mostrata li fosse, non
sarebbe vero dir che di anno in anno egli l'avesse con­
cetta meglio, ma ben miglior e più eccellente l'avesse
mostra di fuori ne' suoi scritti. E che il vero sia, esso me­
desimo dice, e dir fa a Marc'Antonio, ch'egli ha ne la
mente la idea de la eloquentia tale che a lei né il suo, né
l'altrui stilo può arrivare. 1 Questa adunque, se lungo
tempo visse fosse, avrebbe non concetto più excellente,
che già era perfetta ne la mente, ma per avventura ex­
presso migliore. Ciceron adunque di 40 anni superò sé
medesimo di 30, non nel concepir più excellente forma,
ma nel rapresentarla. E per qual altra cagione credete
voi che Virgilio ne la sua morte nel suo testamento com­
mettesse che l'Eneide fosse data al fuoco? 2 Certo non
per altro, se non perché ne la mente li sedea un'altra E­
neide, la qual non li parea aver possuto exprimer; adun­
que avea, secondo il suo aviso, ne la mente la perfetta i­
dea de la Eneide, la qual con gli scritti non li parea aver
possuto rappresentar ancora; e se non l'avesse avuta,
non avrebbe possuto far tal giudizio. Sia nel conspetto
di Zeusi Elena non in carne, che consummata dal tempo
tutto dì si anderebbe alterando, ma Elena ne la più fiori­
ta età, formata da alcun perito scoltore in un ben lavora­
to marmore. Ed esso Zeusi sia giovine, e viva 60 anni, e
negli anni giovinetti abbia ne la mente tutta quell'arte
compresa che potesse esser concetta pertinente a la det­
ta statua di Elena, ed esso non volesse in tutta la sua vita
far altro che col pennello ritrar in pittura l'Elena mar­
morea tante volte quante potesse. Dico ch'esso sempre
avrebbe quella medesima Elena ne la mente, ma d'anno
in anno anderebbe più sempre migliorando ne lo expri­
merla in pittura, perché la mano d'anno in anno diven­
terebbe più exercitata. Posta adunque la perfetta colo-
1. Cicerone, Orator ad M. Brutum, 11, 7.
2. Elio Donato, Vita Vergilii, 39.
262 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

cazion ne la mente, il miglioramento non sarebbe da la


parte de la idea, ma da la parte dell'artefice. Ma noi, che
non abbiamo avuto né da giovanetti né da attempati do­
cumento certo e chiaro per il qual abbiamo possuto con­
cepir questa idea, ci convien d'anno in anno perfino a la
vecchiezza andarla concependo per gradi e rappresen­
tarla or in un modo, or in un altro, perciocché non l'ab­
biamo ricevuta ad un tempo tutta. E molti sono che pri­
ma ardiscono di rappresentarla che concetta l'abbiano.
E tali sono come alcuni o fanciulli o rozzi, che senza sa­
per le forme de le lettere menano la penna tinta per la
carta e fanno alcuni strani caratteri, perché la mano non
è governata da la mente. Di qui si può comprender
quanta utilità io sia per dar a chi mi ascolta, se ne la loro
mente collocherò tale idea quale possa bastarci a le com­
posizioni. Ma entriamo in un più bel dubbio: quando
Zeusi dipinse Elena tenendo avanti a sé lo exempio di
cinque bellissime vergini, 1 credette voi che prima ch'e­
gli vedesse le vergini avesse ne la mente la bellissima for­
ma di Elena, o dopoi che vide le vergini se la formasse
nella mente? Se direte ch'egli l'avesse prima perfetta­
mente, adunque vano era il voler l'exempio de le vergi­
ni. Se direte dopoi, adunque egli non avea ne la mente
alcuna perfetta idea di donna giovane, perché ben sape­
te ch'egli non vide mai Elena. Adunque le nostre menti
non possono concepir cosa perfetta? Adunque gli indivi­
dui sono più perfetti che gli universali, volendo socorso
dagli individui? So ben, eloquenti padri, risponderete
che Zeusi essendo excellentissimo di necessità tenea ne
la mente la idea perfettissima d'una giovine, o fosse
quella che portò dal cielo, o quella che apprese dai mae­
stri o da' libri, né per dar perfezion a questa de la mente
volse lo exempio degli individui, ma solo perché gl'indi-
1. Le fonti classiche della storia di Zeusi che deve raffigurare Elena
sono Cicerone, De inventione, II, 1, 1; Plinio, Historia naturalis, XXXV,
64. Cfr Sabbatino, La bellRzz.a di Elena, cit. ; Lecercle, La Chimère de
Z'.euxis, cit.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 263
vidui gli dessero strada da tirar quella de la mente al sen­
so amico degli individui. 1 Adunque volendo condur al
senso quella idea eh'egli avea ne la mente, prese le vergi­
ni sensibili, acciocché quelle li mostrassero la via di far
sensibile quella idea ch'egli avea dentro insensibile. Il
perché hanno in costume gli excellenti pittori, quando
vogliono far per grazia di exempio un cavallo, prima di
dissegnarlo tale qual lo intendono dentro, e poi voglio­
no veder il vivo, per pigliar quasi una viva via di farlo tale
qual il senso lo suol vedere;2 ed i nobili eloquenti far così
dovrebbono: prima comporre ed informar la materia ad
imitazion di quella idea che dentro hanno, poi pareg­
giarla a la particolare di alcun perfetto auttore, ed anco
farla sentir a li giudiciosi per potersi consigliare se la sua
arte è amica de la natura e paia naturalmente fatta. Né
mi rimarrò di dire che in due modi avrebbe possuto aver
Zeusi l'imagine di Helena ne la mente: in un modo se
egli avesse veduto Elena viva, e questa imagine sarebbe
d'un particolare, ne l'altro modo formandosi una per-
I. Nel manoscritto De imitatione dicendi (c. 12r) l'esempio di Zeusi
viene citato a riprova del fatto che per rivestire la materia di passioni
bisogna ricorrere non tanto ad Aristotele quanto ai testi degli scrit­
tori, come un pittore che ricorre a modelli naturali per dipingere le
singole membra del corpo.
2. Nella seconda lettera che Pico della Mirandola indirizza a Bembo
sul problema dell'imitazione, si cita il passo di Cicerone, Orator, II,
B-9, in cui si afferma che Fidia scolpiva ispirandosi all'idea che aveva
nella mente (cfr. Pico della Mirandola, Le epistole «De imitatione », p.
65). Nella lettera al Castiglione del 1514 che il Dolce pubblica attri­
buendola a Raffaello leggiamo, a proposito dell'affresco di Galatea
per Villa Farnesina: « per dipingere una bella, mi bisogneria veder
più belle, con questa condizione: che Vostra Signoria si trovasse me­
co a far scelta del meglio. Ma essendo carestia e di buoni giudici e di
belle donne, io mi servo di certa idea che mi viene alla mente » (Raf­
faello Sanzio, Tutti gli scritti, a cura di E. Camesasca, Rizzoli, Milano,
1956, p. 29). Posizioni analoghe si trovano nei trattati d'arte succes­
sivi, di ispirazione manieristica (cfr. ad esempio Vincenzo Danti,
Trattato delle perfette propurzioni, Firenze, 1567, citato da Paola Baroc­
chi in Scritti d'arte del Cinquecento, Ricciardi, Milano-Napoli, voi. Il,
1973, pp. 1571-72). Cfr. Panofsky, Idea, cit.
264 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEA TRO

fettissima i dea ne la mente, al in dirizz o de la quale egli


avesse p ossut o dissegnar c ol pennell o mille bellissime
gi ovani, e questa sarebbe stata, si c ome fuin Zeusi, i dea
universale. E la det ta i dea d'un partic olare p otrebbe per
aventura esser stata tale ne la mente d'un rus tic o, d'un
r ozz o, e l ontan o dall'arte de la pittura, tale anc ora in u­
n ospecchi oe din una fonte, se Elena le si fusse opp osta,
quale avrebbe p ossut o rilucer ne la mente di Zeusi, ma
c on ques ta differen tia, che quella che fusse stata ne la
mente di Zeusi, per c ognizi on de la pittura egli avrebbe
a nc or c on osciut o le par ti per fette e dimper fette di lei di
dentr o,ma quella che fusse s ta ta ne la mente d'un igno­
rante di pittura, dat oche fusse quella me desima che nel­
la mente di Zeusi, n on al trimenti n on le avrebbe p ossu­
t o aggiunger la c ognizi on de le c ose pe rfette e d imper­
fette, che si farebbe un o specchi o e_ d una fonte priva
n on pur di c ognizi on, ma di sens o. E anc or un'altra di f­
ferentia, che la man o di Zeusi e xercita ta e d acc ompa­
gna ta c on la detta c ognizi on l'avrebbe p ossut o rappre­
sentar di fuori ne la pit tura quale egli den tr ola ve dea, il
che la man o de l'ign orante far n on p otrebbe per n on a­
ver né abit o, né s ocietà c on la c ognizi one . La mente a­
dunque d'un o ign orante perché ha natura di rappre­
sen tar le imagini, tali le rappresenta dentr o a gli occhi
de la mente quali fann o li specchi e le font i a gli occhi
c orp orali, per la l or o pr opria natura e perché s on o ma­
terie luci de e d acc omm odate a rappresentar imagini,
per le quali c ose si pu ò c ompren der che quantunque
anc or ne le ment i di tre dissegnat ori rilucesse la me desi­
ma i dea d'un partic olare, e che ciascun o di l or oavesse e
c ognizi on de l 'arte e man o e xercita ta, n on dimen o cia­
scun ne la c ognizi on de la sua arte per v olerla rappre­
sen tar fuori, a vrebbe alcune c ose che avrebber o riguar­
do a l'imagine, e dalcune a la l or o partic olar arte. Ecc o,
un pitt or,un osc olt or et un oplastic o hann oc oncett one
la mente una me desima immagine del re Francesc o e
ciascun o la vu ol rappresen tar fuori; ciascun o dic o ha
due riguar di,l'un oalla imagine,l'altr oalla sua arte,per -
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 265
ché ciascuno la vuol rappresentar, ma ciascuno avendo
anco riguardo a la sua arte, la vuol rappresentar siccome
alla sua arte si richiede. Imperocché il pittore la rappre­
senta co' colori, e più vuole che 'l guardator intenda di
quello che abbraccia col senso. Lo scoltore la fa veder
nel marmore senza colori, perché il marmore si conten­
ta della sua bellezza propria; lo plastico è partecipe de lo
scoltore e del pittore: de lo scoltore, perché fa tutta la
statua da ogni parte sensibile; del pittore perché adope­
ra i colori per coprir la bruttezza della terra. 1 Tale po­
trebbe rilucer la idea di alcuna particolar eloquentia,
come sarebbe una petitione ne la mente d'un rustico,
d'uno ignorante, qual è ne la mente d'un eloquente,
perché a tutti la natura insegna che avendosi a diman­
dar piacer da altrui, si abbiano a propor cose che seco ci
abbiano a conciliare, e dimandar la cosa con promission
di compenso e di gratitudine. Ma la cognizion dell'igno­
rante non ha possuto osservar per li autori che altrimen­
ti abbiamo a dimandar ad un maggiore, altrimenti ad un
pari, altrimenti ad uno inferiore, altrimenti ad uno con
cui abbiamo dimestichezza, altrimenti ad uno con cui
non l'abbiamo ed altrimenti ad uno che ci sia stato sem-
1. Lo stesso esempio è più ampiamente sviluppato nell' Interpretatione
dell'arca del patto, a conclusione della descrizione della discesa dell'i­
dea dall'unità dell'intelletto divino alla molteplicità del mondo natu­
rale: « Vedi come et in quanti lochi riluce una istessa idea, sempre vi­
cinandosi a maggior corporalità. Exempio. Piglia un maestro che sia
pictor, scoltor, statuario e plastico, il qual voglia rapresentar in qua­
lunque delle predette specie della sua arte Sua Maestà, l'imagine del
quale certo prima resplendeva nella mente del maestro, e la istessa
ne gli occhi del medesimo, poi nella pictura, dove sottogiacerà alcu­
na corporalità, ma non tanta quanta nella statua o nella plastica. Vedi
in quanti lochi sarà una stessa imagine. Et se sarà diffusa ancora, et
messa in stucco, in metalli, in panni tessuti di razzo, in cera, et in tutti
li materiali capaci, la vederai medesima, ma in più et meno degni
soggetti. Et se ascenderai, dei pensare che ancor questo su nel eccel­
lentissimo luoco nella mente divina esser, dove ancor li nostri capelli
sono numerati. Hora se queste forme de individui stanno così occul­
ti ne' lor seni, che diremo delle idee?» (cc. 15v-16r).
266 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

pre amico, altrimenti ad uno racconciliato, e molte altre


cose simili; 1 oltre a ciò l'ignorante non ha lingua né ma­
no exercitata, né guidata dal sapere. E di quelli che si
dilettano di eloquentia e che possano di lei aver perita
cognizione parimente fa bisogno che abbiano due ri­
guardi: l'uno alla particolare idea collocata nella mente,
l'altro a la natura de la lingua o de la maniera de la elo­
quentia, perciocché sono alcune lingue che patiscono
molte vaghezze, come per avventura la greca, altre sono
contente di una cotal sua gravità, qual è la lingua latina,
altre come la nostra italiana dell'una e de l'altra sono
partecipi per coprir quella brutezza che il volgar le dà.2
Così il poema heroico, lirico ed elegiaco tali pitture ado­
pera, che la sciolta orazion non vuole, la qual è contenta
d'una cotal gravità; ed il comico ed il tragico ed anco
spesso l'istorico è temperato tra questi due, quantunque
Cesare imitando la semplicità di Xenofonte si sia tutto
gettato da la parte dell'oratore semplice, per prometter
maggior verità ne gli scritti suoi. E benché l'ignorante in
alcun modo possa rappresentar quella istessa idea d'un
particolare che un perito può, si come ne' dati esempi
comprender si può, nondimeno la universal idea che
spetta a tutti li particolari non li può esser commune,
che nessuno abbracciar la può se non il perito. E ben si
vede che i dissegnatori che seguitano l'universal idea, la
qual è perfetta, hanno più nobili le pitture e le statue
che non fanno quelli che perdono il tempo nel ritrarre,
perché quelli che dirizzano la mano a la universale, che
1. Cfr. le argomentazioni con cui, nel Discorso in materia del suo thea­
tro, Camillo dimostra la necessità della sua opera: i modelli dei tre
generi retorici offerti dalla trattatistica tradizionale sono troppo ge­
nerici, non tengono conto, ad esempio, delle diverse qualità e circo­
stanze relative alle persone con cui si tratta (pp. 17 sgg.). La data di
composizione del Discorso sembra essere piuttosto vicina a quella
delle orazioni latine, che vi sono infatti citate: cfr. p. 24.
2. Carnillo mostra qui di essere ancora legato alla cultura umanisti­
ca, e all'idea che il volgare sia una lingua inferiore rispetto alle lin­
gue classiche.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 267
è perfetta, fanno l'abito nel perfetto, e quelli che imita­
no gl'individui de la natura, che hanno molte imperfe­
zioni, guastano l'abito per quelle. 1 È il vero che gl'indivi­
dui de la eloquentia trattati da perfetti autori non sono
imperfetti come quelli de la pura natura, il perché si
possono e si devono imitare nel modo ch'io al suo loco
mostrerò, dopoi che migliore non veggio ci sia stato in­
segnato né da antichi, né da moderni. Né vi dee parer
questo mio modo, ancorché nuovo sia, lontano da la ve­
rità, imperocché que' medesimi consigli e prudentie
che spettano alle altre facultà dimostro esser a questa
communi. Vedete ben che parlando io de la eloquentia
piglio li exempi da le altre arti. E dimostrando io ne le
altre arti esser il medesimo dovete creder che vero sia
quello che io dico ne la principale, perché la natura è
una e medesima in tutte le cose. 2 Ma per conchiuder le
cose predette con queste dico perché non ci è licito an­
dar in infinito e fa bisogno ne le cose trovar un termine,
che siamo astretti di confessar che la universale idea de
la eloquentia abbia certi termini, oltre a' quali non ci è
lecito passare. E perché non possiamo raffigurar, come
ho detto, le cose intelligibili se non per le sensibili, fin­
giamo una camera tutta incrostata di materia lucida ed a
rappresentar imagini acconcia. Ed in questa camera sia
1. Sulla eccellenza del disegno e sul suo legame con l'idea, specie
nella tradizione fiorentina, cfr. Scritti d'arte del Cinquecento, cit., pp.
1899-2118. Cfr. anche Trattato dell'imitazione : « et in questa buona o­
penion ci dee confermar la nobilissima arte del disegno, sotto la
qual cade la pittura e la scoltura; imperò che nissuna di queste giun­
se alla sua sommità perché alcun pittore o scultore del solo suo inge­
gno si contentasse o perché volendo lasciar alcuna opera perfetta,
esso pigliasse la similitudine solamente di alcuna particolar perso­
na » (p. 176). Ma si veda anche, per una più antica fortuna del tema,
un capitolo di Niccolò da Correggio: « e un pictor, benché sia de
optimo ingegno / bella opra non farà, se nel concepto / prima non
se avrà facto un bel dissegno » ( opere, a cura di A. Tissoni Benvenuti,
Laterza, Bari, 1969, n. 400, vv. 4-6).
2. Qui Camillo ribadisce l'idea tradizionale della superiorità della
letteratura sulle altre arti, che altrove sembra attenuata.
268 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

nudrito un bambino, né si abbia a levar perfìn che non


rappresenterà ne la lucida camera la più perfetta forma
sua. E sia ancor un gran marmore, del quale un perito
scultor voglia far alcuna perfetta statua. Cresca ad un
tempo il fanciullo e facciasi la statua. Certo di giorno in
giorno ciascuno di questi rappresenterà ne gli specchi
più perfetta forma, né però è da creder che così come il
fanciullo perfìno a 25 o 30 anni rappresenta sempre più
perfetta forma, ch'egli andando verso la vecchiezza l'a­
vesse a rappresentar più bella, anzi colui che fosse venu­
to a li 25 o 30 anni, se si lasciasse più ne la camera, ande­
rebbe di giorno in giorno più rappresentando figura
scadente, perché ogni cosa mondana ha il suo cresci­
mento, lo stato e discrescimento. Così la statua di giorno
in giorno lavorata ribatterebbe negli specchi più perfet­
ta la sua forma, ma giunta al termine de la sua perfezio­
ne, se lo scultor volesse seguitare e la volesse più perco­
ter, la guasterebbe, e così incominciarebbe a dimostrar
ne' specchi il cadimento de la sua perfezione da quello
stato nel quale ella la mostrava. E così come manifesta­
mente si comprende esser certi termini ne le cose de la
natura e de l'arte del disegno, così si dee creder che sia­
no ne l'arte de l'eloquenzia, perché sempre l'arte di
qualunque facoltà imita, in quanto può, la natura. A­
dunque l'idea de la eloquentia concetta ne la mente di
alcuno eloquente, se concetta è in quella perfezion che
l'uomo nella sua breve vita conciper può, che certo con­
ciper la può perfettamente essendo solamente per l'uo­
mo fatta, non può dico andar in infinito la concettione
di lei, e si dee accordare con la brevità de la vita. E per­
ché qui sono due opinioni, l'una de' platonici, l'altra
de' peripatetici: gli platonici credono che l'anime no­
stre discendano, come abbiamo detto, ne' corpi con le
dette idee, ma poi adombrate da' corpi quasi si scordi­
no; dopoi per la lezione o per altro modo se ne rammen­
tino. Ma i peripatetici affermano che l'anime nostre di­
scendano ignude de le dette forme e che dopoi vedute
le cose le ricevano. Adunque sia vera la opinion di Plato-
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 269
ne, o di Aristotele, ci è forza dopai la cosa concepir la
detta forma da i libri, secondo Platone per ricordarci,
secondo Aristotele per riceverla ne la ignuda mente. La
qual forma non è infinita, anzi l'exempio del bambino
crescente e de la statua avanti gli specchi dee aver certi
termini. Resta eh 'io dimostri quali siano li termini de la
universale idea, dentro de' quali possiamo imaginar
ch'essa sia quasi rinchiusa, e ch'io non pur a l'intelletto,
ma in quel modo eh 'io potrò ancor al senso la porga ac­
concia ad esser raffigurata. E perché li termini sono due,
imperocché levando gli occhi verso quelli da li quali essa
piglia li suoi principi, sono li altissimi oltre a li quali non
ascende, et abbassando gli occhi verso quelli che
confinano con le materie, sono li bassissimi, sotto i quali
ella non può scender, e mentre scende diventa partico­
lare, circonscritta, segnata e sensibile idea. Percioché
quantunque possiamo imaginar ed intender che animai
sia una natura viva e che si muova, nondimeno quando
consideriamo così fatto viver e moversi dentro dell'uo­
mo, del bue e del liane, già si vicina al senso; ma tanto
più è vicinato al senso quando è veduto in quest'uomo,
in questo bue, et in questo liane, quanto non fa bisogno
che più giù si scenda. Adunque la detta idea solamente a
le particolari e segnate materie applicata può esser vera­
mente abbracciata dal senso. E mentre da gli altissimi
suoi termini discende verso i bassissimi, quasi per sette
gradi fa il viaggio suo, sempre più promettendo al senso
di divenir oggetto suo. E quando è nel secondo grado,
dà più di sé speranza al senso che quando era nel primo,
e mentre ella è scesa nel 3 ° , 4° o 5 ° maggiormente, ma
quando è nel sesto, non può scender ch'ella non caggia
nel settimo, ch'è l'ultimo, e dove è la segnata materia,
per la quale è fatta sensibile; ma per fino eh' ella si sta nel
sesto grado dimostra li perfetti lineamenti di universale
idea, e come tocca col piede il settimo già diventa parti­
colare, ed acciocché io sia inteso meglio darò un exem­
pio, non perch 'io creda così esser la cosa, che ci darà
270 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

