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Passaggi e percorsi

20
Collana diretta da
Giuseppe Galasso
Emma Giammattei

Testi
IV
Paola Villani

La seduzione dell’arte
Pagliara, Di Giacomo, Pica: i carteggi

Guida
2010 © Alfredo Guida Editore
Napoli - Via Port’Alba, 19
www.guidaeditori.it
elites@guida.it

Il sistema di qualità della casa editrice


è certificato ISO 9001/2000

ISBN 978-88-6042-765-6

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al 15% del presente volume.
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delle Opere dell’ingegno (AIDRO).
Corso di Porta Romana, 108 - 20122 Milano - segreteria@aidro.org
Pagliara in contesto 5

A Ludovico e Rocco,
ai quali devo
il mio tempo
per la ricerca.
6 La seduzione dell’arte
Pagliara in contesto 7

Se consideriamo questo affascinante


girotondo delle muse più nobili e più vere dell’uomo artista,
noi le vediamo innanzitutto tutt’e tre
tenersi teneramente avvinte [...].
Ecco l’amore e la vita, la gioia
e la seduzione dell’arte,
che è unica, che è sempre se stessa e sempre diversa,
che si scompone all’infinito
e si ricompone nella beatitudine.
Ecco l’arte libera.
Nel girotondo delle tre sorelle,
questo movimento dolce e forte
è la marcia verso la libertà.

(Richard Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire)


8 La seduzione dell’arte
Pagliara in contesto 9

Un ringraziamento non rituale sento il dovere di rivolgere a


quanti hanno favorito e reso possibile questa ricerca.
Innanzitutto Francesco De Sanctis, da sempre attento e sapiente
sostenitore della vitale comunità scientifica che lavora in e per l’Ateneo
che egli guida. Quindi Lucio D’Alessandro e la Signora Silvia Croce, i
quali mi hanno guidato grazie alla loro preziosa memoria storica sulla vita
del secolare Istituto Suor Orsola Benincasa, e soprattutto hanno voluto
‘affidarmi’ lo studio dei carteggi presenti in questo volume.
All’elenco non posso non aggiungere Raffaele Giglio, mia pazien-
te guida di ricerca in tutti questi anni, ma anche Emma Giammattei e
Giuseppe Galasso, Direttori di questa collana con i quali la lettura e il
dialogo è stato, come sempre, illuminante.
Un ringraziamento sentito devo anche a Stefania Tondo, Giusep-
pina Spina e Chiara Fuduli, e ai numerosi responsabili delle diverse bi-
blioteche da me visitate personalmente o contattate. In particolare, a Ire-
ne Calvano, sensibile custode della Biblioteca Pagliara, al direttore della
Biblioteca Nazionale di Napoli Mauro Giancaspro e soprattutto a Rubens
Bertini della Biblioteca Comunale di Fano, dove vengono custodite pre-
ziose testimonianze utili alla ricognizione del percorso critico di Vittorio
Pica. Solo con la loro disponibilità e la loro cortese professionalità sono
riuscita a compilare l’ampio apparato di note informative.
Infine un ‘grazie’, di cuore, a Natascia Villani, mia consulente
‘tecnologica’ di questa come di molte mie ricerche.
10 La seduzione dell’arte

Abbreviazioni bibliografiche

All’avanguardia = V. PICA, All’avanguardia. Studi sulla letteratura contemporanea,


Napoli, Pierro, 1890 [ora con introd. di T. Iermano, Roma, Vecchiarelli,
1993].

“Arte aristocratica” = V. PICA, “Arte aristocratica” e altri scritti su naturalismo,


sibaritismo e giapponismo (1881-1892), a cura di N. D’Antuono, Napoli, ESI,
1995.

Biblioteca musicale = F. BISSOLI, La Biblioteca musicale della Fondazione Pagliara,


Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2007.

Cameroni = F. CAMERONI, Lettere a Vittorio Pica (1883-1903), a cura di E. Citro,


Pisa, ETS, 1990.

Letteratura d’eccezione = V. PICA, Letteratura d’eccezione, Milano, Baldini e Ca-


stoldi, 1898 [ora a cura di E. Citro, present. di L. Erba, Genova, Costa &
Nolan, 1987].

Lettere a de Goncourt = V. PICA, “Votre fidèle ami de Naple”. Lettere a Edmond de


Goncourt, a cura di N. Ruggiero, Napoli, Guida, 2004.

Rocco Pagliara = L’Europa a Napoli. Rocco Pagliara 1856-1914, Mostra e catalo-


go a cura di M.T. Penta, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa, 2003.

Vittorio Pica = N. D’ANTUONO, Vittorio Pica. Un visionario tra Napoli e l’Europa,


Roma, Carocci, 2003.
Pagliara in contesto 11

I
Pagliara in contesto

1. Pagliara, Pica e il ‘caso Wagner’

Carissimo D. Rocco,
[...] qui non avendo nulla da fare passo le giornate a passeggiare, a caval-
lo o a piedi, per le vicine colline, a dormire e a leggere; se tu fossi al
posto mio son sicuro che il tempo che io passo a camminare, l’occupere-
sti a leggere ed il tempo che io passo dormendo forse tu l’occuperesti a
scrivere versi [...], ma io non so far versi, non sono poeta come te e mi
contento invece di prosaicamente dormire. [...] A proposito dei de
Goncourt desidererei sapere in che anno è stato scritto il romanzo Renée
Mauperin; ti sarei molto grato se me lo facessi sapere al più presto.

Era l’autunno del 1879; Vittorio Pica1 si trovava a Cava de’ Tirre-
ni, appena diciassettenne, eppure già sicuro nel manifestare, non senza un
pizzico di autoironia, un’accidia che avrebbe confidato anche negli anni
successivi2. In questa missiva, che apre l’ampio carteggio a Rocco Edoar-

1
Su Vittorio Pica [Vittorio Emanuele Giuseppe Vincenzo de Anna, 1862-1930]
figlio dell’avvocato e parlamentare, ex patriota Giuseppe Pica, sono apparsi negli ultimi
anni diversi studi, che hanno messo in luce un critico letterario e d’arte troppo a lungo
dimenticato dalle mappe ufficiali della cultura di fine Ottocento, meridionale e non solo.
Per un profilo biografico, basti vedere E. CITRO, Documenti per una biografia di Vittorio
Pica. Lettere inedite di Cameroni Turati e Kuliscioff a Vittorio Pica, in «Nuova Rivista
Europea», a. IX, n. 65, ottobre 1985, p. 28 ss. Per un’ampia bibliografia d’autore (che nel
presente lavoro trova un piccolo arricchimento) si vedano: Vittorio Pica; N. D’ANTUONO,
La chimera e la sfinge nel des Esseintes italiano, in “Arte aristocratica”, p. 13 ss. Per una
bibliografia critica e anche per una rassegna dei carteggi pichiani editi, cfr. l’ampio studio
su Pica francesista di N. RUGGIERO, Introduzione a Lettere a de Goncourt, pp. 7-47.
2
Anche in questo carteggio sono numerosi i riferimenti a questa pigrizia, come
stato dello spirito, condizione dell’animo (cfr. infra). Su questo aspetto caratteriale, ribadito
in più passi dal critico stesso, cfr. anche Vittorio Pica, p. 25 ss.
12 La seduzione dell’arte

do Pagliara3 qui presentato, i tratti distintivi del carattere erano già chiari,
soprattutto già trasferiti entro la soglia dell’autocoscienza; come anche
chiaro era il tono confidenziale e scherzoso con cui si affermava la scarsa
attitudine alla composizione («non so far versi, non sono poeta»4). Eppure,
il giovanissimo Pica, dopo avere firmato due brevi recensioni su «La Cri-
salide»5, era già intento in quello che non è ancora noto come il suo de-
butto critico-giornalistico. Si tratta infatti di un articolo su Zola e il natu-

3
Pagliara nasce a Baronissi (Salerno) il 28 marzo 1855 e muore a Napoli nel
1914. La data di nascita, è stata qui determinata grazie alla consultazione degli Archivi
Diocesani della Parrocchia del S.S. Salvatore (Baronissi). Per un ritratto della personalità
dell’autore, oltre alle notizie contenute in questo saggio, si rimanda allo studio di Bissoli
(Biblioteca musicale) e al volume edito dall’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, a
cura di Maria Teresa Penta, nel 2003 (Rocco Pagliara). A queste recenti pubblicazioni si
aggiunge il volume collettaneo Biblioteca Rocco Pagliara. Un caleidoscopio napoletano di
fine ottocento, Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, 2002. Le pubblicazioni
attingono alle collezioni artistiche, librarie e manoscritte conservate presso la Fondazione
Pagliara dell’Università Suor Orsola Benincasa [da ora FP] di Napoli e presso l’Istituto di
Archeologia e Storia dell’Arte di Roma. Nell’Istituto romano la biblioteca fu condotta in
seguito alla generosa donazione delle due sorelle dell’autore, Adele e Maria Antonietta, che
avvenne anche in omaggio alla sincera e duratura amicizia tra Pagliara e il fondatore e pre-
sidente dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte, Corrado Ricci (cfr. infra). Insieme alla
biblioteca di Pagliara, nel 1922 pervennero a Roma otto volumi manoscritti con un indice
alfabetico delle opere (19.367 titoli), insieme a un volumetto dattiloscritto dal titolo «Teatri-
no», con l’elenco di 915 opuscoli di argomento teatrale. Nella stessa sede, che ora la Biblio-
teca di Archeologia ha sistemato nei locali monumentali della Sala Crociera al Collegio
Romano, è conservato anche un busto bronzeo di Pagliara realizzato dall’amico e scultore
Saverio Sortini (Noto, 1860 - Napoli, 1923), attivo soprattutto a Napoli, già allievo dell’Isti-
tuto di Belle Arti partenopeo (cfr. E. GIANNELLI, Artisti napoletani viventi: pittori, scultori e
architetti, Napoli, Melfi e Joele, 1916). Il resto del materiale è stato invece donato all’allora
Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa nel 1947, e comprende un’ampia collezione ar-
tistica di opere d’arte, libri e altri oggetti e carte di valore. Sono circa 7000 volumi, conser-
vati ora nella Biblioteca Pagliara [da ora BP] e in corso di catalogazione definitiva. Nella
Biblioteca sono inoltre conservate 10 buste di ritagli, carte manoscritte e foto. Gran parte
del fondo napoletano, però, è costituito dagli spartiti musicali, testimonianza di una passio-
ne che distinse Pagliara all’interno della cultura napoletana a cavaliere tra Otto e Novecen-
to. Il catalogo musicale è oggi edito nel volume Biblioteca musicale.
4
Qualche anno dopo, nella lettera del 5 settembre 1881, ribadisce a Pagliara con
la stessa vena ironica: «Capirai benissimo che anche io ambisco a delle estrinsecazioni del-
l’ingegno mio molto più artistiche ed originali che dei mediocri profili letterari, anche io
ambisco di scrivere delle novelle, ma sono tanti quelli che scrivono novelle ed è tanto dif-
ficile scriverne delle belle e che abbiano una certa impronta originale!».
5
Grazie al presente carteggio di Pica a Pagliara si è potuto scoprire che (stando
almeno alle notizie a oggi possedute) il vero debutto giornalistico pichiano è costituito da due
recensioni apparse nel periodico «La Crisalide» nel 1879. cfr. V. PICA, rec. a SULLY PRUDHOM-
ME, Paris 1877-1878, Alphonse Esmerre Editeur, in «La Crisalide», a. II, n. 24, 6 luglio 1879,
pp. 283-284; ID., rec. a N. CAMPANINI, Nuove liriche, Bologna, Zanichelli, 1879, in «La Cri-
salide», a. II, n. 42, 16 novembre 1879, pp. 464-466. (Cfr. la lettera di Pica del 3 gennaio
1880, in questo volume. Sulla rivista «La Crisalide» diretta da Pompilio Petitti, cfr. infra).
Pagliara in contesto 13

ralismo, che sarebbe apparso l’anno successivo nel periodico letterario


marchigiano «La coltura giovanile»6. Dopo alcune prove narrative, an-
ch’esse preziose, data la ormai nota scarsa attitudine pichiana al racconto7,
Pica affidava il suo ‘accreditamento’ come critico proprio a uno studio
sull’autore dell’Assomoir. All’altezza del 1879, quindi, maturava «una let-
tura abbastanza vasta e svariata di libri francesi»8, come attesta questa ci-
tata, insieme ad altre missive a Rocco Pagliara. Una lettura così appassio-
nata e coinvolgente da produrre forse la consunzione della distanza pro-
spettica nei confronti dell’oggetto di studio, distanza necessaria per ogni
buona lettura critica; fino all’accusa di «plagio»9, dal quale lo redime la

6
«La coltura giovanile. Periodico scientifico-artistico-letterario» veniva stampato
dalla Tipografia Sociale di Fano a partire dal 1878, diretto da Giuseppe Castellani (cfr. in-
fra, nelle note alla missiva del 21 novembre 1880, in questo volume). Dopo un triennio di
pubblicazioni dalla cadenza irregolare, nel gennaio 1881 il periodico si trasformò in «Libel-
lula. Rivista letteraria artistica bimensile», che nasceva appunto come prosecuzione del pri-
mo periodico (cfr. infra). L’articolo dedicato a Zola, Leggerezza, apparve nel n. 15, il 15
novembre 1880, pp. 1-6. Si tratta di una lunga risposta a un articolo sullo stesso argomento
apparso a puntate a firma di Luigi Bordi sulla stessa testata. Della collaborazione a questa
testata resta preziosa traccia nel carteggio riportato in questo volume.
7
Su «La coltura giovanile» Pica esordisce proprio con un racconto: Troppo basso
(a. III, n. 4, 30 aprile 1880, pp. 1-4). Grazie al carteggio, inoltre, si sono rinvenute altre
prove narrative a firma di Pica: V. PICA, Il suicidio di Samuele Moscone, in «La Crisalide», a.
II, n. 10, 9 marzo 1879, pp. 110-113; Come Livia trovò un marito. I-II, in «La Crisalide», a.
II, ai nn. 25, 13 luglio 1879, pp. 290-292 e 26, 20 luglio 1879, pp. 303-306. Si tratta di due
delle rare prove narrative, precedenti rispetto alla nota novella di gusto giapponese (Cfr. V.
PICA, Lo spettro di Fa-ghoa-ni, in «Fantasio», a. I, n. 6, 25 ottobre 1881, pp. 2-4, poi in
“Arte aristocratica”, pp. 220-229).
8
V. PICA, Leggerezza, cit., p. 1.
9
Sui presunti «plagi» di Pica cfr. M. MIMITA LAMBERTI, Vittorio Pica e l’impressioni-
smo in Italia, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filoso-
fia», a. V (1975), pp. 149-201; M. BOLLINA, Un lettore d’eccezione (Vittorio Pica e Gabriele
d’Annunzio), in «Il Verri», nn. 7-8, settima serie, settembre-dicembre 1985, p. 162. Contra, si
veda Vittorio Pica, p. 13 ss. A proposito, invece, delle «usurpazioni» artistiche, in poesia come
in prosa, Pica – partendo dai noti prestiti di d’Annunzio – alla fine degli anni Ottanta elaborò
una compiuta teoria alla «cleptomania letteraria», per la quale, scriveva, «non possonsi stabi-
lire regole fisse e rigorose [...], tali imitazioni ed usurpazioni diventano perdonabili e condan-
nabili a seconda del garbo con cui vengono fatte ed a seconda dei risultati che se ne ottengo-
no» (V. PICA, Sui plagi dannunziani, in «Il Capitan Cortese», a. I, n. 39, 2 febbraio 1896, p. 5,
poi in “Arte aristocratica”, pp. 218-220). Altrove chiarisce le sue idee. A proposito del poeta
portoghese Eugenio De Castro, per esempio, e delle corrispondenze con Verlaine, si legge:
«[...] io son convinto che ogni vero artista, anche quando non cerchi la sua ispirazione dentro
di sé, ma nei libri e nelle parole degli altri [...] se ne impressiona in tale modo, e tale spiritua-
le ribollimento produce l’incontro e la fusione delle idee e delle sensazioni altrui con le pro-
prie, che l’opera che ne vien fuori, mancherà certo dell’infalsificabile originalità, ma sarà, in
parte, se non del tutto, sincera perché in essa vi è qualcosa dell’anima dell’autore» (V. PICA,
Eugenio De Castro, Introduzione a E. DE CASTRO, Belkiss, regina di Saba, d’Axum e d’Hy-
miar, Milano, Treves, 1896, pp. XIV-XV).
14 La seduzione dell’arte

proposta interpretativa di una scrittura critica che è narrativa, che lavora


sul prestito senza vergognarsene, come d’altronde egli stesso avrebbe
spiegato già nel 1881 – discolpandosi da una critica evidentemente rivolta-
gli – al suo amato e stimato corrispondente Rocco Pagliara. A proposito,
infatti, del progetto di Profili letterari francesi, sottoposto subito all’amico
e consigliere – lasciando intendere anche l’autorevolezza con cui Pagliara
guidava il giovane critico – a illustrare anche il suo metodo di lavoro, fa-
cendo luce sul suo ‘scrittoio’, scriveva:

Ti ringrazio delle gentili parole e del buon consiglio che mi dai a propo-
sito dei miei profili. Sì, è vero il gran difetto di essi è la forma stentata;
in quanto alla poca indipendenza, per servirmi della tua parola, di essa,
alla mancanza di un proprio modo di espressione, di uno speciale atteg-
giamento di periodo, che non senta il potente influsso di uno scrittore
che in un dato profilo io studio, essa dipende da un preconcetto critico
(perdonami la superbia di questa parola, perché per il momento non ne
trovo una più adatta ad esprimere il mio pensiero), per il quale a me
sembra che il miglior metodo per far conoscere uno scrittore è di met-
tere i lettori a contatto con lo stile, con il modo di esprimersi dell’autore
in esso studiato [...] e poiché spesso i brani sono troppo lunghi, e troppo
numerosi, l’autore dei profili, credo, che debba parafrasarli, condensarli
e così presentarli al lettore, contentandosi di non fare altro che di far
risaltare, dal materiale, da lui diligentemente raccolto, poi coordinato ed
esposto, la speciale fisionomia di un dato scrittore10.

Forte di un metodo che avrebbe così ben definito e assunto con


sincera adesione, nel novembre del 1880 il diciottenne Pica entra in uno
degli agoni critici più complessi e percorsi, il ‘caso Zola’, con una posizione
che mostra una maturità e serenità di giudizio singolari, almeno a dispetto
della giovane età e della ancora scarsa esperienza. Richiamando implicita-
mente, per poi distanziarsene, l’immagine desanctisiana di Zola come «pit-
tore della corruzione» restituita nella nota conferenza al Filologico11, Pica
osserva con disappunto l’insistenza zoliana sulla «oscenità ad ogni costo»12,

10
V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 18 settembre 1881, in questo volume.
11
Si tratta della notissima conferenza, Zola e l’Assomoir, tenuta da De Sanctis al
Circolo Filologico Napoletano il 15 giugno 1879 (la conferenza fu pubblicata sul «Roma»
del 19-21 giugno 1879 e poi apparve in opuscolo nello stesso anno con Treves, Milano. Ri-
stampata poi nel vol. II di Scritti varii, è ora in F. DE SANCTIS, L’arte, la scienza e la vita, a
cura di M.T. Lanza, Torino, Einaudi, 1972, pp. 432-456, da cui si cita). Cfr. N. RUGGIERO, Il
«fenomeno Zola» e la riforma equivoca del romanzo sperimentale, in ID., La civiltà dei tra-
duttori: Transcodificazioni del realismo europeo a Napoli nel secondo Ottocento, Napoli,
Guida, 2009, pp. 17-66.
12
Cfr. V. PICA, Leggerezza, cit., p. 2: «[...] nella Nanà non è andato egli forse cer-
cando la nudità anzi l’oscenità ad ogni costo, mostrando di compiacersene grandemente?».
Pagliara in contesto 15

carica quasi di un certo compiacimento. Riesce a dare sfoggio delle sue


vaste letture, grazie alle quali riconosce la non assoluta originalità del na-
turalista, rinvenendo i modelli zoliani in scrittori a lui cari, Duranty,
Flaubert, Balzac e soprattutto i fratelli de Goncourt, ai quali poi si sarebbe
lungamente dedicato13. Dopo aver dato dimostrazione – quasi a legittimarsi
– degli approfonditi studi zoliani, estesi non solo ai romanzi, affida la ria-
bilitazione dello scrittore ad una lunga osservazione sull’autonomia dell’ar-
te, utile a impostare la già chiara posizione critica del giovane francesista.
La breve argomentazione anticipa, anche se solo accennandolo, il dibattito
sul «progresso» sul quale, al crinale del secolo, molti filosofi e storiografi
sarebbero tornati con meditazioni ben più dense e di ambito ben più esteso
che alla sola sfera artistica. Abilmente, infatti, Pica presenta un richiamo
(unico nella sua produzione) al grande teorico e critico del positivismo,
l’autore delle Confessioni d’uno scettico, Gaetano Trezza, qui già collocato
nella schiera dei critici ‘antiprogressivi’, come avrebbero poi confermato
quei Saggi dall’autore stesso definiti postumi14:

L’unica cosa che mi consola è che, se il negare che l’arte debba avere
una missione e l’affermare invece che essa non ha altro scopo che in sé
stessa è da cretino, io sto in buonissima compagnia: ho per compagni
per non citare tanti altri, nientemeno che Teofilo Gautier [...] e il Prof.
Gaetano Trezza [...]. Ma ritorniamo a bomba: qual è questa missione
dell’arte? [...] quel PROGRESSO come scopo, anzi come missione del-
l’arte mi confonde stranamente le idee nella testa15.

Qualche mese dopo, nel gennaio 1881, in un altro articolo su


Zola, Pica tende quasi a rivedere le sue posizioni, coerente comunque nel
negare a Zola il tentativo di «idealizzare l’immoralità»16. È l’apertura di un

13
Cfr. infra.
14
Si fa riferimento, in particolare, alle riflessioni sulle «intermittenze storiche»
contenute in G. TREZZA, Il Darwinismo e le formazioni storiche, in ID., Saggi postumi, Vero-
na-Padova, Drucker & Tedeschi, 1895, pp. 217-239. Per ripercorrere il dibattito sull’idea di
«progresso» di fine secolo, connesso naturalmente al bilancio sul tramonto del positivismo,
cfr. E. GIAMMATTEI, Critica e filosofia. Croce e Gentile, in Storia della letteratura italiana,
diretta da E. Malato, Roma, Salerno Editrice, 1999, vol. VIII, pp. 967-1016, alle pp. 967-974.
Si vedano anche L. MANGONI, Una crisi di fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra
Otto e Novecento, Torino, Einaudi, 1985, p. 204 ss.; G. SASSO, Tramonto di un mito. L’idea
di “progresso” fra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino, 19842. Cfr. anche infra.
15
V. PICA, Leggerezza, cit., p. 3.
16
Sempre in data precedente rispetto al noto articolo su Glatigny (Alberto Glati-
gny, in «Intermezzo», II, 5, 14 aprile 1881; poi, con alcune varianti e con data «marzo ’80»,
edito in All’avanguardia, pp. 341-349. L’articolo Un vero bohéme, inoltre, edito in «Il Pun-
golo della Domenica», I, 23, 8 luglio 1883, pur con alcune varianti, è lo stesso testo) Pica fu
16 La seduzione dell’arte

tema che avrebbe sviluppato negli anni Ottanta, a sostegno di una critica
che, più che censurare l’immoralità, debba solo cercare l’arte «che mostri
del talento»17.
Il primo aprile è invece la volta del verismo, cui Pica si dedica
con un articolo dal quale la redazione tiene a prendere le distanze18. De-
cide di affrontare il tema di De Sanctis, il reale e l’ideale, pur senza mai
citare il Maestro, e pur con una recusatio che gli fa intitolare il suo artico-
lo «ciarle». Si limita a premettere che «molto si è scritto», ma che ancora
«molto resta a scrivere». Quasi temendo eventuali appunti da parte del-
l’esercito di critici più navigati, De Sanctis in testa, si propone di non af-
frontare il tema in generale, bensì di limitarsi a rinvenire «le origini e le
cagioni del moderno realismo»19. Rifugge dall’immagine dell’arte come
«fotografia» del reale; preferisce la formula di un’arte che, in quanto tale,
non può limitarsi a «esprimere» il reale, ma a «rappresentarlo». Il suo
percorso non teme di tornare su temi discussi all’interno del dibattito cul-
turale attivo nella Napoli tardo-ottocentesca, la difesa dell’autonomia del-
l’arte, in particolare dal presunto scopo «sociale» dal quale egli prende
chiaramente le distanze20:

In quanto poi alla questione fondamentale sullo scopo dell’arte, vi è dis-


senso anche nel campo dei veristi, perché ve ne sono alcuni, che sono
seguaci dell’arte per l’arte ed alcuni altri, che credono che l’arte debba
avere uno scopo sociale, ed E. Zola, il gran pontefice della nuova scuola,

collaboratore anche al citato periodico «Libellula» sin dal primo numero della testata. Oltre
all’articolo su Zola, Leggerezza (cit.), vi pubblica infatti un prezioso racconto, A Clelia (in
«Libellula», a. IV, n. 1, 1 gennaio 1881, p. 2), e un lungo articolo su Zola e la letteratura
francese, Corrotti od incoerenti? (in «Libellula», a. IV, nn. 2 e 3, rispettiv. 15 gennaio 1881,
pp. 1-2 e 1o febbraio 1881, pp. 1-2) cui si rimanda nel testo. Anche questo articolo è citato
nel carteggio riportato in questo volume (missiva del 21 novembre 1880, XX; si veda anche
la nota a piede pagina per l’elenco completo degli interventi di Pica su questo periodico).
Fu Pica, inoltre, a premere perché anche Pagliara collaborasse al periodico (cfr. la stessa
missiva del 21 novembre 1880).
17
Cfr. la recensione di Pica a Faustin (V. PICA, “La Faustin” di Edmondo de
Goncourt, in «Fantasio», a. II, n. 3, 10 febbraio 1882, pp. 1-2, ora in “Arte aristocratica”,
pp. 103-108, a p. 106). A ‘smascherare’ il moralismo Pica pensò più volte. Nel recensire La
joie de vivre, difese Zola da quanti gridavano allo scandalo, e nel maggio 1886 scagionò
Zola dall’accusa di «pornografia». Cfr. All’avanguardia, pp. 151 e 172-173.
18
V. PICA, A proposito di verismo e di veristi. Ciarle, in «Libellula», a. IV, nn. 7 e
8, rispett. 1o aprile 1881, pp. 1-2 e 15 aprile 1881, p. 2. A chiusura della prima parte del-
l’articolo, una nota di direzione precisava: «Pubblichiamo questo scritto di Pica, sebbene le
nostre idee non vanno in tutto d’accordo con le sue, in omaggio a quella libertà d’idee e di
apprezzamenti che ci siamo prefissi di lasciare ai nostri collaboratori».
19
Ivi, I, p. 1.
20
Cfr. ivi, II, p. 3.
Pagliara in contesto 17

ha scritto Nanà, con la buonissima intenzione di beneficare la pubblica


moralità. E vero sì è che se la sua Nanà un profitto lo ha dato non lo ha
dato alla moralità, bensì alle cocottes ed alle case di tolleranza. [...] Il
realismo in Francia rappresentato dai De Goncourt, da Flaubert, da
Zola, da Champfleury etc., è stato ed è, come scuola letteraria spesso
eccessivo, ma non gli si può negare una grande importanza ed una posi-
tiva influenza sulla letteratura; il realismo invece in Italia, rappresentato
dallo Stecchetti, che nei suoi due tanto decantati volumi – Postuma e
Polemica – non ha fatto che mettere insieme imagini, pensieri, versi,
poesie intere mendicate a poeti francesi, inglesi, tedeschi ed anche ita-
liani, aggiungendovi delle porcherie originali, e dai suoi imitatori, che
non ne sono che delle grottesche caricature, mi pare che sia una cosa
proprio poco seria21.

Sia pure con stupore per la riduzione della corrente realista allo
‘scapigliato’ Stecchetti, e per il silenzio sui non più debuttanti Capuana e
Verga, da queste brevi campionature si comprende come, all’altezza degli
anni 1880 e 1881, Pica critico – e il narratore anche – andava maturando
con una chiara impostazione metodologica che, coerente o meno, lo
avrebbe condotto ai suoi diversi percorsi di gusto ed elaborazione estetica.
E sin da questi esordi il giovane coinvolgeva il suo amico e mentore, Roc-
co Pagliara, allora suo «più affettuoso e più intelligente amico»22, definen-
dosi, non senza falsa modestia, «un felicissimo scribacchino di giornalucoli
letterari», ma ricco di «superbe presunzioni dell’avvenire»23. Fu proprio
grazie all’interessamento di Pica che il poco più che ventenne Pagliara
mosse i suoi primi passi nella redazione del «Libellula» appunto, rivista
alla quale si presentava come poeta ma anche come esperto d’arte, con un
resoconto della Esposizione di Napoli del 188124.
Sulle orme dell’affascinante, quanto intricato, sentiero del rappor-
to pluridecennale tra Rocco Pagliara, Salvatore Di Giacomo e Vittorio
Pica, lontani certo dal rinvenimento di acquisizioni mature in campo di
‘critica’ o di ‘poetica’, si può comunque cogliere occasione per riguardare
da angolature diverse a uno dei capitoli più ricchi della Kulturgeschichte
partenopea. Attraverso l’incontro-confronto epistolare tra queste persona-
lità, vicine e anche tra loro distanti, si giunge ancora una volta direttamen-

21
Ibidem [il corsivo è d’autore].
22
V. PICA,lettera a Rocco Pagliara, 5 settembre 1881.
23
Ibidem.
24
Pagliara collaborò a questo giornale con una corrispondenza dall’Esposizione
di Napoli del 1881 (R. PAGLIARA, La XVII Esposizione della Società Promotrice di Napoli, in
«Libellula», a. IV, n. 10, 15 maggio 1881) e con alcuni versi senza titolo (in «Libellula», a. IV,
n. 14, 15 luglio 1881, p. 3).
18 La seduzione dell’arte

te al cronòtopo Napoli; si tesse una fitta tela di relazioni, scambi, che


danno forma alla trama di un ‘contesto di ricezione’ della grande lettera-
tura europea. Contesto fisico, quindi (Napoli come determinazione spazio-
temporale) ma anche ideale, come piccolo tassello di una «storia letteraria»
lontana dalla storia della letteratura ufficiale e vicina invece – pur nella
distinzione – alla «socio-critica»25: una storia letteraria che recupera, stan-
do al Lanson, la «folla oscura che leggeva» da ruolo di comparsa a quello
di protagonista del ‘fatto letterario’. Attraverso, quindi, questi scambi epi-
stolari si ripercorrono gli itinerari di lettura e di ricezione, i luoghi ideali di
una communitas letteraria, ma anche i luoghi fisici dell’arte nella ex capi-
tale, in quel fervore culturale che la città festeggiava proprio sulle ceneri
del regno borbonico, nel corso di quello che è unanimemente dichiarato
come il suo declino storico-politico. Era l’ormai noto risveglio intellettuale
che, senza tradire la forte matrice hegeliana, sotto l’egida di intellettuali di
ritorno dall’esilio del calibro di Luigi Settembrini o Francesco De Sanctis,
era in grado di promuovere una «cultura ‘altra’», rinnovata nei temi, ma
anche nei metodi e nello stile. Era un risveglio (che maturava anche come
progressiva autocoscienza), il quale acquista nuova forza, vigore, e insieme
complessità, negli anni Ottanta26. Se questo rinnovamento culturale e ide-
ologico poteva forse essere adombrato da un incombente e diffuso senso
di smarrimento e di disincanto per il ‘risorgimento tradito’, fino a una
deprecatio temporum27, vero è che la Napoli degli anni Ottanta cede solo
in modo circoscritto a questa tentazione nostalgica, e soprattutto anima la
rinascita culturale di un nuovo fervore delle arti; quasi a seguire le orme
della scuola hegeliana e del maestro De Sanctis, quando si trovava a regi-

25
Ci si riferisce naturalmente alle note elaborazioni fondative di sociologia della
letteratura di Goldmann e alla proposta di Gustave Lanson (preceduto dal dibattito di Lu-
cien Febvre e Roland Barthes) di una «storia letteraria» come «quadro della vita letteraria
della nazione, la storia della cultura e dell’attività della folla oscura che leggeva, quanto
quella degli illustri individui che scrivevano» (Programme d’études sur l’histoire provinciale
de la vie littéraire en France, [1903], in Essais de méthode, de critique et d’histoire littéra-
ire, Paris, Hachette, 1965, p. 87).
26
E. GIAMMATTEI, Il romanzo di Napoli. Geografia e storia letteraria nei secoli
XIX e XX, Napoli, Guida, 2003, p. 50. Per un’indagine sul risveglio della cultura in coinci-
denza con la perdita del ruolo di capitale, all’interno della vastissima bibliografia, si vedano
almeno: G. GALASSO, Napoli nell’Unità italiana, in Immagine e città. Napoli nelle collezioni
Alinari e nei fotografi napoletani fra Ottocento e Novecento, Napoli, Electa, 1981; ID., Tra-
dizione e metamorfosi di un’antica capitale, in Napoli, a cura di G. GALASSO, Bari-Roma,
Laterza, 19872; ID., Cultura e società: i fili della trama, ivi, pp. 347-356; A. PALERMO, Mezzo
secolo di letteratura a Napoli, ora in AA. VV., Storia della civiltà letteraria italiana, a cura di
G. Bàrberi Squarotti, Torino, UTET, vol. V, tomo I, 1994, pp. 193-204.
27
A. ASOR ROSA, La cultura, in Storia d’Italia, col. IV, tomo II, Torino, Einaudi,
1975, pp. 821-838.
Pagliara in contesto 19

strare, e insieme elaborare, la ‘malattia dell’ideale’, proponendo di opporre


la «fantasia» al «mondo»28. In questa seconda ‘generazione’ post-unitaria,
Parthenope era più che mai anche «Sirena» artistica, musa accogliente per
pittori, musicisti, ma anche letterati, poeti e critici, in una ‘rinascita’ cultu-
rale che si esprimeva in diverse e affascinanti forme, auliche o anche pro-
priamente ‘popolari’, dall’Esposizione alla Promotrice, dalla Festa di Piedi-
grotta fino ai più canonici strumenti di diffusione della cultura, pubblica-
zioni quotidiane e periodiche o volumi critici. Napoli, quindi, sembrava
cedere alla wagneriana «seduzione dell’arte».
In questo nuovo fervore, in un girotondo delle Muse sempre in dia-
logo tra loro fino alla sovrapposizione, originale attore interprete è anche
l’eclettico Rocco Pagliara, personaggio non protagonista, ma neppure del
tutto secondario, il quale solo da alcuni anni sembra affrancarsi da un (sem-
pre meno comprensibile) silenzio della storia della critica e della musica.
Fu proprio Wagner uno dei molteplici filoni d’incontro confron-
to e affinità tra i tre personaggi. Sulle composizioni wagneriane – e sulla
rivoluzione culturale di cui il genio tedesco fu ispiratore – il musicofilo,
più che musicologo, Pagliara trovò un vero slancio ai suoi studi. Rico-
nosciuto da Onorato Fava come colui che «mostrò pel primo i novelli
orizzonti che alla musica schiudeva il genio di Wagner»29, egli si propo-
neva di divulgare la nuova musica con uno zelo da neofita appassionato.
Ai suoi contemporanei, infatti, in particolare ai raffinati lettori della «Gaz-
zetta Letteraria» torinese, appariva «feroce agguerrito wagneriano, che
va predicando su pe’ giornali, nei salotti eleganti e per le brigate intel-
ligenti il nuovo verbo musicale»30. Di questa febbrile attività restano
tracce evidenti negli epistolari e nelle pubblicazioni, numerose: dal pro-
filo biografico wagneriano apparso sul «Fantasio»31, agli articoli sul «For-

28
F. DE SANCTIS, Saggio critico sul Petrarca, a cura di E. Bonora, Bari, Laterza,
1954, pp. 23-25.
29
O. FAVA, Un cinquantennio di vita letteraria a Napoli, Napoli, Edizioni del
Gruppo di Cultura Angiulli, 1930, p. 10.
30
M. SINISCALCHI, Rocco Eduardo Pagliara, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 38,
18 settembre 1886, p. 306.
31
Cfr. R. PAGLIARA, Wagner, in «Fantasio», a. III (1883), n. 4, 15 marzo, pp. 1-2;
ID., Il concerto Wagner alla Società del Quartetto, in «Fantasio», a. III (1883), n. 5, 20 apri-
le, pp. 1-2. Sulla vita della rivista, cfr. infra. In realtà, Pagliara si occupa di Wagner anche
nell’articolo dedicato a Martucci. Cfr. ID., I concerti orchestrali diretti da G. Martucci, in
«Fantasio», a. II (1882), n. 6, 20 aprile, p. 1. Negli stessi anni Pagliara scrive di Wagner
anche su altre riviste. Cfr. ID., I concerti di Wagner alla Società del Quartetto, in «Gazzetta
di Napoli», 1o aprile 1883; ID., Una nuova pubblicazione su Riccardo Wagner, in «Preludio»,
a. VII (1883), nn. 12-13, pp. 145-146; ID., La sesta tornata al Quartetto, in «Gazzetta di
Napoli», 9 marzo 1884.
20 La seduzione dell’arte

tunio»32, sulla «Napoli Letteraria»33, sulla «Gazzetta Letteraria»34 o sul


«Mattino»35; fino al volume che può considerarsi la silloge del Pagliara
musicofilo, Intermezzi musicali36. Quest’ultima pubblicazione lo accredi-
tò nell’ambiente musicale e soprattutto sancì definitivamente il suo ‘wa-
gnerismo’, come si trovava ad osservare l’amico Roberto Bracco: «L’au-
tore è, evidentemente, wagneriano nel più completo senso e non già nel
senso volgare e convenzionale della parola. Wagner divinizzato, – Wa-

32
Sottotitolato «Cronaca illustrata della Domenica» – poi, dal 1891, «Cronaca il-
lustrata della settimana» e, dal primo numero del 1895, «Cronaca napoletana» – il «Fortu-
nio» fu fondato nel 1888 dal Presidente di Cassazione, ma anche letterato e scrittore, Giulio
Massimo Scalinger (1857-1907), tempestivo divulgatore dell’Estetica di Ruskin. La rivista
era sempre attenta ai grandi della cultura hegeliana come De Sanctis e Antonio Tari, ma
era anche aperta alle soluzioni artistiche di d’Annunzio, e ospitava tra l’altro anche le liriche
di Di Giacomo, i racconti di Fogazzaro e pubblicava nel 1891 due capitoli della narrativa
verghiana (cfr. G. VERGA, Cavalleria rusticana, in «Fortunio», a. IV, n. 2, 15 gennaio 1891;
ID., Giuramenti di un marinaio, da Ricordi di Capitano d’Arce, in «Fortunio», a. IV, n. 3, 22
gennaio 1891). Ad occuparsi di musica sul periodico erano, oltre a Pagliara, Arturo Colautti,
Saverio Procida e Giulio Massimo Scalinger. Sulla vita della rivista cfr. V. SANTOMAURO (a
cura di), «Fortunio» (1888-1899), Bologna, Millennium, 2005. In questa rivista compaiono
due articoli dedicati a Wagner a firma di Pagliara: Tannhäuser, in «Fortunio», a. II, n. 17, 28
aprile 1889; Florestano Rossomandi, in «Fortunio», a IX, n. 37, 6 dicembre 1896. Sulla stes-
sa rivista «Fortunio» Pagliara firma anche un articolo (Da una conferenza su Scarlatti, a. VI,
n. 49, 1o dicembre 1892), alcuni versi (Ancora!, a. II, n. 2, 13 gennaio 1889; Fine ’e l’anno,
a. II, n. 52, Natale-Capodanno 1889-90; Presagio, a. III, n. 7; Ricordi di viaggio, a. III, nn.
51-52, 30 dicembre 1890) e una poesia per la musica di Vincenzo Valente (Delirio, a. II, n.
27, 7 luglio 1889).
33
Pagliara collabora alla rivista «Napoli Letteraria» grazie alla mediazione di Vit-
torio Pica, e vi firma due sonetti dialettali, ’Nu consiglio! e So’ scemo! (a. III, n. 9, 28 feb-
braio 1886) e due articoli su Wagner: Sinfonie (a. III, n. 18, 2 maggio 1886, pp. 3-4) e Wa-
gneriana. A Pablo de Hilos (a. III, n. 27, 4 luglio 1886, p. 2 e n. 28, 11 luglio 1886, pp. 1-
2). Cfr. infra.
34
In un suo taccuino manoscritto, conservato in FP, l’autore cita questi quattro
sonetti e l’articolo, indicandoli come apparsi sulla «Letteraria». Si tratta di un saggio (I
maestri Cantori di Norimberga di R. Wagner, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 44, 30 otto-
bre 1886, pp. 355-356) e di quattro sonetti, Wagneriana (I. Tannhäuser; II. Lohengrin; III.
Tristano e Isotta; IV. La Walkiria, in «Gazzetta Letteraria», a. XII, n. 23, 9 giugno 1888, p.
181). Ad intervenire su Wagner nella «Gazzetta Letteraria» fu lo stesso Depanis. Cfr. G.
DEPANIS, Riccardo Wagner e il “Parsifal” (a. VI, n. 6, 11 febbraio 1882); ID., Riccardo Wa-
gner (a. VII, n. 7, 17 febbraio 1883).
35
Cfr. R. PAGLIARA, Viaggio musicale. Verso Bayreuth (Baviera), in «Il Mattino»,
a. I, 16-17 agosto 1892; ID., Viaggio musicale. Il tempio di Wagner, in «Il Mattino», a. I, 22-
23 agosto 1892; ID., Viaggio musicale. Parcival, in «Il Mattino», a. I, 25-26 agosto 1892; ID.,
Lohengrin, in «Il Mattino», a. II, 1-2 marzo 1893. Gli elenchi forniti in queste note integra-
no, e in parte correggono, la bibliografia wagneriana di Pagliara offerta in Biblioteca musi-
cale, alle pp. XXX-XXXI.
36
Cfr. anche i saggi In morte di Riccardo Wagner, A proposito del Tannhäuser a
Roma e I maestri cantori di Norimberga (in ID., Intermezzi musicali, Napoli, Pierro, 1889,
rispettivamente alle pp. 55-60, 61-82 e 83-101).
Pagliara in contesto 21

gner infallibile, – Wagner adottato, incondizionatamente, come principio


e fine di arte, come ispiratore generale di progresso infinito – ecco
gl’ideali, ecco i concetti che, serpeggiando in tutto il libro anche quando
non pare, ne costituiscono, in certo modo, la ragione e l’unità»37. Era
stata sostenuta da Pagliara, inoltre, l’incisione dell’amico Migliaro raffi-
gurante Wagner, dono agli abbonati del «Fantasio»38.
D’altronde, la sensibilità per la musa tedesca era eredità degli
interessi del maestro Florimo, lo stesso che gli aprì la carriera di bibliote-
cario al Conservatorio di San Pietro a Majella; quel Florimo «belliniano
wagnerista»39 noto come critico di Wagner eppure tra i maggiori studiosi
del compositore40.
Proprio su questa attenzione per Wagner, inoltre, si salda anche
l’amicizia tra Pagliara e Salvatore Di Giacomo. Sarebbe proprio in occa-
sione della morte del compositore tedesco, infatti, che Di Giacomo lasciò
il «Pro Patria», il giornale repubblicano di Imbriani che il giovane giorna-
lista abbandonò proprio il 13 febbraio 1883, quando propose alla redazio-
ne un ricordo del genio musicale che non piacque all’irredentista naziona-
lista direttore. Ancora una volta viene in soccorso l’epistolografia. Il rac-
conto autobiografico di quell’esperienza si legge infatti nella nota lettera
all’amico pittore Paolo Vetri, nel maggio 1883, con un giudizio severo su
Imbriani che Di Giacomo stesso, in seguito, avrebbe in parte rivisto:

Il giornale ‘Pro Patria’ mi offrì 100 franchi al mese pel posto di cronista,
accettai e lasciai la tipografia [scil. Giannini] ove ero servo e soffrivo
anche fisicamente. Stetti al ‘Pro Patria’ due mesi, in mezzo a finti genti-
luomini repubblicani, ladri e disonesti. Un bel giorno seppi che dopo
una mia vivace polemica col direttore e dopo le parole che avevo pro-
nunciate mal sopportando mal soffrendo il servaggio, mi licenziavano.
Proprio. Uno dei motivi pe’ quali si faceva a meno di me fu questo.

37
BABY [R. Bracco], Intermezzi musicali, in «Corriere di Napoli», a. II, 21-22
giugno 1889, p. 2. Nel volume Bracco individua «anzi tutto quella competenza, fatta di
cultura e di amore artistico, la quale era l’annunzio delle capacità del giovane archivista»
(ibidem). Le pagine che più «scoppiano d’entusiasmo» sono rinvenute da Bracco a propo-
sito di Giuseppe Martucci e Richard Wagner. In chiusura dell’articolo, però, Bracco tiene
a prendere le distanze da queste posizioni: «[...] è cosa giusta, e sopra tutto, è cosa pru-
dente adoperarsi a stabilire in Italia l’assolutismo wagneriano? O meglio sarebbe consiglia-
re lo studio profondo di Wagner senza indicarlo come fonte esclusiva dell’arte dell’avveni-
re?» (ibidem).
38
Cfr. M.T. PENTA, Rocco Pagliara e la cultura a Napoli fra Otto e Novecento, in
Rocco Pagliara, p. 19.
39
È questo il titolo del saggio che Pagliara dedica a Florimo. Cfr. R. PAGLIARA,
Un belliniano wagnerista, in Intermezzi musicali, cit., pp. 4-53.
40
Cfr. infra.
22 La seduzione dell’arte

L’Imbriani irredentista non soffriva che si parlasse di Wagner perché


tedesco. Ecco che sorte d’uomini reggevano il giornale41.

Anni dopo, trovandosi a commemorare Imbriani sul «Corriere di


Napoli», Di Giacomo avrebbe attutito i toni accesi, riconoscendo nello
scrittore un uomo «violento, ma buono», che «combatteva, ma in buona
fede», «un signore»42. Resta comunque la testimonianza, all’altezza del
1883, di una chiara presa di posizione a proposito di quello che si diffon-
deva, in forme, temi e sviluppi diversi, come «caso Wagner». Erano gli
anni nei quali tutta Italia, da esportatrice di musica, iniziava ad accogliere
e interpretare con sempre maggiore interesse i capolavori europei, testi-
moniando anche un mutato gusto del pubblico43. In questa temperie na-
zionale si inserisce la realtà musicale partenopea44, interprete non secon-
daria del «caso Wagner». D’altronde a Napoli il compositore si recò nel-
l’aprile del 1880, anche ospite al Conservatorio di San Pietro a Majella: «il
fiero barbaro nella Gerusalemme della melodia!»45. Vi andò su invito del
Florimo, allora Bibliotecario dell’ente, come ricorda il maestro stesso,

41
La lettera è in S. DI GIACOMO, Scritti inediti e rari, a cura di C. Del Franco, con
un saggio di F. Flora, Napoli, E.P.T., 1961, p. 217. Cfr. anche C. NAZZARO, Niente necrologio di
Wagner? E Di Giacomo lasciò il giornale, in «Corriere della Sera», 19 ottobre 1961.
42
L’articolo apparve in «Corriere di Napoli», 16 settembre 1901, ora in La vita a
Napoli, a cura di A. Fratta, cit., pp. 327-332.
43
Cfr. R. DI BENEDETTO, La cultura musicale, in AA.VV., Letteratura e cultura a
Napoli tra Otto e Novecento, Atti del convegno di Napoli, 28 novembre-1 dicembre 2001,
a cura di E. Candela, Napoli, Liguori, 2003, pp. 27-37, a p. 28.
44
Per un quadro sulla cultura musicale partenopea a fine Ottocento, si vedano,
tra gli altri: A. TARALLO, Circoli e associazioni musicali a Napoli nella seconda metà dell’Ot-
tocento. Premesse per un’indagine su una fruizione alternativa, in «Musica/Realtà», a. XV
(1994), n. 44, pp. 121-134; P. MAIONE-F. SELLER, L’attività musicale nella Napoli postunita-
ria tra società e accademie, in Accademie e Società Filarmoniche. Organizzazione, cultura e
attività dei filarmonici nell’Italia dell’Ottocento, a cura di A. Carlini, Trento, Società Filar-
monica, 1998, pp. 341-368; A. ZIINO, Coscienza storica e identità culturale nella Napoli mu-
sicale di fine Ottocento, in AA. VV., Letteratura e cultura a Napoli tra Otto e Novecento, cit.,
pp. 165-178.
45
M. BACCARO, L’opera di Wagner a Napoli, in AA. VV., Cento anni di Storia del
Teatro di san Carlo 1848-1948, Napoli, Ente Autonomo del Teatro di San Carlo, 1948, pp.
89-92, a p. 89. Sulla ricezione di Wagner a Napoli si veda anche: U. JUNG, Die Rezeption
der Kunst Richard Wagners in Italien, Regensburg, Bosse, 1974, trad. it. della prima parte
La fortuna di Wagner in Italia, in Wagner in Italia, a cura di G. Rostirolla, Torino, ERI,
1982, pp. 55-225, alle pp. 147-153. Anche il «Corriere del Mattino», dove allora lavorava a
pieno ritmo Di Giacomo, diede notizia di quella visita di Wagner al Conservatorio. Scriveva
infatti Federigo Polidori: «Viva Wagner, gridarono gli alunni tutti; viva la musica ed il Con-
servatorio di Napoli, rispose l’autore del Lohengrin. Possa questo duplice evviva essere di
buon augurio, ed il primo sodalizio musicale italiano e Napoli rivivano alla musica e riab-
bieno l’antico splendore» (in «Corriere del Mattino», 9 maggio 1880).
Pagliara in contesto 23

memore di questo «genio, e genio potente», «il Lutero della musica»46.


L’ammirazione di Florimo per il grande ‘protestante’ non ignorava la por-
tata anche politico-patriottica del ‘caso’, e si traduceva in un’esortazione di
spiccato «colorito italiano», ma non priva di sincerità47. Florimo non man-
cava di entrare nel vivo delle polemiche: «L’hanno proclamato l’anticristo,
rispetto alla musica italiana; ce l’hanno dipinto idrofobo; nemico acerrimo
di Rossini, di Bellini, di Verdi, di tutto il nostro passato...! E noi, toccati
nella parte più delicata del nostro cuore, toccati nell’orgoglio nazionale,
abbiamo condannato ed, all’occasione, frizzato il nuovo apostolo e la sua
eterodossia»48.
Impossibile sarebbe, qui, riproporre tutta la complessità critica e
storiografica del «caso Wagner». Basti ricordare, come ha osservato Filippo
Filippi in una sua cronaca da Weimar, che, in sostanza, la critica antiwa-
gneriana si riassumeva in un sillogismo: 1. la musica è melodia; 2. la mu-

46
Cfr. F. FLORIMO, Riccardo Wagner ed i wagneristi, Ancona, Morelli, 1883, p. 3.
Cfr. anche ID., La scuola musicale di Napoli, vol. IV, Napoli, Morano, 1881. Sul soggiorno di
Wagner a Napoli, in compagnia del figlio Sigfrido e di Cosima, si veda R. WAGNER, Il libro
bruno. Note di diario 1865-1882, a cura di J. Bergfeld, pref. di M. Mila, Firenze, Passigli,
1992, p. 189 ss. Proprio a Napoli, dal suggestivo scenario di Villa d’Angri, il 2 agosto 1880,
il genio tedesco scrisse il noto pensiero sulla guerra: «Paura del sovrappopolamento della
terra – per contrastarlo ritenuta necessaria la guerra –. In proporzione la guerra elimina
solo una piccola parte della popolazione, ma questa è la parte più forte; la guerra non serve
quindi come mezzo contro il sovrappopolamento, ma è invece cagione dell’indebolimento e
della degenerazione della stirpe umana; per esempio ha inghiottito le grandi stirpi dei Goti
ecc., e in compenso ci ha lasciato le più scadenti, purtroppo riconoscibili ancora oggi» (Ivi,
p. 189). Il biografo wagneriano Gutman scrive: «Visitò il Conservatorio di Napoli per incon-
trarvi Francesco Florimo [...]. Ora in Wagner stava riaccendendosi un amore di gioventù;
gridando ‘Bellini! Bellini!’ egli abbracciò l’ottantenne studioso ed entrambi i vecchi trema-
vano per l’emozione» (R.W. GUTMAN, Wagner, a cura di O.P. Bertini, Milano, Rusconi 1983
[1968], p. 567). Cfr. anche F. PERRINO, Il San Carlo e Giuseppe Martucci, in Cento anni di
vita del teatro di san Carlo. 1848-1948, Napoli, Ente Autonomo del Teatro di San Carlo,
1949, pp. 93-102; M. BACCARO, L’opera di Wagner a Napoli, ivi, pp. 89-92. Sulla ‘non popo-
larità’ della musica wagneriana si vedano i più suggestivi: J.J. NATTIEZ, Wagner androgino.
Saggio sull’interpretazione, Torino, Einaudi, 1977, p. 21 ss.; T.W. ADORNO, Difficoltà, in ID.,
Imbromptus. Saggi musicali 1922-1968, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 89-122.
47
Cfr. F. FLORIMO, Riccardo Wagner ed i wagneristi, cit., pp. 3-4: «Nell’aprile
del 1880, Riccardo Wagner, il Lutero della musica, siccome si chiama egli stesso, veniva a
visitare questo secolare Conservatorio [...]. Wagner è un genio, io dicevo, e genio potente,
il quale, da titano, si sforza di creare nella sua Germania una musica nazionale; voi, o gio-
vani compositori, imitatelo nel grande amore per la patria; ma ricordatevi che il vostro
compito è diverso: a voi tocca di perfezionare la nostra vecchia musica. E nel farlo, seguite
le sue orme, ma date all’opera vostra colorito italiano con la melodia!». Tra gli altri sudi
wagneriani coevi, si veda almeno il notissimo volume di M. RUTA, Storia critica delle con-
dizioni della musica in Italia e del Conservatorio di San Pietro a Majella, Napoli, Detken
e Rocholl, 1877.
48
Cfr. F. FLORIMO, Riccardo Wagner ed i wagneristi, cit., p. 10.
24 La seduzione dell’arte

sica di Wagner non ha melodia; 3. la musica di Wagner non è musica49. È


noto anche, d’altronde, che De Sanctis stesso, nell’introdurre l’edizione
del 1883 del vecchio Saggio critico sul Petrarca, ammetteva di averlo de-
finito un «corruttore della musica»50. Non ultimo, Bracco, amico e sodale
di Pagliara51, anni dopo avrebbe spiegato i motivi del dissenso su Wagner
che il suo amico Pagliara aveva il merito di avere fatto scoprire: «Il passag-
gio dalla leggiadria lineare del canto italiano alla concezione quasi apoplet-
tica del linguaggio musicale pieno di tutte le emanazioni foniche offerte
dall’orchestra giganteggiante era troppo rapido, troppo brusco, troppo vio-
lento, troppo scombussolante»52. Lo stesso Bracco, però, teneva a spiegare
che «l’innovazione di Wagner non era una violenza, non era una emanci-
pazione selvaggia [...] ma era semplicemente l’alba d’un giorno che [...]
succedeva a un altro giorno senza essere stata preceduta dalla notte»53.
Uno degli interventi risolutivi sembra offerto anche da un altro
amico di Pagliara, ben più navigato musicologo, Corrado Ricci54. Nel
1888, infatti, in coincidenza con la prima rappresentazione italiana
del Tristano ad opera di Giuseppe Martucci55 – l’allievo di Beniamino

49
Cfr. F. FILIPPI, Viaggio musicale nelle regioni dell’avvenire, in ID., Musica e
musicisti, Milano, Brigola, 1876, pp. 219-220.
50
Cfr. F. DE SANCTIS, Saggio critico sul Petrarca, cit. p. 236: «[...] i tedeschi ci
guardavano con una cert’aria di superiorità protettrice, che mi faceva male. Salvavano dalla
loro disistima appena Dante, come Wagner appena Rossini. [...] Io [...] rideva delle loro
risa. Wagner mi pareva un corruttore della musica».
51
Si veda, tra l’altro, la commemorazione manoscritta offerta in lettura in questo
lavoro.
52
R. BRACCO, Berlioz e Wagner, in «Rivista Teatrale», 1 gennaio 1904, poi in Tra
le Arti e gli Artisti, I vol. di Scritti varii, Napoli, Giannini, 1918, pp. 153-159, a p. 156.
53
Ivi, p. 156.
54
Dedito alla critica musicale e alle Lettere come l’amico, autore anche di alcuni
libretti, Corrado Ricci (Ravenna, 1858 – Roma, 1934) fu Direttore generale dell’Antichità e
Biblioteche dal 1906. Fondatore nel 1919 dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte, era,
insieme al Pagliara, collaboratore del «Mattino» (cfr. infra) e soprattutto grande estimatore
e recensore di Wagner (C. RICCI, Per Riccardo Wagner: discorso, Milano, Treves, 1888; ID.,
Tristano e Isotta di R. Wagner, in «Emporium», dicembre 1900; ID., Berlioz e Wagner, in
«Corriere della Sera», 17 gennaio 1903). Cfr. M.A. SCARPIGNATO, La Donazione Pagliara e la
Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, in Biblioteca Rocco Pagliara. Un caleidoscopio
napoletano di fine Ottocento, cit., pp. 7-11. Dell’amicizia tra Di Giacomo e Corrado Ricci,
inoltre, restano numerose lettere, ora in S. DI GIACOMO, Scritti inediti e rari, cit., pp. 248-
253. Altre lettere digiacomiane a Ricci, in versione non autografa, sono conservate presso la
Biblioteca Nazionale di Napoli, nella Raccolta Di Giacomo della sezione Lucchesi Palli.
Nella serie Italia artistica, infine, diretta dallo stesso Ricci, Di Giacomo pubblicò nel 1907
la monografia illustrata Napoli. Parte prima con 190 illustrazioni e 2 tavole, Bergamo, Isti-
tuto italiano di Arti grafiche.
55
Coetaneo e amico di Pagliara, Giuseppe Martucci (Capua, 6 gennaio 1856 - Na-
poli, 1 giugno 1909), appartenente a una famiglia di musicisti, fu anch’egli pianista, direttore
Pagliara in contesto 25

Cesi56 – sedati ormai gli animi dalle dispute, alla vigilia di quella che è
considerata la «grande stagione del wagnerismo italiano»57, Ricci propo-
neva di abbandonare quello che anche Bracco definiva «fanatismo della
nazionalità»58, invocando una sorta di ideale umanesimo universale, più
che illuminismo cosmopolita:

Falso sentimento è quindi il patriottismo in arte. Non v’è musica teuto-


nica, né musica italiana. V’è solo musica bella. Né barbaro, né pagano
v’è solo l’uomo che s’innalza con la bontà e col genio...59.

d’orchestra e compositore. Studiò al Conservatorio di Napoli, allievo di piano del maestro


Beniamino Cesi. Nel 1874 lo ascoltarono, e ne apprezzarono il talento, i maestri Liszt e
Rubinstein. Nel 1880 fu nominato professore di pianoforte al Conservatorio di Napoli. Di-
resse anche la «Società del Quartetto» napoletana. Nel 1886 dovette lasciare Napoli per di-
rigere il Liceo Musicale di Bologna e questa partenza turbò molto l’animo dell’amico Paglia-
ra. Martucci è noto come diffusore della musica wagneriana in Italia. Tristano e Isotta fu
eseguito al teatro Comunale di Bologna nel 1888 e prim’ancora le sue prime esecuzioni di
Wagner furono ospitate a Napoli (vedi infra). Nel 1902 Martucci fu chiamato alla direzione
del Conservatorio napoletano. All’interno della vasta bibliografia martucciana, si vedano al-
meno: F. PERRINO, Giuseppe Martucci. Gli anni giovanili. 1856-1879, Novara, Centro Studi
Martucciani, 1996; R. PRATI, Giuseppe Martucci, Torino, La riforma musicale, 1914; F. FANO,
Giuseppe Martucci: saggio biografico-critico, Milano, Curci, 1950; M. LIMONCELLI, Giusep-
pe Martucci, Napoli, s.n., 1939; L. TORCHI, Giuseppe Martucci, Torino, Bocca, 1909.
56
Beniamino Cesi, fondatore tra l’altro del Circolo Cesi e collaboratore a diverse
iniziative editoriali, fu insieme a Martucci l’artefice del risveglio della cultura musicale a
Napoli, anche attraverso le due società, la Società del quartetto e la Società orchestrale,
della quale i due compositori furono animatori negli anni Ottanta dell’Ottocento, prima di
trasferirsi, Cesi a S. Pietroburgo e Martucci a Bologna. Cfr. R. DI BENEDETTO, La cultura
musicale, cit.; V. VITALE, Il pianoforte a Napoli nell’Ottocento, Napoli, Bibliopolis, 1983, pp.
55-65; C. DI LENA, Alcuni aspetti della didattica pianistica di Beniamino Cesi, in Francesco
Florimo e l’Ottocento musicale, a cura di R. Cafiero e M. Marino, Reggio Calabria, Jason,
1999, pp. 277-279. Nella FP (Fascicolo II C, busta 185) sono presenti alcune lettere, datate
16 febbraio 1893, 6 dicembre 1894, 31 dicembre 1902, 27 febbraio 1903 e 15 ottobre 1905,
insieme ad altre 10 carte (tra cartoline postali, brevi missive e lettere) non datate. Si tratta
di missive con informazioni o richieste pratiche, indirizzate con ogni probabilità da Cesi al
Duca Ernesto Del Balzo.
57
A. GUARNIERI CORAZZOL, Tristano, mio Tristano. Gli scrittori italiani e il caso
Wagner, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 51.
58
Cfr. R. BRACCO, Giuseppe Martucci, Discorso pronunziato all’Accademia Ponta-
niana il 20 marzo 1917, poi in Tra le Arti e gli Artisti, cit., pp. 371-384, a p. 381: «Il fana-
tismo della nazionalità applicato alle Arti può essere, dunque, chimerico, soprattutto se,
nella nazione dove esse abbiano rallentato l’andare o addirittura siano state immobilizzate,
non s’intende di costringere gli artisti a tornare indietro, a espellere le ragioni dell’arte loro
dalla psicologia del loro tempo, a sottrarle dal divenire dell’umanità».
59
C. RICCI, Per Riccardo Wagner, Milano, Treves, 1888, p. 28. Cfr. anche ID.,
Preludio a Jolanda, le donne nei poemi di Wagner, Milano, Solmi, 19082, pp. XI-XII: «È larga
la schiera di coloro che escludendo ogni discussione sul valore d’un’arte qualsiasi, protesta-
no contro l’arte straniera e invocano l’arte nazionale, in nome del patriottismo. Questo è
prova grave d’ignoranza e se perde forza si è perché è troppo o maligna o stolta». Sul tema
26 La seduzione dell’arte

Gli echi del «caso Wagner», quindi, si facevano sentire anche a


Napoli, sia pure come residuo di un più acceso dibattito nazionale ed
europeo e soprattutto con grande ritardo60. Nei suoi noti Ricordi, per
esempio, Alessandro Longo osservava che, prima del 1879, a Napoli quasi
nessuno aveva sentito una sola nota di Wagner. Ed è sempre Longo a rac-
contare che i suoi colleghi, il pianista Federico Bufaletti e il violinista
Arnaldo Sartini, ricevuta proprio dall’antiwagneriano Florimo la partitura
del Lohengrin e iniziando a studiarla, «furono presi improvvisamente da
un tale senso di noia che a un certo punto Arnaldo Sartini prese a due
mani il grosso volume e lo gettò sdegnosamente sui mattoni»61. Tuttavia,
lo stesso Sartini, si racconta, «pieno di vergogna e pentimento, preso lo
spartito, cominciò a leggere col più vivo interesse il dramma letterario;
affascinato, narrò l’azione a Bufaletti ed entrambi ricominciarono la lettu-
ra musicale [...]. Essi oramai avevano capito pienamente che il Lohengrin
non era un lavoro volgare, né un lavoro inaccessibile agli intelligenti...»62.
Erano questi i preliminari della prima rappresentazione del
Lohengrin al Teatro San Carlo, il 26 febbraio 1881, dieci anni dopo la
prima assoluta italiana di Bologna. Il successo, di pubblico e di critica, fu
grande. Michele Uda, sulle colonne del «Pungolo», scriveva di un «succes-
so pieno, serio, incontrastato anche per coloro che giudicano il valore di
un dramma musicale dagli applausi, dai bis e dalle chiamate al proscenio.
[...] Abbiamo dovuto resistere alla tentazione di mettere il pubblico innan-
zi a tutto e a tutti. Poche volte esso mostrò una intuizione così rapida e
così sicura delle bellezze di una musica la quale, attaccando di fronte il
convenzionalismo della vecchia opera, rompeva accidiose abitudini di pen-
siero e di forma, di sentimento e di orecchio». Il pubblico, continuava
Uda, «seguì senza distrazioni, né stanchezze, né impazienze, lo svolgimen-
to nuovo, inaspettato, originalissimo del dramma musicale, dell’unità me-
ravigliosa, inscindibile della nota e della parola»63.

sarebbe intervenuto anche il filosofo hegeliano Antonio Tari. Cfr. A. TARI, Sull’essenza della
musica secondo Schopenhauer ed i wagneriani, in Saggi di estetica e metafisica, a cura di B.
Croce, Bari, Laterza, 1911, p. 79 ss.
60
Il musicologo Conrad si trovava, infatti, a commentare: «È incredibile l’igno-
ranza in cui è stato tenuto il pubblico napoletano riguardo alle opere di Wagner. All’infuori
della Cena degli apostoli, dell’Ouverture del Tannhäuser e del Foglio d’album [...] nella
maggiore città del regno d’Italia nulla era stato rappresentato» (M.G. CONRAD, Die Musik im
heutigen Italien, Breslau, Scottländer, 1879, p. 66 [la traduzione è nostra]).
61
I Ricordi sono ristampati in M. PANIZZARDI, Wagner in Italia, Genova, Progres-
so, 1923, vol. II, pp. 223-225.
62
Ibidem.
63
La recensione apparve in «Pungolo», 27 febbraio 1881. Cfr. M. BACCARO, op.
cit., p. 89: «Il successo del Lohengrin fu grande quanto inatteso. La prova generale era
Pagliara in contesto 27

A intervenire sul Lohengrin napoletano fu anche il più navigato


giornalista Rocco de Zerbi. Sul suo «Piccolo», quello che Mezzanotte anni
dopo avrebbe definito «un’elegante opera personale di Rocco De Zerbi»64,
il direttore scriveva: «Il Lohengrin è dantesco. Potete discutere se esso sia
un canto o un’intera cantica. Ma è dantesco. Potete annoiarvi: ciò vuol dire
che la vostra intelligenza è miope e che il vostro palato è scontato: ma
avete l’obbligo d’annoiarvi a capo scoperto e senza turbare lo spirito supe-
riore che gode. Temevo iersera non pel Lohengrin: per Napoli»65. I timori
erano fondati, come testimonia la scaltra penna giornalistica di Verdinois,
dalle colonne della sua «Parte Letteraria» nel «Corriere del Mattino»66.
Nella recensione apparsa sulla rivista specializzata di Luigi Maz-
zone, «Napoli Musicale», il direttore stesso si trovava a sperare – sulla
scorta dell’auspicio a un «nuovo connubio del genio dei popoli» firmato
qualche giorno prima dallo stesso Wagner67 – che quel debutto si offrisse
come «araldo delle nozze musicali italo-germaniche»: «Noi non siamo
maturi abbastanza per apprezzare un lavoro musicale, classico, o di cele-
bre autore, e neppure quelli non classici e non di celebri autori [...]. Noi
crediamo che se pure lo stesso Wagner non avesse trovato il suo ideale
esecutivo di quell’opera che egli spera sia l’araldo delle nozze musicali ita-
lo-germaniche, come esecuzione di prima rappresentazione, avrebbe ap-
plaudito. Quanto alle nozze, per noi c’è tempo ancora. La musica dram-
matica non è ancora definita!»68.

andata malissimo. I più ardenti wagneriani dell’epoca erano desolati. Si temeva un insucces-
so clamoroso quanto quello di Milano, dove l’opera era stata rappresentata la prima volta
nel marzo del 1874, diretta da Franco Faccio, tra gli urli, i fischi e i dileggi del pubblico
[...]. Il pubblico nostro offrì quella sera – che segnò anche una tappa trionfale nel mistico
viaggio del cigno canoro nella penisola italica – una mirabile prova della sua intelligenza e
del suo gusto artistico».
64
G. MEZZANOTTE, Al Professore Francesco Muscogiuri, in Colonne di prosa, Ca-
salbordino, De Arcangelis, 1902, pp. 344-366, a p. 357.
65
La recensione apparve nel «Piccolo», 27 febbraio 1881.
66
A pochi giorni dalla prima del Lohengrin al San Carlo, infatti, Verdinois firma
un articolo (F. VERDINOIS, A proposito di Wagner, in «Corriere del Mattino», 18 febbraio
1881). Lo scritto si concludeva: «[...] certo niuno dirà che la musica teatrale ai nostri giorni,
né in Italia né in Francia e nemmeno anche in Germania, si trovi in tali condizioni di smo-
data facilità e volgarità da porgere motivo ad una riforma così fondamentale e violenta
come quella che Wagner vorrebbe imporle».
67
In occasione del Lohengrin, il «Corriere del Mattino» riceveva e pubblicava
una lettera dello stesso Wagner (Lohengrin, in «Corriere del Mattino», 26 febbraio 1881):
«Forse è necessario un nuovo connubio del genio dei popoli, e in tal caso a noi tedeschi
non potrebbe sorridere una più bella scelta d’amore che quella ch’accoppiasse il genio
d’Italia col genio di Germania».
68
L.M., Lohengrin, in «Napoli Musicale», 5 marzo 1881.
28 La seduzione dell’arte

A dispetto, quindi, dei (non infondati) timori, l’opera ebbe indi-


scusso successo, con echi che superarono i confini metropolitani e giun-
sero fino a Cosima Wagner69. Successi travagliati, però, come accadde
anche per il Tannhäuser, rappresentato al San Carlo il 19 aprile 1889,
sul quale scrisse, tra i primi, proprio Pagliara70. Quasi scusando l’iniziale
sfortuna del Tannhäuser, infatti, il critico, in una sede privilegiata come
il «Fortunio» di Giulio Massimo Scalinger – il giornale «più attento ai
‘casi della musica’»71 – si trovava a dover rivendicare il gusto della com-
plessità di una musica che «allontani dal volgare e dal comune»72. L’orec-
chio ben educato non mancava di osservare alcune imperfezioni di ese-
cuzione nella versione data a Roma nel 1886, ma già allora, con l’atten-
zione più rivolta ai contenuti e al tema che all’esecuzione musicale, chiu-
deva il suo lungo riassunto con un suggello di effetto quasi ammiccante
al ‘pathos’:

Tannhäuser è l’uomo: luce ed ombra, angelica farfalla e verme immon-


do; l’eterno dualismo arcano dell’umanità! Perché Riccardo Wagner,
come Omero antico, come i tragici d’Ellenia, come Dante, come Shake-
speare e Goethe, ha adoperato le leggende, ha messo grandemente a
profitto l’umanità, con le sue ebbrezze, con i suoi dolori, con la sua lotta
perenne. In tutta la sua titanica produzione, palpita, esulta, spasima la
nota umana possente; ma in Tannhäuser mi pare e’ l’abbia fatta vibrare
nella sua maggiore intensità, che echeggerà potente e vittoriosa, a di-
spetto di tutti i filistei, di tutti i riluttanti, i retrogradi, i poveri di spirito,
cretini e veramente demolitori!73

L’esecuzione napoletana al San Carlo, di tre anni successiva, non


convinse maggiormente Pagliara, gli si rivelò anzi macchiata di «ingiustifi-
cabile leggerezza»; l’occasione, però, fu colta per un nuovo intervento su

69
Cfr. C. WAGNER, lettera a Daniela von Bülow, 2 marzo 1881, in Cosima
Wagners Briefe an ihre Tochter Daniela von Bülow (1885-1886), edito da M. Fr. von
Waldberg, Stuttgart-Berlin, Cotte, 1933. Sulla vittoria del Lohengrin nel Mezzogiorno,
si legge in «Roma Artistica»: «Spettava a Napoli l’onore di essere la più splendida tappa
del giro trionfale che il capolavoro del maestro di Lipsia sta finalmente facendo per la
nostra Italia; spettava al nostro pubblico, educato ai grandi spettacoli di natura, il pro-
rompere in applauso caldo, intenso, continuo[...]. Il primato del Lohengrin su tutte le
opere moderne si fonda sul soffio dantesco che ispira nella titanica concezione» (ROCH,
Lohengrin al San Carlo di Napoli, in «Roma Artistica», 13 marzo 1881).
70
Cfr. R. PAGLIARA, A proposito del Tannhäuser a Roma, in Intermezzi musicali,
cit., pp. 61-82. Il saggio è datato 11 luglio 1886, e precedente quindi all’articolo Tannhäuser
apparso nel «Fortunio», a. II, n. 17, 28 aprile 1889.
71
R. DI BENEDETTO, La cultura musicale, cit., p. 32.
72
R. PAGLIARA, Tannhäuser, in «Fortunio», a. II, n. 17, 28 aprile 1889, p. 2.
73
ID., A proposito del Tannhäuser a Roma, cit., p. 82.
Pagliara in contesto 29

Wagner74. Intanto, le rappresentazioni wagneriane si intensificavano, spes-


so grazie all’opera attenta di Giuseppe Martucci. Spettò, infatti, proprio al
musicista suo amico, dedicatario di Intermezzi musicali, la direzione di
Tristano, il 26 dicembre 1907, con quasi vent’anni di ritardo rispetto alla
prima italiana del 188875. E l’8 dicembre dell’anno successivo, 1908, fu
sempre Martucci a dirigere Il Crepuscolo degli dei76. Ma allora, grazie
proprio al maestro napoletano, la penetrazione di Wagner nel Mezzogior-
no poteva dirsi davvero compiuta77. Ormai il «caso Wagner» era conside-
rato ‘chiuso’ da tempo, come già Pagliara si trovava a registrare all’altezza
del 1886, sia pur lamentando la scarsa diffusione delle opere del mae-
stro78. L’ingegno del critico, che forse non eccelleva in competenza musi-
cale e acutezza di indagine tecnica, ha almeno il merito di essere tutto
intento a una sempre più capillare diffusione della figura e delle opere
wagneriane, delle quali era attento conoscitore anche grazie ai suoi viaggi
nella terra del cigno di Lipsia79. Era più di un oggetto di studio, si direbbe
un’affinità di spirito e di sensibilità, che si tradusse quasi in una ‘missio-
ne’. All’interno di questo progetto di diffusione della cultura wagneriana si
inserisce la fervida attività pubblicistica, greve forse di intento retorico,
ma certo sincera nel desiderio di proselitismo della cultura musicale, in
vista di un’estetica che, più o meno inconsapevolmente, intendeva l’arte
come strumento di innalzamento dello spirito, come già si legge sulle co-
lonne del «Fantasio»:

74
Cfr. ID., Tannhäuser, cit.
75
Cfr. F. PERRINO, Il San Carlo e Giuseppe Martucci, cit., pp. 93-102.
76
Cfr. AA. VV., Wagner in Italia, cit., pp. 147-158.
77
Così si trovò a recensire l’opera Paolo Bertini: «Il culto di Wagner dall’Alta
Italia è passato ora nell’Italia Meridionale, e Napoli, culla dell’opera buffa gloriosa, focolare
della semplice, triste, melodica canzone popolare [...], riapplaudì non davvero con frenesia,
ma con un certo calore, una delle opere più ponderose e meno conosciute nel nostro paese,
il Crepuscolo degli dei» (P. BERTINI, Il progresso del wagnerismo in Italia, in «Nuova Musi-
ca», a. XIII [1908], n. 156, pp. 57-58).
78
Cfr. R. PAGLIARA, I maestri cantori di Norimberga, in Intermezzi musicali, cit.,
pp. 83-101, a p. 83: «La quistione wagneriana è ormai entrata, anche tra le persone colte e
intelligenti d’Italia, in una fase che si può dire di calma finale. Come un’aquila possente in
cielo propizio, la fama gloriosa del maestro di Lipsia, da qualche anno, ha spiegato le ali più
largamente nel paese nostro [..]. Ora, tranne li assoluti recalcitranti ad ogni luce nova di
vera bellezza e di ardimento d’arte, non è chi non riconosca la grandezza eccelsa di Riccar-
do Wagner e non s’inchini reverente al suo nome immortale; non è chi non riconosca che
solo una mente sovrana ha potuto concepire le idee grandiose da le quali è sorta l’opera sua
immensa...».
79
Dei suoi viaggi a Bayreuth e a Schloss Neuburn ospite del barone von Holleu-
fer, rimane traccia nel citato carteggio con Martucci. E alla sorella del barone von Holleu-
fer sono dedicati i Riflessi nordici (Napoli, Stabilimento Tipografico dell’Unione, 1888), rac-
colta di traduzioni di liriche tedesche. Cfr. infra.
30 La seduzione dell’arte

Ma se l’apoteosi suprema è giunta, se la grande idea vince, e si sa final-


mente comprenderla nel suo senso vero, largo, profondo, noi italiani
specialmente non la profaniamo ancora con ridicolo scimmiottare, con
meschini rimpicciolimenti ed imitazioni sciocche e sacrileghe! Alla coppa
divina del San Graal bisogna esser degni di avvicinarsi80.