l'exempio, 1 ma perch'io meglio faccia capire chi mi a­


scolta come l'universale idea scendendo per i predetti
gradi più diventi sensibile. Perché sono di que' filosofi
che hanno creduto nel cielo immobile, il quale sarebbe
1'8 ° sopra Saturno, star la nostra rationale anima; il qual
loco finsero i poeti esser i campi elisii, perciocché sente
quel cielo, secondo loro, de la natura de la più pura ter­
ra che dar si possa. E quando l'anima viene in desiderio
del terrestre corpo, hanno in opinione che discenda per
le sette sfere e per i quattro elementi, e finalmente entri
nel corpo organizzato ed apparecchiatole da la natura
nel materno ventre. 2 È adunque lontanissima dal senso
mentre dimora nel immobile cielo, ma scendendo di
cielo in cielo piglia alcune qualità, che sentono de le na­
ture de gli elementi, e più ne le sfere vicine a noi, che a
quelle che sono più alte, e più anche quando passa per
questi nostri elementi, che quando ancor non vi è giun­
ta, ma quando è entrata già nel corpo, dove tutti quattro
gli elementi sono uniti, allor è tutta per le azioni sue sen­
sibile. Questa tengo io esser quella Pasiphae la qual mos­
sa dall'amor del tauro, il qual è il corpo, si parte da la
dignità e scendendo per le sette sfere sempre viene più,
per così dir, facendosi vacca, cioè sempre più acquistan­
do natura corporea, per esser poi quando sarà vicina al
tauro accommodata a' suoi congiungimenti. 3
E la ragion di questi che così pensano, è perché fanno
quattro quaternarii, de li quali ciascuno tenga la natura
1. Questa dichiarazione cautelativa nasce dal fatto che le teorie qui
esposte sono difficilmente conciliabili con la dottrina cristiana, con
l'idea di una creazione divina dell'anima individuale.
2. Sulla caduta delle anime, cfr. Platone, Phaedrus, 248a sgg. Su alcu­
ni momenti della lunga tradizione che ne deriva, cfr. Meine Adriaan
Elferink, La descente de l'ame d 'après Macrobe, Brill, Leiden, 1968; Aldo
Setaioli, La vicenda dell'anima nel commento di Seroio a Virgilio, Lang,
Frankfurt am Main, 1995.
3. L'immagine di Pasifae e il toro viene usata nell'Idea del theatro per
contrassegnare il quinto grado, riprendendo l'interpretazione che
del mito dà Platone, Phaedo, 81b.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 271
di quattro elementi: nel primo quaternario entrano il
cielo immobile, Saturno, Giove e Marte, scendendo de li
quali il cielo immobile, siccome io dissi, è purissima­
mente terreo, Saturno acquatico, Giove aereo, Marte i­
gneo; nel secondo seguente quaternario vengono il So­
le, Venere, Mercurio e la Luna, li quali ma con ordine
converso, sì come il seguente, hanno le medesime natu­
re, ma men pure e più vicine al senso, imperocchéil So­
le è igneo, Venere aerea, Mercurio acquatico e la Luna
terrea; segue poi il terzo quaternario di essi medesimi
elementi, fuoco, aere, aqua e terra, de li quali ciascuno
quanto è più vicino a noi, tanto è più grave. E il quarto
quaternario èil corpo elementato. 1 Ma tu, che ricompe­
rasti l'anima nostra col tuo precioso sangue e che per
salvar noi desti te medesimo, dammi, prego, perdono,
se uscendo fuor de li tuoi santi documenti, mi servirò
d'un exempio molto ancor più lontano da la tua verità,
ma non voglio che faccia altro officio che d'exempio.
Poniamo adunque che quello che falso è sia, e per un
poco solamente, cioè che l'anima rationale sia unica, e
poniamola non altrimenti che un'universale idea, da la
quale tutti gli uomini abbiano l'esser, i quali uomini da
gli antichi furono simbolizati per le tre sorelle Gorgoni,
che aveano un solo occhio tra loro, il qual insieme se lo
prestavano. 2 E poniamo che la detta universale idea vo­
glia di sé animar i corpi scendendo per le sette sfere e
per i quattro elementi; certo il suo più alto termine sa­
rebbe il ciel immobile, dove ella è lontanissima dal sen­
so, ed il basso suo confine sarebbe l'ultimo elemento,
cioè la terra, a la qual giunta, ma non entrata ancor in
alcun corpo, benché non le mancasse più d'un grado,
1. La corrispondenza fra gli elementi e le sfere celesti è trattata an­
che in Sermoni, cap. III, c. 19v.
2. Nell'Idea del theatro le Gorgoni contrassegnano il quarto grado,
quello dedicato all'uomo interiore. Significativo è il fatto che qui
Camillo chieda scusa a Cristo dicendo che si serve di quest'immagi­
ne per esprimere una concezione non vera, che gli servirà solo da
esempio: si riferisce alla filosofia di Averroè.
272 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

essa potrebbe esser chiamata universale idea, perché da


quel grado potrebbe animar più corpi, ma subito eh'ella
fusse entrata in uno, già perderebbe il nome di universa­
le per quel tempo ch'ella tenesse animato quel segnato
individuo, e per il detto corpo già sarebbe fatta vicina al
senso, in quanto ella più potesse. Adunque facendo di­
scesa per le sfere, più sarebbe vicina al senso nel secon­
do che nel primo quaternario, per quelle nature prese
da le sempre più gravi qualità degli elementi, e più nel
terzo che nel secondo, ma più nel quarto che in tutti gli
altri precedenti, né per pigliar quelle del seguente ver
glio che abbandoni quelle di ciascun precedente. A la
similitudine de la quale io vi dipingerò l'idea universale
non pur de la eloquentia e de la grammatica, ma de l'ar­
chitettura, de la scultura, de la pittura e de la militia, ed
il medesimo giudicar potrete esser ne le idee di tutte
l'altre facoltà. 1 Dico adunque, dopoi ch'ho mostrato lei
aver certi termini di sopra e di sotto, per quel ch'io cre­
do quello di sopra è quel primo principio avanti al qua­
le altro non può essere. E sarà come un grado del sette­
nario proposto, ed il primo grado de l'architettura e
dell'arte del dipinger, per il quale esse scendono per far­
si conoscer, è la cognizion non del punto, ch'è solamen­
te del geometra, ma di tirar una visibile linea in tutte le
sue maniere, e quello de la militia è che colui che vuol
venir a lei sappia tirar prima per se stesso un mandrito,
un rovescio, un fendente, un colpo di sotto in su, ed una
punta in tutte le sue maniere. Ed il primo della gramma­
tica, la qual ancor Cicerone nel primo dell' Oratore se­
parò de la eloquentia, 2 come diversa facoltà, non è la
cognizion de le lettere sì propria ch'ella non sia anco
comune a molte altre facoltà, né la grammatica ha ac­
quistato il nome da le lettere perché ella sia tenuta di
1. Un analogo tentativo di delineare un percorso settenario dell'i­
dea delle diverse arti (con diverse soluzioni) è nel Trattato dell'imita­
zione, pp. 17�3.
2. Cicerone, De oratore, I, 42.
L' IDEA DELL' ELOQUEN ZA 273
saperle solamente conoscer l'una da l'altra, ma di saper
anco accompagnar l'una con l'altra, il che è chiamato
ortografia, e perché questa fatica di scriver dirittamente
non si può apparar ne' suoi principii conciosiacosache è
impresa di molti anni, e più per avventura difficile da
conseguir che tutte l'altre sue parti. E tale finalmente
che per tutti i suoi gradi tiene il suo regno, sì come il sa­
per la fonnazion de le parole ne ha più l'uno che l'altro
proprio che ciascun di quelli ci convien saper con le de­
bite lettere scriver; sarà adunque il primo grado de la
grammatica il saper piegar e nomi e verbi; ma il primo
de la eloquentia, la qual incomincia là dove la gramma­
tica ha il suo fine, il qual conoscerete nel quinto suo gra­
do, è dico di saper i primi elementi suoi, che sono vestir
di tre maniere ciascun concetto umano, cioè di locuzio­
ne propria, translata e topica, e di conoscer tutte le ma­
niere de le figure di collocazione, tutte le quantità gran­
di e picciole de' periodi e de le loro parti, tutte le loro
legature, tutte le maniere de' numeri e de le armonie
per esser poi apparecchiato secondo che la materia di­
manderà a darle quello che debitamente si converrà. Il
secondo grado de l'architettura e de la pittura è di saper
tirar una superficie, e de la militia di accompagnar ben
le parti de la persona a li detti colpi, ma de la grammati­
ca è la cognizion di accordar l'una parte con l'altra nel
genere, nel numero, ne la persona e nel caso. E de la e­
loquentia è senza aver riguardo ad alcuna materia, di
saper tirar insieme tre, o quattro, o cinque concetti vesti­
ti con grato suono all'orecchio.
Il terzo grado de l'architettura e de la pittura è de la
superficie saper far un corpo, il qual è generale al
edificio ed a le figure di ciascuno animale, ed anco a le
parti di quelle, come sarebbe ne la pittura saper far un
occhio, un naso, una bocca, una testa, un braccio, una
mano, una gamba ed un piede. De la milizia è non sola­
mente di accompagnar le parti de la persona a li colpi,
ma ancor di accompagnarsi con altrui in giocar d'arma,
il qual accompagnamento dà quasi corpo a la militia. Ma
274 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

de la grammatica è di saper col verbo accompagnar i


nomi davanti e dietro ne' convenevoli lor piegamenti, e
de la eloquentia sarebbe di saper un proemio, una nar­
razione, una petizione, che ben vedete che ancor Cice­
rone non si vergogna, scrivendo ad Attico, dirli eh'egli
ha un libro di proemi, li quali egli teneva apparecchiati, 1
e benché essi nascano da le viscere de le cause, nondi­
meno, le cause fuori de le persone e dei tempi avendo
numero finito e non infinito, poteva Cicerone apparec­
chiarsi e proemi ed alcune altre parti accomodandole
poi a le particolari cause che li si afferivano. Il quarto
grado dell'architettura e de la pittura è di saper far en­
trar il corpo in ciascuna figura, perché non si può dar
corpo senza, et le figure sono o triangolari, o circolari, o
quadrate, o ottagone, o ovali, o di alcuna de le altre spe­
cie. Ma de la militia è di tirar li detti colpi accompagnati
con le parti de la persona e con altrui, a piede, o a caval­
lo, da uomo d'arme, o da cavai leggiero, o da fante; e
quel de la grammatica è la cognizion di tutte le nature
de' verbi, imperocché sono di quelli che hanno e di
quelli che non hanno persona; e di quelli che l'hanno,
alcuni tengono azione, alcuni passione; altri sono entra
due, altri ambedue abbracciano, altri l'una pigliano e
l'altra lasciano. E de la eloquentia è di conoscer i tre ge­
neri de cause, demostrativo, deliberativo e giudiciale, e
le loro trattazioni, ed i loro fonti e le loro convenevolez­
ze, perché non si può far composizione alcuna, che non
entri in uno di questi. Il quinto grado di architettura e
de la pittura è che le dette linee e superficie, e corpo o
triangolare o circolare o altrimenti può esser fatto in u­
na delle cinque maniere, toscanica, dorica, ionica, co­
rintia e mista. 2 E quel de la militia, è di tirar li detti colpi
accompagnati da la persona al contrasto di altrui a pie­
de, o a cavallo, a la italiana, a la francese, a la spagnuola,
1. Cicerone, AdAtticum epis tu/ae , XVI, 6, 4.
2. La definizione dei cinque ordini si deve a Sebastiano Serlio, che la
espone nel libro IV (R.egok generali di a rchi tetu ra).
L' IDEA DELL'ELOQUEN ZA 275
overo alla tedesca, e quel de la gramma tica è saper far le
construzioni secondo la qualità de la lingua. Ma l 'elo­
quentia è secondo che patisce la lingua greca , latina, o
volgare in una de le tre m aniere di s tile a lto , mediocre,
o vvero umile. Il sesto ed ultimo grado de la idea univer ­
sale de l 'architettura o de la pittura è di saper far un
corpo, cio è un edifizio, o fig ura che fusse sola ovver ac­
compagna ta, imperocchéil solo per l 'architetto sarebbe
una torre, un tempio di una capella sola , un portico;
l 'accompagna ta sarebbe una città,un palagio dove mol­
te cose si hanno a far corrisponden ti, e trovansi nel vero
mol ti architet ti che faranno bene un edifizio solo,o sen ­
za esser partito, ma non riescono poi in quelli che han ­
no molte s tanze partite. Così alcuni pittor i sono che
e xcellentemente fanno una figura per sé sola, come a
nostr itempi Michelangelo,altri sono div ini nel compor­
re una istoria, dove molte figure hanno ad entrare, co­
me fu Ra fael d 'Urbino,il quale faceva sìche t utte le figu­
re ancor in diversi atti ed in diverse posizioni si accorda­
vano, attendendo ad a lcuna cosa principale. E de la mi­
lit ia è di saper combatter e solo con solo ed accompa ­
gnato, ed anco obbedir e comandar ad uno e xercito e
contender in uno e xercito contro uno e xercito. Ma la
gramma tica, che si ferm ò g ià e diede l 'ultimo termine
nel quinto grado a la sua idea, non si pu òstender a que ­
sto sesto, e meno al settimo, imperoché ella, che ha il
suo fine solamente ne le convenevoli constr uzioni, non
pu ò aver al tr a consider azion in quelle che per sé sole
sono, e altra in quelle che sono accompagnate, conci er
siacosache tutte considera come pure cons truzioni sen­
za aver r iguardo a le na t ure de le materie; con queste
loro const ruzioni interpre tano le lingue de ' poeti, con
queste medesime quelle de gli orator i e pur quando vo ­
gliono ascender sopra questo grado , se son su fficien ti ,
non fanno pi ùl 'o ffizio del gramma tico, ma di eloquen­
te. E quelli che pur i grammatici sono , e chiusi tra 'l pri­
mo e quinto grado, non dovrebbono dar a ' giov inetti
que ' loro lunghi e mal fatti volgari , perché di parole
276 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

grammaticali li vestono, se prima non avessero modo di


dar loro una selva buona di parole sciolte ed accompa­
gnate tratte fuori di que' perfetti auttori, per non far che
fanciulli pigliassero mal abito, imperocché la maggior
parte de le loro construzioni, che comporta il grammati­
co, sono fuggite dal eloquente, come queste: io ti rendo
certo, dovendosi dir io ti faccio certo, che al grammatico
basta che colui che fa la cosa vada nel primo caso e colui
che la sostiene nel quarto. E facendo qui fin il gramma­
tico, l'eloquente, siccome dicemmo nel primo grado,
piglia il suo principio, incominciando a considerar quali
parole possano vestir gli umani concetti e semplici e rac­
compagnati; ma ritornando al sesto grado de la elo­
quentia, il qual è di saper tutte le cose pertinenti a li
precedenti gradi chiuder in una materia, e talhor fornir
tutta la composizione in una sola materia, talhor accom­
pagnar de le altre materie con convenevole corrispon­
denza, imperocché talhor tutta una composizione di­
mora in una sola materia, talhor ne tira dentro de le al­
tre. E quanti sono che per far uno epigramma, una ode,
una elegia paiono divini, che in una trattation d'un'ope­
ra continuata, dove entrano molte materie che le loro
corrispondenze dimandano, parrebbono altrimenti!
Resta ch'io dica del settimo di ciascuna delle predette,
dove sono già le materie che fanno diventar la detta idea
prossima al senso. E in questo solo si adoprano li consi­
gli e le prudentie accomodate a le particolari materie. In
questo se l'architetto vorrà far uno edificio ad un parti­
colare dio o uomo in alcuno segnato loco, a lui si con­
verrà aver veduti tutti gli edifici antichi che per il mondo
si trovano, 1 e del più simile accommodar a quello eh'egli
volesse far le vie ed i consigli, avendo rispetto al sito ed ai
1. Molto vicina a questo passo di Camillo è l'opera di Sebastiano
Serlio, in particolare il Terzo libro, dedicato a Francesco I, in cui rac­
coglie i disegni delle antichità, perché tutti le possano vedere e gli
architetti le possano imitare.
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 277
venti. 1 Il medesimo sia detto della scoltura, ne la qual la
pittura per la durabilità marmorea si mantiene.
Ed il professor de la militia in questo solo settimo gra­
do, se sarà proposto al governo di alcun exercito, men­
tre si troverà con l'exercito in alcun segnato loco ed il
nemico appresso, dee per la lezion di molte istorie ac­
commodar al negozio suo alcun consiglio che avesse te­
nuto in così fatto caso alcun capitano antico, per il qual
consiglio fusse rimaso vittorioso. 2 Così ne l'eloquentia si
dee governar il prudente componitor vedendosi avanti
uno apparecchio di tutte le materie trattate da' nobilissi­
mi scrittori antichi, 3 de li quali minutamente ne le se­
guenti difese parlerò e farolle, spero, per dimostrative
linee sì vicine al senso, che ciascuno se ne potrà appaga­
re. Questi adunque avrà modo a qualunque particular
materia li verrà avanti d'esser trattata, di accommodar a
la sua non pur una, ma molte così fatte levate dagli anti­
chi, de le quali quella eleggerà che più li parrà al propo­
sito. Tanto anco dirò che quando Cicerone o Marc'An­
tonio dicevano aversi formato uno orator ne la mente, al
qual nessuno con la composition era ancor giunto, io
1. Sulla necessità per l'architetto di tener conto dei venti, cfr. Vitru­
vio, De architectura, I, 6 (e la traduzione e il commento di Cesare Ce­
sariano, Di Lucio Vitruvio Pollione de architectura libri dece traducti de ln.­
tino in vulgare affigurati: commentati et con mirando ordine insigniti. . . ,
Gottardo Da Ponte, Como, 1521, cc. XXIIv-XXVIIIv ) .
2. L a descrizione dei diversi gradi della milizia può essere accostata
alla notizia data dal Castelvetro per cui Camillo, fra le opere scritte
per conto d'altri (ad esempio una novella) , avrebbe composto « il
libro della scrimaglia a maestro Antinovolo » (Lettera di Lodovico Ca­
stelvetro a M. Antonio Modona a Brissello del lustro, et dell'Olimpiada, cit.,
p. 430) .
3. È questo un esempio, declinato secondo l'ottica universalistica di
Camillo, di quella tendenza a compilare repertori, raccolte di luo­
ghi comuni, ecc., che è fortemente presente nella cultura cinque­
centesca. Nel Discorso in materia del suo theatro, p. 29, Camillo ricorda
che Cicerone disponeva di una raccolta di proemi e suggerisce che
probabilmente lo stesso abbia fatto Boccaccio. Cfr. anche sopra, p.
274 e nota 1.
278 SEGRETI E METAMORFOSI DELTEATRO

credo che se di lui una sola idea concetta aveano, eh'ella


fusse la universal grande ch'io v'ho depinta e tirata giù
de la sua invisibilità per fino al sesto grado; ma se molte
idee pertinenti al orator aveano, eh'esse fussero quelle
che 'l settimo grado può dar con le materie, con i consi­
gli e con tutte le altre loro convenevolezze. Adunque
possiamo aver ne la - - - - - 1 la universale idea, che una è,
ma le particolari che molte sono. E se la universale fosse
portata da noi dal cielo, perché le particolari sono nate
dall'umano artifizio, io m'imaginerei che di tale orna­
mento fossero a la mente, di quale è l'immagine de la
luna o di altra bellissima stella, che dal cielo fosse river­
berata in una purissima fonte, la qual da le vicine rive di
mille varietà di fiori dipinte raccogliesse ancor le loro
vaghe pitture: noterebbe l'imagine de la luna o di altra
stella ne la fonte, e sopra quella noterebbono quelle di
fiori l'una all'altre porgendo bellezze ed ornamento. 2
Dipinto v'ho l'universale idea de l'eloquentia, e se non
per avventura tale qual vedea e Marc'Antonio e Cicero­
ne, almen quale ella è ne la mente mia, e quale ciascuno
che le avesse inclinazione potrebbe conciper. Né pro­
metto, ancorché molti vadan cicalando di sì, di poterla
non pur agli inclinati, ma ancor agli non inclinati farla
in un medesimo modo commune, si che ciascun di que­
sti potessero egualmente farla parer bella ne' suoi scrit­
ti, perciocché ho già mostro in una di queste diffese che
1. « Così nel manoscritto » si legge nel margine inferiore.
2. Questo passo è molto vicino a un canne latino che Camillo dedica
al re di Francia e che si intitola Theocrenus in onore di Benedetto
Tagliacame, precettore dei figli del re (in Lodovici, Pascalis, Iulii Ca­
milli, Molsae et aliorum illustrium poiitarum carmina, Gabriele Giolito
de' Ferrari, Venezia, 1551, cc. 53-54). E cfr. Interpretatione dell'arca del
patto, dove usa il paragone del!' occhio che è al buio ma desidera ve­
dere per spiegare il rapporto originario fra Amore e Caos: l'occhio
« si rivolge prima a mirare il Sole, poi vede il Lume del Sole; apresso
il Lume del Sole, vede et riceve le sembianze di varii colori, che così
lo dipingono, o gli varii fiori seminati dalla natura d'intorno alle
sponde d'una chiara et capace fonte, nella quale gli ribatuti fiori,
quasi dipinti si veggano» (cc. 18v-l 9 r) .
L'IDEA DELL'ELOQUEN ZA 279
la natu ra dal uomo non pu ò esse r data all'uomo , n é
quella dell'uomo imitata dal uomo. 1 È il ve ro ch'io ho
p romesso , e di nuovo p rometto , che tutti ed inclinati e
non inclinati la pot ranno vede r lineata con tutte le sue
pa rticola ri alt re idee . Ma pe r mio a vviso, quelli soli che
le ave ranno inclin azione fa ranno in lei quelle me ravi­
glie che ad ogni e xcellente cosa segui rsogliono. E p ro­
metto anco ra che tut ti ed inclina ti e non inclinati all'e ­
loquentia pot ran ave r facoltàdi sc rive rciascun suo con­
cetto , ma l'un da l'alt ro despiccato con quella medesima
fo rbita ed emendata lat inità con la qual i pi ù pe rlett i
antichi sc risse ro. Saràadunque questa ricchezza di pa ro ­
le a quelli che a vranno ed a quelli che non a vranno la
inclin azion comune ed anco sa rà commune il pote rve­
de rlineate , desc ritte e con gli a rt ifici suoi most ri tutte le
idee , ma di quei soli , che a lo ro av ranno piegata la natu­
ra e da quel Sol ch'io sop ra dissi pu ri fica ta , sa ràil pote r
pe rlettamente concipe re da ra ciascuna mate ria la con­
venevole fo rma ad imit azione di alcun pe rletto , ed in
continovato filo accommoda rle pi ù questa che quella
locu zione ed elocu zione , a fa rla sent ir netta e libe ra di
a ffettazione , e piena di cando r, di splendo r, e di dovuta
a rmonia . N é vi paia nuovo , s'io dica pote r fa rsc rive ran­
co rquelli che non hanno inclin azione latinamente tutt i
i lo ro concett i, ma fuo ri del filo , impe rocch é anco la da
me imi tata natu ra lo fece al buon tempo de' Romani , i
quali tut ti e inclinat i e non inclinati all'eloquentia , ed a
dive rse e anco ra v ili facoltàdati , latinamente pa rlavano
e sc rivevano. Èil ve ro che la selva de le pa role che da me
aspetta rpo trete sa ràtutta elet ta , tutta colta , e tale quale
i pi ù pe rletti ne le lo ro composit ioni adope ra rono. N é
questa p romission èpicciola, fatta da me anco ra a quelli
che non hanno inclin azione , impe rocch é ben sapete
che Cesa re disse che la ele zion de le pa role e ra o ri gine
1 . Cfr. Trattato dell'imitazione, pp. 178-79, e Pro suo de ewquentia theatro
ad Gallos oratio, p. 27.
280 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

de la eloquentia. 1 E l'eloquentissimo Lucio Crasso per


testimonio di Cicerone afferma , ch'egli èpi ùtormenta ­
to da la cura de le parole che da quella de le sententie. 2
Ma piacesse a Dio che voi, i quali mi andate lacerando ,
non fuste maggiormente tormentati da quella de la in vi­
dia, a la qual dovete , non men ch'io, esser molto tenuti ,
imperocché essa è e sarà cagione di farmi ascender so­
pra le forze mie per poter viun giorno mostrar che per i
soli vostri cicallamenti io mi sia mosso a far maggiore e
pi ùmeravigliosa questa mia impresa ,la quale spero sarà
tanto utile a le composizion vostre, quanto cosa leggeste
giàmai. Dico che voi avete tanto aggiunto sopra quello
ch'io di far mi pro feriva, acciocché la cosa tanto pi ù pa­
resse impossibile , quanto voi col vostro accrescerle in­
credulità la lontanavate da le speranze de le genti, che
talhor non ho trovato negli affannosi pensieri punto di
consol azione. E da l'altra parte per non vi far parer bu­
giardi mi avete fatto trovar tal secreto, che se fuste stati
pi ù amici del nome mio , a me non si sarebbe o fferto
giamai. E in vero , se non fosse ch'io prendo incredibil
compassione de l'a ffiizioni che vi dà questo vostro ar­
dente spirito , desiderarei che maggiormente ne le fiam ­
me sue vi accendesse e sempre questa verità negaste e
me del mio cortese ardir biasimaste, acciocché non pur
sospinto da le lingue vostre i' cercassi e trovassi via di far
pi ùpalese questa verità, e pi ùutili e pi ù facili questi miei
nuovi pensieri, ma anco fuste cagione che avessero ad
uscir pi ùcastigati e pi ùe xcellenti .

1. Cfr. Cicerone, Brutus, I, 253.


2. Cicerone, De oratore, III, 33.
DE TRANSMUTATIONE

Tre esser le vere transmutatorie, cioè la divina


quella delle parole, considerata dall'eloquente
et quella eh'è pertinente alli metalli.
Et tutte tre fra loro haver una marevegliosa corispon­
denza.
Il fine del huomo che va a Dio, è da levare da sé ( con
l'aiuto divino) ogni impuro et creato, et diventar infinito
intrando nel divino abisso.
Il fine di chi vole possedere l'eloquenza è levando
l'impuro et creato, et di trovare il prodotto che è
infinito, et eterno. 1
Il fine del transmutatore naturale è di sligare la virtù
seminaria, che è infinita, dal impuro et creato, che è
finito, et non restano puoi de fare transmutatione senza
numero co'l prodotto.2
1. Cfr. Idea del theatro: « Due sono state le produttioni che Dio ha fat­
te, l'una dentro della essenza della sua divinità, et l'altra di fuori. La
produttion di dentro, che è produttion senza principio et (per dir
così) consustantiale, o coessentiale, et eterna, è quella del Verbo ...
La produttion di fuori non è coessentiale, che fu fatta "verbo tan­
tum", et di niente et in tempo. Et questa fu la materia prima, chia­
mata altramenti chaos, et da' platonici anima del mondo, et da' poe­
ti Proteo » ( qui a pp. 159-60).
2. Cfr. Interpretatiorie dell'arca del pattu. « Sono adunque le idee forme
et exemplari delle cose essentiali, nella eterna mente sempre exi­
stente. Et prima che le cose fossero fatte, a fin che de quelle come de
sigilli ciascun sogetto portasse la sua impressione, et così sempre nel
282 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

La differenza che è tra le produtioni e le creationi è


medesimamente tra le cose prodotte et le create. Le cose
prodotte non solamente esser coperte dalle create, ma
ancora da molta impurità doppo 'l peccato d'Adamo. 1
Fa bisogno in ciascuna delle tre transmutatorie che da
tutte non solamente sia levato l'impuro, ma il creato an­
cora, sì che resti conservato il solo prodotto.
Soffistica esser quella transmutatione dove resta alcu­
na parte de impuro o di creato, 2 il che si prova nella reli­
gione, nella dissolutione della eloquenza et in quella
delli metalli.
Per la qual cosa puochi sono li veri religiosi, puochi li
eloquenti, et puochissimi li veri transmutatori de metal­
li, ma molti apparenti in tutte arte.
Laude della transmutatione divina, per la quale l'huo­
mo diventa esso Dio, et come.
Laude della transmutatione dell'eloquenza, la qual
nelle parole, che paiano caduche, 3 fa vedere prodottio­
ne et eternità, corrumpendo et dissolvendo le perfette
scritture antiche, con la conservation delle forme. Lume
da puochi vedutto. 4

suo essere perseverasse, a fin che le spetie sempre conservate siano,


et rimangano eterne, né si habiano a trasmutar, con la trasmutatio­
ne et corrottione dell'individuo » (cc. I4r-v) .
1. Cfr. lnterpreta ti one dell'arca del patt o: Adamo prima del peccato era
con l'anima nel giardino sopraceleste, dove accoglieva « tutti li favo­
ri de sopra celesti canali »; col corpo era nella terra di questo mondo
« la qual era vergine et chiamavasi per la su virginità Adema. Della
qual immaculata et virginal terra che per tal dote era Paradiso in
terra fu formato, et da lei chiamato Adam ». Dopo il peccato questa
terra « contrasse macchia, con tutti gli elementi, anci con tutto il
mondo, perché erano la famiglia di Adam » (cc. 39v -40r).
2. L'uso di 'sofistica' per indicare un'operazione alchemica che è
illusoria e menzognera è presente nella tradizione cinquecentesca;
ad esempio il primo libro di Della tra mutati one metallica s og;ni tredi
Giovan Battista Nazari, Marchetti, Brescia, 1572, è dedicato alla « fal­
sa tramutatione sofistica ».
3. Correggo così la lezione del manoscritto « caduce ».
4. Molto vicini sono alcuni passi del Trattat o dell'el oquenz a, contenu-
DE TRAN SMUTATION E 283
Laude della transmutatoria naturale, la qual cosa fra
tutte le altre li può far vedere non parolle, ma cose pro­
dotte et non create, imperoché può sola metere sotto al
nostro senso la materia prima nel statto innocentissimo
nel qual era avanti il pecatto di Adamo et nel quale si ri­
troverà doppo che tutte le impurità saranno consumatte
dal fuoco del giudicio divino. 1
Degno d'admiration non che di laude esser colui che
perviene al vedere in che statto era il giovene mondo
prima che contrahesse le impurità, et in che si troverà
doppo l'universal purgatione. Degno d'accerbo supli­
cio, non pur di biasmo, esser colui che, disperato di po­
ter conseguir tanta laude, dia opera alli sophistici.
Così come nella divina transmutatoria l'infinito che è
Dio è nostro ricetto, così nella transmutatoria della elo­
quenza mirar debiamo un infinito ricetto delle eterne
essentie, per conservar li prodotti, che sono medesima-
to nelle prime due carte del fascicolo Frammenti di incerti (è conser­
vato nel codice intitolato Miscellanea: uomini illustri XVI secolo
dell'Archivio Frangipane: cfr. Doimo Frangipane, L'archivio Fran­
gi,pane, in «Atti dell'Accademia di Scienze Lettere e Arti di Udi­
ne», LXVIII, 1, 1975, pp. 369-92): « la scientia de la dissolutione
esser di fuori, et esser vera metaphisica: percioché va separando
gl'etemi o quasi eterni da li caduchi. Tutto questo methodo esser
l'instrumento de la metaphisica, imperoché si come ne la me­
taphisica volendo Aristotele li suoi eterni separa le cose ab omni
hoc et nunc, così facciamo noi ». E subito dopo leggiamo: « Exem­
pio lege quae de dissolutionejiulius Camillus latinis literis manda­
vit» (cc. I r-2v), che ci fa pensare che circolasse anche una versione
latina del De transmutatione.
1. Negli Adversaria rerum divinarum Camillo spiega che lo spirito, o
quintessenza che l'alchimista vuole catturare, non deriva dai quat­
tro elementi, ma è la materia prima: « per l'agilità adunque del pri­
mier movimento non ha mai riposo, anzi per il suo circolare exerci­
tio assottiglia et ingrossa le parti, facendo apparir di giorno in gior­
no novelle forme, et ingrossando le già apparite offusca, et le ricon­
duce a la invisibilità. Il perché è da creder, che la detta materia pri­
ma sia sopra tutte le altre cose sottile, pura et netta, sì come quella
che uscì da le mani del soprano maestro» (cc. 6v-7 r).
284 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

mente infiniti 1 et nella naturale la materia prima esser


luoco et ricetto de tutte le specie, de tutte le nature, et
de tutte le sustancie.
De prima Che cosa sia materia prima, et come la possiamo tro­
materia
et quid sit.
vare fra il non niente et il non qualche cosa, et quante
cose l'ascondano.
La materia prima esser Protheo et l'istesso essere, il
vero genere generalissimo reale.
Delli generi alterni2 et delle specie specialissime reali
et non chimeriche, quale sono quele d'Aristotele mosse
nel publico, reserbando li secretti tratti dalli libri de Sa­
lomone per sé, per non far dispiacere al grande Alexan­
dro. 3
Negli individui esser tutte le cose prodotte. La retrogra­
datione esser necessaria in ciascuna delle tre transmuta­
torie, imperoché quantunque la natura incomenze dal
generalissimo dove sono conservate le essenti.e, le nature
et le sostantie delle cose, et finisca per mezzo delli subal-
1 . Cfr. Idea del theatro: «Or se gli antichi oratori, volendo collocar di
giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le
affidavano a' luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che,
volendo noi raccomandar etemalmente gli eterni di tutte le cose
che possono esser vestiti di oratione con gli eterni di essa oratione,
troviamo a loro luoghi eterni » (qui a p. 150).
2. Non è chiaro cosa significhi; sotto, a p. sg., si parla di « subalterni».
3. Su Aristotele e Alessandro Magno fiorirono nel Medioevo molte
leggende: si attribuivano fra l'altro ad Aristotele scritti alchimistici
indirizzati ad Alessandro; sull'«Aristoteles chemicus», cfr. Man­
get, Bibliotheca chemica curiosa, cit., p. 42. Il Manget pubblica inol­
tre due di questi scritti pseudoaristotelici, il De perjecto magisterio
(ibid. , pp. 638-50) e il Tractatus de practica lapidis philosophici ( ibid.,
pp. 659-62); cfr. inoltre la raccolta secentesca di testi alchimisti
Theatrum chemicum, Eberhard Zetzner, Strasbourg, voi. III, 1613,
pp. 54-111, e voi. V, 1622, pp. 880-92. Per il riferimento ai libri di
Salomone, cfr. Interpretatione dell 'arca del patto : « il qual Raymon­
do, prima che in Gretia li venisse trovato uno di quelli libri di Sa­
lomone, che Alessandro prese dal tempio di esso Salomone ... » (cc.
16v - 17r).
DE TRANSMUTATION E 285
temi, delle specialissime specie et ne gli individui, nondi­
meno l'huomo de Dio,
et l'eloquente
et il trasmutatore della natura
incomincia dal individuo et retrogradando co'l leva­
mento de tutte le spoglie et de tutte le alterità, reduce nel
generalissimo. Quello ch'è grande alla natura è esser pic­
colo a noi, cioè la virtù seminaria, et quello eh'è piccolo
alla natura esser grande a noi, cioè la dimostracion delle
spoglie et delli accidenti, la quale et li quali deno venire
alla corrutione, se si ha d'aspetare nova generatione. O­
gni generatione andar dal simplice non esser al simplice
esser, et ogni corruptione dal simplice esser al simplice
non esser. Il qual simplice esser se lo voremo investigare
trovaremo esser minimo al nostro intelletto et grande alla
natura, sì come si prova in tutte tre le transmutatorie. La
transmutatoria divina haver tre principii: 1 il contrario,
Quicquid generat venit ex alto.2 Se questo che genera vie­
ne da alto, de necessità è unico overo multiplice. Se tu
dirai moltiplice, adunque sarai constreto a dire diverse
potestà venire da alto et far diverse cose, quale vegiamo in
questo mondo. Ma cum sit che Paolo dica « Placuit in eo
omnem plenitudinem inhabitare » ,3 et altrove « Quoniam
constituit heredem universo rum » , 4 et al trave « Omnia in
1. Nel manoscritto di Yale, c. 44v, leggiamo questa aggiunta, che con
ogni probabilità non è da attribuire a Camilla: dopo « tre principii »,
troviamo infatti il seguente schema:
Dio Satan
Cristo il contrario Antechristo
La chiesa la sinagoga
2. Cfr. Idea del theatro: « Et qui è da notare un detto di Mercurio Tris­
megisto nell'Asclepio : "Quicquid de alto descendit, generans est"»
(qui a p. 198); parafrasi di Mercurio Trismegisto, Ascl.epius, I, 2b, in
Hermetica, voi. I, p. 288. L'Ascl.epius è la traduzione latina di un dialo­
go greco ormai perduto; si veda sopra, p. 146, nota 1.
3. Cfr. Co� 1, 19: « in ipso complacuit omnem plenitudinem inhabi­
tare».
4. Cfr. Eb, 1, 2: « in Filio, quem constituit heredem universorum».
286 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

uno», 1 segue che quello che descende dal alto, che è lo


spirito de Christo, sia uno solo, nel quale è la plenitudi­
ne de tutte le iddee de far huomini, animali, piante, me­
talli et ogni cosa. Questo spirito a guisa de piova et di
aqua secca2 descende dal sopra celeste per il celeste per
fina sotto il concavo della Luna et fasse portare dal Sole
quando ha magior virtù verso la Terra, per farla genera­
re in tute diversità che vediamo. Quantunque questo
spirito de Christo trovi la Terra ignuda et spogliata de
tutti li suoi ornamenti dal passato uverno, nondimeno
facendo venire la primavera con la plenitudine sua, uni­
co descende per far produrre la Terra, con tutte le va­
rietà che veggiamo pertinente a piante, minerali et ani­
mali.
Né questo adviene perché la Terra per sé tenga que­
ste somenze, essendo del tutto passiva, ma per ricever
dal spirito universale et unico de Christo le caggioni et
le potestà de tutte le iddee, cioè forme de tutte le cose
che vediamo create. Imaginiamoci adunque lo spirito
de Christo unico descendere da alto verso la Terra, con
la plenitudine delli modelli spirituali, per far piante,
metalli et animali. Dico che nella discesa descende in u­
na potestà libera et ampia, non legata ancora ad alcuno
individuo e come toca la Terra per dar figura al indivi­
duo, per quanto dura nello individuo se priva della sua
universalitade, per fin che per dissolutione ritorna al
suo universale. Sono adunque due diverse vie da poterlo
havere, l'una avanti che tochi terra, et l'altra doppo che
gl'è intratto in alcuno individuo. Et per questa seconda
via habbiamo bisogno de grandi artificii per retirarlo
dalla pregionia a primiera libertà. Né è meraviglia se più
longo tempo le bisogna per fornir l'opera secretta men­
tre la levano dal universale, perché esso nella sua univer­
salità non s'era ancora dechiarato a cui volesse dare si-
1 . Cfr. Rm, 2, 36.
2. L'ossimoro allude alla funzione dello spirito di Cristo che, come il
w:fns alchimistico, ha la capacità di unire i contrari.
DE TRANSMUTATIONE 287
gnalata forma , per la quale lontananza di applic azione
ha bisogno delli 3 anni. Ma quando è già en trat to so tto
alcuna forma de individuo , quando bene non havesse
fornito il suo intento , nondimeno s' è accusato inclinan­
do la raggione della idea al metallo , et per ta l cag gione
fa l'opera pi ù breve. In quo sunt omnes sapientiae et
scien tiae tesauri absconditi. 1 Adunque fuor del spirito
de Christo non è scien tia né sapientia , per ò chi non la­
vora nel spirito de Chris to lavora in ignoran tia .
La materia prima èquel genere generalissimo p rincipe
nella logica et philosophia reale , et chiamasi materia pri­
ma ,cio èche fula prima cosa da Dio prodo tta e tnon crea­
ta. Della purissima par te della quale fece li Angeli et la
natura ra tionale , dell'altra men pura i cielli , et dell'altra
pi ù grossa questo mondo . 2 Nella qual ma te ria prima mis­
se non solamente tut te le vir tù seminarie , ma quel calor
natur ale che spiri to chi amamo. E t nel 6 ° della Eneidala
dit ta ma teria p rima èchiama ta molle e til detto calor ,spi­
rito ,che fa fecunde le vir tùseminarie ,secondo Aris totele
nel 2 ° delli animali . 3 Dice adonque così Virg ilio:
Principio coelum et terras camposque liquentes
lucentemque globum lunae Tittaniaque astra,
spiritus intus alit, totamque infusa per arctus,
mens agitat mollem, toto se corpore miscet.4
La qual materia prima, avanti che Adam peccasse ,
non haveva con tracta machia alcuna , ma peccando A­
dam fa tto signor de tutte le cose , con trasse ancor rugi­
ne, machia e t alterità la det ta ma teria , sì che non pu ò