Era il 1883. Gli studi wagneriani di Pagliara coinvolgevano anche


l’amico redattore del «Fantasio», Vittorio Pica81: nelle epistole degli anni
Ottanta avrebbe chiesto proprio al più esperto Pagliara conferme delle
personali impressioni sul Vascello Fantasma, che, rappresentato a Roma
nel 1887, l’aveva soddisfatto molto meno del Tannhäuser, a causa di una
«sinfonia un po’ disuguale, un po’ frammentaria, non innalzantesi tutta
d’un getto come quella stupenda del Tannhäuser»82. A sua volta, Pagliara,
che teneva Pica in conto di esperto francesista, a lui chiedeva notizie sui
letterati francesi «wagneriani»83; gli riconosceva il merito di aver compre-
so, con maggiore maturità ed esperienza artistica, il wagnerismo dei lette-
rati, come nuova chiave interpretativa di una società in crisi. Meritato ri-
conoscimento, questo, per un Pica che sposava gradualmente la causa de-
cadente e individuava in Wagner, come in Schopenhauer, saldi fondamen-
ti teorico-filosofici, come – con precoce intuizione – espresse a proposito
dell’opera di Dujardin84. Era quella la vera preparazione teorica allo stu-
dio di Mallarmé, anch’esso teso a innestare l’opera mallarmeana in un
tessuto teorico sorretto, si direbbe, insieme da Hegel e da Wagner85.
Pagliara non approfondiva questi temi; si limitava agli aspetti
musicali. Nel 1889, mitigando l’enfasi retorica ma forse con penna più
certa, quasi a rivendicare i diritti della musica su quelli della letteratura, si
trovava ad osservare, sempre in riferimento a Wagner:

Quando avremo, finalmente, anche per la dolce arte dei suoni quella
diffusione di coltura e di rispetto che si è riusciti ad ottenere, almeno in
qualche modo, per la letteratura? ... Oggi nessuna persona che si rispetti

80
R. PAGLIARA, Wagner, in «Fantasio», a. III (1883), n. 4, 15 marzo, poi con il titolo
In morte di Riccardo Wagner, in ID., Intermezzi musicali, cit., pp. 55-60.
81
Cfr. V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, s.d. [ma prima del 15 marzo 1883], XL.
Pica chiede notizie, ansioso, dell’intervento wagneriano di Pagliara, che sarebbe apparso
appunto nel numero del 15 marzo 1883 del «Fantasio».
82
ID., lettera a Rocco Pagliara, 16 aprile 1887, LXI.
83
Cfr. ID., lettera a Rocco Pagliara, LI.
84
Cfr. ID., Les Hantises, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 11, 13 marzo 1886, pp.
86-87, poi in “Arte aristocratica”, p. 183. Sul wagnerismo e decadentismo di Pica e Pagliara
cfr. infra.
85
V. PICA, Stéphane Mallarmé, in Letteratura d’eccezione, cit., pp. 187-204 (in
questo saggio, un intero paragrafo è dedicato a Wagner).
Pagliara in contesto 31

e che abbia un po’ di educazione letteraria [...] direbbe, ponderatamen-


te, che qualche abbondante narratore di intralciate avventure eroiche od
erotiche abbia mostrato ispirazione più eletta e fluente di quanto ne
abbiano i maestri del romanzo moderno. [...] In musica, in vece, sempre
che qualche cosa si allontani menomamente dalle forme più accessibili,
dai soliti processi elementari e prestabiliti si comincia a gridare come
contro a profanatori e iconoclasti che vogliano attentare a le più belle
qualità della melodia, della tradizione nazionale, del genio e non so
quante altre cose!86

L’impegno in quest’azione di promozione e diffusione della cultu-


ra wagneriana trovava Pagliara, come si è visto, tutt’altro che solo nella
città partenopea, che proprio allora dimostrava una diversa e rinnovata
sensibilità artistica e musicale, manifestatasi già nel corso degli anni Set-
tanta dell’Ottocento e testimoniata dal nuovo fervore del Regio Teatro di
San Carlo87. «Onore a Napoli», quindi, come già proponeva, con enfasi
giornalistica, il de Zerbi88. Di questa rinnovata sensibilità, l’accoglienza e
la penetrazione di Wagner può individuarsi forse come maturazione e
conclusione.
Tra i protagonisti di questa svolta c’è senza dubbio il citato Mar-
tucci, appunto, primo interprete di Tristano89. Proprio in Martucci Paglia-
ra individuava il miglior esecutore di quel nuovo percorso dell’arte musi-
cale che tentava di dirimere la sempiterna questione sulla superiorità del-
l’opera rispetto alla sinfonia, interpretando e diffondendo il nuovo connu-
bio lirico sinfonico, del quale proprio il «dramma musicale» di Wagner gli
sembrava offrire massima espressione90. Fu proprio Pica, nella citata re-

86
R. PAGLIARA, Tannhäuser, in «Fortunio», 28 aprile 1889.
87
Cfr. G. PANNAIN, Il Teatro di San Carlo e alcuni musicisti napoletani dell’800,
in AA. VV., Cento anni di storia del Teatro di San Carlo 1848-1948, cit., pp. 21-28 a p. 27:
«Intanto, nel periodo che va dal 1870 al 1875 il gusto del pubblico comincia a trasformar-
si. Accanto all’attività artistica che svolge il San Carlo s’inizia un movimento di carattere
aristocratico e limitato che senza mai diventar popolare ebbe conseguenze artistiche e cul-
turali d’inestimabile valore [...]. In questo ambiente sorse nel 1878 la Società del Quartet-
to». La Società del Quartetto, però, fu inaugurata nel 1880. Cfr. R. DI BENEDETTO, La
cultura musicale, cit., pp. 27-37; P. MAIONE e F. SELLER, L’attività musicale nella Napoli
postunitaria tra società e accademie, in AA. VV., Accademie e società filarmoniche. Organiz-
zazione, cultura e attività dei filarmonici nell’Italia dell’Ottocento, cit., pp. 341-368.
88
Nella citata recensione al Lohengrin, in «Il Piccolo», 27 febbraio 1881.
89
Cfr. G. PANNAIN, op. cit., p. 28: «Giuseppe Martucci, senza nulla sapere di let-
teratura wagneriana [...], fu il primo italiano a penetrare lo spirito di Riccardo Wagner [...].
Per merito suo Napoli, da che languiva tra incerti indirizzi, si mette alla testa del movimen-
to musicale italiano».
90
Cfr. R. PAGLIARA, Un concerto in “si bemolle minore” di Giuseppe Martucci, in
«Gazzetta Letteraria», a. X, n. 12, 20 marzo 1886, pp. 91-92, poi rivisto e apparso col titolo
Giuseppe Martucci ed il suo ‘concerto’ in sì bemolle, in Intermezzi musicali, cit., pp. 103-124.
32 La seduzione dell’arte

censione a Les Hantises, a leggere, in Wagner, una «concezione affatto


idealista dell’universo» e nella cultura wagneriana la fede in una realtà che
non esisteva se non come «creazione della nostra anima, e ciò che noi
chiamiamo le cose non sono altro che apparenze delle nostre idee»91. Era
la consapevolezza di trovarsi di fronte non a un semplice compositore,
dunque, ma a un caposcuola di una cultura che molte suggestioni ebbe in
letteratura e in arte in genere. Si ricordi, inoltre, che lo stesso Pica era tra
i collaboratori di «Fortunio», la rivista vicina al circolo wagneriano di van
Westerhout sulla quale Pagliara firmava alcuni dei suoi più celebri articoli
sul compositore tedesco92.
Sebbene con alcune pregiudiziali, quindi, l’immagine di Wagner
napoletano è quella del compositore ‘titanico’, «dantesco» per lo stesso
Pagliara; immagine non esente dall’interpretazione nietzscheana di autore
della «malattia»93, nietzscheanamente ‘necessaria’, che è malattia decaden-

91
V. PICA, Les Hantises, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 11, 13 marzo 1886, pp.
86-87, poi in “Arte aristocratica”, p. 183. Si legge nella recensione pichiana: «Non è certo
qui il posto di svolgere le teorie estetiche e filosofiche dell’illustre artista tedesco [...]; è
però necessario accennare alla concezione affatto idealista, che il Wagner ebbe dell’univer-
so; esso, per lui, non è che una creazione della nostra anima, e ciò che noi chiamiamo le
cose non sono che le apparenze delle nostre idee. Questa concezione filosofica del mondo,
che si riattaca a quella di Platone e di Fichte, è, come vedesi, tutt’affatto opposta a quella
di Auguste Comte e dei positivisti, accolta da Zola e dai suoi seguaci; naturalmente quindi
le novelle di Dujardin, che s’informano alle idee filosofiche di Wagner e che hanno per
epigrafe rivelatrice le parole di Teodoro de Wyzewa: ‘Seule vit notre âme...’ hanno caratteri
del tutto opposti a quelli dei libri naturalisti ora in auge» (ibidem).
92
Sugli articoli di Pagliara cfr. supra. La Conferenza pichiana L’Arte dell’Estremo
Oriente fu riportata in «Fortunio», a. VII, n. 10, 9 marzo 1894 (e, con il diverso titolo L’Arte
e la poesia nel Giappone, in «L’Occhialetto», a. XXII, n. 7, 10 marzo 1894). Il testo integrale
apparve in volume, Torino-Roma, Roux & C., 1894. Cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce e il
Circolo Filologico di Napoli. Materiali per una storia, in «Giornale Storico della Letteratura
Italiana», vol. CLXVII, fasc. 538, 1990, pp. 217-253, poi in ID., Lo scrittoio di Croce, con
scritti inediti e rari, Napoli, Fiorentino Editore, 1993, pp. 13-78). Sullo stesso «Fortunio»
Pica firma anche: Due poemucci di Mallarmé, a. I, 16 dicembre 1888; ID., Dai “Poemucci in
prosa” di S. Mallarmé, a. III, 13 luglio 1890; La Galleria di Fortunio. Federico de Roberto,
a. IV, 29 gennaio 1891; Cronache parigine. Poil et plume, a. IV, 22 maggio 1891; Rec. a La
Critica letteraria, a. VIII, 2 febbraio 1895 (ora in Vittorio Pica, pp. 155-158); Kinné (dal
francese di Marcel Schwob), a. X, num. speciale Piedigrotta 1897; Stephan Mallarmé (Se-
conda maniera), a. XI, 16 ottobre 1898.
93
F. NIETZSCHE, Il caso Wagner. Un problema per gli amatori di musica, in ID.,
Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. VI, tomo III, Milano, Adelphi, 19863, pp.
5-50, a p. 6. Cfr. anche ID., Scritti su Wagner, Richard Wagner a Bayreuth, Il caso
Wagner, Nietzsche contra Wagner, a cura di M. Bartolotto, trad. di S. Giametta e F.
Masini, Milano, Adelphi, 1992. Sulle contiguità di pensiero tra il filosofo ed il compositore,
all’interno della vasta bibliografia, si vedano almeno i recenti: L. ABBATINO, Nietzsche tra
Wagner e Bizet, Lecce, Pensa Multimedia, 2007; G. MORPURGO-TAGLIABUE, Nietzsche con-
tro Wagner, Pordenone, Studio Tesi, 1984; G. LOCCHI, Wagner Nietzsche e il mito sovru-
Pagliara in contesto 33

te, condizione stessa del vivere. Wagner, quindi, come «redentore» della
modernità, consapevole nemico di quell’ottimismo che già Schopenhauer,
proprio a proposito della musica di Wagner, aveva definito «scellerato»94.
Alla costruzione di questa immagine aderiva anche Pagliara, eclettico pro-
motore di cultura, anch’egli affetto da quella che Pica, nella nota prolusio-
ne sull’Arte aristocratica, individuava come «malattia intellettuale, abba-
stanza sviluppata nelle classi superiori della società moderna»95; «malattia
spirituale», «nevrosi», ma anche condizione «che rende sempre più squisi-
ta, più acuta, più intensa la nostra sensitività»96.
Era il 1892. Con quella Conferenza al Filologico, anche sulla
scorta delle suggestioni wagneriane, Pica si accreditava in quel cenacolo di
impronta desanctisiana e poi crociana, sostenendo l’ormai avanzante gusto
decadente, che ancora in quegli anni forse non era esente da sembianze
bohèmiennes97.

2. Una tribolata amicizia: Salvatore Di Giacomo

Uno dei forti legami tra Pagliara e Di Giacomo sembra, quindi,


l’interesse per Wagner e la vicinanza alla Sehnsucht nord-europea. All’in-
terno del percorso biografico di Pagliara, infatti, la grande svolta si ebbe

manista, Roma, L.E.D.E., 1982; R. HOLLINRAKE, Nietzsche, Wagner and the Philosophy of
Pessimism, London, Allen and Unwin, 1982; P. CALDORE, Analogie e antinomie in Richard
Wagner e Friedrich Nietzsche, Napoli, Società Editoriale Napoletana, 1980.
94
Cfr. A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di A.
Vigliani, Milano, Mondadori, 1992, p. 384 ss. Sulla lettura di Wagner da parte di Nietzsche
e Schopenhauer cfr. L.V. ARENA, Nietzsche, Wagner, Schopenhauer, Fermo, Tip. Fermana,
1981; S. BARBERA, La comunicazione perfetta: Wagner tra Feuerbach e Schopenhauer, Pisa,
Jacques, 1984; T. KLUGKIST, Glüchende Konstruktion: Thomas Manns Tristan und das
“Dreigestirn” Schopenhauer, Nietzsche und Wagner, Wurzburg, Konigshausen und Neu-
mann, 1995. L’accostamento di Wagner a Schopenhauer risale a quegli anni di fine Otto-
cento (cfr. A. CANTALUPI, Schopenhauer e Wagner, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 25, 19
giugno 1886 e n. 26, 26 giugno 1886). Sull’influenza della cultura tedesca in Italia a fine
secolo si veda anche G. OLIVA, I nobili spiriti. Pascoli, d’Annunzio e le riviste dell’estetismo
fiorentino, Venezia, Marsilio, 2002, p. 75 ss.; G. SASSO, Tramonto di un mito. L’idea di “pro-
gresso” fra Ottocento e Novecento, cit. Sull’immagine di malattia riferita all’arte wagneriana
era intervenuto anche Thomas Mann (T. MANN, Dolore e grandezza di Richard Wagner, a
cura di M. Montinari, Fiesole, Disincanto, 1979, p. 26 ss.).
95
V. PICA, Arte aristocratica, in “Arte aristocratica”, p. 244. Si tratta di un topos
letterario molto percorso soprattutto alla fine dell’Ottocento. Proprio a Pica anche Camero-
ni rivelava la stessa condizione psicologica, e la sua «depressione nevrotica» nel suo episto-
lario (lettere del 12 luglio 1884 e del 23 giugno 1885, in Cameroni, pp. 66 e 75).
96
V. PICA, Arte aristocratica, cit., p. 244.
97
Cfr. infra.
34 La seduzione dell’arte

quando abbandonò l’insegnamento e sostituì Florimo (uomo dalla «matu-


salemmica sopravvivenza»98) in qualità di bibliotecario del Conservatorio di
San Pietro a Majella, il 1o aprile del 188999. Dopo oltre venticinque anni
di ‘gestione Florimo’, il tempio della musica partenopeo si trovò di fronte
a un nuovo dirigente, la cui nomina divise a lungo l’ambiente musicale, tra
sostenitori e accaniti detrattori di quello che a molti appariva come musi-
cofilo dilettante. D’altronde, al governatore Pignatelli, che tanto premette
per il nome di Pagliara, erano venute da Roma indicazioni ben precise:

Sarebbe però desiderio di questo Ministero che la scelta cadesse su di


un nome stimato come musicista e come letterato, [...] un uomo che alla
dottrina unisca l’attività sagace e l’autorità insieme, perché le riforme da
lui ideate e messe in atto sieno tali da soddisfare coloro che giustamente
si gloriano delle tradizioni, ma non si mostrino riottosi al progresso della
più perfettibile delle arti belle100.

Tra le molte candidature, interne ed esterne all’Istituto, Paglia-


ra, all’epoca giovane insegnante di Lettere, ebbe la meglio, causando
appunto non poche polemiche101. Il rapporto stesso con il predecessore
Florimo si dimostrava non senza qualche ombra e incomprensione, come
testimonia il piccolo ma prezioso carteggio conservato da Florimo stesso
presso il Conservatorio102, non ultima la lettera relativa alle bozze dei due

98
È quanto scriveva, in uno sfogo personalissimo, lo stesso Pagliara all’amico
Martucci: «[...] visto che io son destinato ad essere un Florimo, meno la matusalemmica
sopravvivenza, che, a priori, rifiuto!» (R. PAGLIARA, lettera a Giuseppe Martucci, 18 settem-
bre 1886, in Biblioteca musicale, p. LIV).
99
Il Decreto di nomina di Pagliara a bibliotecario del Conservatorio, datato 24
marzo 1889, è presente nel fascicolo personale di Pagliara conservato nell’Archivio del-
l’Istituto musicale partenopeo (segnatura 2-9-A). Su queste vicende cfr. T. GRANDE, Con-
tributo alla storia della Biblioteca del Conservatorio di musica San Pietro a Majella di
Napoli: gli anni 1889-1935, in «Fonti Musicali Italiane», a. III (1998), pp. 199-214. In
occasione di quella nomina, Decio Carli scriveva su «Il Roma della Domenica» (Vita let-
teraria a Napoli nell’ultimo Ottocento, 1889, n. 7, p. 1): «Adesso non è più Rocchetto, ma
il successore di Florimo al Conservatorio. Un decreto assai opportuno, assai gradito è sta-
to quello che ha fatto del nostro R.E. Pagliara l’archivista del glorioso Conservatorio mu-
sicale di Napoli».
100
Lettera inviata dal Ministro Fiorilli al governatore principe Francesco Pigna-
telli di Strongoli, datata 4 gennaio 1889 (in Archivio del Conservatorio di San Pietro a
Majella, fasc. 2-9-A).
101
Cfr. T. GRANDE, Contributo alla storia del Conservatorio ..., cit., p. 202. Sulla
sua nomina scrive Pagliara stesso a Martucci, in una lettera del 22 gennaio [1889], in FP,
Busta M/25.
102
Si tratta di 19 carte conservate disordinatamente dallo stesso Florimo in un
unico volume di corrispondenza. Cfr. la lettera che Pagliara invia al maestro il 24 giugno
1883: «Carissimo Comm.re, ieri sera son tornato da Salerno [...] ed o trovato un’altra vostra
Pagliara in contesto 35

volumi della colossale Scuola musicale di Napoli, che il giovane Pagliara


aiutava a correggere; quella stessa opera che, anni dopo, Di Giacomo, in
una memoria tenuta all’Accademia Pontaniana nel 1918, avrebbe ricono-
sciuto come «una delle più nobili e onorevoli fatiche napoletane»103, dopo
averla chiesta proprio a Pagliara, in nome del riconosciuto sodalizio con
Florimo, individuando l’amico Rocco come più stretto collaboratore del
maestro104.
Polemiche a parte, Pagliara era destinato a diventare un perso-
naggio non secondario della storia del Conservatorio e, insieme, degli stu-
di musicali napoletani di fine Ottocento. Pochi anni dopo la nomina a
capo della Biblioteca, veniva investito dallo stesso Pignatelli105, che tanto
aveva lavorato per il suo incarico, anche della carica di direttore ammini-
strativo e disciplinare; finché, nel 1894, ebbe anche la delega del governa-
tore per operare in sue veci durante le sue assenze; ruolo che Pagliara
conservò anche col successivo governatore, il Duca del Balzo106.
Tra il 1894 e il 1896, il carteggio tra Pagliara ed Ernesto del Bal-
zo rivela reciproca stima e amicizia e testimonia che Pagliara, nei soggior-

freccia acutissima a pungermi. Per carità, calmatevi, cessate dal martirizzarmi, perché se
pure avessi veramente que’ torti che sembro di avere, dovreste omai cessare dall’essere così
crudele con me. Perché turbare un’amicizia così schietta, nella quale io ho sempre messo
tutto il calore e la sincerità giovanile che mi restano, fino ad elevarla a vera religione, e voi
pure avete sempre posto i tesori della vostra benevolenza, della quale ora tutto a un tratto
vorreste privarmi?» (R. PAGLIARA, lettera a Francesco Florimo, 24 giugno 1883, in Archivio
del Conservatorio, segnatura Rari, Lettere, 198). Fu Pagliara, inoltre, che nello stesso 1889
firmava un ricordo del maestro in occasione della sua scomparsa. Cfr. R. PAGLIARA, France-
sco Florimo, in «Fanfulla della domenica», a. XI (1889), n. 1, pp. 2-3.
103
S. DI GIACOMO, Musica antica a Napoli, Napoli, Giannini, 1918.
104
Cfr. infra, cap. II.
105
Si veda la lettera che Pignatelli invia all’allora Ministro dell’Istruzione, il 24
novembre 1894 (in Archivio del Conservatorio, fasc. 2-9-A): «[...] Io non saprei dunque in
alcun modo rinunziare alla sua [scil. di Pagliara] preziosa collaborazione, anzi se ciò facessi,
crederei mancare ad un serio dovere qual è quello di non arrestarsi innanzi ad alcun osta-
colo che possa togliere vita e forza ad un istituto [...]. Il Pagliara mi ha sempre dichiarato
che quest’ufficio di direttore amm.vo e disciplinare è da lui accettato come un sacrificio a
vantaggio dell’istituto, che egli ama, e che alle sue personali convenienze, sarebbe stato
assai più opportuno il chiedere un insegnamento da unire al suo ufficio di bibliotecario».
106
Cfr. F.A. SALVAGNINI, Il Real Conservatorio di Musica San Pietro a Majella. Re-
lazione del Commissario Salvagnini ispettore centrale amministrativo nel Ministero della
Pubblica Istruzione, Napoli, tip. Lubrano, s.d. [ma 1914], p. 35: «La concorde affermazione
di tutte le autorità inquirenti che si occuparono del Conservatorio danno diritto ad afferma-
re che mediante la concentrazione di 3 uffici importantissimi [...] nella persona del biblio-
tecario, questi si era costituito arbitro della gestione dell’intero istituto, avendo al di sotto di
sé degli esecutori e al di sopra un solo controllo, il governatore. Di qui l’inconveniente di
una amministrazione prevalentemente personale, in luogo di un ordinamento informato a
criteri alti, interessati».
36 La seduzione dell’arte

ni all’estero di Del Balzo, era investito dei pieni poteri107. Si mostrò degno
di fiducia, si dedicava a fitte corrispondenze e rendiconti che, dalla sede
dell’Istituto, raggiungevano il duca del Balzo nei suoi viaggi. Era davvero
oberato di lavoro108.
Rispettoso verso il suo governatore, aveva anche autorevolezza e
fermezza, come provò in occasione del ‘caso’ Di Giacomo. Quest’ultimo,
infatti, nel 1893 venne affiancato a Pagliara nella gestione del Conservato-
rio, in seguito alla morte del sottobibliotecario Gaetano Riccio. Di questa
nomina Di Giacomo stesso non fu contento; era anzi fermo nella volontà di
rifiutare l’incarico109. In realtà, Pagliara e il governatore del Balzo tentaro-
no di intralciare simile nomina, ma il Ministero insisteva: la decisione sa-
rebbe caduta sul «valoroso letterato napoletano Salvatore Di Giacomo»110.

107
Fu Pagliara a scrivere al direttore generale del Ministero il 21 maggio 1897
un articolato e autorevole parere su alcune opere musicali contemporanee (in M.T. PENTA,
Rocco Pagliara e la cultura a Napoli fra Otto e Novecento, cit., p. 197). Il carteggio è pub-
blicato in Rocco Pagliara, pp. 200-215. Una delle lettere è inviata dalla patria di Wagner,
Bayreuth, il 31 luglio 1894 (ivi, p. 200). Il carteggio, inoltre, dimostra che Del Balzo aveva
promosso e sostenuto il viaggio in Germania di Pagliara, nell’estate del 1894, per ascoltare
opere di Wagner, comprare musica per la sua raccolta e per il Conservatorio. Dalle lettere
che invia al governatore appare evidente lo stretto rapporto che li lega e il peso di Pagliara
nella vita del Conservatorio. Nella lettera del 9 agosto 1894, per esempio, Pagliara scrive al
Duca Del Balzo: «Vi ringrazio di tutte le notizie che mi avete dato e del permesso di pro-
lungamento, che mi è stato graditissimo. [...] Iersera udimmo lo stupendo Tristano, stupen-
damente dato. Ho sempre dimenticato di dirvi che in viaggio ho comprato della musica e
dei libri buonissimi ed a buon prezzo per la biblioteca e ho fatto spedire a posto assegnato.
Ho fiducia che approverete questo mio operato, nell’interesse della biblioteca. Ho anche
commessa la partitura del Parsifal, ma non so se l’avremo perché ci sono molte difficoltà ad
ottenerla» (ivi, p. 200). Rientrato a Napoli, Pagliara informa dettagliatamente della vita del
Conservatorio. Cfr. lettera del 6 giugno 1896, ivi, pp. 204-205.
108
Cfr. la lettera datata 20 giugno 1895, ivi, p. 205: «[...] davvero questo è stato ed è
un periodo terribile di occupazione e di lavoro e di fastidi, ed io sono stanchissimo, e non vedo
l’ora del vostro ritorno! Questa vostra assenza ha dimostrato quanto la vostra presenza è pre-
ziosa al Conservatorio! Io già lo sapevo, ma non so ora trattenermi dal dirvelo, per un vero bi-
sogno del cuore! Senza di voi, io valgo meno della metà, e senza di voi non saprei né potrei
reggere un sì grave peso! Iddio ha benedetto il Conservatorio, quando ha fatto avvenire la vo-
stra nomina, e voi avete sempre sempre ragione! I saggi, gli esami, gli attriti, tutto insomma!».
109
Cfr. S. DI GIACOMO, lettera a Giuseppe Mezzanotte, 12 gennaio 1894, in G.
Oliva, Giuseppe Mezzanotte e la Napoli dell’Ottocento tra giornalismo e letteratura, Berga-
mo, Minerva Italica, 1976, p. 187: «Io avevo avuto il posto di addetto alla B.ca [Biblioteca]
di S. Pietro a Majella; ma rifiuto. Lì c’è Pagliara, che io non posso aver per compagno». In
seguito all’incarico di vice-bibliotecario all’Università, allo stesso Mezzanotte spiega quanto
gli pesi e quanto lo faccia solo per necessità: «La mia famiglia ha bisogno: ho dovuto chie-
dere e ho ottenuto un posto. Sono vicebibliotecario all’Università» (S. DI GIACOMO, lettera a
Giuseppe Mezzanotte, 4 giugno 1894, ivi, p. 189).
110
Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione al governatore del Collegio di
Musica, Roma, 5 dicembre 1893 (in Archivio del Conservatorio San Pietro a Majella, fasc. 5-
9-E, ora in T. GRANDE, Contributo alla storia della Biblioteca del Conservatorio..., cit., p. 208.
Pagliara in contesto 37

Pagliara non gradiva il giovane come suo vice-bibliotecario, rite-


nendolo inadatto a tale attività, ed esprimeva il suo dissenso a chiare let-
tere: «lo [Di Giacomo] tengano in disponibilità finché gli trovino un buco,
e lascino fare a noi i fatti nostri, che sono onesti e giusti»111. Su spinta di
Pagliara, quindi, del Balzo fece trasferire Di Giacomo alla Biblioteca Uni-
versitaria. Questo trasferimento non bastò a sedare l’animosità di Pagliara,
che continuava a scrivere contro il Poeta:

È arrivata una lettera del Ministero, con la quale vi si dice che, dopo il
colloquio avuto con voi, si è decretato di comandare il Di Giacomo alla
biblioteca dell’Università, lasciandolo, intanto, come incaricato al posto
di sottobibliotecario da noi e pagandolo a nostre spese, finché non sia
possibile, nel riordinamento delle biblioteche di sgravarcene! È un acco-
modamento sconveniente per noi, moralmente, e stabilisce un orribile
precedente. Come! Nominarci un impiegato non idoneo, sono costretti a
mandarlo altrove e dobbiamo pagarlo da quello che da noi è dovuto?...
Intanto quale aiutante costa al Conservatorio le spese di vitto e le ap-
pendici. [...] Forse questa lettera vi sembrerà alquanto vivace, ma io
sono davvero indignato di questa risoluzione su Di Giacomo nella quale
(a parlarvi con la consueta franchezza autorizzata dalla reciproca affezio-
ne sincera) non vedo che un abuso della vostra bontà!112.

Nel 1896 Di Giacomo fu trasferito alla Biblioteca Universitaria.


Nel novembre dello stesso anno fu incaricato anche di riordinare la Bi-
blioteca del Regio Istituto di Belle Arti. Appena due anni dopo, su sua
propria richiesta e desiderio, in seguito a incomprensioni nate forse pro-
prio con Pagliara, Di Giacomo ottenne il trasferimento alla Biblioteca
Nazionale di Napoli, che allora aveva sede nello storico edificio secente-
sco del «Museo Nazionale». Il direttore di quell’ente, però, Giuseppe
Fumagalli, non era certo più indulgente nei confronti del suo dipendente
rispetto al suo successore, Emidio Martini. Già nel 1898, infatti, Di Gia-
como lavorava al suo allontanamento, che sarebbe avvenuto di lì a poco,
fino a concludersi, nel 1902, con la nomina alla direzione della «Lucchesi
Palli» da parte del Ministro Nasi113. Era il periodo in cui si ipotizzava il
trasferimento della Biblioteca al Palazzo Reale, trasferimento che Di Gia-

111
R. PAGLIARA,lettera a Ernesto Del Balzo, n. 18 [s.d.], in Rocco Pagliara, p. 211.
112
ID.,
lettera a Ernesto Del Balzo, n. 22 [s.d.], ivi, pp. 213-214.
113
Cfr. R. GIGLIO, Per Salvatore Di Giacomo bibliotecario. Una lettera inedita ad
Ardengo Soffici, in AA. VV., La civile letteratura. Studi sull’Ottocento e il Novecento offerti
ad Antonio Palermo, Napoli, Liguori, 2003, vol. I, L’Ottocento, pp. 279-287; M. ANGARANO
MOSCARELLI, Il bibliotecario Salvatore Di Giacomo. Vicende poco note di un noto poeta,
Napoli, Liguori, 1987, p. 17 ss.
38 La seduzione dell’arte

como ostacolò, scrivendone a più riprese sul «Corriere di Napoli», con


articoli apparsi tra il 18 giugno e il 23 agosto di quello stesso 1902114. Ne
nacque un vero movimento di opinione che (forse per fortuna) non riuscì
ad avere gli esiti sperati; piuttosto, aumentò il senso di insoddisfazione
che il Poeta sfogava proprio con il citato amico Corrado Ricci115.
Nonostante le incomprensioni, in quegli anni l’immagine di Pa-
gliara acquistava luce e visibilità; una crescita che poteva destare sospetto
presso i funzionari del Ministero, ma che faceva emergere lo studioso e
poeta all’interno dell’intellighentia partenopea116. D’altronde, era nota la
sua passione di collezionista e bibliofilo, che gli valse a radunare un vero
tesoro d’arte, oggi conservato presso la Fondazione che da lui prende
nome all’Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto Nazionale di
Archeologia e Storia dell’arte di Roma117.
Al Conservatorio di San Pietro a Majella Pagliara rimase con la
stessa carica fino al 1912, quando gli fu revocata la nomina. Si dedicava a
tempo pieno a quell’attività, anche con grande attenzione alla promozione
di giovani talenti118. Interesse, questo, che trova riprova anche nel podero-
so carteggio tra il futuro direttore della Biblioteca musicale e il citato
compositore wagneriano Martucci119, il sodale e amico che musicò, su
versi di Pagliara, la nota Canzone dei Ricordi, considerata come interpre-

114
Cfr. i seguenti articoli apparsi sul «Corriere di Napoli» a firma «Salvador» [S.
DI GIACOMO]: Progettomania. La “Nazionale” in pericolo?, 18 giugno 1902; Per la Biblioteca
Nazionale, 4 luglio 1902; Le idee del ministro Nasi. Un colloquio, 31 agosto 1902.
115
Si legga la lettera del 19 dicembre 1906: «Perché non mi fate passare dalle
biblioteche al Museo? Vi parrà strano quello che vi dico; ma non è strano. È il desiderio di
un artista, che starebbe meglio, qui, in Napoli, nella Pinacoteca e le potrebbe rendere dei
servizi. Ho scritto dei libri d’arte (il Gemito p. es., il Morelli ec.) so qualche cosa della scuola
napoletana, imparerei il resto bene, appresso, e presto. Magari farei un catalogo delle stam-
pe. Come impiegato sono zelante: la biblioteca mi opprime e non mi apre nessun avvenire»
(in G. DORIA, Di Giacomo, Croce e «A San Francisco», Napoli, Philobiblon, 1957, p. 18).
116
Cfr. A. LONGO, Riceviamo e pubblichiamo..., in «L’Arte pianistica», I, 1-15 otto-
bre 1914, pp. 7-8; ID., Rocco Pagliara, in «L’Arte pianistica», I, 15 maggio 1914, p. 3. Longo
intraprese una vera campagna in difesa di Pagliara, considerato vittima quasi di una perse-
cuzione.
117
Cfr. supra.
118
Si veda la difesa dell’opera Malavita di Giordano, studente del Conservatorio,
apparsa sul «Mattino» del 28 aprile 1892.
119
Si tratta di numerose carte inedite conservate presso la FP dell’Università Suor
Orsola Benincasa, non ancora catalogate; una densa corrispondenza che si colloca tra il 2
ottobre 1886 e il 15 dicembre 1887, e che comprende anche lettere di Pagliara alla Signora
Martucci. In attesa di un’edizione critica, alcune di queste lettere, di Pagliara a Martucci e
di altri corrispondenti (Alfredo Alagno, Enrico Golisciani, Luigi Mancinelli, Barbara Mar-
chisio, Eugenio Pirani, Matilde Serao, Francesco Paolo Tosti, Ippolito Valletta) a Pagliara
sono trascritte in Biblioteca musicale, pp. LIII-LXXVIII.
Pagliara in contesto 39

tazione della tradizione straniera del Lied120. Quel Martucci al quale Pa-
gliara espresse un nostalgico rimpianto: «Ah! Perché non ho studiato la
musica! Sarei tanto meno infelice!»121. Il carteggio tra Pagliara e Martucci
ha inizio proprio nel 1886, anno della partenza di Martucci, doloroso di-
stacco tra i due inseparabili amici; anno anche della citata Canzone dei
Ricordi. Nelle prime epistole non mancano apprezzamenti sugli articoli di
critica musicale che Pagliara dedicava ad alcune rappresentazioni wagne-
riane, dalle quali traspare il sincero entusiasmo dei due appassionati stu-
diosi: «Mio carissimo Rocco, le tue wagneriane mi han fatto un bene im-
menso; ho perfino palpitato, e, in alcuni momenti, mi è sembrato sentirti
vicino! Comprendo, pienamente, quale sia stata la tua felicità, udendo
l’opera wagneriana a Monaco, ove, per tradizione, le esecuzioni sono fa-
mose. Dopo una simile emozione, i tuoi malanni non devono più esistere,
e credo di non ingannarmi!»122.
A dispetto di questa sincera e intima amicizia con Martucci, i rap-
porti con Di Giacomo continuavano a rivelarsi complessi e travagliati. Al
Conservatorio di Musica Salvatore Di Giacomo sarebbe tornato solo dopo
la morte di Pagliara, nel 1914, su incarico del Ministero della Pubblica
Istruzione, per compiere un’ispezione e redigere una relazione sullo stato
della Biblioteca del Conservatorio in seguito alla ‘gestione Pagliara’123.
L’anno successivo, forse anche grazie alla citata – dettagliatissima e severa
– relazione, Di Giacomo ottenne la reggenza della Biblioteca del Conser-
vatorio. In quel documento, infatti, si sottolineavano, con correttezza, ma

120
Milano, Lucca, 1886 (ma già, senza musica di Martucci, col titolo La canzone
dei ricordi: poemetto lirico, Napoli, 1885). Tre anni dopo, Martucci musica anche le meno
note Esulta anima mia e O fiori dal rorido calice, composte sempre da Pagliara. Gli auto-
grafi dei tre lavori sono conservati presso la FP. Sulla interpretazione critica del componi-
mento, cfr. A. ROSTAGNO, ‘La canzone dei ricordi’ di Giuseppe Martucci: un nuovo genere
musicale sulla via del decadentismo italiano, in AA. VV., Napoli musicalissima. Studi in onore
di Renato Di Benedetto, a cura di E. Careri e P.P. De Martino, Lucca, LIM, 2005, pp. 149-
181; G. SALVETTI, ‘La canzone dei ricordi’ di Martucci tra Piedigrotta e Wagner, in “Musica
se extendit ad omnia”. Studi in onore di Alberto Basso in occasione del suo 75o compleanno,
a cura di R. Moffa e S. Saccomani, Lucca, LIM, 2007, pp. 821-830. La trascrizione della
Canzone dei Ricordi è in Rocco Pagliara, pp. 253-254.
121
Rocco Pagliara, lettera a Giuseppe Martucci, in FP, ms. n. 9. Su Wagner cfr.
anche lettera di Pagliara del 17 giugno 1887, in FP, ms. 41: «Wagner non ha scritto sinfonie
né concerti né trii, ed è pure un grand’omo! Perbacco se è grande!».
122
Giuseppe Martucci, lettera a Rocco Pagliara, 21 dicembre 1886, in FP, carta
n. 7.
123
La comunicazione dattiloscritta del Ministero, datata 12 agosto 1914, è conserva-
ta alla Lucchesi Palli, fascicolo di archivio, nella sezione «Corrispondenza in arrivo». Era del
Ministro Rosadi. La relazione, redatta da Di Giacomo il 20 giugno 1915, è edita in appendice a
M. ANGARANO MOSCARELLI, Il bibliotecario Salvatore Di Giacomo..., cit., pp. 132-146.
40 La seduzione dell’arte

anche con chiarezza, gli errori di gestione di Pagliara, con una generale
critica rivolta per una gestione piuttosto personale ed autoritaria del fondo
librario dell’Istituto musicale partenopeo. Critiche, queste, convalidate
dalle continue ispezioni ministeriali (ben cinque tra il 1883 e il 1913):

Gli investimenti tipografici e gli estratti da esso al tempo del Florimo, di


cui il Florimo stesso parla nel secondo volume della sua Scuola musicale
in Napoli, sono sì, nella grande Sala Scarlatti, ma si arrestano al punto
in cui così il Florimo come il suo zelante impiegato Rondinella mancaro-
no a’ vivi. Ulteriori enumerazioni, inserzioni, aggiunte, rimandi e corre-
zioni contengono tanti volumi in cui non lieve fatica hanno speso il Pa-
gliara e qualche suo aiuto124.

Dunque, Di Giacomo non negava, pur limitandoli, i meriti di


Pagliara. Nel dare però consigli sulla futura amministrazione non poteva
non auspicare:

È pur da evitare [...] che si acquistino pel Conservatorio libri i quali


stanno meglio in altre biblioteche della città, o sono anzi, affatto inutili a
un Istituto Musicale. Lo stesso nuovo bibliotecario sarà, io credo, più
parco negli abbonamenti alle riviste, tanto più che anche di molte che
sono in S. Pietro a Majella si forniscono così la Biblioteca Nazionale,
come la Universitaria e la Lucchesiana. Anche i fascicoli delle riviste che
arrivano al Conservatorio meritano d’essere serbati con maggior cura: vi
sono per essi, moduli regolamentari, ma la biblioteca non ne ha alcuno.
E il loro luogo di deposito in accrescimento non dovrà continuare ad
essere, com’è ora, il pianoforte a coda di Giuseppe Martucci, nella sala a
lui dedicata125.

Simili critiche aveva espresso anche l’anno precedente, in una let-


tera a Croce:

124
S. DI GIACOMO, La Biblioteca-Archivio di S. Pietro a Majella, in M. ANGARANO
MOSCARELLI, Il bibliotecario Salvatore Di Giacomo ..., cit., p. 140.
125
Ivi, p. 142. La relazione si conclude con un accenno alla polemica con gli
eredi Pagliara per la restituzione alla Biblioteca di alcuni beni trovati nella biblioteca perso-
nale e acquistati invece per l’Ente. La polemica era sfociata in una inchiesta e in una appo-
sizione di sigilli tanto alla Biblioteca del Conservatorio quanto alla sua villa del Vomero. Cfr.
T. GRANDE, Contributo alla storia della Biblioteca del Conservatorio di Musica San Pietro a
Majella..., cit., pp. 204-205. Molti documenti relativi alla questione sono conservati nell’Ar-
chivio della Biblioteca d’Istituto. Cfr. infatti la relazione dell’avvocato Ugo Tambroni al pre-
sidente e ai membri del Consiglio d’Amministrazione del Conservatorio, 31 ottobre 1917
(in Archivio Conservatorio di San Pietro a Majella, fasc. 2-9-A); e cfr. anche i tre grandi
volumi in folio conservati presso la biblioteca recanti sul dorso la dicitura Biblioteca / libri
e Musica acquistati, volumi datati tra il 1888/9 e il 1912/3.
Pagliara in contesto 41

Forse tutto quel che nella Biblioteca di S. Pietro a Majella era sconvolto
sarà riordinato. Ho fatto prima di tutto spazzare la terrazza attigua alla
sala antica, e v’ho fatto rimettere i vasi di fiori che vi teneva il buon
Florimo: solo a costui si deve tutto il buono che era là dentro. Non ho,
né ho avuto compensi dalla paranza letteraria partenopea – ma già molti
colombi, dalle chiese vicine e dai tetti, mi vengono a dire: – ‘Fai bene’ –
ogni giorno. Fuori dalla terrazzetta è un, pardon, è un camerotto che
forse occorse alle onorate persone di Zingarelli e Paisiello e rimase così
com’era, da quel tempo. Faccio ripulire anche quello: insomma lo riluco
da vera latrina come s’usa adesso126.

Con queste garbate parole, l’amico, d’una amicizia forse già in


bilico, teneva a mettersi in luce, non senza rilievi polemici indiretti verso
il comune amico Pagliara, e non senza un nostalgico rimpianto del grande
maestro Florimo. Forse, nel testo digiacomiano era ancora presente il ri-
sentimento del Poeta per non essere stato considerato, anni prima, adatto
al mestiere di bibliotecario «perché non conosceva la musica». La severa
posizione digiacomiana, però, non trovava unanime accordo. Fu Longo,
per esempio, a tornare a lodare la memoria del bibliotecario defunto,
prendendone pubblicamente le difese: «Spento il Pagliara, bisognava subi-
to bandire il concorso per la successione alla biblioteca o nominare un
successore. Il nuovo titolare avrebbe riferito al superior ministero circa lo
stato della biblioteca e tutto sarebbe finito. Ma ... bisognava creare lo
scandalo e gettare ancora fango sul povero morto, e non si è lasciata sfug-
gire l’occasione per proporre un’ispezione alla biblioteca [...]»127.
Dopo quasi un secolo, lontani dalle polemiche, si può concordare
con l’opinione che, «più moderno, aperto alle necessità dei lettori ed at-
tento all’organizzazione, il Di Giacomo si contrappone al Pagliara che in-
vece, con la sua grande passione per il collezionismo, finalizzò la sua atti-
vità di bibliotecario all’arricchimento dell’Istituto con l’acquisizione di
preziosi spartiti e di cimeli interessanti per la storia della musica napoleta-
na»128. Resta inoltre indubbio il ruolo attivo svolto da Pagliara all’interno
della cultura musicale napoletana di fine Ottocento, ruolo tributatogli, tra
gli altri, anche da Baby-Bracco129.

126
S. DI GIACOMO, lettera a Benedetto Croce, 1914, in G. DORIA, Di Giacomo,
Croce e “A San Francisco”, cit., pp. 25-26 [il corsivo è nostro].
127
A. LONGO, Un elenco eloquente, in «L’Arte pianistica», I, 1 novembre 1914, p. 8.
128
L. MAZZOLA, Il mistero Pagliara: ombroso e poliedrico, in Biblioteca Rocco
Pagliara. Un caleidoscopio napoletano di fine Ottocento, cit., pp. 15-18, a p. 16.
129
Cfr. il discorso di Bracco su Pagliara riportato in questo lavoro. Nel novero
delle azioni di promozione della cultura musicale, va anche ascritta la partecipazione attiva
di Pagliara alle celebrazioni donizettiane, nel 1897, con l’allestimento di una grande mostra
42 La seduzione dell’arte

In fondo, fu proprio quest’amore per la musica a legarlo anche


alla famiglia Del Balzo: oltre all’amicizia per l’allora governatore Ernesto,
ebbe una quasi venerazione per Adelaide, moglie del principe di Strongo-
li, la quale, insieme alle due sorelle di Pagliara, Adele e Maria Antonietta,
all’interno dell’Istituto Suor Orsola Benincasa (di cui era ispettrice) diede
vita alla prima università femminile, nel 1902130.
Fu al Conservatorio, inoltre, che si consolidò l’amicizia con Mar-
tucci, anche attraverso il comune amico Corrado Ricci131, il quale fu ri-
chiamato a Napoli grazie a Pagliara, nel 1902, per succedere a Pietro Pla-
tania nella direzione artistica del San Pietro a Majella132.
Lo stesso interesse per la musica era argomento anche del carteg-
gio con Vittorio Pica. Oltre ai citati scambi di opinione sul «caso Wagner»,
al critico ‘aristocratico’ Pagliara – che ebbe anche l’onore di una citazione
nella pichiana prefazione al Ritmi e fantasie di Casa133 – chiedeva alcuni
fascicoli della «Revue Wagnérienne»134; e fu anche Pica a recensire la rac-
colta di trentacinque poesie per musica, Romanze e fantasie135. Era una

a Bergamo, ricca del materiale di S. Pietro a Majella. Cfr. C. MALHERBE, Rapport sur l’expo-
sition de Donizetti à Bergame, Bourges, Sire, 1897.
130
Sulla figura di Adelaide Del Balzo e sul suo impegno nell’educazione femmi-
nile, cfr. L. d’ALESSANDRO, L’educazione alla libertà ed al Risorgimento nelle lettere di Ade-
laide Del Balzo, in L’Istituto Suor Orsola Benincasa. Cento anni di cultura a Napoli 1895-
1995, Napoli, Fausto Fiorentino, 1995, pp. 185-192. La principessa Del Balzo era tra i più
strenui sostenitori di Pagliara, come attesta una sua lettera del 1904. cfr. Biblioteca musicale,
p. XLII.
131
Cfr. C. RICCI, Ricordi bolognesi, Bologna, Zanichelli, 1924, pp. 77-93 (sono le
pagine dedicate al Martucci).
132
Stretta era anche la collaborazione con molti compositori. Oltre a Martucci,
che musicò sue liriche, tra le quali la citata Canzone dei ricordi, con lo pseudonimo di
Paolo d’Elsa o di Mario Perla Pagliara fu autore di libretti di melodrammi, atti unici per
Camillo De Nardis, Francesco Paolo Tosti, Luigi Denza e altri. Tra gli altri versi per musica
dello stesso Pagliara si ricordano La mia fanciulla: strofe villereccie, Milano, Ricordi, musi-
che di Luigi Caracciolo (1847-1887) e Invano! Serenata, Milano, Ricordi, 1899, musicata da
Francesco Paolo Tosti (1846-1916). Tra gli impegni più rilevanti c’è senza dubbio la parte-
cipazione alla Raccolta di canzoni Chi chiagne e chi ride (Napoli, Ricordi, 1895), insieme a
Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Roberto Bracco. Nel 1898, con lo pseudonimo
di Paolo d’Elsa, scrisse il libretto di Stella, dramma lirico in tre atti, tratto da un dramma di
Starace per la musica di Camillo De Nardis. L’anno seguente scrisse Il Profeta velato, che
suscitò l’interesse di Pica. Cfr. V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 25 marzo 1898, LXXXI: «Caro
Rocco, per la prima del tuo Profeta velato si può avere in amichevole dono un palco sia di
3° che di 4° fila? [...] Evviva il poeta Conforti! Evviva il musicista napoletano! Evviva Rocco
Edoardo Pagliara, poeta, musicista e critico!!!».
133
Cfr. V. PICA, Prefazione a F. Casa, Ritmi e fantasie, Bologna, Zanichelli, 1887.
Su questa Prefazione cfr. infra, e nel carteggio qui riportato.
134
Cfr. ID., lettera a Rocco Pagliara, 25 gennaio 1887, LVIII.
135
ID., Poesie per musica, in «Il Pungolo della domenica», 14 giugno 1885 (recen-
sione a R. PAGLIARA, Romanze e fantasie, Milano, Ricordi, 1885). Nella recensione, Pica loda
Pagliara in contesto 43

vocazione, alla quale Pagliara si sarebbe dedicato senza tregua, anche a


scapito dell’attività letteraria e poetica136.
A dispetto dei numerosi tributi che Pica rese a Pagliara in campo
musicale, nelle missive di Di Giacomo a Pagliara non vi sono cenni né al
mondo musicale né alle accese polemiche che videro impegnati, l’uno
contro l’altro, i due letterati. Una sorta di omaggio, forse, a un’autorità
che il poeta dialettale riconosceva al suo corrispondente; o più ancora una
decorosa censura su temi che avrebbero certo adombrato il rapporto epi-
stolare tra i due corrispondenti.

3. Letteratura quotidiana

Grazie alla catalogazione e pubblicazione di carte inedite, alla si-


stemazione – ancora non completata – della vastissima biblioteca dell’au-
tore, emerge con chiarezza il ruolo di ‘promotore’ e ‘mediatore’ che Pa-
gliara, sia pure non senza polemiche e discussioni teorico-pratiche con i
contemporanei, ha assunto all’interno della Napoli ‘europea’ tardo-otto-
centesca. Era la tanto discussa ‘cultura meridionale’, categoria che potreb-
be intendersi legata a una dimora geografica ma anche psicologica, «realtà
storicamente condizionata, e perciò mutevole di rapporti sociali, di situa-
zioni di potere [...] di tendenze letterarie e artistiche, di vicende economi-
che»137.
Ricordato anche da Croce, ma solo come «scrittore di versi» nelle
notissime pagine dedicate alla Vita letteraria a Napoli138, forse un suo ri-
tratto più accorato è offerto dalla lettera manoscritta della sorella Maria
Antonietta, l’epistola che accompagnava gli oltre ventimila volumi donati
alla Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma. In quell’aprile
del 1922, Maria Antonietta ricordava il fratello per due dominanti e fe-
conde attività, la musica e la letteratura139. Ben presto, però, alla musica e

Pagliara e lo annovera tra i «coraggiosi» che in Italia hanno tentato di nobilitare il genere
della poesia per musica: «[Pagliara] riesce meravigliosamente nel ritrarre la poesia grandio-
sa dei fiori, delle stelle, dei flutti, degli uccelli, e nel far sentire i mille misteriosi rapporti
che legano l’uomo alla natura che lo circonda» (ibidem).
136
A sottolineare questo aspetto fu proprio Roberto Bracco, nel discorso su Pa-
gliara riportato in questo lavoro.
137
G. GALASSO, Il Mezzogiorno da ‘questione’ a ‘problema aperto’, Manduria-Bari-
Roma, Lacaita, 2005, p. 210.
138
B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, in Letteratura della
Nuova Italia, Bari, Laterza, 19547, vol. IV, pp. 314-315.
139
Il manoscritto è conservato nel Fondo Pagliara della Biblioteca di Archeologia
e Storia dell’Arte, segnatura M.G2.
44 La seduzione dell’arte

alla letteratura si aggiunse un amore appassionato per le arti figurative,


che ne fecero un grande collezionista, come attesta la sua dimora napole-
tana, Villa Belvedere140.
Queste «passioni», che bene traducono l’originaria etimologia di
studium, Pagliara esprimeva – in fede ad una sua naturale disposizione
divulgativa – in centinaia di articoli di argomento vario, che insieme ai
versi poetici o ai libretti, veniva pubblicando su quotidiani e riviste cultu-
rali in quegli ultimi anni dell’Ottocento che segnarono il vero trionfo del
giornalismo letterario.
In effetti, può considerarsi questa come un’altra delle ‘affinità elet-
tive’ che lo legavano a Di Giacomo e a Pica. I tre autori, infatti, sin da gio-
vanissimi si dedicarono all’attività giornalistica, con vocazione forse poco
sincera per Di Giacomo e Pagliara, ma duratura e feconda. Se su Di Giaco-
mo e Pica collaboratori a testate quotidiane e periodiche è già stato scrit-
to141, meno noto è il ritratto di Pagliara all’interno di quelle fucine di intel-
lettuali e artisti che furono le redazioni napoletane e anche nazionali in que-
gli anni. D’altronde, Croce stesso – nel noto bilancio sul rapporto tra giorna-
lismo e letteratura steso nel 1908 – a proposito di queste «scritture prive di
originalità [...] di ingegni superficiali», ammetteva che «una parte cospicua e
squisitissima della letteratura poetica e novellistica, e anche filosofica e cri-
tica, dei tempi nostri, è passata attraverso il giornale quotidiano»142.
Com’è noto, infatti, in quell’ultimo quarto di secolo, le due sfere,
giornalismo e letteratura, sembravano avvicinarsi e insieme raggiungere
una più definita elaborazione progettuale; e questo anche grazie a una
maggiore consapevolezza culturale-storica che trovava affermazione in av-
venimenti decisivi come la nascita dell’Associazione della stampa periodi-
ca, presieduta da intellettuali-politici del calibro di Spaventa, De Sanctis e

140
Cfr. Rocco Pagliara, p. 45 ss.
141
Cfr. T. IERMANO, Il giovane Di Giacomo e il giornalismo napoletano, in Il
melanconico in dormiveglia, Firenze, Olschki, 1995; S. MINICHINI, “Fantasio” e gli esordi
giornalistici digiacomiani, ora in ID., Di Giacomo e altri. Saggi digiacomiani ed altri studi
di letteratura meridionale, Napoli, Loffredo, 2001, pp. 11-34. Si vedano gli interventi di: A.
ANDREOLI, Di Giacomo e la “Tavola Rotonda”, in Salvatore Di Giacomo settant’anni dopo,
a cura di A.R. Pupino ed E. Candela, Napoli, Liguori, 2007, pp. 3-8; C. BORRELLI, Di Gia-
como e “Flegrea”, ivi, pp. 69-80; E. CANDELA, Di Giacomo e “Napoli Nobilissima”, ivi, pp.
105-130; D. TROTTA, Di Giacomo e la palestra critica del “Fantasio” (10 agosto 1881-20
maggio 1883), ivi, pp. 473-490; P. VILLANI, Salvatore Di Giacomo e “Il Corriere di Napoli”,
ivi, pp. 499-553. Sull’attività pubblicistica di Pica si rimanda ai volumi Lettere a de Gon-
court e a Vittorio Pica, pp. 175-200.
142
B. CROCE, Il giornalismo e la storia della letteratura, poi in ID., Problemi di
estetica e contributo alla storia dell’estetica italiana, a cura di M. Mancini, Napoli, Bibliopo-
lis, 2003, pp. 130-133, alle pp. 130-131.
Pagliara in contesto 45

Zanardelli. D’altro canto, con il graduale ingresso dell’industria produttiva


all’interno di quello che si affermava sempre più come ‘mercato’ editoria-
le, lo scenario culturale stava cambiando143. Un ritratto eloquente del nuo-
vo professionista della penna è anche offerto da uno dei maestri del gior-
nalismo, autore di una vera rivoluzione tecnica del mestiere, Dario Papa,
redattore del «Corriere della Sera», il quale alla direzione dell’«Italia»
consigliava:

L’amore, la passione al mestiere, scrivere correttamente, avere il coraggio


senza essere spavaldo e attaccabrighe, avere chiarezza di stile e di carat-
tere, raccogliere non bere la notizia, amare la società e la vita, ecco quan-
to occorre per affrontare la carriera di giornalista. Il resto verrà da sé144.

Ebbene, da questa sorta di codice deontologico Pagliara era forse


distante, per una sua naturale nobiltà sprezzante, che lo conduceva spesso
lontano dalla «vita» della Napoli piagata. Era una sorta di aristocratico
«riserbo» che forse pesò sulla sua fortuna, che però lo avvicinava ai suoi
due corrispondenti, Di Giacomo e Pica, per un idem sentire, per una fe-
deltà all’arte che li teneva distanti dalle punte più avanguardistiche del
realismo di denuncia, dello «studio» o «documento umano»; in difesa di
quella che oggi è data come acquisita autonomia del «campo letterario»145.

143
Per una conoscenza sullo stato dell’arte dell’industria giornalistica, all’interno
della vastissima bibliografia, cfr. almeno: G. OTTINO, La stampa periodica, il commercio dei
libri e la tipografia in Italia, Milano, Brigola, 1875; D. PAPA, Il giornalismo, Verona, Fran-
chini, 1880; N. BERNARDINI, Guida alla stampa periodica italiana, Lecce, Tip. Salentina dei
fratelli Spacciante, 1890; P. BARBERA, Editori e autori, Firenze, Barbera, 1904; O. BUONVINO,
Il giornalismo contemporaneo, Palermo, Sandron, 1906; V. CASTRONOVO, La stampa italiana
dall’Unità al Fascismo, Bari, Laterza, 1973; P. PIRONTI, Luigi Chiurazzi e l’editoria napole-
tana, Napoli, Pironti, 1982; A. BRIGANTI, Intellettuali e cultura fra Otto e Novecento. Nascita
e storia della terza pagina, Liviana, Padova, 1972; A. SCIROCCO, Napoli nella vita unitaria, in
AA. VV., La satira politica nei giornali napoletani 1860-1890, Roma, Istituto Poligrafico Zec-
ca di Stato, 1986, p. 7 ss.
144
Tale profilo del giornalista tracciato da Papa sull’«Italia» del 9 ottobre 1887 è
in A. BANDINI BUTI, Dario Papa, in Aspetti e figure della pubblicistica repubblicana italiana.
Atti del convegno organizzato dall’Associazione mazziniana italiana a Torino, 13-14 ottobre
1961, Milano, Associazione mazziniana italiana, 1962, pp. 59-65, a p. 64. Proprio partendo
dalla provocazione di Papa, Abruzzese e Panico commentano: «Ai letterati spettava una ri-
sposta. Si trattava di continuare la riqualificazione tentata con ‘Il Fanfulla’, di proporsi
come pubblicisti ma a vantaggio del loro lavoro di scrittori» (A. ABRUZZESE e I. PANICO,
Giornale e giornalismo, in AA. VV., Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, II. Produzio-
ne e consumo, Torino, Einaudi, 1983, p. 783). Cfr. anche A. BRIGANTI, op. cit., pp. 9-33.
145
Ci si riferisce qui alle notissime elaborazioni di Pierre Bourdieu (Le regole
dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Milano, Il Saggiatore, 2005) e di Romano
Luperini (Tradimento dei chierici e lavoratori della conoscenza, in «Italian Culture», nn. 24-
25, aa. 2006-2007, pp. 169-181).
46 La seduzione dell’arte

Resta comunque forte, in Pagliara, una vocazione alla promozione


dell’arte, non senza un pizzico di cupio famae, che lo distanziava da molti
suoi colleghi letterati prestati alla redazione, in particolare dai colleghi
partenopei, che pure partecipavano a quel fervore giornalistico nazionale
con diversi intenti e metodi146.
Forti di una complementarietà possibile tra giornale e libro –
anche secondo l’auspicio espresso da un maestro del giornalismo lettera-
rio, Vittorio Bersezio, già nel 1878147 – per sincera vocazione o anche per
motivi pratici, economici ed editoriali, anche i letterati prestati al giorna-
lismo (e Pagliara con loro) si allontanavano dal dilettantismo dei primi
anni postunitari. Era un fenomeno registrato dagli stessi protagonisti,
spesso impegnati in questa vocazione a una scrittura giornalistica ‘altra’
rispetto al foglio di intrattenimento, di svago o anche di mera cronaca
politica. Tra i più impegnati, senza dubbio Scarfoglio e la stessa Serao. Il
primo, per esempio, già all’altezza del 1883, ancora lontano dai suoi gran-
di impegni editoriali nella stampa romana e napoletana, si trovava a criti-
care, con la consueta graffiante severità, la scrittura leggera del «Fanful-
la»: «L’articoletto leggerino e incipriato, con un po’ di vento nella pancetta
mingherlina, con un pizzico di cipria sulla testolina bizzarra e un grano di
sale nella coda, era così facile a fare, e giovava tanto alla popolarità, e
soddisfaceva così bene il bisogno d’una prosa né in tutto politica né in
tutto letteraria, ma soprattutto brevina, e digestiva, che per molti anni
Roma non ha avuto altri bisogni letterari»148. Anni dopo la stessa Serao,
sempre ben attenta al panorama editoriale meridionale149, si trovava a os-
servare come ormai compiuta un’evoluzione del giornalismo nel segno
di una maggiore professionalizzazione e soprattutto nel segno di un avvici-
namento tra la sfera della letteratura e quella del giornalismo; avvicina-
mento che anni dopo avrebbe individuato come formula della cultura

146
Si veda il saggio di F. FINOTTI, Cosmopolitismo e dilettantismo nella Napoli
dell’Ottocento, in ID., Sistema letterario e diffusione del decadentismo nell’Italia di fine ’800.
Il carteggio Vittorio Pica-Neera, Firenze, Olschki, 1987, pp. 8-50.
147
Si veda, infatti, l’articolo di Bersezio su Il libro, il giornale, la rivista (in «Gaz-
zetta Letteraria», a. II, n. 1, 5 gennaio 1878): «[...] fu detto che il libro sarebbe stato ucciso
dal giornale. Quest’affermazione è più speciosa che vera [...]. L’azione dunque del foglio
volante e del libro più grave non si escludono non si impediscono, non si contrastano: ma
invece si completano e concorrono, più forse che non paia, aiutandosi a vicenda, al conse-
guimento d’uno scopo comune».
148
E. SCARFOGLIO, Giornalismo, in «La Domenica Letteraria», II (1883), 33, pp.
2-3.
149
Si veda, per tutti, l’articolo in difesa degli scrittori La proprietà letteraria,
inserito nella rubrica «Fatti e fantasie», in «Corriere di Roma illustrato», a. II, 13 ottobre
1886.
Pagliara in contesto 47

«dell’avvenire»150: «La falsa notizia è stata il trionfo del giornalismo di ven-


ti anni, mentre adesso questa utile consuetudine si va perdendo e i gior-
nali, quasi tutti e quasi sempre, non stampano che notizie vere [...]. Ora-
mai, il regno della verità, il migliore, è stato fondato nel giornalismo italia-
no...»151.
Era un lavoro incessante, che coinvolgeva letterati-giornalisti o
giornalisti-letterari; un lavoro espresso con la consueta verve polemica ed
efficacia icastica da Rastignac (Vincenzo Morello), il cui nome attraversa
spesso le missive di Pica a Pagliara. Nell’aprire il suo volume Leggendo,
Rastignac si rivolge alla sua ideale donna lettrice con un appello che val la
pena riportare:

Nelle lunghe serate d’inverno, quando, stornata, ad ora tarda, la rappre-


sentazione al San Carlo, voi, bruna o bionda signora napoletana, vi ridu-
cete sola nel vostro salottino, voi [...] che cosa leggete, così attentamen-
te? [...] Non il romanzo [...]. Voi leggete il giornale, in quell’ora: una
lettura varia, curiosa, interessante, che alletta non la fantasia soltanto,
ma anche il pensiero [...]. Il giornale, questa barcaccia navigante nel
buio del mare della vita, i cui marinai restano, spesso ignoti per sempre
[...]; questa malinconica barcaccia, che ogni giorno si sfascia e ogni gior-
no si ricostruisce, e sotto l’irresponsabilità del nome comune, spaventa
più che un esercito di nomi di generali valorosi; questa barcaccia così
maledetta e pur così tentata da tutti, come piglia a un tratto, ai vostri
occhi, la gentile parvenza di una gondola leggera navigante al blando
lume di luna – quando parla di lettere ed arti152.

La cultura meridionale, quindi, prendeva parte attiva a questo


processo culturale. Era comunque una fase di transizione, nella quale i
letterati, anche a causa della crisi economica dell’editoria, stentavano a
trovare un ruolo definito, ma insieme entravano prepotentemente nella
vita della stampa quotidiana e periodica. Pagliara e Di Giacomo, e soprat-
tutto Pica, sembrano appunto appartenere a questa generazione; il giorna-
lismo si veniva connotando come ‘scuola’, laboratorio, che introduceva nel

150
M. SERAO, Il giornale, Napoli, Perrella, 1906, p. 10. Sul rapporto tra letteratura
e giornalismo a Napoli a fine Ottocento, si vedano, tra gli altri, oltre ai citati, anche R. GI-
GLIO, Letteratura in colonna: letteratura e giornalismo a Napoli nel secondo Ottocento,
Roma, Bulzoni, 1993, e i recenti volumi: D. DE LISO, “Flegrea” 1899-1901, Napoli, ESI,
2006; AA. VV., Giornalismo letterario a Napoli tra Otto e Novecento. Studi offerti ad Antonio
Palermo, a cura di P. Sabbatino, Napoli, ESI, 2006.
151
M. SERAO, La falsa notizia, in «Corriere di Napoli», 15-16 agosto 1891, in “I
Mosconi” di Matilde Serao, a cura di G. Infusino, Napoli, Edizioni del Delfino, 1974, pp.
65-66.
152
V. MORELLO, Leggendo, Napoli, Casa Editrice Artistico-Letteraria, 1886, pp. 5-8.
48 La seduzione dell’arte

mercato la fascinazione letteraria, anche deformandola rispetto alla tradi-


zione, con l’intento di avvicinarla al lettore e soprattutto di farla resistere
alla cronaca153.
La città si stava già «risvegliando dal torpore e dal disordine eco-
nomico e morale in cui inaspettatamente l’unità d’Italia l’aveva relega-
ta»154; viveva la «forma globale» della propria autonomia culturale155. Gior-
nalismo e arte si aprivano anche a Napoli agli influssi dei grandi movi-
menti europei, ma rispondevano, insieme, alle sollecitazioni della nascente
industria culturale, avvertendone forse più che altrove le insidie, in
un’inappagata ricerca di temi, forme e stili che mai tradiva il contesto di
riferimento, quella realtà così travagliata che chiedeva attenzione, al mon-
do culturale come anche al mondo politico156.
La realtà storica si faceva voce e motivo d’arte proprio nel Mez-
zogiorno. Com’è noto, il giornalismo napoletano viveva una fase di grande
sviluppo ed espansione, per numero di testate, numero di copie vendute e
anche in termini qualitativi157. Era forse l’estremo tentativo di colmare
una «frattura antica fra i dotti e la città»158, che già lamentava anche Giu-
stino Fortunato quando, in una lettera a Villari, denunciava «sospetti e

153
Cfr. A. ABRUZZESE e I. PANICO, Giornale e giornalismo, cit., pp. 775-806, a p.
778.
154
R. GIGLIO, L’invincibile penna. Edoardo Scarfoglio tra letteratura e giornali-
smo, Napoli, Loffredo, 19942, p. 117.
155
A. GHIRELLI, Napoli italiana. La storia della città dopo il 1860, Torino, Einau-
di, 1977, p. 88. Per un quadro della Napoli postuniutaria, all’interno della vasta bibliografia,
si vedano: G. GALASSO, Napoli nell’Unità italiana, cit.; ID., Tradizione e metamorfosi di
un’antica capitale, cit.; G. RUSSO, Napoli come città, Napoli, ESI, 1966; R. DE FUSCO, Attività
edilizia dal 1860 al 1915, Napoli, ESI, 1961; G. LUZZATO, L’economia italiana dal 1861 al
1894, Torino, Einaudi, 1968.
156
A. GHIRELLI, Napoli italiana..., cit., p. 90.
157
Sul giornalismo napoletano di fine Ottocento, oltre al notissimo intervento di
Croce, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900 (cit., pp. 345-355), si vedano, tra gli
altri, E. GIAMMATTEI, Il racconto e la città (1995), ora in EAD., Il romanzo di Napoli..., cit.,
pp. 71-92; R. GIGLIO, Letteratura in colonna..., cit.; D. DE LISO, “Flegrea” 1899-1901, cit.; T.
IERMANO-A. PALERMO, La letteratura della nuova Italia: tra naturalismo, classicismo e deca-
dentismo, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. VIII, Roma, Salerno
Editrice, 1999, pp. 516-526.
158
Cfr. P. MACRY, La Napoli dei dotti. Lettori, libri e biblioteche di una ex capitale
(1870-1900), in «Meridiana», 4, Poteri locali, settembre 1988, p. 142: «L’immagine di una
città afflitta da analfabetismo diffuso e debole scolarizzazione ma, al tempo stesso, dotata di
un grosso centro universitario e di un’intellettualità di un peso nazionale, suggerisce l’ipote-
si di una speciale dicotomia tra società colta e società civile, che raddoppierebbe gli effetti
della contrapposizione tra Stato e società civile». Era una condizione che gli stessi visitatori
tardo-ottocenteschi si trovavano ad osservare. Cfr. A. MUNTHE, Letters from a Mourning
City, London, Murray, 18992 [1887], p. 56 ss.
Pagliara in contesto 49

odii» che dividevano la «borghesia» dal «popolo»159. Com’è noto, Villari


promosse un’ampia serie di studi, saggi e interventi, fino alla redazione
della «Rassegna Settimanale» che tanta parte ebbe nel dibattito meridio-
nalista160, sia pure separandosi gradualmente dagli stesssi intendimenti vil-
lariani161. Proprio il precipitare delle condizioni del Mezzogiorno sembra-
va alimentare, a contrasto, la nascita (e lo sviluppo fecondo) del dibattito
sulla ‘questione meridionale’, tenuto a battesimo dallo stesso Pasquale Vil-
lari, appunto, con le sue notissime, crude, Lettere meridionali162.
Alla letteratura spettava un compito non facile. Sembrava che
anche la narrativa di quegli anni, secondo un’intuizione di Francesco Tor-
raca a proposito dei Malavoglia verghiani, contribuisse alla «cronaca» di
una realtà da redimere. Con articoli, novelle e romanzi, sembrava che i
letterati volessero offrirsi come una delle voci del dibattito. Non si trattava
di un movimento chiuso all’interno dei confini dell’ex Regno borbonico;
molti degli intellettuali partenopei seppero muoversi anche nell’ambiente
romano, nella «Roma bizantina» del Sommaruga, editore di Scarfoglio,
Serao, Pica, Misasi e dello stesso Rocco De Zerbi, brillante e discusso lea-

159
G. Fortunato, lettera a Pasquale Villari, 4 novembre 1875, in G. FORTUNATO,
Carteggio. 1865-1911, a cura di E. Gentile, Bari-Roma, Laterza, 1978, pp. 9-10. Cfr. G.
GALASSO, Il Mezzogiorno da ‘questione’ a ‘problema aperto’, cit., p. 44 ss. Cfr. anche ID., Il
pensiero storico di Giustino Fortunato, ora in ID., Da Mazzini a Salvemini: il pensiero de-
mocratico nell’Italia moderna, Firenze, Le Monnier, 1974, pp. 233-256.
160
Cfr. M. MORETTI, Pasquale Villari storico e politico, Napoli, Liguori, 2005, p.
151 ss.; ID., La storiografia italiana e la cultura del secondo Ottocento. Preliminari ad uno
studio su Pasquale Villari, in «Giornale critico della filosofia italiana», LX, 1981, pp. 300-
372; R. VILLARI, Alle origini del dibattito sulla questione sociale, (1958), ora in ID., Mezzo-
giorno e democrazia, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 63-106; R. BIGAZZI, I colori del vero,
Pisa, Nistri-Lischi, 1978, pp. 248-267; R. ROMANELLI, L’Italia liberale, Bologna, Il Mulino,
19974, pp. 224-230.
161
Già nel 1882, Villari osservava: «Ora la Rassegna non è per me quello che era
una volta [...] è scomparso molto di ciò che non si vede, e che pure è ciò che v’ha di più
reale al mondo. Io non so capire che un giovane come Sonnino non abbia nel suo animo
trovato forza sufficiente per dichiararsi nemico d’un governo che corrompe il paese e mette
in pericolo ogni nostra libertà» (P. VILLARI, lettera a Karl Hillebrand, 20 gennaio 1882, in W.
MASER, Incontri italiani di Karl Hillebrand, in «Nuova Antologia», 1957, pp. 541-550, a p.
550, ora in Un anello ideale fra Germania e Italia: corrispondenze di Pasquale Villari con
storici tedeschi, a cura di A.M. Voci, Roma, Archivio Guido Izzi, 2006).
162
Le Lettere apparvero «L’Opinione» e in «La Perseveranza» prima di essere
pubblicate in volume nel 1878, ora in P. VILLARI, Le lettere meridionali e altri scritti sulla
questione sociale in Italia, a cura di F. Barbagallo, Napoli, Guida, 1979. Già Giustino For-
tunato si trovava ad osservare: «Io non so dire di quanta gioia si empiesse l’animo mio nel
leggerlo» (G. FORTUNATO, Pagine e ricordi parlamentari, vol. II, Roma, Collezione Meridio-
nale, 1947, p. 164). Com’è noto, su spinta di Villari, Jessie White Mario firmava il volume
La miseria in Napoli (Firenze, Le Monnier, 1877) e Renato Fucini firmava Napoli a occhio
nudo (Firenze, Le Monnier, 1878).
50 La seduzione dell’arte

der del giornalismo politico napoletano163. Il luogo privilegiato, però, per il


dibattito meridionalista sembrava essere la stampa periodica o quotidiana
edita nella ex capitale. Le pubblicazioni effimere si offrivano ad accogliere
risposte, o almeno proposte contro la crisi che attanagliava la città e che
sembrava, invece, ispirare, a contrasto, quel pullulare di iniziative editoriali
e culturali in genere164. Molte di queste testate duravano, «come le rose, lo
spazio d’un mattino»165; Croce stesso, però, ammetteva che i giornali erano

[...] scritti in buona parte da letterati e filosofi e ideologi, che pensavano


di esercitare un’azione educativa. Quel che si è chiamato poi affarismo
giornalistico mancava, in quei primi anni, come, del resto, povera era la
professione del giornalista, e pochi coloro che vivessero unicamente di
essa ...166.

163
De Zerbi pubblicò con Sommaruga Il mio romanzo. Confessioni e documenti
(1884). Sul letterato e politico Rocco De Zerbi, negli ultimi anni si contano numerosi e
validi interventi. Cfr. L. STRAPPINI, Rocco de Zerbi, in Dizionario bibliografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1991, vol. 39, pp. 622-627; G. CIVILE, Rocco de
Zerbi. Ritratto di un uomo pubblico, in ID., I volti dell’élite. Classi dirigenti nell’Ottocento
meridionale, Napoli, Dante & Descartes, 2002, pp. 209-256; ID., Rocco de Zerbi e Napoli
nell’Italia postunitaria, Napoli, Dante e Descartes, 2005; B. MANFELLOTTO, Ritratto di Roc-
co de Zerbi giornalista, politico e narratore, in AA. VV., Giornalismo letterario a Napoli tra
Otto e Novecento, cit., pp. 353-384; M.C. CAFISSE, Motivi desanctisiani nella poetica di Roc-
co de Zerbi, in AA. VV., La civile letteratura. Studi sull’Ottocento e il Novecento offerti ad
Antonio Palermo, cit., I, pp. 193-217. Sulla vita del «Piccolo» che De Zerbi fondò nel 1868
e diresse fino al 1888, cfr. EAD., La critica letteraria sui quotidiani napoletani degli anni
Ottanta: “Il Piccolo” dal 1880 al 1884, in AA. VV., Letteratura e cultura a Napoli tra Otto e
Novecento, cit., pp. 269-282; EAD., La critica letteraria sul quotidiano napoletano “Il Picco-
lo” dal 1880 al 1884, in AA. VV., Giornalismo letterario a Napoli tra Otto e Novecento. cit.,
pp. 447-474; M. MOLA, La critica letteraria sul “Piccolo” di Rocco de Zerbi negli anni 1885-
89, in AA. VV., Letteratura e cultura a Napoli tra Otto e Novecento, cit., pp. 385-396, poi in
AA. VV., Giornalismo letterario a Napoli tra Otto e Novecento, cit., pp. 475-488; EAD., Di
alcune polemiche dibattute sul “Piccolo” di Rocco de Zerbi, ivi, pp. 423-446.
164
Anche Capuana, nella lettera-prefazione apparsa al noto volume di Gaetano
Miranda Napoli che muore, si trovava a manifestare sconcerto sulla Napoli degli anni Ot-
tanta, ex capitale scossa da gravi emergenze economiche e sociali. Cfr. L. CAPUANA, Prefa-
zione a G. MIRANDA, Napoli che muore ..., Napoli, E. Pietrocola, 1887, pp. XI-XII: «Che gran
tristezza in tutto il suo volume! E tutta questa miseria, tutto questo putridume sparirà?
Auguriamoci che sia presto. Io auguro a lei una seconda vittoria; che il suo volume contri-
buisca ad affrettare il così detto sventramento. La rappresentazione artistica, quando è così
pienamente raggiunta come nelle sue novelle, è più efficace della stessa realtà. E poi il
fondaco degli schiavi, i vicoli del Pendino, dello Scuddrufolo, del Molo Piccolo, anche molti
napoletani non li hanno mai visitati e non li visiteranno mai. Il suo volume glieli farà vede-
re, glieli imprimerà negli occhi e solleverà nei loro cuori una più viva e più forte protesta
contro tanto orrore sociale».
165
O. FAVA, Un cinquantennio di vita letteraria a Napoli, cit., p. 6.
166
B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, cit., pp. 294-295.
Pagliara in contesto 51

L’autore della Vita letteraria a Napoli nomina in proposito De


Zerbi e Cafiero, che furono due protagonisti della vita giornalistica napo-
letana di fine Ottocento. Non sempre, però, si trattava di luoghi aperti a
un dibattito culturale che potesse prescindere da orientamenti politici e
ideologici costituiti; Di Giacomo stesso avvertiva il giornalismo come un
mestiere tutt’altro che libero, talvolta anche come «servaggio»167, prefe-
rendo forse, alle redazioni, lo spazio di dibattito più ‘sereno’ offerto dai
salotti letterari o più ancora dai caffè168; questi ultimi frequentati da Di
Giacomo e Pica forse più ancora che da Pagliara. Sono molte infatti le
missive digiacomiane o pichiane che aggiornano il corrispondente sulle
riunioni al Caffè Gambrinus o alla Birreria Strasburgo; riunioni quasi quo-
tidiane ravvivate da schermaglie artistiche al confine col pettegolezzo ep-
pure forse tra le più sincere espressioni e testimonianze di un fermento di
pittori, poeti, drammaturgi, traduttori, storici che permettono di scrivere
uno dei capitoli più vivaci della storia artistica della città.
Sia pur con fini, strumenti e posizioni di metodo differenti, Roc-
co Pagliara, come Di Giacomo e Pica, era attivamente presente all’interno
di questo fervido scenario. Rimaneva, però, distante dalla cronaca, mai ve-
stendo i panni di giornalista di professione, come anche poco spazio dava,
nei suoi scritti, alla vita di Napoli e ai temi più scottanti del dibattito me-
ridionalista. Se si eccettua l’attenzione da lui prestata alla produzione

167
Cfr. la lettera a Paolo Vetri, maggio 1883, in S. DI GIACOMO, Scritti inediti e
rari, cit., p. 218. Cfr. anche la lettera a Giuseppe Mezzanotte, 11 gennaio 1896: «[...] secca-
to del proprietario del Corriere, sono uscito da quella redazione ordinaria. Riacquisto la
libertà – non mi piace di far più il giornalista che in questi momenti vuol dir servitore» (in
G. OLIVA, Giuseppe Mezzanotte ..., cit., p. 190). Forse le riflessioni più illuminanti l’autore
offre nella notissima Pagina autobiografica, apparsa per la prima volta su «L’Occhialetto»
nel 1886: «Nel giornalismo io sono non uno scrittore, ma uno scrivano. La mia fissazione è
questa, che Napoli è una città disgraziata, in mano di gente senza ingegno e senza cuore e
senza iniziativa. Tutto procede irregolarmente, abbandonato ai peggiori. Qualche giornale
scorna pubblicamente gli amministratori e costoro, tacendo, confessano. Ma il giornale, di-
sgraziatamente, non è mai la verità! In quanto a quello che io scrivo ‘per me’, voi potete
trovarlo ne’ miei libri. L’ ‘io’ ho cercato di sempre accamparvelo: esso vibra per nevrotica
necessità in tutte le cose mie, e, per quanto io m’adopero a tenerlo a bada, quello riesce in
mezzo, come si dice, pel rotto della cuffia» (S. DI GIACOMO, Pagina autobiografica, ora in
ID., Poesie e prose, a cura di E. Croce e L. Orsini, Milano, Mondadori, 1977, p. 50, da cui
si cita). Cfr. infra.
168
Sui salotti e sui caffè letterari napoletani, si vedano, tra gli altri, M. ROCCO DI
TORREPADULA, Salotti letterari napoletani, in AA. VV., Ottant’anni di Napoli. Manifestazione
celebrativa degli 80 anni del Circolo Artistico Politecnico 1888-1968, Napoli, Circolo Arti-
stico Politecnico, 1968, pp. 175-177; O. FAVA, Un cinquantennio di vita letteraria a Napoli,
cit.; E. SCALERA, I caffè napoletani, con introd. di A. Consiglio, Napoli, Berisio, 1968; E.
FALQUI, Caffè letterari, 2 voll., Roma, Canesi, 1962.
52 La seduzione dell’arte

musicale partenopea o l’impegno nelle «traduzioni ritmiche» dal vernacolo


di molte canzoni169, Pagliara sembrerebbe poco attento alle espressioni
artistiche dei suoi concittadini, come anche poco sensibile alla vitalità del-
la città e dei suoi sofferenti abitanti. Molto impegno, però, profuse nel
progetto di promozione e mediazione culturale, quasi a rispondere ideal-
mente al progetto di ‘internazionalizzazione’ della cultura che De Sanctis
prefigurava quando nel 1876 inaugurava il Circolo Filologico Napoleta-
no170. Circolo dal quale, però, Pagliara, si tenne distante nonostante i ripe-
tuti inviti di Pica. E questa assenza è solo in parte ascrivibile alla soprag-
giunta esclusione di Pica171 dal Direttivo del Filologico, come attesta il
carteggio qui pubblicato172. Forse questa mancata partecipazione va ricon-
dotta a una posizione di parziale ‘distacco’ assunta da Pagliara, e testimo-
niata anche dalle missive di Pica, così ricche di dettagliati racconti sulle
vicende culturali partenopee, quasi a informare un corrispondente che
sembrerebbe vivere in un’altra città, o comunque attestarsi in una posizio-
ne di riserbo.
Vero è anche, però, che il Circolo napoletano, come anche l’atti-
vità giornalistica, si aprivano agli influssi dei grandi movimenti europei, in

169
Cfr. supra e infra.
170
Cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce ed il Circolo Filologico di Napoli, cit., pp.
13-77; E. e A. CROCE, De Sanctis, Torino, UTET 1969, p. 537 ss; S. LANDUCCI, De Sanctis la
scienza e la cultura positivistica, in AA. VV., Francesco De Sanctis nella storia della cultura,
a cura di C. Muscetta, s voll., Bari-Roma, Laterza, vol. I, pp. 185-235; ID., L’occhio e la
mente. Scienza e filosofia nell’Italia del secondo Ottocento, Firenze, Olschki 1987; B. CROCE,
Annuario del Circolo Filologico. Francesco De Sanctis pel 1894-1895, Napoli, Tocco 1896;
ID., Ricerche e documenti desanctisiani, in Atti dell’Accademia Pontaniana, vol. XLVII, serie
II, vol. XXII, Napoli, Giannini, pp. 1-20; F. FIORENTINO, Commemorazione di Francesco De
Sanctis, in AA. VV., In memoria di Francesco De Sanctis, a cura di M. Mandalari, Napoli,
Morano, 1884, pp. 153-168.
171
Data anche la distanza anagrafica che separava Pica da De Sanctis, il giovane
critico ‘europeo’ entrò al Filologico solo dopo la morte del suo fondatore. In particolare,
partecipò al fitto programma, redatto dal nuovo direttore Ruggiero Bonghi e dal vecchio
vice direttore Federigo Persico, per il biennio 1892-93. Il 3 aprile 1892 Pica tenne la citata
e notissima conferenza dal titolo Arte aristocratica, proprio nell’anno in cui al Filologico
cominciò a partecipare il futuro direttore Benedetto Croce (ora in Arte aristocratica, pp.
243-270). Nel 1894, quando ormai Croce affiancava – e quasi sostituiva – nella direzione
del Circolo Bonghi, Pica e molti degli intellettuali della «Accademia dei nove musi» furono
invitati come conferenzieri. È del 4 marzo 1894 la Conferenza pichiana L’Arte dell’Estremo
Oriente, riportata in «Fortunio», a. VII, n. 10, 9 marzo 1894 e, con il diverso titolo L’Arte e
la poesia nel Giappone, in «L’Occhialetto», a. XXII, n. 7, 10 marzo 1894. Il testo integrale
apparve in volume, Torino-Roma, Roux & C., 1894. Cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce e il
Circolo Filologico di Napoli..., cit., p. 227 ss.
172
Per queste vicende del Filologico cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce e il Circo-
lo Filologico di Napoli..., cit., p. 237 ss. Il carteggio qui presentato testimonia quanto Pica
abbia insistito per una presenza di Pagliara al Filologico. Cfr. infra, l’epistolario.
Pagliara in contesto 53

un’azione di ‘sprovincializzazione’ della città alla quale Pagliara stesso può


dirsi avere contribuito almeno con le sue numerose traduzioni e i suoi ar-
ticoli di critica musicale.
La sua carriera giornalistica prese inizio con la «Rivista nuova di
Scienze, Lettere ed Arti», la «lieta, balda e simpatica unione d’ingegni»173
fondata e diretta a Napoli, tra il 1879 e il 1881, dal letterato-avvocato
avellinese, Carlo Del Balzo174, già sodale di Pagliara e di Di Giacomo stes-
so grazie alla precedente collaborazione alla redazione del «Corriere del
Mattino». Anche Del Balzo, infatti, partecipò a quella «Parte letteraria»
che il quotidiano di Martino Cafiero inaugurò nel luglio del 1877 grazie
alle cure di Federigo Verdinois175, poi collaboratore anche della «Rivista
nuova»176.
E fu proprio a Pagliara, affiancato da Verdinois, che Del Balzo
affidò la direzione del suo travagliato quindicinale in occasione di uno
dei suoi frequenti soggiorni a Parigi, nel 1881. Era la testimonianza di
un rapporto di stima e amicizia che trova espressione anche nel carteg-
gio Del Balzo-Pagliara e nel romanzo delbalziano Sorelle Damala, che
contiene ampi riferimenti al cenacolo del Conservatorio napoletano e al
suo bibliotecario177.
Mentre nello stesso periodo inviava articoli anche alla rivista «Li-
bellula» grazie alla mediazione di Pica178, nella «Rivista nuova» di Del

173
V. DELLA SALA, Ottocentisti meridionali, Napoli, Guida, 1935, p. 108.
174
Sulla vita della rivista cfr. M. CIMINI, La rivista nuova di scienze, lettere ed arti
(1879-1881), Roma, Bulzoni, 1997. Cfr. anche la parte I del volume P. VILLANI, Carlo Del
Balzo tra letteratura e politica. Contributi al dibattito sul realismo, Napoli, ESI, 2001.
175
Al «Corriere del Mattino» Carlo Del Balzo teneva una rubrica, «Dal mio zi-
baldone di viaggio», che conta articoli tra febbraio e aprile 1879 (precisamente 20 febbraio,
Torino. La sala del Parlamento nel Palazzo Carignano; 13 marzo, Milano. Il Duomo e piaz-
za Duomo; 11 aprile, Venezia. Piazza S. Marco).
176
Sulla «Rivista nuova» di Del Balzo Verdinois pubblicò quasi tutti i capitoli che
poi avrebbero costituito il volume Profili letterari Napoletani (Napoli, Morano, 1881). Si
tratta di ventidue «profili» apparsi nella seconda annata della rivista, nel 1880.
177
Cfr. Sorelle Damala, Milano, Galli, 1887. Si tratta del primo romanzo dell’am-
pia architettura del ciclo dei «Deviati» che impegnò Del Balzo per più decenni e che conta
dieci romanzi, editi tra il 1887 e il 1906. Sul tema cfr. il capitolo Lo scrittore in P. VILLANI,
Carlo Del Balzo tra letteratura e politica, cit. Del carteggio Pagliara-Del Balzo rimangono
nove lettere inviate da Pagliara, conservate presso il Fondo Del Balzo della Biblioteca pro-
vinciale di Avellino, ora edite in M. DELLA SALA, Lettere inedite di R.E. Pagliara a C. Del
Balzo e la direzione della «Rivista nuova di scienze, lettere ed arti», in «Riscontri», a. IX
(1987), n. 3, pp. 104-114.
178
Cfr. R. PAGLIARA, La XVII Esposizione della Società Promotrice di Napoli, in
«Libellula», a. IV, n. 10, 15 maggio 1881. Sulla rivista e sulla collaborazione attiva di Pica cfr.
infra, nel carteggio.
54 La seduzione dell’arte

Balzo Pagliara aveva un ruolo di traduttore, ma anche di poeta e critico179,


aderendo così al programma del fondatore Del Balzo. La «Rivista nuova»
nasceva infatti proprio con l’intento di «sprovincializzare Napoli», seguiva
le orme già tracciate dal maestro De Sanctis col «Circolo Filologico», vo-
leva insomma fare conoscere Napoli in Italia e in Europa180. Sul quindici-
nale, quindi, che fu letto anche all’estero grazie a due valenti amici di Del
Balzo, Jules Lermina e Max Nordau, Pagliara pubblicò alcune poesie e
alcune traduzioni dal francese, Coppée, Daudet, Gautier, ma anche Ner-
val o Sully Prudhomme, dimostrando dimestichezza con quella cultura
d’oltralpe che si faceva strada anche nella roccaforte dell’hegelismo. Del
Balzo stesso voleva «creare in Napoli un giornale letterario, che non si sia
fermato alle colonne d’Ercole del vecchio reame»181, cercando di garantire
alla sua creatura editoriale un saggio eclettismo, tra le diverse tendenze
ideologiche e culturali.
Da un lato, quindi, la rivista si proponeva come veicolo della cul-
tura d’oltralpe182, dall’altro mostrava fedeltà a un programma più conser-
vatore, si direbbe nazionalistico, dal quale De Sanctis stesso non era com-
pletamente distante. Pagliara si collocava forse nel primo ideale panora-
ma, in quella ‘esterofilia’ che lo accostava, per esempio, al collega tradut-
tore Domenico Ciampoli e allo stesso Verdinois. Della cultura francese si
dimostrava attento conoscitore ed estimatore, nelle sue diverse tendenze,
dal realismo e naturalismo fino alle suggestioni decadenti ed estetizzanti,

179
Sulla «Rivista nuova» Pagliara firma ben tredici interventi: A Voltaire- tradu-
zione da Du Champ, a. II (1880), p. 36; Il vaso spezzato – traduzione da Sully Prudhomme,
a. II (1880), p. 36; Canzone d’esilio – traduzione da Coppée, a. II (1880), p. 37; [Qualche
volta] – traduzione da Daudet, a. II (1880), p. 299; Letrille. Lontananza – Le farfalle – tra-
duzioni da Gautier, a. II (1880), p. 299; I due seminatori – traduzione da Martin, a. II
(1880), p. 301; La danza delle foglie – traduzione da Juillerat, a. II (1880), p. 391; La sosta
– traduzione da Nerval, a. II (1880), p. 589; Ecloga fosca – traduzione da Bouilhet, a. II
(1880), p. 589; Alla fossa! Poesia, a. III (1881), p. 364; Mente malata! Poesia, a. II (1881), p.
500; In riva al mare! Poesia, a. III (1881), p. 565; Una lagrima – traduzione da Sully Pru-
dhomme, a. III (1881), p. 684.
180
Sui rapporti tra De Sanctis, il «Circolo Filologico» e Del Balzo della «Rivista
nuova» cfr. P. VILLANI, Carlo Del Balzo tra letteratura e politica, cit., pp. 83-103.
181
La Direzione [C. Del Balzo], Cicero pro domo sua, in «Rivista nuova», a. II
(1880), p. 2.
182
Per un quadro generale sulla presenza della letteratura francese all’interno
della stampa periodica italiana cfr. A.C. FAITROP PORTA, La letteratura francese nella stampa
romana (1880-1890), Napoli, ESI, 1992; EAD., Parigi vista dagli italiani. 1850-1914, Torino,
Cirvi, 1995; P. FALCIOLA, La Littérature française dans la presse vériste italienne, Firenze,
Sansoni, 1977. Per uno studio focalizzato sulla stampa napoletana, invece, si veda il recente
N. RUGGIERO, La civiltà dei traduttori..., cit.
Pagliara in contesto 55

accostandosi a Pica, più che a Del Balzo o Di Giacomo183, in una sensibi-


lità che costò a Pica la «ben meritata fama di cattiva lingua» libera da re-
more conservatoristiche o moralistiche, all’interno del gruppo di intellet-
tuali gravitanti intorno alla Libreria Pierro184.
D’altronde, fu proprio Pagliara a proporre alla redazione della
«Rivista nuova» il contributo di un allora poco conosciuto critico, Vittorio
Pica185. Da quella presentazione nacque l’ormai notissimo saggio goncour-
tiano di Pica, decisivo contributo alla penetrazione del naturalismo in
ambiente partenopeo186. Sempre grazie alla mediazione di Pagliara l’arti-
colo apparve anche sul «Fanfulla della domenica» l’anno successivo, valse
all’autore il premio per il miglior saggio critico al concorso bandito dalla
stessa rivista, e comunque segnò, grazie alla più prestigiosa rivista (ben
più nota di quella di Del Balzo), la decisiva affermazione del suo giovane
autore all’interno dello scenario nazionale187.
In quegli anni fecondi, dunque, prendeva forza in Pagliara la vo-
cazione giornalistica; vocazione che, dalla «Rivista nuova» al «Fortunio»188,

183
Su Pica decadente e simbolista, oltre alla citata bibliografia, cfr. O. RAGUSA,
Vittorio Pica first champion of French symbolism in Italy, in Mallarmé in Italy, New York,
Vanni, 1957, pp. 255-261; ID., Ancora sui rapporti fra Mallarmé e V. Pica, in «Studi france-
si», a. VI, 1962, pp. 94-95; A. ROUVEYRE, Vittorio Pica et la littèrature française, in «Mercure
de France», t. CCXXI, 1 août 1930; L. DE NARDIS, Mallarmé bizantino, in L’ironia di Mallar-
mé, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1962, pp. 205-288; ID., Prospettive critiche per uno studio
su V. Pica e il decadentismo francese, in «Rivista di letterature moderne e comparate», a.
XIX, 1966, pp. 203-209.
184
La libreria Pierro, in Strenna della Libreria Pierro pel 1891, Napoli, Pierro,
1890, p. 4.
185
Cfr. V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 5 settembre 1881, XXV.
186
Si fa riferimento al noto saggio Profili letterari francesi. Edmondo e Giulio
de Goncourt (in «Rivista nuova», a. III, n. 16, agosto 1881, fasc. XVI, pp. 481-492, poi in
“Arte aristocratica”, pp. 89-102). Sulla gestazione del saggio, e sulle polemiche che ne
nacquero, si veda infra.
187
Cfr. V. PICA, Edmondo e Giulio de Goncourt, in «Fanfulla della domenica», IV,
45, 5 novembre 1882. Sul concorso e sui lavori della commissione giudicatrice, composta da
Ruggiero Bonghi, Enrico Nencioni, Luigi Moranti e Francesco Torraca, cfr. il saggio di E.
CITRO in Letteratura d’eccezione, cit., p. 143; N. D’ANTUONO, La chimera e la sfinge nel des
Esseintes italiano, in Vittorio Pica, p. 14. Sul ruolo di mediatore assunto da Pica cfr. le let-
tere di Pica del 25 e del 31 agosto 1882, XXIX e XXX.
188
Per gli articoli di Pagliara apparsi sul «Fortunio» cfr. supra. Sia pure senza
espliciti riferimenti all’interno del carteggio riportato in questo volume, al «Fortunio» colla-
borò anche Pica. Cfr. V. PICA, Due poemetti di Mallarmé [traduzione], a. I, n. 18, 16 dicem-
bre 1888; ID., Dai “Poemucci in prosa” di St. Mallarmé. Il piccolo saltimbanco, La pipa,
Brividi invernali [traduzioni], a. III, n. 27, 13 luglio 1890; ID., La galleria del Fortunio.
Federigo De Roberto, a. IV, n. 4, 29 gennaio 1891; ID., Cronache parigine. Poil et Plume, a.
IV, n. 22, 22 maggio 1891; ID., Per umbram (dal portoghese di Eugenio De Castro), a. IX, n.
5, 10 febbraio 1896; ID., Kinné (dal francese di Marcel Schwob), a. X, n. 24, ‘numero spe-
56 La seduzione dell’arte

passando per la feconda stagione di «Fantasio», lo avrebbe accompagnato


per anni, attraverso «Cronaca Sibarita», «Napoli Letteraria»189, «Gazzetta
Letteraria»190, fino all’ingresso nella redazione del «Mattino», in qualità di
critico musicale. Nel numero del 29-30 gennaio 1893, infatti, sulla testata
della travolgente coppia Scarfoglio-Serao, Bracco (Baby) scriveva: «Io non
sono più il critico di musica: la parola all’amico Rocco Pagliara». In realtà,
i due amici avrebbero continuato ad occuparsi, insieme, della rubrica «La
serata del ‘Mattino’», dimostrando saldo sodalizio191.
Sulla testata di Serao e Scarfoglio, Pagliara, ormai direttore della
biblioteca del Conservatorio, aveva tutti i numeri per occuparsi di critica
musicale. Alcune uscite di febbraio 1893, per esempio, furono dedicate
interamente al capolavoro del Falstaff, andato in scena al Teatro Alla Sca-
la. A Pagliara fu affidato il commento dell’opera192, che mai offuscava i

ciale’ per Piedigrotta, 1897. Sulla stessa testata «Fortunio», inoltre, apparve la parte finale
della Conferenza letta da Pica al Circolo Filologico, il 4 marzo 1894 (ID., L’arte nell’Estre-
mo Oriente, a. VII, n. 10, 9 marzo 1894) e un saggio su Croce (ID., La Critica Letteraria, a.
VIII, n. 4, 2 febbraio 1895).
189
Per questa rivista Pagliara si occupava di critica musicale o pubblicava versi.
Cfr. R. PAGLIARA, Sinfonie, in «Napoli Letteraria», a. III, n. 18, 2 maggio 1886, pp. 3-4. Nella
stessa rivista Pagliara firmò anche due sonetti dialettali, ’Nu consiglio! E So’ scemo! (a. III,
n. 9, 28 febbraio 1886) e Wagneriana. A Pablo de Hilos (a. III, n. 27, 4 luglio 1886, p. 2 e
n. 28, 11 luglio 1886, pp. 1-2). Sulla collaborazione di Pica e Pagliara a questa rivista si veda
anche infra, nel carteggio.
190
Alla «Gazzetta Letteraria» Pagliara collaborò proprio negli anni in cui vi lavo-
rava attivamente, come francesista, Vittorio Pica. Firmò, infatti, cinque articoli. Oltre ai ci-
tati articoli o liriche dedicati a Wagner, confluiti poi in Intermezzi musicali, sulla rivista
torinese compare, a firma di Pagliara, un articolo dedicato a Giuseppe Martucci (ID., Un
concerto in “si bemolle minore” di Giuseppe Martucci, in «Gazzetta Letteraria», a. X., n. 12,
20 marzo 1886, pp. 91-92, poi in Intermezzi musicali, cit., pp. 103-124) e altre tre liriche
che sarebbero poi confluite nel volume Riflessi nordici (cit.): Riflessi nordici: In un paese...;
In alto!; In vetta a un pino..., a. XII, n. 19, 12 maggio 1888, p. 149; un sonetto (ID., Mirag-
gio!, a. X, n. 49, 4 dicembre 1886, p. 396). Quest’ultimo sonetto è collocato nella stessa
pagina di uno dei lunghissimi articoli di Pica sui ‘moderni bizantini’. Cfr. V. PICA, I moderni
bizantini. Stéphane Mallarmé, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 49, 4 dicembre 1886, pp.
393-396. Si trattava della terza parte del suo noto saggio sul poeta francese (le prime due
parti, con lo stesso titolo, apparvero rispettivamente in a. X, n. 47, 20 novembre 1886, pp.
377-379; a. X, n. 48, 27 novembre 1886, pp. 387-390). In «Gazzetta Letteraria», inoltre, ap-
parve anche un profilo di Pagliara. Cfr. M. SINISCALCHI, Rocco Eduardo Pagliara, cit.
191
Pagliara, inoltre, compare tra i collaboratori del supplemento domenicale cu-
rato tra il 1894 e il 1895 da Matilde Serao, dove firmò versi e traduzioni. Vi pubblicò infatti
una traduzione da Mendés, Consiglio (in «Mattino-supplemento», a. II, n. 20, 2 giugno 1895,
p. 1), e alcune poesie per musica tratte dalla raccolta Chi chiagne e chi ride (Sì!..., Me faie
murì! e Suonno! Imitazione, in «Mattino-supplemento», a. II, n. 32, 1 settembre 1895, p. 2).
192
Cfr. R. PAGLIARA, L’opera, in «il Mattino», 10-11 febbraio 1893; e si vedano
anche la serie di articoli Falstaff, apparsi sempre sul «Mattino» rispettivamente il 12-13, 15-
Pagliara in contesto 57

personali interessi del critico per la musica tedesca. E in occasione di


Lohengrin, il direttore bibliotecario firmò due lunghi articoli, uno dei
quali apparso in prima pagina193. A Bracco, il brillante cronista, «giovinot-
to leggiadro, coi goletti scintillanti»194, rimaneva in esclusiva il ruolo di
critico teatrale, come anche di drammaturgo. Un ruolo, quest’ultimo, che
Pagliara era tra i primi a tributargli. Si pensi, per esempio, alla piéce Una
donna, e alla recensione di Pagliara che val la pena di riportare, come
prova più che di talento critico, almeno di schietta amicizia:

Caro Roberto [...] il pubblico del Fiorentini, iersera, ha giudicato la tua


commedia, direttamente, spassionatamente, con la serietà e la sincerità
che meritano: veri e forti lavori d’arte. Tu sapevi che qualche frase, qual-
che battuta – come voi altri critici drammatici dite rubando la parola al
mestiere altrui – avrebbe fatto arricciare il naso agli schifiltosi, per la sua
crudezza o per il suo realismo ardito; ed il naso alcuni lo hanno infatti
arricciato. Tu prevedevi anche qualche scatto ribelle qua e là; e lo scatto
ribelle anche si è tentato, ma ristretto ad una minoranza, più o meno
larga, sopraffatta dall’irrompere impetuoso degli applausi della maggio-
ranza del pubblico: e bada che parlo del pubblico e non degli amici. [...]
Molti non credono alle tue affermazioni che siano delle scenette; ed
hanno ragione di diffidare che quella di iersera sia proprio la tua prima
commedia sul serio che sia proprio opera di autore drammatico che fa la
sua prima prova d’armi!195.

16, 17-18 e 18-19 febbraio dello stesso anno. Proprio nel capolavoro verdiano Pagliara rin-
veniva un «fulgore nordico» wagneriano, richiamava in particolare I Maestri cantori e ap-
prezzava il fatto che il «gran Maestro» di Falstaff avesse voluto, a ragione, «non chiuder gli
occhi alla grande luce nordica» (ID., Falstaff, in «il Mattino», 17-18 febbraio 1893).
193
Cfr. R. PAGLIARA, Lohengrin, in «il Mattino», 1-2 marzo 1893. La continuazio-
ne dell’articolo, il giorno seguente, fu inserita all’interno della rubrica «La serata del ‘Mat-
tino’» (ivi, 2-3 marzo 1893). Nel num. del 6-7 marzo il giornale ospitò un altro intervento
sul capolavoro wagneriano, La serata del ‘Mattino’ al San Carlo, stavolta però l’articolo, la
cui paternità è probabilmente di Pagliara, appare senza firma. Su Pagliara ammiratore di
Wagner cfr. supra.
194
La definizione è di Matilde Serao. Cfr. M. SERAO, I napoletani del 1886, in
«Corriere di Roma illustrato», a. II, 1 ottobre 1886.
195
R. PAGLIARA, La serata del ‘Mattino’. Una donna di Roberto Bracco, in «il
Mattino», 6-7 giugno 1893. L’opera cui si fa riferimento è appunto Una donna, che sareb-
be stata recensita anche da Boutet, con un intervento che Bracco pubblica sullo stesso
giornale qualche giorno dopo, 10-11 giugno 1893. Cfr. anche la recensione anonima in
«Corriere di Napoli», a. XXII, 1-2 luglio 1893, p. 2. Nella sua recensione Pagliara la defini-
va «commedia» ma era annoverata tra i ‘drammi’, stando anche alla definizione che appa-
re nella pubblicazione in volume (in R. BRACCO, Teatro. I, Milano, Sandron, 1905). Nella
Nota dell’Editore premessa al volume, inoltre, Remo Sandron rivela che la rappresentazio-
ne dell’opera si deve a Valentino Gervasi. Per Roberto Bracco cfr. infra, nei due carteggi
che seguono.
58 La seduzione dell’arte

Fu, inoltre, per intercessione di Pagliara, già legato alla famiglia


Del Balzo, che la testata di Serao e Scarfoglio ospitò una lunga lode del-
l’Istituto Suor Orsola Benincasa196.
«Voilà Fantasio qui arrive»: fu nei primissimi anni Ottanta che
nacque l’idea di «Fantasio», che Pagliara fondò insieme a Di Giacomo e
Pica, e intorno al quale verte gran parte dell’epistolario qui pubblicato.
L’idea del quindicinale artistico nacque nel cenacolo culturale del «Corrie-
re del Mattino». Il «Fantasio», infatti, si proponeva come completamento
della piccola rivoluzione culturale inaugurata sulla testata di Cafiero,
quando il direttore aveva dato vita ad una sorta di incunabolo della futura
‘terza pagina’197, una specifica ‘parte letteraria’, inaugurata il 4 marzo
1877198 come ‘supplemento’ per poi diventare, il 15 luglio dello stesso

196
Cfr. G. SOREL, La vita napoletana a Suor Orsola Benincasa, in «il Mattino»,
17-18 maggio 1893: «Mentre i sognatori guardano le nuvole e i poeti s’innamorano delle
stelle, [...] quanta gente che traduce in realtà i sogni, che trasforma l’ardore dell’affetto in
operosità efficace, che vede la sofferenza e tenta di mitigarla [...]. Chi conosce le istituzioni
napoletane, chi se ne occupa con curiosità e con amore, sa bene che io intendo parlare di
quella scuola modello che, da due anni, è sorta, nuova, rigogliosa e salda, sulle rovine e sul
disfacimento della vecchia scuola Suor Orsola Benincasa. [...] Ma sono bastati questi due
anni, a persone di cuore e di talento per realizzare, man mano tutto un ideale serio, auste-
ro, e pur tenero di scuola dove tutte le fanciulle, sia che vogliano essere semplici madri di
famiglia, o perfette educatrici, trovino non solo l’istruzione più ampiamente e misuratamen-
te elargita, con maggiore saviezza distribuita con maggiore senso pratico limitata, ma una
educazione assolutamente materna».
197
Il primo profilo di Cafiero è offerto da Roberto Bracco ed è dedicato proprio
a Vittorio Pica (R. BRACCO, Martino Cafiero, lettera a Vittorio Pica, in «Cronaca Sibarita», a.
I [1884], n. 4). Stando a Vincenzo Della Sala (Ottocentisti meridionali, cit., p. 107), «[Cafie-
ro] trasportò la letteratura nel Corriere del mattino ed ebbe agio di far affermare quattro o
cinque ingegni, che, probabilmente, senza quell’occasione e quella spinta, o non si sarebbe-
ro punto, o molto tardi, manifestati». Su Martino Cafiero e sulla sua attività al «Corriere del
Mattino» cfr. anche R. MELIS, Narrativa popolare/rusticana e modello verghiano nei periodi-
ci napoletani di fine ’800: tra il “Corriere del Mattino” e “Fantasio”, in AA. VV., I verismi
regionali, Atti del Convegno Internazionale di Studi – Catania 27-29 aprile 1992, Catania,
Biblioteca della Fondazione Verga, 1996, pp. 465-530.
198
Alcuni giorni prima, il 20 febbraio 1877, la redazione aveva annunciato: «Il
formato del nostro giornale non è certamente piccolo, eppure non basta ad esaurire com-
pletamente il nostro programma; [...] non potendo altrimenti, pensammo d’imitare il Figaro
di Parigi, la Gazzetta piemontese di Torino, il giornale così egregiamente diretto dall’illustre
Bersezio, pubblicando ogni domenica due giornali, uno dei quali fosse interamente consa-
crato alla letteratura, alle scienze, alle arti. [...] Con la pubblicazione del supplemento della
domenica, il giornale non perderà però la sua varietà, imperciocché continuerà a contenere
sempre le medesime rubriche. Per la parte letteraria seguiteremo a pubblicare le nostre
riviste letterarie, le quali saranno quattro in ogni mese, cioè della letteratura inglese, fran-
cese, tedesca e americana». Sulla vita della rivista cfr. R. MELIS, Narrativa popolare/rustica-
na..., cit., alle pp. 468-495.
Pagliara in contesto 59

anno, «Parte letteraria» quotidiana199. Il settore era stato affidato alle cure
di Federigo Verdinois200, strenuo difensore del giornalismo letterario me-
ridionale, il quale aprì la redazione a giovani di talento come Salvatore Di
Giacomo, Roberto Bracco, Giuseppe Mezzanotte, Onorato Fava, Matilde
Serao. Fu proprio il «Corriere del Mattino» ad annunciare l’imminente
pubblicazione di «Fantasio»201, tenuto a battesimo il 10 agosto 1881. I gio-
vanissimi redattori erano Giovanni D’Aloe, Onorato Fava, Rocco Pagliara,
Francesco Stendardo, Roberto Federico Savarese e naturalmente Salvato-
re Di Giacomo e Vittorio Pica. Dall’aprile dell’82 il gruppo si fece meno
numeroso, come pure diminuì la frequenza delle pubblicazioni; rimasero
però come redattori proprio Di Giacomo, Pica, Stendardo e naturalmente
Pagliara fino all’ultimo numero, nel 24 maggio 1883202. Erano quindi evi-
denti anche al pubblico alcuni dissidi all’interno della redazione, testimo-

199
Il 12 luglio 1877 la redazione del «Corriere del Mattino» diede l’annuncio:
«[...] abbiamo pensato che il pubblico, sfatato pe’ frequenti disinganni nella vita pubblica,
ami di trovare occasione di scacciare la musoneria, leggendo scritti di amena letteratura.
[...] Noi non intendiamo di sostituire alla noia politica la noia scolastica, ma alla noia lo
svago; e quindi non faremo dottrinarismo, non dispute scientifiche. Articoli gai, scapestre-
rie, varietà, novelle, causeries, bozzetti, romanzi, cronaca, come suol dirsi, palpitanti di
emozione [...]».
200
Cfr. A. PALERMO, Napoli tra libri e giornali, in AA. VV., Storia, arte e cultura
della Campania, Milano, Teti Editore, 1976, pp. 315-331. Su Verdinois letterato e giornali-
sta cfr. L. MONTELLA, Sui “racconti inverisimili” di Federigo Verdinois, in AA. VV., Letteratu-
ra e cultura a Napoli tra Otto e Novecento, cit., pp. 397-405; A. PALERMO, Il vero, il reale e
l’ideale. Indagini napoletane fra Otto e Novecento, Napoli, Liguori, 1995, pp. 88-91; ID., Da
Mastriani a Viviani, Napoli, Liguori, 19872, pp. 63-65; C. DE CAPRIO, Federigo Verdinois
scrittore moderato, in «Esperienze Letterarie», V (1980), 3, pp. 75-97; B. CROCE, Federigo
Verdinois, in La letteratura della nuova Italia, cit., vol. V, pp. 162-172; R. BRACCO, Ma chi
era cotesto Verdinois?, in Nell’arte e nella vita, Lanciano, Carabba, 1941, pp. 6-12.
201
Recitava infatti il redazionale («Corriere del Mattino», 7 agosto 1881: «Annun-
ziamo la prossima pubblicazione d’un nuovo giornale bimensile intitolato Fantasio. Questo
giornale in cui collaborano egregi scrittori e bravissimi giovani napoletani ha vita propria e
autonoma; tuttavia è fatto sotto gli auspici del Corriere del Mattino. E però il Corriere del
Mattino grato alla crescente simpatia de’ suoi abbonati ha deciso di offrir loro in dono il
Fantasio». Dal primo numero all’ottavo, l’uscita del quindicinale era sempre annunciata sul
quotidiano.
202
L’ultimo numero della rivista conservata presso il Conservatorio di Napoli è
datato 20 maggio 1883. Una copia dello stesso numero, però, conservata presso la Bibliote-
ca Nazionale di Firenze, reca la data del 24 maggio. Cfr. R. MELIS, Narrativa popolare/rusti-
cana e modello verghiano nei periodici napoletani di fine ‘800..., cit.; F. SCHLITZER, Salvato-
re Di Giacomo. Ricerche e note bibliografiche, a cura di G. Doria e C. Ricottini, Firenze,
Sansoni, 1966, p. 36; P. PIRONTI, Salvatore Di Giacomo editore, Napoli, Pironti, 1982, p. 17.
Sulla vita del «Fantasio», oltre al citato saggio di Melis, cfr. S. MINICHINI, “Fantasio” e gli
esordi giornalistici digiacomiani, cit.; D. TROTTA, Di Giacomo e la palestra critica del “Fan-
tasio”, cit., pp. 473-490.
60 La seduzione dell’arte

niati d’altronde da uno sfogo di Pica a tal fine indicativo: la missiva del 31
agosto 1882, quando Pica aveva già rassegnato, per poi ritirarle, le dimis-
sioni dalla redazione del periodico. Pica lamentava una redazione di
«grandi innovatori e sapienti dittatori!».
Non è un caso che la presentazione del primo numero fu affidata
proprio a Rocco De Zerbi, allora già noto per la direzione del «Picco-
lo»203, che pure tanta parte ebbe come fucina di giovani talenti letterari.
Proprio De Zerbi, da «vieux garçon della letteratura», presentava quel
gruppo di redattori dalle grandi promesse, «veri giovani, che entrano nella
vita pieni di quelle illusioni e di quelle speranze ch’egli ha già perdute, –
i veri giovani che probabilmente vorranno essere più saggi di lui...»204.
Tra i «veri giovani», «pieni di illusioni» era anche – non seconda-
rio – Rocco Pagliara, che sulla testata firmava articoli di letteratura ed al-
cune poesie205 e soprattutto i citati ‘pezzi’ di cultura musicale, dando spa-
zio e voce al suo sincero wagnerismo. In particolare, prendeva parte attiva
alla ‘regia’ del periodico, insieme all’instancabile Di Giacomo e natural-
mente al ‘francofilo’ Pica.
Tra i diversi narratori di «Fantasio», però (Fava, Stendardo, Mez-
zanotte, Miranda, Petitti, Savarese, Serao, Pica...) il più assiduo era pro-
prio Di Giacomo, che inviava alcune novelle206, due sonetti in vernaco-
lo207, non meno rilevanti di altri scritti critico-polemici e recensioni208. Il

203
Cfr. supra.
204
R. DE ZERBI, Ai lettori, in «Fantasio», a. I, n. 1, 10 agosto 1881, p. 1.
205
La firma di Pagliara compare sin dal primo numero della rivista. Cfr. R. PAGLIA-
RA, Ad un fiore trovato per via, in «Fantasio», a. I (1881), 1, 10 agosto, pp. 2-3; ID., L’imi-
tazione dall’italiano in Pietro Ronsard, a. I (1881), 4, 25 settembre, p. 1; ID., Rigido marzo!...,
a. I (1881), 9, 10 dicembre, p. 2; ID., A Voltaire da M. du Champ, a. II (1882), 3, 10 febbraio,
p. 2; ID., I Concerti orchestrali diretti da G. Martucci, a. II (1882), 6, 20 aprile, pp. 1-2; ID.,
Tu dici..., a. III (1883), 3, 10 febbraio; Wagner, a. III (1883), n. 4, 15 marzo, p. 1; ID., Il
concerto Wagner alla Società del Quartetto, a. III (1883), n. 5, 20 aprile, p. 1.
206
Si tratta di: Storia di quattro soldi, in «Fantasio», I (1881), n. 1, 10 agosto, pp.
3-4; Acquarello, a. I (1881), n. 3, 10 settembre, p. 2; Angela, rispettivam. a. I (1881), n. 7,
10 novembre, p. 2; a. II (1882), n. 2, 25 gennaio, pp. 3-4; a. II (1882), n. 10, 15 luglio, pp.
3-4; Paola, a. II (1882), n. 14, 10 ottobre, pp. 3-4. Su queste composizioni si è già sofferma-
ta D. TROTTA, Di Giacomo e la palestra critica del “Fantasio”, cit.
207
Si tratta dei versi: 2 de novembre [in «Fantasio», a. II (1882), n. 15, 15 novem-
bre, p. 4] e Nzurato [in «Fantasio», a. III (1883), 15 marzo, p. 3] che confluirono poi nel
volumetto di Sonetti, Napoli, Tocco, 1884.
208
Tra questi scritti c’è una recensione alle Memorie di un ebete di Giordano Zoc-
chi (in «Fantasio», a. I [1881], n. 4, 25 settembre, p. 3); e un articolo polemico (Cicero pro
etc., «Fantasio», a. II [1882], n. 4, 1 marzo, p. 3). Ma Di Giacomo scrive molto altro, dietro
pseudonimi (è il caso di ZAGARRIGA, Storiella, «Fantasio», a. III [1883], n. 1, 1 gennaio, pp. 1-
2) o semplicemente con scritti anonimi. Cfr. D. TROTTA, Di Giacomo e la palestra critica del
“Fantasio”, cit.; S. MINICHINI, “Fantasio” e gli esordi giornalistici digiacomiani, cit., pp. 11-34.
Pagliara in contesto 61

suo primo racconto, Storia di quattro soldi, riprendeva temi e linguaggi


del suo Studio dal vero209, vicino ai modelli verghiani, che però, nella pur
breve vita della rivista, si fondevano a modelli diversi, in un’apertura visi-
bile soprattutto nel secondo anno di vita del quindicinale210, a partire dal
secondo semestre 1882. Certo, Verga, costantemente informato dei lavori
della rivista, rimaneva punto di riferimento costante, come attesta, tra le
altre, la recensione alla novella Pane nero211. Stando all’elenco dei collabo-
ratori e alla diffusione della rivista, si direbbe che gli esiti superarono le
aspettative, almeno rispetto alle attese dello stesso Pagliara, il quale, a po-
chi giorni dall’uscita del primo numero della rivista, con una recusatio che
non escludeva il celato intento di allontanare sospetti o mire dello stesso
direttore della «Rivista nuova», si trovava a scrivere a Carlo Del Balzo:
«Farò parte della redazione per un vero puntiglio. Ma non credo che pos-
sa avere lunga vita, anzi c’è da prevedere un’immediata catastrofe perché
già prima di cominciare è sorto un cozzo di pettegole vanità, e di quelle
tali invidiuzze plebee alle quali voi accennate»212. Recusatio o meno, il
«cozzo di pettegole vanità», sia pure non tale da minare l’esistenza della
rivista, ne rese la vita davvero difficile.

4. «Carissimo Don Rocco»: le lettere di Di Giacomo e di Pica

Il corpus di lettere qui presentato comprende le missive inedite


di Di Giacomo a Pagliara, e insieme anche le ampie e numerose carte in-
viate da Pica al medesimo destinatario, queste ultime già pubblicate213,
ma qui riprodotte, e commentate, come utili tessere di un unico mosaico
dell’intellettuale e mediatore di cultura Rocco Pagliara. Chiude la sezione
una lettera dello stesso Pica a Di Giacomo, datata 21 marzo 1883. Un
patrimonio dal valore ‘letterario’ autonomo, ma anche viva testimonianza
della «relazione dinamica tra forme e rappresentazioni»214; o, se si vuole,

209
In «Corriere del Mattino», II numero Strenna – Pasqua 1881, 17 aprile.
210
Cfr. R. MELIS, Narrativa popolare/rusticana..., cit., p. 499.
211
Bibliografie, G. VERGA, Pane nero, Catania, Giannotta 1882, in «Fantasio», a.
II, 9, 25 giugno 1882. La recensione era anonima ma è attribuibile a Francesco Stendardo.
Cfr. R. MELIS, Narrativa popolare/rusticana..., cit., p. 508 s.
212
R. Pagliara, lettera a Carlo Del Balzo, 4 agosto 1881, in M. DELLA SALA, Let-
tere inedite di R.E. Pagliara e C. Del Balzo e la direzione della “Rivista nuova di Scienze,
Lettere ed Arti”, cit.
213
in Rocco Pagliara, pp. 135-194.
214
Cfr. E. GIAMMATTEI, Benedetto o della verità. Croce scrittore ed editore di let-
tere, in EAD., La biblioteca e il dragone. Croce, Gentile e la letteratura, Napoli, Editoriale
Scientifica, 2001, pp. 241-278, a p. 241.
62 La seduzione dell’arte

accesso privilegiato e diretto – non mediato dalla ‘letterarietà’ – in un


passato che si manifesta nella sua attualità presente, felicemente contami-
nato dalla quotidianità; apertura, infine, involontaria, a un «autobiografi-
smo» che illumina insieme «testo» e «contesto» del ‘fatto letterario’ e degli
stessi autori-mittenti e riceventi delle epistole215.
Le carte digiacomiane coprono un arco temporale molto vasto,
che si estende dall’estate 1880 al 18 agosto 1912. Quelle di Pica coprono
invece un ventennio circa, dal 7 settembre 1879 al 27 ottobre 1898 (stan-
do almeno all’ultima datazione accertata), quasi coincidendo con quello
che potrebbe definirsi il ‘periodo napoletano’ di Pica, chiuso nel 1895 ma
idealmente estensibile alla sua ‘svolta’ alle arti figurative, con la pubblica-
zione dell’ultima fatica di critica letteraria, la citata Letteratura d’eccezio-
ne, nello stesso 1898216. All’interno di questo ampio panorama, maggiore
rilievo assumono alcune sezioni della corrispondenza, collocabili in periodi
decisivi per la biografia intellettuale degli autori. Tra questi, i primi anni
di corrispondenza, fino alla chiusura di «Fantasio», nonché gli anni 1886-
1888, interessanti per numero, ampiezza e contenuti delle missive.
A differenza delle carte pichiane, il carteggio digiacomiano è
meno cospicuo, con epistole dalla frequenza più diradata nel tempo, mol-
te delle quali mere comunicazioni pratiche legate alla quotidiana, sofferta,
esistenza del letterato Di Giacomo, che è poi da connettere all’immagine
tipo del letterato tardo-ottocentesco, spesso alle prese con le note difficol-
tà di quella che si era già configurata come industria culturale.
Non mancano, però, lettere di interesse artistico letterario. Sia pur
carente di riferimenti alle tensioni intercorse con Pagliara in occasione della
citata ‘questione’ del Conservatorio217, il carteggio offre invece alcune infor-
mazioni su opere diagiacomiane, e sui difficili rapporti che l’autore intratte-
neva con i suoi editori o con i musicisti cui affidava i suoi versi. Il poeta, per
esempio, si sfoga sulla travagliata esecuzione musicale di ’E Cerase, alfine

215
Ci si riferisce, naturalmente, ai notissimi studi semiotici su «testo» e «conte-
sto» di Lotman (J.M. LOTMAN, Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura, a cura di
S. Salvestroni, Roma-Bari, Laterza, 1980) e alla definizione di «autobiografismo» inteso
nella sua discriminante differenziale rispetto alla «autobiografia» (A. BATTISTINI, Lo specchio
di Dedalo. Autobiografia e biografia, Bologna, Il Mulino, 2007 [1990]; ID., Genesi e svilup-
po dell’autobiografia moderna, in «The Italianist», n. 17, 1997, supplemento, pp. 7-22). Per
un’analisi sulla labile distinzione tra «testo» e «contesto» e quindi tra «scrittura» e «storia»,
applicata però ai «libri di lettere», cfr. G. GENOVESE, La lettera oltre il genere. Il libro di
lettere dall’Aretino al Doni e le origini dell’autobiografia moderna, Roma-Padova, Antenore,
2009, pp. VII-XXXVIII.
216
Si segue qui la periodizzazione proposta da Piscopo (Vittorio Pica e la proto-
avanguardia in Italia, cit., p. 15).
217
Cfr. supra.
Pagliara in contesto 63

affidata a Valente218 e non a Costa, al quale spesso Di Giacomo legava il suo


nome. «Il poeta in vernacolo più gentile, più esperto, più aggraziato della
metropoli si è unito al giovane fortunato musicista dai fascini irresistibili»,
avrebbe commentato Bracco219. Alcune missive si riferiscono alla messa in
scena di A “San Francisco” e all’ambivalente successo di pubblico e di criti-
ca che l’opera riscosse nelle ripetute rappresentazioni affidate al maestro
Carlo Sebastiani220. D’altronde, Pagliara si offriva come interlocutore privi-
legiato: aveva eseguito molte «traduzioni ritmiche» di versi in vernacolo per
canzoni – Marchiare e Era de Maggio tra le più note221 – senza dimenticare
che Pagliara, insieme a Di Giacomo, fu tra i coautori delle quaranta canzoni
del volume Chi chiagne e chi ride!222. Se il carteggio si fosse spinto oltre i
primi anni Dieci, avrebbe certamente offerto utili notizie sulle ricerche sto-
rico-musicali digiacomiane, quelle che lo conducevano allo studio sui Con-

218
Cfr. lettera XXVI, in questo volume.
219
Così Baby [Bracco] recensiva ’A Retirata sul «Capitan Fracassa» del 27 agosto
1887 [il libretto fu pubblicato dalla Società Musicale Napoletana, Napoli, 1887 e nello stes-
so anno anche a Lipsia, Röder, 1887, su concessione di diritti della stessa società napoleta-
na; poi in Canzoni napolitane (Napoli, Bideri, 1891) e anche in Poesie (Napoli, Ricciardi,
1907 ed ed. successive), oltre che a Milano, Ricordi, 1905]. Per le canzoni musicate da
Costa, cfr. infra, nel carteggio digiacomiano.
220
Cfr. lettere XXX e XXXI in questo volume.
221
Si ricordano le seguenti pubblicazioni, tutte indicanti il nome di Pagliara sul
frontespizio: Vocc’ azzeccosa!... Canto popolare napoletano, parole di S. Di Giacomo, tradu-
zione ritmica di R.E. Pagliara, musica di G. Barbieri, Milano, Ricordi, 1886; Comm’a nu
suonno. Canto popolare napolitano, sonetto di S. Di Giacomo, traduzione ritmica italiana di
R.E. Pagliara, musica di G. Barbieri, Milano, Ricordi, 1886; Comm’ a nu mare. Canto po-
polare napoletano, sonetto di S. Di Giacomo, traduzione ritmica italiana di R.E. Pagliara,
musica di G. Barbieri, Milano, Ricordi, 1886 [poi pubblicata in Zi’ Munacella, nel 1888 con
alcune varianti. Cfr. F. SCHLITZER, Salvatore Di Giacomo ..., cit, p. 99]; Rosa Rusè! Canzone
popolare dal napoletano di S. Di Giacomo, traduzione ritmica di R.E. Pagliara, musica di E.
De Leva, Milano, Ricordi, 1886; Mena, mè! Canzone de Piedigrotta, Milano, Ricordi, 1886
[poi ripubblicata Cedi alfin! (Mena, mè!), traduzione ritmica di R.E. Pagliara, Milano, Ri-
cordi, 1888, poi in Canzoni napolitane (cit.), poi ancora in Poesie (cit.)]; Era de maggio.
Matenata, versi di S. Di Giacomo, traduzione ritmica di R.E. Pagliara, musica di Mario
Costa, Napoli, Santojanni, 1886; Oje, Marenà! Barcarola, versi di S. Di Giacomo, imitazio-
ne ritmica di R.E. Pagliara, musica di P. Mario Costa, Napoli, Santojanni, 1884 [poi, col
titolo Oi marenà in Canzoni napolitane, cit.]; Maria Rò! Chitarrata, versi di S. Di Giacomo,
traduzione ritmica di R.E. Pagliara, musica di P. Mario Costa, Napoli, Santojanni, 1886;
Marechiaro. Canto napoletano di S. Di Giacomo, traduzione ritmica di R.E. Pagliara, mu-
sica di F.P. Tosti, Milano, Ricordi, 1888; Gli spilli francesi. Canzone popolare per Piedigrot-
ta 1888, versi di R.E. Pagliara dal napolitano di S. Di Giacomo, musica di E. De Leva,
Milano, Ricordi, 1889 [quest’ultima canzone portava sul frontespizio una dedica «All’amico
carissimo Raffaele Montuoro»]; Ohi, Carulì! (O Cary dear). A popular neapolitan song,
edited by Mario Costa, traduzione ritmica di R.E. Pagliara, Milano, Ricordi, 1888.
222
Chi chiagne e chi ride! 40 canzoni napoletane di R. Bracco, S. Di Giacomo,
R.E. Pagliara, F. Russo, con illustrazioni di P. Scoppetta, Milano, Ricordi, 1895.
64 La seduzione dell’arte

servatori e che confluirono, dopo un fallito progetto editoriale con Ricordi,


nei due noti volumi editi da Sandron223. Resta comunque singolare che il
carteggio (senz’altro lacunoso) non faccia menzione della «curiosa monogra-
fia»224 sulla Cronaca del Teatro San Carlino225. Un silenzio attribuibile, for-
se, ad una forma di autocensura da parte di Di Giacomo, che ben conosce la
poca stima che Pagliara nutre verso la sua erudizione teatrale e musicale226.
Anche per le carte digiacomiane, comunque, tenendo conto che
le missive del Novecento sono per lo più informazioni tecniche e alcune
richieste di denaro da parte del non fortunato poeta, il periodo fecondo di
riferimento è senza dubbio quello relativo alla conduzione del quindicina-
le «Fantasio».
In coincidenza con il biennio di vita della rivista, quindi, i due
carteggi sembrano quasi intrecciarsi, a creare un unico affresco sui retro-
scena della faticosa e travagliata attività pubblicistica periodica parteno-
pea. Di Giacomo si dimostra a tutti gli effetti regista dell’iniziativa edito-
riale, che si stampava nella tipografia di Francesco Giannini presso la qua-
le, da giovane, il Poeta aveva lavorato227.
Se il ritratto di Pagliara può ricostruirsi solo per via indiziaria,
dalle carte emergono invece con forza due ulteriori affreschi a colori viva-
ci di due protagonisti della vita letteraria partenopea, Pica e Di Giacomo
appunto. Oltre a scambi di notizie, infatti, tecnico-organizzative in merito
alla stampa, alle spese tipografiche e alla spasmodica ricerca di nuovi ab-
bonati che potessero sostenere le iniziative editoriali, non mancano rifles-
sioni critico-letterarie di un certo interesse. Tra queste, senza dubbio si
presentano gli spunti polemici tra Pica e Di Giacomo, di molto precedenti
alla nota stroncatura digiacomiana firmata da Pica nel 1886 e incentrata

223
Sul progetto con la casa di Milano Ricordi cfr. S. DI GIACOMO, lettera a Bene-
detto Croce, 2 marzo 1921, in G. INFUSINO, Lettere da Napoli. Salvatore Di Giacomo e i
rapporti con Bracco, Carducci, Croce, De Roberto, Fogazzaro, Pascoli, Verga, Zingarelli...,
Napoli, Liguori, 1987, pp. 34-36. I due noti studi digiacomiani dedicati ai Conservatorii
sono Sant’Onofrio a Capuana e Santa Maria dei Turchini (Palermo, Sandron, 1924) e Pove-
ri di Gesù Cristo e Santa Maria di Loreto (Palermo, Sandron, 1928). Li precedeva un vo-
lume edito a spese dell’autore nel 1920, Maestri di cappella, musici e istromenti al tesoro di
san Gennaro nei secoli XVII-XVIII, Napoli, poi confluito nei due volumi citati.
224
Cfr. S. DI GIACOMO, lettera a Giuseppe Mezzanotte, 7 gennaio 1891, in G. OLI-
VA, Giuseppe Mezzanotte..., cit., pp. 173-174.
225
Cfr. S. DI GIACOMO, Cronaca del Teatro San Carlino. Contributo alla storia
della scena dialettale napoletana (1738-1884), Napoli, S. Di Giacomo editore pe’ tipi di F.
Bideri, 1891.
226
Cfr. supra.
227
La redazione invece aveva sede, per il primo anno di vita della rivista, in via
San Pietro a Majella, 31; dal n. 13 (24 settembre) del 1882 gli uffici si trasferiscono in Vico
Pallonetto S. Liborio, 16, per poi spostarsi, con l’inizio dell’annata 1883, in piazza Dante, 76.
Pagliara in contesto 65

per lo più su questioni linguistiche, alla luce della prorompente afferma-


zione della letteratura dialettale228.
Già nel 1880 Pica, con grande ironia, pungeva il giovanissimo
giornalista e critico:

Hai letto le famose impressioni artistiche dell’amico Salvatore?229


Che spigliatezza di stile! Che spirito! Che giustezza e sicurezza di giudizi!
Qualche sofistico potrebbe notare che queste impressioni hanno bisogno
di essere in italiano, poiché son scritte addirittura in napoletano. Ma
come si fa ad incolpare di un simile piccolo reo un critico così profondo
d’arte, che in un punto, parlando di un quadro di Attanasio, dice, ele-
vandosi ad una altezza di critica artistica vertiginosa: «Qui tutto è bello,
niente è trascurato; qualcuno ha trovato appicco nel braccio sinistro del-
la giovine (stupenda la frase ‘trovare appicco nel braccio’ ecc.!) che forse
sarà lungo, ma non pare. Son cose che non possono intaccare la bontà e
la poesia del lavoro». Si capisce bene, fare un braccio od una gamba un
po’ più lunga od un po’ più corta è cosa senza conseguenza! Decisamen-
te Salvatore è un grande ingegno! Non solo è uno dei più grandi novel-
lieri moderni, ma è anche un critico eminente!!!230.

Era una nota ironica che non si preoccupava di celare le sue ri-
serve sul poeta ed erudito, riserve destinate a dissiparsi solo di fronte al
mirabile traduttore di Soeur Philomène231. Nelle missive successive, Pica

228
Nell’ormai noto articolo Sonettisti napoletani, apparso nella «Napoli letteraria»
(a. III, n. 28, 11 luglio 1886, poi, con il titolo Poeti dialettali, in All’avanguardia, pp. 449-
460), Pica conduceva una polemica col giovane poeta dialettale: «[...] la soavità armonica
del verso e una rara squisitezza di sentimento artistico» porterebbero Di Giacomo ai suoi
due difetti: «Il primo di essi consiste nel sostituire, per rendere più musicale il verso, alle
parole troppo aspre del vernacolo delle parole italiane leggermente napoletanizzate. Il se-
condo nello esprimere sentimenti, impressioni, idee troppo delicate, troppo raffinate per
poter fiorire nell’animo semplice di un popolano». La polemica venne ribadita poi nel noto
raffronto Di Giacomo-Russo del 1888. Cfr. V. PICA, Poeti dialettali: S. di Giacomo “Zi Mu-
nacella” – F. Russo “Rinaldo”, in «Fanfulla della domenica», a. X, n. 43, 21 ottobre 1888, poi
in All’avanguardia, pp. 449-459; F. SCHLITZER, Salvatore Di Giacomo..., cit., p. 71.
229
Pica si riferisce alla serie di articoli dedicati alla Promotrice che Di Giacomo
aveva inaugurato al «Corriere del Mattino» solo due giorni prima. Cfr. S. DI GIACOMO, Alla
Promotrice. Impressioni, in «Corriere del Mattino», a. VIII, 25 aprile 1880. La seconda e la
terza parte dell’articolo apparvero rispettivamente nei numeri del 1o e del 6 maggio.
230
V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 27 aprile 1880, XI.
231
Cfr. G. ed E. DE GONCOURT, Suor Filomena, con prefazione di E. Zola, tradu-
zione di S. Di Giacomo, Napoli, Tocco, 1886. Una nuova edizione italiana dell’opera dei
Goncourt sarebbe apparsa, senza prefazione di Zola, sei anni dopo (Napoli, Bideri, 1892).
Nello scrivere a Edmond de Goncourt, Pica tesse le lodi di Di Giacomo traduttore e non
solo: «Mon ami S. Di Giacomo, un de nos plus exsquis jeunes écrivains et le traducteur de
votre Soeur Philomène» (V. PICA, lettera a Edmond de Goncourt, 14 novembre 1889, in
Lettere a de Goncourt, p. 124).
66 La seduzione dell’arte

non può non far cenno alla contesa Russo-Di Giacomo232, prendendo na-
turalmente le parti del primo. Nella lettera del 5 maggio 1887, a meno di
un anno dal suo noto articolo anti-digiacomiano, chiede a Pagliara un pa-
rere su Sunettiata233, che si era premurato di fargli recapitare. Loda i so-
netti russiani, che, pur manchevoli nella elaborazione formale («rozzi
come forma e poco armoniosi») gli sembrano, «come riproduzione dal
vero, proprio meravigliosi»; «profondamente napoletani [...] in tutti i più
minuti particolari». A proposito del digiacomiano Munasterio, definisce «la
tela del lavoro puerilmente romantica»234. La posizione di distanza assunta
da Pica nei confronti di Di Giacomo è spesso contraddittoria, ora nel ve-
derlo lontano dal naturalismo, ora invece ancora fedele realista; resta fer-
ma, però, la critica ai codici espressivi e linguistici. Il carteggio conferma
le posizioni assunte da Pica in modo ‘ufficiale’. Nel recensire i Sonetti
napoletani, infatti, il critico ‘aristocratico’ si era trovato a sottolineare i li-
miti linguistici del poeta, che sostituiva «alle parole troppo aspre del ver-
nacolo delle parole italiane leggermente napoletanizzate»235. Non è un
caso che la nota recensione apparve in «Napoli Letteraria», il periodico al
quale collaborava anche Di Giacomo e al quale mandava critiche musicali
lo stesso Pagliara, volutamente ben lontano dalle polemiche sulla poesia
dialettale e tutto intento nel suo wagnerismo236.
Nell’epistolario, quindi, trova numerose conferme il rapporto dif-
ficile intercorso tra Pica e Di Giacomo, come anche il contemporaneo ri-

232
Si tratta di un noto e percorso tema letterario animato da Croce (ora cfr. B.
CROCE, Scrittori in dialetto, in La letteratura della nuova Italia, vol. VI, Bari, Laterza, 19544,
pp. 122-129). Il notissimo giudizio crociano, ribadito più volte e in più sedi dal critico, è
stato almeno in parte superato dalla critica successiva. Cfr. A. CONSIGLIO, Antologia di poeti
napoletani, Firenze, Parenti, 1955; P.P. PASOLINI, La poesia dialettale del Novecento, in Pas-
sione e ideologia, Milano, Garzanti, 1960; G.F. CONTINI, La letteratura dell’Italia unita
(1861-1968), Firenze, Sansoni, 1983, p. 414 ss. Cfr. anche la ricognizione offerta in D. BER-
NARD, Russo e Di Giacomo: due poeti a confronto, in AA. VV., Salvatore Di Giacomo set-
tant’anni dopo, cit., pp. 45-52. Per una breve rassegna bibliografica sul tema del confronto
Russo-Di Giacomo si rimanda a P. VILLANI, Napoli città di Dite, Ferdinando Russo e la Na-
poli infernale, in AA. VV., Napoli nell’immaginario culturale della Napoli postunitaria, a cura
di E. Candela, Napoli, Liguori 2008, pp. 337-370.
233
Il volume, con prefazione di Roberto Bracco, apparve per i tipi di F. Casa, a
Napoli, nel 1887.
234
Russo, da parte sua, anche nel corso del Novecento, non mancava di sottoli-
neare i limiti artistici di Di Giacomo. Soprattutto nella sua rivista «Vela Latina» frequenti
sono gli articoli stroncature contro Di Giacomo. Si veda la recensione di Russo ad Assunta
Spina (in «Vela latina», 8 ottobre 1914), o la recensione di Oreste Giordano alle Novelle
napoletane (in «Vela latina», 15 ottobre 1914).
235
V. PICA, Sonettisti napoletani, cit., p. 452.
236
Sulla collaborazione di Pagliara alla rivista «Napoli Letteraria» cfr. supra.
Pagliara in contesto 67

conoscimento del ruolo di mediatore svolto da Pagliara. In effetti il musi-


cofilo e poeta di Baronissi viene volutamente omaggiato, dal corrispon-
dente Pica lettore di letteratura francese, come «studioso profondo sulla
letteratura primordiale francese», come «critico imparziale della Rivista
Nuova»237. Viene presentato come una vera guida, mentore oggi a tutti
meno noto del discepolo stesso.
Gli attacchi di Pica a Di Giacomo sono ben corrisposti e trovano
conferme nelle carte digiacomiane. Gli attriti riguardano innanzitutto que-
stioni pratiche per la gestione del «Fantasio» («il signor Pica non vuol sen-
tire di mandartele queste benedette due lire. E io mi trovo a mani vuo-
te»), tanto da spingere Pica a consegnare le dimissioni dalla redazione,
come testimonia una ‘infuocata’ missiva del 31 agosto 1882, di sfogo con-
tro i «grandi innovatori e sapienti dittatori!» sempre a proposito dei fami-
gerati fondi degli abbonamenti238.
Non mancano, però, avvicendandosi anzi numerosi, anche temi
polemici dotati di uno spessore critico da parte dello stesso poeta e scritto-
re napoletano. Proprio Di Giacomo, infatti, nel 1882, in preparazione del
numero del 10 febbraio del «Fantasio», sembra sfogarsi col Pagliara contro
l’amico e co-fondatore Vittorio Pica: il tema, l’eccessiva apertura di que-
st’ultimo nei confronti della letteratura francese; quella ‘francofilia’ che sa-
rebbe poi divenuta davvero la marca vincente del giovane appassionato di
letteratura, noto a tutti i suoi contemporanei come promotore delle «avan-
guardie» d’oltralpe. Era, per Pica, l’occasione di riproporre, stavolta da pro-
tagonista, il ‘caso’ letterario dei de Goncourt, già definiti «forse inferiori»
rispetto a Zola, ma certo «di molto superiori dal lato artistico»239. Zola o de
Goncourt, le attenzioni critiche del giovane Pica non trovavano accoglienza
presso Di Giacomo, spesso spaventato e irritato anche della consueta pro-
lissità di un giornalista che mandava alle stampe periodiche saggi di decine
di pagine. E così, a proposito dell’articolo pichiano, scriveva:

non mi va per niente che in un giornale italiano si parli in ogni numero


di cose francesi mentendo sugli autori. L’altro numero è pieno di de
Goncourt e di un altro del quale non ricordo il nome, ecco, Duranty.
Ora daccapo con il de Goncourt e la solita chiusa240.