1. Cfr. Col, 2, 3.
2. Cfr. Idea del theatro: « Et Raimondo Lulio rende testimonio nel li­
bro che egli chiama il suo testamento, scritto mentre egli era ritenu­
to in Inghilterra, che Dio creò una materia prima, poi la divise in tre
parti ... » (qui a p. 161; e cfr. la relativa nota 4).
3. Aristotele, De generatione animalium, II, 736b, 33-35.
4. Virgilio, Aeneis, VI, 724-725. La lezione oggi seguita è: « Principio
caelum ac terram camposque liquentis / ... / mens agitat molem et
magno se corpore miscet ».
288 SEGRETI E METAMORFOSI DEL TEATRO

esser dalli occhii nostri veduta, se non dalli philosophi


della natural transmutatoria, mentre levando tutte le al­
terità della cosa che desiderano, la scaricano da ogni
graveza.
Quid Dissi la materia predetta esser chiamata prima per­
produtio
et quid
ché fu da Dio prodotta et non creata, imperoché pro­
sit creati o. dotte si chiamano le cose che eterne sempre rimango­
no, ma create quelle che spesso si generano et si corom­
pono.
Et ancho prima si chiama riguardo della 23, la quale è
la creata, imperoché è composta d'elementi che hora
insieme alla compositione d'uno individuo se mescola­
no, hora alla sua destrutione se dissolveno. Adunque in
questa imagine de Protheo se colocarà la materia prima
con tutte le essentie, le nature et le sustantie delle cose
che sono etterne, et insieme lo spirito predetto, et an­
che le virtù ministrate et ministranti. 1 Le ministrate so­
no tre, cioè
la generativa
la nutritiva
et l'augumentativa.
Ma le ministrante et serve delle predette sono 4, cioè
la apetitiva
la retentiva
la digestiva
et la expulsiva;2
1. Infatti nel secondo grado dell'Idea del theatro, corrispondente al
Convivio degli dèi, la figura di Proteo rappresenta la materia prima,
con i suoi princìpi ordinatori (qui a pp. 170 sgg.).
2. Cfr. Lullo, Testamentum, Theorica, cap. xxxn: De quatuor natura­
libus virtutibus mutativis, et quomodo appellantur, et quomodo operan­
tur: l'alchimista deve agire « successive in quatuor partes, videlicet
in attractivam naturam, vel appetitivam, in naturam retentivam
et coagulativam, et in naturam expulsivam, et contentivam, et di­
gestivam ». Il tema è ripreso negli Adversaria rerum divinarum, cc.
20v -2I v, a proposito di Jean de Meun, l'autore del &man de la
&se.
DE TRAN SMUTATIONE 289
apresso diremo anchor la forma, per esser la materia
prima receptaculo de tutte le forme, et anche la privatio­
ne, che è il terzo delli principii naturali. messo da Aristo­
tele. 1 Et piacerne doppo queste colocar ancora la natu­
ra, se saranno considerate le parole predette, quando io
dissi che li transmutatori delle cose naturali poterano
veder la materia prima nel esser che Idio la produsse,
sarà inteso quel luoco de Virgilio mentre finge Protheo
non riavere resposo se non ritornato al primo volto,2 del
quale prima disse Ovidio:
Ante mare et terras et quod tegit omnia coelum,
unus erat toto naturae vultus in orbe
quem dixere Caos, rudis indigestaque molles.
Nec quicquam, nisi pondus iners, congestaque eodem
non bene iunctarum discordia semina rerum. 3

Il qual volto contrasse molte spoglie et molte alterità


doppo il peccato d'Adam. Ma solamente la sopradetta
materia con li accidenti è nella rotta della generatione
et della corroptione. Dal qual discorso si può compren­
der la materia prima non esser visibile et non essendo
visibile, li sensi non poter dar via alla philosophia reale,
ma alla chimerica. Ancor Aristotele faceva tanto conto
de' sensi nella philosophia, che nel principio della
Methafisica dica: « Quapropter sensum videndi prae ce­
teris sensibus amamus, quia plures rerum differentias
nobis ostendunt». 4 Et pur vol parlare delle cose sopra
naturali, alle quali il senso non gionge. Ma Mercurio
Tremegisto nel principio del suo Pimandro, volendo
mostrar come entrò alla speculatione delle cose eterne,
si ribellò da i sensi dicendo: « Sopitis iam sensibus corpo-
I . Aristotele, Physica, I, 191a, 8-10.
2. Cfr. Virgilio, Georgfra, IV, 403404, 413414.
3. Ovidio, Metamorplwses, I, 5-9.
4. Vengono qui riassunte le frasi iniziali della Metaphysica aristo­
telica.
290 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

ris veluti hii qui sommo aut vino gravantur » . 1 Et così fat­
to vedere attribuisce all'acutezza della mente, et non di­
meno entrando a parlare de Dio, ne anche esso Mercu­
rio per mio adviso gionse al segno, imperoché così come
alla cognition delli veri e reali atti fa bisogno abandona­
re i sensi, d'adoperare l'acuteza della mente, delle cose
divine essa acuteza della mente de perdere il suo orgo­
glio, nella mainiera che disse il spiritual monacho:
se l'atto della mente
è tutto consopitto,
in Dio stando rapito,
e in sé non si ritrova,
de sé riman perdente
posto ne l'infinito. 2
Adunque volendo venire alla cognition della materia
prima non habiamo bisogno de' sensi, come crede Ari­
stotele. Il perché Virgilio, mentre finge Cirene dea intro­
dur Aristeo nella spelonca de Protheo, disse queste mi­
steriose parole: «Aversum a lumine » . 3 Hor fatto ritorno
a quel ch'io dissi, che la materia prima è recetto de tutte
le essentie de tutte le nature et de tutte le substantie delle
cose, perché de esser il recetto et proportionato alli rice­
vuti et in sé colocato, di che darà vera similitudine questo
nostro theatro fabricato della virtù de 7 pianetti (le quali
1. Cfr. la traduzione di Ficino: « sopitis iam corporis sensibus, quem­
admodum accidere solet iis qui ob saturitatem, vel defatigationem
somno gravati sunti» (Mercurio Trismegisto, Pimander, in Ficino,
opera omnia, p. 1837).
2. Iacopone da Todi, Laude 92, «Sopr'onne lengua Arnore », vv. 41-
46 (in Laude, cit., p. 296). Interessante e per molti aspetti vicina a
questo passo è l'operetta Oratione ad Christum Dominum attribuita a
Camillo e conservata nello stesso codice pavese da cui traiamo il te­
sto del De transmutatione (cc. 93v-95r).
3. Virgilio, Georgica, N, 423. L'episodio virgiliano è spesso interpre­
tato da Camillo in chiave alchimistica; « io non trovo philosopho al­
cuno, almeno ne la transmutation, che n'habbia detto tanto, an­
chor che oscurissimamente dapoi Homero » leggiamo negli Adversa­
ria rerum divinarum, c. 15v.
DE TRANSMUTATIONE 291
sono etteme) e contiene in sé li concetti de tutte le cose
in eterna virtù prodotte et non create, perché non è de­
stinata a una cosa più ch'a un'altra, anci ciascuna sta nel
universale, che è eterna; e così si comprende le colatione
fatte da Cicerone et da altri antichi et moderni, non per
vicinarsi a questa eterna similitudine, percioché erano in
ediffitio corrutibile, et medesimamente li colocati erano
corruttibili, imperoché non colocavano se non materia
corruttibile et che tutto dì nascevano et morevano, et co­
sì li lor colocati havevano proportione con li luochi. Ma
noi volendo colocar cose etteme, produtte et non create,
habiamo anchora luoco procatiato, ricetto ettemo et
non creato, che è la fabrica del theatro.
Et per brevemente dire, il solo transmutatore vero et
non sophistico, poterà vedere la materia prima separan­
do le spoglie et le alterità da qualunque elemento, non
ut philosophus loquar secundum quid, sed simpliciter.
lmperoché Aristotele prova la generatione esser de sim­
pliciter non esse ad simpliciter esse, et la corruptione de
simpliciter esse ad simpliciter non esse. 1 Et quando dice
simpliciter, non dice secundum quid. Adunque la
transmutatoria vera o sopra naturale o naturale mira la
corruptione et la generatione simpliciter, et non secun­
dum quid, perché quella che è secundum quid è sophi­
stica. Et quando sarà corruptione simpliciter giongeran­
no alla materia prima. Et volendola trovare, la spogliare­
mo della seconda materia, che è la composta delli ele­
menti generabili et de tutte le altre compagne alterità et
levando via per gratia de Dio tutte le gravezze et impuri­
tà che ha ciascuno delli 4 elementi, se giongerà allo spi­
rito de ciascaduno delli 4, che è la parte purissima de
ciascuno. Et si trarà dalla union de quelli un quinto, che
fa la quinta essentia, chiamata ancora cielo et regnum, il
perché si legge: « Regnum Dei quod intra vos est». 2
1 . Aristotele, Physica, V, 225a, 1 2-14, 1 7-19.
2. Le, 1 7 , 21.
292 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

Et questa è la vera via da indagar la materia prima ,


non da gli occhi del corpo , ma da quelli dell'anima.
Il tempo debito de pigliar lo spirito predetto èquando
il Sole èin sua domina tione , 1 come verbigratia nella Casa
del Leone . Et quando la Luna èa lpieno ,cio èalla opposi­
tione , tutisono diversi , ilsuo di rito èquando t ut tili altri è,
non gl' èniente ne l'arte che l'habia pi ùde cost ui .
Cornelio Agripa nel suo libro de occulta philosophia
I. 2 ° , cap . 4 ° incipit : (( Una res a Deo creata subiectum
omnis admirabilitatis , que in terris et in celis est , ipsa est
actu animalis vege tabilis et mineralis. Ubique reperta a
paucis cognita , a nullo suo proprio nomine e xpressa ,
sed in numeris et fi guris et enigmatibus velata , sine qua
neque alchimia neque naturalis magia suum comple­
tum possunt attingere finem ». 2 Ioannes Rupecisa idem
dicit per haec formalia verba v . 3: (< Teste Salomone Ec­
clesiastico cap . 4 ° : Cunctas res di fficiles non potest ho­
mo e xplicare sermone ». 3
1. II predominio del Sole veniva interpretato non solo in senso natu­
rale o astrologico, ma anche come simbolo di un momento dell'o­
pera alchimistica. II Sole, dice Geber in un dialogo di Giovanni Bra­
cesco che fu a lungo attribuito al Lullo (cfr. Andrzej Nowicki, Gio­
vanni Bracesco e l'antropologia di Giordano Bruno, in « Logos », III,
1969, pp. 589-609), indica per gli antichi le parti più sottili del ferro:
« in ipsis aurum et argentum contineri et Mercurium philosopho­
rum. Mercurius autem levior est argento, et argentum levius auro.
Dicit itaque Rudienus philosophus, principium huius operis consis­
tere in introitu Solis in Arietem, Rasis item in lib. de divinitate dicit,
Accipe lapidem post introitum Solis in Arietem » (De alchimia dialogi
duo, quorum prior, genuinam liurorum Gelni sententiam, de industria ab
autore celatam, et figurato sermone involutam retegit, et certis arg;umentis
probat. . . , Godefroy e Marcellin Beringen, Lyon, 1548, p. 117).
2. Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia
lilni tres, Johann Soter, Koln, 1533, libro II, cap. 1v: De unitate et eius
scala, p. 103.
3. Si tratta di jean de Roquetaillade, o joan de Rocatalhada ( 1310
ca-1365). Cfr. Manget, Bibliotheca chemica curiosa, cit., p. 45; alcuni
testi alchimistici a lui attribuiti circolavano anche sotto il nome di
Alberto Magno. Cfr. Qo, 1, 8: « Cunctae res difficiles: non potest eas
homo explicare sermone ».
DE TRAN SMUTATION E 293
Sapi che li principii naturali sono tre, come vole Ari­
stotele in la phisica sua, cioè materia, forma et pri­
vatione, 1 che sono corpo, anima et spirito: per la mate­
ria s'intende il corpo, per la forma l'anima, per la pri­
vatione il spirito, perché mediante la privatione se fa o­
gni generatione et corruptione. 2 Così mediante lo spiri­
to se fa la unione et separatione del corpo et anima, et
questo medesimo vedemo in l'huomo. Siché come hai
questi tre principii naturali haverai la vera et natural via.
Vedemo come lddio fece Adam, che prima fece il corpo
de limosità de terra, 3 poi lo organizò de spirito animale
sensibile et puoi gli infundette l'anima, la quale lo perfe­
ce tutto. Così faremo noi in l'opera nostra vera, et cer­
charemo una terra spirituale,4 la quale con il magisterio
faremo fixa, e questo è necessario perché la terra me­
diante lo motto del cielo produce tutti gli frutti, così la
1. Aristotele, Physica, I, 1 9 1a, 8-10.
2. Nell' Interpretatione dell'arca del patto, commentando i tre princìpi
aristotelici, il Camillo spiega che la privazione non è « privatione
inhabile, ma è privatione capace di tutte le forme successivamen­
te» (c. 18r).
3. Gn, 2, 7.
4. « Terra spirituale» indica probabilmente una fase dell' opu s. Per i
suoi caratteri di purezza ricorda la terra di cui il Camillo parla
nell'Idea dell'eloquenza: nel cielo immobile « finsero i poeti esser i
campi elisii, perciocché sente quel cielo, secondo loro, de la natura
de la più pura terra che dar si possa » (qui a p. 270) . Nella parte
finale dell'Inte,pretatione dell'arca del patto, numerosi sono i riferi­
menti alla terra pura, divina: prima di essere macchiati dal peccato
di Adamo, e quindi dalla corruzione e dalla morte, i quattro ele­
menti derivano direttamente da Dio: « il primo fonte del aere è il
Padre», dell'acqua è il Figlio, del fuoco è lo Spirito, «et l'essentia
comune a tutte tre, stabile et ferma esser la terra divina » (c. 45v ) .
La terra che abbiamo sotto gli occhi non è dunque l'elemento ter­
ra, ma qualcosa di corrotto che verrà purificato: « la terra adunque
vergine è il vero elemento, il qual non potrà essere offeso dal fuoco
del giuditio divino » (cc. 47v - 48r) . Temi analoghi sono presenti in
Postel e in alcuni suoi seguaci: in essi, come ha mostrato Secret, con­
vergono suggestioni cabalistiche e pseudolulliane (cfr. Secret, Postel
et ['alchimie, cit., p. 211).
294 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

terra nostra mediante lo spirito et anima la fa frutificare,


et questo dice Hennes: « terra suis nutrix » . 1 Sapi che li
philosophi non hanno voluto revelare questa tal terra
che se sia se non con dir terra nostra pura; bisogna che
questa terra sia senza superlluità, transparente e purissi­
ma, perché altramente non potria recever lo spirito, e
mancho l'anima, e non bisogna che la terra dove si fa il
corpo sia di natura de anima né de spirito, ma perhò
non sariano cossi distinte delle quali se fa una cosa sola:
come sarà che il corpo è di una sustantia, et lo spirito et
anima non sono che due sustantie, tamen per la unione
e conformità se fa una solla cosa. Laus Deo.

1. Probabile riferimento al passo dell'Ascl.ejnus, I, 2b: « Terra sola in


se ipsa consistens omnium est receptrix omniunque generum, quae
accepit, restitutrix » (in Mercurio Trismegisto, Hermetica, voi. I, p.
288).
DAL « TEATRO, O PALAZZO D'INVENZIONE»

[c. 2r] TEATRO, o PALAZZO D' INVENZIONE

figurato in Franzia rappresentante la distribuzione di


diverse virtù ne quartieri del medemo palazzo, e partico­
larmente quelli della fortuna del tempo della riforma
della magnanimità dell'amore della religione della re­
pubblica dello sdegno del sonno e sogno e della morte
fatto da messer Giulio Camillo e cavato dalla libreria del
cardinal vecchio di Lorena.

[c. 2v] Luogo primo del Teatro di meser Giulio Ca­


millo cavato della libraria del Cardinal vecchio di Lo­
rena.

Libro delle nuove inventioni non più vedute né udite


diviso in dieci trattati

Della fortuna
Del tempo
Della riforma
Della magnanimità
Dell'amore
Della religione
Della repubblica
Del sdegno
Del sonno et del sogno
Della morte.
296 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEATRO

[c. 3r ] Luig i Alamani Fioren tino a i lettor isalute.

Ecco che v i si porge del gran Giulio Camillo il Tea tro


primo delle stanze delle inventioni, il quale voi vedrete
molto bene adorno, per poter allogar poi tutte le varie
scienze distinte. La sala della Magnanimità èla prima di
gloriose imprese fatte per seggio delli homini liberali et
generosi. La prima camera a man destra è quella della
Fortuna dove saranno in conserva tutte le varie tàgrande
de casi degli accidenti et de modi che ella tiene a farsi
vedere. Dir impetto vi èla camera del Tempo, nella qua­
le si conoscerà ci ò che noi habbiamo del mondo per
parte sua con la distintione delle genti di ogni modo et
conditione . Una anticamera è dietro a ques ta del Tem­
po tutta nuova di color mischi dove la Riforma fa le sue
prove secolo per secolo et s'a fatica in darno, et là si ve­
drà come tut ti li homini sopra di questo si beccano il
Cervello . Di questa anticamera si ritrova sulla sala, et en­
trasi dall'al tro lato in un camerone della Relig ione mol ­
to bene ordi inato [c . 3v] et scompar tito;di questo luoco
si en tr a nello studio, il pi ù bello et il pi ù fornito di libri
che si possa vedere et qui si riserva la Repubblica con i
padr i ant ichi delle patrie libere con tutti i trofei di v itto­
r ie, cosa di molto stupore. In capo alla sala v i è fabbr ica­
ta una loggia coperta dove si passezza, et ques ta ha nella
vol ta di sopra lo Sdegno tutto in furiato depinto et intor­
no et da basso si veggono le sue essecut ioni violente, be­
stiali e terribili . La dispensa, che ha la porta da un lato
della loggia; vi è fabbricata una stanza, et qui l' Amor si
mostra in potenza quanto vaglia, possa et sappia fare
con dimostrationi manifeste et chiare aper tamente di­
pinte. Dall'altro lato vi èun r idotto per l'inverno da star­
si al foco ben serrato et ben comodo, et làsiede il Sonno
et riposa il Sogno, figura della pi ù stravagante maniera
che s'udisse mai o s'intendesse. Alla fine v i è un !andro­
ne terreno che guida alla porta grande dell'uscire del
pr imo teatro, adornato de panni ne quali sonno tessute
molte belle I [c. 4r ] cose, ma i color i sonno scur i, et pi ù
DAL «TEATRO, O PALAZZO D 'INVENZIONE » 297

tosto odiosi et fastidiosi et cativi da riguardare, che her­


norevoli, et vi è la potenza et il valore della Morte; in
questo cade tutto il dominio terreno. Et così si esce fuori
alla larga libero et signorezza i paesi et le vedute si ri­
guardano che velo di muraglia humana più non t'impe­
disce. Ma come sia il sito di questo primo teatro, come si
saglia al secondo, et a che fine, le signorie vostre lo in­
tenderanno qui seguente.

Teatro di Giulio Camillo

Io son certo che questi, quali qui in Franza il mio tea­


tro veggono al presente son puochi all'infinito numero
che per lo awenire lo vedranno, 1 ma più certo sono che
lo scritto per mezzo della stampa durerà assai più secolo,
però io intendo di farne una breve copia in più bei libri
distinta con la penna accioché qualche uno ne tragga se
non utile assai, almeno qualche puocho di diletto, dilet­
to per la nova inventione, et forse utile considerando
bene la cosa in sé, così de significati I [ c. 4v] et della vita,
come de costumi et delle humane attioni. Coloro adun­
que che veranno, rovinato che sia, 2 lo vedranno ancora
in piedi dentro al loro intelletto poiché la scrittura ha
questa forza di fabricare in un tratto ogni gran machina
et di dipingere in un subito quanto la parla et quanto la
disegna.
Io non vorei lettori mirabili che vi meravegliaste se
l'architettura della mia fabrica non sarà di quella gran­
dezza che son l'altre da stupire, perché io mi son accom­
modato al sito, il quale è così fatto: una montagnetta ton­
da quasi dalla natura fatta con il compasso et gira più
d'un miglio di buona misura. Il restante attorno, che è
1. Doni, Pi,tture: « Io son certo che questi, i quali il mio Teatro vegga­
no al presente, son pochi a rispetto all'infinito numero che per l'av­
venire lo vedranno » (p. 143; c. 6r). Inizia qui la parte comune al
Proemio del libro I delle Pi,tture, con varianti di cui si indicheranno
le più importanti.
2. Doni, Pi,tture: « rovinato che sia il casamento» (p. 144; c. 6v).
298 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

ben tre tiri di archibuso, 1 è tutta pianura cierchiata da un


fiume, che sbocca poi per una amenissima et fresca valle.
Il casamento in cima del mio teatro e monticello e tutto
il monte è d'intomato di un grosso muro fuori del quale
sono attorno diritti abeti et gran quantità de lauri verdi.2
Tutta la salita è di quaranta dui scaglioni tagliati in dura
et viva pietra, dove quattro persone possono salire com­
modamente lontani l'uno da l'altro. Da ciascun I [c. 5r]
lato son forti et grossi pillastri, i quali reggono la volta di
sopra, fatta di mezza botte di un compartimento di sesan­
guli et di tondi, di modo che sopra tre gradi ne vengano
tre, ne quali ci son depinte queste figure. Prima, che posa
in mezzo di due tondi essangulo nel quale vi è depinto
un homo ignudo atempato, che si sta sopra l'arcobaleno
a sedere, et ha in mano squadra, regolo, archipendolo et
compasso dimostrando che ciascuno il quale sale ai gradi
delle attioni humane, sien di qual sorte si vogliono, ci bi­
sogna primamente il Giuditio. Questo sta in mezzo a dui
tondi, dove in uno è la Prudenza con la serpe al solito
dipinta et lo specchio, et dall'altro la Bontà, che ha un
ucello pellicano in brazzo et certo senza la bontà et pru­
denza pochi giuditii segnano dirittamente la loro linea.
In dire ci bisogna giuditio il quale misuri et compassi i
tuoi studii et sia accompagnato dalla prudenza di sapere
legere il bono delle scienze et tenere sempre la bontà a
canto per non pigliar malitia delle lettere cative o here­
sia. Il secondo grado ha di sopra la Solicitudine, una I [ c.
5v] bella femina levata sopra due alie, un gallo sotto i
piedi e un sole che spontar fuori delle onde marine si
vede; da un lato è l'otio, un huomo grasso corpolento
che resta a sedere in terra coperto da un grande scudac­
cio pieno di strali et di frezze quasi che sia targone a tutti
1. Doni, Pitture : « che è ben tre tratti di lungo archibuso » ( wc. cit . ) .
2 . Nelle Pitture del Doni la sintassi è più regolare, e manca il riferi­
mento al teatro: « Il casamento è in cima del monte, il quale è tutto
dintornato d'un grosso muro e di fuori attorno attorno vi son diritti
abeti e gran quantità di lauri » (wc. cit. ) .
DA L «TEATRO, O PA LA ZZO D 'INVEN ZION E » 299