237
ID., lettera a Rocco Pagliara, 8 settembre 1880, XV.
238
A questa dura missiva del 31 agosto segue una di scuse, il 26 settembre dello
stesso 1882 (XXX e XXXII).
239
V. PICA, Profili di letterati francesi. Edmondo e Giulio de Goncourt, cit., p. 482.
240
La lettera, trascritta in questo volume, è pervenuta senza data, ma certamente
precedente all’uscita effettiva dell’articolo, e dunque precedente al numero di «Fantasio»
del 10 febbraio 1881.
68 La seduzione dell’arte

Pica sembrava ben consapevole di queste critiche, corrisponden-


do agli attacchi sul duplice piano, tecnico-organizzativo e letterario. Oltre
al citato tentativo di dimissioni, anche Pica chiede spesso a Pagliara di
intercedere presso la ‘gestione Di Giacomo’241. Il giudizio pichiano su Di
Giacomo ha diversi orientamenti e si dispiega attraverso molte corrispon-
denze. Il 5 settembre 1881 scriveva: «Mi raccomando a te, come mi sono
già raccomandato al buon Stendardo, che mi saluterai carissimamente,
affinché faccia tutto il possibile per mettere un argine alle velleità di co-
mando assoluto che ha Salvatore»; e la lettera prosegue con un riferimen-
to a Del Balzo242, che aveva avuto il merito di aver subito intuito il talento
del diciannovenne critico pubblicando il citato «Profilo letterario» su Ed-
mondo e Giulio de Goncourt, confermando il ruolo di Pagliara nel suo
esordio di carriera: «Ringrazia Del Balzo dell’ospitalità gentilmente accor-
data al mio articolo sui De Goncourt nella Rivista Nuova; se credi gli spe-
dirò un mio biglietto da visita a Parigi»243.
Pochi giorni dopo, il 18 settembre dello stesso 1881, terminata la
stesura della novella Lo spettro di Fa-ghoa-ni e in procinto di pubblicarla
su «Fantasio»244, Pica chiede a Pagliara di intercedere per attutire la even-
tuale censura digiacomiana:

spero non ti dispiaccia; essa è una novella fantastica ma non di quelle


come ne ha fatte tante Salvatore che si svolgono in Germania; alla mia
ho cercato di dare una certa originalità introducendovi un elemento
giapponese. Se mi riesce bene vorrei pubblicarla nel 5o o nel 6o no del
Fantasio e per ottenere ciò spero che tu e Stendardo mi appoggerete
fortemente contro il malvolere, che non mancherà di mostrare Salva-
tore245.

241
Cfr. lettera XXXVII: «cerca di farti pagare da Salvatore i suoi abbonamenti...».
242
Il contatto diretto tra Pica e Del Balzo si sarebbe realizzato di lì a poco. Cfr.
M. DELLA SALA, Vittorio Pica: lettere a Carlo Del Balzo, in «Economia irpina», II (1982), 2,
pp. 89-100.
243
V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 5 settembre 1881, XXV. Le lettere di Pica
al direttore Del Balzo, conservate presso la Biblioteca Provinciale di Avellino, sono ora
in M. DELLA SALA, Vittorio Pica: lettere a Carlo Del Balzo, in «Economia Irpina», 1982,
n. 2, pp. 89-100. A proposito della pubblicazione dell’articolo pichiano sui de Goncourt
si legge in una lettera di Pagliara a Del Balzo: «Pel prossimo numero Pica mi ha pro-
messo un accurato articolo sui de Goncourt anzi me ne ha dato una parte: se non approvate
scrivetemelo subito» (R. Pagliara, lettera a Carlo Del Balzo, 4 agosto 1881, ivi, p. 109).
244
Si tratta di una delle poche opere narrative di Pica, in «Fantasio», a. I, 25
ottobre 1881, poi in “Arte aristocratica”, pp. 220-229.
245
V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 18 settembre 1881, in M. DELLA SALA, Vitto-
rio Pica: lettere a Carlo Del Balzo, cit., p. 149.
Pagliara in contesto 69

Rispondendo idealmente, inoltre, alle critiche digiacomiane del


carteggio, avrebbe scritto nello stesso «Fantasio», l’anno successivo – a
proposito dello spazio alla letteratura d’oltralpe – di non credere «tanto
perniciosa l’influenza della letteratura francese su quella italiana, perché
difatti i due soli romanzi contemporanei, dei quali possa veramente dirsi
che siano delle opere d’arte, che fanno onore all’Italia, sono I Malavoglia
di Verga e Giacinta di Capuana, entrambi i quali derivano innegabilmente
dal moderno romanzo naturalista francese»246. Si stava allora consacrando
l’immagine di Pica critico naturalista, l’immagine di «migliore difensore
della letteratura naturalista francese»247 battezzata con gli auspici dello
stesso Cameroni.
Fu proprio a «Fantasio» che Pica destinò le sue notissime pagine
critiche dal titolo Romanticismo, realismo e naturalismo, incluse poi, quasi
invariate, nel volume All’Avanguardia248. Era la summa della critica natu-
ralista di Pica, forse il maggiore esempio del suo ‘zolismo’, sia pur non
privo di una matura distanza prospettica che lo conduceva a una persona-
le visione di respiro più vasto, a un recupero anche del naturalismo ‘pre-
zoliano’ o ‘parazoliano’249.
Di Giacomo, però, non condivide queste posizioni, e si sfoga con
chi sa che potrebbe sostenere l’entusiastica posizione di Pica contro la
sua: Pagliara, appunto, mentore del giovane critico filo-francese ed egli
stesso cultore di letteratura francese e tedesca, come attestano numerose
le riviste da lui conservate250.

246
ID., A proposito di alcune bibliografie, in «Fantasio», III, 4, 15 marzo 1883.
247
F. Cameroni, lettera a Emile Zola, 15 ottobre 1884, in R. TERNOIS, Zola, Pica
et Cameroni, in «Studi francesi», a. IV (1960), fasc. III, pp. 476-485, a p. 476.
248
ID., Romanticismo, Realismo, Naturalismo, in «Fantasio», nei numm. II, 10,
15 luglio 1882; II, 13, 24 settembre 1882; III, 1, 1 gennaio 1883. Gli articoli furono poi
inclusi nel volume pichiano All’avanguardia. (1890, da cui si cita) e sono ora in “Arte
aristocratica”. Il volume raccoglieva molti degli articoli apparsi negli anni Ottanta su
giornali e riviste. A parte due saggi su questioni generali (il citato Romanticismo, Rea-
lismo, Naturalismo e L’umorismo nell’arte), molti interventi erano appunto dedicati ad
autori francesi o di lingua francese: Zola, Flaubert, de Goncourt, Daudet, ma anche
Bourget, Mallarmé e molti altri. Non mancavano autori italiani, il citato Di Giacomo, ma
anche Russo, Dossi, Capuana.
249
Già Nicola D’Antuono insiste sulla predilezione di Pica per i fratelli de Gon-
court e sulla – più volte ribadita – distinzione, da parte di Pica, tra naturalismo e zolismo.
Cfr. N. D’ANTUONO, La chimera e la sfinge nel Des Esseintes italiano, cit., p. 15 ss. L’atten-
zione ai fratelli de Goncourt conta moltissimi interventi, anche nel corso degli anni Ottanta
e culmina, forse, con la serie di lunghissimi articoli apparsi sulla «Gazzetta Letteraria». Cfr.
V. PICA, I romanzi dei fratelli de Goncourt I-II, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, rispettiva-
mente n 21, 23 maggio 1885, pp. 161-163 e n. 37, 12 settembre 1885, pp. 290-293.
250
Nonostante la Biblioteca Pagliara sia stata donata all’Istituto di Archeologia di
Roma, nella Biblioteca Pagliara dell’Ente Morale napoletano sono conservate numerose ri-
70 La seduzione dell’arte

Il dibattito Pica-Di Giacomo, sminuito a «cozzo di pettegole vani-


tà»251, fa però temere Pagliara per la serena gestione della rivista, tanto da
ipotizzare che questa non possa avere «lunga vita, anzi c’è da prevedere
una immediata catastrofe»252. In questo sfogo a Del Balzo c’è forse una
voluta reticenza ad illustrare l’ambizioso progetto editoriale concorrenziale
alla «Rivista nuova»; ma c’è anche una sincera preoccupazione per un rap-
porto con i redattori che realmente avrebbe vissuto momenti di oscura-
mento, come attesta anche il carteggio.
Resta il fatto che la difesa di Pica da parte di Pagliara, come an-
che le divergenze di posizione rispetto a Di Giacomo, testimoniano una
posizione culturale di Pagliara sempre attenta agli echi della cultura eu-
ropea. Con Di Giacomo, però – forse anzi con maggiore entusiasmo e
convinzione di quest’ultimo – Pagliara condivideva l’interesse per la cul-
tura tedesca, testimoniato non solo dai citati studi wagneriani, ma anche
dai suoi lunghi soggiorni all’estero, dai suoi lavori di traduzione253, senza
dimenticare che a poeti tedeschi è dedicata la raccolta Riflessi nordici254.
Proprio le traduzioni di liriche straniere, in fondo, tennero a battesimo il
Pagliara giornalista. Fu forse per questi vasti orizzonti culturali di Paglia-
ra che il giovane Vittorio Pica riuscì ad aprire le porte di «Fantasio» al-
l’avanzata della letteratura francese. D’altronde, i difficili rapporti inter-
corsi tra Pagliara e Di Giacomo in occasione della biblioteca del Conser-
vatorio avevano origini lontane, confermando un’amicizia tutt’altro che
serena.
Grazie al carteggio si seguono, quasi come bollettino informativo
della pubblicistica partenopea e nazionale, le vicende culturali del giorna-
lismo di fine secolo, sulle quali Pica tiene costantemente e diligentemente
informato il suo corrispondente Pagliara. Seguendo i tortuosi percorsi di

viste culturali e pubblicazioni quotidiane, da «Le Figaro» a «Moderne Kunst», fino al «Illu-
strierte Zeitung».
251
R.E. Pagliara, lettera a Carlo Del Balzo, 4 agosto 1881, in M. DELLA SALA,
Lettere inedite di R.E. Pagliara a C. Del Balzo..., cit., p. 109.
252
Ibidem. Nella stessa lettera Pagliara, illustrando la nascita di «Fantasio» aveva
ammesso: «Farò parte della redazione per un vero puntiglio» (ibidem).
253
A proposito di una corrispondenza da Vienna attesa da Max Nordau, Pagliara
esprime a Del Balzo la sua piena disponibilità a tradurre. Cfr. R. Pagliara, lettera a Carlo
Del Balzo, 28 settembre 1881, in M. DELLA SALA, Lettere inedite di R.E. Pagliara a C. Del
Balzo, cit., p. 112.
254
Si tratta di traduzioni di liriche di autori nordeuropei, alcune delle quali già
apparse in riviste. Il volume fu edito a Napoli, dall’editore Santojanni, nel 1888, con la
dedica a Maria von Holleuffer, sorella del barone che più volte ospitò Pagliara in Baviera.
Poi, ID., Riflessi nordici. Liriche dal tedesco, tradotte in prosa da Baumach, Eichendorff,
Hammer, Heine, Lenau, Scheffel, Napoli, Bideri, 1899.
Pagliara in contesto 71

questa diuturna attività di informazione, si ricostruiscono gli esordi critici


e narrativi di Pica. Si scopre, per esempio, che all’altezza dell’aprile 1881,
data dell’articolo su Glatigny apparso su «Intermezzo» 255, in realtà Pica
era già collaboratore da due anni di diverse riviste, napoletane e non. Dal
marzo 1879 era novelliere e recensore per «Crisalide», dal 1880 critico e
scrittore per «La coltura giovanile» e successivamente per «Libellula»,
periodici stampati a Fano256; e dal novembre 1880 era anche corrispon-
dente per il quotidiano catanese «Il Plebiscito» sul quale, con ogni proba-
bilità, componeva la rubrica «Dalle falde del Vesuvio» firmata con lo pseu-
donimo di Favilla257.
Si scopre, quindi, un giovanissimo scrittore di recensioni e novel-
le; un precoce studioso di Sully Prudhomme, il cui profilo lo accredita
nell’ambiente giornalistico attraverso la rivista «Crisalide»258. È una scrit-
tura pacata, che però già mostra una certa maturità critica e serenità di
giudizio. Il recensore infatti non nega i meriti del Paris 1877-1878, collo-
candolo immediatamente al di fuori della temperie realista, affiancandolo
al romanticismo ‘languido’ dell’Aleardi – al quale pure tributa meriti – e
anche ai toni del Coppée, per quella «nota languida di melanconia». Os-
serva anche, però, una certa ripetitività che grava e deteriora il valore ar-
tistico. Non esita quindi in appunti critici; appunti che, nel corso della
recensione, sembrano acquisire progressivamente vigore: «Leggendo i ver-
si di questo placido sognatore di un mondo ideale, si ripensa, per legge di
contrasto, all’onda ardente, piena d’impeto e di colorito, della poesia di
Alfred de Musset». Nel concludere l’intervento, torna cauto e pacato, ri-
conoscendo che «nel Sully Prudhomme vi è la fibra di un vero poeta»,
individuando, però, nella «monotonia» il vero punto debole dell’impianto
poetico: «In generale quasi tutte le poesie e i poemetti di Sully Prudhom-
me, che riunite insieme hanno un tuono troppo monotono, prese separa-
tamente sono belle»259.
Quella stessa «Crisalide», diretta da Pompilio Petitti, avrebbe an-
che ospitato il debutto del Pica così poco fecondo e si direbbe poco fortu-
nato scrittore di novelle, la prima delle quali apparve nel numero del

255
V. PICA,Alberto Glatigny, cit.
256
Cfr. supra.
257
Cfr. supra e si vedano anche le lettere del carteggio.
258
Si tratta della recensione a Sully Prudhomme, Paris 1877-1878, Alphonse
Esmerre Editeur, in «La Crisalide», a. II, n. 24, 6 luglio 1879, pp. 283-284. Sulla stessa ri-
vista Pica firma anche una recensione Naborre Campanini, Nuove liriche, Bologna, Zani-
chelli, 1879, in «La Crisalide», a. II, n. 42, 16 novembre 1879, pp. 464-466. Cfr. la lettera di
Pica del 3 gennaio 1880, VII.
259
ID., rec. a SULLY PRUDHOMME, Paris 1877-1878, cit.
72 La seduzione dell’arte

9 marzo 1879. Era una scrittura piena di entusiasmo realista, fino quasi
all’ostentazione di un sermo cotidianus poco convinto, come emerge sin
dall’incipit della novella di impianto borghese, Come Livia trovò un marito:

Livia non era certo bella, ma non poteva dirsi brutta; che se aveva i ca-
pelli d’un rosso fiammeggiante, se aveva il volto lentigginato, aveva in
compenso una carnagione bianca e vellutata, dei begli occhi castagni, e
delle manine e dei piedini da duchessa. Era certo più bella della sua
amica Lucia Salvoni, che era guercia ed aveva i denti neri, e dell’altra
sua amica Irene Bermelli, che aveva una spalla più alta dell’altra, eppure
queste due signorine s’erano maritate mentre, la povera Livia era arriva-
ta ai 28 anni senza trovare un cane che la volesse sposare260.

Era la seconda delle rare novelle pubblicate da Pica, successiva a


Il suicidio di Samuele Moscone, nella quale lo scrittore esitava nell’inven-
tiva ricorrendo all’espediente (manzoniano) del ritrovamento del mano-
scritto, quasi a voler rimanere giornalista di un caso di suicidio, o almeno
al limitare del confine tra scrittura giornalistica e narrativa261.
A proposito di queste prime prove narrative e critiche, Pica tene-
va al corrente Pagliara nella sua assidua e ampia corrispondenza. Gli chie-
deva libri francesi, in particolare volumi di Zola, lo blandiva definendolo
«zoliano» e «francofilo», e a lui sfogava le incomprensioni e le polemiche
che i suoi saggi spesso accendevano. Si direbbe quasi che le lettere con-
fermino la creazione di un filo ideale Pica-Del Balzo-Pagliara, cui si univa
spesso Bracco, incompreso da Serao ma difeso da Pica stesso, con sinceri-
tà provata da queste carte private262; ribadiscono ancora una volta distanza
proprio dalla «signorina Serao» (avvinta da «una passione sfrenata e pur-
troppo non corrisposta, per la critica»263) che era un ulteriore momento di
sintonia con Pagliara264. Era l’asse che, nei primissimi anni Ottanta, aveva

260
V. PICA, Come Livia trovò un marito. I II, cit., I, pp. 290-291. Cfr. supra e
infra, nel carteggio.
261
Cfr. ID., Il suicidio di Samuele Moscone, cit.. Pica parla di «un manoscritto
venutomi per caso tra le mani, che narra la vera ragione di quel suicidio e che è vergato di
pugno dal suicida, da Samuele Moscone» (ivi, p. 111).
262
A tal proposito si veda la lettera di Pica a Pagliara del 22 ottobre 1886, LIV:
«Ma il buon Bracco è restato a sua volta vittima dell’altrui malignità, giacché la Serao, come
tu già saprai, ne ha fatto, sempre a proposito dello Spiritismo, un ritrattino velenoso sul
Corriere di Roma. Roberto ne è restato dispiaciutissimo, e con ragione tanto più che non
s’aspettava una tale cattiva azione da un giornale amico...».
263
V. PICA, La vita a rovescio in «La Domenica Letteraria», a. III, n. 40, 5 ottobre
1884, p. 3 e n. 41, 12 ottobre 1884, ora in “Arte aristocratica”, p. 143.
264
Si veda la lettera di Pica del 21 settembre 1884, XLIX. Si ricorda, inoltre, che
nel n. 3 dell’a. I di «Fantasio» compare una recensione anonima a Cuore infermo (Napoli,
Pagliara in contesto 73

tentato di spingere in senso zolista, e continuava, anche in seguito, ad


opporsi a quella che veniva avvertita come dittatura critica dell’autore del
Libro di Don Chisciotte (più ancora che del Processo di Frine, la raccolta
di novelle di colore verista e scapigliato)265. L’intransigenza di Scarfoglio
contro il naturalismo zoliano prima e contro d’Annunzio poi, appariva ai
due giovani francofili come vera ‘ottusità conservatrice’. A proposito del
circolo di intellettuali radunati dalla coppia Scarfoglio-Serao, si legge:

Valentino [Gervasi] osserva che d’Annunzio è addirittura un uomo spac-


ciato e che la miglior cosa che possa fare è ritirarsi dalla letteratura,
destinata ormai ai trionfi di Scarfoglio e dei suoi accoliti. D’attorno si
compiange l’orgoglioso autore di Canto nuovo, sempre più esaltando il
talento e lo spirito di Scarfoglio266.

La lettera prosegue con un ironico attacco contro la – non ricono-


sciuta – autorità intellettuale e artistica di Scarfoglio, contro la sua «spa-
valderia teppistica»267 e contro la censura contestuale tributata dagli intel-
lettuali del Gran Caffè Gambrinus a d’Annunzio. Era l’eco della nota po-
lemica con l’altro abruzzese, Scarfoglio appunto, che Pica aveva ingaggiato
pochi anni prima proprio sulle colonne del «Fantasio»268, e della quale

Casanova, 1881), nella quale il redattore della rubrica «Bibliografia» (il più delle volte Pica
stesso o Di Giacomo) sottolinea, con sarcasmo, la trascuratezza formale dell’opera: «La si-
gnorina Matilde Serao è un’artista vera e con questo volume si è potentemente affermata.
Non scendiamo a guardare, come qualche critico, certi nèi di forma, certe inesattezze di
lingua, o nebulosità di periodi, perché queste sono cose che scompariranno in seguito».
265
Una precocissima recensione al Libro di Don Chisciotte apparve proprio a
firma di Pica nella «Cronaca Sibarita» del 16 novembre 1884. già in quella recensione, Pica
affiancava Scarfoglio a d’Annunzio in tono polemico nei confronti del primo. In questa
posizione, Pica trovava un alleato in Cameroni, che chiudeva la recensione al volume di
Scarfoglio: «Vi sono degli ignoranti, pieni di buon senso. Lo Scarfoglio rappresenta quei
giovani di talento, a cui talvolta fa difetto il buon senso, che non è (pur troppo!) il senso
comune» (F. CAMERONI, Rassegna bibliografica, in «Il Sole», 4 ottobre 1884. Cfr. anche la
lettera di Cameroni a Pica, 28 agosto 1884, in Cameroni, p. 67).
266
V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 22 ottobre 1886, LIV.
267
N. D’ANTUONO, La Chimera e la Sfinge nel Des Esseintes italiano, cit., p. 24.
268
Cfr. V. PICA, A proposito di alcune bibliografie, in «Fantasio», a. III, n. 4, 15
marzo 1883, pp. 2-3, ora in “Arte aristocratica”, pp. 124-129. Nel numero successivo della
stessa rivista (a. III, n. 5, 20 aprile 1883), apparve un articolo Polemica, nel quale Scarfoglio,
anche a nome di Salvadori, rispondeva a Pica. Sullo stesso fascicolo, però, risponde lo stesso
Pica nuovamente (Risposta a Scarfoglio, in «Fantasio», a. III, n. 5, 20 aprile 1883, pp. 2-3,
ora in “Arte aristocratica”, pp. 129-135. Pica segue d’Annunzio fin dai suoi primi passi. Già
nel 1884, a proposito di A rebours, si era occupato di d’Annunzio (V. PICA, “La vita a rove-
scio”, cit.). Era però nell’articolo sul Libro di Don Chisciotte di Scarfoglio che Pica dava
prova di conoscenza della vita romana del pescarese autore di Primo vere, con un ampio
accostamento Scarfoglio-d’Annunzio. Cfr. V. PICA, “Il Libro di Don Chisciotte”, in «Cronaca
74 La seduzione dell’arte

aveva tenuto aggiornato lo stesso Zola, con riferimento alla «terribile ca-
marilla la quale [aveva] tra gli altri propositi di distruggere la giovevole
influenza dei romanzieri naturalisti francesi sulla letteratura italiana»269. E
naturalmente della polemica contro Scarfoglio Pica rendeva partecipe an-
che il ‘complice’ Pagliara.
I riferimenti a d’Annunzio sono frequenti, pur mai entrando in
questioni squisitamente letterarie e mantenendosi invece sul registro della
cronaca, talvolta anche frivola. Non compaiono, per esempio, cenni alla
preparazione dei noti saggi dannunziani270; piuttosto dettagliati episodi
sulla visita romana al poeta (il salotto estetizzante pieno di «ventagli, para-
venti, mille ninnoli giapponesi») e sull’incontro-conversazione con il per-
sonaggio dalla «vocettina strascicante, leziosa e volutamente languida»271.
Forse proprio le dure riserve dell’ambiente partenopeo contro il (crocia-
no) «dilettante di sensazioni» accesero l’entusiasmo di Pica, il quale infatti
rivela all’amico in una missiva, commentando la sua Prefazione al volume
Ritmi e fantasie di Federigo Casa:

Ammetto che col d’Annunzio mi sono mostrato molto laudativo, ciò che
mi è stato aspramente rimproverato dall’amico Cesareo, ma ti confesso
che la guerra sleale, mossagli da certi ex-amici ed ex-ammiratori suoi, mi
ha stomacato e me lo ha reso oltremodo simpatico272.

D’altronde, nel pieno degli anni Ottanta, prim’ancora di fare in-


gresso in città, l’autore delle Novelle della Pescara aveva già fatto rumoro-
sa, ideale, irruzione all’interno del giornalismo letterario partenopeo, e si

Sibarita», a. I, n. 3, 16 novembre 1884, pp. 1-2, ora in “Arte aristocratica”, pp. 165-170. Le
polemiche Pica-Scarfoglio sono in E. SCARFOGLIO, Il libro di Don Chisciotte, a cura di C.A.
Madrignani ed A. Resta, Napoli, Liguori, 1990, pp. 95-99 e in “Arte aristocratica”, pp. 124-
143. Sulla polemica, inoltre, si veda C.A. MADRIGNANI, La “Domenica letteraria” di F. Mar-
tini e di A. Sommaruga. Introduzione e indici, Roma, Bulzoni, 1978, passim.; D. TROTTA, Di
Giacomo e la palestra critica del “Fantasio”, cit.
269
V. PICA, lettera a E. Zola, 20 maggio 1883, in G. MOMBELLO, Lettere inedite di
Vittorio Pica a Èmile Zola, in «Studi Francesi», a. IV (1960), n. 11, pp. 267-275, a p. 272.
Sulla contraddittoria posizione critica di Scarfoglio nei confronti di Zola si veda R. GIGLIO,
L’invincibile penna ..., cit., p. 27 ss.
270
Oltre ai citati, si ricordano i saggi: V. PICA, L’Isotteo e La Chimera di Gabriele
d’Annunzio, in «Cronaca Partenopea», a. I, n. 29, 28 settembre 1890, ora in “Arte aristocra-
tica”, pp. 207-213; ID., rec. a Giovanni Episcopo, in «La Domenica del Don Marzio», a. II,
n. 4, 24 genaio 1892, pp. 1-2, ora in “Arte aristocratica”, pp. 213-218; ID., [Sui plagi dan-
nunziani], in «Il Capitan Cortese», a. I, n. 39, 2 febbraio 1896, p. 5, ora in “Arte aristocra-
tica”, pp. 218-220.
271
V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 5 maggio 1887, LXII.
272
Id., lettera a Rocco Pagliara, 13 marzo 1887, LX.
Pagliara in contesto 75

trovava a confrontarsi con l’allora leader – e antico sodale – Scarfoglio273;


il ‘duello’ col corregionale abruzzese non perdeva i toni leggeri di una
celia in versi, dal colore bizantino, ma veniva espressa da Pica nel carteg-
gio, colorita con accenti ben più grevi274, quasi dimenticando l’ufficiale tri-
buto che lo stesso autore del Libro di Don Chisciotte offriva a quello che
individuava come un suo modello, sia pure di «bruttissimi versi»275.
Non pochi, com’è fin troppo noto, furono i detrattori di d’Annun-
zio; altrettanti sarebbero stati i coraggiosi estimatori, araldi di un «caso»
letterario alimentato anche dall’egotistica compiacenza dell’interessato. E
il «caso» acquisiva toni accesi anche in coincidenza con gli anni napoletani
dell’Autore, quegli anni di «splendida miseria» così fecondi per la sua
arte276. In quel 1886, però, – proprio mentre dalle colonne della sua «Gaz-
zetta Letteraria» Depanis firmava la severa recensione alle novelle di San
Pantaleone277 – Pica prendeva parte, fra i primi, al dibattito napoletano sul
‘caso d’Annunzio’278; aveva già al suo attivo interventi dannunziani, confer-
mava la sua acutezza critica, la quale si sarebbe ben presto scontrata con
coraggio, proprio sul terreno dannunziano, con la, già pesante, autorità di
Croce279; quel Croce che di lì a poco avrebbe costituito il direttore de facto

273
Sull’antica amicizia che legava i due giovani abruzzesi già al finire degli anni
Settanta cfr. R. GIGLIO, L’invincibile penna..., cit., p. 21 ss.
274
Si veda la lettera del 22 ottobre 1886 del carteggio pichiano. Anche sul ‘duello’
in versi tra Scarfoglio e d’Annunzio si veda infra, nella stessa missiva citata e nell’apparato.
275
Cfr. E. SCARFOGLIO, Il libro di Don Chisciotte, a cura di C.A. Madrignani, Na-
poli, Liguori, 1990 [1885], pp. 162-163: «Io ritrovai in Gabriele ingentilite le mie passioni di
buttero platonico e quella tendenza di espansione all’aperto, di riavvicinamento alla santa e
selvaggia natura che mi trasse nei primi anni della gioventù a scrivere e a stampare bruttis-
simi versi».
276
Su d’Annunzio napoletano cfr. G. INFUSINO, d’Annunzio a Napoli. Poesia, narra-
tiva, giornalismo, donne negli anni della “splendida miseria”, Napoli, Liguori, 1988; il capito-
lo d’Annunzio a Napoli, in E. GIAMMATTEI, Retorica e idealismo. Croce nel primo Novecento,
Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 165-206; e soprattutto i più recenti interventi raccolti nel volu-
me collettaneo d’Annunzio a Napoli, a cura di A.R. Pupino, Napoli, Liguori, 2005.
277
La recensione apparve nella consueta rubrica «Fra romanzieri e novellieri», in
«Gazzetta Letteraria», a. X, n. 20, 15 maggio 1886, pp. 157-159. Uno dei maggiori luoghi di
dibattito fu proprio la testata torinese. Cfr. G. MIRANDOLA, La “Gazzetta Letteraria” e la
polemica dannunziana (1882-1900), in «Lettere Italiane», a. XXII, n. 3, luglio-settembre
1970, pp. 298-324.
278
Per i rapporti Pica-d’Annunzio cfr. M. BOLLINA, Un lettore d’eccezione (Vittorio
Pica e Gabriele d’Annunzio), in «Il Verri», nn. 7-8, settembre-dicembre 1985, pp. 151-166.
d’Annunzio firma inoltre un Omaggio a Vittorio Pica dimissionario dalla Biennale di Vene-
zia, omaggio organizzato da Alberto Martini. Cfr. N. D’ANTUONO, Vittorio Pica e Gabriele
d’Annunzio, in AA. VV., d’Annunzio a Napoli, cit., pp. 111-122.
279
Già nel 1887 Croce aveva osservato: «Se il signor d’Annunzio scrive cattive
liriche, come non di rado gli accade, la colpa è del signor d’Annunzio e non della lirica»
[B. CROCE, La poesia didascalica (Brano di una conversazione), in Nuove pagine sparse,
76 La seduzione dell’arte

di quel Circolo Filologico desanctisiano nel quale Pica stesso faceva in-
gresso nel 1892280. Prima che uscisse Il Piacere, prima che proprio Giulio
Massimo Scalinger sul suo «Fortunio» offrisse una recensione che per
molti versi costituì l’abbrivo per la fortuna critica dannunziana281, Pica fu
tra i primi a mostrare positivo interesse per l’autore, sin dai tempi del loro
incontro alla rivista «Intermezzo» di Domenico Milelli282. Un interesse ben
corrisposto dallo stesso pescarese – il quale nel soggiorno napoletano aveva
annotato il nome e l’indirizzo di Pica283 – e soprattutto anticipava l’atten-
zione dello stesso Scarfoglio. Quest’ultimo, infatti, riprendendo un’antica
amicizia che avvicinava già negli anni Settanta i due allora aspiranti poeti
carducciani284, si sarebbe adoperato per la pubblicazione di L’Innocente e

vol. II, Bari, Laterza, 19662, p. 262]. Proprio sul modello critico crociano, contrapposto a
quello dannunziano, cfr. E. GIAMMATTEI, Retorica e idealismo. Croce nel primo Novecento,
cit., pp. 165-206.
280
In realtà, Pica e Croce si avvicinarono ben presto proprio a proposito delle
vicende del Circolo Filogico, del quale Pica, sotto la direzione di Croce, era componente
del Consiglio Direttivo. Nel 1896, però, in seguito ad alcune controversie nate all’interno
dello stesso Consiglio, tra Croce ed alcuni esponenti dell’ala forense, Croce si dimise dalla
carica di Vicepresidente cui era stato declassato. Pica restò escluso e Bracco, eletto nel
Direttivo, rassegnò le sue dimissioni. Tra le motivazioni delle dimissioni di Croce c’era an-
che la mancata elezione di Pica: «In primo luogo, la mia rielezione è accaduta con numero
così esiguo di voti che a me parrebbe di essere quasi tollerato [..]. In secondo luogo, non
sono stati rieletti con me amici carissimi quali il barone G. Poerio, il cav. Fausto Bavarese,
il duca di Andria R. Carafa, Vittorio Pica e Giuseppe Ceci, alle cui attività deve moltissimo
in questi due anni il Circolo Filologico» (B. CROCE, lettera a Enrico Pessina, 23 gennaio
1896. La lettera fu pubblicata in «Il Mattino», 3-4 febbraio 1896, insieme alla lettera di
dimissioni di Bracco, ora in T. IERMANO, Il giovane Croce e il Circolo Filologico di Napoli...,
cit., p. 238 ss.).
281
La recensione apparve su «Fortunio», a. II, n. 29, 21 luglio 1889. L’anno suc-
cessivo, su «Cronaca Partenopea» diretta da Vincenzo Della Sala, Luigi Conforti firmava un
lungo articolo dedicato a d’Annunzio (I giovani scrittori: Gabriele d’Annunzio, in «Cronaca
Partenopea», a. I, n. 41, 14 dicembre 1890). Nel 1892, con la venuta di d’Annunzio a Na-
poli, la diffusione del dannunzianesimo si intensificava. Luigi Pierro diede alle stampe il
Giovanni Episcopo (1892), dedicato alla Serao, mentre Bideri pubblicò nello stesso anno
L’innocente (con disegno di G.A. Sartorio). E fu proprio sulle colonne del «Mattino» che
trovò spazio nel 1893 Il trionfo della Morte. Cfr. G. DORIA, Mondo vecchio e nuovo mondo,
Napoli, ESI, 1966, p. 169 ss.; E. GIAMMATTEI, d’Annunzio a Napoli, cit., p. 165 ss. Cfr. an-
che AA. VV., d’Annunzio a Napoli, cit.
282
Cfr. N. D’ANTUONO, Vittorio Pica e Gabriele d’Annunzio, cit., p. 205 ss.
283
Il nome di Pica compariva affianco a quello del libraio-editore Luigi Pierro e
Angelo Conti, romano di nascita ma napoletano di adozione (Cfr. G. D’ANNUNZIO, Taccuini,
a cura di E. Bianchetti e R. Forcella, Milano, Mondadori, 19762, p. 11). In realtà, i due
uomini di Lettere, almeno fino all’altezza dell’estate 1892, non si frequentavano, come atte-
sta una lettera di Pica a De Roberto (23 luglio 1892, in V. PICA, Lettere a Federico De Ro-
berto, a cura di G. Maffei, Catania, Biblioteca Fondazione Verga, 1996, p. 172).
284
Su questi rapporti cfr. il capitolo La formazione giovanile in R. GIGLIO, L’in-
vincibile penna ..., cit., p. 47 ss. Gran parte delle notizie sulla giovinezza di Scarfoglio
Pagliara in contesto 77

proprio a d’Annunzio avrebbe affidato il compito di rappresentare la ‘gran-


de letteratura’ sul suo nuovo foglio, «Il Mattino»285. Era quella stessa «ani-
ma d’artista curiosa (nel senso elevato della parola) che s’interessa ad ogni
nuova tendenza»286, che Pica rinveniva in De Roberto, ma forse prim’an-
cora in se stesso. Una «curiosità» che non poteva non collidere con la se-
vera e reazionaria rigidità dell’autore del Risotto al Pomidauro, il Raphaele
Pannunzio [Scarfoglio] del quale i due amici, Pica e Pagliara, seguono con
superbo distacco i ripetuti attacchi antidannunziani287.

5. «O rinnovarsi, o morire!»

Correvano, intanto, gli ultimi anni Ottanta; il divario con le posi-


zioni di Scarfoglio e Serao, e di molti altri intellettuali, per Pica era desti-
nato ad ampliarsi. Erano ancora calde le accuse di zolismo oltranzista,
ancora caldo il noto scontro che Pica sostenne con Scarfoglio, Serao,
Torraca, Mazzoni, Bonghi e altri già tra il 1882 e il 1883, in occasione di
Pour une nuit d’amour e Au Bonheur des Dames. Quelle opere, infatti,
avevano animato un acceso dibattito contro Pica, dibattito capeggiato an-
che da Scarfoglio ed ospitato in parte, oltre che sulla «Domenica Lettera-
ria», sul «Fantasio»288. Intanto, però, lo stesso critico, senza mai rinnegare

e sui suoi costanti precocissimi rapporti con d’Annunzio si ricavano dall’epistolario edito
in A. SCANO, Viaggio letterario in Sardegna, Foligno-Roma, Campitelli 1932, pp. 168-204.
285
Sull’attività di d’Annunzio al «Mattino» oltre alla vasta bibliografia sulla pre-
senza partenopea del poeta, cfr. G. INFUSINO, d’Annunzio a Napoli. Poesia, narrativa, gior-
nalismo, donne negli anni della “splendida miseria”, cit., pp. 85-195.
286
V. Pica, lettera a Federigo De Roberto, 4 febbraio 1890, in V. PICA, Lettere a
Federigo De Roberto, cit., p. 143.
287
Sui notissimi versi Risotto al Pomidauro apparsi a firma di Raphaele Pan-
nunzio [Scarfoglio] e sulla polemica degli anni Ottanta tra Scarfoglio e d’Annunzio cfr.
infra, lettera di Pica del 22 ottobre 1886 e le relative note. Nella citata lettera Pica rendi-
conta a Pagliara i punti salienti della polemica Scarfoglio-d’Annunzio. Nella Biblioteca
Rocco Pagliara, inoltre, è custodito un ritaglio di giornale messo da parte da Pagliara,
contenente la lettera di d’Annunzio in risposta ai versi di Scarfoglio; lettera apparsa nel
«Corriere di Roma illustrato» il 27 ottobre 1886. Sul Pica critico di d’Annunzio, cfr. Vitto-
rio Pica, p. 19 ss.
288
Cfr. V. PICA, Pour une nuit d’amour, in «Nuova Rivista», 28 gennaio e 4 febbra-
io 1883; ID., Au Bonheur des dames, in «Il Momento», a. I, 16 giugno 1883, poi in All’avan-
guardia, pp. 126-137. La recensione di Pica a Pour une nuit d’amour si proponeva come
risposta polemica alla recensione firmata dal Mazzoni ne «La Domenica Letteraria» il 19
novembre 1882. Recensione severa, che trovava piena approvazione da parte di Giulio Sal-
vadori, in chiara polemica anti-pichiana. Cfr. G. Salvadori, lettera a Mazzoni, 22 aprile 1883,
in Lettere, a cura di P.P. Trompeo e N. Vian, Firenze, Le Monnier, 1945, pp. 24-25: «Io mi
congratulo con te della polemica zoliana dove avevi completamente ragione. E m’auguro
78 La seduzione dell’arte

i suoi studi su Zola e sul naturalismo, si proiettava verso altri, nuovi, inte-
ressi letterari. Era il progressivo distacco da «una letteratura fondata sulla
verità»289 e l’avvicinamento all’arte ‘aristocratica’, avvicinamento giustifica-
to tra i primi proprio a Pagliara:

[...] i miei recenti studi su Mallarmé e Verlaine, i quali [...] sono riusciti
molto poco graditi al gruppo verista francese, non sono forse la prova
più eloquente che io non mi sono punto fermato alla prima taverna, alla
taverna del Naturalismo, e che so mostrarmi anche eclettico, in una cer-
ta forma e dentro certi limiti e purché non si tratti mai d’idealismo ba-
nale? Dunque l’accusa d’aver io strapazzato questo o quel poeta soltanto
perché idealista e che dell’idealismo per se stesso io abbia fatto un capo
di accusa parmi che non abbia base solida290.

D’altronde fu proprio a Pica che Pagliara chiese aiuto per la reda-


zione dei suoi articoli dedicati a Wagner, domandando di indicargli i nomi
dei wagneriani francesi291. Era il 1886 e Pica aveva già intrapreso la ‘strada
per Sibari’292. Pur mai rinnegando la sua adesione al naturalismo (come

che tu seguiti con quel suono Di cui le Piche misere sentiro / Lo colpo tal che disperar
perdono». All’articolo di Pica sulla «Nuova Rivista» risponde nuovamente Mazzoni, con un
articolo, Per una novella, apparso in «La Domenica Letteraria» il 25 febbraio 1883. La rispo-
sta di Pica apparve sulla stessa rivista il 18 marzo 1883, con l’ennesima risposta di Mazzoni,
apparsa sulla stessa rivista nel numero del 1o aprile 1883, Per finire. Su Au bonheur des
dames, invece, era intervenuto Salvadori ne «La Domenica Letteraria» del 22 aprile 1883.
Sulle polemiche critiche di Pica in quegli anni, cfr. T. IERMANO, Il critico aristocratico: Vit-
torio Pica, in Raccontare il reale, Napoli, Liguori, 2004, pp. 145-169, alle pp. 148 ss.
289
Cfr. V. PICA, Ancora per una novella, in «La Domenica Letteraria», 18 marzo
1883: «l’arte per aver ragione di esistere, deve adattarsi all’ambiente del proprio secolo [...]
quindi, essendo il nostro un secolo di tendenze scientifiche, bisogna che ad esso corrispon-
da una letteratura fondata sulla verità».
290
V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 13 marzo 1887. Per Verlaine si fa qui riferi-
mento a V. PICA, I Moderni Bizantini. III Paul Verlaine, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 46,
14 novembre 1885; n. 47, 21 novembre 1885 e n. 48, 28 novembre 1885; poi in Letteratura
d’eccezione, pp. 33-88. Questo saggio, inoltre, fu tradotto in francese forse da Fénéon e
pubblicato nella «Cravache Parisienne» 3 novembre 1888. Cfr. A. FONGARO, Bibliographie
de Verlaine en Italie, Firenze, Sansoni, 19762, p. 79.
291
All’influsso di Wagner nella letteratura francese Pica si era dedicato anche nel-
l’articolo recensione a Les Hantises di Edouard Dujardin. Cfr. V. PICA, “Les Hantises”, in
«Gazzetta Letteraria», a. X, n. 11, 13 marzo 1886, pp. 86-87, ora in “Arte aristocratica”, pp.
183-190. Sulla stessa «Gazzetta Letteraria» Pica aveva scritto di Wagner (cfr. supra). Nel
saggio dedicato a Mallarmé, inoltre (in Letteratura d’eccezione, cit., pp. 187-204), un intero
paragrafo è dedicato a Wagner. Un’altra recensione al testo di Dujardin Pica pubblicò sulla
rivista «Conversazioni della Domenica», a. I, n. 13, 28 marzo 1886.
292
Sul «sibaritismo» di Pica cfr. N. D’ANTUONO, La Chimera e la Sfinge nel Des
Esseintes italiano, cit., pp. 29-34; Vittorio Pica, pp. 99-114; T. IERMANO, Dai Bizantini ai
Sibariti. La “Cronaca Sibarita” (1884-1885) nella società letteraria napoletana, in «Giornale
storico della letteratura italiana», a. CXII, n. 557, I trimestre 1995, pp. 91-107.
Pagliara in contesto 79

attesta la dura recensione al saggio crociano La critica letteraria)293, Pica –


non senza evidenti contraddizioni – è ormai sempre più sedotto anche dalla
‘sfera della soggettività’ che trovava proprio nella sensibilità wagneriana
una delle più alte espressioni. Il Wagner di Pica era accostato a Verlaine o
ai De Goncourt di Idées et sensations (che assurgeva da titolo a sistema di
pensiero). Era l’abbrivo per una letteratura del «pessimismo» idealista che
avrebbe trovato in Dujardin appunto, ma anche in Bourget, Huysmans e
Rod, alcune delle massime espressioni; fino a stravolgere il genere stesso
del romanzo, ormai troppo legato ad una rappresentazione della realtà che
sembrava costringere e limitare la nuova scrittura soggettiva294. «L’unico
rimedio contro questo fastidioso stato dello spirito – avrebbe scritto anni
dopo –, contro questa patologica apatia cerebrale è di esiliarsi dal mondo
reale e di viaggiare negli iperbolici mondi fantastici»295.
La polemica sul «caso Wagner» veniva quindi individuata non
tanto, o non solo, nel diverso registro compositivo, quanto piuttosto inqua-
drata all’interno di una nuova sensibilità antipositivista alla quale il pubbli-
co e la critica non si mostravano ancora del tutto pronti. Era l’«aristocrazia
artistica» di Wagner come di Mallarmé o Dujardin – e dello stesso d’An-
nunzio dell’Isotteo e della Chimera296 – aristocrazia dalla quale Pica negli
anni Ottanta fu tanto affascinato fino ad esserne avvinto297.
Tutto iniziava, forse, con l’incontro ideale con Poictevin e col Rod
di La course à la mort, seguito dall’incontro con il Huysmans di A Re-
bours. Queste letture accompagnarono l’‘adesione’ di Pica alla causa deca-

293
Cfr. V. PICA, rec. a B. CROCE, La critica letteraria, in «Fortunio», a. VIII, n. 4, 2
ebbraio 1895, p. 1. In questa recensione al volume crociano (La critica letteraria: questioni
teoriche, Torino, Loescher, 1894) emerge con evidenza che, ancora all’altezza del 1895, Pica
si trovava in polemica con Croce in difesa del positivismo; affermava di condividere «molto
di rado le idee ed i principii manifestati in questo volume da Benedetto Croce, il quale è un
fiero avversario di quel positivismo di cui io sono un modesto ma convinto seguace» (ibidem).
294
Cfr. ID., “Les Hantises”, cit., pp. 184-185: «Nella bellissima prefazione a
Chérie, Edmondo de Goncourt affermava essere necessario trovare una denominazione di-
versa da quella di ‘romanzo’ per i libri moderni di pura analisi e di scrupolosa osservazione;
ed aveva ragione, perché le parole ‘romanzo’, ‘novella’, ‘racconto’ risvegliano inevitabilmen-
te l’idea di un qualche intreccio, di avventure sentimentali o drammatiche [...], mentre in-
vece nella maggior parte dei libri contemporanei composti con procedimenti e secondo
ideali molto differenti non trovasi nulla di tutto ciò».
295
ID., Letteratura d’eccezione, cit., p. 123.
296
Cfr. ID., L’Isotteo e La Chimera di Gabriele d’Annunzio, in «Cronaca Parteno-
pea», a. I, n. 29, 28 settembre 1890, ora in “Arte aristocratica”, pp. 207-213, a p. 207.
297
Sul Pica vicino al decadentismo, oltre alla citata bibliografia, si vedano: L.
DE NARDIS, Prospettive critiche per uno studio su Vittorio Pica e il decadentismo france-
se, cit.; C. CORDIÉ, A proposito di Vittorio Pica e del Decadentismo francese, in «Rassegna
di cultura e vita scolastica», a. XXII, nn. 11-12, nov-dicembre 1968, pp. 7-8.
80 La seduzione dell’arte

dente, come espressione delle «angoscie pessimiste» e delle «bizantine


raffinatezze di una certa parte dell’attuale generazione»298. In questo pa-
norama di interessi, mutevole e non sempre coerente, s’inquadra anche
l’attenzione per Anatole France, cui il Pica degli anni Novanta dedicava
due articoli, destinandoli con coraggio ad un pubblico forse ancora non
preparato come quello del supplemento domenicale del «Mattino» di
‘Donna Matilde’299.
Si tratti di ‘conversione’ o di ‘graduale avvicinamento’, Pica vive
questo passaggio non sempre compreso neppure dal suo più fidato e affine
amico e collega, Felice Cameroni, il dedicatario di All’avanguardia che
vedeva in lui soltanto un «ex compagno di propaganda verista ed ora irri-
conducibile avversario»300. Pagliara fu tra i primi a condividere quest’avven-
tura anti-naturalista e bizantina, alla quale si sentiva forse molto più versato
che non alla causa del naturalismo sposata da Pica negli anni precedenti.
Prova ne è il fatto che nei carteggi con Pagliara il critico non si spende nel
difendere queste nuove posizioni: il parziale silenzio riguardo alle teorie
estetiche, evidente nelle lettere a Pagliara dei tardi anni Ottanta e degli
anni Novanta, solo in parte è attribuibile alla scarsa considerazione nei
confronti di Pagliara critico letterario. In parte è forse prova della convin-
zione di trovare in Pagliara un complice acquisito, tutt’altro che uno scet-
tico da convincere.
298
V. PICA, Romanzi e romanzieri. Paolo Alexis – Edoardo Rod – Robert Caze –
Paolo ed Emilio Bonnetain, in «La Domenica Letteraria», a. V, n. 8, 21 giugno 1885. Lo
scritto su Poictevin è il primo dedicato ai ‘moderni bizantini’. Cfr. V. PICA, I moderni bizan-
tini. I. Francis Poictevin, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 18, 2 maggio 1885 (poi in Al-
l’avanguardia, pp. 289-300, infine in Letteratura d’eccezione, cit., pp. 291-336). Sul Pica
critico di Huysmans cfr. infra, il carteggio.
299
Si tratta di due articoli che, insieme ad altri apparsi sullo stesso periodico,
arricchiscono la bibliografia pichiana finora conosciuta. Cfr. V. PICA, Anatole France, in
«Mattino-supplemento», a. I, n. 8, 19 agosto 1894, p. 1; ID., Le Lys Rouge, in «Mattino-
supplemento», a. I, n. 9, 26 agosto 1894, pp. 2-3. Oltre a questi articoli su France, a firma
di Pica apparvero sul «Mattino-supplemento» i seguenti interventi: Mimi e pantomime, a. I,
n. 21, 18 novembre 1894, pp. 1-2; Poesia autunnale [rec. ad André Theuriet, Jardin d’autu-
mne, Paris, lemerre, 1894], a. I, n. 23, 2 dicembre 1894, p. 1; Un poeta portoghese. Eugenio
De Castro, a. I, n. 27, 30 dicembre 1894, pp. 1-2; Il canzoniere d’una madre, a. II, n. 4, 27
gennaio 1894, pp. 1-2; Due strani artisti, a. II, n. 8, 24 febbraio 1895, pp. 1-2; Le poesie di
Giulia Daudet, a. II, n. 19, 26 maggio 1895, p. 2; Impressionisti, divisionisti e sintetisti, a. II,
n. 36, 6 ottobre 1895, pp. 1-2; L’agonia dell’amore [trad. da Eugenio De Castro], a. II, n.
39, 27 ottobre 1895, p. 1. Dato lo stato lacunoso del cartaceo del «Supplemento», conserva-
to presso la Emeroteca Tucci di Napoli, tale bibliografia potrebbe essere incompleta.
300
F. CAMERONI, rec. a Nel sogno di Neera, in «Il Sole», 35, 11 febbraio 1893.
Naturalmente, Pica tenne a difendersi dalle accuse cameroniane anche in una lettera che
apparve nello stesso «Sole», XXX, 140, 17 giugno 1893. Eloquenti, a tal proposito, sono an-
che gli affettuosi riferimenti polemici di Cameroni contro Pica contenuti nel carteggio tra i
due autori (Cameroni).
Pagliara in contesto 81

Volendo quindi superare le formule, naturalismo o sibaritismo,


realismo o bizantinismo, l’ampio carteggio che qui si riporta mostra Pica
desideroso di approfondire i grandi fermenti culturali d’oltralpe, indivi-
duando proprio nel più anziano Pagliara una guida e insieme un sodale in
questa che gradualmente diverrà una vera ‘missione’, diventare «aposto-
lo»301 della cultura francese ed europea in Italia e nel Mezzogiorno. Già
nel novembre 1880 chiedeva a Pagliara le opere di Duranty, di Auguste
Barbier302; e fu sempre Pagliara a procurargli volumi di Sainte-Beuve,
Swinburne303, Théophile Gautier304.
Era una prospettiva europea diversa e distante dalla ‘parentesi
germanica’ di Di Giacomo. Già nella lettera del settembre 1879, oltre a
chiedere a Pagliara testi francesi, Pica non lesina giudizi su Di Giacomo e
su quelle che l’autore stesso definiva novelle che «puzzavano di birra»305:

Ho ricevuto regolarmente i tre numeri del Corriere che contengono la


prima parte della novella di Salvatore306 [Di Giacomo], che ringrazierai
da mia parte.
Tu mi chiedi la mia impressione su di essa? Per dirtela franca mi sembra
che sia, giudicandola da quel tanto che ne ho letto finora, la più debole

301
Cfr. B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, cit., p. 310: «I
giovani, che avevano gusto e disposizioni artistiche, leggevano con avidità i romanzieri veri-
sti e i poeti francesi. E di tra i giovani si fece innanzi un critico e un apostolo di quella
letteratura, Vittorio Pica, il quale tra il 1880 e il 1890 venne scrivendo intorno a tutti i libri
nuovi dello Zola, dei Goncourt, del Maupassant, del Bourget, del Fabre, dell’Huysmans,
del Verlaine, del Mallarmé, e anche dei russi, che allora s’incominciavano a tradurre in
francese».
302
V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 5 settembre 1881, XXV.
303
Cfr. Id., lettera a Rocco Pagliara, 11 ottobre 1880, XVII.
304
Cfr. Id., lettera a Rocco Pagliara, 21 novembre 1880, XX.
305
Cfr. S. DI GIACOMO, Pagina autobiografica, cit., pp. 49-50: «Nel Corriere prin-
cipiai a scrivere alcune novelle di genere tedesco, che, se puzzavano di birra, non gronda-
vano, però, dell’onor dei mariti e del sangue degli amanti. Quelle novelle piacquero, e
l’aver creduto, tanto il Cafiero quanto il Verdinois, che io le copiassi da qualche libro tede-
sco, mi decise, anzi mi costrinse a scriverne molte altre. Dopo tre o quattro mesi eccomi
diventato ordinario collaboratore al Corriere, insieme con Roberto Bracco e Peppino Mez-
zanotte. In quel tempo tutti e tre scrivevano novelle, ci volevamo un gran bene e ci stima-
vamo assai». Per alcune palesi contraddizioni di questo racconto cfr. F. SCHLITZER, Salvatore
Di Giacomo..., cit., p. 29. La prima stesura del testo apparve col titolo Pubblicisti, Salvatore
Di Giacomo, in «L’Occhialetto», 18 settembre 1886. Parte del racconto fu ripreso in Le vie
dolorose. Agl’Incurabili, apparso in «Corriere di Roma illustrato» l’11 luglio 1887 e riporta-
to da A. Fratta in La vita a Napoli, Napoli, Bibliopolis, 1986, pp. 127-140.
306
Si tratta della novella La ladra, apparsa sul «Corriere del Mattino» non in tre,
come crede Pica, ma in quattro puntate nei numm. del 9, 10, 11 settembre 1879. La quarta
e ultima parte dell’articolo era uscita il giorno 12 settembre, proprio nella stessa data della
lettera qui citata.
82 La seduzione dell’arte

delle così dette novelle tedesche, vi manca la varietà e poi quella tede-
scheria che riposa tutta su i nomi dei personaggi, della città, dei vini e
sui cappelli a tricorno, e che sta al vero come i pupattoli di cartapesta
che si veggono sui presepi stanno ai pastori reali, principia col piacere e
finisce col ristuccare. Noto inoltre che i primi 5 capitoletti della Ladra
sono del tutto superflui e non hanno alcuna relazione col resto del rac-
conto; cosa che mi permisi di far notare all’autore, che non si è degnato
di darmi ascolto, quando mi espose tutto il piano della novella307.

Se comune ai due autori, dunque, era l’interesse per la cultura


europea, Pica prendeva le distanze dalla «tedescheria» digiacomiana che
valse al giovane novelliere molte critiche308, e che lo condusse fino alle
dimissioni dal «Pro Patria» di Imbriani a causa di Wagner309, ma che an-
che avvicinava Di Giacomo a Pagliara. Come anche lo stesso Pica, ancora
nel 1895, si trovava a controbattere al già maestro Croce, opponendo ai
«prediletti esteti tedeschi» il Brunetière di L’Evolution des genres dans
l’histoire de la littérature, che con ogni probabilità ha tanto suggestionato
la sua fede nella «evoluzione» dell’arte310.
Purtroppo, l’assenza delle corrispondenze di Pagliara a Pica non
permette di completare questo quadro complesso di confronti critici e sti-
moli; tutto fa supporre, però, che al giudizio pichiano su Di Giacomo ab-

307
V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 12 settembre 1879, V.
308
Sarà la redazione stessa del «Corriere del Mattino» a scrivere: «Molti ci chie-
dono il nome dell’autore di questa novella, che ha avuto nel pubblico dei lettori un grandis-
simo successo. Oggi la ripubblica nelle sue appendici la ‘Gazzetta Letteraria’ del Bersezio.
L’autore è il sig. S. di Giacomo, giovanissimo. Ci presentò questo suo scritto che ci parve
assai bello e che accettammo con gratitudine. Incominciatane la pubblicazione, ci fu detto
da qualcuno che l’Odochantura non era cosa nuova; altri accennò a traduzione dal tedesco;
altri arrivava persino a dire il seguito e la fine della novella. A questi sospetti davano appa-
renza di verità i pregi singolari dello scritto [...]. Per questo non abbiamo apposto alla no-
vella la firma dell’autore, non avendo mezzo di veder lui ed aspettando che gli accusatori ci
dessero prova palpabile dei loro sospetti. La prova non è venuta; e invece il sig. Di Giaco-
mo, che abbiamo ogni ragione di stimare per le qualità dell’animo come per quelle della
mente, è tornato da noi e ci ha affermato che la novella è sua, come ora noi stessi non
dubitiamo» (in «Corriere del Mattino», 17 giugno 1879). Cfr. O. OSSANI, Salvatore Di Giaco-
mo, in «Cronaca Rosa», a. IV, 29 giugno 1884: «[Di Giacomo] Incominciò a scrivere, alcuni
anni or sono, nel Corriere del Mattino certe novelle ammirevoli per colore locale ... tede-
sco. Ce n’era tanto, che tutti si affrettarono a dirle non sue, non originali, ma tradotte da
qualche vecchia raccolta di novelle tedesche; costrinsero così il novelliere debuttante, a
trattenersi, letterariamente, in quella Germania che aveva visitata solo con la fervida imma-
ginazione. Poi intercalò a quelle fantasie nordiche, alcuni bozzetti napoletani, in prosa od in
versi d’una verità viva; e finalmente un bel giorno venne fuori con un Minuetto Settecento,
che odorava di polvere d’iris».
309
Cfr. supra.
310
Cfr. V. PICA, rec. a La critica letteraria, cit.
Pagliara in contesto 83

bia contribuito in modo rilevante proprio l’amico-nemico digiacomiano


Rocco Pagliara.
I due carteggi, quindi, oltre a restituire un interessante portrait di
un ancora poco noto meridionale europeo, risultano ricchi di connessioni.
Se le lettere di maggiore interesse tra Pagliara e Di Giacomo si collocano
nei primi anni Ottanta, il carteggio tra Pagliara e Pica si sviluppa senza
soluzione di continuità. Segue il complesso percorso critico pichiano, dal-
l’entusiastica ricezione dello zolismo alle accese dispute sugli artisti «aristo-
cratici», fino a quella che può intendersi come conversione alla critica d’ar-
te, consumata, o celebrata, nel 1898 – in coincidenza con la fine della
corrispondenza – con la pubblicazione del volume dedicato alla Letteratura
d’eccezione311, il quale si presenta, è stato osservato, «meno come un bilan-
cio che come un documento programmatico di militanza intellettuale»312.
Era forse un’anticipazione dell’imperativo del Giovanni Episcopo
dannunziano, «o rinnovarsi o morire!»; l’adesione ad un principio di evolu-
zione, dell’arte come della critica, che Pica – anche senza una piena con-
sapevolezza – aveva in mente già all’altezza dei suoi primi interventi e
mise in luce nel suo Romanticismo, realismo, naturalismo, proprio sulle
colonne del «Fantasio»313, quasi a proposta programmatica per quel grup-
po di redattori. Un principio di evoluzione che fondava su solide basi la
sua citata simpatia per d’Annunzio, autore che «più d’ogni altro letterato
d’Italia, ha la mente aperta ed attenta ad ogni intellettuale evoluzione di
questa torbida, irrequieta, mutabilissima fine di secolo»314. Nel corso degli
anni Novanta questa fede nell’evoluzione si sostanzia e rinvigorisce, indivi-
duando nell’arte bizantina la naturale espressione di una nuova società, un
«particolare e curioso stato dell’anima moderna» che lascia al critico «sa-
gacemente ecclettico [...] il dovere di studiare e di analizzare, con com-
prensiva simpatia tale nuova evoluzione estetica»315.
E proprio questa attenzione all’«evoluzione estetica» motiva e raf-
forza il suo progressivo anti-realismo, che si colora e sostanzia nell’ade-

311
V. PICA,Letteratura d’eccezione, cit.
312
U. PISCOPO,Vittorio Pica. La protoavanguardia in Italia, Napoli, Cassitto, 1982,
pp. 15-16. Sul Pica critico d’arte si veda anche J. DE GOURMONT, Vittorio Pica critique d’art,
in «Mercure de France», t. LXXXI, 1 janvier 1908; D. GALEONE, Vittorio Pica e Giuseppe De
Nittis, Taranto, Scorpione, 1997; Omaggio a Vittorio Pica, Raccolta internazionale d’arte
offerta dagli autori in omaggio a Vittorio Pica, a cura di A. Martini, Milano, Galleria Scopi-
nich, 1928.
313
Cfr. V. PICA, Romanticismo, realismo, naturalismo, cit., p. 18.
314
ID., Arte aristocratica, in “Arte aristocratica”, p. 266.
315
ID., Cronache d’arte e di letteratura. Un nuovo libro di Neera, in «Il Paese», a.
V, n. 144, 26 maggio 1893.
84 La seduzione dell’arte

sione alla modernità e all’innovazione del gusto. Volendo, anzi, cercare i


motivi comuni ai tre autori, questi vanno forse rinvenuti non nel natura-
lismo, piuttosto in una disposizione critica ‘aristocratica’, nota e concla-
mata per Pica, meno invece per Di Giacomo o per Pagliara. Era una sorta
di nobiltà critica, che si esprimeva in una Sehnsucht tutta bohèmienne,
evidente sin dall’intervento pichiano su Albert Glatigny – eccentrico par-
nassiano vicino a Baudelaire – nel cui ritratto Pica osservava, non senza
compiacente condivisione:

La bohème non è una scuola artistica [...], ma è l’insieme di quegli indi-


vidui, i quali debbono, per soddisfare le loro aspirazioni artistiche, lotta-
re incessantemente con le esigenze della vita quotidiana e con la società,
che o li schernisce o li disprezza316.

A questa cerchia di intellettuali Pica sente di appartenere, e forse


ancora appartengono anche i due cofondatori del «Fantasio», Pagliara e
Di Giacomo. Una bohème tutta partenopea, per quanto Napoli sia solita-
mente esclusa dalle mappe ufficiali della geografia letteraria della bohème,
come anche del suo adattamento nazionale, scapigliato317. Era una generi-
ca, e forse anche poco consapevole, «condizione esistenziale»318, alla quale
presero parte molti dei giovani letterati ventenni, moventesi tra «Rivista
nuova», «Il Corriere del Mattino» e quindi ideatori del «Fantasio», fino
alla «Cronaca Sibarita». Una tendenza che spesso trovava sbocco in
sconfinamenti nelle regioni del fantastico, intesi come ‘variazioni’ al natu-
ralismo, per sfuggire al bozzettismo o alla novella sentimentale, sulle trac-
ce di un percorso battuto, allora, da Vincenzo Giordano Zocchi, o meglio
dal Verdinois di Nebbie germaniche e di Racconti inverisimili, e che coin-
volgeva il Di Giacomo delle «novelle che puzzavano di birra»319. Era l’odio

316
ID., Alberto Glatigny, cit., a p. 341. Cfr. A. GAUDIO, La sinistra estrema dell’ar-
te: Vittorio Pica alle origini dell’estetismo in Italia, Manziana, Vecchiarelli, 2006.
317
A questa geografia si attengono gli studi sull’argomento. Tra i più recenti: I.
CROTTI-R. RICORDA, Scapigliatura e dintorni, in Storia letteraria d’Italia. L’Ottocento, a cura
di A. Balduino, Milano, Vallardi, 19922, pp. 1-94; G. FARINELLI, La scapigliatura. Profilo
storico, protagonisti, documenti, Roma, Carocci, 20072.
318
D. ISELLA, Approccio alla Scapigliatura, in ID. I lombardi in rivolta, Torino,
Einaudi, 1984, pp. 231-239.
319
Cfr. il saggio di N. D’ANTUONO, La Chimera e la Sfinge nel Des Esseintes ita-
liano, cit., p. 19 ss. Cfr. anche L. MONTELLA, Sui racconti inverisimili di Federigo Verdinois,
in AA. VV., Letteratura e cultura a Napoli tra otto e Novecento, cit., pp. 397-406. Nello stes-
so vol., cfr. E. GRIMALDI, Salvatore Di Giacomo novelliere ‘sentimentale’, ivi, pp. 346-357.
Cfr. anche R. GIGLIO, La letteratura del sole, Napoli, ESI, 1995, p. 106 ss.; il capitolo La
realtà fantastica di Salvatore Di Giacomo di T. IERMANO, Il melanconico in dormiveglia...,
cit., pp. 39-57.
Pagliara in contesto 85

per la ‘volgarità’ e banalità «del nostro secolo borghese»320, che giustificava


l’attenzione singolare di Pica a Bouilhet e che avrebbe costituito la sua
patente d’ingresso all’interno dei circoli letterari romani, insieme agli ami-
ci De Roberto e Cesareo, già collaboratore – quest’ultimo – del «Fanta-
sio»321.
Era una Sensucht che fondava su solide basi l’amicizia di Pica con
Pagliara322, e anche in parte con Di Giacomo, quella che emerge calda e
appassionata nelle lettere, per esempio, a proposito della prefazione a Rit-
mi e fantasie di Federigo Casa. Erano i primi mesi del 1887 e Pica confi-
dava al suo amico-censore il suo metodo; giustificava le sue scelte, con
lettere che offrono un capitolo meta-letterario che è quasi richiesta di le-
gittimità a quella prefazione-saggio tanto criticata (si deduce) da Pagliara.
In quelle lettere, forse più che altrove, si svela l’entusiasmo scapigliato dei
due giovani amici, testimoniato poi, nelle lettere successive, dai continui
rimandi agli autori amati dalla scapigliatura, da Bouilhet a Murger323.
Un’adesione, consapevole forse solo nel Pica, che si trovava co-
munque a fare i conti con un generale eclettismo, segno distintivo di un
diffuso desiderio di rinnovamento culturale che attraversava l’Italia di quei
decenni, sempre nel segno del dilettantismo. Un eclettismo suggellato
dallo stesso De Sanctis come «la tolleranza e la libertà di coscienza, la
prima vittoria delle idee nuove»324. La stessa apertura alla letteratura stra-
niera della Napoli ottocentesca (Pagliara e Pica in testa, più che Di Giaco-
mo) fondava sempre su un «dilettantismo diffuso ed extra-accademico,
che la faceva forse meno appariscente, ma più capillare e tenace»325. Era

320
V. PICA, Luigi Bouilhet, in «Fantasio», a. I, n. 2, 25 agosto 1881, pp. 2-3. La
seconda parte dell’articolo apparve in «Fantasio», a. I, n. 3, 10 settembre 1881, pp. 2-3.
321
Fu, però, proprio Cesareo, per esempio, a scorgere nella scuola dei decadenti
e parnassiani il tramonto del romanticismo, ma anche una poesia difettosa «di colore, di
vita» (G.A. CESAREO, Ancora dei Parnassiani, in «Fanfulla della domenica», 26 aprile 1885).
Sul tema, cfr. G. OLIVA, Nobili spiriti..., cit., pp. 107-136.
322
Nella FP sono conservate le caricature di Lorenzo Stecchetti e di Arrigo Boito.
Cfr. Rocco Pagliara, p. 122. Fu Pagliara, inoltre, a recensire con entusiasmo, cogliendo l’oc-
casione per digressioni estetiche, la Bohème di Puccini, rappresentata a Napoli nel marzo
1896. Cfr. R. PAGLIARA, Al San Carlo. La Bohème, in «Il Mattino», 15-16 marzo 1896.
323
Si vedano le lettere di Pica del 2 agosto 1880, 15 gennaio 1881 e la lunga
missiva del 13 marzo 1887. Cfr. anche infra.
324
F. DE SANCTIS, Zola e l’Assomoir, cit., p. 454.
325
F. FINOTTI, Sistema letterario ..., cit., p. 12. Sull’eclettismo dilettantistico della
cultura napoletana del tempo, cfr. anche A. SCIROCCO, Dall’Unità alla prima guerra mondia-
le, in AA. VV., Storia di Napoli, Napoli, Società Editrice Storia di Napoli, vol. X, Napoli con-
temporanea, 1971, pp. 1-123; C. SCARANO, Cultura politica e amministrazione pubblica a
Napoli dopo l’Unità, in AA. VV., Storia e civiltà della Campania, a cura di C. Pugliese Carra-
telli, Napoli, Electa, 1995, vol. V, pp. 73-90; N. RUGGIERO, La civiltà dei traduttori..., cit.
86 La seduzione dell’arte

un dilettantismo che trovava espressione anche nella sincera adesione al-


l’attività pubblicistica – per le caratteristiche varietas e brevitas dell’arti-
colo di giornale – alla quale Pica si dedicava con tenacia, non senza qual-
che riserva che tradisce la sempre più forte vocazione al volume, come
spiega in un breve autoritratto a tal fine significativo. A proposito, infatti,
del progetto – realizzato solo in parte con All’avanguardia – di un volume
sui Moderni bizantini, scriveva il 5 settembre 1881:

Vorrei farla questa serie di profili letterari per non svolazzare continua-
mente dalla novella all’articolo leggiero, e per poter dire dopo un certo
tempo di aver scritto un insieme di articoli concreto, per quanto poco
importante. Forse in seguito mi mancherà la costanza per mettere in
effetto questo mio progetto, forse me l’impediranno altre ragioni; ciò
che per il momento non mi manca è la buona volontà.

Questa epistolarità «pubblicistica»326, mostra piena consapevolez-


za delle leggi economiche che fondavano il mercato editoriale, spesso ‘uti-
lizzando’ il giornale come veicolo, in funzione strumentale rispetto alla
saggistica in volume:

Per non essere sopravanzato da tutti gli altri, per ottenere e conservare il
posto meritato dal proprio talento bisogna, pur non rinunziando mai ad
avere come guida un alto e luminoso ideale d’Arte, darsi da fare ungui-
bus et morsu, sapere, a tempo e luogo, giuocare d’abilità ed anche
d’astuzia, e profittare, senza però mai abbassarsi a far concessioni umi-
lianti, d’ogni occasione di réclame. È triste, ma così è, e bisogna rasse-
gnarcisi per non fare la figura dello sciocco. Io me ne sono persuaso, ed
ora, benché abbia tuttavia delle ripugnanze, delle ribellioni e degli inabi-
li scatti di sincerità brutale, mi sono liberato della primitiva ingenuità ed
ho acquistato una sufficiente dose di accorgimento e di furberia. [...]
Grazie di cuore per le buone ed amichevoli parole, che mi dici a propo-
sito del mio studio su Mallarmé, ma in quanto a pubblicarlo in un fasci-
coletto separato non credo sarebbe prudente, poiché l’estetica dell’altie-
ro poeta e pensatore francese troppe ostilità trova tuttora presso il gran
pubblico non solo, ma anche presso il ristretto gruppo degli intelligenti,
e queste ostilità quasi certamente si rivolgerebbero contro di me e mi
creerebbero un gran brutto debutto327.