i vitii et dall'altro lato la Pigritia sopra una testuggine ca­


valcioni, alla quale ha messa la briglia per tardarla ancor
più del suo lento et sonnolento passo et s'è coronata di
giugiolo, arboro tardissimo a gettar1 fuori la foglia et il
frutto. Delli studiosi è madre la solicitudine, 2 però se­
guendo di salire per mezzo di questa scala per arivare al­
lo stato della virtù, bisogna esser solicito, fugir lo otio et
la pigritia nemici della solicitudine. La Vigilanza è il ter­
zo ordine, una femina con una gru.e a canto. Dalla destra
parte nell'altro tondo vi è Bacco con la vite et dall'altra il
Sonno, un homo il quale dorme fra due tassi. Questa vi­
gilanza ha da esser sempre nello studioso et quanto può
fugire il sonno contrario alla virtù, il vino et l'ubriachez­
za, ponendole sempre da parte. Segue la Perseveranza,
una femina la quale abbrazza I [ c. 6r] un lauro e sta in
mezzo all'Instabilità et alla Legerezza. Questa è tutta alia­
ta alle mani, a piedi, alli homeri, et alla testa vestita de
piuma finissima, et l'altra si siede sopra un drago, che
ha due stelle, nel capo una et nella coda l'altra. Ciascu­
no deve intendere che non solamente bisogna stabilirsi
et fermarsi disponendosi alla virtù, ma perseverare stan­
do sempre alla diffesa a petto alla instabilità et legerezza,
la quale si debbe lasciar andare quanto si può da banda,
et si fa quella femina sopra il dragone con le due stelle
perché le sonno in cielo sempre instabili. La Stabilità vie­
ne poi a sedere sopra un piedistallo tenendo sotto i pie­
di una basa di colonna et in grembo molte medaglie. La
Giustitia la mette in mezzo, et la Pace dipinta in questo
luogo al solito, una con l'olive et con le spoglie che la va
abbruzzando e l'altra con le bilanze et con la spada. All' a­
rivare alla gloria della virtù/ allo stato dell 'honore, et alla
quiete dell'animo bisogna stalbilità [c. 6v] in se mede­
smo primamente, poi mettersi nello animo la pace et la
giustitia dispensatrici sempre della stabilità. La Tempe-
1. Correggo così la lezione del manoscritto « getta ».
2. Sul margine sinistro leggiamo: «nota ».
3. Sul margine destro leggiamo: «nota ».
300 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEATRO

ranza è l'altro grado d'ascendere, con i due vasi dipinta


secondo il costume, et è in mezzo della Fortuna felice,
una femina sopra una nave che con prospero vento solca
il mare, et dall'altra parte la infelice Fortuna salita sopra
un legno, cheil vento tronca arbori, strazza vele e rompe
sarte. 1 Colui che sarà salito tanti et tanti gradi per arivare
alla virtù ha da essere provato nella felicità et infelicità
non si elevando per l'una né si perdendo per l'altra. 2 Se­
guita la Realità, una donna che stracciandosi il petto mo­
stra il cuore; ne' tondi da lati vi è la Malitia et l'Iniquità,
due femine che vestite di fiamme di fuoco fuggono via
velocemente. Questo grado scazza da sé la malitia et l'ini­
quità perché l'homo reale non tieneil cor3 suo celato ma
lo mostra apertamente. Il virtuoso ha da havere il cuor
sincero et netto da ogni maclchia [c. 7r] di malitia e de
iniquità. Questo è il mezzo della scala dove è un piano
con una loggetta che aperta da lati dà la4 strada d'andare
intorno intorno a mezzo il monte, la quale via è coperta
dalle viti in pergola di diverse uve mirabili et di qua et di
là sonno le spalliere de rosari d'ogni sorte et roseline.
Sopra la logetta è una tribuna5 dove son depinte molte
virtù et figurate le quali aspettano con molti premii in
mano coloro che salgono a quell'ultimo grado offeren­
dosi a darli a ciascuno che ne sia meritevole per contento
della sua quiete et della loro gloria, et poi li inviano all'al­
tra scala che segue, che principia il grado dell'Honoreil
quale sta in mezzo dell'Invidia et della Honestà. Sempre
è invidiato da maligni colui che al grado dell'honore s'i­
nalza, però l'honestà non comporta che la maledetta in­
vidia l'offenda. L'Honore si dipinge un I [c. 7v] homo
coronato sopra un trionfo et Honestà una donna vestita
1. Sul margine sinistro leggiamo: « nota ».
2. Questa idea era alla base del De remediis utriusquefortune petrarche­
sco.
3. Correggo così la lezione del manoscritto « corso ».
4. Correggo così la lezione del manoscritto «dalla ».
5. Doni, Pitture: « è una tribuna tonda » (p. 151 ; c. 8r).
DAL «TEATRO, O PA LA ZZO D 'IN VEN ZION E » 301

gravemente con la testa velata, l'Invidia vecchia intarlata


et rosa dalle serpi che la pascono di quello che le vomita­
no et beve in una tazza di veleno tutto ardente. Dall'ho­
nore 1 sale il virtuoso homo alla nobiltà, il quale si debbe
ricordare quando a questo grado è pervenuto che la cor­
tesia et la generosità hanno da essere i suoi dui occhii
perché se il nobile non è generoso et cortese macchia il
sangue suo illustre et il grado datogli dal cielo. Figurere­
mo la Nobiltà una donna togata la quale habbia una stel­
la sopra della vesta con un scetro in mano, un mostrare2
che questa è atta a tutti i regimenti. La Cortesia sarà una
femina coronata come regina che spargerà colane, dana­
ri et zoglie et la Generosità sarà sopra un'aquila a sedere.
Alla Nobiltà sta bene che seguiti il grado di Dignità: I [c.
Br] dominare, governare, regere, et iudicare. Certo che
il nobile è suggetto vero da dargli ogni honore: però
quando egli è pervenuto a questo grado la richezza lo
seguita, 3 ma non si governando come merita il valor suo
cade nella povertà, conciosia che mai più è posto o di ra­
do in grandezza et la vergogna lo fa star sempre basso et
mendico.4 Questo grado di dignità si fa un homo in seg­
gio riccamente vestito che giudichi et dia udienza. 5 La
Povertà sarà distesa sopra molti rami secchi con quattro
stracci a tomo et la Richezza in mezzo a molti vasi, tutta
pomposa, pieni d'oro et d'argento coniato dallo Hono­
re, dalla Nobiltà et dalla Dignità con il beneficio del
Tempo, che è l'altro grado il qual tiene da un canto la
Fama buona che suona una tromba, dall'altro la cattiva
che soffia in un corno I [ c. 8v] fatto [ di scorze] ,6 con il
1. Sul margine sinistro si legge: « nota ».
2. Doni, Pitture: «un dire » (p. 153; c. 8r).
3. Sul margine destro si legge: « nota et bene ».
4. Doni, Pitture: « lo fa stare sempre mendico » (p. 154; c. 8v).
5. Doni, Pitture: « che dia udienza » ( wc. cit. ) .
6. Integro così la lezione del manoscritto, sulla base di Doni, Pitture,
p. 155 (c. 8v).
302 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEATRO

tempo dico se ne va 1'1 homo al Principato, questo si sta


sotto un'ombrella, et attorno sia2 leone, aquila, gallo, lu­
pa, pantera, et altri animali, et qua domina castella, città,
paesi, et regna in mezzo a due amori, uno de quali vola
sopra l'aqua, et l'altro sopra la terra camina volendo mo­
strar che tutto il nostro dominio debbe esser mantenuto
per mare et per terra con amore. Ultimamente3 colui
che vuole stabilirsi et haver modo di salire4 a tanta altez­
za, bisogna che piglia per guida la Gloria, che è una bel­
lissima fanciulla tutta vestita di candido velo passata in
mezzo di uno inestimabile splendore5 et dua mantengo­
no continuamente costei famosa et eterna, questo è un
homo coronato di sole per il Giorno, et una femina con
la luna in testa per la Notte, et questi dua hanno I [ c. 9r]
una tavola inanzi di pietra dove si scolpiscono tutti i fatti
memorabili et degni. Qui finisce la scala, et s'ariva alla
porta del teatro, 6 la quale è lavorata di marmo. Nella
fronte di sopra è vi scolpito un'impresa, che è un horiolo
da sole in una cartella ben fatta, et c'è concatenato sotto
un altro horiolo di polvere con un motto in mezzo, che
dice SUMUS. Questa tal 'insegna tien aperta innanzi una
feminetta fatta per la Consideratione, di basso rilievo
scolpita in un tondo, il quale ha un festone attorno di
foglie, fiori et frutti diversi et fra questi molti specchi vi
sono di sotto, di sopra et dai lati. 7 Un dimostrare che in
ciascuno stato gli ha da esser a tutte l'hore la considera­
tione8 che quella impresa sculpita ti ha noto, et se ciascu-
1. Correggo così la lezione del manoscritto « se nell' ».
2. Doni, Atture: « et ha attorno » (p. 156; c. Bv).
3. Sul margine sinistro si legge: «nota ».
4. Correggo così la lezione del manoscritto «salute ».
5. Doni, Pi,tture: « una bellissima fanciulla vestita di splendore » (p.
156; c. 8v).
6. Doni, Pi,tture: « s'arriva alla porta della casa » (Zoe. cit. ) .
7. Doni, Pi,tture: « et fra quegli molti specchi » (p. 157; c. Bv).
8. Qui finisce il testo del Proemio delle Atture del Doni, che conti­
nuano con La pittura della Fortuna.
DA L «TEATRO, O PA LA ZZO D ' IN VEN ZION E » 303

no considerasse solamente dove egli entra et dove egli e­


sce b astarebbe. La fab rica in questo libro primo comin­
cia da una c asa di dieci stanze sotto die lci [c. 9v] historie
et sotto quelle cag ioni tutte le attioni humane et tutte le
scienze, con le quali s'entra poi nel teatro et al lor luogo
si mettono sotto i lor segni . Hacci in questo luogo qu asi
an tiporto, la prima entrata si fa nella sala che èla princi­
pale dedicata alla Magnanimità in questa maniera ador ­
na et depinta. 1

1. Segue la sala della Magnanimità, che in Doni, Pi.tture (pp. 186-91;


cc. 22v-25v), è al terzo posto, dopo la Fortuna e il Tempo.
LA VILLA « POSTA IN LUCE »
DA GIULIO CAMILLO
di Anton Francesco Doni

[ c. 35r] Ciascuno ammogliato la lascia a casa, et vi me­


na la druda et se la gode; et queste di più autorità sono
che le mogli: et che sia il vero le vestigie d'un luogo raro
nel Frioli ancora lo dimostrano d'una possessione fatta
per uso d'una favorita mercantesca; villa posta in luce da
Giulio Cammillo chiamata La falcona piropa. 1 Questa

1. La descrizione della villa è assente nell'edizione a stampa (« Chi


non ha moglie vi mena la femina, e colui che non l'ha se la provede.
Et questo per hora è quanto di tal Villa io debbo dire »; Doni, Le vilk,
p. 57). È invece presente nei manoscritti, con una diversa attribuzio­
ne: « Chi non ha moglie vi conduce a spasso la femina, et chi non
l'ha se la provede: et anticamente si trovavano de' mercatanti che a
honore delle loro imprese fabricavano Ville stupende, come si veg­
gono ancor per una gran parte di vestigie; ma quella che ha il R.do
Canonico il S. Paolo Barisoni Ill.e nel Frioli, quasi è tutta in piedi, et
fu antica manifattura, hoggi modernamente ristaurata; et è stata in
questo modo ne' passati secoli; hora udite. Fra i molti paesi, vaghi,
dilettevoli et begli che ha il Frioli, la Barisona che da Cesare hebbe il
titolo: ha un territorio, il quale è bellissimo» (codice di Reggio Emi­
lia, p. 56); « Chi non ha moglie, vi mena la femina, et colui che non
l'ha, se la provede; et per una femina d'un ricchissimo gentilhuomo
mercatante, fu edificata una villa già nel Frioli, la quale è pervenuta
poi nelle mani al s. Simone et il s. Gio. Mauro Pupaiti, et fu questa, et
è così fatta: è ben vero, che il tempo, alcuna particella n'ha discon­
cia et invecchiata. Fra i molti paesi vaghi, dilettevoli, et begli che ha
il Frioli, la possessione de' Pupaiti ha un teritorio il quale è bellissi­
mo» (codice veneziano, p. 57). Vicina a quella veneziana la versione
del manoscritto di Monaco: « Chi non ha moglie, vi mena la femina,
et colui che non l'ha se la provede; et per una femina d'un ricchissi-
LA VILLA « POSTA IN LUCE » DA GIULIO CAMILLO 305
ha un teritorio bellissimo, perché ha tanto della colli­
na, et del bosco, quanto del monte, et della pianura. Il
gran sito è cinto tutto dall'acque correnti, né ha vicino
che lo noi, 1 percioché il fiume da ciascun lato lo difen­
de. Lo spatio suo son molte miglia ( dominio reale) , I [ c.
35v] boscaglie alte et folte, piene di caccie, praterie ver­
di et liete, vigne abbondanti et pretiose e terre lavorati­
ve di gran frutto. La fabbrica è in quadro, posta in mez­
zo d'un ampio et spatioso piano, et da un cantone all'al­
tro, vi è un tiro d'una buona balestra di loggie in volta,
tirate a uso di chiostro intorno. Tutte le facciate son di­
pinte in fresco, con le storie vaghe tratte da Livio, et son
di mano del Pordonone, 2 le volte lavorate a stucchi,
grottesche et festoni, et gira tutto con mirabili colonne,
capitegli et base stupende. Quattro piedistalli son ne
mo mercatante fu edificata una Villa, già nel Frioli, la quale è perve­
nuta poi nelle mani al S. Gio. Mauro, et hora al S. Simone Pupaiti, et
fu questa così fatta. Fra i molti paesi vaghi ... » (c. l 7r). La villa dei
Pupaiti è documentata (cfr. Alfredo Melani, L 'arte nell'industria, Val­
lardi, Milano, voi. II, 1907, p. 187). Non ho trovato alcun riferimen­
to a una villa Falcona in Friuli. Il Bellocchi (Le ville di AntonFrancesco
Doni, cit., p. 17) nota che nel codice di Reggio Emilia, c. 40v, Doni
dice di aver cenato presso Collina Falcona, in riva a un lago lombar­
do, con patrizi di Reggio Emilia.
1. Cioè 'qualcosa che dia noia'.
2. Il Pordenone, detto Giovanni Antonio de' Sacchis, è citato da Ca­
milio nella Pro suo de ewquentia theatro ad Gallos oratio, p. 5. Il riferi­
mento alle storie tratte da Livio può essere stato suggerito da quanto
scrive Vasari: « Fece ancora su'l Canal Grande alla casa di certi genti­
luomini molte storie a fresco, dove si vede un Curzio a cavallo in i­
scontro, che par tutto tondo e di rilievo» (Le vite, voi. IV, cit., p. 431).
Il gesto eroico di Marco Curzio, raccontato da Tito Livio (Ab urbe
condita lilm, VII, 6), era un soggetto piuttosto popolare (lo dipinge
ad esempio Paolo Veronese, intorno al 1550, in una grande tela cir­
colare, oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna). Cfr. le versio­
ni di questo passo nei manoscritti: « con historie vaghe et rare, di
mano di eccellentissimi maestri, del Francia, et del Pordonnone»
(codice di Reggio Emilia, pp. 56-57); stesse attribuzioni nel codice
di Monaco (c. 17v); «di mano di eccellentissimi maestri: del Fran­
cia, del Pordonnone, et di Giorgio da Castel Franco » (codice vene­
ziano, p. 59).
306 SEGRETI E META MORFOSI DEL TEATRO

cantoni alla scoper ta belli ssimi et dalla parte di levante


c' è la Primavera di candido marmo , figura di mano di
Donatello ; a mezzo giorno la State, figura d'una pietra
ro ssiccia, ma molto delicata, opera del Montor soli. 1 Al­
la tramontana, c 'èuno Inve rno di pietra di macigno du­
ro,del Montelupo I [c . 36r] sc ultor mirabile 2et è fatta be­
ne. All'al tro canto un Au tunno di bronzo del San sovino, 3
molto mirabilmente gettato ; 4 ma sopratutto, un pavi ­
mento di quadri invetria ti coloriti a pro spettive et grup­
pi di man di Iacopo da Pe saro, che la pi ù ricca et bella
co sa non si pu òvedere ;5et chi due volte pa sseggia intor­
no intorno pu ò dire d'haver fatto a ssai buono e sserci­
tio. Quattro appartamen ti ha que sta stupenda villa,tutti
a quel piano delle loggie, dove agiatamente quat tro fa -
1 . Lo scultore Giovanni Angelo Montorsoli (che abbiamo già avuto
modo di ricordare, cfr. sopra, p. 252, nota 1) era stretto amico del
Doni (cfr. su di lui, Birgit Laschke, Fra Giovan Angew da Montorsoli:
einFlmentiner Bil.dhauer des 16. Jahrhunderts, Mann, Berlin, 1993). Phi­
lippe Malgouyres ha recentemente proposto l'identificazione del
Montorsoli come autore di una grande statua in marmo, forse una
delle quattro stagioni, che ornavano la grotta della Batie d'Urfé, il
cui fondatore, Claude d'Urfé, era strettamente legato al re France­
sco I ( Claude d Vifé, Montorsoli, Giulio Camilw, Charks Quint et quel,ques
autres, in « Bulletin de la Société de l'Histoire de l'Art français »,
2008, pp. 9-25).
2. Raffaele Sinibaldi, detto Raffaello da Montelupo (1505-1567 ca),
fu scultore e architetto.
3. Iacopo Tatti, detto il Sansovino (Firenze 1486-Venezia 1570).
4. Nel codice di Reggio Emilia le quattro statue sono citate senza
indicarne gli autori, e si dice che sono « scolture tutte antiche stu­
pende » (p. 58). Nel codice veneziano (p. 59) e nel codice di Mona­
co (cc. l 7v-18r) il testo è invece molto vicino a quello del codice
milanese.
5. Nel codice di Reggio Emilia (p. 58) e nel codice di Monaco (c.
185r) non si cita l'autore del pavimento, che è invece ricordato nel
codice veneziano: « ma sopra tutto, un pavimento sotto le loggie, di
quadri in pittura invetriati, di mano di Jacopo Lanfranchi, da Pesa­
ro, che la più bella et ricca cosa non si può vedere » (p. 59). Un pavi­
mento di Iacopo Lanfranchi era effettivamente presente nella villa
dei Pupaiti (cfr. Melani, L'arte nell'industria, cit., p. 187).
LA VILLA « POSTA IN LUCE » DA GIULIO CA MILLO 307
miglie possono habitarci; la fabbrica è svelta et alta, et
saglie nove scaglioni per potere entrare per tutto, sotto
i portici o loggie che dir vogliamo. Così da ogni parte son
camere ricche, sale addome, cucine finite et ogni altra
stanza bisognosa a uso et comodo degli habitatori, quan­
to si può parata et bene acconcia. Ma nel gran quadro del
mezzo, v'è W1 ' opera di grande spesa, et I [c. 36v] da gran­
de ingegno condotta: un largo pozzo fatto in tondo, il
circuito del quale scende a scalino a scalino, ma a ogni
dieci gradi c'è un piano largo et spatioso, per potervi
comodamente stare a tavola et passeggiare intorno. Et
poi si va stringendo di cerchio in cerchio, tanto che alla
fine giù nel basso si riduce all'ordinaria larghezza d'un
pozzo et scende mi credo cinquantacinque gradi in cir­
ca.1 Et nel centro c'è una colonna fondata grossissima,
di terracotta dentro et di fuori di vive pietre, lavorate a
figure, animali et altre belle fantasie; et con molta dili­
genza murate et commesse. La colonna è vota in mezzo,
quanto tiene un doccione, murato bene et stretto, et
fatto a posta, di grossezza quanto può cerchiare un huo­
mo, con tutte due le mani. Per mezzo di questa macchi­
na passa l'acqua da molte vene vive, unite nel fondo et
ristrette I [c. 37r] da la diligenza de fabbricatori, onde
forzate saglino insino alla cima, che poco manco arriva
che al piano di sopra, passando per varii mostri et ma­
schare, che tutte zampillano acqua fuori, et dalla cima
per artifitiose figure esce, et insino in fondo ricade, con
dolcezza et armonia, facendo lago attorno al piede, con
infiniti pesci, il qual lago del pozzo tien sotto l'acqua da
dodici o quindici scalini, et poi per alcuni aperti fatti a
posta, si ritorna per altre vie nel profondo delle vene.
Cosa rara d'ingegno, di grande spesa, et ha dell'impe­
riale.2 Intorno al cerchio, al piano della terra di questa
1. Il codice veneziano aggiunge: « Et chi riguarda di quel basso in su,
gli par vedere un Coliseo » (p. 61).
2. Nel codice veneziano (p. 61) e nel codice di Monaco (c. 18v)
leggiamo: «et ha del Principe, del Reale, et della Maestà a vederla ».
308 SEGRETI E META MORFOSI DELTEATRO

fonte o pozzo son la più bella sorte d'alberi, diritti, che


si possa l'huomo imaginare e tutti composti nel piantar­
gli a misura, et son variati di foglia et di rami, onde ti
fanno una allegra et dilettevole veduta. Ma tutte le con­
solationi son nulla salvo I [ c. 37 v] che il goder la state sì
fatto pozzo. Perché scendendo giù 1 quanto ti pare al­
l'ombra et ti fa bisogno, nel sentire che tu fai del fresco
temperato, a modo tuo, gusti per quello et per le acque
della fonte stupenda, quella consolatione che imagina­
re si possi la più agiata persona del mondo. Il restante
del quadro è tutta prateria piena di frutti miracolosi
d'ogni sorte, et per ogni stagion buoni, tutti posti a se­
gno, et con disegno. All'entrare del grandissimo corti­
le, si entra al piano per una degna porta fatta con termi­
ni di marmo, et figure maggior del naturale; et si passa
sotto il piano della loggia, dove la volta dell'androne è
lavorata tutta a di stucchi et bizzarrie, mirabilmente, et
dove bisogna alcune storiette colorite, et i festoni et al­
tri luoghi messi a oro, et passato tu vedi dall'altra parte
la rispondente porta come I [c. 38r] l'altra bellissima di
modello, la quale esce in uno spatio d'altretanto piano,
quanto è tutta la fabbrica, dove è una montagnetta artifi­
tiosa, fabbricata a gradi, che par proprio la forma cavata
del pozzo: 2 sopra della quale sono a grado per grado
posati vasi di terra cotta, grandi piccoli et mezzani pieni
di cedri, aranci, limoni, timo, mortine,3 viole, pesca, et
altre piante elette, tirandole in varie forme, d'animali,
navilii, uccegli, pesci et alberetti, con modi artifitiosis­
simi et questi sotto la montagna nelle stanze, per gli estre­
mi freddi et per gl'ardenti soli, si conservano da diligen­
te coltivatore. Onde io giudico questa villa per il diletto
dell'alta montagna dilettevole, per il profondo della
1. Nel codice di Monaco leggiamo: « Perché scendendo giù, in quel
teatro» (c. 19r).
2. Nel codice veneziano leggiamo: « che par proprio la forma cavata
di quel teatro fatto pozzo » (p. 62).
3. Mortella.
LA VILLA « POSTA IN LUCE » DA GIULIO CA MILLO 309
fonte fresca et per gli alloggiamenti comodi, una delle
più gratiose et mirabil ville ricche che si possi fabricare
et vedere. 1