326
La tipologia è stata proposta da N. RUGGIERO, Introduzione a Lettere a de
Goncourt, p. 13. Una prima ampia campionatura dei carteggi è in G. TELLINI, Scrivere let-
tere. Tipologie epistolari nell’Ottocento italiano, Roma, Bulzoni, 2002. Sull’epistolarità mo-
derna e contemporanea si vedano anche, tra gli altri, E. GIAMMATTEI, In memoria dello scri-
ver lettere. Il gioco dei carteggi, in «Prospettive Settanta», XIII (1991), nn. 2-3, pp. 415-428;
EAD., Bendetto o della Verità. Croce scrittore ed editore di lettere, in EAD., La biblioteca e
il Dragone. Croce, Gentile e la letteratura, Napoli, Editoriale Scientifica, 2001, pp. 241-278.
327
V. PICA, lettera a Rocco Pagliara, 23 dicembre 1886, LVI.
Pagliara in contesto 87

L’arte, dunque – arte ‘europea’ –, pur se a stenti e con notevoli


difficoltà, iniziava a sedurre un pubblico elitario, già curioso, pronto ad
accogliere il ‘girotondo delle Muse’, in una doppia apertura, geografica e
si direbbe stilistico-espressiva, in un dialogo tra pittura, musica, poesia,
narrativa, senza confini territoriali e neppure di genere.
A questo fecondo dilettantismo può ascriversi Pagliara, distante dal
naturalismo – al quale aveva sempre rifiutato di «convertirsi»328 – e aderen-
te ad un orientamento della cultura nazionale di fine secolo: I fiori del male
furono tempestivamente raccolti da Praga329, insieme coi bohémiens Mur-
ger o Champfleury, nutriti poi del ribellismo che animava Vallès, quest’ul-
timo escluso dall’ingresso della bohème entro il confine della ideale ‘repub-
blica’ partenopea; escluso ma conosciuto, come attesta Pica nel chiedere a
Pagliara proprio i volumi del ribelle autore dei Refrattari330.
Erano, quindi, le suggestioni della bohème, del fantastico e del
parnasse, l’apertura finanche al «dandy» di gusto francese331, di cui arriva-
va forte eco nella vita letteraria di fine secolo della ‘provincia napolitana’.
Per Di Giacomo, Pica e Pagliara, però, può dirsi che non si trattava della
semplice reazione al positivismo; non era solo la registrazione della «ban-
carotta della scienza». Sia pur con maturità ed elaborazioni teoriche diver-
se e con differente consapevolezza, questa Sehnsucht era fondata anche
su una naturale misura d’animo, si direbbe tesa alla ‘nevrosi’, desiderosa
di solitudine, della quale i tre autori quasi si compiacevano, non scevri
dall’intento di restituire al pubblico una costruita ‘immagine’ letteraria di
sé. Di Giacomo, infatti, si diceva affetto da una «nevrastenia tormento-
sa»332, era additato come personaggio schivo, paralizzato da un «soverchio

328
Sia pure in assenza di scritti propriamente critico-teorici, resta testimonianza
utile una lettera di Pica del 4 settembre 1883, XLIV. A proposito di un articolo su Rossini,
infatti, apparso a firma di Pagliara nel «Capitan Fracassa», Pica commenta: «bravo, veggo
che anche tu ti vai a poco a poco e forse inconsciamente convertendo a quel Naturalismo,
da te pur così spesso messo in berlina, difatti e l’argomento del tuo articolo ed i documenti
umani che lo accompagnano sono lì a dimostrare irrefutabilmente la tua conversione».
329
Cfr. P. GIBELLINI, La voce di Baudelaire, la libreria Praga, in L’Adda ha buona
voce, Roma, Bulzoni, 1984, pp. 209-234.
330
Scriveva Cameroni: «La Bohème di Murger sta ai Refrattari di Vallès come il
sorriso all’imprecazione. La prima è il ditirambo della Scapigliatura, i secondi ne costitui-
scono il martirologio. È la stessa frazione di società studiata sotto due punti di vista. Mur-
ger ne rivela l’inesauribile potenza di affetti, Vallès la potenza del sacrificio» (Il pessimista,
Introduzione a J. VALLÈS, I refrattari, Milano, Sonzogno, 18844). Espliciti riferimenti allo
scrittore francese sono nella lettera di Pica a Pagliara, 5 settembre 1881, XXV.
331
In una lettera del 1895, Pica chiede a Pagliara i versi di Robert de Monte-
squiou. Cfr. infra.
332
Cfr. S. DI GIACOMO, lettera a Giuseppe Mezzanotte, 7 agosto 1895, in G. OLIVA,
Giuseppe Mezzanotte ..., cit., p. 189: «Carissimo, io sono ammalato da un pezzo d’una ne-
88 La seduzione dell’arte

senso di scontento» e chiuso in un «vagabondaggio della fantasia»333, fino


a concepire l’arte come «malattia dell’anima»334. Pica, dal canto suo, era
suggestionato da Idées et sensations, dalla capacità ‘immaginativa’ che su-
perava l’aridità conchiusa della materia, manifestava quasi un voyeurismo
artistico nel quale si appagava; era molto attratto dal modello di Des Es-
seintes, riuscito frutto di uno scrittore «esaltato, che tenta disperatamente,
per quanto inutilmente, di liberarsi, con voli frenetici per gli spazi del-
l’Inconoscibile, dall’ossessione di quel mondo reale, che egli disdegna ed
aborre, ma da cui lo tiene prigioniero l’eccitabilità grande dei sensi»335.
Era anche affetto dalla pigrizia ostentata con gioco antifrastico già nel
1879336 e che Cameroni ricollegava proprio ad un animus estetizzante:
«Come sei asiaticamente pigro, africanamente indolente, o sibarita, più
faisandé dello stesso Des Esseintes!»337. Pagliara, infine, si diceva afflitto
da una dolorosa «battaglia» interiore338, una «posa di languore»339, con un
duplice risvolto, psicologico ma anche letterario, come un male d’animo
che si aggravava nel 1886, collegato anche alla partenza del suo sodale e
inseparabile amico Martucci. Fu allora che l’ormai nostalgico poeta si
chiuse nella sua villa di Capodimonte, che accoglieva uno scrittoio confu-
so, affollato di oggetti, libri, gingilli. In quella villa regnava «il più accurato
ed ammirabile disordine [...] dai mucchi di libri e giornali, ai portapenne
dello scrittoio, dagli schizzi attaccati al muro con un chiodo, agli albums,
ai ritratti senza cornice, ai gingilli sparsi dappertutto»340.

vrastenia tormentosa. Non tocco più carta. Soffro sempre e le cause morali che mi produ-
cono la malattia non accennano a finire. Ho passato un’estate infame. Ragione del mio si-
lenzio è il mio male».
333
Si tratta di uno dei ritratti digiacomiani firmato da Matilde Serao (in «Capitan
Fracassa», a. IV, n. 137, 20 maggio 1883). Cfr. anche T. IERMANO, I fantasmi del poeta nelle
“quete stanze”. Salvatore Di Giacomo storico ed erudito, in AA. VV., Salvatore Di Giacomo
settant’anni dopo, cit., pp. 247-305.
334
Cfr. S. DI GIACOMO, rec. a Le memorie di un ebete, in «Fantasio», a. I, n. 4, 25
settembre 1881, p. 3.
335
In Letteratura d’eccezione, pp. 242-243. Cfr. anche almeno il saggio ID., L’Ar-
te europea a Venezia (Napoli, Pierro, 1895, p. 73 ss.).
336
Cfr. V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 7 settembre 1879, I.
337
F. Cameroni, lettera a Vittorio Pica, 16 settembre 1896, in F. CAMERONI, Let-
tere a Vittorio Pica, cit., p. 166.
338
R. Pagliara, lettera a Giuseppe Martucci, ottobre 1887, lettera manoscritta
autografa conservata nella FP. Il malessere di Pagliara in quegli anni Ottanta era dovuto
anche al rifiuto dell’insegnamento, dal quale sembrava essere soffocato. In quegli stessi
anni, inoltre, il trasferimento a Bologna dell’amico adorato, Martucci, peggiora ulteriormen-
te il suo stato d’animo.
339
M. SINISCALCHI, Rocco Eduardo Pagliara, cit., p. 307.
340
Ibidem.
Pagliara in contesto 89

Questi particolari tratti della personalità ben sposavano la sensibi-


lità ‘bizantina’ della «Cronaca Sibarita», la rivista che riunì i tre amici a
pochi anni dalla chiusura di «Fantasio»341. Era il desiderio di «raggiungere
possibilmente l’ideale d’un’arte profumata, colta, elegante a tutta prova,
qualcosa, insomma, che si elevi dal comune», come annunciava l’amico
Luigi Conforti nel primo fascicolo342. Pica e Pagliara sibariti, dunque, o
bizantini, come neofiti di un nuovo culto per l’arte, in una dimensione che
trovava una buona concretizzazione nella villa di Belvedere di Pagliara,
nuovo Fontenay-aux-Roses del Des Esseintes partenopeo.
«Fantasio» si offre come caleidoscopio (e naturalmente come an-
ticipazione) di queste, spesso contraddittorie e non condivise, graduali
modificazioni di gusto. Una recensione a Pane nero verghiano, che dietro
la firma anonima nasconde il suo autore Francesco Stendardo, registra il
passaggio di gusto – anche in ambiente partenopeo – dalla scapigliatura al
verismo; passaggio, però, non condiviso dalla redazione: «I pappagalli lu-
singatori sono da un certo tempo un po’ fiochi intorno allo Stecchetti, ma
costantemente squittiscono d’intorno al Carducci, e ve n’è un notevole
crescendo intorno al Verga»343. A partire dal 1882, inoltre, «Fantasio»
mostra un graduale allontanamento dal modello rusticano o verghiano,
come prova la prosa di ambientazione borghese di Di Giacomo con la
Storia di Angela o Paola344, di Gaetano Miranda con Inverno345 o di Fran-
cesco Stendardo con Vecchi ricordi, Pomponette, A teatro, Per via346.
D’altronde, l’indirizzo di Stendardo, già chiaro da questi racconti, trovava
conferma nella dedica del volume Per via al ‘moderato’ e ‘borghese’ Sal-
vatore Farina347.
Intanto, a dispetto delle riluttanze digiacomiane, aumentava pro-
gressivamente lo spazio concesso alla narrativa straniera. Addirittura nel
primo numero del 1883 nessun racconto era italiano. Era una linea di
apertura europea che persino del Verga teneva a ribadire la vicinanza al

341
Sulla vita della rivista, fondata a Napoli nell’estate 1884, presso la tipografia
Aurelio Tocco, cfr. il capitolo Alle soglie dell’estetismo in Italia: “Cronaca Sibarita”, in Vit-
torio Pica, pp. 99-114. Cfr. anche infra, il carteggio.
342
Smirnide [L. CONFORTI], Fra il Sibari e il Crati, in «Cronaca Siarita», a. I, n. 1,
I settembre 1884, p. 7.
343
Anonimo [F. STENDARDO], rec. a G. VERGA, Pane nero, in «Fantasio», a. II, n. 9,
25 giugno 1882, p. 4.
344
Rispettivam. in a. II, n. 10, 15 luglio 1882 e a. II, n. 14, 10 ottobre 1882.
345
a. II, n. 15, 15 novembre 1882.
346
I racconti di Stendardo apparvero nel «Fantasio», rispettiv. nei nn. I, 5, 10
ottobre 1881; II, 13, 24 settembre 1882; II, 3, 10 febbraio 1883; III, 6, 20 maggio 1883.
347
Cfr. F. STENDARDO, Per via, Catania, Giannotta, 1883.
90 La seduzione dell’arte

modello francese. Si pensa naturalmente alla polemica Pica-Scarfoglio


proprio sulle Novelle rusticane348, a proposito delle quali Pica lamentava:
«si voleva ad ogni costo trovare una superiorità della novella italiana su
quella francese»349.
In effetti, nel 1881 la rivista si apriva, oltre che con la nota
presentazione di De Zerbi, anche con l’esaltazione delle vittorie della
scienza firmata da Licata350, posta in apertura, quasi come manifesto
della testata; e con la stroncatura de L’altrieri di Dossi, come scritto
«artefatto e lambiccato»351. Nello stesso numero, però compare un bra-
no di Murger352 e nei numeri immediatamente successivi l’attenzione
alla cultura francese, e non solo realista, già prendeva piede, proprio
sotto la guida non solo di Pica ma anche di Pagliara, con la sua tradu-
zione di Ronsard, il noto maestro della Pleiade353. Forse, un articolo
chiarificatore della posizione della rivista può considerarsi proprio il
citato saggio pichiano su Romanticismo, realismo e naturalismo, così
attento a Baudelaire, de Musset e Gautier, come «nuovi romantici»354.
Era un ‘manifesto’ non del tutto condiviso dalla redazione, un po’ di-
stante da quel francesismo si direbbe ‘moderato’ dei Capuana o dei
Torraca – ai quali pure si richiama egli stesso o lo riconduce parte della
critica355 – quei numi critici che tanto influirono sui letterati e intellet-

348
L’articolo di Scarfoglio era apparso anonimo, nella rubrica «In biblioteca» del-
la «Domenica Letteraria», a. II, n. 1, 7 gennaio 1883. Vedi supra.
349
V. PICA, A proposito di alcune bibliografie, in «Fantasio», a. III, n. 4, 15 marzo
1883. Scarfoglio ribatte sullo stesso «Fantasio» nel n. 5, 20 aprile 1883.
350
Cfr. G.B. LICATA, Attraverso il mistero, in «Fantasio», a. I, n. 1, 10 agosto 1881,
p. 1. L’articolo loda «questa concezione meccanica e monastica dell’universo, che s’afferma
ogni giorno di più».
351
Cfr. rec. a C. DOSSI, L’altrieri, Roma, Perrelli, 1881.
352
Cfr. H. MURGER, Frammenti del giornale d’un anonimo, in «Fantasio», a. I, n.
1, 10 agosto 1881, p. 2.
353
Cfr. R. PAGLIARA, L’imitazione dall’italiano di Pietro Ronsard, in «Fantasio», a.
I, n. 4, 25 settembre 1881, p. 4.
354
Cfr. V. PICA, Romanticismo, realismo e naturalismo, I, cit., pp. 1-2.
355
A riprova del peso esercitato dalle letture critiche di Torraca e Capuana sul
gruppo del «Fantasio» e non solo, l’articolo portava una nota a piede pagina, soppressa
poi nell’edizione in volume, che accompagnava il saggio: «Ho creduto dover sopprimere
il mio articolo su Torquemada che, per difetto di spazio, non ho potuto pubblicare nel
passato numero, parendomi non soltanto troppo tardivo, ma anche superfluo, dopo gli
splendidi articoli dedicati dal Capuana e dal Torraca al nuovo dramma di Victor Hugo, il
giudizio espresso nei quali concorda quasi completamente col mio» (ivi, p. 1). L’articolo
di Capuana su Torquemada era uscito in «Fanfulla della domenica» del 18 luglio 1882
(raccolto in Per l’arte, Catania, Giannotta, 1885, pp. 77-89); quello di Torraca era appar-
so sul quotidiano «La Rassegna» del 19 giugno (poi in Saggi e rassegne, Livorno, Vigo,
1885, pp. 199-210).
Pagliara in contesto 91

tuali del «Fantasio»356. Era un po’ oltranzista, in fede allo stile pichia-
no, ma dimostrava l’apertura del gruppo di Redazione, di cui Pica ma
anche Di Giacomo e Pagliara facevano parte, sia pure un po’ a distan-
za. Un’apertura di vedute che nella letteratura popolare e verista indi-
viduava un semplice punto di partenza, prima, necessaria esercitazione
di scrittura, come testimonia anche l’articolo di Pica che chiude la ri-
vista, nel numero del 20 maggio 1883. Nel recensire Maupassant, in-
fatti, dopo aver affermato l’importanza della trattazione di temi sociali,
Pica riteneva anche meritevoli di biasimo quegli scrittori che, «acqui-
stata sufficiente esperienza [...] si ostinassero a non cercare nell’uomo
che la bestia»357.
Su questa, non poco generica, posizione si muoveva la cerchia
di «Fantasio». Di Giacomo era in parte distante dalla ‘francofilia’, ma
non poteva dirsi immune dall’immagine di «tipo bohéme» così come lo
vedevano alcuni suoi contemporanei358. Era anche un ‘bizantinismo’,
espresso nell’affermazione di «un’arte squisitamente dotta, incurantemen-
te aristocratica»359, che avrebbe condotto i tre sodali alla «Cronaca Bi-
zantina» del Mezzogiorno: «Cronaca Sibarita» appunto, della quale pro-
prio il «Gallomane» «geniale e sincero»360, Pica, sarebbe stato protago-
nista e animatore.
Per Pica, come per il meno consapevole Pagliara, era un recupero
dell’ideale, ma non in senso desanctisiano, come è stato sottolineato. Si

356
Testimonianza del magistero critico della nota recensione di Torraca ai Mala-
voglia è offerta qualche anno dopo, quando il nuovo periodico napoletano «Cronaca Sibari-
ta», che raccoglieva gran parte dei redattori del «Fantasio», presentando il volume di Torra-
ca Saggi e rassegne, sceglie di pubblicare integralmente proprio il testo della recensione
dedicata ai Malavoglia nel 1881 (in «Cronaca Sibarita», a. II, n. 3, 16 febbraio 1885).
357
Era la recensione a Une vie di Maupassant, in «Fantasio», a. III, n. 6, 20 mag-
gio 1883, p. 3. Aveva scritto poche righe prima Pica: «Non è forse giusto, anzi lodevole, che
un giovane scrittore, che si è fatto un dovere di camminare sempre nella via della verità,
incominci con lo studiare e col descrivere quelle classi sociali, nelle quali la manifestazione
degl’istinti, dei sentimenti, delle passioni è più schietta e più ingenua, e che si muovono in
un ambiente, più facile ad essere conosciuto bene e determinato, di modo che egli può
essere sicuro che gli sarà difficile il tradire inconsciamente e per inesperienza la realtà della
vita da lui rappresentata? A me pare che sì» (ibidem).
358
Si legga, per esempio, l’anonimo profilo di Di Giacomo che compare nel gior-
nale «Excelsior. Gazzettino del mondo elegante» (a. I, «n. Programma», 7 febbraio 1889).
359
E. SCARANO, Dalla “Cronaca bizantina” al “Convito”, Firenze, Vallecchi, 1970,
p. 34. cfr. R. GIGLIO, L’invincibile penna ..., cit., pp. 57-68.
360
Nell’accolita di intellettuali della «Sibarita» i redattori adottarono pseudonimi
quasi da novella Arcadia. Pica divenne «Gallomane Alcistene», definito proprio da Luigi
Conforti «un po’ rude, ma geniale e sincero» nella presentazione della rivista (L. CONFORTI,
Smirnide, in «Cronaca Sibarita», a. I, n. 1, 1 settembre 1884, p. 3).
92 La seduzione dell’arte

direbbe, anzi, fosse la ricerca di un ideale ‘non-calato nel reale’, per resta-
re col De Sanctis. Era l’affermazione del primato delle Idées sulle sensa-
tions, per tornare invece al volume dei Goncourt, il quale, per Pica, «rac-
coglie il fiore dello spirito francese odierno [...], esprime, con sottile ironia
o con squisite delicature di chiaroscuri, tutte le malinconie, tutte le eb-
brezze, tutti i vacillamenti di un’intelligenza o di una coscienza»361.
È possibile, quindi, che la lezione desanctisiana non si sia tradotta
in un’adesione362. Lo stesso coniugare la lezione del critico irpino con
quella di Lombroso è visibile certo nel collegamento pichiano tra il deca-
dentismo e la «degenerazione» della società moderna, con le sue nevrosi.
In questo può concordarsi con De Nardis nel ridurre la portata della nota
«eccezionalità» di Pica363. Quella degenerazione, però, quella nevrosi, era-
no tutt’altro che condannate; piuttosto suscitavano una forte attrazione su
Pica. In questa prospettiva si spiega anche la lontananza (corrisposta) dal
Croce, da quel Croce che respingeva Pica all’interno del folklore napole-
tano di fine secolo, come espressione di una crisi – di cultura, editoria,
arte – che aveva coinvolto l’Italia della fine degli anni Ottanta; crisi condi-
visa da molti intellettuali, non ultimo dallo stesso Capuana364.
Pagliara si trovava vicino a gran parte delle posizioni pichiane.
Addirittura, ancora all’altezza del 1887, a proposito della citata Prefazione
pichiana a Ritmi e fantasie di Federigo Casa, Pagliara, fraintendendo le
posizioni estetiche di Pica, quasi lo accusa di aver maltrattato l’idealismo
(«strapazzato questo o quel poeta soltanto perché idealista»365) in nome di
una fede naturalista che non condivide. Tanto che l’amico si sente costret-
to a chiarire:

io, pur conservando le mie maggiori simpatie pel movimento verista,


non disdegno gl’idealisti, purché non sia progettata e speculativa svene-
volezza [...]366.

361
Letteratura d’eccezione, pp. 228-229.
362
Così invece L. DE NARDIS, Prospettive critiche per uno studio su Vittorio Pica
e il Decadentismo francese, in «Rivista di Letterature moderne e comparate», fasc. 3, vol.
19, 1966, pp. 203-209.
363
Cfr. Ivi.
364
Nel suo volume Libri e teatro (Catania, Giannotta, 1892) Capuana appone
un ampio saggio introduttivo, La crisi letteraria (ivi, pp. III-XXXVII) nel quale s’interroga
sulla letteratura degli ultimi anni Ottanta. Sui rapporti tra Pica e Croce cfr. E. CITRO, In-
troduzione a Letteratura d’eccezione, p. 15 ss.; G. MAFFEI, Introduzione a V. PICA, Lettere a
Federigo De Roberto, cit.; N. D‘ANTUONO, Vittorio Pica e Bendetto Croce: due paradigmi,
in Vittorio Pica, pp. 133-153. Cfr. anche supra.
365
V. Pica, lettera a Roco Pagliara, 13 marzo 1887, LX.
366
Ibidem.
Pagliara in contesto 93

A proposito di quella stessa Prefazione al volume di Casa, Pica


deve anche giustificare la sua difesa (sappiamo non entusiastica) di Car-
ducci367. D’altronde, riserve sul ‘poeta civile’ Pagliara avrebbe manifestato
due anni dopo anche in una lettera a Maria Martucci, nella quale, dopo
aver premesso una lettura «deliziosa» delle Odi barbare, aggiunge: «Ce ne
sono alcune stupende, ma c’è anche dello scadente assai. Ma che stoma-
chevole cosa gli elogi sperticati che certi critici han fatto in sì goffa manie-
ra. Su l’Antologia il Chiarini ha scritto esagerazioni nauseanti»368.
Sulla base di questa consonanza di sensibilità letteraria, si com-
prende come il carteggio di Pica, rispetto a quello di Di Giacomo, riveli
un’amicizia più salda e sincera. Non mancano, tra l’altro, accenni persona-
li e toni di affettuosa intimità, come la lettera in occasione del colera che
si abbattè su Napoli nel 1884. Pica allora si sfogava con l’amico:

[...] se ora le brutte cifre dei morti di colera, che giornalmente ci recano
i giornali risvegliano in noi una compassione vaga, indefinita, mista ad un
egoistico sentimento di personale preoccupazione, allorché a morbo fini-
to, il velo dell’innominato, che ora ricopre tanti cadaveri si lacererà a poco
per volta ai nostri occhi, ad ogni perdita che dovremo constatare dintorno
a noi, ad ogni persona che avevamo l’abitudine di vedere e che più non
dovremo vedere, sarà una nuova crudele trafittura pel nostro cuore.
Chi sa quante delle belle ragazze, che ci hanno rallegrati con i loro sor-
risi e col ... resto, saranno miseramente scomparse dal mondo, fulminate
d’improvviso dal morbo?
E dire che poi dovremo anche essere ben contenti di poter fare una così
sconsolante rivista!
Perdonami tutte queste melanconiche riflessioni, ma che vuoi? Benché
io sia tutt’altro che sentimentale (benché forse, forse lo sono più di quel-
lo che io stesso e gli altri credono), benché il colera non è riuscito finora
a sgomentarmi, neanche a troppo impensierirmi, pure a volte, pensando
alle tante vittime ignote che il morbo ha mietuto inesorabilmente, sento
l’animo mio riempirsi di tristezza369.

È uno sfogo intimo inconsueto, un’insolita concessione al senti-


mento di profonda amicizia, che stempera la spavalderia bohèmienne e
rivela amore per una città, e un’umanità sofferente, spesso assente nelle
pagine critiche ma certo presente nell’anima. Letterati «aristocratici»,
dunque, Pica e Pagliara, non nel segno di un semplice distacco dalla

367
Cfr. ibidem.
368
R. Pagliara, lettera a Maria Martucci, 23 novembre 1889, in Biblioteca musi-
cale, p. LXI.
369
V. Pica, lettera a Rocco Pagliara, 21 settembre 1884, XLIX.
94 La seduzione dell’arte

«vita», piuttosto nel segno di un’aspirazione all’autonomia dell’arte di cui


Pica, e Pagliara con lui, si fece vero paladino, sin da quell’intervento criti-
co su Zola apparso nel 1880 sulla «Coltura giovanile»370. Un tema molto
percorso dal critico militante, fino all’ultimo suo lavoro, Letteratura d’ec-
cezione, crinale di svolta dalle Lettere alle arti figurative. Tempo prima,
nel presentare la traduzione dal portoghese del poema di Eugenio De
Castro, con un giudizio attribuito al poeta ma sottoscritto dallo stesso cri-
tico, individuava come unico percorso dell’arte moderna, un’arte che
«presenti simboli eterni ed universali»371.
Già molti anni prima, sulle pagine del «Fantasio», nel citato sag-
gio Romanticismo, realismo e naturalismo, si trovava a rivendicare l’auto-
nomia dell’arte dalla scienza, consentendo al naturalismo solo come a una
«robusta tendenza avanguardistica in progress»372, difendendola contro le
critiche della violazione degli istituti retorici e dell’ibridazione di invenzio-
ne e sociologia. Sulla mutevolezza delle forme letterarie (in favore però
della formula naturalista), Pica negli stessi anni scriveva anche a Zola, non
senza intendimenti captatorii: «l’arte progredisce sempre e [...], dovendo
ad ogni evoluzione dello spirito umano corrispondere una forma artistica,
essa non può essere che naturalista, stante la fisionomia scientifica che ha
lo spirito del nostro secolo»373.
Il giovane critico, allora all’inizio della lunga carriera, risentiva
certo delle argomentazioni teoriche del De Sanctis critico dell’Assomo-
ir374, ma proponeva anche un’originale adesione all’ottica ‘progressiva’ e

370
Cfr. supra.
371
V. PICA,
Eugenio De Castro, in E. DE CASTRO, Belkiss..., cit., p. XXXV.
372
U. PISCOPO, Vittorio Pica..., cit., p. 20.
373
V. Pica, lettera a Emile Zola, 26 maggio 1882, in G. MOMBELLO, Lettere inedite
di Vittorio Pica ad Emile Zola, in «Studi Francesi», a. IV, n. 11, maggio-agosto 1960, pp.
267-275, a p. 270). Quello dell’evoluzione delle forme artistiche era un tema molto dibattu-
to in quel secondo Ottocento, anche sulla scorta della teoria evoluzionistica applicata all’ar-
te, esposta in termini filosofici dal desanctisiano Angelo Camillo De Meis, nei noti due
volumi Dopo la laurea. Per un quadro riassuntivo della questione cfr. R. WELLEK, Il concetto
di evoluzione nella storia letteraria, in ID., Concetti di critica, trad. it. Bologna, Boni, 1972,
pp. 49-65; F. MORETTI, L’evoluzione letteraria, in «Nuova Corrente», a. XXXV, n. 102, luglio-
dicembre 1988, pp. 215-237.
374
Sulla poca vicinanza di Pica a De Sanctis cfr. L. DE NARDIS, Prospettive criti-
che per uno studio su Vittorio Pica e il Decadentismo francese, in «Rivista di Letterature
Moderne e Contemporanee», a. XIX, n. 3, luglio-settembre 1966, pp. 203-209, poi in ID.,
L’usignolo e il fantasma. Saggi francesi sulla civiltà letteraria dell’Ottocento, Milano-Varese,
Istituto Editoriale Cisalpino, 1970, pp. 160-166. Appena citato in All’avanguardia e in una
lettera del 16 febbraio 1893 a Zola (in G. MOMBELLO, Lettere inedite di Vittorio Pica ad
Emile Zola, cit., p. 275), Pica toccherebbe solo da lontano l’orizzonte critico di De Sanctis.
Ulteriore prova di tale posizione trova conferma anche nel carteggio. Cfr. infra.
Pagliara in contesto 95

intendeva per lo più il suo naturalismo come «principio d’un’immensa


evoluzione, che, durante i secoli, si compierà e si estenderà»375. Era il
percorso tema dell’evoluzione dell’arte, che Pica non individuava nella sua
distinzione tra evoluzione dell’arte-‘forma’ ed evoluzione delle ‘forme’,
che però torna con frequenza nelle sue discussioni376; riflesso un po’ sbia-
dito forse, di molte polemiche anti-naturalistiche che attraversavano l’Eu-
ropa, sulla scorta dell’Huret della Enquête sur l’évolution littéraire, curata
nel 1891 e di L’évolution naturaliste di Louis Desprez, quest’ultimo volu-
me definito dall’amico Cameroni «critica veramente scientifica», certa-
mente nota al Pica377.
Gli intellettuali partenopei partecipavano al dibattito. Non è ca-
suale, per esempio, che nel 1884 si festeggiava la nascita di una rivista di
letteratura e arte dal titolo eloquente, «L’evoluzione», fondata tra gli altri,
da personaggi del calibro di Mario Rapisardi, Giovanni Bovio, Felice Ca-
vallotti e molti altri, e con sede proprio a San Pietro a Majella, a pochi
metri dal Conservatorio. Parimenti non casuale è, però, che Pica abbia
dovuto lottare con fermezza per la pubblicazione dell’articolo sull’evolu-
zionismo firmato dallo scienziato Emilio Piazzoli, Metamorfosi, che appar-
ve infine nel «Fantasio»378. Resta il fatto che il cenacolo del «Fantasio»
offriva una letteratura tutt’altro che «leggiera» o meglio che studiata per
«parer leggiera», come invece annunciava l’introduzione-manifesto della
rivista firmata da De Zerbi. Il foglio si apriva a nodi della vita culturale e
artistica meridionale e non solo; e questo in fede ad un unico imperativo,
l’autonomia dell’arte, come unica legittimazione per il sapiente eclettismo
di Pica, da poter estendere metonimicamente alla vita dell’intero periodi-
co. Era l’imperativo del non lasciarsi guidare «che da criteri assolutamente
estetici, sicché ammiro ed ho sempre ammirato eccezionalmente così il
comunardo Vallès come l’ultra cattolico ed ultra-reazionario Barbey d’Au-
revilly [...]»379.

375
V. PICA, Romanticismo, Realismo, Naturalismo, cit., p. 38. Cfr. G. MAFFEI, In-
troduzione a V. PICA, Lettere a Federico De Roberto, cit., pp. 49-50.
376
Cfr. ID., Profili di letterati francesi. Edmondo Duranty, in «Fantasio», a. II, n.
2, 25 gennaio 1882, pp. 2-3. Concludendo il suo articolo Pica scriveva: «[...] a me sembra
che Edmondo Duranty rappresenti il verismo nella sua forma più elementare ed estrema e
che l’opera sua [...] ha nell’evoluzione dell’Arte verso il Naturalismo più che un’importanza
artistica, un’importanza storica» (ivi, p. 3).
377
Fu Felice Cameroni a sottoporre a Pica il testo di Desprez (edito a Parigi,
Tresse, 1884) e anche una recensione al volume (apparsa nel «Sole», XXI, 15 febbraio 1884).
Cfr. F. Cameroni, lettera a Vittorio Pica, 14 marzo 1884, in Cameroni, p. 60.
378
Cfr. infra, nel carteggio di Pica.
379
V. Pica, lettera a Neera, in F. FINOTTI, Sistema letterario..., cit., pp. 136-137.
96 La seduzione dell’arte

I tanto discussi mutamenti degli interessi e delle simpatie del cri-


tico Pica forse trovano fondamento in questa fede nell’evoluzione dell’arte,
e, più in generale, nel principio di evoluzione applicato alle scienze uma-
ne. Principio tutto naturalista, in fede al quale però egli si allontana dallo
stesso naturalismo; principio, infine, più volte rivendicato dal critico come
metodo, quasi come ‘fede’ professata con insistenza, non senza enfasi:

L’arte, in tutte le sue forme, è un continuo ed instancabile divenire, ed


è perciò che noi non mostreremo mai abbastanza tenerezza, mai abba-
stanza ammirazione pei novatori, sia per coloro che pagano con una lun-
ga serie di amarezze un tardivo raggio di gloria, sia per coloro, che, pur
passando da errore ad errore, preparano la via ai trionfatori del domani,
e che, nella loro immolazione ad un elevato ideale d’arte, il quale è bril-
lato fulgido alla loro mente, ma che essi, ahimè! non sono riusciti ad in-
carnare, ci appaiono grotteschi, mente pure sono i martiri dolorosi e
ignoti dell’arte!380.

380
ID., L’Arte europea a Venezia, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche,
1896, p. 5.
I carteggi 97

II
I carteggi

Nota al testo

1. La presente raccolta offre innanzitutto le lettere autografe di


Salvatore Di Giacomo a Rocco Pagliara. Le carte sono conservate, prive
di numerazione, nell’Archivio della Fondazione Pagliara, presso l’Univer-
sità degli Studi Suor Orsola Benincasa (Archivio Manoscritti, volume D,
busta «Di Giacomo Salvatore»). Sono un corpus di complessivi 48 docu-
menti. Escludendo tre lettere di dubbia destinazione, espunte dalla pre-
sente edizione, si contano: 1 cartolina postale, 1 telegramma, 2 biglietti da
visita, 1 cartoncino con la trascrizione di una poesia, 3 biglietti, 37 lettere,
per un totale di 45 comunicazioni indirizzate da Di Giacomo a Pagliara
tra il 3 luglio 1880 e il 13 agosto 1912, stando almeno alle datazioni auto-
grafe. Un arco di tempo molto vasto, nel quale, in realtà, molte missive (I-
XXII) sono datate o databili nel triennio 1880-1883 e relative all’attività di
redazione di «Fantasio». Negli anni successivi la corrispondenza è molto
più sporadica, pur restando evidente che il carteggio rimasto non è com-
pleto. Le lettere digiacomiane datate rispettivamente 28 novembre 1889,
14 dicembre 1889 e 10 aprile 1890 sono state espunte in quanto si ritiene
che, sia pure autografe, non siano destinate a Rocco Pagliara. All’altezza
di quegli anni, infatti, i rapporti tra i due erano già più che intimi e il
«Voi» è del tutto insolito, non suffragato neppure da un tono ironico che
potrebbe invece giustificarlo.
Le lettere sono su carta di vario tipo e formato. La scrittura di Di
Giacomo, che utilizza quasi sempre inchiostro nero, in pochi casi inchio-
stro blu e in due casi la matita, occupa quasi sempre solo la prima o al
massimo le prime due o tre facciate di un foglio ripiegato, con un caratte-
re di scrittura molto ampio: tutti segni di una scarsa attenzione al rispar-
98 La seduzione dell’arte

mio di carta, cui invece si mostrava sensibile Vittorio Pica. Unici casi di
riutilizzo sono due lettere scritte su un foglio di carta da telegramma
strappato e riutilizzato. Frequente l’uso di carta intestata personale (alter-
nando una carta con intestazione in corsivo rosso «s. di giacomo» con una
filigranata e miniata «S. di Giacomo», fino a un caso di cartoncino postale
con intestazione figurata). Alcune missive tra il 1881 e il 1882, relative alla
composizione del «Fantasio», utilizzano la carta intestata del tipografo
Giannini – presso il quale si stampava la rivista – e in un caso la carta
intestata dello stesso «Fantasio». Alcune lettere successive utilizzano la
carta intestata «Feste commemorative pel centenario del Plebiscito –
1910-1911». Compare anche un biglietto da visita e due lettere su carta
intestata «Biblioteca Lucchesi Palli. Il Direttore». In un altro caso, invece,
si utilizza la carta intestata della libreria Pierro.
Ad eccezione della lettera del 21 luglio 1912, tutte le missive re-
stano prive di busta. Alcune di queste carte sono state anche inviate senza
busta: presentano infatti ancora i segni della piegatura e resti di chiusura
con cera lacca ed hanno l’indicazione del destinatario sull’ultima carta.
Di queste e altre particolarità si è dato conto nelle descrizioni in
calce ai singoli pezzi.
Quale che sia il mezzo cartaceo utilizzato, la scrittura di Di Gia-
como appare sempre sicura, con pochi ripensamenti e molte trascuratezze
nel ductus e nella punteggiatura. Praticamente assenti interventi di ag-
giunte o sovrascritture.

2. Segue, quindi, la raccolta di lettere autografe di Vittorio Pica


allo stesso destinatario Pagliara. Queste ultime sono già offerte in lettura
nel volume L’Europa a Napoli (pp. 135-194). Si tratta però di una trascri-
zione non priva di errori e quasi non corredata di apparato. Per questo le
lettere si ripresentano qui, come parte di un unico corpus, completamen-
to e fondamento del percorso che si è tentati di tracciare in questo volu-
me. Anche per queste lettere pichiane ci siamo rifatti direttamente agli
originali manoscritti, conservati anch’essi presso la Fondazione Pagliara
(Archivio Manoscritti, volume P, busta «Vittorio Pica»), con una numera-
zione apposta a matita che non segue la cronologia delle carte e che quin-
di non è stata considerata in questa edizione. Si tratta di un corpus di 76
lettere, 4 cartoline postali, 1 poesia, 5 brevi comunicazioni per un totale
di 86 documenti datati tra il 7 settembre 1879 e il 27 marzo 1898, stando
almeno alle datazioni autografe o ricostruite con certezza. La frequenza
delle lettere varia, diradandosi alla fine degli anni Ottanta, precisamente
dopo il 5 maggio del 1887. Tra il 1879 e il 1883 le missive sono frequenti,
I carteggi 99

anche due al giorno (come nel caso dell’11 ottobre 1880). Assenti, invece,
comunicazioni per intere annate (1885, 1891, 1892, 1894, 1897), mentre
molto frequenti e amplissime sono le missive comprese tra il maggio 1886
e il 5 maggio 1887.
Le missive utilizzano carta di vario tipo e formato. Quasi sempre
la scrittura minuta, ordinata di Pica occupa tutte le facciate disponibili di
uno stesso foglio. L’autore sopperisce in alcuni casi alla esiguità dello spa-
zio occupando anche i margini e gli angoli delle carte, o ancora riutiliz-
zando le ultime facciate sovrapponendo la grafia in senso perpendicolare
al precedente. In molti casi la lettera occupa due o più carte, sempre ri-
piegate, utilizzando tutto lo spazio a disposizione. Indipendentemente dal-
la datazione della lettera, l’inchiostro utilizzato è per lo più nero o blu
viola, in sei casi verde e in due casi è utilizzata una matita. Mai utilizzata
carta intestata personale, in due casi carte del «Corriere Artistico-Lettera-
rio», scrivendo sul verso. Le lettere sono tutte conservate prive di busta,
in alcuni casi furono consegnate, non spedite, ripiegando le carte, che
portano ancora il segno della ripiegatura e l’indicazione del destinatario
sulla quarta facciata. In un caso la lettera è scritta utilizzando una busta
senza timbri. Anche per questo corpus, delle caratteristiche di ogni carta
è stata data notizia in calce ad ogni singola missiva.
Quale che sia il mezzo cartaceo utilizzato, la scrittura di Pica ap-
pare sempre sicura, con pochi ripensamenti; numerose sono, però, le tra-
scuratezze nel ductus e nella punteggiatura. Praticamente assenti inter-
venti di aggiunte o sovrascritture, fatta eccezione per un testo poetico di
Pica, Amo la cuoca, (II, 6 dicembre 1879) per il quale in nota si è fornita
notizia degli interventi autografi, correzioni e sovrascritture.

3. Chiude i carteggi una lettera autografa di Vittorio Pica allo


stesso Di Giacomo, conservata nello stesso Archivio Manoscritti, busta P,
accanto alle carte pichiane, priva di numerazione.
Il carattere privato di tutte le lettere, insieme al tono confidenzia-
le che ben presto entrambi gli autori vennero assumendo, ha determinato
una scarsa attenzione alla grafia, comunque abbastanza scorrevole e chia-
ra. Si tratta, in tutti i casi, di carteggi informali e talvolta si direbbe fami-
liari, che dunque non lesinano abbreviazioni o sviste di trascrizioni, o er-
rori grammaticali. Solo di una lettera digiacomiana, infatti (missiva IV)
resta la minuta, che si è trascritta in nota alla versione definitiva offerta in
lettura. Per le altre carte è ragionevole ipotizzare un’unica stesura.
Restano alcune incertezze relative a persone, a fatti, a pubblica-
zioni periodiche minori. Desidero quindi sottolineare il carattere aperto,
100 La seduzione dell’arte

consapevolmente non concluso, della ricerca, visto anche l’emergere di


nuovi fondi archivistici, dai quali si spera un giorno possano rinvenirsi –
per esempio – le missive di risposta, quelle firmate da Pagliara, che sareb-
bero quanto mai utili a ricostruire il quadro di rapporti tracciati in questo
studio e soprattutto la personalità di Pagliara, che qui si ricostruisce solo
per via indiziaria.
Sia nel caso delle lettere di Di Giacomo che di quelle di Pica, le
trascrizioni si sono ispirate a criteri conservativi, salvo alcuni interventi
tesi esclusivamente a non appesantire la lettura:
– Sono state conservate le abbreviazioni nei casi di formule convenzio-
nali di saluto o nelle firme («aff.mo», «dev.mo», «V.», ...). Allo stesso
modo è stata rispettata l’abbreviazione dei titoli («D.», «Sig.»...). Altre
abbreviazioni di difficile decifrazione sono state sciolte tra parentesi
quadre nel corpo del testo («F.[anfulla]»). Come pure sono state
sciolte tra parentesi quadre le abbreviazioni di indicazioni cronotopi-
che («6 pom.[eridiane]») o le abbreviazioni di nomi («Raff.[aele]
Montuoro»), mentre le indicazioni sommarie («Letteraria» per «Gaz-
zetta Letteraria») sono state sciolte in nota.
– Sono state mantenute le consuetudini interpuntive obsolete e variabi-
li, giacché la lettura risulta comunque agevole.
– Le trascrizioni errate di cognomi o di opere, italiani e soprattutto
stranieri, sono state mantenute nel testo, segnalate con un [sic] e
chiarite in nota.
– Sono state conservate trascuratezze formali o dialettismi, presenti so-
prattutto nell’epistolario pichiano (a proposito di un bozzetto della
Serao, Pica scrive «ce [rif. A Matilde Serao] lo andremo a cercare»,
lettera del 18 settembre 1881) e segnalati con un [sic].
– Si è mantenuta l’oscillazione presenza/assenza del punto o della vir-
gola in apertura o in chiusura del testo.
– Sono stati invece corretti evidenti lapsus calami o trascorsi di penna,
di fatto mai rilevanti, che restano segnalati in nota, non in un appara-
to specifico data la scarsa frequenza dei casi riscontrati.
– Ci si è limitati a normalizzare gli accenti e altre particolarità grafiche
secondo l’uso corrente (le voci del verbo avere non rese in forma
aspirata).
– È stato normalizzato anche l’utilizzo non sempre corretto delle maiu-
scole e minuscole.
– Lacune o parole incomprensibili sono annunciate da puntini sospensi-
vi tra parentesi quadre ([...]). Le stesse parentesi quadre racchiudono
anche integrazioni congetturali.
I carteggi 101

– Nel caso di personaggi citati solo per nome, per i quali quasi sempre
è stata resa possibile l’identificazione, viene fornita specifica nota bio-
bibliografica; tuttavia, se nominati frequentemente, il cognome è evi-
denziato tra parentesi quadra ma solo una prima volta e senza ripro-
porre la nota bio-bibliografica.
– I titoli delle testate, spesso non segnalati con particolari segni grafici,
specie da Di Giacomo, sono stati riportati tra virgolette uncinate:
«Gazzetta Letteraria», «Fanfulla della Domenica»....
– Le parole a cui gli scriventi hanno voluto dare rilievo con una sotto-
lineatura sono state sempre rese in corsivo. Ugualmente in corsivo
sono state rese anche le indicazioni dei titoli delle opere, spesso se-
gnalate con sottolineatura oppure non segnalate da nessun particolare
segno grafico.
– La datazione delle lettere è stata posta sempre, presente o congettu-
rata, in alto a destra. Quando presente, la data si è normalizzata («ot-
tobre» da «ott.», «dicembre» da «Xembre», «1879» da «’79»), o si è
indicato la data del bollo postale della città di partenza o di arrivo; è
stato mantenuto anche, accanto alla data, l’indirizzo del destinatario,
ove presente. Le lettere senza datazioni e senza bolli sono state data-
te più o meno approssimativamente sulla base del contenuto del te-
sto; in questo caso, le datazioni del curatore sono indicate tra paren-
tesi quadre. Le approssimazioni sono state il più possibile al mese,
quando ciò non si è reso possibile, le lettere sono state riportate al-
l’inizio, a metà o alla fine di un anno, a suggerire una loro probabile
collocazione sulla base dei contenuti della missiva. Le lettere per le
quali nessuna congettura è stata possibile sono state offerte in chiusu-
ra di ciascun gruppo di carte, con l’indicazione [s.d.].
102 La seduzione dell’arte

Salvatore Di Giacomo a Rocco Pagliara

Biglietto di cm 11,5x9. In margine, una breve cartina autografa. Al margine inferiore si


aggiunge «Per domenica 3 luglio». Dato il tono formale, assolutamente diverso rispetto a
tutte le altre missive, potrebbe trattarsi della prima lettera e dunque la data è 1880.

[< 3 luglio 1880]


Egregio Signore,
Il sottoscritto s’onora pregandola d’intervenire ad una piccola riunio-
ne allo scopo della fondazione del desiderato giornale in questione da parec-
chio tempo1.
La riunione avrà luogo nello studio del sottoscritto, sito dirimpetto
alla statua di Thalberg2, a mano dritta scendendo a Posillipo, nel vicolo Sper-
duti, a destra del palazzo di Bovino. La riunione è alle 7 pom.[eridiane]. Si
aspetta sino alle 8.
Vi saranno sigari e sigarette. È caldamente pregato di non mancare
S. di Giacomo
(ultimo piano)

1
Si fa riferimento, con ogni probabilità, alla lunga gestazione del «Fantasio». Cfr.
supra e infra.
2
Su Sigismondo Thalberg cfr. lettera IV.
I carteggi 103

II

Lettera su foglio di carta di cm 27x21,2 ripiegato sul lato della base. Utilizzata la prima
facciata con inchiostro nero.

28 ottobre 1880
Caro Rocco,
So in questo momento da Fiordelisi3 la sventura che ti ha colpito.
Proprio in questo momento; ho chiesto notizie a Pierro4 l’altro ieri, non me
ne ha saputo dare; D’Aloe5 però m’aveva detto che la tua povera sorella era in
uno stato abbastanza grave, questo mercoledì sera6. Non ho osato venire a
casa tua perché non avevo cuore, né avrò cuore di venire a trovarti per non
rinfrescare il dolore tuo. È stata una disgrazia grande e m’ha fatto grande im-
pressione, credilo. Sii forte e fatti cuore; pensa anche un po’ alle tue buone
sorelle che hanno bisogno di coraggio.

3
Poeta ed erudito, Alfonso Fiordelisi (Napoli, 1856 - ivi, 1937), bibliotecario, po-
eta dialettale e autore di canzonette, fu anche attivo giornalista; redattore del «Roma», fu
tra i collaboratori di «Napoli Nobilissima». Tra le sue maggiori opere si ricordano Sonetti
napoletani (Napoli, Pierro, 1884), Nuovi sonetti napoletani (con pref. di M. Scherillo, Na-
poli, Pierro, 1885), e la raccolta poetica ’O libbro d’ ’e vecchie (Napoli, Pierro, 1920). I
rapporti con Pica e Di Giacomo risalgono a questi anni, in particolare si sarebbero infittiti
l’anno successivo a questa lettera, in occasione del «Fantasio», di cui pure Fiordelisi fu
animatore, firmando i versi ’N carrozza (in «Fantasio», a. II, n. 3, 10 febbraio 1882), Ch’am-
more (a. II, n. 7, 4 maggio 1882) e Mare chi more! (a. II, n. 14, 10 ottobre 1882). Fiordelisi,
inoltre, insieme a Pica, Pagliara e Di Giacomo, fu tra gli assidui frequentatori della libreria
Pierro, in Piazza Dante, e tra i redattori della nota Strenna della Libreria Pierro pel 1891,
compilata da V. Pica e V. Spinazzola, Napoli, Pierro, 1890. Il suo noto volume Sonetti napo-
letani fu recensito anche da Pica. Cfr. V. PICA, Sonetti napoletani, in «Cronaca Sibarita», a.
I, n. 5, 16 dicembre 1884, p. 7.
4
Si tratta del notissimo libraio ed editore Luigi Pierro (Napoli, 1843 - ivi, 1927),
la cui libreria di piazza Dante era cresciuta da chioschetto in vera officina editoriale e so-
prattutto luogo di riunione per l’accolita di intellettuali napoletani e centro propulsore e
vitale della cultura cittadina (cfr. N. RUGGIERO, Introduzione a Lettere a de Goncourt, p.
14). Nella Strenna della Libreria Pierro pel 1891 (cit., p. 69) fu inserito anche Pagliara, con
una Fantasia lirica. Un ritratto del circolo culturale del libraio napoletano è offerto anche,
grazie all’interessamento di Pica, sulla rivista marchigiana «Libellula» alla quale il giovane
Pica collaborava. Il profilo, firmato da un nome de plume Fabula (La libreria Pierro, in
«Libellula», a. IV, n. 13, 1 luglio 1881, pp. 1-2) citava tutti i giovani letterati che avrebbero
poi collaborato con Di Giacomo, Pagliara e Pica per la redazione del «Fantasio». Cfr. P.
PIRONTI, Luigi Pierro editore, Firenze, Sansoni Antiquariato, 1963. Cfr. anche infra, le let-
tere di Pica.
5
Giovanni D’Aloe è tra i fondatori e redattori del «Fantasio». Fino al numero del
4 settembre 1882 (a. II, n. 12) compare tra i suoi redattori sotto il titolo della rivista. Sul
quindicinale D’Aloe pubblica alcune poesie nel primo anno di vita della rivista: Paesaggio
(in «Fantasio», a. I, n. 3, 10 settembre 1881), A teatro (a. I, n. 5, 10 ottobre 1881), Bozzetti
(a. I, n. 8, 25 settembre 1881).
6
Si tratta di una sorella di Pagliara, Giovanna Maria Carmela, nata a Baronissi il
6 febbraio 1861. Cfr. missiva successiva. Per i dettagli biografici cfr. supra.
104 La seduzione dell’arte

E in qualunque cosa ti possa servire, in qualunque cosa, manda a


chiamarmi.
Ti stringo fortemente la mano
Tuo
di Giacomo

III

Lettera su foglio di carta di cm 27x21 ripiegato sul lato della base.

[1880]
Caro Pagliara,
Perdonami se non sono venuto; sii certo che al triste annunzio un
gran dolore l’ho avuto pur io. Conoscevo tanto quel tuo buono e bravo fra-
tello7!
Verrò – non ho voluto affliggerti più.
Una stretta di mano
dal tuo
S. di Giacomo

IV

Lettera su foglio di carta intestata «Luigi Pierro libraio» di cm 17x11. Nel FP è presente
anche la minuta di questa missiva (su foglio di carta di cm 8x10). Il testo è leggermente
differente, la prima grande correzione è stata nell’attutire le proprie scuse nell’incipit. Ecco
il testo: «Caro Pagliara, mi dispiace infinitamente non poterti servire per quell’affare. Il
Direttore ha trovato opposizioni mostrandomi queste ragioni. 1° Che la Zarè Thalberg, la
quale dal camerino dell’Ariston provava la voce per essere scritturata a S. Carlo, ha fatto
fiasco e non sarà scritturata come saprai meglio di me. 2° Che la vedova Thalberg altra
volta si è lagnata di quella reclame ad una persona che porta il suo cognome e che per
certe ragioni di brachetta non appartiene a lei, come tu forse saprai anche meglio di me.
Ti ho voluto dir questo perché non avessi a credere che non t’abbia voluto servire; ritieni
che ho fatte istanze vivissime e vivissimamente mi si è detto di no. Puoi servirti di me in
tutt’altra cosa per esperimentare la mia buona volontà. Addio S. di Giacomo».

[< 27 novembre 1880]


Caro Pagliara,
non ho potuto servirti per quello affare. Il direttore8 ha trovato im-
pedimento per due ragioni. 1° Perché la Zarè ha cantato per essere scrittura-

7
Cfr. missiva precedente.
8
Il direttore del «Corriere del Mattino», Martino Cafiero dunque (cfr. supra). In
realtà Di Giacomo accontentò Pagliara, come attesta una lettera di Pica, la quale testimonia
anche che a spingere Pagliara a rivolgersi a Di Giacomo era stato lo stesso Pica. Cfr. V.
Pica, lettera a Rocco Pagliara, 4 dicembre 1880, XXII: «[a proposito di questo articolo sulla
I carteggi 105

ta a S. Carlo e non lo è stata perché ha fatto fiasco. Quindi una reclame sa-
rebbe una menzogna. 2° Questa signora Thalberg9 ha mostrato dispiacere che
si nomini la Zarè che per misteri di brachetta che tu forse saprai meglio di
me porta a torto un cognome che non le appartiene. Ti ho scritto queste ra-
gioni perché non avessi a dubitare come altra volta ch’io non ti voglia servire.
Ho fatto di tutto per accontentarti ma invano. Comandami in quello che ti
piacesse. Credimi tuo aff.
S. di Giacomo

Lettera su carta di Telegramma di cm 14x23 strappata in due.

[<25 agosto 1881]


Caro Pagliara,
L’articolo di Pica10 s’è dovuto spezzare a mezzo e piglia già tre colon-
ne; e ancora occupava 6 e mezza cioè due pagine e un quarto. È cosa deplo-
revolissima come si fa? Che questo non accada un’altra volta. L’articolo è in-
titolato Profilo ed è uno studio lunghissimo. Per ciò non vanno né bibliogra-
fia né articolo di Cafiero11; essendo quello di Scherillo12 lungo anche esso. Pel

Zarè] vedi mo’ che i piaceri Salvatore li fa, tutto sta a saperli chiedere». L’articolo sulla Zarè
infatti apparve sul «Corriere del Mattino» del 27 novembre 1880. In quel numero, infatti, si
leggeva: «Verrà fra breve in Napoli la signorina Zarè Thalberg, figliuola del grande pianista
e si farà sentire in qualche concerto. La Thalberg è artista intelligente, leggiadra, dotata di
ottimi mezzi vocali». In seguito al suo arrivo a Napoli e alle sue esecuzioni, però, sullo stes-
so giornale non apparvero notizie o recensioni.
9
Maestro di Giuseppe Martucci, Sigismund Fortuné François Thalberg (Gine-
vra, 1812 - Napoli, 1871), austriaco di nascita, si trasferì a Napoli, precisamente a Posillipo,
nel 1856, o nel 1858 stando a Fabio Fano (cfr. F. FANO, Giuseppe Martucci, Milano, Curci,
1950, p. 19), o addirittura nel 1866; maestro anche di Beniamino Cesi, svolse un ruolo di
primo piano per gli sviluppi dell’arte pianistica napoletana. Sulla figura di Thalberg, e sui
suoi rapporti con Giuseppe Martucci, si veda, oltre alla citata bibliografia martucciana, S.
ROSSI, La musica, in AA. VV., Napoli, a cura di G. Galasso, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp.
413-431. Di Thalberg si occupò anche il «Corriere del Mattino», con un ampio profilo de-
dicato al maestro e alla musica concertistica coeva. Cfr. F. POLIDORO, Sigismondo Thalberg,
in «Corriere del Mattino», a. VII, 28, 29, 30 e 31 ottobre 1879.
10
Si tratta dell’articolo Profili letterari francesi. Luigi Bouilhet, che sarebbe ap-
parso sul secondo numero del «Fantasio», a. I, n. 2, 25 agosto 1881. Come spiega la pre-
sente lettera, l’articolo fu diviso in due parti, la seconda apparve nel numero successivo
(«Fantasio», a. I, n. 3, 10 settembre 1881). Del poeta e drammaturgo Louis Bouilhet (Cany,
1822 - Rouen, 1869) era apparsa nel 1880 una raccolta di alcune delle sue maggiori opere
(Oeuvres de Louis Bouilhet. Festons et astragales. Melaenis. Dernières chansons, Paris, Le-
merre, 1880).
11
Sul «Fantasio» non risultano articoli a firma di Martino Cafiero.
12
M. SCHERILLO, Un tuffo nel classicismo, in «Fantasio», a. I (1881), n. 2, 25 agosto.
Non sarà l’unico articolo firmato da Michele Scherillo (Soccavo, 1860 - Milano, 1930), che
106 La seduzione dell’arte

3° numero si deve provvedere in altro modo; se il giornale va così, va male


davvero.
Intanto se tu hai [incassato] lascia a Luigi [Pierro] il denaro per oggi
alle 4 per lo meno.
All’una e mezza sto nell’ufficio del «Corriere»13.
S. di Giacomo

sul quindicinale si occupava di critica letteraria e musicale. Cfr. ID., La conversione della fa-
miglia Manzoni, in «Fantasio», a. II, n. 8, 4 giugno 1882; ID., I ‘Capuleti’ di Bellini. A propo-
sito di una recente interpretazione, in «Fantasio», a. II, n. 9, 25 giugno 1882. Di Michele
Scherillo, inoltre, in qualità di esperto di musica, amico e sodale di Pagliara e dello stesso ci-
tato Florimo, nella FP sono conservate alcune lettere autografe (Fascicolo VI, Busta «M»), di
queste 14 non datate e altre 3 datate rispettivamente 14 luglio 1885, 21 dicembre 1888 e 24
ottobre 1891. In particolare, nella lettera del 21 dicembre 1888, in occasione della scomparsa
di Florimo, Scherillo scrive a Pagliara, confermando la stima di cui godevano entrambi i gio-
vani musicofili presso Florimo: «La corrispondenza del povero Florimo, della quale tu do-
mandi, fu tutta rilegata in trentaquattro volumi [...]; chi volesse tessere una bella e completa
biografia del Florimo o chi volesse occuparsi sul serio della storia della musica in questo se-
colo, troverebbe in quelle lettere da mietere e aneddoti e giudizi ed apprezzamenti davvero
preziosi. Una volta il Florimo [...] desiderò che lo facessi tu che t’eri occupato delle lettere
del Rossini; ma anche tu allora eri dedito ad altro. Ora io lo farei volentieri, ma non so donde
pigliare il tempo. Perché non lo fai tu? Noi che fummo amici di quel povero vecchio abbia-
mo, se ci pensi, un dovere affettuoso di soddisfare quel che fu un suo desiderio». Conferma,
questa, del legame che univa Scherillo a Florimo, fondato sugli interessi critico-artistici di
Scherillo. Cfr. almeno: M. SCHERILLO, La commedia dell’arte in Italia: studi e profili, Torino,
Loescher, 1877; ID., L’opera buffa napoletana, in Aversa a Domenico Cimarosa, Napoli, 1901
(poi in L’opera buffa napoletana durante il Settecento: storia letteraria, Milano, Sandron,
1916, «Collezione settecentesca» diretta da S. Di Giacomo). La collaborazione è testimoniata
dal lavoro a quattro mani Album-Bellini (a cura di F. Florimo e M. Scherillo, Napoli, Tocco,
1886, ora Napoli, Sanfilippo, 2001) e dalla commemorazione di Florimo pronunciata dallo
stesso Scherillo (Commemorazione di Francesco Florimo letta sul feretro il XIX dicembre
1888, Milano, Ricordi, 1888). Fu inoltre proprio grazie all’attività di redazione del «Fantasio»
che Scherillo si avvicinò a Pica, Pagliara e anche ad Alfonso Fiordelisi, del quale firmò, nel
1886, la Prefazione al volume Nuovi sonetti napoletani (cit. Cfr. supra). Il volume fu recensi-
to da V. Pica (Sonetti napoletani di A. Fiordelisi, in «Cronaca Sibarita», a. I, n. 5, 16 dicembre
1884, p. 7). Cfr. S. DI GIACOMO, Cronaca del Teatro San Carlino, Trani, Vecchi, 18952 [I ed.
Napoli, S. Di Giacomo editore, 1891], p. 535 ss.
13
Dalla fine degli anni Settanta, Di Giacomo era assiduo collaboratore del «Cor-
riere del Mattino» di Martino Cafiero, la nota testata che inaugurò quella che sarebbe di-
ventata la «terza pagina». Cfr. supra, nel I cap. Un ricordo di quegli anni vale la pena ripor-
tare: «C’era allora al Corriere del Mattino Martin Cafiero e curava la famosa ‘parte lettera-
ria’ Federigo Verdinois. Raffaele Perrelli, carissimo giovane, sedeva sulle cose della seconda
pagina. Nel Corriere principiai a scrivere alcune novelle di genere tedesco, che, se puzza-
vano di birra, non grondavano, però, dell’onor dei mariti e del sangue degli amanti. Quelle
novelle piacquero, e l’aver creduto, tanto il Cafiero quanto il Verdinois, che io le copiassi da
qualche libro tedesco, mi decise, anzi mi costrinse a scriverne molte altre. Dopo tre o quat-
tro mesi eccomi diventato ordinario collaboratore al Corriere, insieme con Roberto Bracco
e Peppino Mezzanotte. In quel tempo tutti e tre scrivevano novelle, ci volevamo un gran
bene e ci stimavamo assai. [...] Dal Corriere passai al Pro Patria e da questo alla Gazzetta.
I carteggi 107

VI

Lettera su foglio di carta di cm 21x13 ripiegato lungo la base.

[< 10 febbraio 1882]


Caro Pagliara,
Noi ci vedremo in commissione Giovedì alle 6 1/2. Questa volta per
ordinare bene le cose. Intanto Pica mi ha mandato un articolo sulla Faustin
di Goncourt che dice debba andare in questo prossimo numero14.
A me pare che l’articolo pecchi di questo, prima, di lunghezza, come
al solito, secondo di troppa ammirazione. Poi non mi va per niente che in un
giornale italiano si parli in ogni numero di cose francesi incensandone gli
autori. L’altro numero è pieno di de Goncourt, e di un altro del quale non
ricordo il nome. Ecco, Duranty15. Ora daccapo con de Goncourt e la solita

Càpito infine al Pungolo, fra ottimi amici, con un direttore che è la più franca e onesta e
cordiale persona che abbia conosciuta. Sono sei anni oramai che vivo nel giornalismo napo-
letano; ma ne ho sempre ignorato il vocabolario politico». È la notissima pagina autobiogra-
fica di Di Giacomo (cit.). Cfr. supra. Per una panoramica sulla attività di Di Giacomo al
«Corriere del Mattino» sia consentito di rimandare a P. VILLANI, Tra cronaca e letteratura:
l’attività pubblicistica e gli amici del “Corriere del Mattino”, in «Critica Letteraria», a.
XXXVI, fasc. II, n. 139/2008, pp. 317-343.
14
Si fa riferimento alla recensione al volume La Faustin di Edmond de Goncourt
(E. DE GONCOURT, La Faustin, Paris, Charpentier, 1882); l’opera era dedicata «a J. De Nittis»,
in casa del quale l’autore aveva letto l’inizio del romanzo (cfr. E. DE GONCOURT, Journal. Mé-
moires de la vie littéraire, par R. Ricatte, Préface et cronologie de R. Kopp, 3 voll., Paris,
Laffont, 1989, vol. II, p. 891). Pica ebbe in dono il noto libro direttamente dall’autore, come
attestano le lettere di Pica a Goncourt. Nell’epistola del 29 dicembre 1881 il giovane italiano
aveva fatto esplicita richiesta di una copia del libro, spinto forse dal forte battage pubblicita-
rio che aveva preceduto l’uscita del libro. Nell’epistola del 1 febbraio 1882 ringrazia de Gon-
court per l’invio della copia (cfr. Lettere a de Goncourt, pp. 59-62). La recensione fu fatta
quindi in pochissimi giorni, fu inserita infatti nel n. 3 del 10 febbraio 1882. Cfr. V. PICA, ‘La
Faustin’ di Edmondo de Goncourt, in «Fantasio», a. II (1882), n. 3, 10 febbraio, pp. 1-2 (ora
in “Arte aristocratica”, pp. 103-108). Nel numero precedente del «Fantasio» (a. II, n. 2, 25
gennaio 1882, p. 4, nella rubrica «Notizie») era già stata data notizia della pubblicazione del
romanzo. Nel numero successivo a quello dell’articolo, invece, Pica sarebbe tornato sull’argo-
mento. Cfr. V. PICA, Edmondo de Goncourt e Ferdinando Martini, in «Fantasio», a. II (1882),
n. 4, 1 marzo, p. 2. Si fa riferimento polemico ad una critica di Martini, un «insulso articolo»,
apparso sul «Fanfulla della Domenica» (a. I, n. 3, 19 febbraio 1882, poi in ID., Pagine raccol-
te, Firenze, Sansoni, 1912, pp. 491-502) del quale Pica si vanta di osservare «tre grossolani
errori». Cfr. V. Pica, lettera a Edmond de Goncourt, 2 marzo 1882, in Lettere a de Goncourt,
pp. 63-64. Ai Goncourt la rivista dedicò, oltre agli articoli di Pica, anche una recensione in
occasione della pubblicazione di L’art du XVIII siècle, Paris, Charpentier, 1881 (la recensio-
ne era apparsa in «Fantasio», a. II, n. 2, 25 gennaio).
15
Al noto [ma qui non a Di Giacomo] romanziere realista Edmond Duranty (Pa-
rigi, 1833-1880), Pica aveva dedicato un articolo apparso nel numero 2. Cfr. V. PICA, Profili
letterari francesi. Edmondo Duranty, in «Fantasio», a. II (1882), n. 2, 25 gennaio, pp. 2-3,
poi in All’avanguardia, pp. 201-210. In preparazione di questo articolo, Pica si era rivolto a
Edmond de Goncourt chiedendo notizie e insieme dimostrando già una certa dimestichezza
108 La seduzione dell’arte

chiusa: speriamo che l’autore voglia darci [meno]. Che ce ne importa? Dico
facciamo l’articolo per Fleres16, nonsignore, e il libro della Serao, e quello di
Farina escono17. Attacchiamoli ma nominiamoli. Io non so a chi debba conta-
re le mie ragioni. Di’ agli altri che venissero. Gli articoli bisogna esaminarli
prima o almeno saperne qualche cosa. Mandami il sonetto di Fiordelisi18 che
lo faccio comporre, mandami se vuoi farlo l’articolo per Fleres, se non lo si fa
fare lo fo io, mandami il calendario che mi serve perché Giannini vuol veder-
lo. Farò l’articolo sul Giobbe19.
Tuo
S. di Giacomo

VII
Poesia scritta su cartoncino di cm 27x17,5.

[< 10 marzo 1882]


Uocchie de suonno20, nire, appassiunate,
ca de lu mmele21 la ducezza avite,

con l’autore. Cfr. V. Pica, lettera a Edmond de Goncourt, 11 ottobre 1881, in Lettere a de
Goncourt, p. 57.
16
Allo spoglio del «Fantasio», non risultano recensioni a Ugo Fleres (Messina,
1857 - Roma, 1939), poeta, romanziere e soprattutto vivace giornalista, collaboratore del
«Capitan Fracassa» e protagonista della Roma «bizantina» degli anni Ottanta. In quel 1882,
inoltre, Fleres pubblicò con l’editore Sommaruga il volume di Versi. Cfr. G. SQUARCIAPINO,
Roma bizantina, cit.; L. CAPUANA, Libri e teatro, Catania, Giannotta, 1892, pp. 131-140.
Sulla attività di Fleres alla rivista fiorentina «Vita Nuova» nata il 20 febbraio 1889, cfr. G.
OLIVA, I nobili spiriti..., cit., pp. 65-87.
17
Di Farina si sarebbe parlato solo in seguito. Cfr. rec. a S. FARINA, Il Signor Io
(Roux e Favale, 1882), in «Fantasio», a. II, n. 5, 1 aprile 1882. Al contrario Serao era stata
recensita col suo Cuore infermo nel numero del 10 settembre 1881 (a. I, n. 3).
18
Cfr. ’N carrozza, in «Fantasio», a. II (1882), n. 3, 10 febbraio.
19
Fu inserito nella rubrica «Bibliografie» l’annuncio del volume M. BALOSSARDI,
Giobbe. Serena concezione, (Milano, Treves, 1882), in «Fantasio», a. II (1882), n. 3, 10 febbraio.
20
Questi notissimi versi, composti nel 1882, apparvero per la prima volta sul
«Corriere del Mattino», a. X, 10 marzo 1882 [da ora edizione A]. Questo manoscritto mo-
stra alcune variationes rispetto alla versione consegnata per la stampa. Si tratta del primo
dei tre sonetti che, col titolo Nannina, compaiono nei Sonetti (Napoli, Tocco, 1884) [da ora
edizione B] e poi aprono la raccolta di Poesie del 1907 (Napoli, Bideri). Il sonetto fu mu-
sicato lo stesso anno dal Francesco Andreatini, quindi da De Luca (Napoli, Società Musica-
le Napoletana, 1883) e da Lebrecht (Napoli, Giannini, 1883) fino a venir musicato nel 1884
da Mario Costa col titolo Napulitanata (Milano, Ricordi, 1884). I versi sembrano ispirati da
Olga Ossani (nota alla pubblicistica con il frequente pseudonimo di Febea) alla quale i
Sonetti furono dedicati. Poi la stessa canzone, con qualche variante lessicale, fu inclusa in
Canzoni napolitane (cit.), con un secondo titolo – forse più noto – ricavato dal primo verso,
Uocchie de suonno. Insieme ad altre, la canzone fu eseguita al Teatro Costanzi di Roma.
Cfr. Chiquita [M. SERAO], in «Il Pungolo», 13 febbraio 1884.
21
mmele] in A: mele] in B: mele].
I carteggi 109

pecché cu sti guardate che22 facite,


vuie nu vrasiero mpietto m’appicciate?

Ve manca la parola e mme parlate,


pare ca23 senza lacreme chiagnite,
de sta faccella janca anema site,
uocchie belle, uocchie doce, uocchie affatate! ...
Vuie, ca nzieme a li sciure v’arapite
e nzieme cu li sciure ve nzerrate,
sciure de passione me24 parite...

Vuie, sentimento de li nnammurate,


m’avite25 fatto male e lu sapite26,
uocchie de suonno, nire, appassiunate!
S. di Giacomo

VIII

Lettera su foglio di carta di cm 23x18 ripiegato lungo la base.

[< 1o aprile 1882]


Caro Pagliara,
ho avuto questa mattina l’articolo di Pica. Lui chiede il giornale per
questa sera ma è proprio impossibile perché questo mio signore ha fatto il bel
tiro di scrivere 11 dico undici cartelle fittissime per la Bernhardt27, in modo
che con l’articolo di Zola e quello di Pica è esaurito mezzo il giornale.

22
che] in A: che] ma in B: ca].
23
Ca] in A: che] ma in B: ca].
24
me] in A: mme].
25
m’avite] in A: m’avite] ma in B: mm’avite].
26
sapite] in A: sapite] ma in B: ssapite].
27
Si tratta dei due articoli dedicati all’attrice Sara Bernhardt a firma di Pica
(Sara Bernhardt) e di Zola (Sara Bernhardt e la réclame) che apparvero nel numero doppio
del «Fantasio», n. 5, 1 aprile 1882. Il nome è spesso riportato con l’aspirata, Sarah. La
Bernhardt [pseud. di Henriette Rosine Bernard] (Parigi, 1844 - ivi, 1923) fu attrice, scrittri-
ce e anche commediografa. Debuttò alla Comédie nel 1862, ma recitava in tutta Europa.
Sardou le confezionò diversi drammi. Nel 1890 fu in Italia, a Milano, Genova, Torino, Ve-
nezia, Bologna. In quella primavera 1882 la Bernhardt interpretò la «Signora delle Came-
lie». Cfr. anche G. GIACOSA, Sarah Bernhardt, in «Corriere del Mattino», 22 marzo 1882; M.
CAFIERO, Sarah Bernhardt, in «Corriere del Mattino», nei nn. del 23, 26 e 31 marzo 1882.
Al suo ritorno a Napoli, nel 1889, sul «Fortunio» Scalinger si occupò di lei (G.M. SCALINGER,
Per un ritratto di Sarah Bernhardt, in «Fortunio», a. II, n. 3, 20 gennaio 1889) e Michele
110 La seduzione dell’arte

Patti chiari ed amicizia lunga; io qui protesto e intendo che quest’af-


fare si finisca in un modo o in un altro. Come appartenente a questa commis-
sione di quattro persone non posso permettere da parte mia che prima s’indu-
gi tanto e si pretenda esser serviti presto e poi si mandi un articolo di quattro
colonne e più. Ora, siccome gli altri articoli non vanno tutti e bisogna che va-
dano uniti nel numero doppio e sono deciso oramai ad uscire dalla redazione,
fermamente, se si trova ostacolo alle mie logiche proteste, consigliatevi e de-
cidete.
Intanto bisogna che abbia pronto il danaro per pagare; Stendardo28
deve dare 3 lire e non so dove cercarlo, tu e Pica 12 lire ognuno. Che questo
danaro sia pronto in certo modo per stasera o dimani, e che si badi in seguito
a non cadere in impicci relativi agli articoli.
Tuo
S. di Giacomo

Ricciardi ricordava quel primo arrivo a Napoli nel 1882 (M. RICCIARDI, Dopo sei anni, in
«Fortunio», a. II, n. 3, 20 gennaio 1889, p. 3). Donna dalla «mano di ferro» è definita dalla
collega Eleonora Duse, in un ritratto contenuto nell’epistola a Carlo Placci (in E. DE TROJA,
Ritratti d’artista nella lettera all’amico, in AA. VV., Scrivere lettere. Tipologie epistolari nel-
l’ottocento italiano, cit., pp. 239-257, a p. 249). Sull’attrice cfr. J. HURET, Sarah Bernhardt,
Paris, Juven, 1899. Si veda anche il gustoso articolo di Roberto Bracco dedicato al confron-
to tra la Bernhardt e la Duse (R. BRACCO, La rivalità tra la Duse e Sarah Bernhardt, in
Nell’arte e nella vita, cit., pp. 63-70). Cfr. anche G.M. SCALINGER, Le dive si incontrano, in
«Fortunio», a. II, n. 2, 13 gennaio 1889, pp. 1-2. Bracco si occupò spesso dell’attrice anche
nei suoi articoli di costume e critica musicale apparsi sul «Mattino». In particolare, nel
numero del 30-31 gennaio 1893, Bracco, Baby, firma un articolo dedicato a Sarah Bernhar-
dt a Napoli.
28
Francesco Stendardo (1861-1929) diplomato al Conservatorio musicale San
Pietro a Majella di Napoli (Cfr. F. STENDARDO, Una visita all’Archivio del Reale Collegio di
Musica di Napoli, Napoli, Eugenio Aniello, 1880) e laureato in Legge, si occupava di critica
letteraria e teatrale. Insieme a Di Giacomo, fu tra i fondatori del «Fantasio», dove pubblicò
i seguenti articoli-composizioni: Musica da Camera. Variazioni sul tema bozzetto, a. I
(1881), n. 2, 25 agosto; Vecchi ricordi, a. I (1881), n. 5, 10 ottobre; Letteratura pesante, a.
II (1882), n. 1, 10 gennaio; Ninì, a. II (1882), n. 4, 1 marzo; Pomponnette, a. II (1882), n. 13,
24 settembre; A teatro, a. II (1883), n. 3, 10 febbraio; Per via, a. III (1883), n. 6, 20 maggio.
Stando a Rossana Melis (Narrativa popolare/rusticana..., cit., pp. 465-530, a p. 508) è inol-
tre l’autore di un’anonima recensione a Pane nero di Verga (Giannotta, Catania, 1882), che
apparve in «Fantasio», a. II, n. 9, 25 giugno 1892, p. 4. Negli anni successivi collaborò a
diverse testate, napoletane e nazionali. Fu poi, con Pica, redattore della «Cronaca Sibarita».
Cfr. infra, nel carteggio di Pica.
I carteggi 111

IX
Lettera su foglio di carta di cm 10x15, con intestazione in margine superiore sinistro di
inchiostro rosso e in corsivo «S. di Giacomo».