1. Nel codice di Monaco leggiamo: « che si possino vedere, che be­


nedetto sia colui che ne fu inventore » (c. 19v ) .
PER IMMAGINARE LE IMMAGINI DEL TEATRO
NOTE
Ringrazio Angelo Maria Monaco per la sua preziosa collaborazione alla
ricerca delle immagini. In anni lontani tale ricerca aveva preso avvio
con la collaborazione di Massimiliano Rossi.
Sino ad ora le immagini che, a quanto pare, Camillo aveva
fatto preparare per il suo Teatro sono andate perdute. Non
siamo in grado di sapere quale forma esatta egli pensasse per
le immagini che descrive, o rapidamente evoca, nell'Idea del
theatro. Abbiamo però pensato che potevamo provare a imma­
ginarle, a dar loro uno, o più corpi, basandoci su quello che il
testo ci dice e cercando corrispondenze a partire dagli artisti
con cui Camillo aveva legami personali, come Tiziano o Lo­
renzo Lotto, o che ammirava, come Leonardo e Raffaello. Ab­
biamo poi esteso le ricerche a personaggi e aree cronologiche
e geografiche il più possibile vicini. Nel caso di iconografie
molto diffuse, la ricerca non era difficile; in altri casi invece
era molto più impervia, dato che Camillo a volte inventa le
sue immagini, altre volte combina tradizioni diverse, sempre
ha di mira il loro inserimento entro la grande macchina del
Teatro. Ma ci sembra importante l'aver rintracciato corri­
spondenze figurative per quasi tutte le immagini del Teatro: si
tratta di pitture, ma anche di sculture, di medaglie, di gerogli­
fici, di emblemi e imprese, di reperti archeologici. Tutto que­
sto ci aiuta a immaginare il Teatro, a farlo rivivere anche nella
sua dimensione di grande repertorio iconologico.
Proponiamo la nostra galleria seguendo l'ordine in cui le
immagini compaiono nel testo, con l'avvertenza che la stessa
immagine ricompare in luoghi diversi, variando di significato.
È interessante che risulti fra l'altro che in alcuni luoghi (co­
me la Camera di San Paolo dipinta dal Correggio) e in alcuni
testi ( come l' Hypnerotomachia Poliphili, le Symbolicarum quaes­
tionum, de universo genere di Achille Bocchi, i Hieroglyphica di
314 PER IMMA GIN A RE LE IMMA GIN I DELTEATRO

Valeriano con l'appendice del Curione) le corrispondenze, o


le analogie, appaiono particolarmente frequenti.
Il repertorio di immagini che qui proponiamo ci mostra
dal vivo che il Teatro di Camillo fa propria una consolidata
memoria iconologica e insieme la varia e la trasforma; selezio­
na le immagini e le consegna al gioco personale della meta­
morfosi e dell'invenzione, ne fa strumenti in cui la mente si
riflette e si ricrea.
L'ORDINE DEI LUOGHI

I PIANETI
« Nelfrrimo grado adunque si vedranno setteporte dissimili, percioché
ciascun pianeta in fig;ura humana sarà dipinto sopra /,a porta della
a lui destinata colonna, salvo che ali.a colonna del Sole, impercioché
essendo quello il più nouil luogo di tutto il theatro, vogliamo che quel­
lo Apollo, il qual dovrebbe per sua ragione esser dipinto in pari grado
con gli altri, cieda al convivio della /,atitudine de gli enti, che è imagi­
ne dell.a divinità » (p. 155) .
Luna
Fig. 1 Giulio Bonasone ( da Pannigianino?) , Luna, incisione
a bulino, dalla serie I sette pianeti, prima metà del XVI secolo.
Collezione privata.
Mercurio
Fig. 2 Giulio Bonasone (da Pannigianino?), Mercurio, inci­
sione a bulino, dalla serie I sette pianeti, prima metà del XVI
secolo. Collezione privata.
Venere
Fig. 3 Giulio Bonasone (da Pannigianino?) , Venere, incisio­
ne a bulino, dalla serie I sette pianeti, prima metà del XVI seco­
lo. Collezione privata.
Marte
Fig. 4 Giulio Bonasone (da Pannigianino? ) , Marte, incisio­
ne a bulino, dalla serie I sette pianeti, prima metà del XVI seco­
lo. Collezione privata.
316 PER IMM A GIN A RE LE IMMA GIN I DEL TEATRO

Giove
Fig. 5 Giulio Bonasone ( da Pannigianino?) , Giove, incisione
a bulino, dalla serie I sette pianeti, prima metà del XVI secolo.
Collezione privata.
Saturno
Fig. 6 Giulio Bonasone ( da Pannigianino?) , Saturno, incisio­
ne a bulino, dalla serie I sette pianeti, prima metà del XVI seco­
lo. Collezione privata.
IL CON VIVIO
« fl secondo grado del tlieatro haverà le porte sue dipinte di una istes­
sa imagine, et questa sarà un convivio. Finge Homero l'Oceano far
un convito a tutti i suoi dei. . . ». (p. 159) .
Fig. 7 Raffaello Sanzio, Convivio degli Dei, affresco, 1517. Ro­
ma, Villa Farnesina, Loggia di Psiche.
LE GORGON I
«Fra lefavole greche adunque si legge di tre sorelle cieche, chiamate le
Gorgoni, le qualifra loro havevano un solo occhio commutalnlefra
loro, percioché l'una all'altra il poteva prestare... » (p. 212) .
Fig. 8 Perseo e le Graie, miniatura, in Ovide moralisé, XN seco­
lo. Rouen, Bibliothèque municipale, ms. 1044, f. 1 22v.
PA SIPHE
« QJJ,esta alta philosophia . . . fu coperta nella theologia simbolica dal­
lafavola di Pasiphe » (p. 220) .
Fig. 9 Giulio Romano, Pasiphae e il toro, affresco, 1530 ca.
Mantova, Palazzo Ducale, Sala degli amori di Giove.
PROMETEO
« Prometheo con lafavella accesa » (p. 232) .
Fig. 1 O Celio Agostino Curione, Hieroglyphicarum lilm (in Ioan­
nis Pierii Valeriani Bellunensis, Hieroglyphica) , Paulum Frel­
lon, Lyon, 1626, p. 624.

LE IMMA GIN I

Piramide con punto indivisilnle (p. 156) .


Fig. 1 1 Achille Bocchi, Symb. XLVIII, in Symbolicarum quaes­
tionum, de universo genere, ed. 1574 cit., libro Il, p. 104.
PER IMMAGIN A RE LE IMMA GIN I DELTEATRO 317
Pan e i tre mondi (p. 157) .
Fig. 1 2 Achille Bocchi, Symb. XLV, ibid., p. 98.
«LeParche » (p. 157) .
Fig. 13 Francesco Salviati, Tre Parche, olio su tavola, 1550 ca.
Firenze, Galleria Palatina.
« Un arboro con un ramo d 'oro, il quak è quello del qual scrive Virgi­

lio, che senza quello non si può andar a veder il regno dell'inferno »
(p. 157) .
Fig. 1 4 Johannes Sambuco, Enea spezza il ramo d'oro (Aeneis,
VI, 206-2 1 1 ) , in Embkmata, altera editio, Plantin, Antwerpen,
1566, p. 136.
(p. 1 70) .
« Protheo di più forme confaccia umana »

Fig. 15 Antiquissima quaeque comentitia, xilografia, in Andrea


Alciato, Embkmatum Libellus nuper in lucem editus, Manuzio,
Venezia, 1546, p. 6.
(p. 1 70) .
« Nettuno col tridente »

Fig. 16 Giulio Romano, Nettuno e Psiche rapita da ùfiro, affre­


sco, 1526-1528. Mantova, Palazzo Te, Sala di Psiche (partico­
lare della volta) .
Fig. 1 7 Jacopo Caraglio su disegno di Rosso Fiorentino, Net­
tuno, incisione a bulino, 1526. Collezione privata.
«Ekfante . . . ilpiù religioso animal» (p. 170) .
Fig. 18 Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, tomo I, p. 38.
« spera con dieci circoli » (p. 171 ) .
Fig. 19 Andreas Cellarius, Veduta planimetrica del sistema tok­
maico semplificato, in Atlas coekstis seu Harmonia Macrocosmica,
JohannesJanssonius, Amsterdam, 1660, tav. 2.
«Apollo dio » (p. 1 71 ) .
Fig. 20 Jacopo Caraglio su disegno di Rosso Fiorentino, A­
pollo, incisione a bulino, 1526. Collezione privata.
Vulcano (p. 171 ) .
Fig. 2 1 Jacopo Caraglio su disegno di Rosso Fiorentino, Vul­
cano, incisione a bulino, 1526. Collezione privata.
318 PER IMMA GIN A RE LE IMMA GIN I DEL TEATRO

« Una bocca tartarea aperta et divorante anime, qual nelle pitture


fiaminghesi suol vedere » (p. 171 ) .
Fig. 22 Seguace di Hieronymus Bosch, Discesa di Cristo nel lim­
bo, olio su tavola, 1575 ca. Indianapolis, Indianapolis Museum
ofArt.
« Giunon suspesa » (p. 172).
Fig. 23 Correggio, Giunone sospesa, affresco, 1518-1519. Par­
ma, Monastero di San Paolo, Camera della Badessa (partico­
lare della volta) .
Fig. 24 Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris Aegyptio­
rum literis commentarii, Michael Isengrin, Basel, 1556, c. 353r.
« Europa rapita dal toro » (p. 1 73).
Fig. 25 Tiziano, n ratto d 'Europa, olio su tela, 1559-1562. Bos­
ton, Isabella Stewart Gardner Museum.
« Cibek ... inghirlandata di torri et tirata da due 'leoni » (p. 173) .
Fig. 26 Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris Aegyptio­
rum literis commentarii, ed. 1556 cit., c. 15v.
Fig. 27 Francesco del Cossa, Carro di Cibek, affresco, 1460 ca.
Ferrara, Palazzo Schifanoia, Salone dei mesi (particolare del
mese di Luglio) .
«Daphne che si tramuta in lauro » (p. 1 77).

Fig. 28 Antonio del Pollaiolo, Apollo e Dafne, olio su tavola,


1480 ca. London, The National Gallery.
«Diana a cui Mercurio porge la vesta » (p. 177).
Fig. 29 Celio Agostino Curione, Hieroglyphicorum libri (in
Ioannis Pierii Valeriani Bellunensis, Hieroglyphica) , ed. 1626
cit., p. 631 .
« Le stalk di Augi,a » (p. 178).
Fig. 30 Virgil Solis il Vecchio ( 1514-1562; attribuito a) , Le
Jatiche diErcok, inchiostro su carta. Collocazione sconosciuta.
« Giunonfra /,e nubi » (p. 179).
Fig. 31 Giulio Bonasone, Favola di lo, incisione, dalla serie
Amori sdegni et gi,elosie di Giunone, 1531-1574. Collezione pri­
vata.
PER IMMA GIN A RE LE IMMA GIN I DEL TEATRO 319
«ll vello dell'oro » (p. 179) .
Fig. 32 Baccio Bandinelli, Giasone con il vello d'oro, bronzo,
1546 ca. Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
«fl nodo gordiano » (p. 1 81 ) .
Fig. 33 Paolo Giovio, Impresa diFerdinando d'Aragona, in Diak>­
go dell'imprese militari et amorose, Roviglio, Lyon, 1559, p. 26.
« Giunon finta di num » (p. 181 ) .
Fig. 34 Anonimo del XVI secolo su disegno di Francesco Sal­
viati (?) , Issione e Giunone, incisione, 1550-1560 (?) . Paris, Bi­
bliothèque nationale de France, Cabinet des Estarnpes, inv.
Eb. 6b. rés. fol. (C3285 ) .
C,erbero (p. 181 ) .
Fig. 35 Pirro Ligorio, C,erbero, scultura in pietra, seconda me­
tà del XVI secolo. Bomarzo, Sacro Bosco.
« Unafanciulla cheporta in capo un vaso di odori » (p. 1 8 1 ) .
Fig. 36 Bartolomeo Fonzio, Oxford, Bodleian Library, cod.
Lat. Mise. D.85, c. 161 v.
Narciso (p. 181 ) .
Fig. 37 Amor di sé, xilografia, in Girolamo Ruscelli, Le imprese
illustri del S. Ieronimo Ruscelli, Bardi, Venezia, 1 696 (riuso da
Lodovico Dolce, Trasformationi, Giolito, Venezia, 1553) .
« Tantalo sotto il sasso » (p. 181 ) .
Fig. 38 Giulio Bonasone, La punizione di Tantalo, incisione a
bulino, dalla serie Amori sdegni et gi,elosie di Giunone, 1531-1574.
Collezione privata.
«Argo solopieno di occhi » (p. 184) .
Fig. 39 Celio Agostino Curione, Hieroglyphicorum libri (in
Ioannis Pierii Valeriani Bellunensis, Hieroglyphica) , ed. 1626
cit., p. 627.
« Gerione ucciso da Herco/,e » (p. 184) .
Fig. 40 Alessandro Turchi, l'Orbetto, Ercok e Gerione, penna
e gesso su carta bruna, fine XVI-inizio XVII secolo. Collezier
ne privata.
320 PER IMMA GIN A RE LE IMMA GIN I DEL TEATRO

« Un gallo et un kone» (p. 184) .


Fig. 41 Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris Aegyptio­
rum literis commentarii, ed. 1556 cit., c. 9r.
« Unafanciulla i cui capelli stanno kvati verso 'l cielo » (p. 187) .
Fig. 42 Celio Agostino Curione, Hieroglyphicorum libri (in
Ioannis Pierii Valeriani Bellunensis, Hieroglyphica) , ed. 1626
cit., p. 634.
«Il caduceo » (p. 190) .
Fig. 43 Embkma XVIII, Virlutiforluna comes, xilografia, in An­
drea Alciato, Embkmatum Liber, Heinrich Steyner, Augsburg,
1531 ( l 3 ediz.) , c. Blr.
«Danae a cui piove l'oro in grembo » (p. 190) .
Fig. 44 Tiziano, Danae, olio su tela, 1553-1554. Madrid, Mu­
seo Nacional del Prado.
«Le tre Gratie » (p. 190) .
Fig. 45 Correggio, Tre Grazie, affresco, 1518-1519. Parma,
Monastero di San Paolo, Camera della Badessa (particolare
della volta) .
« Tre capi, di lupo, di /,eone et di cane » (p. 192) .

Fig. 46 Tiziano, Alkgoria della Prudenza, olio su tela, 1565.


London, The National Gallery.
«L'arca del patto » (p. 192) .
Fig. 47 Francesco Salviati, L'arca di Yahve parlata da vegliardi,
disegno, prima metà del XVI secolo. Paris, Musée du Louvre,
n. inv. 9912.
«Proteo l.egato » (p. 192) .
Fig. 48 Achille Bocchi, Symb. LXI, in Symbolicarum quaestio­
num, de universo genere, ed. 1574 cit., libro Il, p. 130.
« Un passer solitario » (p. 192 ) .

Fig. 49 Compkssione del maknconico per la terra, in Cesare Ri­


pa, Iconologi,a, Lepido Facii, Roma, 1603, p. 79.
Pandora (p. 192) .
Fig. 50 Achille Bocchi, Symb. CXXIII!, in Symbolicarum quaes­
tionum, de universo genere, ed. 1574 cit., libro IV, p. 262.
PER IMMA GIN A RE LE IMMA GIN I DEL TEATRO 321
« Un Zodiaco » (p. 213) .
Fig. 51 Albrecht Durer, Hemisphaerium Australe, incisione,
ed. 1527.
« UnaJacella accesa » (p. 213) .
Fig. 52 Paolo Giovio, Impresa di Gieronimo Adorno, in Dia/,ogo
dell'imprese militari et amorose, cit., p. 75.
«Euridice punta nel piede dal serpe» (p. 214) .
Fig. 53 Tiziano, Orfeo e Euridice, olio su tavola, 1506-1514 ca.
Bergamo, Accademia Carrara.
« Una gru, che vola verso il cie/,o portando nel becco un caduceo, et
lasciandosi cader da 'piedi una pharetra, della quale le saette uscendo
cadono all'in giùper l'aere spargendosi » (p. 215) .
Fig. 54 Incisione, in Camillo Camilli, Imprese illustri, Ziletti,
Venezia, 1586, voi. II, n. 32.
«Hercole, il qual leva Antheo sopra il petto » (p. 216) .
Fig. 55 Antonio del Pollaiolo, Ercole e Anteo, bronzo, 14 75 ca.
Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
(p. 222) .
« Issione legato ad una ruota »

Fig. 56 Achille Bocchi, Symb. LXXI, in Symbolicarum quaestio­


num, de universo genere, ed. 1574 cit., libro III, p. 152.
« Bacco con l'hasta in mano vestita di hedera » (p. 222) .

Fig. 57 Leonardo da Vinci (attribuito a / Leonardo da Vinci


e bottega) , Bacco (già San Giovanni Battista), olio su tavola,
1510-1515. Paris, Musée du Louvre.
Minotauro (p. 223) .
Fig. 58 Teseo e il Minotauro, xilografia, in Plutarco, Vita di Te­
seo, in Vitae virorum illustrium, Bartolomeo Zani, Venezia, 1496,
voi. I, f. 1 r.
« Un huomo senza capo, cioè senza il cervel/,o » (p. 225) .
Fig. 59 Achille Bocchi, Symb. LXVI, in Symbolicarum quaestio­
num, de universo genere, ed. 1574 cit., libro III, p. 142.
« fl leone ucciso da Hercole »
(p. 225) .
Fig. 60 Achille Bocchi, Symb. CVII, ibid., libro IV, p. 226.
322 PER IMMA GIN A RE LE IMMA GIN I DELTEATRO

«Endimione addormentato sopra un monte » (p. 227) .


Fig. 61 Tiziano, Endimione e il suo gregge, olio su tavola, 1510
ca. Philadelphia, Pennsylvania, The Bames Foundation.
© Bridgeman Images.
Fig. 62 Cima da Conegliano, Endimione dormiente, olio su ta­
vola, 1508-1510 ca. Panna, Galleria Nazionale.
« La catena d'oro » (p. 230) .
Fig. 63 Giuseppe Porta Garfagnino, Il fato, xilografia, in
Francesco Marcolini, Le sorti intitolate gi,ardino d 'i pensieri, Ve­
nezia, 1540, p. 9.
Himeneo (p. 234) .
Fig. 64 Giovanni Antonio Bazzi, il Sodoma, Imeneo, affresco,
1519. Roma, Villa Farnesina, Stanza delle nozze di Alessandro
Magno e Roxane (particolare) .
«Diana con l'arco » (p. 234) .
Fig. 65 Tiziano, Morte di Atteone, olio su tela, 1562. London,
The National Gallery.
«Hercok che tira una saetta con tre punte » (p. 235) .
Fig. 66 Embkma XCIII, Eloquentia fortitudine praestantior,
xilografia, in Alciato, Embkmatum Liber, ed. 1531 cit., c. E6r.
Fig. 67 Achille Bocchi, Symb. Xliii, in Symbolicarum quaestio­
num, de universo genere, ed. 1574 cit., libro Il, p. 92.
« Tre Palladi, una edificante città, l'altra che tessa tela figurata, la
terza chefaccia una statua » (p. 235).
Fig. 68 La Fama e /,e tre arti del Disegno, xilografia, in Raffaello
Borghini, ll riposo, Giorgio Marescotti, Firenze, 1584, p. 2 (riuso
da Giorgio Vasari, Le Vite, Lorenzo Torrentino, Firenze, 1550) .
«Mercurio con un gallo » (p. 236) .
Fig. 69 PietroApiano, lnscriptiones sacrosanctaevetustatis, 1534,
p. 422.
« Prometheo con lafacella » (p. 236) .

Fig. 70 Impresa del cardinak Luigi, d 'Este, xilografia, in Girola­


mo Ruscelli, Le imprese illustri del S. leronimo Ruscelli, Francesco
de' Franceschi, Venezia, 1584.
PER IMMA GIN A RE LE IMMAGIN I DELTEATRO 323

« ApollofraI.e Muse» (p. 237) .


Fig. 71 Raffaello Sanzio, Parnaso, affresco, 1510-151 1 . Città
del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura.
«Apollo che uccide il serpente» (p. 23 7) .
Fig. 72 Maestro del Dado, Apollo che uccide Pitone, incisione a
bulino, secondo quarto del XVI secolo. Collezione privata.
« Un huomo a cavallo con un logc,ro in mano » (p. 237) .
Fig. 73 Atelier du faubourg Saint-Marce}, Francesco I e falco­
niere a caccia (particolare) , arazzo di lana e seta, primo quarto
del XVII secolo. Chateau de Chambord, Domaine national
de Chambord.
Centauro (p. 238).
Fig. 74 Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris Aegyptio­
rum literis commentarii, ed. 1556 cit., c. 32v.
« Due g;i,uocatori di cesti conteneranno tutti i g;i,uochi martiali »
(p. 238) .
Fig. 75 Girolamo da Treviso, Anselmo Guazzi, Agostino da
Mozzanica e Benedetto Pagni, Gladiatori, affresco, 1527-1528.
Mantova, Palazzo Te, Camera dei Venti o dello Zodiaco (par­
ticolare della costellazione delle Pleiadi del segno del Toro) .
« Lefurie infernali » (p. 238) .
Fig. 76 Jacopo Caraglio su disegno di Rosso Fiorentino, Fu­
ria infemak, incisione a bulino, 1524. Collezione privata.
« Marsia scorticato » (p. 239) .
Fig. 77 Tiziano, La punizione di Marsia, olio su tela, 1570-
1576 ca. Krorneflz, Palazzo arcivescovile.
dvii.e » (p. 239) .
« fl g;i,udido di Paris haverà ilforo

Fig. 78 Valerio Belli, Giudizio di Paride, ovale in cristallo di


rocca, primo quarto del XVI secolo. London, Vìctoria and Al­
bert Museurn.
« La sphera dinoterà l'astrologia »
(p. 239) .
Fig. 79 Pinturicchio, Astronomia, affresco, 1492 ca. Città del
Vaticano, Musei Vaticani, Appartamento Borgia (particolare) .
324 PER IMMAGINARE LE IMMAGINI DEL TEATRO

« UnJanduUo sopra la tavola deU'alphabeto ci, darà la grammatica »


(p. 239 ) .
Fig. 80 Valerio Belli (attribuita a) , Figura con kttere, medaglia
bronzea, primo quarto del XVI secolo. Collocazione scono­
sciuta.
« Un asino » (p. 239) .
Fig. 81 Embkma XXXV, Non tibi sed Religioni, xilografia, in Al­
ciato, Embkmatum Liber, ed. 1531 cit., c. B7r.
INDICE DEI NOMI
I nwneri in corsivo rinviano alle note. Ringrazio Alessandra Pesante
per l'aiuto che mi ha dato neIIa stesura deII'Indice.
Aaron, 189 Alighieri, Dante, 107, 188
Abbiosi, Agostino, 58 Allen, Helen Mary, 40
Abramo, 147 Altan di Salvarolo, Federico,
Achille, 214 130
Adamo, 79, 1 20, 203, 204, Amato Lusitano,Joao Rodri-
205, 282, 283, 287, 289, 293 gues noto come, 63, 64
Adorni Braccesi, Simonetta, Ammonio Sacca, 1 48
60 Anassagora, 23, 1 76
Adorno, Geronimo, 321 Anichini, Luigi, 25
Agostino, sant', 98, 159, 161, Anteo, 98, 2 15, 216, 227, 321
168, 206 Antheo, si vedaAnteo
Agostino da Mozzanica, 323 Antonini, Anna, 89
Agricola, Rodolfo, 50 Apiano, Pietro, 322
Agrippa, Cornelio (Heinrich Apollo, 28, 155, 156, 1 71, 184,
Cornelius Agrippa di Net­ 186, 187, 224, 230, 235,
237, 239, 250, 25 1 , 315,
tesheim) , 16, 60 316, 317, 318, 323
Alamanni, Lodovico, 9 Apollonio ( di Alabanda?) ,
Alamanni, Luigi, 14, 94, 101, 250, 251 , 252
l l l, 1 13, 1 14, 1 15, 1 17, 296 Apollonio Rodio, 163, 227
Alberto Magno, 292 Apuleio, 146, 253
Alceste, 200 Arachne, si vedaAracne
Alciato, Andrea, 13, 317, 320, Aracne, 235
322, 324 Aretino, Pietro, 1 1 , 25, 30, 89
Alcibiade, 204 Argo, 184, 185, 224, 319
Alessandro di Afrodisia, 90 Ariani, Marco, 136
Alessandro Magno, 15, 181, Ariosto, Ludovico, 9, 10, 96,
284, 322 101, 107, 1 26
Alfonso II d'Este, 107 Aristeo, 196, 290
328 IN DICE DEI N OMI

Aristotele, 34, 62, 80, 85, 86, Battista, Franco, 109, 120
87, 90, 1 1 1 , 152, 162, 16� Batto, Margherita, 52
1 76, 1 78, 206, 208, 209, Bauer-Eberhardt, Ulrike, 120
236, 243, 260, 263, 269, Beccadelli, Ludovico, 41
283, 284, 287, 289, 290, Belli, Valerio, 25, 323, 324
291, 293 Bellocchi, Ugo, 120, 305
Arlenio, Arnoldo (Arnould Beltramini, Guido, 120
de Lens) , 143 Bembo, Pietro, 10, 13, 26, 34,
Asclepio, 60, 146, 164, 198, 41, 44, 47, 49, 52, 74, 98,
203, 285, 294 1 24, 136, 1 38, 160, 253,
Atanagi, Dionigi, 94 254, 263
Ateneo, 221 Benivieni, Gerolamo, 137
Attavanti, Pandolfo, 120, 134 Berengario da Carpi.Jacopo,
Atteone, 322 62
Attico, 274 Berio, Carlo Giuseppe Vespa-
Augia, 1 76, 1 78, 181, 183, siano, 84
220, 222, 229, 230, 236, 318 Bernardino da Siena, san, 20
Augurelli, Giovanni Aurelio, Berra, Claudia, 84
1 79 Bertolani, Giovanni, 132
Auriti, Marino, 1 27, 1 28 Bertolucci, Piero, 29
Avalos, Alfonso d', marchese Bettarini, Rosanna, 30
del Vasto, 1 1, 15, 43, 82, 141 Betussi, Giuseppe, 14, 186
Averroè, 90, 271 Biancani Tazzi, Giacomo, 84
Avicenna, 95, 96, 257 Bindoni, Agostino, 1 29
Boccaccio, Giovanni, 44, 107,
Bacchelli, Franco, 83, 84, 89 197, 237, 277
Bacco, 90, 213, 222, 230, 237, Bocchi, Achille, 18, 127, 200,
299, 32 1 313, 316, 317, 320, 321, 322
Badaloni, Nicola, 134 Boivin,Jean, 100
Ballarini, Marco, 84 Bologna, Corrado, 10, 13, 36,
Bandinelli, Baccio, 319 80, 83, 84, 85, 142
Barbarisi, Gennaro, 84 Bolzoni, Lina, 10, 20, 23, 27,
Barisone, Paolo, 304 32, 36, 37, 39, 42, 45, 88,
Barkan, Leonard, 27, 182 89, 100, 102, 110, 1 29, 130,
Barni, Gian Luigi, 13 1 32, 133, 154
Barocchi, Paola, 30, 89, 102, Bonasone, Giulio, 315, 316,
134, 263 318
Barocelli, Francesco, 31 Borgeaud, Philippe, 157
Bartolomeo, fra, detto Baccio Borges,Jorge Luis, 42, 89
della Porta, 1 1 7, 1 18 Borghini, Raffaello, 322
Bas, Emma, 52 Boscaglia, Simona, 181
IN DICE DEI N OMI 329
Bosch, Hieronymus, pseud. Castelvetro, Lodovico, 13, 14,
di Hieronymus van Aeken, 277
318 Castiglione, Baldassarre, 64,
Bracciolini, Poggio, 64 74, 263
Bracesco, Giovanni, 292 Cavazza, Silvano, 130
Bramante, Donato, 257 Cecco d'Ascoli, 97
Bruno, Giordano, 23, 199, 292 Ceci, Cristiana, 127
Bruto, Marco Giunio, 259 Cellarius, Andreas, 317
Buonarroti, Michelangelo, Cellini, Benvenuto, 221
252, 275 Cerbero, 27, 1 8 1 , 1 82, 222,
Bums, Howard, 120 230, 236, 319
Bury, Michael, 30 Cesare, Gaio Giulio, 46, 266,
Butzer, Martin, 12, 37 279
Cesariano, Cesare, 277
Calasso, Roberto, 134 Chatenet, Monique, 120
Calogierà, Angelo, 131 Cheluzzi, Antonio, 141
Calvesi, Maurizio, 10, 32, 1 72, Cherchi, Paolo, 102
1 74, 212 Chiari, Alberto, 126
Calvino, Giovanni, 1 2, 144 Chiodo, Domenico, 136
Calvo, Francesco, 13, 142 Christus, Petrus, 1 71
Ciardi, Roberto, 62, 74
Camerario, Filippo, 186
Cibele, 173, 192, 231, 239, 318
Camesasca, Ettore, 263 Cicerone, Marco Tullio, 27,
Camilli, Camillo, 26, 321 34, 39, 42, 44, 45, 46, 47,
Campanella, Tommaso, 80 52, 54, 55, 56, 57, 62, 66,
Canata, 104 67, 72, 94, 152, 182, 1 87,
Canetti, Elias, 99, 100 188, 200, 208, 209, 223,
Capata, Alessandro, 9 226, 237, 244, 250, 251,
Capodagli, Giuseppe, 93 253, 255, 258, 259, 260,
Caraglio, Giovanni Jacopo, 261 , 262, 263, 272, 274,
317, 323 277, 278, 280, 291
Caramella, Santino, 227 Ciliberto, Michele, 199
Cardinale d'Este, si veda Ippo- Cillario, Graziella, 52
lito II d'Este Cima, Giovanni Battista, detto
Carlino, Andrea, 62 Cima da Conegliano, 322
Carlo V, 141, 180, 256 Cima da Conegliano, si veda
Carpo, Mario, 257 Cima, Giovanni Battista
Carracci (pittori) , 29 Cingolani, Gabriele, 38
Carruthers, Mary, 134 Cipani, Nicola, 199
Cartari, Vincenzo, 97, 182 Cirene, 196, 290
Casalegno, Andrea, 100 Citolini, Alessandro, 11, 40,
Castagnola, Raffaella, 136 88, 89
330 IN DICE DEI N OMI

Clemente VII, papa, 31, 252 De Andres, Gregorio, 30


Clifford, Timothy, 30 De Marchi, Luigi, 1 32
Colafrancesco, Pasqua, 157 Dedalo, 59, 61
Colonna, Francesco, 32, 1 28, Del Cossa, Francesco, 318
136, 155, 317 Del Fante, Alessandra, 137
Colorni, Renata, 100 Delio, Sebastiano, 94
Contarini, Gasparo, 44 Della Porta, Giambattista, 97,
Conti, Natale, 97 110
Contile, Luca, 245 Della Rovere, Giulio (Giulio
Coppens, Christian, 142 da Milano) , 89, 90
Cornaro, Alvise, 181 Demetrio Falereo, 56, 61
Cornelia (figlia di Giulio Ca- Demostene, 259
millo) , 1 2, 30, 75, 1 30 Deswarte-Rosa, Sylvie, 257
Cornelio, Celso, 62 Di Teodoro, Francesco Pao-
Correggio, Antonio Allegri lo, 254
detto il, 31, 1 72, 192, 313, Diana, 31, 86, 92, 156, 1 76,
318, 320 1 77, 1 78, 194, 220, 227,
Correggio, Niccolò da, 267 228, 229, 234, 318, 321
Corsi, Pietro, 1 O Dido, si veda Didone
Costantini, Baldassarre, 1 29 Didone, 200, 215
Cotta, Pomponio, 1 24 Dinocrate di Rodi, 15
Cox-Rearick,Janet, 118 Dionigi l'Areopagita, 156, 163
Crasso, Lucio Licinio, 280 Dionisotti, Carlo, 52
Cupidine, 32, 1 27, 156, 215 Dolce, Lodovico, 82, 83, 252,
Curione, Celio Agostino, 26, 263, 319
136, 137, 138, 156, 157, Dolet, Étienne, 13
1 72, 1 78, 184, 188, 1 92, Domenichi, Lodovico, 82,
214, 314, 316, 318, 319, 320 129, 142, 143, 144, 186
Curzio, Marco, 305 Donatello, Donato di Nicco­
lò di Betto Bardi detto,
D'Alessandro, Alessandro, 1 22, 306
144 Donato, Elio, 261
Dafne, 176, 177, 229, 234, 318 Doni, Anton Francesco, 71,
Danae, 32, 1 28, 1 29, 190, 100, 101, 102, 103, 104, 105,
191, 226, 231, 320 106, 107, 108, 109, 1 10, l ll,
Danti, Vincenzo, 263 1 12, 1 13, 1 14, 1 15, 1 16, 1 1 7,
Daphne, si veda Dafne 1 18, 1 19, 120, 121, 122, 123,
Dario, 189 125, 126, 128, 129, 134, 137,
Davide, 15, 78, 1 48, 197, 206, 141, 144, 252, 297, 298, 300,
210, 217, 219 301, 302, 303, 304, 305, 306
Davis, Charles, 25 Durer, Albrecht, 321
IN DICE DEI N OMI 331
Eco, Umberto, 24 Filippo il Buono, 180
Elena, 261 , 262, 263, 264 Filone, Alessandrino, 195
Elferink, Meine Adriaan, 270 Findlen, Paula, 62, 134
Eliano, 186 Firpo, Massimo, 11, 13, 31
Endiinione, 227, 228, 322 Fishbane, Michael, 227
Enea, 182, 317 Flamini, Francesco, 98
Epimeteo, 232, 233 Flaminio, Marc'Antonio, 13,
Epimetheo, si veda Epimeteo 23, 41, 42, 62, 93, 94, 200
Equicola, Mario, 160 Fontanini, Giusto, 100
Erasmo da Rotterdam, 13, 16, Fonzio, Bartolomeo, 319
39, 40, 45, 47, 48, 49, 51, Formichi, Carlo, 59
52, 67, 83, 107, 238, 244 Fragnito, Gigliola, 41, 1 24
Ercole, 97, 98, 1 42, 1 76, 1 8 1 , Francesco I, re di Francia, 1 1 ,
1 83, 1 84, 1 85, 2 1 6, 2 1 7, 30, 37, 53, 72, 93, 94, 98,
222, 224, 225, 226, 230, 100, 1 03, 1 1 6, 1 1 7, 1 1 8,
231, 235, 236, 237, 3 19, 1 25, 1 26, 252, 255, 264,
321 , 322 276, 306, 322
Ercole d'Este, 57, 1 19 Francia, Francesco, 305
Erennio, 148 Frangipane, Doimo, 283
Ermogene, 51, 56, 61, 73, 135, Fraser, Douglas, 30
244 Frasso, Giuseppe, 84
Errera, Carlo, 142 Frazzi, Michele, 31
Esaia, si veda Isaia Frommel, Sabine, 73, 120
Esculapio, 64 Fugger, Georg, 119
Esdra, 1 46, 147 Fugger,Jacob, 120
Euridice, 200, 214, 320 Fumaroli, Mare, 52, 134
Europa, 1 72, 1 73, 239, 318
Ezechiele, 147, 148, 184 Gabriel, Trifone, 10, 44, 58,
60
Fausto (Fausto da Longiano) , Gabriele, Mino, 1 36, 181
Sebastiano, 94 Galeno, 62
Ferdinando d'Aragona, 319 Galilei, Galileo, 1 26
Ferrero, Giuseppe Guido, 101 Galletti, Pier Luigi, 83
Ficino, Marsilio, 20, 108, 1 37, Galli, Aldo, 25
146, 161, 162, 184, 204, 209, Gambara, Veronica, 10
290 Gandolfo, Francesco, 228
Fidia, 263 Garavelli, Enrico, 144
Fido, Franco, 1 33 Gardini, Nicola, 64
Filelfo, Francesco, 142 Garin, Eugenio, 134, 136, 138
Fileno, Lisia, si veda Renato, Garrod, Heathcote William,
Camillo 40
332 INDICE DEI NOMI

Gasparri, Carlo, 182 Giovanni di Lorena, cardina­


Geber (Abu Musa Jabir ibn le, 14, 101, 1 1 1 , 125, 295
Hayyan Al-Azdi) , 292 Giovanni di Rupescissa Qean
Gellio, Aulo, 143 de Roquetaillade oJoan de
Gentili, Augusto, 29 Rocatalhada) , 292
Geremia, 159, 160 Giovanni Evangelista, san,
Gerione, 184, 185, 224, 230, 78, 1 45, 147, 160, 163, 168,
319 169, 195, 197, 238
Gerolamo, san, 1 88, 205 Giove, 22, 25, 92, 156, 1 58,
Gesù Cristo, 1 2, 34, 70, 77, 1 72, 1 73, 1 78, 1 87, 190,
78, 79, 92, 136, 145, 146, 1 9 1 , 2 16, 221, 224, 225,
1 64, 1 67, 192, 195, 196, 226, 231, 233, 234, 239,
197, 198, 204, 206, 207, 271, 316
209, 2 1 4, 216, 217, 227, Giovio, Paolo, 13, 101, 107,
237, 238, 245, 271, 285, 319, 321
286, 287, 318 Girolamo da Treviso, il Gio­
Gesualdo, Filippo, 1 28 vane, 323
Ghirlandaio, Rodolfo, 1 17 Girotto, Carlo Alberto, I 05,
Giacobbe, 78, 197 lii, 137
Giacomo da Porlezza, 80 Giulio Il, papa, 31
Giacone, Franco, 13 Giulio III, papa, 64, 141
Giamatti, Angelo Bartlett, 64 Giulio da Milano, si veda Del-
Giamblico, 185, 186 la Rovere, Giulio
Gian Cristoforo Romano ( o Giunone, 22, 31, 1 72, 1 76,
Giovanni Cristoforo Gan­ 1 79, 1 8 1 , 1 84, 185, 187,
ti) , 257 1 90, 200, 222, 224, 225,
Giasone, 1 79, 180, 189, 215, 229, 230, 231, 235, 318, 319
319 Giunti (stampatori) , 144
Gioanna da Piacenza, 31 Gombrich, Emst, 31
Giolito, Gabriele, 5 7, 137, Gonzalez Palencia, Angel, 31
141, 142, 144, 278, 319 Gorgoni, 1 9, 22, 70, 71, 158,
Gioni, Massimiliano, 126 212, 2 1 3, 2 1 4, 2 1 5, 216,
Giorgio, Francesco, 149, 153, 271, 316
157, 159, 1 75, 205, 216, 227 Gorris Camos, Rosanna, 38
Giorgio da Castelfranco, si ve­ Gosellini, Giuliano, 246
da Giorgione Graie, 212, 316
Giorgione, Giorgio da Castel­ Grazie, le tre, 31, 190, 191,
franco noto come, 305 192, 226, 231, 320
Giovanni Battista, san, 207, Greco, Francesco, 13, 14
321 Greene, Thomas, 64
Giovanni Damasceno, san, 90 Gregorio di Nissa, 1 75
IN DICE DEI N OMI 333
Gregorio Nazianzeno, 1 75 Ioannes Rupecisa, si veda Gio-
Gualdo Rosa, Lucia, 94 vanni di Rupescissa
Guarino Veronese, 64 lppia, 183
Guazzi, Anselmo, 323 Ippolito, 64
Guicciardini, Luigi, 135, 149, Ippolito II d'Este, cardinale,
1 76 l lO
Gulliver, 58 Iris, 200, 235
Isaia, 78, 1 49, 166, 167, 169,
Harth, Helen, 64 197
Hercole, si veda Ercole Issione, 1 8 1 , 222, 224, 231,
Hermes, si veda Mercurio 319, 321
Trismegisto
Herminjard, Aimé-Louis, 12 Jean de Meun, 288
Hermogene, si veda Ermo-
gene Kha'lid ibn Yazid, 166
Hesse, Hermann, 1 27 Klein, Robert, 74
Hibbard, Howars, 30 Klibansky, Raymond, 200
Hieremia, si veda Geremia Kristeller, Paul Oskar, 130,
Hieronimo, si veda Gerolamo 133
Himeneo, si veda Imeneo Kuntz, Marion Leathers, 80
Hippia, si veda Ippia
Landino, Cristoforo, 236
Homero, si veda Omero
Lanfranchi, Iacopo, 306
Humfrey, Peter, 29, 30
Laocoonte, 27, 67, 251 , 252
Hurtado de Mendoza, Diego, Laschke, Birgit, 306
30, 31, 141, 143 Lattanzio, Firmiano, 62, 161
Hustvedt, Siri, 134 Lazari, Vincenzo, 120
Lecercle, François, 262
Iacob, si veda Giacobbe Lefèvre d'Étaples, Jacques,
Iacopo da Pesaro, si veda Lan- 146
franchi, Iacopo Leibniz, Gottfried Wilhelm
Iacopone (o Jacopone) da von, 1 7
Todi, 81, 290 Lentulo, Publio, 210
Iamblico, si veda Giamblico Leonardi, Camillo, 252
Iason, si veda Giasone Leonardo da Vinci, 66, 256,
Idotea, 1 96 257, 313, 321
Igino l'Astronomo, 212 Leone X, papa, 31, 74, 254,
Ignazio di Loyola, sant', 1 O, 256
80 Leone Ebreo, Yehudah Abra­
Imeneo, 234, 322 banel noto come, 227
Io, 185, 318 Leoni, Leone, 246
334 IN DICE DEI N OMI