Mercoledì [< giugno 1882]


Caro Rocco,
Eccoti le passeggiate di Yorick [sic]29, a patto che oggi mi porti le 7
lire. Ho avuto Don Juan30. Restiamo intesi.
Tuo
S. di Giacomo

X
Lettera su carta di cm 27x10 ripiegata lungo la base.

[15 marzo 1883]


Caro Pagliara,
Quant’altro tempo si deve aspettare il tuo articolo sul quartetto31?
Oggi ne abbiamo 15.
Se è possibile vediamoci davanti alla Strasburgo32.
Tuo
S. Di Giacomo

29
Si tratta della recensione a Yorik [P.C. FERRIGNI], Lungo l’Arno (seconda serie
di Su e giù per Firenze, Milano, Brigola, 1882) apparsa nella sezione «Bibliografia» del nu-
mero 8, giugno 1882, del «Fantasio». Grazie a questa annotazione possiamo ipotizzare la
datazione della lettera.
30
Si tratta del testo teatrale che sarebbe apparso l’anno successivo sul «Fantasio»
(G.A. CESAREO, Don Juan, in «Fantasio», a. III, n. 6, 20 maggio 1883). Giovanni Alfredo
Cesareo (Messina, 1860 - Palermo, 1937) fu storico e critico della letteratura, ma anche
narratore e poeta, membro dell’Accademia Reale di Scienze e Lettere di Palermo e dell’Ac-
cademia della Crusca. Autore di un volume di novelle, Avventure eroiche e galanti (Torino,
Triverio, 1887) e di vari volumi di versi, molti dei quali raccolti poi in Poesie, Bologna,
Zanichelli, 1912. Direttore del periodico «La Domenica Letteraria» di Sommaruga nel
1883, passò poi a collaborare agli altri fogli sommarughiani, «Nabab» e «Cronaca Bizanti-
na». Fu redattore capo anche del «Capitan Fracassa». Cesareo collaborò con il futuro diret-
tore del «Mattino» Scarfoglio nella redazione del Risotto al Pomidauro, titolo parodistico di
una serie di articoli apparsi sul «Corriere di Roma» nel 1886. Cfr. infra.
31
Potrebbe trattarsi dell’articolo di Pagliara, Il concerto di Wagner alla società del
quartetto (in «Fantasio», a. III, n. 5, 20 aprile 1883). La nuova «Società del Quartetto», pensa-
ta dapprima come «dipartimento musicale» del Circolo dell’Unione, fu inaugurata a Napoli
nel 1880, animata da Giuseppe Martucci, e segnò l’inizio di una fase di ripresa della cultura
musicale strumentale napoletana. Cfr. R. DI BENEDETTO, La cultura musicale, cit., pp. 27-37.
32
Alla Birreria Strasburgo – nei pressi di palazzo Reale, nel cuore di Napoli – si
formò un vero cenacolo culturale. Ne scriveva Matilde Serao (in «Capitan Fracassa», a. IV,
20 maggio 1883): «Il cenacolo sta in mezzo a questo chiasso quasi senza accorgersene: ci
viene il Vetri, il forte e originale scolaro del Morelli; Vincenzo Volpe, pittore taciturno e
sentimentale; Caprile, pittore gaio; De Sanctis, Pistilli e altri pittori-speranze, grandi sogna-
tori che hanno la trepidanza di chi rispetta l’arte. Migliaro e Di Giacomo sono i più assidui».
112 La seduzione dell’arte

XI

Lettera su foglio di carta di cm 20x15,7 ripiegato lungo la base. La carta è intestata con
scritta in rosso in corsivo in margine superiore sinistro, «S. di Giacomo».

Sabato, maggio 1883


Caro Pagliara,
se hai raccolto il denaro delle mie 5 copie fammi in cortesia il favore
di lasciarmelo a casa. Giannini mi ha già scritto 1a lettera e figurati quante ne
verranno appresso. Gli manderò dimani le prime 100 lire raccolte con molto
sudore e mi mancano 20 lire.
Abbi pazienza.
Tuo
Salvatore

XII

Lettera su foglietto di carta a quadretti di cm 13x9.

[1881-83]
Caro Rocco,
né Pica mi ha dato i suoi denari né Stendardo è venuto. Intanto
l’egregio Giannini33 s’ha tenute quarantacinque lire e io son rimasto con le
tue 15. È dunque indispensabile che mandi almeno una metà delle ricevute
agli abbonati e queste le consegnerai al distributore che t’invio. Anche se Pica
mi dà 15 lire, son 30 e ne mancano ancora 15 che dovremmo dividere inter
nos. Ricorda che ho di credito 3 lire dalla volta scorsa; 2 ne ho avute per un
abbonamento. Resta 1 di credito. 15 diviso per 4 fanno 3.75. Dovrei dare io
2.75. Prendiamo dunque queste ricevute perché il signor Pica non vuol senti-
re di mandarle queste benedette sue lire. E io mi trovo a mani vuote. Consi-
dera tu e mettiti nei panni miei, caro Rocco
Tuo S. di Giacomo

33
Francesco Giannini, tipografo presso cui ha lavorato il giovane Di Giacomo ai
tempi della direzione e redazione del «Liceo». Cfr. F. SCHLITZER, «Il Liceo» di Salvatore Di
Giacomo, Firenze, Sansoni, 1961, p. 71 s.; P. PIRONTI, Salvatore Di Giacomo editore, Napo-
li, Lucio Pironti Editore, 1982.
I carteggi 113

XIII
Lettera su foglio di carta di cm 21x13,5 ripiegato in due lungo la base.

Venerdì [1881-1883]
Carissimo,
è venuto oggi Stendardo a pigliarsi una dozzina di copie del giorna-
le34; gli ho mostrata la lettera o meglio la fattura Giannini. Ha detto che è
pronto a sborsare i soldi. Intanto gli ho fatto una predica, dicendogli quello
che ci dicemmo qui. È bene dunque che stasera ci vedessimo a la Strasbur-
go35 da le 8 a le 9. Verrà pure Pica. Non mancare.
Tuo
Salvatore

XIV
Lettera su foglio di carta di cm 21x 13,5 ripiegato lungo il lato della base.

[1881-1883]
Carissimo,
Paga il tipografo Giannini per l’ultimo numero del «Fantasio». Mo-
stragli però la carta di questo ultimo numero la quale è una bella porcheria.
Di questo passo, con mutamenti di carta [a] ogni numero, scenderemo sino a
quella de’giornali quotidiani – pagando sempre lo stesso. È necessario che lo
sappia il Sig. Giannini.
Tuo
di Giacomo

XV
Lettera su carta di cm 36x23 con intestazione «Stabilimento tipografico del Cav. Francesco
Giannini con Litografia, Fonderia di caratteri e Legatoria. Napoli, Cisterna dell’Olio 4 a 7».

[1881-1883]
Caro Pagliara,
Ti prego di portare il manoscritto che devi dare. E per novella cosa
mettiamo? Ne tradurremo una dal francese? Vieni appena puoi alla tipografia.
Ti prego di non mancare36.
Tuo aff.
S. di Giacomo

34
Si tratta naturalmente di un numero del «Fantasio», stando ai riferimenti a
Stendardo e Giannini.
35
Cfr. lettera X.
36
Di Giacomo fa riferimento ai lavori di composizione del «Fantasio». Questo
permette di datare la lettera nel biennio di vita della rivista.
114 La seduzione dell’arte

XVI
Lettera su foglio di carta di cm 13,5x20,5. Carta intestata con inchiostro rosso «Fantasio
Redazione».

[1881-1883]
Caro Pagliara,
Il Giannini mi fa sapere che ancora non è stato pagato l’ultimo nu-
mero del «Fantasio». Ti prego di pagarlo perché è un seccatore ed ha sempre
dubbi. Ma, se vai tu stesso, digli che la carta è pessima. Anzi mostragli un mio
biglietto di lagnanze alle quali aggiungerai le tue.
Ma pagalo, in nome di Dio!
di Giacomo

XVII
Comunicazione su foglio di carta di cm 20x15,5 ripiegato lungo la base. Intestazione «R.
Stabilimento Tipografico del Cav. Francesco Giannini con Litografia, Fonderia di caratteri
e Legatoria – Napoli Cisterna dell’Olio 4 a 7».

[1881-1883]
Caro Pagliara,
Ti rinnovo la preghiera per quell’affare. Ora debbo pagare il 2° num.
Tuo
di Giacomo

XVIII
Comunicazione su cartoncino di cm 15,3x10,5 ripiegato lungo la base.

[1881-1883]
Caro Pagliara,
Mandami o fammi capitare in qualunque modo la tua rata che col
conto fatto con Pica e Stendardo ammonta al 15.
di Giacomo

XIX
Comunicazione su foglio di carta di cm 10x15,5 con intestazione in rosso al margine supe-
riore sinistro, in corsivo, «S. di Giacomo».

[1881-1883]
Verrò io da te verso le 5 1/2. Fatti trovare. Nel caso non ci vedessimo
a casa tua, io andrò questa sera al solito a la Strasburgo37 più presto del solito,
cioè verso le 7. È d’urgenza parlarti.
Tuo
Salvatore
37
Cfr. supra, lettera X.
I carteggi 115

XX

Lettera su foglio di carta di cm 10x15,5 con intestazione rossa al margine superiore sinistro,
in corsivo, «S. di Giacomo».

[1881-1883]
Caro Pagliara,
devi assolutamente venire a casa mia dentr’oggi. Giannini mi manda
a chiedere danaro. Ho bisogno di vederti e combinare assieme una mia idea
in proposito. Sarò a casa sino alle sei.
Ti aspetto
Tuo
S. di Giacomo

XXI

Lettera su foglio di carta, strappato, di cm 31x10,5, ripiegato lungo la base.

[1881-1883]
Carissimo,
Per mezzo di mio fratello ti mando 3 acqueforti per farne l’uso con-
veniente, cioè per mandarle ai tuoi abbonati38.
Dimani a mezzogiorno il giornale è in piazza. All’acqueforti ho ag-
giunto 3 [veline] per l’eleganza.
Et sic itur ad astras!
S. di Giacomo

XXII

Telegramma di cm 14x23 privo di timbri postali. Indicazione del destinatario «Al Sig. Rocco
Eduardo Pagliara – S. di Giacomo».

[1881-1883]
Carissimo,
Se puoi lasciare a Luigi qualcosa che hai riscosso mi farai piacere. Il
giornale esce a mezzogiorno.
Questa sera alla Strasburgo.
S. di Giacomo

38
Ad uno spoglio di «Fantasio» non risultano notizie di acqueforti inviate agli
abbonati.
116 La seduzione dell’arte

XXIII
Lettera su foglio di carta di cm 27x21 ripiegato lungo la base.
Martedì [1884]
Caro Rocco,
con Santamaria39 si è combinato che avrai il permesso mese per
mese da lui, altrimenti si dovrebbe ricorrere a una deliberazione della Giunta.
Puoi mandare intanto a ritirare lo stipendio. L’impiegato è avvisato.
Fatti vedere. Tra quattro o cinque giorni pubblico i Sonetti40.
Tu sei un porco: stai facendo un libretto per la Ruta41? ! E bravo!
Tuo aff.mo
Salvatore
39
Si tratta probabilmente di Luigi Santamaria (1835 - ?) francesista, professore
del Reale Educandato Principessa Clotilde e poi Dirigente al Collegio della Nunziatella.
Ebbe diversi incarichi istituzionali e dal 1883 era Regio Delegato Scolastico.
40
Il volume dei Sonetti apparve presso l’editore Tocco di Napoli nel 1884, e re-
cava in copertina l’immagine di una popolana firmata dal pittore Paolo Vetri. Era un elegan-
te volume di sedici sonetti, una cui anticipazione era già stata offerta, forse proprio grazie
alla mediazione di Pagliara, sulla «Cronaca Sibarita» (cfr. «Cronaca Sibarita», a. I. n. 1, 1
settembre 1884). Tra le tante recensioni dell’opera si ricorda quella di Giacinto Ciamarra (G.
CIAMARRA, Sonetti napoletani, in «Napoli Letteraria», a. II, n. 3, 18 gennaio 1885). La recen-
sione si dedicava anche al volume di Alfonso Fiordelisi, Sonetti napoletani (Napoli, Pierro,
1884) da cui l’articolo prendeva il titolo. Ad entrambi i poeti dedicò un saggio, sulla stessa
«Napoli Letteraria», anche Vittorio Pica (Sonettisti napoletani, in «Napoli Letteraria», a. III,
n. 28, 11 luglio 1886. Cfr. supra). All’articolo di Pica rispose F.C. Vasquez, con un breve
saggio apparso in «La Ronda» di Verona il 18 luglio 1886, accendendo una piccola polemica
conclusasi con l’articolo di Pica, Per finirla, apparsa in «La Ronda» il 15 agosto 1886.
41
Si fa riferimento alla figlia di Michele Ruta (Caserta, 1826 - Napoli, 1871), il
redattore della «Appendice musicale» del «Corriere del Mattino» già dal mese di febbraio
1877; studioso del Conservatorio di San Pietro a Majella (cfr. M. RUTA, Storia critica delle
condizioni della musica in Italia e del Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli, Napo-
li, Detken & Rocholl, 1877), dunque legato a Di Giacomo da amicizia antica e da interessi
culturali comuni. La figlia Gilda Ruta (Napoli, 1856 - ?) era pianista e compositrice. Nella
FP sono presenti, musicate da Gilda Ruta, le seguenti opere: Deserto, 1882; Mesta serena-
ta, Milano, Ricordi, 1884; Son sola, Milano, Ricordi, 1890; L’ultima ebbrezza, Milano, Ri-
cordi, 1885. Il libretto cui Di Giacomo fa riferimento in questa lettera, però, è Nevrosi,
melodia per canto, su testo di Rocco Pagliara, che sarebbe stata pubblicata in volume nel
1888 (Torino, Giudici & Strada). Cfr. anche Baby [R. BRACCO], Gilda Ruta, in «Capitan
Fracassa», a. VIII, n. 90, 31 marzo 1887, p. 3.
Nella stessa FP sono inoltre presenti alcune missive autografe di Gilda Ruta a
Rocco Pagliara (FP, Archivio Manoscritti, Busta R). Sono lettere, cartoline postali o biglietti,
per un totale di 8 comunicazioni, delle quali due non datate e le altre datate tra il 5 ottobre
1886 e il 3 novembre 1894. Sono per lo più carte di corrispondenza personale, di scarso rilie-
vo critico-artistico. Su Gilda Ruta nel 1887 comparve un interessante profilo nel «Don Chi-
sciotte», firmato dalla redazione (a. II, n. 14, 1o aprile 1887). Dopo averla descritta «composi-
trice originale», il profilo si chiudeva: «L’Arte ha segnato a lettere diamantine il nome di Gil-
da Ruta, nel suo libro d’oro; e voi donne belle e gentili cavalieri che mi leggete fatele omag-
gio conservando come grata memoria il suo ritratto». L’articolo prendeva spunto dal recente
concerto eseguito il 28 marzo precedente alla Società del Quartetto, in presenza anche di
Florimo. Al lancio artistico della Ruta deve aver contribuito anche Pagliara.
I carteggi 117

XXIV

Lettera su foglio di carta di cm 21x13,5 ripiegato lungo la base.

22 maggio 1886
Caro Rocco,
Domani, se posso, ti mando Mattinata [sic]42.
È mezza edita e mezza no. Quasi tutte sono edite, però43. Ti ringrazio.
Il 28 escono i sonetti44.
Tuo
S. di Giacomo

42
Si fa riferimento alla raccolta di novelle Mattinate napoletane, appena apparsa
per la Casa Editrice Artistico-Letteraria di Napoli. Esaurito in pochi giorni, il volumetto fu
quindi pubblicato in una nuova edizione accresciuta, nel 1887, per i tipi di Luigi Pierro. Il
libretto veniva offerto agli abbonati del «Picche», sul quale uscì anche una lettera elogiativa
firmata da Giacomo Zanella, dedicata a Salvatore Di Giacomo (in «Picche», 31 luglio 1886):
«Accolgo il verismo quando mi viene da una penna come la sua». Una recensione al volume
apparve anche nella «Gazzetta Letteraria», anonima, ma proprio nel periodo in cui alla ri-
vista torinese collaborava anche Pagliara (a. X, n. 3, 24 luglio 1886). A recensire la seconda
edizione di Mattinate napoletane sarebbe stato inoltre Giuseppe Depanis. Cfr. D.[G. DEPA-
NIS], rec. a S. DI GIACOMO, Mattinate napoletane, in «Gazzetta Letteraria», a. XI, n. 5, 29
gennaio 1887, p. 38. Depanis apprezza il realismo digiacomiano, la capacità di riprodurre
«scene di vita napoletana del popolo minuto» (ibidem).
43
Mattinate comprendeva: Vulite ’o vasillo?, apparsa col titolo Mattinate napole-
tane. Vulite ’o vasillo?, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 7, 13 febbraio 1886; Serafina, appar-
sa col titolo Il sangue di Serafina, in «Corriere di Roma illustrato», 30 dicembre 1885; L’ab-
bandonato, apparsa con lo stesso titolo in «Napoli Letteraria», 8 febbraio 1885 [l’autore die-
de la novella a Gaetano Miranda perché intercedesse col Sommaruga in vista di un volume
di novelle mai pubblicato da Sommaruga. Cfr. F. SCHLITZER, Salvatore Di Giacomo..., cit.,
pp. 73-74]; Gli amici, apparsa con lo stesso titolo in «Scena illustrata», a. XXII, n. 4, 15 feb-
braio 1886, e anche in «Picche», n. 16, 15 maggio 1886; Fortunata la fiorista, il cui primo
nucleo apparve come Nota di cronaca, in «La Repubblica Letteraria», a. I, n. 4, 10 maggio
1885, poi col titolo Fortunata la fiorista, in «Napoli Letteraria», a. III, n. 25, 20 giugno 1886;
L’amico Richter, apparsa con lo stesso titolo in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 48, 28 novem-
bre 1885; Senza vederlo, apparsa con lo stesso titolo in «Cronaca Sibarita», a. I, n. 4, 1 di-
cembre 1884, poi col titolo Senza volerlo, in «Corriere di Roma illustrato», a. II, 8 ottobre
1886; La Regina di Mezzocannone, apparsa con lo stesso titolo in «Corriere di Roma illustra-
to», a. II, 5 giugno 1886; L’impazzito per l’acqua, apparsa col titolo L’impazzito per l’acqua
del Serino, in «Corriere di Roma illustrato», a. II, 28 maggio 1886; Notte della Befana, appar-
sa col titolo La Befana in «Fantasio», a. III, n. 5, 20 aprile 1883; Scirocco, apparsa con lo
stesso titolo in «Corriere del Mattino», a. X, Numero Strenna, Pasqua 1882, poi in Minuetto
Settecento, Napoli, Pierro, 1883; Suor Carmelina, apparsa col titolo Fatti e fantasie. La San-
tarella, in «Corriere di Roma illustrato», a. II, 7 luglio 1886.
44
Si tratta della raccolta di sonetti ’O Funneco verde (Napoli, Pierro, 1886). Con
quella raccolta Di Giacomo sembrava voler rispondere alle critiche degli amici del «Gam-
brinus», che gli chiedevano poesie di intonazione popolare e napoletana (cfr. T. IERMANO, Il
melanconico in dormiveglia..., cit., p. 240 ss.
118 La seduzione dell’arte

XXV

Lettera su foglio di carta di cm 22x18, ripiegato lungo la base.

28 giugno 1887
Caro Rocco,
Ti mando due copie del mio Monasterio [sic]45, una per te, un’altra
per Carducci46. O glie la passi, se lo conosci, o glie la fai pervenire col mio
biglietto. Leggi il libro e se hai tempo dimmi che impressione ti fa, che vi
trovi di buono o di cattivo.
Ciao, ti abbraccio,
Tuo
di Giacomo

45
Il poemetto ’O Munasterio era stato appena pubblicato, per l’editore napole-
tano Tocco [una seconda edizione, con varianti, apparve per gli stessi tipi nel 1891]. Poco
prima della stampa, fu fatto circolare un foglietto pubblicitario dello stesso Di Giacomo:
«Chesta è la storia de nu marenaro / ca se facette monaco p’ammore / e comme e quan-
no fuie tutto sta scritto / dint’a stu libbro mio; / gente, accattatevillo, ’a nomm ’e Dio. /
Attuorno ’o libbro, ’e san Francisco Assise, / mpont ’a na fettuccella / ce sta la medagliel-
la / è benedetta overo; /gente, come ve pare stu pensiero? / Basta, si v’accattate / stu
libbro, e ncopp ’o prezzo nun tirate / tre mise d’indulgenze guadagnate». Il lavoro era
dedicato all’editore Matteo Schilizzi con cui Di Giacomo lavorò negli anni del «Corriere
di Napoli». Non è un caso che un’anticipazione del volume apparve, mesi prima della
pubblicazione, nel «Corriere di Roma illustrato» (Da ’O Munasterio, in «Corriere di Roma
illustrato», a. II, n. 332, 29 novembre 1886). Apparso il volume, Di Giacomo inviò una
copia a Mezzanotte e una a Carducci. Cfr. F. SCHLITZER, Salvatore Di Giacomo..., cit., p.
131. Cfr. anche le lettere di Di Giacomo a Mezzanotte (in G. OLIVA, Giuseppe Mezzanot-
te..., cit., pp. 169-170). Una delle più note recensioni al poemetto, non senza riserve, porta
la firma di Roberto Bracco. Cfr. Baby [BRACCO], O’ Munasterio (a Salvatore Di Giaco-
mo), in «Il Piccolo», 5-6 agosto 1887. Cfr. anche Gibus [M. SERAO], «Api Mosconi e Ve-
spe», È arrivato ’O Munasterio, in «Corriere di Roma illustrato», a. III, 2 luglio 1887;
CONTESSA LARA, A proposito d’ ’O Munasterio, in «Corriere di Roma illustrato», a. III, 9
luglio 1887.
46
Carducci avrebbe apprezzato l’opera, come testimonia il ringraziamento di Di
Giacomo due anni più tardi (S. DI GIACOMO, lettera a Giosuè Carducci, 23 ottobre 1890, in
G. INFUSINO, Lettere da Napoli..., cit., pp. 75). Ancora una volta, Pagliara si dimostra pro-
motore di cultura e regista di intrecci culturali fecondi. In occasione della visita di Carducci
a Napoli, però, Di Giacomo rimase in disparte. Cfr. S. DI GIACOMO, lettera a Giuseppe Mez-
zanotte, 21 luglio 1891, in G. OLIVA, Giuseppe Mezzanotte..., cit., p. 175. Si trattava del
pranzo organizzato dalla Serao in onore di Carducci, a Napoli nel 1891 in compagnia di
Annie Vivanti. L’anno successivo Carducci sarebbe tornato a Napoli, per tenere al Filologi-
co una conferenza su Parini.
I carteggi 119

XXVI
Lettera su cartoncino di cm 22,5x15,5. Carta intestata «S. di Giacomo».
[1888]
Caro Pagliara,
Io non posso permettere che altri che non ci ha proprio che vedere
paghi per le soddisfazioni d’un terzo, né posso permettere, allo stesso tempo
che si usi d’una cosa mia senza compensarmi. Faccia o non faccia il Valente47
un affare a me non importa, né m’importa se l’editore vende o non vende o
rifonde. Se io dovessi avere questi criteri darei la roba mia a tutti, per como-
do di tutti: Costa48 non musicherà più la poesia, me l’ha detto e io che glie

47
Vincenzo Valente (Corigliano Calabro, 1855 - Napoli, 1921) compositore, è au-
tore, tra le altre, della celebre operetta in tre atti e quattro quadri Rosaura rapita (poi Mila-
no, Ricordi, 1904). Per Pagliara lavorò alla musica di Notte d’ammore (1889), Delirio. Valzer
cantabile (in «Fortunio», a. II, n. 27, 7 luglio 1889, pp. 2-3), e Sì! (Milano, Ricordi, poi in Chi
chiagne, chi ride!, Milano, Ricordi, 1895). Tra le numerosissime canzoni musicate per i versi
digiacomiani, a partire da questo 1888, oltre al volume di Canzoni napolitane (cit.) si ricorda-
no: ’A testa d’aruta, Milano, Ricordi, 1893 [il testo già in «Corriere di Napoli», a. XVIII, n. 75,
16 marzo 1889]; All’erta sentinella!, in Canzoni napolitane, cit. [con la dicitura non veritiera
di «musica inedita di P. Mario Costa», già edita invece come musicata da Valente in «Cronaca
Partenopea», a. II, 6 settembre 1891. Il testo poetico compare nell’edizione del volume Poe-
sie del 1907, cit.]; ’O campaniello, Milano, Ricordi, 1896; Vocca addurosa..., Piedigrotta
1897, in «La Tavola Rotonda», a. VIII, nn. 35-36, 4 settembre 1897 [poi in Poesie, ed. 1907 e
successive]; ’A Ballarina, Milano, Ricordi, 1897; ’A Sirena. Canzone ’e mare, Milano, Ricordi,
1897; ’E tre creature, Milano, Ricordi, 1899; Tiempe d’ammore!, Napoli, Morano, 1902; ’A
pizzaria ’e don Salvatore, Napoli, Morano, 1902; Vurria, Milano, Ricordi, 1903 [già stampata
senza titolo in Ariette e sunette, Napoli, Pierro, 1898; poi in Poesie, ed. 1907 e successive];
Pusilleco. Serenata Napoletana, Milano, Ricordi, 1898; Tarantella sorrentina, Milano, Ricor-
di, 1900 [poi in Poesie, ed. 1907 e successive]; Donna Rosa ’a Speranzella, in «La Tavola Ro-
tonda», a. IX, 31 agosto 1899 [è una rielaborazione di Donn’Amalia ’a Speranzella, nel volume
Zi’ Munacella, Napoli, Pierro,1888, poi edita a Napoli, Bideri, 1899]; Canzoni popolari napo-
letane. Cucù!, Milano, Ricordi, 1899; ’E tre terature. Tarantella, Milano, Ricordi, 1899; L’ap-
puntamento, canzone apparsa in «La Tavola Rotonda», a. IV, nn. 37-38, 2 settembre 1894 [poi
Napoli, Bideri, 1894, poi in Ariette e sunette, 1898, cit., e in Poesie, 1907 e successive]; Ma-
talè!..., in Chi chiagne e chi ride!, Milano, Ricordi, 1895; ’A cammisa affatata, in Chi Chiagne
e chi ride!, cit. [ma anche in volume, Milano, Ricordi, nello stesso 1895]; Vurria..., Milano,
Ricordi, 1903, poi in Poesie, 1907 e successive; ’O campaniello. Piedigrotta 1896, Milano, Ri-
cordi, 1896; Piedigrotta 1902. Tiempe d’ammore, in «Piedigrotta Valente 1902», Napoli, Mo-
rano, 1902; ’A pizzaria ’e don Salvatore, Napoli, Morano, 1902; Vurria, in «Piedigrotta Valen-
te», Napoli, Morano, 1903 [e anche Milano, Ricordi, 1903]; Tarantella scura, Milano, Ricor-
di, 1906; I miei gusti (macchietta), Leipzig Wahren, Poliphon, 1911; Tarantella a suspire...,
Leipzig Wahren, Polyphon, 1913. Valente, inoltre, compare tra i compositori di Piedigrotta
for ever! [Napoli, Melfi & Joele, 1901] e di Piedigrotta Album 1902 [Napoli, Bideri, 1902].
48
Pasquale Antonio Cataldo Maria Costa, noto come Pasquale Mario Costa (Taran-
to, 1858 - Montecarlo, 1933) è stato tra i più noti compositori delle canzoni digiacomiane, mol-
te delle quali per la Festa di Piedigrotta. Tra queste si ricordano la celeberrima Era de maggio.
Matenata, Napoli, Santojanni, 1886; Maria Rò! Chitarrata, traduzione ritmica di R.E. Pagliara,
Napoli, Santojanni, 1886; ma anche: Oje Carulì!, Milano, Ricordi, 1888, la canzone che piac-
120 La seduzione dell’arte

l’avevo promessa perdo, oltre la parola, il compenso49. Siccome non voglio


denari da te, dirai al Valente o all’editore che io ritiro il permesso. Non inten-

que tanto a Di Giacomo: «È di grande effetto la musica, che ha un preludio di musica araba»
(S. Di Giacomo, lettera a Paolo Vetri, 29 agosto 1885, in G. INFUSINO, Lettere da Napoli ..., cit.,
p. 227). Tra le altre canzoni musicate da Costa su versi di Di Giacomo, si ricordano: Oje ma-
renà. Barcarola, imitazione ritmica di R.E. Pagliara, Napoli, Santojanni, 1884 [poi col titolo di
Oi marenà in Canzoni napolitane, cit.]; Nannì!!!.. me’, dimme ca sì!, Milano Ricordi, 1882 [il
testo poi in Poesie, ed. 1907 e 1909]; Napulitanata, Milano, Ricordi, 1883; Serenatella, Milano,
Ricordi, 1884; Oilì Oilà. Canzone popolare tarantina, Napoli, Santojanni, 1886 [il testo fu an-
che tradotto in italiano da Carlo Abeniacar]; Mena, mè! Canzone di Piedigrotta, Milano, Ricor-
di, 1886 [edita poi col titolo Cedi alfin!, con trad. ritmica di R. Pagliara per Ricordi, 1888, poi
in Canzoni napolitane, cit. e in forma definitiva in Poesie, ed. 1907 e successive]; Luna nova,
Napoli, Società Musicale Napoletana, 1887 [poi con trad. ritmica di C. Abeniacar, Milano, Ri-
cordi, 1905]; ’A Retirata. Canzone di Piedigrotta, Napoli, Società Musicale Napoletana, 1887
[e Lipsia, Röder, 1887 su concessione dei diritti della editrice napoletana; la canzone fu poi
stampata in Canzoni napolitane, cit., e in Poesie, ed. 1907, e anche a Milano, Ricordi, 1905];
Munasterio, Napoli, Società Musicale Napoletana, 1887 [la traduzione italiana, su testo di Car-
lo Abeniacar è intitolata Convento. Poi ristampata in Canzoni napolitane, cit., e con versione
ritmica e musica fu edita da Ricordi, Milano, 1908]; Dimane t’ ’o ddico, Napoli, Società Musi-
cale Napoletana, 1888 [poi in Canzoni napolitane, cit, e in Poesie, ed. 1907 e successive]; La-
riulà, Tarantella, Napoli, Società Musicale Napoletana, 1888 [già Canzone a dispetto, poi Di-
spetto!, Napoli, Società Musicale Napoletana, 1888; poi in Canzoni napolitane, cit. e in Poesie,
ed. 1907]; Va te spassa!, Napoli, Società Musicale Napoletana, 1889 [già ’O confessore, in «Ca-
pitan Fracassa», 7 ottobre 1888]; ’Ncampagna, Napoli, Società Musicale Napoletana, 1889 [già
in «Corriere di Napoli», poi in Canzoni napolitane, cit., poi col titolo ’Ncampagna (Zitella o
mmaretata), in «L’Occhialetto», a. XXII, n. 28, 30 settembre 1894; infine, senza titolo, in Ariette
e sunette, cit.]; A Signora Luna, Napoli, Bideri, 1892; Catarì. Canzona appassionata, Napoli,
Bideri, 1893 [già in «La Tavola Rotonda», a. III, n. 7, 12 febbraio 1893]; L’Acquaiuolo, Milano,
Ricordi, 1896 [il testo Lamento ‘e n’ Acquaiuolo era già apparso in «Alamanacco per l’anno
1887» del «Fanfulla» nel dicembre 1886, ma datato 1887, poi stampato come canzone ’E dena-
re ’e l’acquaiuolo, in ’Zi Munacella, Napoli, Pierro, 1888. Dopo la versione per musica di Costa
del 1896, la canzone uscì in Ariette e sunette (cit.) e poi in Poesie, ed. 1907]; Serenata Napolita-
na, Milano, Ricordi, 1896 [poi in «Piedigrotta Ricordi 1897», Milano, Ricordi, 1897 e il testo
poi in Poesie, ed. 1907 e successive]; Donn’Antonio ’o cecato u ’o cunto d’ ’A si’ ciento, Milano,
Ricordi, 1897 [poi in Ariette e sunette, cit.]; ’A Speranzella, in Chi chiagne e chi ride!, cit.;
L’Ortenzie, Milano, Ricordi, 1898 [poi in Ariette e sunette, cit., e in Poesie, ed. 1907 e successi-
ve. Quest’ultima canzone, insieme a Tutto se scorda e Canzuncella all’antica (apparsa quest’ul-
tima in volume per Ricordi, 1895), apparve nel volume «1898 Piedigrotta Ricordi», Milano, Ri-
cordi, 1898]; ’A canzona nova, in «Piedigrotta 1889» [poi in Ariette e sunette, cit.]; Don’Antonio
’o cecato, edita col titolo ’O cunto d’ ’a Si’ Ciento, Milano, Ricordi, 1897; Gigogì Gigogià, Mila-
no, Ricordi, 1905 [ma già in «Piedigrotta Pierro» numero unico, 1902]; Mo’ va, mo’ vene, Mila-
no, Ricordi, 1906; E vota e gira, Milano, Ricordi, 1906; Munasterio, trad. ritmica di C. Abenia-
car, Milano, Ricordi, 1908; Serenata napolitana, Milano, Ricordi, 1908; Avummaria, trad. rit-
mica di C. Abeniacar, Milano, Ricordi, 1909. Costa e Di Giacomo, inoltre, sono tra i curatori,
insieme a Benedetto Croce, Vincenzo Valente e altri musicisti, del volume Piedigrotta-Album,
Napoli, Bideri, 1902. Costa, inoltre, compare tra i compositori di Piedigrotta for ever!, sui versi
di Di Giacomo e Bracco [Napoli, Melfi & Joele, 1901]. Per Pagliara, invece, Costa musicò
Creder non posso (Milano, Ricordi, 1882).
49
Dei rapporti tra Costa e Di Giacomo restano le lettere digiacomiane autogra-
fe conservate nella sezione Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale di Napoli: una senza
I carteggi 121

do fare stampare da nessuno ‘E ccerase50. Ed è finita.


Tuo aff.mo Di Giacomo

XXVII

Lettera su foglio di carta listata a lutto, di cm 20x15.5 ripiegato lungo la base.

16 maggio 1889
Caro Rocco,
Ho il tuo libro e ti ringrazio di gran cuore51. Non è robetta, come
dici, è proprio roba buona, e te lo dico assai sinceramente. Ho tutto letto il
gentile volumino. Quanto alla stamperia ti faccio i miei sentiti complimenti.
Io non sono, come sai, molto espansivo. Sono felice quando trovo
produzione che esce dal cuore, o dalla mente; non da’ libri comprati. Sono
felice, mio bravo e buon amico, di dirti la verità; che cioè il libro mi ha fatto
una bellissima impressione.

data (segnatura Mss. Di Giacomo, Ba, I, A/96), una datata 15 gennaio 1920 (Mss. Di Gia-
como, Ba, I, A/97) e una datata 21 agosto 1921 (Mss. Di Giacomo, Ba, I, A/95), insieme a
una lettera dattiloscritta, datata 7 maggio 1885 (Raccolta Di Giacomo, Ba, H, 39). Sui
rapporti tra Costa e Pagliara, nella FP (Fasc. II C, busta 6) sono conservate 6 missive di
Costa a Pagliara, del 27 luglio 1881, 28 marzo 1882, e altre quattro non datate, tra le
quali c’è anche un autografo di Era di maggio trascritto da Costa e inviato a Pagliara. Cfr.
F. DELL’ERBA, Le canzoni di Mario Costa, in Napoli, un quarto di secolo, Napoli, Ed.
S.E.G.I., 1963.
50
Quest’opera per musica avvicina ancor più Pagliara a Di Giacomo. Dopo i di-
sguidi sottolineati in questa missiva, infatti, il testo apparve per la musica di Vincenzo Va-
lente, ’E Cerase!... canto napolitano, in un opuscolo che affianca il testo ad un altro proprio
di Pagliara, Notta d’Ammore, musicato anche questo da Valente. La copertina dell’opuscolo
portava infatti questa dicitura: V. VALENTE, Canti napolitani. Piedigrotta 1888, Notta d’Am-
more versi di R.E. Pagliara; ’E cerase, versi di S. Di Giacomo, Napoli, Santojanni, 1888. Si
tratta, comunque, di un testo dalla lunga storia editoriale. Una prima nota di cronaca sul
tema era apparsa in «Corriere di Roma», a. II, n. 218, 3 agosto 1886, col titolo Amore allo
spedale. Poi, rielaborato in novella, il testo Le ciliegie appare in «Corriere di Napoli», a.
XVII, n. 157, 5-6 giugno 1888 [poi in «Psiche», Palermo, a. IV, n. 35, 4 novembre 1888], e
qualche mese prima la canzone appare sullo stesso «Corriere di Napoli», 13-14 aprile 1888.
Il testo sarebbe apparso poi nella raccolta Nella vita (Bari, Laterza, 1903) col titolo Quella
delle ciliegie. La canzone apparve invece nella raccolta Zi’ Munacella (Napoli, Pierro, 1888)
e in Canzoni napolitane (cit.) e in Poesie (ed. 1907 e successive).
51
Il 1889 è un anno molto fecondo per il Pagliara. Il «libro» cui si fa riferimento
in questa lettera con ogni probabilità è la raccolta di articoli, in gran parte editi, dal titolo
Intermezzi musicali, pubblicato da Pierro, contenente un primo capitolo dedicato a France-
sco Florimo a un anno dalla sua scomparsa. Tra gli altri scritti coevi di Pagliara del 1889 si
ricordano: Sola!, melodie su musica di Mario Perla; Facite ammore e Mummare e Mumma-
relle, per Piedigrotta, su musiche di Luigi Denza; Nun te piglià collera, su musica di Pep-
pino Autieri; Canzone picciosa, musicata da Mario Perla; Notte d’ammore per la musica di
Vincenzo Valente.
122 La seduzione dell’arte

Non ti avevo più visto. Ho chiesto di te a quelli che potevano veder-


ti, ch’hanno detto che stavi meglio. Già, ora, aver tra mani il libro, a me pare
di averti innanzi. Anche così mi fa molto piacere di rivederti.
Forse ti verrò a trovare, qualche buona giornata. Ti spedirò io stesso
il giornale che parlerà del libro52 e in qualche corrispondenza a’ giornali del-
l’alta Italia ne riparlerò.
Pure io sto meglio; ma nello stesso stato tuo, malato più moralmente
che fisicamente53. Non c’è che fare, quando si nasce così. Non preoccuparti;
è questo che fa male più di tutto.
Dunque arrivederci; tanti saluti al tuo buon padre, alle tue buone so-
relle. Abbiti un bacio dal
Tuo
S. di Giacomo

P.S. Se puoi mandare una copia del libro a Raff.[aele] Montuoro54 gli
farai piacere. Ho le mie ragioni per pregartene. S.

52
Grazie all’interessamento di Di Giacomo, allora redattore del «Corriere di
Napoli», la testata di Schilizzi diede spazio al volume. A firmare la recensione fu Bracco,
nella sua consueta rubrica «Teatri, teatrini, ecc...». Cfr. Baby [R. BRACCO], Intermezzi musi-
cali, in «Corriere di Napoli», a. II, 21-22 giugno 1889. La recensione, però, pur ammetten-
do «anzi tutto, quella competenza, fatta di cultura e di amore artistico, la quale era l’annun-
zio delle capacità del giovane archivista», non mancava di muovere alcuni appunti al wagne-
riano Pagliara, accusato di «assolutismo wagneriano» e di una strenua fiducia in una «chi-
mera», la continua evoluzione dell’arte, «la continuazione progressiva di quanto costituisce
in Wagner il carattere di sommo progressista».
53
Sulla malattia «morale» di Di Giacomo e dello stesso Pagliara cfr. supra, nel
cap. I.
54
Letterato e giornalista, Raffaele Montuoro (Napoli, 1857 - ivi, 1931) è stato tra
gli animatori de «Il Pungolo». Faceva parte del ‘gruppo scapigliato’ della Birreria Strasbur-
go, ma soprattutto era legato a Di Giacomo da sincera e profonda amicizia. A lui è dedicata
la canzone digiacomiana, che fu poi tradotta in italiano proprio da Pagliara, ’E spingole
frangese (poi Gli spilli francesi. Canzone popolare per Piedigrotta 1888, versi di R.E. Pa-
gliara dal napolitano di S. Di Giacomo, musica di E. De Leva, Milano, Ricordi, 1889). Sul
frontespizio dell’opera nell’edizione del 1889 si legge la dedica: «All’amico carissimo Raffa-
ele Montuoro». A testimonianza dell’amicizia tra Di Giacomo e Montuoro restano quattro
lettere di Di Giacomo, datate dal 19 gennaio 1918 al 28 dicembre 1921 (in S. DI GIACOMO,
Scritti inediti e rari, cit., pp. 267-269). Le missive sono riproposte, insieme ad altre otto
inedite (per un arco temporale più ampio, che va dal 31 luglio 1905 al 17 settembre 1924)
in G. INFUSINO, Lettere da Napoli..., cit., pp. 241-254. Nella Sezione Lucchesi Palli della
Biblioteca Nazionale di Napoli, però, sono conservate altre missive escluse dalla pubblica-
zione: una lettera del 13 gennaio 1901, e alcune cartoline postali, datate rispettiv. 8 maggio
1913, 19 novembre 1919, 21 agosto 1926 (collocazione Mss. Di Giacomo, Ba, III, A, rispet-
tivamente C332, C334, C338, C350).
I carteggi 123

XXVIII
Biglietto su cartoncino di colore verde di cm 15,7x10 ripiegato lungo la base.

16 dicembre 1892
Caro Rocco,
Malato da 3 giorni non vedo nessuno. Desidererei se hai tempo di
parlare con te sopra questioni del giornale55 [...].
Vieni alle 5 o alle 6 al più tardi; quando vuoi
Tuo
di Giacomo

XXIX
Comunicazione su foglio di carta a quadretti di cm 21x28.
18 settembre 1894
Caro Pagliara,
Fammi il piacere di dirmi chi è l’editore de’ quattro volumi del Flo-
rimo56 sulla scuola musicale di S. Pietro a Majella, quanto costano e se ne hai
in vista qualche copia di seconda mano.
Senza fretta. Grazie
Tuo
S. di Giacomo

55
La data fa pensare alla nota «Napoli Nobilissima», rivista mensile di tipografia
e arte napoletana, stampata dall’editore Pierro. Ebbe come redattori, Riccardo Carafa,
Duca D’Andria, Giuseppe Ceci, Luigi Conforti jr., Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo,
Michelangelo Schipa, Vittorio Spinazzola. La prima serie fu pubblicata dall’editore Vecchi
(Trani, 1892-1906), la seconda da Riccardo Ricciardi (Napoli, 1920 e 1922-23). Di Giacomo
fu l’estensore del programma editoriale della prima serie. Su Di Giacomo e la «Nobilissi-
ma» cfr. E. CANDELA, Salvatore Di Giacomo e “Napoli Nobilissima”, in AA. VV., Salvatore Di
Giacomo settant’anni dopo, cit., pp. 105-129. E, nello stesso volume, si vedano anche le
lettere di Di Giacomo a Croce, in P. VILLANI, Salvatore Di Giacomo e il “Corriere di Napo-
li”, ivi, pp. 499-554.
56
Si tratta dei notissimi volumi di Florimo, Scuola musicale di Napoli e i suoi
Conservatori, 2 voll., Napoli, Morano, 1880-1882. Alla pubblicazione Pagliara collaborò nella
correzione delle bozze, come testimonia la lettera di Pagliara a Florimo (edita in T. GRANDE,
Contributo alla storia della Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella, cit., p. 202).
Di Giacomo aveva già parlato dei volumi di Florimo in un articolo apparso sul «Corriere di
Napoli». Nel 1893 infatti, a proposito del teatro S. Ferdinando, Di Giacomo polemizza con
il Florimo, e precisamente fa riferimento polemico al suo volume sulla Scuola musicale di
Napoli. Cfr. Salvador [S. DI GIACOMO], Vedi Napoli e poi ... Il Teatro “San Ferdinando”, in
«Corriere di Napoli», 29-30 marzo 1893. Dopo un riferimento all’impresario Luigi Bartolo-
meo, Di Giacomo nell’articolo ripercorre la storia del Teatro: «Il teatro S. Ferdinando fu
l’ultimo dei costruiti durante il secolo decimottavo. Nel suo interessante libro sulla scuola
musicale di Napoli il Florimo [...] si lascia andare a una delle parecchie gratuite affermazioni
delle quali, disgraziatamente, è sparsa qua e là l’opera sua e dice, raccogliendo una vecchia
storiella, che il teatro S. Ferdinando fu costruito nel Rione Ponte Nuovo» (ibidem).
124 La seduzione dell’arte

XXX
Lettera su foglio di carta di cm 15,5x21, con intestazione a stampa in rosso: «S. Di Giacomo
Magnocavallo 22».
[novembre 1896]
Caro Rocco,
eccoti il telegramma del Sebastiani57. Se puoi un poco allargarlo mi
farai piacere. Vedo che la scena è piaciuta, che il pubblico v’è rimasto scosso
alla catastrofe. Mi pare sia funesto. Dissi a Sebastiani di telegrafare la verità
quale che fosse anche ai giornali. E l’ha fatto.
Affettuosamente tuo
S. di Giacomo

XXXI
Lettera su foglio di carta pergamenata, di cm 42x31, ripiegato lungo la base. Segni chiusura
con timbro di cera lacca e indicazione del destinatario: «A Rocco Edoardo Pagliara S.M.».

Mercoledì [novembre 1896]


Caro Pagliara,
ti ringrazio sinceramente delle buone parole che hai speso per me e
più di quelle che hai diretto al Sebastiani, la cui sorte mi premeva veramente

57
Il maestro Carlo Sebastiani (Napoli, 1858 - ivi, 1924), compositore, maestro di
canto e direttore d’orchestra, già compositore per Rocco Pagliara (cfr. C. SEBASTIANI, Rose e
fanciulle, parole di R.E. Pagliara, Napoli, Raffaele Cardone, 1893), musicò i versi di A “San
Francisco” (Napoli, Pierro 1896, poi S. Di Giacomo editore, 1897) traendone un melodram-
ma con l’aiuto dello stesso Di Giacomo (A “San Francisco”. Scena lirica napoletana, Napoli,
Pierro, 1896). La prima rappresentazione fu data a Napoli, al Mercadante, già Fondo, il 13
ottobre 1896, poi a Roma, al Teatro Nazionale, il 15 novembre 1896. L’opera non fu ben
accolta dalla critica, come Di Giacomo testimonia scrivendo allo stesso Sebastiani il 17 no-
vembre 1896: «[...] io sono ripartito per Napoli disgustato dal modo con cui la stampa ha
trattato S. Francisco. Non ho letto giornali: non ne ho voluto più sapere: voglio sperare che
il pubblico abbia smentito, col suo concorso, la critica vana, insulsa, irrispettosa de’ giornali
romani». Due giorni dopo sottolinea, a dispetto della fredda critica, il grande successo di
pubblico dell’opera: «A Napoli si sa che il San Francisco è piaciutissimo: ora bisogna battere
il fero caldo». Le lettere sono conservate in copia dattiloscritta, nella sezione Lucchesi Palli
della Biblioteca Nazionale di Napoli (Raccolta Di Giacomo Ba H. 120). A questa segnatura
corrisponde un piccolo gruppo di missive, non autografe, a firma di Di Giacomo, relative alla
messa in scena dell’opera. Cfr. F. SCHLITZER, Salvatore Di Giacomo..., cit., p. 327. A Salerno,
la scena fu rappresentata al Teatro Municipale il 28 novembre 1896, con la partecipazione
del giovane Enrico Caruso. Lo stesso Sebastiani cura le rappresentazioni a Roma (Teatro
Nazionale di Roma, 15 novembre 1896). Sotto la regia di Roberto Bracco, il dramma fu
rappresentato per la prima volta il 15 maggio 1897 al Teatro Mercadante, con la compagnia
di Federico Stella. Sulle vicende del lavoro digiacomiano cfr. G. DORIA, Di Giacomo, Croce
e A “San Francisco”, cit., e F. SCHLITZER, Salvatore Di Giacomo..., cit., pp. 326-329 e 336-
339. Nel 1897 l’opera venne pubblicata, con illustrazioni di Pietro Scoppetta (S. DI GIACOMO,
A “San Francisco”. Scene napoletane, Napoli, Salvatore Di Giacomo editore, 1897).
I carteggi 125

molto. Le tue osservazioni sono giuste, ma vedo bene, d’altra parte, che l’ope-
ra musicale t’è piaciuta e ti ha interessato58. Ora non lasciarla: indurrò il ma-
estro a lenificare qualcosa e per parte mia modererò il furore de’ cantanti, i
quali poi come capisci bene vogliono sempre cantare e agitarsi un poco.
A ogni modo vediamoci al Circolo stasera, un po’ più presto delle
tue ore aristocratiche. Ne riparleremo e potrò anche ringraziarti a voce.
Addio
Tuo
S. di Giacomo

XXXII

Biglietto su cartoncino di cm 27x17,5 ripiegato lungo la base. Al margine superiore sinistro


intestazione con inchiostro rosso: «Biblioteca Lucchesi Palli Il Direttore».

9 luglio 1903
Caro Rocco,
Tu avrai certamente qualche ritratto (stampa o litografia) di Paisiello,
Durante, Insanguine, Pergolesi59. Vuoi prestarmeli? Te li restituirò subito
come l’altra volta.

58
Si tratta ancora della versione teatrale di A “San Francisco”. Cfr. lettera prece-
dente. Le recensioni furono tante, ma forse, agli occhi di Di Giacomo, molto spazio davano
al compositore. Il «Fortunio» (a. IX, n. 30, 18 ottobre 1896) pubblicò un brano dell’opera
con un commento di Scalinger, ma recensioni e notizie apparvero anche nei fogli salernitani
«La Frusta» (A “San Francisco”, opera di Carlo Sebastiani, in «La Frusta», a. XXI, n. 132,
26-27 novembre 1896) e «L’Eco» (Per “A san Francisco”, in «L’Eco», 30 novembre 1896; si
tratta di una lettera di Di Giacomo che dimostra l’intento di ribadire la paternità poetica
dell’opera; ora in G. DORIA, Di Giacomo, Croce e A “San Francisco”, cit., pp. 59-60).
59
È noto l’interesse di Di Giacomo per il secolo dei Lumi; interesse che trova la
testimonianza più feconda, oltre che in Minuetto Settecento, anche nella nota «Collezione
settecentesca» da lui personalmente ideata e diretta per l’editore Sandron di Palermo. Il
settecentista Di Giacomo, inoltre, si occupò molto della produzione musicale. A Giovanni
Paisiello (Taranto, 1740 - Napoli, 1816), compositore per melodrammi metastasiani come
per opere buffe, Di Giacomo dedica, tra l’altro, Musica settecentesca napoletana. Paisiello e
i suoi contemporanei, apparso nella rivista di Milano «Musica e Musicisti» (dicembre 1905,
pp. 762-768) e poi in «Il Giornale d’Italia», 30 marzo 1915, infine in Napoli, figure e paesi,
Napoli, Perrella, 1909. A Paisiello è inoltre dedicato l’articolo A proposito di Giovanni Pai-
siello e del suo “Te Deum”, in «La Nuova Rivista», a. I, fasc. di Natale 1918, pp. 27-30; e
l’articolo Paisiello e i suoi contemporanei, in «Roma della domenica», a. VIII, n. 20, 13 mag-
gio 1928 (tratto da Napoli, figure e paesi, cit.). Oltre all’interesse per Francesco Durante
(Frattamaggiore, Napoli, 1686 - 1756) attivo anche in Germania, maestro di Pergolesi e
Paisiello, allievo di Scarlatti, Di Giacomo mostra attenzione per Giacomo Antonio France-
sco Paolo Michele Insanguine (Bari, 1728 - Napoli, 1795), detto «il Monopoli», composito-
re, maestro di cappella e musicista di testi di Cerlone o Metastasio. Di Giacomo ne scrisse
un Discorso commemorativo, apparso sul «Mattino» (8-9 giugno 1914) e poi nella rivista
marchigiana «Picenum» (a. XI, fasc. VI, giugno 1914. Nello stesso mese il Discorso apparve
126 La seduzione dell’arte

Se mi dai un appuntamento verrò a vederti per domandarti anche di


altre stampe.
Saluti aff.mo
S. di Giacomo

XXXIII
Cartolina postale di cm 9x14. Carta intestata con immagine e dicitura: «Salvatore Di Giaco-
mo al lettore augura denari e salute». Sul verso, timbro postale e francobollo. Destinatario
«Rocco Pagliara. Collegio di Musica in S. Pietro a Majella. Napoli».

Napoli, 8 novembre 1904


Caro Rocco,
ebbi i ritratti, e li ho spediti segnando a tergo «Collezione Pagliara».
Ti ringrazio: li restituirò appena me li rimanderanno. Se vuoi farmi cosa grata
rimandami quelle carte della canzone di Cottrau60 che lasciai presso di te.

anche in «L’Arte pianistica nella vita e nella cultura musicale», a. I, n. 12, 1914, pp. 2-4). A
Giovanni Battista Pergolesi (Jesi, Ancona, 1710 - Napoli, 1736), anch’egli musicista di testi
di Metastasio, è dedicato anche l’articolo Il mistero di Pergolesi, in «Il Mezzogiorno», a. IV,
n. 224, 15 settembre 1921. Nel 1920, inoltre, i suoi studi sulla musica settecentesca sareb-
bero confluiti nel volume Maestri di cappella, musici ed istromenti al Tesoro di S. Gennaro
nei secoli XVII e XVIII, Napoli, Salvatore Di Giacomo, 1920. Cfr. V. VITALE, Salvatore Di
Giacomo e la musica, Napoli, Bibliopolis, 1988.
60
Si fa riferimento probabilmente alla ‘calascionata’ Fenesta vascia di Guillaume
Cottrau, noto anche col nome italianizzato di Guglielmo Cottrau (Parigi, 1797 - Napoli,
1847). Proprio in questi anni infatti, il figlio di Cottrau, Giulio (Napoli, 1831 - Roma, 1916),
anch’egli compositore e autore, tra l’altro, di Griselda (rappresentata per la prima volta a
Torino nel 1878, su testo di Enrico Golisciani. Cfr. C. AMBIVERI, Operisti minori dell’Otto-
cento italiano, Roma, Gremese, 1998, p. 52 ss.) si stava battendo per rivedicare al padre Gu-
glielmo la paternità della notissima canzone napoletana Fenesta vascia appunto. E la ‘riven-
dicazione’ sperava molto nella collaborazione dello stesso Pagliara. Nella FP, infatti, sono
presenti due missive (ora trascritte in Biblioteca musicale, pp. LXVIII-LXXI) eloquenti in tal
senso. Scriveva infatti Giulio Cottrau a Pagliara il 2 novembre 1903: «Pregiatissimo amico.
Per l’autorità di cui Ella sì meritatamente gode, credo dirigere a Lei gl’annessi appunti che
si riferiscono alla questione delle vecchie canzoni napoletane; e di questi appunti mando una
copia al Bibliotecario del Museo, Salvatore Di Giacomo che scrisse molto, a quanto mi dico-
no, su questa materia» (ivi, pp. LXVIII-LXIX). Cottrau inviava quindi gli «appunti», unitamente
a testi a stampa, come il Catalogo della Ditta Editrice Musicale Girard (Napoli, 1847), insie-
me ad una copia dei Passatempi musicali, editi nel 1826 in forma anonima, ma ai quali gran-
de mano diede il padre di Giulio, Guglielmo appunto. Aggiunge il figlio Giulio nella lettera
a proposito di Fenesta vascia: «Durante la sua vita (1797 - 1847) mio padre non ha punto
tenuto a spacciarsi per l’autore delle canzoni napoletane, giacché, essendo egli editore (socio
di B. Girard) ben sapeva che il suo nome francese non poteva che nuocere e screditare la
vendita di quei pezzi. Però nelle lettere intime [...] Luigi Guglielmo Cottrau più volte accen-
na che egli è l’autore della musica di molte fra le più belle canzoni come Fenesta vascia, Fe-
sta di Piedigrotta ...» (G. COTTRAU, lettera a Rocco Pagliara, 2 novembre 1903, ivi, p. LXIX).
Cfr. C. AMBIVERI, Operisti minori dell’Ottocento italiano, cit.; M. VAJRO, La canzone napoleta-
I carteggi 127

Devo scrivere l’articolo e riguardarle61. Aff.si saluti


Tuo S. di Giacomo

XXXIV
Lettera redatta su foglio di carta di cm 21x27. Carta intestata con inchiostro rosso e nero:
«Feste commemorative pel cinquantenario del Plebiscito meridionale 1910-1911. Comitato
per la Mostra storica». In quegli anni, infatti, il bibliotecario Di Giacomo fu incaricato dal
Municipio di Napoli di ordinare una Mostra di ricordi del Risorgimento nell’Italia meridio-
nale in occasione delle celebrazioni del cinquantenario (il Catalogo fu pubblicato a cura del
Comitato della Mostra nel 1912). Da questa Mostra Di Giacomo ricaverà materiale anche
per Luci e ombre napoletane (Napoli, Perrella, 1914). Più tardi prenderà le distanze da
quelle celebrazioni, in uno sfogo a Benedetto Croce. Cfr. G. INFUSINO, Lettere da Napoli ...,
cit., p. 24.

[1910-1911]
Caro Rocco,
io ho bisogno di denaro altrimenti mi nascono guai. Vedi un po’ cosa
puoi fare: io sono sempre in tempo a mandare a Palermo i due quadretti se
tu preferisci. Scusami tanto e scrivimi un rigo per mia quietudine.
aff.mo Salvatore

XXXV
Lettera su foglio di carta di cm 21x27. Carta intestata con inchiostro rosso e nero: «Feste
commemorative pel cinquantenario del Plebiscito meridionale 1910-1911. Comitato per la
mostra storica». (cfr. missiva precedente).

2 maggio [1910-1911]
Caro Rocco,
io vorrei vendere due consolles impero col relativo marmo bianco.
Sono vecchie, ma impero, e con qualche ritocco andrebbero bene. Le do’ per

na dalle origini all’Ottocento: saggi di folklore musicale, Napoli, Vajro, 1954; P. SCIALÒ, La
canzone napoletana dalle origini ai nostri giorni, Roma, Newton Compton, 1995. L’interesse
di Di Giacomo rientra all’interno di ampi e pregevoli studi in ambito musicale, studi che sa-
rebbero poi confluiti in volumi: S. DI GIACOMO, Storia del Teatro San Carlino, cit.; ID., Cata-
logo generale delle opere musicali teoriche e pratiche di autori vissuti sino ai primi decenni
del secolo XIX esistenti nelle biblioteche e negli archivi pubblici e privati, Archivio dell’Ora-
torio dei Filippini, Parma, 1918; ID., Maestri di cappella, musici ed istromenti al Tesoro di S.
Gennaro nei secoli XVII e XVIII, cit. In particolare, l’attenzione alla canzone napoletana è
testimoniata dal fatto che in quel 1904, anno della presente missiva, apparve una seconda
edizione del celebre volume Canzoni napolitane (1891, cit., poi Napoli, Bideri, 1904).
61
Due articoli su Guglielmo Cottrau a firma di Di Giacomo, sarebbero apparsi
nel 1910. Cfr. S. DI GIACOMO, Fenesta vascia, in «Regina», a. VII, n. 8, agosto 1910 [si tratta
di una biografica dell’autore]; ID., La gloriosa canzone di G. Cottrau, in «Orfeo», a. I, n. 11,
10 settembre 1910.
128 La seduzione dell’arte

50 lire tutte e due. Hai qualcuno che prenda oggi o domani delle tele che
pure vorrei mandarti? Se hai da mandare a prendere le consolles per un fac-
chino col carrettino dimmelo. Le manderò domani io stesso. Saluti
Tuo S. d.G.

XXXVI

Lettera su foglio di carta di cm 22x28, ripiegato lungo la base.

Domenica [1910-1911]
Caro Rocco,
Telefonami, ti prego, domani, dalle 11 ant.[imeridiane] alle 3
pom.[eridiane] in biblioteca62. Così saprò che vuoi fare per le consolles etc.
Perché non vieni tu stesso anche per vedere le altre cose?
Aff.si saluti
Tuo di Giacomo

XXXVII

Lettera su foglio di carta di cm 27x21 ripiegato lungo la base. Si tratta dell’unica lettera
conservata con busta, francobollo e timbro postale, destinatario «Rocco Pagliara Collegio di
Musica in San Pietro a Majella Napoli».

21 luglio 1912
Caro Rocco,
fammi il favore di farmi avere le 100 lire che mi restano: ne ho biso-
gno immediato. Ho avuto, contando su quel denaro, dei piccoli guai, tra l’al-
tro un sequestro per ricchezza mobile.
Non ti scriverei se proprio non fosse necessario. Scusami.
Aff.mo
Tuo
S. di Giacomo

62
Si tratta della Biblioteca Nazionale di Napoli. Cfr. supra, I cap.
I carteggi 129

XXXVIII
Biglietto da visita su cartoncino di cm 11,7x9 con stemma e intestazione «Biblioteca Luc-
chesi Palli. Il Direttore».
[Napoli, via] Guantai Nuovi, 33
29 luglio 1912
Caro Rocco,
come stai? Ti scrivo a casa sapendo che sei a casa. Ti volevo venire a
trovare giorni fa, ma poi mi sono ammalato anch’io. Ora sto meglio. Mi augu-
ro che tu stia meglio. Mi è dispiaciuto anche d’averti scritto, mentre eri infer-
mo, di cose estranee alle tue sofferenze. Ti prego di scusarmi. Dimmi se una
di queste domeniche posso venirti a trovare. Ti regalerò un bel libro. Addio.
Affettuosamente tuo
S. di Giacomo

XXXIX
Lettera su carta di cm 21x27, con intestazione con colore rosso «Biblioteca Lucchesi Palli.
Il Direttore» al margine superiore sinistro.

13 agosto 1912
Caro Rocco,
io non posso aspettare oltre per le 100 lire che sai: devo farti consi-
derarlo mio malgrado. Scusami ma io non avrei venduto qualche cosa se non
avessi avuto bisogno. Giovedì mi scade una cambiale e non so a chi ricorrere.
Vedi un po’ di togliermi da questo grave imbarazzo!
Aff. si saluti
Tuo S. di Giacomo

XL
Biglietto su cartoncino di cm 14x17.
[s.d.]
Caro Rocco,
Io ho oggi solamente tre lire. Lascio a te di giudicare se è umano
etc. etc.
Affettuosi saluti
Salv.
XLI
Lettera su foglio di carta di cm 27x21 ripiegato lungo la base.
Mercoledì [s.d.]
Caro Rocco,
eccoti i quadri. Farai tu stesso il conto totale e mi scriverai perché io
sappia al 10 giugno su che somma posso contare.
130 La seduzione dell’arte

Ho trovato due belle stampe di Volpato63 freschissime. Ho ancora


tanta roba ma se non vieni tu non la vedrai.
Se le consolles non ti vanno posso riprenderle.
Io faccio il giurato alla 3° straordinaria in S. Domenico.
Affettuosi saluti
Salv
Troverò subito Walpole64.

XLII

Lettera su foglio di carta di cm 25,5x20,2.

30 aprile [s.d.]
Caro Rocco,
Ti mando dei quadri di antenati. Ti ho messo da parte altre cose. Poi
verrò io a vederti.
Salute e saluti
Aff.mo
S. di Giacomo

63
Di Giacomo fa qui riferimento a Giovanni Volpato (Bassano del Grappa, 1733
- Roma, 1822), artista attivo a Venezia e Roma, impegnato nella Schola italica di Gavino
Hamilton; lavorò, tra gli altri, anche con Canova e fu noto come incisore e intagliatore. Sul
Volpato si vedano almeno i volumi: Giovanni Volpato di Bassano (1733-1803), a cura di G.
Marini, Bassano del Grappa, Ghedina e Tassotti, 1988; E. BIAVATI, Giovanni Volpato di Bas-
sano, Faenza, F.lli Lega, 1977.
64
Di Giacomo fa forse riferimento al noto autore del romanzo gotico Il Castello
di Otranto, Horace Walpole (Londra, 1717 - ivi, 1797), figlio dell’uomo politico e diplo-
matico britannico Robert Walpole. In compagnia del poeta Thomas Grey, che tanto suc-
cesso avrebbe avuto in Italia, compì il suo Grand Tour in Italia tra il 1739 e il 1741. In
quegli anni iniziò il suo epistolario, che avrebbe contato migliaia di lettere di carattere
politico, artistico, letterario. La sua fama di scrittore si consacrò grazie al citato Castello di
Otranto (1764). La sua dimora sulle rive del Tamigi, la villa Strawberry Hill venne pian
piano trasformata in un vero «castello» ben presto famoso in Europa per lo stile neogotico
e per il particolarissimo arredo. Cfr. S. ALBERTAZZI, Il sogno gotico: fantasia onirica e co-
scienza femminile da Horace Walpole a Charlotte Bronte, Imola, Galeati, 1980; B. FOTHER-
GILL, The Strawberry Hill set: Horace Walpole and his Circle, London, Faber & Faber,
1983; G. FRANCI, La messa in scena del terrore. Il romanzo gotico inglese: Walpole, Be-
ckford, Lewis, Ravenna, Longo, 1985; A. CORRADO, op. cit., pp. 14 ss. Forse, però, Di
Giacomo può far riferimento anche al meno noto Charles George Walpole (1848-1926)
artista che viaggiò per l’Europa, di cui Di Giacomo possedeva evidentemente stampe o
dipinti.
I carteggi 131

XLIII

Comunicazione su foglio di carta di cm 21x13,5. Sul verso intestazione in inchiostro rosso e


nero con la dicitura «Feste commemorative pel cinquantenario del Plebiscito meridionale
in Napoli, 1910-1911. Comitato per la Mostra storica» (cfr. lettere XXXIV, XXXV).

[s.d., ma > 1910]


Caro Rocco,
vedi se puoi mandarmi qualche altra cosarella.
Tuo Salv.

XLIV

Comunicazione su foglio di carta di cm 27x21 ripiegato lungo la base.

Lunedì [s.d.]
Caro Rocco,
posso venire oggi? A me bastano per oggi 100 lire.
Scrivimi un rigo. Ho da mostrarti certe cose.
Aff.mo
S. di Giacomo

XLV

Lettera su carta di cm 10x15, con intestazione in rosso in corsivo «S. di Giacomo».

[s.d.]
Verrò io da te verso le 5 1/2. Fatti trovare. Nel caso non ci vedessimo
a casa tua, io andrò questa sera al solito a la Strasburgo65 più presto del solito,
cioè verso le 7. È d’urgenza parlarti.
Tuo
Salvatore

65
Sulla birreria Strasburgo, cfr. lettera X.
132 La seduzione dell’arte
I carteggi 133

Vittorio Pica a Rocco Pagliara

I
Lettera su cartoncino di cm 36x11,5 ripiegato lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


7 settembre 1879
Carissimo D. Rocco
ti ho promesso di scriverti e come vedi mi affretto a mantenere la
mia promessa.
Qui non avendo nulla da fare passo le giornate a passeggiare, a caval-
lo o a piedi, per le vicine colline, a dormire e a leggere; se tu fossi al posto
mio son sicuro che il tempo che io passo a camminare, l’occuperesti a leggere
ed il tempo che io passo dormendo forse tu l’occuperesti a scrivere versi, tan-
to più che la campagna, ad onta di quello che ne dica il tuo caro Stecchetti
nelle Memorie bolognesi1, è l’ambiente più appropriato a fare della poesia, ma

1
Pica si riferisce alla lunga lirica Memorie bolognesi inclusa nel «canzoniere» Po-
stuma del polemista emiliano Olindo Guerrini, noto con lo pseudonimo di Lorenzo Stec-
chetti (Forlì, 1845 - Bologna, 1916), più volte richiamato in questo volume (cfr. infra e
supra). Il canzoniere era apparso a Bologna presso Zanichelli, nel 1877, ma conta ben qua-
ranta riedizioni (ora a cura di C. Mariotti e M. Martelli, Roma, Salerno, 2004). La lirica si
apriva con una nota dell’autore: «Questa poesia [...] è la sola di argomento esclusivamente
bolognese che ci permettiamo di inserire in questa raccolta»; segue quindi una sorta di
glossario di termini e luoghi bolognesi. A proposito della campagna come luogo ideale per
la composizione artistica – topos letterario percorso da secoli – si legge in Memorie bolo-
gnesi: «Nell’ora queta in cui l’odor de’ prati / Umido sal da’ tuoi valloni foschi, / Nell’ora in
cui le serve ed i soldati / Spariscon ne’ tuoi boschi. / Sul tuo monte tessei romanzi anch’io,
/ Profumati di cinnamo e di mirra [...] La natura è sublime!». Per gli interventi di Pica e
dello stesso Pagliara su Stecchetti cfr. infra, in questo carteggio. Si ricorda inoltre che il
giovane Pagliara accosta i versi tradotti da Pietro Ronsard a quelli di Postuma di Stecchetti
(cfr. R. PAGLIARA, L’imitazione dall’italiano di Pietro Ronsard, cit.). La definizione ironica
«tuo Stecchetti» è già eloquente di un distacco dall’autore da parte del giovane Pica, il
quale anni dopo sarebbe intervenuto apertamente proprio contro Postuma. Cfr. V. PICA, Le
134 La seduzione dell’arte

io non so far versi, non sono poeta come te e mi contento invece di prosaica-
mente dormire.
Luigi2 ha ricevuto i libri francesi? Ho incaricato un mio amico che
viene domani qui, per trattenersi qualche giorno meco, di passare dal casotto
e farsi dare i 5 volumi dei de Goncourt nel caso fossero arrivati.
A proposito dei de Goncourt desidererei sapere in che anno è stato
scritto il romanzo Renée Mauperin; ti sarei molto grato se me lo facessi sape-
re al più presto3.
Salvatore Di Giacomo, che mi saluterai tanto tanto, mi promise, pri-
ma che io partissi di mandarmi tutti i numeri del «Corriere del Mattino» che
avrebbero contenuto un suo nuovo racconto, intitolato, se non m’inganno, La
ladra, e aggiunse che la pubblicazione ne sarebbe principiata il lunedì 1° set-
tembre; intanto siamo ai 7 di settembre e nessun numero del «Corriere» mi è
giunto ancora. Il racconto non si è pubblicato ancora4? o è stato il mio illustre
amico S. Di Giacomo che per una di quelle distrazioni, tanto comuni nei
grandi scrittori, si è dimenticato della sua promessa?
Dà i miei saluti anche a quel pierrot di Luigi [Pierro] e scrivimi su-
bito ed a lungo in prosa o in poesia, come meglio ti piace, che io in un’altra
lettera sarò più prolisso.
Riama
il tuo aff.mo amico ed ammiratore
Vittorio Pica

reminiscenze di Lorenzo Stecchetti, in «Libellula», a. IV, nn. 13, 14, 15 e 16, rispettiv. 1
luglio 1881, p. 2, 15 luglio 1881, pp. 2-3, 1o agosto 1881, pp. 2-3 e 15 agosto 1881, pp. 2-
3. Sulla collaborazione di Pica a «Libellula», cfr. infra.
2
Si tratta del libraio e poi editore Luigi Pierro (Cfr. supra, nel carteggio Di Gia-
como) il cui cognome è scherzosamente richiamato in questa stessa lettera nel «pierrot».
Per i rapporti tra i due personaggi, cfr. Vittorio Pica, pp. 121-131.
3
Pica, dunque, era già all’opera per lo studio sui de Goncourt che sarebbe appar-
so nel 1881 nella «Rivista nuova»; si informa infatti del romanzo Renée Mauperin (Paris,
Charpentier, 1877). Cfr. infra. In seguito alla rielaborazione teatrale ad opera di Céard,
Pica chiede direttamente a Edmond de Goncourt il testo. Cfr. V. Pica, lettera a Edmond de
Goncourt, 26 dicembre 1886, in Lettere a de Goncourt, p. 116. Dato anche il successo della
pièce teatrale, l’opera fu tradotta in italiano proprio a Napoli, da Carlo Petitti e Gaetano
Miranda (Renata Mauperin, romanzo di G. ed E. de Goncourt, con prefazione di E. Zola,
Napoli, Casa editrice E. Pietrocola, 1888, nn. 17 e 18 della «Piccola collezione amena»,
pubblicazione mensile diretta da Petitti e Miranda). Della traduzione si diede annuncio nel
«Fortunio» di G. M. Scalinger (a. I, n. 14, 18 novembre 1888).
4
Si tratta della novella di Di Giacomo La ladra, apparsa sul «Corriere del Mat-
tino» non in tre, come crede Pica, ma in quattro puntate nei numm. del 9, 10, 11 e 12
settembre 1879. La quarta e ultima parte dell’articolo, quindi, era apparsa il giorno 12 set-
tembre, proprio nella stessa data della lettera qui citata. Era l’inizio della collaborazione al
«Corriere del Mattino», il primo ingresso ufficiale di Di Giacomo in una redazione. Sulla
collaborazione di Di Giacomo alla rivista di Cafiero, e alla ‘Parte letteraria’ curata da Fede-
rigo Verdinois, ci sia consentito rimandare a P. VILLANI, Tra cronaca e letteratura: Salvatore
Di Giacomo e gli amici del “Corriere del Mattino”, cit. Cfr. anche supra.
I carteggi 135

II
Lettera su foglio di carta di cm 21x17 ripiegato lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


12 settembre 1879
Carissimo Rocco,
Non saprei ridirti quanto piacere mi ha fatto il ricevere stamane una
tua tanto cara letterina, che, a seconda dei miei desiderii, ho trovato troppo
breve.
Briccone d’un poeta, non t’avrei creduto mai un così grande corbel-
latore! Sulla busta mi dai del Celebre, a lettere di scatola: nella lettera mi
parli delle mie belle novelle5 e aggiungi che aspetti di vedermi ritornare con
la valigia piena di deliziose creazioni artistiche, eco forse d’un qualche mio
idillio tessuto sui colli Cavensi. No, poeta corbellatore, non ho tessuto, disgra-
ziatamente, nessun idillio, né ho composto, né comporrò forse nei 18 giorni
che mi restano a passar qui nessuna di quelle creazioni artistiche, che tu
metti in ridicolo con gli attributi di belle e di deliziose: finora non ho preso
che degli appunti per scrivere quell’articoletto su Edmond et Jules De Gon-
court, di cui ti parlai prima che io partissi6.
Se hai finito di leggere Renée Mauperin, mi farai il piacere di lasciar-
mela per domenica mattina da Luigi, dal quale manderò a prenderla, insieme
all’«Illustrazione»7 e alla Margherita8 e agli altri 5 volumi dei De Goncourt, se

5
In realtà, è noto che Pica firmò poche composizioni «artistiche». La più cono-
sciuta novella a sua firma - nota fino a oggi come prima, in termini cronologici - sarebbe
apparsa nell’ottobre 1881 (cfr. V. PICA, Lo spettro di Fa-ghoa-ni, cit.). Grazie alle presenti
lettere, però, si è riusciti ad arricchire questa bibliografia con altre novelle precedenti, risa-
lenti al 1879 e forse quindi coincidenti con i testi cui si fa riferimento in questa missiva,
apparsi nella rivista «La Crisalide»: Il suicidio di Samuele Moscone, cit.; Come Livia trovò
un marito. I-II, cit.; Troppo basso, cit. Cfr. infra, lettera VII.
6
Si tratta del noto saggio dedicato ai de Goncourt apparso nella «Rivista nuova»
nell’agosto 1881 e l’anno successivo nel «Fanfulla della domenica»: V. PICA, Profili letterari
francesi. Edmondo e Giulio de Goncourt, cit. Cfr. anche ID., Edmondo e Giulio de Gon-
court. Cfr. supra e infra.
7
Pica chiede un numero della notissima e preziosa rivista dei fratelli Treves,
«L’Illustrazione italiana», fondata nel 1873 (cfr. AA. VV., L’Illustrazione italiana: 90 anni di
storia, a cura di F. Simonetti, pref. di D. Bartoli, Milano, Garzanti, 1963). Pica ne fu colla-
boratore, pur firmando pochi articoli in un ampio arco temporale: V. PICA, Un libro dei fra-
telli Goncourt sull’Italia, a. XXI, n. 20, 20 maggio 1894, pp. 310-311; ID., John Ruskin, a.
XXVI, n. 6, 11 febbraio 1900, pp. 113-116; ID., Giuseppe De Nittis e il Vesuvio, a. XL, I sem.
1914, pp. 499-501.
8
Per il francesista Pica potrebbe trattarsi della notissima La Dame aux camélias
di Dumas figlio, tradotta in italiano già nel 1872 (Milano, Sonzogno, 1872). Una Margherita
Gautier, tra l’altro, fu rappresentata a Napoli, al teatro Fondo, nel luglio 1860 ad opera di
Ferdinando Walpot (a stampa Napoli, Stabil. Cosmopolita, 1860). A Pagliara, però, già noto
esperto di musica in quel 1879, Pica potrebbe anche aver chiesto la partitura di una canzo-
136 La seduzione dell’arte

sono arrivati, per mezzo di un mio amico, che verrà da me lunedì 15. Ricorda
a Luigi di mandarmi la «Rivista Nuova» del 159 ed il «Preludio»10, di cui fino-
ra non ho avuto che il numero del 31 agosto.
Tu mi fai le tue scuse pel modo come è scritta la tua lettera che tu
dici degna di esser lacerata; io ho trovato che la tua lettera è scritta benissi-
mo; eppoi anche se vi fosse qualche scorrezione [sic], cosa che non vi è, io
non l’avrei notata che come prova d’intimità e di affetto sincero, perché io ho
l’abitudine di non correggere mai gli errori e le scorrezioni [sic] che mi sfug-
gono in una lettera scritta ad un amico, perché mi darebbe l’istessa idea di
uno che si vergognasse di stare con la camicia sbottonata innanzi ad un ami-
co; io con gli amici non uso né correggere gli errori che mi sfuggono nello
scrivere loro, né di abbottonare, quando per caso mi trovo di averla sbottona-
ta; cosa che fo ambedue quando mi trovo con una di quelle, che noi napole-
tani, chiamiamo persone di soggezione.
Ho ricevuto regolarmente i tre numeri del «Corriere» che contengo-
no la prima parte della novella di Salvatore, che ringrazierai da parte mia11.
Tu mi chiedi la mia impressione su di essa? Per dirtela franca mi sembra che
sia giudicandola da quel tanto che ne ho letto finora, la più debole delle co-
sidette sue novelle tedesche12; vi manca la varietà eppoi quella tedescheria che

ne napoletana, Margherita, composta da Francesco Florimo, partitura conservata oggi ma-


noscritta presso la Biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Majella. Meno probabile che
si tratti del notissimo romanzo di Cesare Cantù, Margherita Pusterla (Firenze, Le Monnier,
1839) più volte riedito e poi tradotto in tragedia lirica da Domenico Maestrini (su libretto
di Cassiano Zaccagnini, Pistoia, Cino, 1844) e in «opera seria» dal più noto compositore
Giovanni Pacini (su testo di Domenico Bolognesi, Napoli, fratelli Fabbricatore, 1856).
9
Pica chiede il numero della «Rivista nuova di scienze, lettere ed arti» del 15 ago-
sto 1879, precisamente il fascicolo XIII della prima annata. Il fascicolo conteneva racconti di
C. DEL BALZO (I miei quaranta giorni. In prigione II) e di O. OSSANI (Miss Mary Johnson),
una traduzione di T.R. SIMONETTI (Lucia – traduzione da A. De Musset), un articolo di criti-
ca musicale di M.C. CAPUTO (Rivista musicale. Musica e musicisti nel primo semestre 1879);
in più conteneva le consuete rubriche Pubblicazioni nuove, Notizie e Periodici italiani e
stranieri, aperte alle pubblicazioni straniere. La lettera testimonia quindi un interesse di
Pica alla rivista quindicinale di Carlo Del Balzo di molto precedente rispetto al suo interven-
to dedicato a Profili letterari francesi. Edmondo e Giulio de Goncourt (cit.). Sulla vita della
«Rivista nuova», cfr. M. CIMINI, La “Rivista nuova di scienze, lettere ed arti” (1879-1881).
Storia, indici e carteggi, Roma, Bulzoni, 1997. Sulla collaborazione di Pagliara anche in ve-
ste di vice direttore al posto di Del Balzo cfr. supra, nel I cap. di questo lavoro.
10
Si fa riferimento a «Preludio. Rivista di Lettere, scienze ed arti», quindicinale
stampato ad Ancona-Bologna tra il 1877 e il 1884 e diretto da Orazio Grandi. Tra i collabo-
ratori più assidui compaiono Girolamo Ragusa Moleti, Francesco Cimmino, Michele Sche-
rillo, ma anche Carducci. Ad uno spoglio sui numeri disponibili nelle diverse biblioteche,
non risultano tra i collaboratori né Pica né Pagliara. Notizie del periodico, però, venivano
date nella «Crisalide» alla quale collaborava anche Vittorio Pica. Cfr supra e infra.
11
Cfr. lettera precedente.
12
Erano le celebri novelle «al sapor di birra» che valsero all’autore l’accusa di
plagio, per ammissione dello stesso Verdinois. Cfr. supra. Sulle non meritate accuse di pla-
I carteggi 137

riposa tutta su i nomi dei personaggi, delle città, dei vini e sui cappelli a tri-
corno, e che sta al vero come i pupattoli di cartapesta che si veggono sui pre-
sepi stanno ai pastori ed ai contadini reali, principia col piacere e finisce col
ristuccare. Noto inoltre che i primi 5 capitoletti della Ladra sono del tutto
superflui e non hanno alcuna relazione col resto del racconto; cosa che mi
permisi di far notare all’autore, che non si è degnato di darmi ascolto, quando
mi espose tutto il piano della sua novella.
Ti pregai nell’altra mia lettera di mandarmi qualche tua cosetta sia in
poesia, sia in prosa, ma tu hai fatto il sordo; te lo ripeto nella speranza che
questa volta, uscendo da questa tua maledettissima modestia, vorrai dare
ascolto alla mia preghiera.
Scrivimi ed in foglietti grandi che io te ne sarò gratissimo.
Riama il tuo aff.mo
Vittorio Pica

III
Versi scritti su foglio di carta di cm 13x19. Stando alla trascuratezza formale, potrebbe trat-
tarsi o di un allegato ad un’altra lettera andata perduta, oppure di un appunto pervenuto in
altro modo, forse in seguito ad un incontro tra i due corrispondenti.

6 dicembre 1879
Amo la cuoca!13
Biondo rideva il sole in sulle rose
Nel piccolo giardino.
Quando lo stanco capo Emma ripose
Sul candido cuscino;
Poi si rivolse14 a me, che la guardavo,
Con occhio di dolore,
E disse15: Deggio perderti16, o mio Gustavo!
O nostro dolce amore!17
Troncolle il detto18 un impeto di tosse.

gio delle novelle, si rimanda a P. VILLANI, Tra cronaca e letteratura: Salvatore Di Giacomo
e gli amici del “Corriere del mattino”, cit.
13
Si tratta di una poesia, della quale non è stata rinvenuta pubblicazione a stam-
pa, ma i cui temi richiamano molto un breve e raro racconto edito di Pica: Nel giardino dei
sogni (pagina d’albo), apparso in «Don Chisciotte», a. II, n. II, 12 gennaio 1887, p. 1, poi in
C. MENDÈS, Neppure una!, Napoli, Luigi Chiurazzi, «Biblioteca Lillipuziana», n. 12, 1892,
pp. 29-36, ora in “Arte aristocratica”, pp. 242-243.
14
si rivolse] sovrascr. a: rivoltasi] canc.
15
E disse] sovrascr. a: Mi disse].
16
Deggio perderti] sovrascr. a: Quanto t’amai] canc.
17
O nostro dolce amore] sottoscr. a: Povero nostro amore!] canc.
18
Troncolle il detto] sovrascr. a: L’interruppe].
138 La seduzione dell’arte

E il languido19 suo viso


D’un tratto si chiazzò di macchie rosse
Poiché ebbe su me fiso
Un tenero d’amore ultimo sguardo
Senza aggiunger parole.
Ella si estinse insieme al raggio tardo
Del tramontar del sole
Che diffondeva20, nell’ombra crescente,
Un pallido riflesso21.
Istupidito dal dolor potente
Restai più ore22 e oppresso;
E mesto l’usignolo non cantava
Mentre io piangevo forte23
Ma sol lontano un asino ragliava
.............................morte.
Dalle sue forme un dì già sì belle e bianche24
Or forse sbucieranno25
Forse or nate saranno
Le tristi malve, che le membra stanche
A ristorare andranno
Di qualche vecchio scemo e tabaccoso.
Ed io più non ripenso26
Ad Emma bionda, al guardo suo pensoso27
Al mio dolore tutto, a cui28
Con novello amor, sparì d’un tratto!
La29 nuova amante mia
Il viso non ha30 pallido e disfatto,
Non ha31 malinconia,

19
languido] sovrascr. a: pallido] canc.
20
diffondeva] sovrascr. a: metteva] canc.
21
pallido riflesso] sovrascr. a: roseo riflesso] canc. con aggiunta in margine: ros-
seggiante un riflesso].
22
Istupidito ... ore] sovrascr. a: Ed io restai più ore dal dolor presente istupidito]
canc.
23
Mentre ... forte] sovrascr. a: Mentre forte io piangevo] canc.
24
sue forme un dì] sovrascr. a: forme sue un dì].
25
Or forse sbucceranno] sovrascr. a: Forse or nate saranno] e a: Sbucciate or già
saranno] canc.
26
Ed ... ripenso] sovrascr. a: Già più non ripenso. Io più non ripenso] canc.
27
Ad ... pensoso] sovrascr. a: A Emma, la bionda dal guardo pensoso] canc.
28
Al ... a cui] sovrascr. a: Ed il dolore intenso] canc.
29
La] sovrascr. a: Questa] canc.
30
Il viso non ha] sovrascr. a: Non ha né il viso] canc.
31
Non ha] sovrascr. a: Pinto di] canc.
I carteggi 139

Non ha crin biondo32 né la persona stanca;


Ma il bel occhio infuoca
Sorride il volto ed33 opulenta è l’anca
Ella è ... ella è la cuoca!
Vittorio Pica

IV

Lettera scritta a matita su foglietto di carta sottile a quadretti di cm 20,5x13. Sulla quarta
facciata si legge, sempre a matita, «All’Illustre Poeta Sig. Rocco Edoardo Pagliara». Al mar-
gine superiore della stessa carta, con inchiostro nero, probabilmente scrittura autografa di
Pagliara, si legge: «Uno sguardo d’amore pur triste sconsolato assai / Dal cuor di sue parole
/Ella s’estingue con gli estremi rai». Al margine inferiore si legge: «Sai ch’ebbe per me fiso
/Un guardo estremo che parea lamento /Di chi morir non vuole /Ella s’estingue insieme al
raggio spento».

9 dicembre 1879
Illustre mio gioielliere
Ti prego di far tutto il possibile per mandarmi domani mattina per
mezzo di tuo fratello quella benedetta gemma.
Andrò alle 2 pom.[eridiane] da Marghieri per cambiarti – se è possi-
bile – il 3° volume degli En trois actes34 e ti lascierò il libro che avrò in cam-
bio da Luigi.
Iersera sentii Carmen e sono restato entusiasmato della musica e di
quella simpatica della Galli-Marié35.
Ama e non burlarti troppo del
Tuo aff.mo
Vittorio

32
Non ... biondo] sovrascr. a: Né il crine biondo e] canc.
33
Sorride ... ed] sovrascr. a: E ridente ha il volto e] canc.
34
Potrebbe trattarsi del dramma «in tre atti» Mignon. Cfr. infra, lettera VI.
35
Si parla della notissima Carmen di Bizet, in quattro atti, su libretto di Henri
Meilhac e Ludovic Halévy, rappresentata appunto, come prima assoluta italiana, al Teatro
Bellini il 15 novembre 1879 (la prima, all’Opéra comique di Parigi, si svolse il 3 marzo
1875). Si legge in una recensione anonima nel «Corriere del Mattino» (rubrica «Arte e ar-
tisti», a. VII, 4 dicembre 1879): «[...] all’opera delicata elegantissima del Bizet è assicurato il
successo pieno, incontrastabile e di lunga durata. [...] ogni sera cresce il successo per le
parti principali, specialmente per la graziosa Galli-Marié, per l’orchestra diretta da Fornari,
ed anche per le masse corali, specialmente pei ragazzi». Altre recensioni apparvero nel
«Pungolo» del 16 novembre 1879. Sull’esecuzione dell’opera di Bizet al Bellini e sulla inter-
prete, la «gitana» Célestine Galli-Marié, cfr. V. PALIOTTI, E poi venne la Carmen, in AA. VV.,
Il teatro Bellini 1864-1988, a cura di M. Vajro, Napoli, Associazione Amici del Bellini, 1989,
pp. 85-90. Cfr. infra, lettera VIII.
140 La seduzione dell’arte

Lettera su foglio di carta di cm 18,5x11,5 ripiegato lungo la base. Consegnata senza busta,
non spedita: presenti ancora i segni di una ripiegatura e l’indicazione del destinatario in
inchiostro nero: «All’eminente pubblicista Prof. Rocco Eduardo Pagliara da V. Pica».

Venerdì, 12 dicembre 1879


Illustre Poeta
E quella gemma?
T’aspetto domenica immancabilmente; ma il più presto che ti è pos-
sibile. Se venissi alle 9 o alle 10 ant.[imerdiane]: ti sarei grato eternamente ed
anche più lungamente! Desidero la tua augusta persona, volendo sentire il
tuo infallibile e preziosissimo giudizio su un’altra mia cosetta.
Vieni, vieni, vieni!!!!!! E vieni presto!!!
Ama
Il tuo ammiratore sincerissimo
Vittorio Pica

VI

Biglietto scritto a matita su foglio di carta a quadretti di cm 13x10 ripiegato lungo la base.
Segni di chiusura con l’indicazione del destinatario: «A R.E. Pagliara da V. Pica».

Mercoledì [17 dicembre 1879]


Carissimo Rocco
Ti ho aspettato per due giorni a casa mia ma tu non ti sei degnato di
venire. Ti ripeto anche oggi per la terza ed ultima volta a casa dalle 5 1/2 alle
8 pom.[eridiane] non più tardi di quest’ora, perché alle 8 1/4 vado al Bellini
per la prima rappresentazione della Mignon36.
Vieni e portami Carmen37 e Dumas fils38.

36
Si tratta del dramma lirico in tre atti Mignon, appunto, di Jules Barbier e
Michel Carré, compositore Charles-Louis Ambroise Thomas, rappresentato per la prima
volta all’Opéra Comique di Parigi il 17 novembre 1876, tradotto in Italia da Giuseppe
Zaffira, apparso in volume (Milano, Sonzogno, 1877). L’opera fu rappresentata al Bellini
il 15 febbraio 1879, ma altre repliche ci furono a partire dal 17 dicembre 1879. Entro
questo arco temporale è databile la presente lettera. Poiché però fa riferimento anche
alla Carmen, già citata nella lettera del 9 dicembre 1879, si propende per la datazione
al 17 dicembre 1879, cioè in occasione della seconda messa in scena della Mignon al
Bellini.
37
Cfr. lettere IV e VIII.
38
Cfr. lettera II.
I carteggi 141

Vieni che debbo farti leggere un articolo interessantissimo su Gusta-


ve Flaubert.
Vieni!!!
ed ama il tuo aff.mo
Vittorio Pica

VII

Lettera su foglietto di carta di cm 13,3x10,5. Segni di ripiegatura ed indicazione del desti-


natario: «A R.E. Pagliara da V. Pica». Sul margine superiore sinistro si legge «Favilla».

Sabato, 3 gennaio 1880


T’ho aspettato martedì, mercoledì e giovedì, ma invano, posso spera-
re di vederti domani domenica?
Il tuo sonetto sarà pubblicato nella «Crisalide», nel 1° numero di
Gennaio39.
Ama il tuo
Vittorio Pica

VIII

Lettera su foglio di carta di cm 13,5x10,7. Al margine superiore sinistro si legge «Favilla». Sul
verso si legge: «urgente. All’Illustre Uomo Sig. R.E. Pagliara da Vittorio Pica».

Lunedì, 12 gennaio 1880


Carissimo Rocco,
ti raccomando di mandarmi immancabilmente il pezzo di musica del

39
Il giornale che ospitò – stando almeno alle notizie in nostro possesso – il primo
articolo critico di Pica era «La Crisalide. Giornale di lettere, scienze ed arti», periodico di-
retto da Pompilio Petitti, fondato nel 1878 e stampato dai citati Fratelli Carluccio. Dal
numero del 26 gennaio 1879, la rivista cambia titolo, «La Crisalide e la musica. Giornale di
lettere, scienze ed arti». Tra i collaboratori della testata erano Francesco Cimmino con i
suoi versi, Carlo Del Balzo con racconti e con una corrispondenza parigina sull’Esposizione
del 1878, ma anche Domenico Ciampoli con alcuni versi, Felice Uda con cronache teatrali,
Mario Rapisardi con i suoi versi e Girolamo Ragusa Moleti con articoli critici ma anche con
alcuni versi. Il debutto del giovanissimo Pica era una lunga recensione al recente volume di
Sully Prudhomme (V. Pica, rec. a Sully Prudhomme, Paris 1877-1878, Alphonse Esmerre
Editeur, in «La Crisalide», a. II, n. 24, 6 luglio 1879, pp. 283-284). La stessa rivista inoltre
ha il merito di ospitare due finora sconosciute e rare novelle dello stesso Pica: Il suicidio di
Samuele Moscone, cit.; Come Livia trovò un marito. I II, cit. Sulla collaborazione di Pica
alla rivista cfr. supra, nel I capitolo di questo lavoro. In tutta l’annata 1880 della «Crisalide»
non risultano versi o articoli a firma di Pagliara.
142 La seduzione dell’arte

«Fanfulla»40 e Carmen di Merimée [sic]41, specialmente la musica, ché mi ser-


ve necessariamente domani.
Non te ne dimenticare
Ama il tuo aff.mo
Vittorio Pica

40
Si fa qui riferimento, con ogni probabilità, all’articolo apparso sul «Fanfulla
della domenica» il 23 novembre 1879 (a. I, nn. 18-19, pp. 2-3), a firma di Filippi, Profili
d’artisti. Franz Liszt, praticamente l’unico articolo musicale apparso in quei mesi sulla te-
stata. Il «Fanfulla della domenica», noto supplemento letterario della testata «Fanfulla», era
pubblicato a Roma, a partire dal 27 luglio 1879, e vantava firme autorevoli come Carducci.
De Sanctis ed altri più giovani intellettuali. Sulla vita del supplemento cfr. l’analisi di F.
FLORA, Il “Fanfulla della domenica”, in «Emporium», a. XLI (1935), n. 5, pp. 298-302 [ma in
parte già in «Pegaso», a. II (1930), n. 2, pp. 129-150 e n. 4, pp. 427-429]. Cfr. anche A.
Arslan-M. Raffele (a cura di), Fanfulla della Domenica. Antologia, Treviso, Canova, 1981; G.
OLIVA, Le ragioni del particolare. Indagini di letteratura italiana tra storia e microstoria,
Roma, Bulzoni, 1984, pp. 271-273; R. GIGLIO, Letteratura in colonna..., cit., pp. 153-163.
Pica fu collaboratore del periodico letterario a partire dal 1882, con un articolo dedicato a
Edmondo e Giulio de Goncourt, in «Fanfulla della domenica», a. IV, n. 45, 6 novembre 1882
[è lo stesso articolo apparso in «Rivista nuova»]. Cfr. anche V. PICA, Gustavo Flaubert e
Giorgio Sand, in «Fanfulla della domenica», a. VI, n. 10, 9 marzo 1884; ID., Giuseppe De
Nittis, ivi, a. VI, n. 35, 31 agosto 1884, p. 4; «Happe-Chair» di Camillo Lemonnier, ivi, a.
VIII, n. 28, 11 luglio 1886, pp. 2-3 (poi in All’avanguardia, pp. 381-391); ID., Carlo Dossi. A
proposito di un suo nuovo libro, ivi, a. IX, n. 27, 3 luglio 1887 (poi in All’avanguardia, pp.
437-447, poi in “Arte aristocratica”, pp. 190-196); ID., Watteau e Verlaine, ivi, a. IX, n. 36,
4 settembre 1887 (poi in All’avanguardia, pp. 351-359); ID., «Mensonges» di Paolo Bourget,
ivi, a. IX, n. 51, 18 dicembre 1887 (poi in All’avanguardia, pp. 221-235); ID., Poemucci in
prosa. Aloisius Bertrand, Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé, ivi, a. X, n. 39, 23 set-
tembre 1888 (poi in All’avanguardia, pp. 361-380); ID., Poeti dialettali: S. di Giacomo «Zi
Munacella» - F. Russo «Rinaldo», ivi, a. X, n. 43, 21 ottobre 1888 (poi in All’avanguardia,
pp. 449-459); ID., Letterati belgi, ivi, a. XXII, n. 51, 23 dicembre 1900; ID., L’incisione su
metallo in Europa e in America I.II, ivi, a. XXIV, rispettivamente Inghilterra, America del
Nord, Francia e Belgio, n. 36, 6 settembre 1902, e Olanda, Scandinavia, Austria-Ungheria,
Svizzera e Italia, n. 37, 14 settembre 1902; ID., Letterati belgi, ivi, a. XXIV, n. 48, 30 novem-
bre 1902; ID., Il monumento funerario di Charles Baudelaire, ivi, a. XXIV, n. 48, 30 novem-
bre 1902; ID., Il monumento funerario di Ch. Baudelaire, ivi, a. XXVI, n. 25, 19 giugno 1904;
ID., Le poesie religiose di Paul Verlaine, ivi, a. XXVI, n. 25, 19 giugno 1904; ID., Il carteggio
Giorgio Sand e Gustavo Flaubert, ivi, a. XXVI, n. 46, 13 novembre 1904; ID., Fragonard, ivi,
a. XXVI, n. 51, 18 dicembre 1904; ID., Sulla morte di Degas, ivi, a. XXXIX, n. 40, 21 ottobre
1917. Anche Pagliara cerca di pubblicare una novella sul prestigioso periodico letterario.
Vedi infra.
41
Si tratta della notissima, citata, opera musicata da Bizet tratta della novella di
Prosper Mérimée. Cfr. supra, lettera IV.
I carteggi 143

IX
Lettera scritta a matita su foglietto di carta di cm 15,5x10,8, ripiegato lungo la base. In
quarta facciata, a matita, indicazione del destinatario: «All’Illustre Uomo Sig. R. E. Pagliara
da V. Pica». Al margine superiore sinistro si legge a matita «Favilla».

14 gennaio 1880
Carissimo Rocco
Dovresti mandarmi, se l’hai, le poesie di A. Chénier (ediz. Charpen-
tier)42 domani per tuo fratello. E Carmen? Staii forse preparando qualche
articoletto critico sul racconto del Merimée?43 Domani sera andrò al Bellini44.
Vieni anche tu?
Ama il tuo aff.mo
Vittorio Pica

X
Lettera su foglio di carta di cm 18x11, ripiegato lungo la base.

Domenica, 1° febbraio 1880


Carissimo Rocco
T’aspetto domani immancabilmente dalle 10 e 1/2 alle 12 e 1/2.
Cerca di venire il più presto che puoi e portami la tua critica sulle
Lagrime [sic] del Chiarini45.
Riama
il tuo aff.mo
Vittorio Pica

42
Cfr. A. CHÉNIER, Poésies, Paris, Charpentier, 1844. Il notissimo volume era ap-
parso due anni prima a Bruxelles (Melinne Cans, 1842) ed ebbe numerose altre edizioni.
43
Sulla Carmen tratta dal romanzo di Merimée cfr. supra, lettere IV e VIII. L’ar-
ticolo non è stato rinvenuto.
44
Nel gennaio 1880 al Bellini si rappresentava la Carmen di Merimée. Cfr. lette-
ra precedente.
45
Si tratta di G. CHIARINI, Lacrymae, Bologna, Zanichelli, 1879, apparso in una
seconda edizione, riveduta e accresciuta, per lo stesso editore nel 1880. Pagliara ne posse-
deva una copia, ancora conservata nel Fondo Pagliara della Biblioteca di Archeologia e Sto-
ria dell’Arte. Ad uno spoglio degli articoli da lui firmati, però, non risultano allo stato attua-
le saggi critici sull’opera. Pica, invece, avrebbe parlato diffusamente di Chiarini nella sua
Introduzione a F. CASA, Ritmi e fantasie, cit.: «[...] Giuseppe Chiarini, il quale, con profonda
dottrina e con mirabile evidenza di ragioni e di esempi, dimostrò che l’adattamento dei
metri barbari alla poesia moderna non soltanto era stata effettuata con ottimi risultati in
Germania, ma che era eziandio stata tentata, per quanto parzialmente ed incompletamente,
da vari nostri classici scrittori, e dimostrò d’altra parte non esser punto vero che tali metri
fossero contrari alla peculiare indole della nostra lirica; e di una tale dimostrazione egli
dava di lì a non molto una splendida riprova, pubblicando Lacrymae, in cui sono state rac-
contate le angoscie di un padre per la morte dell’adorato primogenito...» (ivi, p. XIV).
144 La seduzione dell’arte

XI
Lettera su foglio di carta di cm 13x20.
Martedì, 27 aprile 1880
Carissimo Rocco,
Mi è dispiaciuto moltissimo, che domenica tu sia venuto a casa e non
mi ci abbia trovato, e sono maggiormente dispiaciuto di non potere più, du-
rante i tre mesi di maggio, giugno e luglio, godere la domenica la tua graditis-
sima compagnia, poiché il mercoledì, il venerdì e la domenica ho con tre altri
amici delle conferenze di fisica, matematica, storia, scienze naturali ecc. per i
prossimi e uggiosissimi esami liceali.
Spero però che il non poterci vedere più la domenica non ci priverà
dello scambievole piacere (almeno voglio credere che il piacere sia scambie-
vole!) di vederci spesso, poiché tutti i giorni pari passo dalla libreria di Luigi
tra le 5, le 5 1/2, e poi se qualche volta puoi venire a casa, sempre però nei
giorni di martedì, giovedì e sabato, non hai che a farmene avvertire per mez-
zo di tuo fratello Nicolino ed io ti aspetterò con vero piacere.
Hai letto le famose impressioni artistiche dell’amico Salvatore?46
Che spigliatezza di stile! Che spirito! Che giustezza e sicurezza di
giudizi!
Qualche sofistico potrebbe notare che queste impressioni hanno bi-
sogno di essere tradotte in italiano, poiché son scritte addirittura in napoleta-
no. Ma come si fa ad incolpare di un simile piccolo reo un critico così profon-
do d’arte, che in un punto, parlando di un quadro di Attanasio47, dice, elevan-
dosi ad una altezza di critica artistica vertiginosa: «Qui tutto è bello, niente è
trascurato; qualcuno ha trovato appicco nel braccio sinistro della giovine (stu-
penda la frase ‘trovare appicco nel braccio’ ecc.!) che forse sarà lungo, ma
non pare. Son cose che non possono intaccare la bontà e la poesia del lavoro».
Si capisce bene fare un braccio od una gamba un po’ più lunga od un po’ più
corta è cosa senza conseguenza!
Decisamente Salvatore è un grande ingegno! Non solo è uno dei più
grandi novellieri moderni, ma è anche un critico eminente!!!
Ama sempre
Il tuo aff.mo
Vittorio Pica

46
Pica si riferisce alla serie di articoli dedicati alla Promotrice che Di Giacomo
aveva inaugurato al «Corriere del Mattino» solo due giorni prima. Cfr. S. DI GIACOMO, Alla
Promotrice. Impressioni, in «Corriere del Mattino», a. VIII, 25 aprile 1880. La seconda e
la terza parte dell’articolo apparvero rispettivamente nei numeri del 1o e del 6 maggio.
47
Si riferisce al pittore siciliano Natale Attanasio (Catania, 1845 - Roma, 1923).
Cfr. G. BONGIOVANNI, Ottocento siciliano: inediti di Dario Querci e Natale Attanasio, in
Scritti di storia dell’arte in onore di Teresa Pugliatti, a cura di G. Bongiovanni, Roma, De
Luca, 2007, pp. 158-163; F. GRASSO, Pittori siciliani dell’800 e del primo ’900, Palermo, ILA
Palma, 1989, parte I.
I carteggi 145

XII
Lettera su foglio di carta di cm 19x12,5 ripiegato sul lato della base.

Venerdì, 7 maggio 1880


Rocco carissimo
Ieri soltanto ebbi la cattiva nuova della morte della tua buona sorel-
la48 ed ho subito sentito il bisogno di scriverti questi pochi righi, non per ri-
peterti le solite vacue ed importune frasi di consolazione, poiché so benissimo
che il dolore da te provato per tanta perdita è di quelli che solo il tempo può
lenire; ma solo per dirti che io non sono restato indifferente alla tua sventura
e che essa ha trovato una dolorosa eco nell’animo mio.
Non mi dilungo, perché comprendo bene che ora le mie ciarle non
potrebbero che giungerti importune.
Abbiti un’affettuosa stretta di mano dal tuo aff.mo amico
Vittorio Pica

XIII
Lettera su carta di cm 26x21 ripiegato lungo la base.

Giovedì sera [1880]


Non ti mando, carissimo Rocco, vane parole di conforto per la scia-
gura, che non inattesamente, ma non perciò meno crudelmente ti ha colpi-
to49, ma ti mando l’affettuosa stretta di mano di un vecchio amico, che forse
meglio di ogni altro intende il tuo dolore e che di tutto cuore lo compatisce.
Vittorio

XIV

Lettera su foglio di carta di cm 17x10. Indicazione del destinatario: «Urgente A R.E. Paglia-
ra / da Vittorio Pica».

Lunedì, 2 agosto 1880


Caro Rocco
Fammi il piacere di lasciarmi per domani, se ti è possibile, Les Odes
di De Banville da Luigi50.

48
Cfr. supra, carteggio Di Giacomo.
49
Pica si riferisce, forse, alla morte della sorella di Pagliara. Cfr. lettera prece-
dente e supra, carteggio Di Giacomo.
50
Si tratta delle Odes Funambulesques edite insieme alle Occidentales e Idylles
prussiennes dall’editore Charpentier di Parigi, 1878, e poi riedite da Lemerre, 1880. Per un
saggio specificamente dedicato al parnassiano francese Théodore de Banville bisogna atten-
146 La seduzione dell’arte

Ho avuto la traduzione di Murger fatta da Volpe-Rinonapoli51; se


vuoi dunque leggerla posso dartela sempre che vuoi.
Riama
il tuo aff.mo
Vittorio Pica

XV
Lettera su foglio di carta di cm 26x13 ripiegato lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


8 settembre 1880
Illustre Poeta
Ho aspettata per otto giorni una qualche tua splendida epistola in
versi o almeno, se non ti ero sembrato degno d’incomodare la tua Musa, una
modesta letterina in prosa, ma invano. Ho pensato allora che i tuoi studi pro-
fondi sulla letteratura primordiale francese e le tue occupazioni come critico
imparziale della «Rivista Nuova»52 ti impedivano certamente di pensare ad un
amico lontano, e che mi conveniva venirmi a ricordare a te con una mia let-
tera, se volevo procurarmi il piacere inapprezzabile di mirare qualche rigo dei
tuoi caratteri preziosissimi. Ecco la ragione di questa lettera forse (permettimi
la vanità di un dubbio) importuna: che l’Italia, che il Mondo mi perdoni la
lieve distrazione che con essa ti produco e la breve sosta che fo fare alle tue
profonde ed importantissime ricerche storico-artistiche o alla creazione di
qualcheduno di quei piccoli capolavori poetici, dai vaghi riflessi opalini, che
sorprenderanno i posteri.
Speravo che ti degnassi venirmi a trovare, per congedarti meco, ma
anche questa speranza fu delusa. È vero sì che quando si hanno delle speran-
ze così pretenziose, bisogna necessariamente che esse restino deluse.
Per un’involontaria distrazione ho portato meco a Cava, invece di
mandarteli a casa, insieme con gli altri, da te messi da parte, i seguenti libri:
Satyre Menippée [sic] Oeuvres de F. Villon. Histoire de la reine de Navarra
[sic]53. Mi dispiacerebbe proprio tanto, tanto se la mia distrazione dovesse

dere il 1890. Cfr. V. PICA, Versi francesi (Théodore de Banville: “Sonailles et clochettes”), in
«Lettere ed Arti», a. II, n. 44, 22 novembre 1890, pp. 704-705. Cfr. anche ID., Théodore de
Banville, in «Cronaca Partenopea», a. II, n. 12, 22 marzo 1891.
51
Si tratta del volume Notti d’inverno, di Henry Murger, versione di Luigi Volpe
Rinonapoli, Milano, Bignami, 1880.
52
Pagliara collaborò attivamente alla rivista quindicinale fondata da Carlo Del
Balzo, sostituendo il Direttore durante i ripetuti soggiorni di quest’ultimo a Parigi. Cfr.
supra, nel I capitolo di questo lavoro.
53
Si tratta dei seguenti testi a stampa: la versione ottocentesca della Satyre Mé-
nippée de la vertu du catholicon d’Espagne, et de la tenue des etats de Paris, [Tours, 1594]
Paris, Lemerre, 1877 [ora in ed. critica a cura di M. Martin, Paris, H. Champion, 2007]; il
I carteggi 147

produrre un deplorevole ritardo nelle tue tanto utili ricerche. Fammi sapere
se i libri citati ti servono ed io mi affretterò a mandarteli.
Io sarò fortunatissimo di poterti aiutare nella tua stupenda ricostru-
zione artistica del primo periodo della letteratura francese, nella stessa mode-
sta maniera con la quale l’umile muratore aiutava Michelangelo nella sublime
costruzione del tempio di S. Pietro. E dire che tu hai avuto il coraggio di
metter in dubbio le buone intenzioni ed hai dubitato che io non ti volessi
dare i libri, da me tenuti, che potevano esserti utili! Ah! Quel dubbio è stato
uno dei più grandi dolori della mia vita. Mi prendo l’ardire di pregarti di sa-
lutarmi Salvatore Di Giacomo e di dirgli che tra breve gli scriverò.
Nell’ansiosa aspettazione del giorno felicissimo nel quale avrò l’ine-
sprimibile piacere di una tua preziosa lettera, mi ripeto
Tuo aff.mo amico e sincero ammiratore
Vittorio Pica

XVI
Lettera su foglio di carta di cm 19,5x13 ripiegato lungo la base.

Lunedì, 11 ottobre 1880


Carissimo Rocco
Dovresti essere tanto gentile da mandarmi al più presto quel volume
di poesie di Sainte – Beuve54 ed insieme ad esso dovresti mandarmi se ce l’hai
s’intende bene, una qualche traduzione francese o italiana (francese sarebbe
meglio) delle poesie di Shlley [sic]55. In questi giorni sto preparando il famoso
articolo su Stecchetti56, sicché se hai fatta qualche altra scoperta sarai tanto
generoso di comunicarmela al più presto possibile.
E quando avrò il piacere di una tua cara visitina?
Ama il tuo noioso amico
Vittorio Pica

volume di opere complete di François Villon (F. VILLON, Oeuvres complètes, Paris Lemerre,
1876 [poi Paris, Garnier, 1879]); la storia firmata da Pierre Jourda, Une princesse de la
Renaissance: Marguerite d’Angoulême Reine de Navarra, Genere, Slatkine, 1873.
54
Si fa qui riferimento ai due volumi di Charles Augustin de Sainte-Beuve, Poé-
sies complètes, Paris, Lemerre, 1879. Negli anni, il Pica critico avrebbe spesso richiamato il
critico francese. Cfr. il capitolo Nei dintorni di Sainte-Beuve in N. D’ANTUONO, La Chimera
e la Sfinge nel Des Esseintes italiano, cit., pp. 33-38.
55
Pica fa riferimento, trascrivendo male il nome, al noto poeta romantico Percy
Bysshe Shelley (Field Place, 1792 - Viareggio, 1822). Una traduzione antologizzata delle
poesie di Shelley era apparsa proprio a Napoli. Cfr. Poesie scelte di Percy Bysshe Shelley,
traduzione dall’inglese di E. di Lustro, Napoli, De Angelis, 1878. Cfr. L.M. CRISAFULLI JO-
NES (a cura di), Shelley e l’Italia, Napoli, Liguori, 1998.
56
L’articolo sarebbe apparso l’anno successivo nel periodico «Libellula»: Le remi-
niscenze di Lorenzo Stecchetti, cit. Cfr. supra, lettera I.
148 La seduzione dell’arte

XVII
Lettera scritta ncon inchiostro nero su foglio di carta di cm 20x12,5 ripiegato lungo la base.

11 ottobre 1880
Carissimo Rocco
Ti ho scritto stamattina un bigliettino che ho mandato da Luigi, nel
quale ti pregavo di mandarmi al più presto le poesie di Sainte-Beuve e di
Shelley57, ma mi sono dimenticato di cercarti contemporaneamente le poesie
di Ronsard e di Praga58. Se è possibile dovresti mandarmi questi quattro vo-
lumi domani stesso martedì, se me li porterai tu di persona mi farai un vero
regalo. Sono disperato di non aver trovato da nessun libraio le poesie di Sou-
lary59, conosci qualcheduno che potrebbe darmele?
Sei riuscito a sapere se vi è o no una traduzione delle poesie di
Swinburne60, che io non me ne sono potuto accertare nel dizionario di Vape-
reau61, perché oggi stesso che ho mandato a vedere, quasi a contrariarmi, si è
chiusa la Biblioteca del Museo?
Ama e vieni presto ad aiutare col tuo autorevole consiglio il
Tuo imbarazzatissimo amico
Vittorio Pica

57
Cfr. supra, lettera XVI.
58
A questi autori Pagliara si sarebbe dedicato. In particolare del poeta Pierre
Ronsard, considerato maestro della Pléiade (proprio in quegli anni Settanta era apparso in
Francia il volume di Poésies choisies, Paris, Charpentier, 1873, II ed. 1875), avrebbe realiz-
zato traduzioni e un articolo apparso poi nel «Fantasio». Cfr. R. PAGLIARA, L’imitazione dal-
l’italiano di Pietro Ronsard, cit. L’articolo, in realtà, riprendeva un intervento su Ronsard
già firmato da Pagliara sul «Piccolo» (13 ottobre 1879). Interessante è anche l’ipotesi critica
di Pagliara, che accosta Pierre Ronsard a Stecchetti di Postuma, cui Pagliara stesso era le-
gato come attesta la prima lettera di questo carteggio. Di Emilio Praga, invece, probabil-
mente, in quel 1880, Pica chiede i drammi in versi: Fantasma (in volume, Milano, Rechie-
dei, 1870) e Altri tempi (Milano, Barbini, 1875).
59
Si fa riferimento a Joséphin Soulary, autrice di La chasse aux mouches d’or
(Lyon, Scheuring, 1876). Pica ne traccia un profilo apparso nel 1891. Cfr. V. PICA, Profili e
figure. Joséphin Soulary, in «Cronaca d’Arte», a. I, n. 19, 26 aprile 1891. Il profilo ebbe una
lunga gestazione, come attesta anche questo carteggio. Cfr. lettere XXV e XXVII.
60
Al 1880, data della lettera, del noto poeta romantico inglese Algernon Charles
Swinburne (Londra, 1837 - Putney, 1909) esisteva una traduzione italiana, apparsa a Lon-
dra (Alla Signora Cairoli, Canto di Algernon Charles Swinburne, traduzione di P.G. Magge,
London, 1871). I riferimenti al poeta sono numerosi negli scritti pichiani. Su Swinburne
pesava l’ispirazione rinascimentale dei drammaturghi elisabettiani. D’altronde, il modello
dell’armonia totale del Rinascimento sarebbe rientrata all’interno di un gusto diffuso tra i
critici di fine Ottocento, in particolare Pica e Conti collaboratori del «Marzocco». Cfr. G.
OLIVA, I nobili spiriti ..., cit., p. 229 ss.
61
Si tratta del noto Dizionario bio-bibliografico di Gustave Vapereau (Diction-
naire universel des contemporains contenant toutes les personnes notables de la France,
Paris, Hachette, 1858) più volte riedito.
I carteggi 149

XVIII
Lettera di carta di cm 20x13 rip. lungo la base.

25 ottobre 1880
Caro Rocco
Grazie tanto del Giorno a Madera di Mantegazza62, io ti lascio il
giorno stesso di venerdì La civiltà del Rinascimento63.
Il barone Petitti64 mi prega di farmi dare da te, tanto cortese sempre,
qualcheduna delle tue belle traduzioni in versi65 per un giornale nuovo che
vedrà la luce a Torino la prima domenica di novembre66. Son sicuro che non
mi risponderai con un rifiuto e che invece mi manderai subito, perché servo-
no subito, le traduzioni chiesteti.
Ama
il tuo
Vittorio Pica

XIX
Comunicazione su foglio di carta rosa di cm 13x7 ripiegato con sigillo di cera lacca. Sulla
quarta si legge «Urgente a R.E. Pagliara da V. Pica».

Martedì, 9 novembre 1880


Carissimo Rocco
Ti aspetto domani mercoledì tra l’una e l’una e mezza. Portami la
poesia che ti domandai ieri67, che te ne sarò gratissimo.
Ama il tuo aff.mo
Vittorio Pica

62
P. MANTEGAZZA, Un giorno a Madera: una pagina dell’igiene d’amore, Milano,
Brigola, 18794.
63
Era il notissimo saggio burckhardtiano Die Kultur der Renaissance in Italien,
edito in traduzione italiana nel 1876 (J. BURCKHARDT, La civiltà del secolo del Rinascimento
in Italia, Firenze, Sansoni). L’opera era stata chiesta a Pica da Di Giacomo. Cfr. supra,
carteggio Di Giacomo.
64
Il barone Pompilio Petitti era direttore della «Crisalide», rivista alla quale il gio-
vanissimo Pica aveva collaborato segnando il suo debutto giornalistico. Cfr. supra, lettera VII.
65
Sulle numerose traduzioni in versi composte da Pagliara cfr. supra, nel I ca-
pitolo.
66
Non si tratta del «Corriere Artistico-letterario», che è stampato sì a Torino, ma
ad ottobre 1880 è già al n. 15. Si tratta invece della «Nuova Rivista: pubblicazione settima-
nale politica, letteraria, artistica» edita a Torino tra il 1881 e il 1884.
67
Si tratta forse della traduzione in versi chiesta a Pagliara qualche giorno prima,
cfr. lettera precedente.
150 La seduzione dell’arte

XX
Lettera su carta a quadretti di cm 21x13.

21 novembre 1880
Carissimo Rocco
Eccoti la lettera d’invito di Castellani per «Libellula»68; rispondigli
due righi, appena hai tempo. Hai trovati degli abbonati finora? Cerca di pro-
curarmene molti e la mia gratitudine durerà ... finché vivrà il nuovo giornale,
al quale nel programma si augura la vita di Matusalemme.
Vorresti essere tanto gentile di mandarmi tutto quello che hai su C.P.
de Kock69 dalla biografia di Mirecourt70 agli scritti critici e biografici di Gau-

68
La «Libellula. Rivista letteraria artistica bimensile» si proponeva come prose-
cuzione della citata «Coltura giovanile» (cfr. supra, nel I cap.), della quale conservava la nu-
merazione annuale progressiva. A dispetto della dicitura «bimensile», il periodico appariva a
cadenza bisettimanale. Si pubblicava a Fano-Napoli ed era diretta appunto da Giuseppe
Castellani (Fano, 1858 - ivi, 1938). Lo stesso Castellani nel 1878 aveva fondato «La coltura
giovanile». Bibliotecario al museo Correr di Venezia, Castellani si affermò ben presto per i
suoi studi numismatici. Cfr. G. CASTELLANI, La Zecca di Fano, Milano, Cogliati, 1889. Pica
fu collaboratore, oltre che della «Coltura giovanile» (vedi infra, nelle note a questa missiva),
anche di «Libellula», sin dal primo numero del periodico. Vi pubblica infatti: un prezioso
racconto, A Clelia (in «Libellula», a. IV, n. 1, 1 gennaio 1881, p. 2); un lungo articolo sulla
immoralità della letteratura, Corrotti od incoerenti? (ivi, a. IV, nn. 2 e 3, rispettiv. 15 genna-
io 1881, pp. 1-2 e 1o febbraio 1881, pp. 1-2); un saggio sul verismo, A proposito di verismo
e di veristi. Ciarle (ivi, a. IV, nn. 7 e 8, rispettiv. 1o aprile 1881, pp. 1-2 e 15 aprile 1881, p.
2); un articolo sulle fonti straniere di Postuma di Stecchetti, Le reminiscenze di Lorenzo
Stecchetti (ivi, a. IV, nn. 13, 14, 15 e 16, rispettiv. 1 luglio 1881, p. 2, 15 luglio 1881, pp. 2-
3, 1o agosto 1881, pp. 2-3 e 15 agosto 1881, pp. 2-3); una recensione Folchetto, Là, là e là
[Ottino, Milano, 1881] (ivi, a. IV, n. 13, 1 luglio 1881, p. 3); una lettera al direttore a pro-
posito del citato articolo su Stecchetti (ivi, a. IV, n. 16, 15 agosto 1881, p. 3). I primi articoli
su questo periodico, quindi, sono anch’essi precedenti a quello che finora era riconosciuto
come il debutto critico di Pica, cioè il suo articolo dedicato a Glatigny, apparso in «Inter-
mezzo». Su pressione di Pica, anche Pagliara collaborerà a questo giornale, con una corri-
spondenza dall’Esposizione di Napoli del 1881 (R. PAGLIARA, La XVII Esposizione della
Società Promotrice di Napoli, in «Libellula», a. IV, n. 10, 15 maggio 1881) e alcuni versi
senza titolo (ivi, a. IV, n. 14, 15 luglio 1881, p. 3). Grazie sempre all’interessamento di Pica,
nel numero del 15 agosto 1881, inoltre, nella rubrica «Varia», la redazione del «Libellula»
dà notizia della pubblicazione del primo numero del «Fantasio». Cfr. supra, nel I cap.
69
Charles Paul de Kock (Passy-lès-Paris, 1794 - ivi, 1871), scrittore e uomo po-
litico, era romanziere affermato in Francia, ma molto tradotto anche in Italia. In particolare
si ricorda la pubblicazione di Scelta raccolta di romanzi di Carlo Paolo di Kock, Milano,
Borroni e Scotti, 1856, e la traduzione di La signorina del quinto piano, traduzione di Le-
opoldo Pulle, Milano, Battezzati, 1857; oltre alla versione teatrale di Valerio Busnelli, Un
pranzo da scapoli: scherzo comico in un atto tratto da un romanzo di C.P. de Kock, Milano,
L. Cioffi, 1860. Definito «lo scrittore favorito dalle crestaje e dalle modiste» (in «Poliorama
Pittoresco», a. III, II sem., pp. 331-333) se ne veda il ritratto tracciato nel 1841 da Emma-
nuele Rocco (Paul de Kock, in «Omnibus Pittoresco», 2 dicembre 1841).
70
Pica chiede il profilo di de Kock firmato dall’allora noto biografo francese
Eugène de Mirecourt, Paul de Kock, Paris, J-P- Roret et C., 1854.
I carteggi 151

tier71 e di T ... (come diamine si chiama?) ed inoltre dovresti mandarmi la


poesia di G. de Nerval72 e di [...]. Ma al più presto possibile.
Hai letto sulla «Coltura Giovanile» il mio articolo in risposta a quello
insulso del Bordi su E. Zola73? Che te ne pare?
Hai data la mia preghiera a Stendardo74? Se non ce l’hai [sic] ancora
data, daccela [sic], e se invece ce [sic] l’hai data ricordacela [sic] e con un po’
di insistenza, raccomandandogli soprattutto di non dilungarsi per più di una
pagina e mezza.
Prega anche Carluccio Petitti a volermi dare anche lui qualche coset-
ta sua in prosa o in versi non più lunga sempre di 1 pag. e 1/2 per questo
benedetto albo75. Tanto all’uno quanto all’altro resterò gratissimo se mi favo-
riranno. Intanto Cimmino76, al quale tu stesso vedendolo puoi, con una certa
premura, ricordare la mia preghiera, Di Giacomo, [De Lieto] e Colautti77 non

71
Si fa forse qui riferimento non a Théophile, ma a Emile Théodore Leon Gau-
tier (Le Avre, 1832 - ivi, 1897) e al suo volume critico Portraits contemporains et questions
actuelles (Paris, Michel Levy freres, 1875) nel quale si occupa di de Kock.
72
Il poeta bohémien e noto traduttore Gérard de Nerval [pseud. di Gérard Labru-
nie] (1808-1855), curatore della revisione del Faust goethiano nel testo La damnation de
Faust per le musiche di Hector Berlioz, in quegli anni Settanta era già noto per il volume Les
filles du feu, Paris, Levy, 1870, e per La bohème galante, Paris, Levy, 1873. Nel 1877 era ap-
parso un volume che raccoglieva le sue maggiori liriche, Poésies complètes (Paris, Calmann
Levy). Di Gerard de Nerval «Fantasio» pubblicò un racconto, Storia d’un soldato di piombo e
d’una ballerina di carta (a. II, n. 12, 4 settembre 1882, pp. 2-4). Sull’autore si veda almeno lo
studio di M. MARCHETTI, Gerard de Nerval. Percorsi ironici, Roma, Bulzoni, 1992.
73
Si tratta di altri scritti che arricchiscono la vasta bibliografia di N. D’Antuono
(Vittorio Pica). Gli interventi contano una novella e un saggio critico su Zola ospitati appun-
to su «La coltura giovanile»: la novella Troppo basso, apparve nel n. 4, a. III, 30 aprile 1880,
pp. 1-4. L’articolo su Zola citato in questa missiva apparve invece nell’a. III, n. 15, 15 no-
vembre 1880, pp. 1-6. Si trattava di una lunga risposta ad un articolo di Luigi Bordi (Il
genio e l’arte di Emilio Zola) apparso a puntate sulla stessa testata, nei nn. 6, 9, 10-11, 12
e 16, rispettivam. e 12, 20 giugno, 1 agosto, 31 agosto, 15 settembre, num. Supplemento
(senza data) e 1 dicembre 1880. Per i contenuti degli articoli, cfr. supra, nel I cap.
74
Per Francesco Stendardo e per la sua collaborazione al «Fantasio» cfr. supra,
carteggio Di Giacomo.
75
Carlo Petitti (1862-1933) frequentatore della libreria Pierro, fu anche tra i re-
dattori del «Fantasio», dove pubblicò una novella (Storiellina per bimbi, in «Fantasio», a. II,
n. 1, 10 gennaio 1882). Nel 1890, inoltre, entra nella Accademia dei «Nove Musi» animata
da Pica e da Croce. Cfr. supra. Purtroppo, nonostante vaste ricerche in archivi pubblici e
privati, non è stato rinvenuto questo «Albo» curato da Pica.
76
Francesco Cimmino (Napoli, 1864 - ivi, 1939) già collaboratore, insieme a Pa-
gliara, alla citata «Rivista nuova» di Del Balzo, fu poeta, autore di un libretto d’opera, Con-
suelo, musicato da Francesco Rendano, e di due volumi di versi, Bocciuoli, e Vecchio idillio.
Componente della citata Accademia dei «Nove Musi», sarebbe inoltre divenuto collaborato-
re anche del «Fantasio», sul quale apparve una sua lirica, Tempesta (in «Fantasio», a. I, n. 4,
25 settembre 1881).
77
Arturo Colautti (Zara, 1851 - Roma, 1914), successore di Cantalupi nella direzio-
ne del «Corriere di Napoli» nel 1889, fu redattore del «Corriere del Mattino». Spirito singola-
152 La seduzione dell’arte

mi hanno ancora mandato le cose promesse; anche io ho scritto una cosetta


molto infelice in prosa, che farà una gran figura meschina accanto le belle
poesie tue, di Petitti e degli altri, e alle splendide prose di Di Giacomo Sten-
dardo e Petitti. Ma che vuoi? ognuno fa il passo secondo le gambe che ha:
peggio per chi le ha corte!
Scusami per le continue noie che ti dò e continua a volermi un po’
di bene, che io gesuitescamente te ne voglio proprio tanto.
Tuo aff.mo
Vittorio Pica

XXI
Biglietto su cartoncino di carta di cm 22x7.

24 novembre 1880
Carissimo Rocco
Ho avuto il bel profilo di Stendardo78 e gli ho scritto un bigliettino
per ringraziarlo; da Cimmino non ho ricevuto niente. A Carluccio Petitti puoi
dire che stasera mi può trovare a casa dalle 6 in poi e domani mattina dalle
11 mt alle 3 pm e domani sera anche dalle 6 pm in poi; digli inoltre che spe-
ro che egli non voglia essere l’unico amico che [si rifiuti] alla mia preghiera.
Ti ringrazio tanto, tanto del biglietto pel teatro Nuovo ma non po-
tendone approfittare te lo rimando qui accluso.
Per la notizia sulla Thalberg ti ho servito79.
Ama
Il tuo aff.mo
Vittorio Pica

re, africanista, monarchico, nazionalista, wagneriano, fu autore anche di versi (come il volume
Canti virili, Milano, Treves, 1896) alcuni dei quali di ispirazione dantesca (Terzo peccato, Mi-
lano, Strazza, 1902). Più famosi restano i suoi romanzi, tra i quali Fidelia (Milano, Galli,
1886), Nichil (Milano, Galli, 1890) e Il figlio (Milano, Galli, 1894). Tra le sue opere più note è
anche Doña Flor (atto unico, con musica di N. van Westerhout, rappresentata a Napoli, Tea-
tro di S. Carlo, 1896) e una conferenza, Dio e la donna, Milano, Galli, 1886. Cfr. T. ROVITO,
Letterati e giornalisti contemporanei. Dizionario bio-bibliografico, Napoli, Joele, 1922, p. 107.
A Colautti fu legato naturalmente il giornalista Di Giacomo, che firmò un articolo Per Arturo
Colautti, all’interno di un numero monografico (a lui dedicato) dell’«Aprutium», a. III, n. 11,
novembre 1914. Cfr. supra, nel carteggio di Di Giacomo a Pagliara. Sul «Fantasio» Colautti
non avrebbe pubblicato interventi, ma Pagliara ne segue le sorti, recensendo il suo Doña Flor
(R. PAGLIARA, La nuova opera del maestro van Westerhout, in «Il Mattino», a. V, 13-14 maggio
1896). Il poeta Carlo De Lieto aveva da poco pubblicato il volume di versi, Albe, Napoli, Fra-
telli Carluccio, 1879.
78
Si tratta forse dell’intervento critico che sarebbe apparso nel «Fantasio». Cfr. F.
STENDARDO, Musica da camera. Variazioni sul tema bozzetto, in «Fantasio», a. I, n. 2, 25
agosto 1881.
79
Cfr. anche supra, le lettere di Di Giacomo, e infra, la lettera successiva.
I carteggi 153

XXII
Lettera su cartoncino di cm 22x18 ripiegato lungo la base.

4 dicembre 1880
Carissimo Rocco
Avrai avuto già da Luigi il 1° libro delle Odi di Orazio tradotto dal
March. Anselmo Guerrieri Gonzaga80, che tu desideravi, poiché gliele ho con-
segnate stamane alle 10 1/2 ant.[imeridiane].
Sono andato sempre all’Università in questa settimana e se non mi ci
hai trovato, è segno che non hai saputo cercarmi.
Io intanto so che ieri mattina tu assistevi alla lezione di Tari81, alla
quale per un ritardo non potetti assistere anche io.
In questi ultimi giorni ho avuto un bozzettino di Della Sala (Un pri-
mo amore)82, un grazioso sonetto di Cimmino (Rosa) e quattro bellissimi versi
di D’Aloe, indovinatissimi come pensiero e proprio adatti per albo (Per l’albo
di una signorina incognita)83. Te li trascriverei, essendo appena 4 versi, se
non pensassi che è meglio lasciarti con la curiosità addosso.
Vieni dunque presto a casa e ti farò leggere tutto e giudicherai tu poi
col tuo alto criterio del valore di ciascuno scritto.
Il ne faut jamais faire des demandes aux quelles on ne peut pas re-
pondre; a codeste domande appartiene la tua a proposito della non pubblica-
zione del mio articolo: io non posso risponderti perché ne so né più, né meno
di quello che ne sai tu.

80
Si tratta del volume Quintus Horatius Flaccus, Il primo libro delle Odi, che
era stato pochi anni prima tradotto da Anselmo Guerrieri Gonzaga, Imola, Ignazio Galeati
& figlio, 1877.
81
Filosofo kantiano-hegeliano, Antonio Tari (S. Maria Capua Vetere, 1809 - Na-
poli, 1884) è stato anche scrittore e critico musicale. Trasferitosi nel 1830 a Napoli, dopo la
prima formazione a Montecassino, per diventare avvocato, ben presto abbandonò gli studi
giuridici per gli interessi filosofici. Partecipò da protagonista alla vita culturale napoletana
di quei decenni. Cfr. A. TARI, Estetica ideale in libri tre, Napoli, Tip. del Fibreno, 1863. Cfr.
anche M. LEOTTA, La filosofia di Antonio Tari nella «Critica» di Benedetto Croce. Contribu-
to per un recupero, Milano, Prometheus, 1998; F. SOLITARIO, Estetica e metafisica in Anto-
nio Tari, in AA. VV., Le provocazioni dell’Estetica, a cura di G. Marchianò, Torino, Trauben,
1999, pp. 187-203
82
Vincenzo Della Sala, già collaboratore di «Napoli Letteraria», nel 1890 fondò la
«Cronaca Partenopea», che sarebbe durata, con alterne vicende, fino al 1891 e poi ripresa
nel 1898. Tra i suoi collaboratori, oltre a Roberto Bracco, Federigo Verdinois e Antonio
Fogazzaro, compare anche Vittorio Pica. Tra i suoi interventi nella rivista si ricorda V. PICA,
“Pater” al Sannazzaro (in «Cronaca Partenopea», a. I, n. 2, 25 gennaio 1890, pp. 2-4), una
recensione-difesa del dramma in un atto di François Coppée, dramma discusso e censurato
perché toccava la contingenza storica della Comune di Parigi e della repressione della Co-
mune nel sangue. Della Sala è il noto redattore del poderoso volume Profili meridionali
(Roma, Verdesi, 1885) e poi Ottocentisti meridionali (Napoli, Guida, 1935).
83
Cfr. supra, lettera XX.
154 La seduzione dell’arte

Il «Plebiscito»84 con la mia corrispondenza l’ho a casa: vieni e te la


farò leggere.
Sento con dispiacere che la tua faccenda non sia ancora in buon
porto: bisogna però che tu non ti sgomenti per le difficoltà e gli ostacoli che
incontri e che soprattutto non ti ficchi in mente la storta idea che non hai
fortuna e quindi nulla ti può riuscir bene.
Vuoi scrivere qualche cosa pel «Crepuscolo»85?
Ama e vieni presto a far visita al
Tuo aff.mo
Vittorio Pica
Post- scriptum
La notizia per la Zarè Thalberg si pubblicò 5 o 6 giorni fa sul «Cor-
riere»86: vedi mo’ che i piaceri Salvatore li fa, tutto sta a saperli chiedere. In
quanto agli abbonamenti per «Libellula»87, i denari li versi a me ed io farò le
ricevute sui miei biglietti di visita, riservandomi a dar poi la ricevuta firmata
da Castellani.
Raccogli dunque subito il denaro e portalo a me, poiché gli abbonati
non bisogna lasciarli sfuggire; cerca pure di trovarne molti.
Ciao
V.
84
«Il Plebiscito. Giornale politico quotidiano» era «Organo ufficiale per gli Atti
dell’Associazione Costituzionale». Nato a Catania proprio nel 1880, non presenta articoli a
firma di Pica. Presenta però alcune «corrispondenze» (come vengono definite qui nella let-
tera e anche nello stesso giornale) dal titolo «Dalle falde del Vesuvio», firmate con lo pseu-
donimo di Favilla e attribuibili con ogni probabilità proprio a Pica. Nel quotidiano l’uso di
pseudonimi è frequente, se non esclusivo, ed inoltre queste «corrispondenze» tracciano un
aggiornamento culturale e di cronaca sulla ex capitale partenopea. Al 4 dicembre 1880, data
di questa missiva, erano apparse già tre corrispondenze, rispettivamente nei numm del 20 e
30 novembre e 1o dicembre. Quest’ultima di particolare interesse. Favilla discute dei giova-
ni letterati napoletani, i quali «invadono con i loro scritti tutti i giornali letterarii della pe-
nisola». Questi giovani letterati sono circa quaranta. L’autore omette il nome di Pica (e
questa assenza potrebbe avvalorare la tesi di una mano pichiana nell’articolo). A confermare
l’ipotesi di identificazione tra Favilla e Pica è il fatto che l’articolo si chiude con una ‘pub-
blicità’ al «Libellula», giornale cui collaborerà Pica non solo come autore ma anche come
promotore editoriale (Cfr. infra, lettere successive).
85
Rivista domenicale stampata a Genova tra il 17 novembre 1878 e il 20 febbraio
1881. A partire dal mese di giugno 1880, «Il Crepuscolo» appariva stampato a Genova-Tori-
no. Diretta da Gustavo Chiesi, la rivista si apriva alle suggestioni della bohème. Lo stesso
Chiesi spesso si firmava con lo pseudonimo di Il Bohéme. Nel primo numero della rivista, in
apertura, si legge, a firma del Pessimista [Chiesi]: «I gingillini dell’Arte, della Letteratura, del
Giornalismo odiano la bohème perché combatte invece di strisciare, discute invece d’incen-
sare e cerca di raggiungere la fama col talento, anziché cogli intrighi, col coraggio anziché
colla cortigianeria». Ad uno spoglio della rivista non compaiono articoli di Pagliara né di Pica.
86
La vicenda fu complessa, lo stesso Di Giacomo ebbe difficoltà a pubblicare un
articolo sulla cantante. L’articolo apparve nel «Corriere del Mattino» del 27 novembre
1880. Cfr. supra, lettera XXI e anche carteggio Di Giacomo.
87
Sulla rivista e sulla collaborazione di Pica, cfr. supra, lettera XX e anche I capi-
tolo di questo lavoro.
I carteggi 155

XXIII

Biglietto su cartoncino di cm 11,5x9,5. Si tratta della carta intestata «Corriere Artistico-Let-


terario, Torino. Presso Luigi Pierro, Piazza Dante, 76, Napoli». Compare anche l’indicazio-
ne del numero della rivista (Civitavecchia dal 17 al 28 ottobre 1880. Anno I, n. 15) e il
sommario: «Critica di critica, Eduardo Rocchj – Imène, Imenèo, G. Stiavelli – F.A.I., G.
Tarozzi – Coraggio e avanti, S. Di Giacomo – Bibliografia, F. Petito di Longano – In chiesa,
Ettore – Cose Civitavecchiesi, Traiano – Note teatrali, Mesto Arrighi».

Sabato, 17 dicembre [1880]


Carissimo Rocco
Fammi il piacere di farmi avere il prezzo dei due abbonamenti pro-
curatimi, con i nomi e gli indirizzi degli abbonati. Cerca di procurarmene
degli altri.
Domani mattina mi troverai in casa.
Ama
Il tuo aff.mo
Vittorio Pica

XXIV

Lettera su foglio di carta di cm 13x11.