Levine, Milton, 30 Manget, Jean:Jacques, 1 66,


Ligorio, Pirro, 182, 319 284, 292
Liruti, Gian Giuseppe, 100 Manuzio, Aldo, 31
Livio, Tito, 305 Manuzio, Paolo, 42, 93
Lomazzo, Giovanni Paolo, Manzuoli, Alessandro, 41, 93
74, 151 Marazzini, Claudio, 88
Longeon, Claude, 13 Marcello, Marco Claudio, 208
Longueil, Christophe de, 93 Marchese del Vasto, si veda
Lorena, cardinale, si veda Avalos, Alfonso d'
Giovanni di Lorena Marcolini, Francesco, 245,
Lotto, Lorenzo, 1 1 , 25
Lucano, Marco Anneo, 253 322
Luciano, 227 Margherita di Navarra, 10, 12
Lucretio, si veda Lucrezio Ca­ Maria ( sorella di Mosè), 1 48
ro, Tito Maria d'Aragona, 141
Lucrezia, 104 Maria Giudea, 148
Lucrezio Caro, Tito, 50, 55, Maria Vergine, 204
173, 185, 186, 222 Marsia, 239, 323
Luigi IX, re di Francia, san, Marte, 1 58, 1 7 1 , 1 72, 1 73,
103 1 87, 1 88, 190, 191, 200,
Luigi d'Este, 93, 1 19, 322 215, 221, 224, 225, 230,
Lullo, Raimondo, 1 7, 23, 231, 238, 271, 315
1 37, 161, 1 62, 284, 287, Martini, Francesco di Gior-
288, 292 gio, 257
Luna, 152, 155, 1 70, 1 75, Masi, Giorgio, 105, 111
1 77, 1 78, 1 79, 1 87, 194, Massimo Tirio, 152
197, 213, 220, 221 , 227, Matteo, san, 23, 154
229, 234, 271, 278, 286, Mazzacurati, Giancarlo, 11 O
292, 302, 315 Mazzatinti, Giuseppe, 130
Machiavelli, Niccolò, 9, 103 Mazzuoli, Giovanni, detto lo
Macrobio, Ambrogio Teodo­ Stradino, 103
sio, 27, 28, 181, 184, 1 85, Medici, Caterina de', 1 17
193, 213, 230, 270 Medici, Cosimo de', 107, 143,
Maestro del Dado, 323 144
Maetano, Giuseppe, 247 Medici, Ippolito de', 252
Maffei, Sonia, 103, 105, 110, Melamed, Abraham, 21
1 11, 112, 120, 121, 137 Melani, Alfredo, 305, 306
Malgouyres, Philippe, 306 Melantone, Filippo, 16
Malipiero, Girolamo, 245 Mele, Eugenio, 31
Maltomini, Franco, 181 Melisso di Samo, 145
Mancini, Franco, 81 Menelao, 1 96
INDICE DEI NOMI 335
Mercurio, 22, 25, 86, 92, 127, Motolese, Matteo, 10
156, 170, 171, 176, 177, Muse, 235, 237, 323
1 78, 179, 180, 181, 189, Muzio, Girolamo, 1 1 , 12, 15,
191, 194, 200, 2 1 3, 215, 43, 83, 95, 142, 212
220, 221, 222, 229, 233,
234, 235, 236, 271 , 290, Nagel, Alexander, 12, 80, 134
315, 318, 322 Nappi, Cesare, 84
Mercurio (o Hermes) Tris­ Narciso, 181, 183, 222, 230,
megisto, 17, 34, 60, 80, 137, 237, 319
146, 149, 161, 162, 164, 165, Navagero, Andrea, 82
170, 171, 176, 184, 198, 199, Nazari, Giovan Battista, 282
202, 203, 285, 289, 290, Negri, Anna Maria, 12
293, 294 Neri, Achille, 12, 95
Metrodoro di Scepsi, 23, 42 Nettuno, 40, 41, 170, 176,
Migliorini, Maurizia, 84 177, 229, 234, 317
Minerva, 233 Niccoli, Sandra, 209
Minosse, 200 Niccolò di Forzore Spinelli,
Minotauro, 220, 223, 226, detto Fiorentino, 192
230, 231 , 236, 321 Niso, 200
Mnemosyne, 33 Normando, Viviana, 32
Modona, Antonio, 14 Nowicki, Andrzej, 292
Molino, Gerolamo, 44 Nuovo, Angela, 142
Molza, Francesco Maria, 1 1 7
Monaco, Angelo Maria, 312 ()ceano, 21, 159, 168, 316
Montaigne, Michel Eyquem, ()chino, Bernardino Tom-
signore di, 134 massini detto, 12
Montalbani, Ovidio, 84 ()gawa, Yoko, 127
Montelupo, si veda Raffaello ()ldcom, Anthony, 133
da Montelupo ()lgiati, Giovan Battista, 133
Montfaucon, Bemard de, 100 ()livato, Loredana, 11, 73
Montorsoli, Giovanni Ange- ()livieri, Achille, 120
lo, 252, 306 ()mero, 24, 152, 159, 172,
Moraldi, Luigi, 21 O 174, 176, 187, 196, 290, 316
Moreni, Domenico, 143 ()ngaro, Domenico, 130
Morieno, si veda Morienus ()rapollo, 23, 26
Morienus, 166 ()razio Fiacco, Quinto, 246
Moroni, Natascia, 32 ()rfeo, 163, 164, 320
Mosè, 23, 145, 146, 147, 148, ()rigene, 148, 188, 205
152, 153, 157, 161, 166, ()rpheo, si veda ()rfeo
167, 1 7� 175, 203, 20� ()vidio Nasone, Publio, 200,
206, 207 222, 289
336 INDICE DEI NOMI

Pagni, Benedetto, 323 Petrarca, Francesco, 10, 13,


Pallade, 2 14, 225, 235 24, 25, 26, 28, 44, 56, 60,
Pallavicino, Giovan Battista, 61, 85, 106, 107, 108, 12�
37 163, 188, 197, 199, 216,
Pan, 31, 157, 194, 195, 317 217, 226, 227, 228, 245, 246
Pandora, 192, 200, 227, 231, Petrioli Tofani, Annamaria,
320 62
Panofsky, Dora, 200 Pflug,Julius, 45
Panofsky, Erwin, 29, 31, 74, Phillipps, Thomas, 133
1 72, 200, 263 Piccinini, Chiara, 25
Paolini, Fabio, 247 Pico della Mirandola, Giovan
Paolo, san, 78, 147, 150, 164, Francesco, 136, 160, 263
198, 203, 207, 216, 2 1 7, Pico della Mirandola, Giovan­
227, 238, 285 ni, 17, 20, 82, 1 17, 1 18, 136,
Paradin, Claude, 105 137, 1 38, 146, 148, 161,
Parche, 3 1 , 1 57, 1 71, 224, 164, 186
230, 317 Pierazzo, Elena, 105, 1 12
Paride, 239, 323 Pietro, san, 166, 214
Paris, si veda Paride Pimandro, 1 8, 34, 146, 1 49,
Parmenide, 145 162, 1 65, 1 84, 199, 202,
Parmigianino, Francesco Maz- 203, 289, 290
zola noto come il, 315, 316 Pinelli, Gianvincenzo, 84
Pasifae, 19, 22, 157, 178, 1 79, Pinotti, Giorgio, 134
1 80, 1 8 1 , 1 82, 183, 185, Pinturicchio, Bernardino di
1 87, 1 89, 190, 1 9 1 , 192, Betto detto il, 323
194, 199, 200, 201 , 220, Pio di Carpi, Rodolfo, 101
221, 222, 223, 224, 225, Pissinis, Franca, 120, 134
226, 270, 316 Pitagora, 142
Pasiphe, si veda Pasifae Pitone, 323
Passo, Pietro, 60 Pittoni, Girolamo, BO
Pastore, Alessandro, 13, 41, 94 Plaisance, Michel, 1 1 0
Pastore, Stefania, 31 Platone, 157, 161, 165, 1 71,
Patrizi, Francesco, 56 1 74, 1 88, 204, 206, 219,
Pausania, 224 220, 223, 232, 255, 257,
Pelia, 1 4 269, 270
Penny, Nicholas, 29 Plinio il Vecchio, 43, 62, 92,
Pepe, Mario, 137 1 70, 1 84, 1 85, 192, 209,
Pépin,Jean, 1 75 253, 262
Periti, Giancarla, 31 Plotino, 148, 163, 1 66, 167,
Perseo, 212, 316 168, 208
Pertile, Lino, 133 Plutarco, 27, 109, 181, 321
INDICE DEI NOMI 337
Pocar, Ervino, 127 Radamanto, 238
Polignoto, 224 Raffaello da Montelupo, Raf­
Poliziano, Angelo, 82 faele Sinibaldi, detto, 306
Pollaiolo, Antonio Benci det- Raffaello Sanzio, 29, 64, 73,
to il, 318, 321 74, 192, 254, 275, 283, 313,
Poma, Luigi, 9 316, 322, 323
Pordenone, Giovanni Anto­ Raimondi, Ezio, 9, 1 34
nio de' Sacchis detto il, Rangone, Claudio, 43
1 22, 305 Rasis (Abu Bakr Muhammad
Porfirio, 24, 159, 1 74 ibn Zakariya al-Razi) , 292
Porta Garfagnino, Giuseppe, Refini, Eugenio, 1 1 1 , 133
322 Regnard, Dionisius, 133
Postel, Guillaume, 80, 1 62, Renata di Francia, 94, 1 19
293 Renato, Camillo, pseud. di Li-
Procaccioli, Paolo, 1 O sia Fileno ( o Fileno Lunar­
Proclo, 159, 1 72, 1 74, 204 di) , 41, 84, 89
Prometeo, 22, 26, 64, 1 70, Rhadamanto, si veda Rada-
1 7 1 , 1 72, 1 73, 1 76, 1 77, manto
1 78, 1 8 1 , 1 82, 1 83, 1 85, Ricci, Bartolomeo, 41, 93, 94
1 87, 1 89, 190, 1 9 1 , 192, Ricciardi, Roberto, 26
193, 194, 2 14, 220, 221, Rigoni, Mario Andrea, 36
229, 232, 233, 234, 236, Rinaldi, Massimo, 120
237, 239, 316, 322 Rinaldi, Rinaldo, 121
Prometheo, si veda Prometeo Ripa, Cesare, 23, 320
Protagora, 232 Rizzarelli, Giovanna, 105
Proteo, 40, 59, 76, 77, 160, Rizzoli, Achilles G., 1 27, 128
1 76, 192, 196, 198, 199, Robinson, Kate, 10
227, 231, 281, 288, 320 Rodrigues,Joao, si veda Ama-
Psiche, 317 to Lusitano
Pupaiti, Giovanni Mauro, 1 22 Romano, Giulio, 316, 317
Pupaiti, Mario, 304, 305, 306 Rose, Paul Lawrence, 43
Pupaiti, Simone, 1 22 Rossi, Massimiliano, 25, 312
Puppi, Lionello, 181 Rossi, Paolo, 1 7, 25
Putti, Elena, 84 Rossi, Properzia de', 92
Rosso Fiorentino, 12, 103,
Quintiliano, Marco Fabio, 317, 323
23, 64, 253 Rotondò, Antonio, 13
Quondam, Amedeo, 144 Rousseau,Jean:Jacques, 63, 64
Roussel, Gérard, 12, 37
Rabelais, François, 16 Rudienus, 292
Rabi Simeon, si veda Shim'on Ruscelli, Girolamo, 319, 322
bar Yol).ai Russo, Emilio, 1 O
338 IN DICE DEI N OMI

Sabbatino, Pasquale, 262 Servio, Mario Onorato, 157,


Salomone, 33, 148, 162, 1 68, 1 72, 270
227, 284, 292 Setaioli, Aldo, 270
Salomoni, Giovanni Domeni­ Settis, Salvatore, 252
co, 59, 1 35 Sfinge, 1 7
Salviati, Francesco, 30, 3 1 7, Shalev, Zur, 21
319, 320 Shearman,John, 64
Sambuco,Johannes, 317 Sibilla, 59, 1 82, 237
Sangallo, Antonio da, 257 Signorini, Rodolfo, 106
Sansone, 201 Sileno, 59, 2 1 2
Sansovino, Iacopo Tatti det- Shim'on bar Yol:tai, 202
to il, 122, 306 Simplicio, 210
Santagata, Marco, 26 Sirleto, Guglielmo, 142
Santangelo, Giorgio, 1 36 Sirone, 212
Sasso, Andrea, 135, 247 Sisifo, 223
Saturno, 28, 85, 89, 92, 98, Socrate, 36, 37, 38, 91, 165,
130, 158, 1 72, 1 73, 1 92, 187, 204, 223, 232, 236
193, 196, 199, 200, 2 1 6, Sodano, Rossana, 136
2 1 7, 218, 226, 231, 239, Sodoma, Giovanni Antonio
270, 271 , 316 Bazzi detto il, 322
Sauli, famiglia, 93, 95 Sole, 14, 15, 21, 24, 33, 54, 55,
Sauli, Domenico, 95 66, 68, 78, 98, 152, 155,
Sauli, Sebastiano, 93, 94 156, 162, 163, 1 68, 171,
Sauli, Stefano, 93 1 75, 1 78, 1 84, 1 85, 186,
Savonarola, Gerolamo, 1 18 1 88, 192, 193, 194, 195,
Saxl, Fritz, 29, 200 197, 210, 221, 224, 230, 237,
Sberlati, Francesco, 121 253, 254, 271, 278, 286,
Scaligero, Giulio Cesare, 39 292, 298, 302, 315, 316
Schmidt, Charles, 12, 37 Solis, Virgil, il Vecchio, 318
Scholem, Gershom, 203 Spinosa, Nicola, 29
Scott, Walter, 137 Spivanovsky, Erika, 31
Scottiuoli, Filippo, 103 Stabile, Giorgio, 1 O, 12
Secret, François, 21, 161, 162, Statio, si veda Stazio, Publio
249, 293 Papinio
Seneca, Lucio Anneo, 192 Stazio, Publio Papinio, 253
Senofonte, 266 Stradino, si veda Mazzuoli,
Serapide, 27, 29 Giovanni
Serlio, Sebastiano, 1 1, 67, 72, Strozzi, Filippo, 1 17
73, 120, 138, 154, 257, 274, Stunn,Jean, 1 2, 37
276 Sulpicio Rufo, Servio, 255,
Serveto, Michele, 84 257
IN DICE DEI N OMI 339
Sulpitio, si veda Sulpicio Ru­ Turchi, Alessandro, detto
fo, Servio l'Orbetto, 319
Svetonio Tranquillo, Gaio, Turello, Mario, 1 O
209 Tzetze, Giovanni, 212
Swift, Gionatan, 59, 1 28
Syska-Lamparska, Rena A., Ulisse, 92, 152, 176
133 Urbano VIII, papa, 52
Urfé, Claude d', 306
Taegio, Bartolomeo, 1 24
Tagliacame, Benedetto (no­ Valandro, Roberto, 121
me umanistico: Theocre­ Valeriano, Pierio (nome uma-
nus), 278 nistico di Giovanni Pietro
Tantalo, 181, 183, 223, 224, Bolzani Dalle Fosse), 26,
230, 319 138, 1 72, 193, 314, 318,
Tasso, Torquato, 9, 126, 160 320, 323
Taylor, René, 30 Vasari, Giorgio, 30, 92, 305,
Teofrasto, 177 322
Teseo, 226, 231, 321 Vasoli, Cesare, 10, 37, 135
Theseo, si veda Teseo Vecce, Carlo, 256
Tiberio, Claudio Nerone, Vecellio, Marco, 29
209, 210 Vecellio, Orazio, 29
Tiraboschi, Girolamo, 93 Vendramin, Gabriele, 103,
Tissoni Benvenuti, Antonia, 1 16
267 Venere, 33, 55, 85, 88, 90, 92,
Tiziano Vecellio, 1 1, 27, 28, 121, 156, 1 7 1 , 1 81, 182,
29, 30, 31, 82, 141, 193, 1 83, 214, 222, 224, 230,
313, 318, 320, 321, 322, 323 236, 271, 315
Tommaso d'Aquino, san, 90, Verdizzotti, Giovanni Mario,
209 82
Tomabuoni, Giovanna, 192 Vergilio, si veda Virgilio Ma­
Torrentino, Lorenzo (Lau­ rone, Publio
rens Leenaertsz van der Veronese, Paolo Caliari detto
Beke), 143, 144 il, 305
Toscanella, Orazio, 88, 100, Vesalio, Andrea, 62
101, 1 02, 1 03, 104, 1 1 0, Vesta, 225
1 1 1 , 1 1 2, 1 1 6, 1 1 7, 1 1 8, Vico, Enea, 141
123, 1 25, 126, 235 Viglio Aytta da Zwichem, 39,
Tournon, François de, 252 40, 45, 67
Tullia d'Aragona, 1 O Viret, Pierre, 12
Tulliola (Tullia, figlia di Mar- Virgilio Marone, Publio, 10,
co Tullio Cicerone) , 27, 182 13, 24, 44, 52, 54, 55, 56,
340 INDICE DEI NOMI

57, 59, 66, 67, 80, 95, 135, Xenofonte, si veda Senofonte
1 49, 1 57, 1 77, 182, 196,
200, 208, 2 1 1 , 2 1 2, 215, Yates, Frances A., 1 O, 17, 20,
2 19, 220, 226, 235, 246, 27, 60, 1 93
253, 258, 259, 261, 270, Yourcenar, Marguerite, 124
287, 289, 290, 317
Vitruvio Pollione, Marco, 36, Zaja, Paolo, 10, 85, 245
37, 138, 154, 277 ZélIIlbon, Francesco, 10
Vulcano, 171, 172, 187, 188, ZélIIlpetti, Pietro, 25
230, 233, 238, 317 Zeusi, 244, 261 , 262, 263, 264
Ziletti, Francesco, 84
Weinberg, Bemard, 136 Ziletti, Giordano, 84
Wells, Maria Xenia Zevelechi, Zinguer, Ileana, 21
133 Zonta, Giuseppe, 14
Wenneker, Lu Beery, 26, 1 71, Zopiro, 223
1 72, 200 Zoroastro, 161, 180
Weston-Lewis, Aidan, 30 Zorzi, Francesco, si veda Gior­
Wethey, Harold Edwin, 30 gio, Francesco
Wind, Edgar, 29 Zuccari, Alessandro, 252
Wittkover, Rudolf, 30 Zuccari, Federico, 1 10
INDICE

INTRODUZIONE 7
1. Giulio Camillo 9
n. L'Idea del theatro 16
1 . La Casa della Sapienza 16
2. La scacchiera dei luoghi 20
3. La costruzione delle immagini 24
4. La mensfenestrata 34
5. La Biblioteca 39
m. Memoria e imitazione dei classici, ovvero ciò che
rende possibile il Teatro 43
1 . « Colui che imita un perfetto imita la perfezion
di mille raunata in uno » 45
2. Le novità della storia, l'eternità del bello 51
3. Il Teatro come tesoro della memoria delle belle
forme 52
4. Creare testi, ricreare la vita: la macchina,
l'automa, l'homunculus 55
Iv. I segreti del Teatro 65
1 . Il Teatro come idea dell'eloquenza
(e dell'architettura) 65
2. Le arti della metamorfosi 75
v. La galassia del Teatro: la tradizione manoscritta 81
1 . Meraviglia e desiderio 81
2. I manoscritti enciclopedici 83
3. Là dove le tradizioni si mescolano: il manoscritto
di Genova 93
v1. Alla ricerca del Teatro perduto 99
1 . Metamorfosi e plagi 99
2. Il teatro del Doni: libro, edificio, chimera 106
3. Camilla e il manoscritto ritrovato: il Teatro,
o pal.azz.o d 'invenzione 1 1O
4. L'ultima (?) metamorfosi: la villa « di ricreatione » 1 19
Elenco deUe illustrazioni 127
Nota ai testi 1 29
Tavola delle opere citate informa ablJreviata 135

L'IDEA DEL THEATRO

[Lettera di dedica] 141


[Il primo grado del Teatro] 145
Il convivio 159
L'antro 174
Le Gorgoni 202
Pasiphe 219
I talari 229
Prometheo 232
SEGRETI E METAMORFOSI DEL TEATRO 241
L'idea dell'eloquenza 243
De transmutatione 281
Dal Teatro, o palazzo d'invenzione 295
La villa « posta in luce » da Giulio Camilla di Anton
Francesco Doni 304

Per immaginare le immagini del Teatro. Note 311


Indice dei nomi 325

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