Sabato, 15 gennaio 1881


Caro Rocco
Eccoti le B.F. di Murger e i P. di Gautier che io volevo solo nel caso
che contenessero uno studio su Bouilhet88. Quella notizia musicale ti decidi sì
o no a mandarmela? Io domani o domani l’altro farò la mia corrispondenza
solita al «Plebiscito»89 e manderò per «Libellula» al Castellani varii manoscrit-
ti; mandami o meglio portami tu stesso qualche tua bella cosetta per codesto
giornale90.
Ama il tuo
Vittorio Pica

88
Pica si riferisce a Ballades et fantaisies di Henry Murger (Parigi, 1822-ivi,
1861) e ai citati Portraits di Léon Gautier. Cfr. supra, lettere XIV e XX. Pagliara si dedica a
Bouilhet, pubblicandone una traduzione nella «Rivista nuova» (Ecloga fosca – traduzione da
Bouilhet, cit.). Pica avrebbe pubblicato un lungo saggio sul Bouilhet proprio nel «Fantasio»
dell’estate 1881 (Profili letterari francesi. Luigi Bouilhet I-II, cit.).
89
Oltre agli articoli apparsi sul «Plebiscito» nel 1880 (cfr. lettera XXII), nel 1881
compaiono in data 20 e 27 gennaio e 3 febbraio altre tre corrispondenze «Dalle falde del
Vesuvio». Nel corso del 1881, però, il quotidiano siciliano dava sempre meno spazio alla
cultura letteraria, la quale fu ben presto relegata alla sola presenza di romanzi di ‘appendice’.
90
Sulla collaborazione di Pica e Pagliara a «Libellula» cfr. supra, lettera XX e I
capitolo di questo lavoro.
156 La seduzione dell’arte

XXV
Lettera su 2 cc. di cm 26x16, ripiegate lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


5 settembre 1881
Carissimo Rocco
Se ho ritardato fino ad oggi a scriverti, non lo devi attribuire né a
negligenza da parte mia, né molto meno a poco affetto verso di te; no, le vere
ragioni di questo ritardo sono state l’aver dovuto io rispondere a varie lettere
che mi sono giunte nel principio della mia dimora qui a Cava e la noia gran-
dissima, che giornalmente mi opprime e mi ha in brevissimo tempo incretini-
to in tal guisa che mi è divenuto quasi impossibile lo scrivere anche due sole
lettere di seguito in una stessa giornata!
Mercoledì prossimo verrà facilissimamente qui a Cava Gennaro Ca-
racciolo, a tenermi per qualche giorno compagnia. Profitto della sua venuta
per pregarti d’inviarmi per suo mezzo i seguenti libri, che io son sicuro che si
trovino nella tua libreria: Duranty, Les Malheurs d’Henriette Gerards [sic];
Roqueplan – Parisina; M. Topin – Romanciers contemporains91.
Vorrei anche le varie opere poetiche di Augusto Barbier92 e tutto
quello che tieni di e su Barbey d’Aurevelly [sic], eccetto però La Vieille
Maîtresse [sic] e Le chevalier de touches [sic], che ho già qui93; e ciò perché,

91
Pica chiede nuovamente volumi di opere letterarie e musicali. Si tratta del ca-
polavoro di Louis Emile Edmond Duranty (Parigi, 1833 - ivi, 1880) teorico del verismo, Le
Malheur d’Henriette Gérard, Parigi, Poulet-Malassis, 1860. Chiede il volume per lo studio
su Duranty che sarebbe apparso nel «Fantasio» pochi mesi dopo. Cfr. V. PICA, Profili di let-
terati francesi, Edmond Duranty, in «Fantasio», a. II, n. 2, 25 gennaio 1882, pp. 2-3 (poi in
All’Avanguardia, pp. 201-210). Chiede anche il poema Parisine di Nestor Roqueplan (Paris,
Hetzel, 1869) o forse il più famoso poema Parisina firmato però da George Gordon Noel
Byron. Il testo di Lord Byron, composto per musica da Giovan Battista Bergamini (edito a
Ferrara, Taddei, 1878), era stato tradotto in italiano proprio in quel 1881 (a cura di N.
Trovatelli, Cesena, Collini, 1881). La Parisina di Donizetti, invece, su testo rivisto da Mat-
teo Luigi Fischetti, fu edita a Milano, Ricordi, 1870. Infine Pica chiede il volume M. TOPIN,
Romanciers contemporains, Paris, Charpentier, 1876.
92
Al 1881 Henri-Auguste Barbier (Parigi, 1805 - Nizza, 1882) era noto, tra l’al-
tro, per i volumi poetici Silves et rimes (Paris, Dentu, 1872) e per Iambes et poemes (Paris,
Masgana, 1840), per il poema Trois passions (Paris, Dentu, 1868), oltre che per i drammi,
tra i quali si ricorda il Benvenuto Cellini, rappresentato per la prima volta, con musiche di
H. Berlioz, all’Académie Royal de musique di Parigi il 3 settembre 1838.
93
Si tratta del romanziere Jules Amédée Barbey d’Aurevilly (Saint-Sauveur-le-Vi-
comte, 1808 - Parigi, 1889), che Rod definisce, insieme a Mallarmé e Verlaine, tra gli «auto-
ri lambiccati o malati, contorti talora fino a non esser più intelleggibili» (E. ROD, Corrispon-
denza di Parigi. Edmond de Goncourt, in «Fanfulla della domenica», a. VI, n. 21, 25 maggio,
1884, p. 2). Dell’autore «ultra-cattolico ed ultra-reazionario» (Cfr. All’avanguardia, p. 10)
Pica già possedeva i suoi due romanzi (dai titoli corretti Une Vieille Maîtresse, Paris, Faure,
1865, e Le Chevalier des Touches, Paris, Lemerre, 1863), i più noti, insieme a Les Diaboli-
I carteggi 157

dopo aver finito il profilo critico di Soulary94, vorrei fare quello di codesto
scrittore, che ha una così strana e spiccata originalità e che è anche pochissi-
mo conosciuto in Italia.
Che vuoi cotesta dei profili di letterati francesi, di quelli specialmen-
te i cui nomi in Italia sono poco noti e le cui opere vi sono pochissimo lette,
sarà forse una mia fissazione, ma a me pare che sia un campo pochissimo
sfruttato e che può essere dissodato non senza qualche lode; e quindi ho de-
ciso di far seguire ai miei primi tre profili su Glatigny, sui De Goncourt, su
Bouilhet, parecchi altri profili su Soulary, Barbey D’Aurevelly [sic], Duranty,
Theuriet, Fabre, [...], Champfleury, De Bernard, Sully Prudhomme ecc...95.

ques (Paris, Lemerre, 1874). Del d’Aurévilly critico letterario si sarebbe occupato anche
Rod (La critica di Barbey d’Aurévilly, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 21, 23 maggio 1885,
pp. 163-164). Cfr. anche V. PICA, rec. a Sensations d’art di J. Barbey d’Aurévilly, in «Conver-
sazioni della Domenica», a. I, n. 23, 6 giugno 1886. Diversi riferimenti all’autore, però, per-
corrono molti saggi o recensioni. D’Aurevilly compare, per esempio, nella recensione-saggio
su A Rebours (in «Cronaca Sibarita», a I, n. 2, 1 novembre 1884, ora in “Arte aristocratica”,
pp. 155-163) e in “La vita a rovescio” Pica lo aveva definito «l’anello di congiunzione fra la
letteratura clericale e quella profana» (V. PICA, “La vita a rovescio”, in «Domenica Lettera-
ria», a. III, n. 40, 5 ottobre 1884, p. 3 e n. 41, 12 ottobre 1884, pp. 2-3, ora in “Arte aristo-
cratica”, pp. 143-155, a p. 153). A proposito del suo interesse per l’autore, avrebbe scritto
Pica a Neera: «Io, nei miei giudizi, non mi lascio guidare che da criteri assolutamente esteti-
ci, sicché ammiro ed ho sempre ammirato eccezionalmente così il comunardo Vallès come
l’ultra cattolico ed ultra-reazionario Barbey d’Aurevilly [...]» (V. Pica, lettera a Neera, in F.
FINOTTI, Sistema letterario ..., cit., pp. 136-137). Cfr. il volume Barbey d’Aurevilly cent ans
après (1889-1989), Colloque public par Ph. Berthier, Genève, Droz, 1990.
94
Cfr. supra, lettera XVII.
95
Molti di questi ‘profili’ confluirono nel noto volume edito con Pierro nel 1890
All’avanguardia. Studi sulla letteratura contemporanea. Il profilo su Glatigny apparve su
«Intermezzo» (cit.). Il ritratto dei Goncourt apparve sulla «Rivista nuova» (ID., Profili lette-
rari francesi. Edmondo e Giulio de Goncourt, cit.). Cfr. V. PICA, I fratelli de Goncourt, in
All’avanguardia, pp. 65-114.
Il profilo di Louis Bouilhet (1822-1869) aveva invece segnato l’esordio critico sul
«Fantasio» (V. PICA, Profili letterari francesi. Luigi Bouilhet I-II, cit.). Per Soulary, Barbey
d’Aurevilly e Duranty cfr. supra, lettere XVII e XXIV e in questa stessa missiva. André Theu-
riet (1835-1907) romanziere e Accademico di Francia, viene più volte citato da Pica. Cfr. ad
esempio V. PICA, A proposito di alcune bibliografie, in «Fantasio», a. III, n. 4, 15 marzo
1883, ora in “Arte aristocratica”, pp. 124-129, dove l’autore compare nell’elenco dei più
noti e letti romanzieri francesi. Su Ferdinand Fabre Pica scrisse una recensione a Le Roi
Ramire (Paris, Charpentier, 1884), la quale apparve in «Gazzetta Letteraria», a. VIII, n. 16,
12 aprile 1884, p. 127. Le Roi Ramire è lodato dal Pica come uno dei capolavori di Fabre,
insieme a L’Abbé Tigrane, a Julien Savignac e Le chevrier: «Questo romanzo, che nelle
prime duecento pagine è pieno di un brio indiavolato e che a poco a poco è vinto dalla nota
sentimentalità appassionata della fine del volume è fatta con tale squisita arte che riesce
naturale ed affascina i lettori» (ibidem). Non così Rod, che annovera L’Abbé Tigrane e
Lucifer come unici capolavori del Fabre (cfr. E. ROD, Ferdinando Fabre, in «Gazzetta Let-
teraria», a. VIII, n. 45, 1 novembre 1884, pp. 353-354). Sempre su Fabre cfr. V. PICA, Un
pittore della vita clericale: Ferdinando Fabre, in «Napoli letteraria», a. III, n. 2, 10 gennaio
1886, pp. 2-3, poi in All’avanguardia, pp. 211-220. Il nome dello scrittore tornerà nel car-
158 La seduzione dell’arte

Vorrei farla questa serie di profili letterari per non svolazzare continuamente
dalla novella all’articolo critico, dalla bibliografia all’articolo leggiero, e per
poter dire dopo un certo tempo di aver scritto un insieme di articoli concreto,
per quanto poco importante. Forse in seguito mi mancherà la costanza per
mettere in effetto questo mio progetto, forse me l’impediranno altre ragioni;
ciò che per il momento non mi manca è la buona volontà.
Capirai benissimo che anche io ambisco a delle estrinsecazioni del-
l’ingegno mio molto più artistiche ed originali che dei mediocri profili lettera-
ri, anche io ambisco di scrivere delle novelle, ma son tanti quelli che scrivono
novelle ed è tanto difficile scriverne delle belle e che abbiano una certa spic-
cata impronta originale! Per esempio adesso ne tengo tre di novelle principia-
te e che a me pare dovrebbero piacere, se riuscissi a dar loro la vita e la spi-
gliatezza che hanno nella mia mente, ma questa è la grande difficoltà e da
parecchio tempo non fo che scriverne il seguito e poi lacerare rabbiosamente
quello che ho scritto, perché non mi soddisfa menomamente96. Staremo a
vedere: forse alla fine m’impazientirò e finirò alla peggio una di esse, e così
invece di fare una novella, piena di vita e d’originalità, come avevo progettato,
darò la vita ad una storiella rachitica ed informe, che potrà tener degna com-
pagnia alle altre non meno rachitiche ed informi; alle quali ho avuto il torto di
dare la vita; l’unica consolazione l’avrò nella lettura delle novelle di Della Sala
e di D’Aloe, perché dopo averle lette potrò dire, con un sospiro di soddisfa-
zione, vi ha della gente che scrive delle novelle peggiori anche delle mie97.

teggio. Cfr. supra e infra. Il masetro del realismo Jules- François-Félix Husson-Fleury, noto
come Champfleury (Laon, 1821 - Parigi, 1889), giornalista e romanziere, pubblicò il notis-
simo testo Le Réalisme (Paris, Calmann-Lévy,1857; ried. Genève, Slatkine, 1967). Tra le
molte altre opere note, Les Bourgeois de Molinchart (3 voll., Paris, Locare-Davi et de Vres-
se, 1855 [poi riedito dal Dentu nel 1877]; La succession. Le Camus, 2 voll., Bruxelles,
Méline Can set C.ie, 1857 [poi riedito da Plon nel 1881]. Pica lo avrebbe annoverato tra i
letterati «wagneriani». Lo nomina più volte. Già nel saggio Romanticismo, realismo, natura-
lismo lo cita a proposito del realismo da lui “capitanato”. Lo prendeva a modello per aver
egli intuito i limiti dell ‘formule’ ed aver considerato queste parole in ‘ismo’ come parole di
transizione (cfr. V. PICA, Romanticismo, realismo, naturalismo, cit.). Ritenne inoltre Le trio
de Chenizelles «un piccolo gioiello» (ID., L’umorismo nell’arte, in All’avanguardia, p. 8). Di
Pierre Marie Charles de Bernard (Besancon, 1804 - ivi, 1850), poeta e narratore amico di
Balzac, i cui testi furono anche ripresi da Sardou, noto per il suo Gerfaut (1838), Pica non
avrebbe scritto un profilo come invece in questa missiva si propone. Di René-François-
Armand Prudhomme, detto Sully Prudhomme (Parigi, 1839 - ivi, 1907), premio Nobel per
la letteratura nel 1901, Pica si era occupato l’anno precedente, in uno dei suoi articoli di
esordio come critico. Cfr. supra, nelle note alla lettera VII.
96
All’altezza del settembre 1881, Pica aveva già pubblicato tre novelle, e stava
preparando la più famosa dal titolo Lo spettro di Fa-ghoa-ni, in «Fantasio», a. I, n. 6, 25
ottobre 1881, pp. 2-4, ora in “Arte aristocratica”, pp. 220-229. Cfr. lettera successiva.
97
Su Giovanni D’Aloe, poeta e novelliere, collaboratore del «Fantasio», cfr. infra,
in questo carteggio. Su Vincenzo della Sala, il noto studioso e autore di Ottocentisti meri-
dionali (cit.), ma anche poeta e novelliere (cfr. V. DELLA SALA, Novelle e fantasie, Napoli,
Cronaca Partenope Editrice, 1890) animatore di giornali e riviste, cfr. lettera XXII.
I carteggi 159

Mi accorgo ora, rileggendo tutto quello che ti ho scritto, che tu avrai


dovuto fare le più matte risate, sentendomi parlare di me, dei miei scritti, dei
miei progetti, come un qualche grande letterato, mentre non sono altro che
un infelicissimo scribacchino di giornalucoli letterari. Nel leggere tutte le pre-
cedenti vuote ed ampollose frasi, dillo sinceramente, non mi hai anche invo-
lontariamente avvicinato ed accoppiato al piccolo e saltellante D’Aloe, quan-
do, con voce commossa e con frasi enfatiche, dice di sentirsi qualche cosa
d’artistico nell’animo, qualche cosa che gli fa presumere di diventare in un
avvenire non molto lontano un potente drammaturgo, od un arguto critico, od
un vivace novelliere?
Scusa e compatisci questo povero tuo amico, che nel malumore che
gli ha infuso la vita campestre, si è permesso con te che sa essere il più sin-
cero, più affettuoso e più intelligente amico, una di quelle confidenze puerili
e ridicole nelle sue superbe presunzioni dell’avvenire, ma che in lui però for-
tunatamente non sono abituali.
Mi raccomando a te, come mi sono già raccomandato al buon Sten-
dardo, che mi saluterai carissimamente, affinché faccia tutto il possibile per
mettere un argine alle velleità di comando assoluto che ha Salvatore.
Stendardo mi ha spaventato con l’annunzio di un articolo di D’Aloe
su «Fantasio»98; gli ho chiesto maggiori informazioni, dammele anche tu.
Non ti dimenticare di chiedere nella nota di Luigi99 per l’editore
Charpentier, i tre volumi di J. Vallès100.
Ringrazia Del Balzo dell’ospitalità gentilmente accordata al mio arti-
colo sui De Goncourt nella sua «Rivista Nuova»; se credi gli spedirò un mio
biglietto di visita a Parigi101.
Se qualcuno dei libri che ti ho chiesto ti riserve subito, fammelo sa-
pere, ché io te lo rinvierò per Caracciolo stesso.
Scrivimi presto e a lungo
Ama
Il tuo aff.mo
Vittorio Pica
P.S. ti mando da Luigi questa lettera, perché ho dimenticato il tuo
indirizzo: fammelo sapere.

98
Tra il mese di settembre e ottobre del 1881, D’Aloe sul «Fantasio» non firma
articoli, ma due poesie, Paesaggio (apparsa nel n. 3, 10 settembre) e A teatro (apparsa nel
n. 5, 10 ottobre).
99
Luigi Pierro. Cfr. supra.
100
Si tratta della trilogia edita da Charpentier nel 1881, L’enfant, Le bachelier,
L’insurgé di Jules Vallès. Vallès ebbe un grande influsso all’interno della bohème francese
ed europea in particolare con i suoi Refrattari. Cfr. supra, nel I cap.
101
Carlo Del Balzo si recò spesso, per lunghi soggiorni, a Parigi negli anni Ottanta.
Pagliara lo sostituiva nella direzione della «Rivista nuova». Cfr. supra, I cap. Per il profilo sui
Goncourt ospitato nella «Rivista nuova» cfr. le lettere precedenti e I capitolo di questo lavoro.
160 La seduzione dell’arte

XXVI
Lettera su foglio di carta di cm 13x21, ripiegato lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


18 settembre 1881
Carissimo Rocco
Ieri, dopo 11 giorni di aspettativa, ricevetti una tua lettera, con quan-
to piacere lo lascio immaginare a te, che sai quanto ti voglio bene e quanto
mi sono grate sempre le tue lettere; solo restai deluso quando dalla grossa
busta che lo rinserrava trassi fuori un bigliettino piccino, piccino; in cui trovai
scritte delle scuse meschine e strane per spiegare il lungo ritardo da te posto
nel rispondere alla lettera da me scrittati, quattro o cinque giorni dopo il mio
arrivo qui a Cava.
Tu con fine ironia mi pungi chiamando interessantissima la lettera da
me scrittati, nella quale, sotto il cattivo influsso di una noja debilitante e di un
immenso malumore, ammassai l’una sull’altra una serie di quelle corbellerie,
che tu, con ammirabile serietà comica, chiami nella tua lettera spontanee
emanazioni del cuore, e che ora se le rilegessi a mente serena mi farebbero
fare le più matte risate. Non ti pare che certe corbellature bisognerebbe ri-
sparmiarle ad un amico, che poi non ha un’intelligenza tanto annebbiata e
grossolana da non capirle?
Ti ringrazio delle gentili parole che mi dici a proposito dei miei profi-
li102 e del buon consiglio che mi dai. Sì è vero il gran difetto di essi è la forma
stentata; in quanto alla poca indipendenza, per servirmi della tua parola, di
essa, alla mancanza di un proprio modo di espressione, di uno speciale atteg-
giamento di periodo, che non senta il potente influsso di uno scrittore che in
un dato profilo io studio, essa dipende da un preconcetto critico (perdonami la
superbia di questa parola, perché per il momento non ne trovo una più adatta
ad esprimere il mio pensiero), per il quale a me sembra che il miglior metodo
per far conoscere uno scrittore è di mettere i lettori del profilo a contatto con
lo stile, con il modo di esprimersi dell’autore in esso studiato, di mostrar loro
una serie di brani salienti delle opere di esso autore, nei quali si mostrano ac-
centuatamente le note spiccate e caratteristiche che ne formano l’originalità, e
poiché spesso i brani sono troppo lunghi, e troppo numerosi, lo scrittore dei
profili, credo, che debba parafrasarli, condensarli e così presentarli al lettore,
contentandosi di non fare altro che di far risaltare, dal materiale, da lui dili-
gentemente raccolto, poi coordinato ed esposto, la speciale fisionomia di un
dato scrittore; poiché non bisogna dimenticare che il Sainte-Beuve, uno scrit-
tore che di critica se ne intendeva, ha detto: «le critique est un homme qui sait
lire et qui apprend à lire aux autres». Sicché io credo che quello da me espo-

102
Sul progetto dei Profili letterari francesi, cfr. supra in questo carteggio e nel I
capitolo.
I carteggi 161

stoti era il migliore e più coscienzioso metodo di fare dei profili letterari e non
quello per il quale si accumulano delle notizie biografiche103 di uno scrittore,
delle notizie bibliografiche della sua opera, e poi vi si aggiungono una quantità
di frasi altosonanti, trascendentali, vaghe che in fondo in fondo non dicono un
bel nulla. Forse avrò torto nel preferire il metodo da me espostoti, ma quello
che è certo è che son sincero nella mia preferenza.
A proposito delle mie novelle, ne ho quasi completata una, Lo Spet-
tro di Fa-ghoa-ni,104 che spero non ti dispiaccia; essa è una novella fantastica
ma non di quelle come ne ha fatte tante Salvatore che si svolgono in Germa-
nia105; alla mia ho cercato di dare una certa originalità introducendovi un ele-
mento giapponese. Se mi riesce bene vorrei pubblicarla nel 5° o nel 6° n° del
«Fantasio»106 e per ottener ciò spero che tu e Stendardo mi appoggerete for-
temente contro il malvolere, che non mancherà di mostrare Salvatore.
L’altro ieri ho finalmente ricevuto il 3° n° del «Fantasio»107 5 giorni
dopo la sua pubblicazione per la cortese sollecitudine mostrata a mio riguardo
da Salvatore; esso mi è piaciuto moltissimo: l’Acquerello [sic] di Di Giaco-
mo108 è proprio bello ed il bozzetto di Fava109, benché un po’ sproporzionato,
è molto grazioso. Il tuo sonetto su Cossa è proprio riuscito bellissimo; la 1a
quartina e la 2a terzina specialmente sono splendide. Indovinatissima poi è
stata l’idea di porre, ad imitazione della «Cronaca Bizantina» il brindisi di
Nerone, nel centro della pagina dedicata a Cossa; scommetto che essa è stata
un’idea tua110.
Hai letto in che modo il «Plinio» ha bistrattato il sonetto di
D’Aloe?111 Sia detto qui fra noi, io ci ho avuto un gran gusto.

103
Nel testo era «biografice».
104
Cfr. lettera precedente.
105
Pica fa riferimento alle novelle «al sapor di birra» composte dal giovanissimo
Di Giacomo ed edite nel «Corriere del Mattino». Cfr. supra, al I cap.
106
La novella apparve infatti in «Fantasio», a. I, n. 6, 25 ottobre 1881, pp. 2-4,
poi in “Arte aristocratica”, pp. 220-229.
107
Si tratta del numero 3 della I annata della rivista, apparso con data 10 settem-
bre 1881. Il numero si chiudeva con uno speciale su Pietro Cossa.
108
Il titolo essatto della novella digiacomiana è Acquarello, in «Fantasio», a. I, n.
3, 10 settembre 1881, p. 2.
109
Cfr. O. FAVA, Reazione, ivi, p. 3.
110
Si tratta del sonetto A Pietro Cossa, appunto, che Pagliara firma all’interno di
una pagina speciale su Cossa, «Fantasio a Pietro Cossa», apparsa insieme al n. 3 della prima
annata del «Fantasio», il 10 settembre 1881. Lo speciale conteneva: un articolo di Ferdi-
nando Sartini, interrotto appunto dal brano del Nerone al centro della pagina; il citato so-
netto di Pagliara e infine un articolo di Onorato Fava, La madre di Cossa. Il numero suc-
cessivo, inoltre, quello del 25 settembre 1881, si apriva con una poesia inedita di Cossa,
Ricordanza.
111
Cenni satirici al D’Aloe apparvero anonimi nella rivista settimanale stampata a
Portici dalla tip. De Angelis, «Plinio» (a. I, n. 16, 15 settembre 1881).
162 La seduzione dell’arte

L’articolo sul romanzo della Serao è addirittura entusiastico112; tanto


meglio così la Serao resterà contenta e non ci potrà rifiutare un qualche suo
bozzetto, quando ce [sic] lo andremo a cercare; bisogna però fare passare un
po’ di tempo113.
E di De Amicis? E Cafiero? Li danno o non li danno gli articoli pro-
messi al «Fantasio»?114 Salutami gli amici e scrivimi presto, presto e a lungo,
molto a lungo, come ho fatto io.
Ama sempre
Il tuo aff.mo
Vittorio Pica

P.S. Hai poi mai portata a Celestina la sciarpa promessale? Se la vedi


salutamela caramente. Fammi sapere se vieni di certo per la festa di S. Mat-
teo. Appena si pubblica la «Rivista nuova»115 mandami le 9 copie che mi toc-
cano ed oltre ad esse 2 altre copie, che ti pagherò al mio ritorno.

XXVII

Lettera su foglio di carta di cm 13x21.

Giovedì, 6 ottobre 1881


Carissimo Rocco,
Non potendo intervenire io all’adunanza, indetta l’altra sera per oggi
alle 6 1/2, ti prego di rappresentarmi in essa, votando anche in nome mio.
Ti accludo un sonetto, inviato al nostro «Fantasio» da un certo Carlo
Pascal116, alla pubblicazione del quale io sono assolutamente contrario, come
certamente sarete anche tutti voialtri, appena lo avrete letto.

112
Nella rubrica «Bibliografie» dello stesso numero 3 del «Fantasio» compare la
recensione a Cuore infermo. In realtà il testo non è proprio «entusiastico»; pur riconoscendo
che «la signorina Serao è un’artista vera e con questo volume si è potentemente affermata»,
ammette anche «nei di forma, certe inesattezze di lingua, o nebulosità di periodi» (ivi, p. 2).
113
Il primo intervento della Serao al «Fantasio» sarebbe apparso l’anno successi-
vo. Cfr. M. SERAO, Mare (frammento), in «Fantasio», a. II, 1, 10 gennaio 1882, p. 2.
114
Edmondo De Amicis e Martino Cafiero non compaiono come collaboratori
della rivista.
115
Sulla collaborazione di Pica e Pagliara alla «Rivista nuova» cfr. supra, nel I cap.
116
Carlo Pascal (Napoli, 1866 - ivi, 1926), letterato, pubblicista e noto latinista,
fu professore all’Università di Catania e poi in quella di Pavia. Collaboratore a riviste come
la «Rassegna contemporanea», «Revue d’Italie», autore di moltissimi volumi critici e poetici
(Fatti e leggende di Roma antica, Firenze, Lemonnier, 1903; Giovanni Pascoli, Torino, Lo-
escher, 1897; Scritti varii di letteratura latina, Torino, Paravia, 1920) e curatore di molte
edizioni di classici latini, il sonetto di cui si parla in questa missiva non sarebbe apparso
nella rivista. Pica fu dunque ascoltato.
I carteggi 163

Proponi in nome mio che d’ora innanzi ogni scritto, o che sia di
Bracco117, o che sia di Foulques118 o che sia d’altri, venga letto da noi sette,
prima che sia dato allo stampatore, affinché non si ripeta il poco bel caso
degli spropositi di grammatica della novella di Mezzanotte119.
Ama sempre
Il tuo aff.mo
Vittorio Pica

117
L’ormai noto alla critica letteraria e teatrale Roberto Bracco (Napoli, 1861-
Sorrento, 1943), più volte citato in questo lavoro, è commediografo, autore di novelle e
critico teatrale. Con lo pseudonimo di Baby, restano molti suoi articoli nel «Corriere di
Napoli» prima e nel «Mattino» poi. Autore prolifico e apprezzato (tra i molti volumi Frot-
tole di Baby, Napoli, De Angelis, 1884 [recensito da V. PICA, “Frottole di Baby” di Roberto
Bracco, in «Il Pungolo della domenica», a. II, n. 23, 8 giugno 1884]; Smorfie tristi, Milano,
Sandron, 1905; Smorfie gaie, Milano, Sandron, 1905; Smorfie tristi e smorfie gaie, Lancia-
no, Barabba, 1935; Lo spiritismo a Napoli nel 1886, Napoli, Perrella, 1907), le sue opere
teatrali furono raccolte in tre volumi dall’editore Sandron (R. BRACCO, Teatro. I-II-III, Mila-
no, Sandron, 1905). I rapporti di Bracco con Pagliara, Pica e Di Giacomo risalgono alla
redazione del «Fantasio», dove Bracco pubblicò una novella, Luisa (in «Fantasio», a. I, n. 2,
25 gennaio 1881). All’interno della vasta bibliografia si vedano almeno: L. LIBERO RUSSO,
L’arte dialettale e Roberto Bracco, Palermo, Sandron, 1912; V. LA ROCCA, Roberto Bracco,
Napoli, 1945; M. VENDITTI, Roberto Bracco, Napoli, Marotta, 1962; A. COSTAGLIOLA, Napoli
che se ne va, Napoli, Berisio, 1967 [1918]; L. DE VITO PUGLIA, Per una biografia di Roberto
Bracco, Napoli, Gallo, 1989; P. IACCIO, L’intellettuale intransigente: il fascismo e Roberto
Bracco, Napoli, Guida, 1992; A. DI NALLO, Roberto Bracco e la società teatrale fra Ottocento
e Novecento, Lanciano, Carabba, 2003.
118
Pica fa riferimento ad Eugenio Wenceslao Foulques (1831-1912), che com-
pose una critica teatrale per il «Fantasio» (Un capolavoro russo, in «Fantasio», a. I, n. 5,
10 ottobre 1881), letterato e linguista francese che nel 1878 editò a Napoli una raccolta
di prose (Scritti varii, Napoli, 1878), ed una grammatica, Il tesoro della lingua francese
ad uso degli studiosi italiani (Napoli, Casa Editrice Poliglotta, 1880). Oppure si fa riferi-
mento al letterato e traduttore Alessandro Edoardo Foulques, che sul «Fantasio» pubbli-
cò una traduzione Come presi moglie. Bozzetto americano, in «Fantasio», a. I, n. 8, 2
novembre 1881.
119
Giuseppe Mezzanotte (Chieti, 1855 - ivi, 1935), fu attivo giornalista e scrit-
tore in prosa. Collaborò, tra gli altri giornali, anche al «Corriere del Mattino», e poi al
«Mattino» e alla «Tavola rotonda». Novelliere e romanziere di lui si ricordano Checchina
Vetrominile (Roma, Sommaruga, 1884), e soprattutto La tragedia di Senarica (Napoli,
Pierro, 1887). Fu anche tra i redattori del «Fantasio». La novella cui fa riferimento Pica è
Il peso della felicità, apparsa in «Fantasio», a. I, n. 4, 25 settembre 1881. Sullo stesso
periodico Mezzanotte avrebbe anche pubblicato un articolo Giovanni Ruffini (in «Fanta-
sio», a. I, n. 7, 10 novembre 1881) e la novella Ananke (in «Fantasio», a. II, n. 8, 4 giugno
1882). Sul Mezzanotte negli ultimi anni si contano alcuni studi. Si veda almeno G. OLIVA,
Giuseppe Mezzanotte ..., cit.
164 La seduzione dell’arte

XXVIII
Lettera su foglio di carta a quadretti di cm 21x13,5. Nella seconda facciata l’appunto «Dagli
abbozzi. A V. Pica. Canzoni strane il vento della sera».
Giovedì [< giugno 1882]
Caro Rocco
Bazan mi manda da Palermo i versi che ti accludo e che a me non
dispiacciono120. Voglio sperare che nemmeno a te dispiaceranno, giacché pub-
blicandoli sul «Fantasio», potremo in un certo modo disobbligarci con lui del
fastidio che gli procura la vendita del nostro giornale a Palermo.
Ama sempre il tuo aff.mo
Vittorio
P.S. Lasciami oggi stesso una risposta da Luigi.

XXIX
Lettera su foglio di carta di cm 20x21, ripiegato lungo la base.
25 agosto 1882
Caro Rocco
Fammi il piacere di lasciarmi oggi stesso da Luigi Claude Bernard121
e l’ultimo numero dell’«Occhialetto»122.
Io parto domani mattina alle 7 e 40 per Cava dei Tirreni: scrivimi
presto e se hai qualche lettera di Torraca123 inviamela possibilmente a rigor di
posta. Grazie anticipatamente.
Ama il
Tuo
Vittorio
120
Si tratta dei versi di Enrico Bazan dedicati a Vittorio Pica, Dagli “Abbozzi” a
Vittorio Pica, che apparvero sul «Fantasio» nel n. 8 del 4 giugno 1882.
121
Si parla naturalmente del notissimo fisiologo Claude Bernard (Villefranche-
sur-Saône, 1813 - Parigi, 1878) teorico della ‘medicina sperimentale’ con il suo volume In-
troduction à l’etude de la medicine esperimentale (Paris, Bailliere, 1865). Cfr. V. PICA, Ro-
manticismo, realismo, naturalismo, cit.
122
Il settimanale «L’Occhialetto: rivista settimanale di letteratura, arte, moda,
gran mondo, teatri, varietà» fu stampato tra il 1873 e il 1895 a Napoli, presso la tipografia
Salvati e diretto da P.R. Galeota. Al periodico collaborava anche Di Giacomo, il quale firmò
per questa testata la sua notissima Pagina autobiografica (cit. Cfr. supra).
123
Allievo della cosiddetta «seconda scuola» desanctisiana, Francesco Torraca (Pie-
trapertosa, 1853 - Napoli, 1938), filologo e storico della letteratura, noto dantista, critico e fi-
losofo, dopo incarichi presso il Ministero della Pubblica Istruzione, ottenne la Cattedra di
Letteratura comparata, già desanctisiana, all’Università di Napoli, fino alla nomina a Ministro
della Pubblica Istruzione nel 1888. Sul Torraca critico, all’interno della vasta bibliografia, si
vedano almeno: N. D’ANTUONO, Francesco Torraca, Salerno, Edisud, 1989; R. MELIS, La bella
stagione di Verga. Francesco Torraca e i primi critici verghiani (1875-1885), Catania, Biblio-
teca della Fondazione Verga, 1990; M. SANTORO, Due maestri dell’ateneo napoletano France-
sco Torraca e Giuseppe Toffanin, a cura di L. Miele, Napoli, Federico & Ardi, 19902. Il «Fan-
tasio» diede spazio ad una recensione al volume di F. TORRACA, Gl’imitatori stranieri del San-
nazzaro, Roma, Loescher, 1882, in «Fantasio», a. II, n. 9, 25 giugno 1882). Collaboratore an-
che alla «Cronaca Sibarita» con Pica, su Torraca e sulla sua critica al naturalismo cfr. infra, let-
I carteggi 165

XXX
Lettera su foglio di carta di cm 21x17, ripiegato lungo la base.
Cava de’ Tirreni,
31 agosto 1882
Carissimo Rocco
Ti confesso che nel primo impeto d’ira, suscitatomi dalla tua letteri-
na, avevo deciso di scrivervi brevemente per dichiararvi che io mi ritiravo
dalla redazione del «Fantasio», ma poi ragioni di convenienza e di amicizia
specialmente mi hanno fatto desistere da questo proposito. Debbo però dirti,
con tutta franchezza, che l’aver tu profittato della mia assenza, della debolez-
za di Salvatore per tutto ciò che non l’interessa personalmente, e della grande
bontà di Stendardo, per la quale egli finisce sempre col rassegnarsi a fare la
parte di quei magots124 cinesi, che non sanno che far sì con la testa, per fare
accettare una tua proposta, da me fortemente osteggiata, mi è parso atto poco
delicato e poco amichevole e mi ha proprio froissé.
Sicché dunque io continuerò a far parte del giornale, ma, giacché vi
deve sempre essere un dittatore prepotente e gli altri debbono far da vil pe-
corame, ho deciso di non prendervi d’ora innanzi nessuna parte attiva e deli-
berativa, contentandomi di pagare la mia quota e di pubblicare di tanto in
tanto qualche articolo o qualche bibliografia.
In quanto ai denari, non posso mandarvi nulla, perché quelle lire,
raccolte per gli abbonamenti di varii miei amici, dopo averveli offerti parec-
chie volte prima di partire per Cava, li ho lasciati a Napoli e qui non ho che
quel poco, di cui posso aver bisogno in questo mese di villeggiatura.
Su quei denari non dovete dunque contare che per il 1° del mese di ot-
tobre, vi prometto però di spedirvi, appena li avrò, le 8 lire dei due abbonamen-
ti di Calauti (hai scritto la bibliografia125 per le sue Nebulose)126 e dei Sergio127.

tera XLI. Qui Pica chiede «qualche lettera del Torraca», ma nell’Archivio Manoscritti della FP
non si conservano lettere di Torraca. Si comprende, però, dalla lettera successiva, che le mis-
sive riguardano il tentativo di Pagliara di introdurre Pica all’interno della redazione del «Fan-
fulla della domenica». Cfr. lettera successiva.
124
Les villains magots sono statuette cinesi rappresentanti immagini grottesche di
buddha in porcellana o in bronzo che decorano i grandi salotti dell’Europa del Settecento. Cfr.
Mandarini e immagini del Catai nell’Europa del ’700, Catalogo della Mostra di oggetti del
Settecento veneziano, milanese e di altri Stati, Milano, Galleria d’Arte Domenico Piva, 1990.
125
Nel testo: «la bibliografie».
126
Si tratta del primo volume di poesie di Michele Calauti (Siderno, 1865 - Na-
poli, 1935), Nebulose, appunto, Roma, Detken, 1882. La «bibliografia» sollecitata da Pica
apparve solo l’anno dopo sul «Fantasio» (a. III, n. 2, 16 gennaio 1883). Quattro anni dopo
Calauti pubblicò Meteore (Milano, Quadrio, 1886) ed altri volumi, oltre a contare numerose
collaborazioni a diverse riviste, tra le quali il «Fanfulla della domenica», la «Cronaca Bizan-
tina», «La Scena illustrata». Nel n. 6 del 20 maggio 1883 del «Fantasio» sarebbe apparsa
anche una sua poesia, La fata. Cfr. infra.
127
Si fa forse riferimento a Nestore Sergio, all’autore di una novella nel «Fanta-
sio» (N. SERGIO, Agata, in «Fantasio», a. II, n. 6, 20 aprile 1882).
166 La seduzione dell’arte

Mi sia permesso soltanto di sorprendermi che quando si tratta di tro-


var denaro per spese straordinarie, bisogna ricorrere sempre agli abbonamen-
ti da me fatti e mai a quelli fatti da voi, grandi innovatori e sapienti dittatori!
Giacché servono denari per il «Fantasio», tu fatti pagare dai tuoi 7 od 8 anti-
chi abbonati e dai tanti altri che ora che si è abbassato a 3 lire l’abb. annuo
farai senza alcun dubbio, Salvatore si faccia pagare dai suoi 30 o 40 abbonati
e Stendardo dai 2 o 3, che faticosamente è riuscito ad accalappiare, e sarà
facilissimo far fronte a qualsiasi spesa straordinaria. Io per me, lo ripeto, non
posso dare che soltanto quando saremo ai 15 di settembre la 2a quota di detto
mese, avendo pagato la 1a a Salvatore fin da 12 giorni fa.
Ti sarei gratissimo se mi spedissi qui un 7 od 8 cartelloni per Paler-
mo ed un certo numero di copie delle due circolari. Né meno grato ti sarei se
ti degnassi farmi sapere se avete deciso di stampare o no in testa al «Fanta-
sio» i nomi dei 4 redattori128.
Ti ringrazio del libro di C. Bernard e dell’«Occhialetto»129 e ti ringrazio
anche di aver di nuovo scritto al Torraca, tanto più che del mio manoscritto non
ho più avuta notizia dal «F.[anfulla] della domenica»130. Salutami affettuosa-
mente Salvatore, Peppino131 ed il buon Stendardo e continua a volermi bene
Tuo aff.mo
Vittorio

128
Dall’aprile del 1882 i redattori diminuirono da sette a quattro. Rimasero Pica,
Di Giacomo, Pagliara e Stendardo. Cfr. supra, nel I cap..
129
Cfr. lettera XXIX.
130
Questa missiva attesta quindi che fu grazie a Pagliara che Pica pubblicò sul
«Fanfulla della domenica». Si tratta del noto articolo su Edmondo e Giulio de Goncourt,
che avrebbe visto la luce sul periodico nel n. 45, a. IV, 6 novembre 1882. Con questo saggio,
che era già apparso l’anno precedente sulla «Rivista nuova», Pica vinse anche un concorso
bandito dalla testata, con una commissione composta anche dallo stesso Torraca. Cfr. supra,
nel I cap.
131
Giuseppe Santojanni (Lungro, Cosenza, 1852 - Napoli, 1933) editore attivo a
Napoli, ha pubblicato molte canzoni e opere di Salvatore Di Giacomo, Vittorio Pica e dello
stesso Pagliara. Tra queste la celeberrima canzone di Piedigrotta Era de maggio. Matenata
(1886). Tra le altre canzoni digiacomiane Santojanni pubblica anche Oje marenà. Barcarola,
musicata da Costa con imitazione ritmica di R.E. Pagliara (1884) [poi col titolo di Oi ma-
renà in Canzoni napolitane, cit.]; Nannì!!!.. me/o’ dimme ca sì (1882) [il testo poi in S. DI
GIACOMO, Poesie, cit.]; Oilà. Canzone popolare tarantina (1886) [il testo fu anche tradotto
in italiano da Carlo Abeniacar]; Maria Rò! Chitarrata, traduzione ritmica di R.E. Pagliara,
musica di P. Mario Costa (1886); ’E cerase, musica di Valente (1888). Il Di Napoli Vita,
direttore del «Don Chisciotte», lo definisce «Peppino o, come lo chiamano le signorine,
Peppinaccio» (V. di N.V. [di Napoli Vita], Le canzoni, in «Don Chisciotte», a. II, nn. 29-30,
4 settembre 1887, p. 1). Cfr. infra.
I carteggi 167

XXXI
Lettera su foglio di carta di cm 21x17 ripiegato lungo la base.
Cava de’ Tirreni,
17 settembre 1882
Carissimo Rocco,
Poiché tu dopo l’ultima mia lettera non ti sei degnato di scrivermi
più, ti riscrivo io.
Ieri ricevetti una cartolina di Salvatore nella quale egli mi dice che
tre di mutuo consenso avete dichiarato non pubblicabile l’articolo Metamorfo-
si del mio amico E. Piazzoli132.
Ora io avendo assicurato al mio amico che il suo articolo sarebbe stato
inserito nel nostro giornale non posso fare con lui una cattiva figura e quindi
desidero che ad ogni costo esso sia pubblicato, come si è fatto ogni qualvolta
o tu o Stendardo o Salvatore vi siete obbligati con un amico di far pubblicare
un qualche scritto, che al resto della redazione piaceva poco o nulla.
Del resto l’articolo Metamorfosi è molto, ma molto superiore ai due
del Licata133 ed il Piazzoli non è già il primo venuto, come mostra di credere
Salvatore: egli è stato per due o tre anni assistente del professor di Fisica del-
l’Università di Catania, ha inventata una macchina per la decomposizione di
alcuni corpi chimici, che è stata con lusinghierissime parole lodata da scienziati
italiani ed anche stranieri; ha vinto un concorso di 9000 lire, con l’obbligo di
studiare per ingegnere ed infine scrive in parecchie riviste scientifiche tanto
italiane, che francesi ed inglesi. Vedi dunque che è tutt’altro che un imbecille.
Inoltre egli mi ha promesso di procurarmi parecchi abbonati a Mila-
no ed a Venezia e se il suo articolo non si pubblica addio abbonati!
Spero che tu vorrai comprendere le ragioni che mi spingono ad esi-
gere quasi la pubblicazione dell’articolo del mio amico e così sarà fa- cile che
anche gli altri, specialmente il buon Stendardo, si persuadano ed esso sia in-
serito se non nel prossimo n° del «Fantasio», almeno nel susseguente.
Salvatore mi scrive che non può mandarmi le bozze di stampa del
mio articolo134, perché porterebbe troppo ritardo. Mi raccomando caldamente
a te e a Stendardo, affinché lo correggiate voi il più accuratamente che vi sarà
possibile.

132
Il saggio scientifico apparve nel «Fantasio» a. II, n. 14, 10 ottobre 1882. Riguar-
do al suo autore, nei dizionari biografici compare solo un Emilio Piazzoli, ingegnere mila-
nese, cui forse ci si riferisce in questa missiva, la quale tra l’altro offre di lui interessanti
notizie biografiche. Lo stesso Piazzoli, sempre in seguito a pressioni e polemiche, pubblicò
anche la novella Gli specchi giapponesi (in «Fantasio», a. III, n. 1, 1 gennaio 1883). Cfr. infra.
133
Cfr. G.B. LICATA, Attraverso il mistero, in «Fantasio», a. I, n. 1, 10 agosto 1881;
ID., Bisogna ridere, in «Fantasio», a. II, n. 1, 10 gennaio 1882. Si tratta del narratore di viaggi
che tante descrizioni di terre d’Africa pubblicò a fine Ottocento con la casa editrice Treves.
134
Pica si riferisce alla seconda parte del saggio Romanticismo, realismo, natura-
lismo, che sarebbe apparsa nel «Fantasio», a. II, n. 13, 24 settembre 1882. Sul saggio cfr.
supra, nel I cap. e precedenti lettere.
168 La seduzione dell’arte

Come sta la tua sorellina135? L’aria di San Giorgio a Cremano le ha


fatto bene? Torraca giorni fa mi ha scritto una letterina veramente gentile e
mi ha mandato il suo articolo sulla Faustin che vale proprio poco136.
Salutatemi affettuosamente Stendardo, Santojanni e Di Giacomo, al
quale tra giorni scriverò ed invierò le 12 lire e 50 cent. della mia quota. In
attesa di una tua sollecita e, voglio sperarlo almeno, lunga risposta, mi ripeto
Tuo aff.mo
Vittorio

XXXII

Lettera su foglio di carta di cm 20x16, ripiegato lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


26 settembre 1882
Carissimo Rocco
La tua lettera del 21 del corrente mese mi ha fatto veramente un
piacere grandissimo, giacché in essa, ad onta di qualche frase molto pungen-
te, che io voglio dimenticare di proposito, si scorge con facilità che tu conser-
vi sempre per me della stima e anche dell’affetto, anzi specialmente dell’affet-
to. Sta pur sicuro che io ricambio di cuore il tuo affetto e desidero ardente-
mente che la buona amicizia che ci lega da vari anni non venga mai spezzata;
che se per caso ho scritto ed ho detto qualche frase un po’ troppo vivace al
tuo indirizzo è stato in conseguenza di un passeggero irritamento di nervi e
senza mai la minima intenzione di vederne troncare le nostre buone relazio-
ni137. Dicesi che gli amici bisogna prenderli con i loro difetti, ebbene uno dei
miei difetti è di essere facilmente irritabile ed i miei amici debbono essere
tanto buoni di perdonarmi questa mia facilmente eccitabile irritabilità e non
dare agli atti e alle parole, prodotte da questo stato, diremo così, patologico,
maggiore importanza di quella che esse in realtà hanno. Dopo questa franca
ed amichevole dichiarazione credo inutile più ritornare su questo penoso ar-
gomento. Devi però, per essere di una completa sincerità, confessare che la
vostra condotta riguardo al ribasso dell’abbonamento, cioè di aver presa, sen-

135
Adele o Maria Antonietta, le due sorelle di Pagliara che tanta parte ebbero
nella conservazione della Biblioteca Pagliara. Cfr. supra, nel I cap.
136
Si tratta della recensione di Torraca apparsa in «La Rassegna», a. I, n. 4, 30
gennaio 1882, poi in ID., Saggi e rassegne, Livorno, Vigo, 1885, pp. 243-249. L’articolo era
firmato con pseudonimo di L [Libero]. Sui rapporti tra Torraca, Pica e il gruppo del «Fan-
tasio» cfr. supra. Evidentemente il Torraca aveva letto solo dopo mesi l’articolo di Pica sulla
Faustin (in «Fantasio», a. II, n. 3, 10 febbraio 1882, poi in “Arte aristocratica”, pp. 220-229)
e risponde sottoponendo a Pica il suo saggio precedente di poche settimane.
137
Si fa riferimento alla dura lettera a proposito della gestione del «Fantasio»
inviata da Pica a Pagliara il 31 agosto 1882. Cfr. lettera XXX.
I carteggi 169

za richiedere di nuovo il mio parere ed approfittando quasi della mia assenza,


una decisione alla quale la maggioranza della redazione (tre su quattro) si era
dapprima mostrata recisamente contraria, ed alla quale io mi ero dichiarato
ostilissimo, era tal cosa da froisser anche una persona molto più di me calma
e paziente!
In quanto all’articolo del mio amico Piazzoli138, il quale (l’articolo e
non l’amico, intendiamoci bene) è forse un po’ debole dal lato della forma,
ma non già della sostanza, io ringrazio di cuore te e Salvatore, che vi siete
rassegnati, per mostrarvi gentili verso di me, a pubblicare un articolo che in
certo modo e per ragioni più o meno giuste vi dispiaceva. Soltanto sono resta-
to veramente sorpreso nel sentire che Stendardo sempre tanto condiscenden-
te e tanto cortese si sia questa volta e da solo rifiutato a farmi un favore, che
io vi ho chiesto insistentemente.
Stamane ho ricevute 15 copie dell’ultimo n° del «Fantasio»139, ma 15
copie soltanto non mi bastano, volendone io mandare, insieme alle circolari, a
molti miei amici per esortarli ad abbonarsi, quindi ti prego di mandarmene
altre 15 copie subito.
Questo n° del «Fantasio» mi è parso proprio ben riuscito, per quanto
mi parve meschinissimo il n° scorso: l’articoletto Anniversario è abbastanza
grazioso, benché forse un po’ troppo bizantino140; i Trucioli sono interessanti
e variati141, soltanto nel parlare di Giacometti (giacché sei tu che li hai scritti,
è vero?) [ti] sei dimenticato di parlare od almeno di citare la Morte civile, che
è il suo capolavoro142; la poesia di Papa è abbastanza buona143; ed il bozzetto
di Stendardo è veramente graziosissimo144, è forse uno dei migliori che abbia
scritto e ti prego di fargliene i miei più sinceri e sentiti rallegramenti. Quello
che mi è dispiaciuto proprio moltissimo è stato il vedere, per un birbone er-
rore di stampa, che non capisco come sia potuto sfuggire a chi ha corretto il
compaginato, al penultimo verso della graziosa poesia di Gottardi aggiunte

138
Si parla dell’articolo scientifico Metamorfosi. Cfr. lettera XXXI.
139
Si parla del n. 13, 24 settembre 1882. In questo numero apparve la seconda
parte del citato articolo pichiano su Romanticismo, Realismo e Naturalismo.
140
L’articolo è firmato «L’Amministrazione» e trae un primo bilancio della vita
del periodico, invitando anche i lettori a rinnovare l’abbonamento: «La pace sia con voi,
lettori e lettrici. [...] Per un anno, ahimè come passa il tempo!, voi avete scorso queste
pagine di letteratura morta e vivente, vi siete imbattuti in canzoni d’amore, in sonetti sbri-
gliati o malinconici, in critiche sane e robuste, in articoli serii di importanza capitale, in
bozzetti, in novelle, in traduzioni [...]» (ibidem).
141
La rubrica era curata da Pagliara, come si evince da questa missiva, ma com-
pariva a firma «Fantasio».
142
La morte civile è forse il capolavoro del drammaturgo Paolo Giacometti (Novi
Ligure, Al, 1816 - Mazzuolo, Mn, 1882). Il dramma in cinque atti, rappresentato per la
prima volta nel 1861, piacque a Zola ma mostrava una impostazione nettamente anticlerica-
le. Forse è questo il motivo della ‘omissione’ o ‘rimozione’ dall’articolo del «Fantasio».
143
Cfr. P. PAPA, Illecebra, in «Fantasio», a. II, n. 13, 24 settembre 1882.
144
Cfr. F. STENDARDO, Pomponnette, in «Fantasio», a. II, n. 13, 24 settembre 1882.
170 La seduzione dell’arte

nientemeno che tre parole, che non hanno proprio nulla che fare con tutto il
resto145. Mi è dispiaciuto pure di non vedere pubblicate ancora le bibliografie
sui libri di Calauti146 e della Branca-Romani147. Ho sentito con vero dispiacere
che l’aria di San Giorgio non abbia ancor fatto nessun bene alla tua povera
sorellina148; le auguro però che presto migliori.
L’articolo del Torraca, al quale ho già scritto due volte, sulla Fau-
stin149, non posso dartelo, perché dovetti rimandarglielo. Salutami affettuosa-
mente Di Giacomo, Santojanni, Stendardo e C. Petitti. Mio cugino Giovanni
che sta qui da 4 giorni m’incarica di salutarti da parte sua: eccolo servito. Io
ritornerò a Napoli sabato prossimo.
Ama il tuo aff.mo
Vittorio

XXXIII
Lettera su cartoncino di cm 19x16 ripiegato lungo la base.

Lunedì, 30 ottobre 1882


Carissimo Rocco
Ricevetti la più penosa dell’impressioni dalla notizia della grave sven-
tura che ti ha testè così dolorosamente colpito, ed appena saputala avrei volu-
to venirti a trovare per dirti una qualche amichevole parola di conforto, ma
poi, pensando che in quei primi dolorosi momenti non sarei potuto giungere
che importuno a te ed alla tua famiglia, me ne astenni.
In questi ultimi giorni sono stato occupatissimo per la leva e domani
mi toccherà, con pochissimo mio compiacimento, di andare all’Ospedale Mi-
litare, per restarci due o tre giorni, affinché i medici militari si possano con
l’osservazione quotidiana accertare se la mia miopia è tale da rendermi inabile
o no al servizio militare.
Appena sarò liberato da tutte queste noie mi affretterò a venirti a
visitare. Ricevi intanto un’affettuosa stretta di mano dal
tuo
Vittorio

145
Cfr. E. GOTTARDI, Rosa mystica, in «Fantasio», a. II, n. 13, 24 settembre 1882.
Pica fa riferimento a parole presenti per errore, che effettivamente non rispettano il proce-
dere metrico. Nella chiosa infatti si legge: «... O delicata rosa, senza spine, / chi ti proteg-
gerà da le bufere? / entra a destra chi da gli estivi ardori e da le brine / ti salverà dell’in-
vernali sere? ...» [il corsivo non è d’autore, indica le «tre parole» cui fa riferimento Pica in
questa missiva].
146
La recensione al suo volume Nebulose (Roma, Detken, 1882) apparve nella
rubrica «Bibliografie» del n. 2 del III a., 16 gennaio 1883.
147
Si tratta della rec. al vol. di Emilia Branca (Felice Romani ed i più riputati
maestri dei suoi tempi, Milano, Sonzogno, 1882) apparsa nella stessa rubrica.
148
Cfr. lettera XXXI.
149
Per questa nota recensione di Torraca cfr. lettera XXXI.
I carteggi 171

XXXIV
Lettera su foglio di carta di cm 26x17 ripiegato lungo la base.

lunedì [novembre 1882]


Caro Rocco
Ieri, ritirandomi a casa, nel primo momento di stizza, tolsi dalle mie
librerie e misi da parte tutti i tuoi libri, deciso a mandarteli, insieme ai fasci-
coli del «Giornale napoletano»150, il giorno stesso per mezzo del mio servitore.
Ma la sapienza popolare dice: quando hai presa una risoluzione dormici su
prima di metterla in effetto, ed io volli seguire questo saggio ammonimento e
dopo un’oretta di sonno lasciai da parte la primitiva mia decisione e rimisi al
loro antico posto i tuoi libri e non ti mandai nemmeno il «Giornale napoleta-
no». Che ne dici, feci bene?
Si dice che fra innamorati i frequenti bisticci aumentano lo scambie-
vole affetto; fra amici è lo stesso? Io mi auguro che sì. E tu persuaditi una
buona volta della saggezza di quel proverbio-ammonimento francese: Il faut
prendre les amis avec leurs travers.
Per non turbarti nella meditazione sul sullodato proverbio, mi affret-
to a dirmi
Tuo capriccioso ma aff.mo amico
Vittorio

P.S. Ho dato ier l’altro a Salvatore un articolo che mi è stato man-


dato insieme a 5 nuovi abbonati dal mio amico E. Piazzoli151. L’articolo è
intitolato Gli specchi giapponesi e benché d’indole scientifica, è molto in-
teressante ed è scritto con abbastanza briosa disinvoltura. Io desidererei che
fosse pubblicato nel prossimo numero del «Fantasio» del 30 novembre152 e
quindi ti prego di andare oggi stesso alla tipografia, di leggerlo subito e
dare la tua approvazione, in modo che si possa comporre dentro questa

150
Si fa riferimento al noto «Giornale Napoletano di filosofia e lettere, scienze
morali e politiche» diretto da Francesco Fiorentino, compilato da Carlo Petitti e Carlo M.
Tallarigo. La nuova serie del giornale venne inaugurata proprio nel 1879. A partire dal
1882 come direttori della rivista comparivano Fiorentino e Tallarigo. Fu proprio Di Gia-
como, dietro pseudonimo, a stroncare la testata (Cicero pro etc., in «Fantasio», a. II, n. 4,
1 marzo 1882).
151
L’articolo (E. PIAZZOLI, Gli specchi giapponesi), sarebbe apparso solo nell’a. III
della rivista, n. 1, 1 gennaio 1883. Far pubblicare il testo, però, non fu cosa facile per Pica,
il quale dovette combattere con gli altri redattori, come emerge da questa missiva e dalla
successiva. Lo stesso Piazzoli aveva già pubblicato sul «Fantasio», per interessamento dello
stesso Pica, anche un saggio scientifico Metamorfosi (in «Fantasio», a. II, n. 14, 10 ottobre
1882). Cfr. lettere XXXI e XXXII.
152
Pica fa riferimento, con ogni probabilità, o al n. 15 del 15 novembre 1882;
numero che però non apparve nel novembre 1882, ma nel gennaio successivo, e dunque è
catalogato come primo numero della terza annata (1 gennaio 1883).
172 La seduzione dell’arte

giornata. Il mio articolo io lo darò certamente martedì in modo che il gior-


nale può pubblicarsi venerdì153. E tu l’hai fatta poi quella famosa bibliogra-
fia sul volume di Calauti?154. Mi auguro che sì, giacché a dire il vero, ne
sarebbe proprio tempo.
Mi accorgo che il poscritto è più lungo della lettera, ma ciò a me
succede spesso. Un maligno potrebbe dire che tutto ciò che di amichevole ti
ho scritto nella lettera non è stato che per ottenere con più facilità i due fa-
vori, che ti chieggo nel poscritto, ma tu per fortuna sei troppo romantico per
giungere ad un tale estremo grado di perversa malignità!

XXXV
Lettera su foglio di carta di cm 13x16.
[1881-1882]
Caro Rocco,
Stendardo mi ha mandato l’articolo qui accluso155 pregandomi di leg-
gerlo attentamente, per dirgli se può passare, e di darlo poi a te, affinché
anche tu faccia lo stesso: eccolo servito.
Arrivederci dimani alle 6 pom.[eridiane]: da Luigi, per andare poi
alla tipografia Giannini.
Ama il tuo aff.mo Vittorio
P.S. E quei libri?....

XXXVI
Biglietto su foglio di carta di cm 21x13,5.
martedì 15 novembre [1882]
Carissimo Rocco
Lasciami da Luigi, possibilmente stasera, qualche tua cosetta per
l’«Alceo»156.

153
Si tratta della terza parte del lungo saggio su Romanticismo, realismo, natura-
lismo, (cit.) che sarebbe comparso quindi nel numero del «Fantasio» di cui tratta Pica in
questa missiva (1 gennaio 1883).
154
La recensione a M. Calauti, Nebulose, Roma, Detken, 1882 sarebbe apparsa
in seguito, nella rubrica «Bibliografie» del n. 2, 16 gennaio 1883 del «Fantasio». Cfr. supra.
155
Del citato Francesco Stendardo si fa qui riferimento alla sua collaborazione al
«Fantasio» dove pubblicò articoli, novelle e poesie. Si fa qui riferimento, però, ad un «arti-
colo» e dunque potrebbe trattarsi dei seguenti saggi apparsi sul quindicinale napoletano:
Musica da Camera. Variazioni sul tema bozzetto, a. I (1881), n. 2, 25 agosto; Vecchi ricordi,
a. I (1881), n. 5, 10 ottobre; Letteratura pesante, a. II (1882), n. 1, 10 gennaio. Questo rife-
rimento permette di datare l’espitola al biennio 1881-1882.
156
«Alceo. Rivista di lettere, arti e scienze» nacque a Palermo nel 1881. Dopo
numerose ricerche, si è rinvenuta solo la prima annata della rivista, che però non contiene
articoli a firma di Pica o Pagliara.
I carteggi 173

Fatti dare da Del Balzo il volume di Zola, in cui trovasi lo studio sul
romanzo contemporaneo in Francia157.
Grazie anticipatamente per l’uno e l’altro favore che stai per farmi.
Continua a voler un po’ di bene al
tuo aff.mo
Vittorio

XXXVII

Biglietto su cartoncino di cm 13,5x21.

Lunedì [< 16 gennaio 1883]


Caro Rocco
Fammi il piacere di lasciarmi oggi stesso o domani da Luigi 3 copie
del n. 7 anno 1° del «Fantasio», 3 copie del n. 9 anno 1°, 6 copie del n. 10
anno 2° e 5 copie del n. 13 anno 2°158.
Sarà certamente tirato per domani il n°2 di quest’anno159?
Ti avverto che io in questi giorni ho raccolto 20 lire di abbonamenti;
cerca di farti pagare da Salvatore i suoi abbonamenti, comprese le 5 lire di
[Morante] e da Della Vecchia, Petitti160 e gli altri le loro quote mensili; e così
per questo numero non avremo nulla da sborsare.
Ama il
tuo
Vittorio

157
Si tratta del noto volume Les romanciers naturalistes: Balzac, Stendhal, Gu-
stave Flaubert, Edmond et Jules de Goncourt, Alphone Daudet, Paris, Fasquelle, 1881.
Potrebbe trattarsi anche del ‘manifesto’ del naturalismo, Le roman expérimental, Paris,
Charpentier, 1880. Meno probabili il breve saggio La republique et la littérature, Paris,
Charpentier, 1879, o anche Le naturalisme au théâtre: les théories et les exemples, Paris,
Charpentier, 18813. Cfr. infra.
158
Pica sta chiedendo i numeri del 10 novembre e 10 dicembre 1881, 15 luglio
e 24 settembre 1882. Non sono esattamente i numeri corrispondenti alla comparsa di arti-
coli a firma di Pica. L’intento era forse quello di distribuirli ad alcuni altri autori di articoli
o possibili nuovi abbonati.
159
Da queste indicazioni si desume la datazione orientativa di questa missiva. La
terza annata della rivista infatti è il 1883. Considerando Pica come imminente l’uscita del II
numero del 1883, apparso in realtà il 16 gennaio 1883, si desume che la missiva è di qual-
che giorno precedente.
160
Su Carlo Petitti e sulla sua collaborazione al «Fantasio» si veda supra.
174 La seduzione dell’arte

XXXVIII
Biglietto su carta a quadretti di cm 21x13 ripiegato lungo la base.

Lunedì [< 16 gennaio 1883]


Caro Rocco
Eccoti una notizia da inserire senza meno nel prossimo numero del
«Fantasio». Bada bene che in detto numero siano anche pubblicate le mie
due notizie a proposito del Panurge161 e de L’Art au XVIII siècle e del nuovo
romanzo di De Goncourt162 e le bibliografie per C. Mendès e Calauti163. Anzi
fammi avere le bozze di stampa delle notizie e delle bibliografie.
Gottardi mi ha scritto che l’album per gl’inondati sarà pubblicato verso
il 15 del corrente e che la tua poesia è piaciuta molto alla Commissione164.
Fatti dare da Salvatore le 5 lire di [Morante], il quale si è abbonato
– notalo bene – all’edizione di lusso ed ha pagato già da parecchio tempo.
Mandami, se non ti serve più, quel volume di critica di Zola165.
Ama il
tuo
Vittorio

P.S. La notizia sul romanzo futuro di E. De Goncourt166, stante la


sua importanza, dovrebbe stamparsi a capo a tutte le altre notizie; non ti par
giusto?

161
Pica si riferisce alla commedia in un atto Les brebis de Panurge del drammatur-
go Henri Meilhac (Parigi, 1831 - ivi, 1897) apparso poi in volume (Paris, Freres, 1864). Il nu-
mero del «Fantasio» del 16 gennaio 1883 non dà notizia dell’opera come sperato da Pica.
162
La rubrica «Notizie» del n. 2, 16 gennaio 1883, dava spazio alla pubblicazione
del terzo volume dell’opera storica dei fratelli de Goncourt, L’Art au XVIII siècle (Paris,
Charpentier, 1881). Il giornale, infine, dava notizia della prossima pubblicazione di un nuo-
vo romanzo goncourtiano, La petite fille du Maréchal, che sarebbe effettivamente apparso
ma col titolo di Chérie, nel 1884 (Paris, Charpentier). Pica avrebbe recensito il romanzo su
«La Domenica Letteraria» (a. III, n. 21, 25 maggio 1884, pp. 1-2, poi in All’avanguardia,
pp. 65-85) ed avrebbe difeso la validità dell’opera con Felice Cameroni, che lo avrebbe re-
censito sul «Sole» nella sua consueta rubrica Rassegna bibliografica (105, 2 maggio 1884).
Cfr. F. Cameroni, lettera a Vittorio Pica, 8 maggio 1884, in Cameroni, p. 63.
163
Le «Bibliografie» su C. Mendès (Le crime du vieux Blas, Bruxelles, H. Kiste-
maeckers, 1882) e su M. Calauti (Nebulose, Roma, Detken, 1882) apparvero nel numero
del «Fantasio» a. III, n. 2, 16 gennaio 1883. Sul poeta parnassiano Catulle Mendès (Borde-
aux, 1841-Saint-Germain-en-Laye, 1909), fondatore della «Revue fantaisiste» dove collabo-
rarono Gautier, Glatigny, Verlaine e altri noti poeti, e ideatore del «Parnasse», Pica tornò a
scrivere più volte e in più riviste. Cfr. infra, lettera LI.
164
Si parla del Ermenegildo Gottardi collaboratore del «Fantasio». Cfr. supra,
lettera XXXII. Non si hanno invece notizie dell’«Albo» di cui riferisce Pica in questa missiva.
165
Potrebbe trattarsi del noto volume Les romanciers naturalistes: Balzac, Sten-
dhal, Gustave Flaubert, Edmond et Jules de Goncourt, Alphone Daudet (cit.). Cfr. lettera
XXXVI. Cfr. infra, missive successive.
166
Cfr. supra, in questa stessa missiva.
I carteggi 175

XXXIX

Comunicazione scritta utilizzando una busta da lettera di cm 15,4x12, probabilmente conte-


nente la bibliografia del volume di Calauti di cui si parla in questa missiva. Pica vi scrive sul
fronte con inchiostro violaceo. Intestazione autografa: «A R.E. Pagliara».

[< 16 gennaio 1883]


Caro Rocco
Nella bibliografia sul libro di Calauti167 ho segnato col lapis ben due
periodi che a me son sembrati superflui: ho cassato anche l’iniziale in fondo
all’articoletto e perché contraria alle consuetudini del «Fantasio» e perché dà
troppa importanza ad un volumetto che ne è tanto poca [sic].
Ti raccomando di lasciarmi da Luigi le bozze di stampa delle notizie
e della mia bibliografia168.
Tuo V. Pica

XL

Biglietto su cartoncino di cm 13x10.

Sabato [1882-1883]
Caro Rocco
Fammi il piacere di lasciarmi oggi stesso da Luigi Mes Haines169 e
l’altro volume critico di Zola170, che tu tieni, giacché entrambi mi servono
urgentemente. Lasciami anche le copie degli ultimi tre n.i e del n° del 15
luglio del «Fantasio»171.
Arrivederci stasera alla Strasburgo172
Tuo Vittorio

167
Le «Bibliografie» su C. Mendès (Le crime du vieux Blas, Bruxelles, H. Kiste-
maeckers, 1882) e su M. Calauti (Nebulose, Roma, Detken, 1882) apparvero nel numero
del «Fantasio» a. III, n. 2, 16 gennaio 1883. Cfr. supra.
168
Cfr. lettere XXXVII e XXXVIII.
169
Si tratta del volume di E. Zola, Mes Haines: causeries littéraires et artistiques,
Paris, Charpentier, 1870.
170
Cfr. supra, lettere XXXVI e XXXVIII.
171
Pica chiede il numero del 15 luglio, e dunque non può che chiedere il n. 10
della seconda annata della rivista, dunque del 1882 (la rivista infatti nasce ad agosto dell’an-
no precedente e termina a giugno dell’anno successivo). Si tratta del numero nel quale
appara la prima parte del suo noto articolo Romanticismo, realismo e naturalismo, nelle
prime due pagine in grande evidenza. Pica chiede anche gli «ultimi» tre numeri, che dun-
que sono successivi al luglio e con ogni probabilità dovevano, secondo Pica, contenere la
seconda parte del suo articolo (che apparve precisamente nel n. 13 della seconda annata, il
24 settembre 1882).
172
Cfr. supra, lettera di Di Giacomo a Pagliara, X.
176 La seduzione dell’arte

XLI
Biglietto di cm 16x10,5 ripiegato lungo la base.

Giovedì [< 15 marzo 1883]


Caro Rocco
Che te ne sei fatto in tutti cotesti passati giorni? Quando potrà esse-
re stampato il prossimo n° del «Fantasio»? il mio articoletto in risposta a Scar-
foglio è pronto, giacché non debbo che copiarlo173.
Eccoti una notizia, che porterai alla tipografia, insieme al sonetto del
Gottardi che – lo spero almeno – sarai alfine riuscito ad accomodare174.
Lasciami al più presto da Luigi Convolvoli di C. Errico, giacché que-
sti mi ha pregato di parlarne su «Fantasio»175. Lasciami anche da Luigi 5 co-
pie dell’ultimo n°, e 3 copie del 1° e del 2° n° di questo anno. Ti prego viva-
mente di non dimenticartene.
Ama il tuo
Vittorio

173
Si tratta della nota polemica tra Pica, Scarfoglio, Mazzoni e Salvadori. Nel
«Fantasio» del 15 marzo 1883 (a. III, n. 4, pp. 2-3) Pica pubblicò l’articolo A proposito di
alcune bibliografie. Il critico si riferiva a diversi articoli apparsi nei primi mesi del 1883 in
due rubriche de «La Domenica Letteraria» («Libri nuovi» e «In biblioteca») tenute rispet-
tivamente da Scarfoglio e da Giulio Salvadori. Sulla disputa Pica teneva costantemente in-
formato lo Zola (Cfr. G. MOMBELLO, Lettere inedite di Vittorio Pica ad Emile Zola, cit.). In
questo articolo sul «Fantasio», Pica prende le difese della letteratura francese, rispondendo
all’intendimento di Scarfoglio e di Salvadori: «Ma i signori Scarfoglio e Salvadori, come del
resto tutti coloro che si creano una missione, mostrano spesso, nella difesa della loro causa,
troppo zelo, e pur di aggiungere forza ai loro argomenti, non si peritano di cadere in ine-
sattezze ed in errori di fatto, fidandosi un po’ troppo invero sull’ignoranza de’ lettori» (ibi-
dem). In chiusura, il critico riserba l’attacco più duro a Scarfoglio: «Ed inoltre sono convin-
to che ad affrettare il risorgimento delle lettere italiane, non sia utile metodo quello di far
credere, fondandosi spesso, con peccaminosa disinvoltura, anche su gravi errori di fatto, che
le letterature delle altre nazioni siano in piena decadenza, e che gl’Italiani non abbiano che
apprendere a bene scrivere la loro lingua ed a ricordarsi delle patrie ricchezze letterarie per
poter creare delle opere d’arte, che stiano vantaggiosamente a confronto di quelle delle
altre letterature e che anzi addirittura le superino di gran lunga. Ed è perciò che voglio
terminare questo mio articoletto col ricordare agli egregi signori Scarfoglio e Salvadori il
famoso e tanto savio ammonimento di Talleyrand: «Sourtout pas trop de zèle!». Nel numero
successivo della stessa rivista, era apparso un articolo Polemica, nel quale Scarfoglio, anche
a nome di Salvadori, rispondeva a Pica. Sullo stesso fascicolo, però, risponde lo stesso Pica
nuovamente. Cfr. Risposta a Scarfoglio, in «Fantasio», a. III, n. 5, 20 aprile 1883, pp. 2-3.
Sulla polemica cfr. supra, nel I cap.
174
Si tratta non del citato Ermenegildo Gottardi, ma di Vittorio (1860-1939) po-
eta ed autore di un volume Mesi vecchi, apparso proprio in quel 1883 (Treviso, Longo). I
versi di Gottardi, Traverso i vetri, apparvero in «Fantasio», a. III, n. 4, 15 marzo 1883.
175
La recensione a C. ERRICO, Convolvoli, Roma, Sommaruga, 1883, sarebbe ap-
parsa due mesi dopo, in «Fantasio», a. III, n. 6, 20 maggio 1883, p. 4. Carmelo Errico (Ca-
stelbaronia, Avellino, 1848 - Roma, 1892), poeta e amico di d’Annunzio, autore di versi ap-
prezzati, tornerà nel presente carteggio. Cfr. infra.
I carteggi 177

P.S. L’articolo su Wagner è già pronto?176 Lasciami da Luigi 3 copie


del n° del 15 luglio 1882, che mi servono urgentemente.

XLII
Lettera su foglio di carta di cm 13x17. Sul verso, con altra grafia e inchiostro nero, si legge
«e di là data a l’opre lusinghiere di fanciulla gentil, la poesia», probabile nota sul titolo
dell’articolo apposta dallo stesso Pagliara.

Lunedì [< 15 marzo 1883]


Caro Rocco
Ho ricevuto stamane da Ancona una cartolina con le seguenti poche
righe:
«Caro Pica, la ringrazio della gentile e giustissima osservazione e la
prego di correggere il verso così:
opere donnesche, la poesia
oppure (e sarà forse meglio)
opre femminili, la poesia
Mi rimetto al suo ottimo criterio artistico, e me le ripeto obbligatis-
simo
Vittorio Gottardi»177

XLIII
Biglietto su foglio di carta a quadretti di cm 21x13,5.

Venerdì [< 20 maggio 1883]


Carissimo Rocco,
Eccoti un metro di Calauti e la lettera, con la quale egli me l’accom-
pagna: giudica anche tu se è pubblicabile sul nostro «Fantasio»178.
Arrivederci domani sera alle 6 e 1/2 da Luigi. Non mancare!
Ama
il tuo
Vittorio

P.S. Domani poi mi riporterai la lettera di Calauti.

176
Nel «Fantasio» del 15 marzo 1883 (a. III, n. 4) Pagliara pubblicò un articolo
intitolato Wagner; nel numero del 20 aprile dello stesso anno pubblica: Il concerto di Wa-
gner alla Società del Quartetto. Cfr. supra, nel I cap.
177
Vittorio Gottardi aveva inviato al Pica una correzione ai versi che sarebbero
apparsi sul «Fantasio». Cfr. lettera precedente.
178
I versi di Calauti, La fata, sarebbero apparsi nel n. 6 del 20 maggio 1883. Cfr.
lettere precedenti.
178 La seduzione dell’arte

XLIV

Lettera su foglio di carta di cm 21x13 ripiegato lungo la base.

Cava de’ Tirreni,


4 settembre 1883
Carissimo Rocco
Ti scrivo oggi, affinché questa lettera ti arrivi quando Lei sarà già
partita e così son sicuro di non rubarti neanche pochi minuti di un tempo così
preziosamente da te occupato a far la corte ad una persona sì seducente e
fantastica. Forse chi sa – perdonami quest’innocente superbia – la parola di
un amico lontano potrà esserti di conforto in mezzo alla dolorosa desolazione
dell’animo tuo per un’irreparabile partenza.
Io non conosco Lei che soltanto di vista quindi mi sarebbe diffi-
cile il trattenermi teco col magnificare i suoi pregi, le sue maniere vivaci,
infine tutto quell’insieme che forma il gran fascino di una donna. E mi
duole non poterti lungamente discorrere di Lei, giacché so bene che per
gl’innamorati è una gran gioia il parlare ed il sentir parlare della persona
amata.
Ho letto ieri su «Fracassa» il tuo articolo Rossini ed i maccheroni179 e
te ne fo i miei più sinceri congratulamenti: bravo, veggo che anche tu ti vai a
poco, a poco e forse inconsciamente convertendo a quel Naturalismo, da te
pur così spesso messo in berlina, difatti e l’argomento del tuo articolo ed i
documenti umani che lo accompagnano sono lì a dimostrare irrefutabilmente
la tua conversione. Che a codesta conversione abbia contribuito Lei? In tutti
i casi io ti dico: bravo!
Che debbo dirti di me? Io qui in campagna, in omaggio all’adatta-
mento all’ambiente (se fossi un romantico avrei invece detto: in omaggio al
colore locale) vegeto ed invidio voi tutti che vi godete la bella ed allegra vita
di città.
Salutami affettuosamente Peppino e ringrazialo della cortese solleci-
tudine con la quale mi ha mandato la canzone Di Giacomo - Valente180; salu-

179
Cfr. R. PAGLIARA, Rossini e i maccheroni, in «Capitan Fracassa», a. IV, 2
settembre 1883, pp. 1-2. Si trattava di un leggero articolo su una delle tradizioni della
dieta mediterranea, ospitato dal popolare quotidiano romano fondato da Luigi Arnaldo
Vassallo. Nel suo articolo, l’autore si sofferma sulla passione di Rossini per i macchero-
ni, tanto da farsene mandar pacchi a Parigi da Francesco Florimo. Gli aneddoti sono
stati raccontati con ogni probabilità a Pagliara dallo stesso Florimo. Cfr. supra, nel I
cap.
180
Si fa riferimento alla canzone per Piedigrotta ’Nzuchete, nzu!, su versi di Di
Giacomo per musica di Vincenzo Valente, edita da Santojanni nel 1883.
I carteggi 179

tami anche [...], Cerone181, Di Giacomo, Giobbe182, Migliaro183 e gli altri co-
muni amici della Strasburgo184.
Scrivimi presto ed a lungo
Ama il
Tuo Vittorio

P.S. Fammi il piacere di dire ad Antonio che mi mandi invece dell’


«Opinione» la «Gazzetta d’Italia». Grazie.

181
Il narratore calabrese Francesco Cerone è tra i redattori della Strenna della
Libreria Pierro pel 1891, curata da Pica e Spinazzola (cit.). Fa parte dell’accolita di intellet-
tuali, infatti, che si riunivano nella bottega di Pierro e che si incontravano spesso la sera alla
Birreria Strasburgo. Sul «Fantasio» pubblicò con lo pseudonimo di Lucius (per la identifi-
cazione cfr. V. DELLA SALA, Ottocentisti meridionali, cit., p. 34) prima di abbandonare la nar-
rativa per ricerche storico-erudite. Cfr. LUCIUS, Da uno studio, in «Fantasio», a. II, n. 3, 10
febbraio 1882. Il «Fantasio» inoltre, proprio nel suo primo numero (a. I, n. 1, 10 agosto
1881) recensì il suo volume di novelle, Peccati (Napoli, Pansini, 1881).
182
Mario Giobbe (Napoli, 1864 - ivi, 1906) fu giornalista, poeta e traduttore.
Morto suicida a quarantadue anni, mentre componeva un Don Giovanni, fu assiduo colla-
boratore di giornali e riviste napoletani, dal «Napoli» al «Piccolo» e al «Corriere di Napoli».
Nota è la sua versione del Cyrano de Bergerac di Rostand, apparsa con prefazione di Ro-
berto Bracco nel 1908 (ora la prefazione è in Nell’arte e nella vita, Lanciano, Carabba,
1941, pp. 63-67. Cfr. anche R. BRACCO, Discorso per Mario Giobbe, ivi, pp. 67-73). E sem-
pre Bracco firma la prefazione al volume Gli Amori, Napoli, Bideri, 1891. I pregiudizi di
Di Giacomo sul poeta sono espressi in una lettera a Mezzanotte, proprio a proposito di
Amori. Cfr. S. Di Giacomo, lettera a Giuseppe Mezzanotte, 21 luglio 1891, in G. OLIVA,
Giuseppe Mezzanotte..., cit., pp. 175-176: «Altri pranzi hanno solennizzato l’uscita degli
Amori di Giobbe. Non ho letto ancora questi versi: saranno bei versi certamente ma poesia
vera, sentimento, ancora non ce ne sarà». Giobbe, inoltre, fu in contatto già in questi primi
anni Ottanta con Pica e Di Giacomo, forse anche grazie al «Fantasio», per il quale pubblicò
alcune liriche: Scirocco (a. II, n. 6, 20 aprile 1882), Orfano (a. II, n. 10, 15 luglio 1882), A
una signora (a. III, n. 1, 1 gennaio 1883). Per una nota di costume, nella Strenna della Li-
breria Pierro pel 1891 curata da Pica e Spinazzola (cit., p. 3) Giobbe è ritratto «discepolo»
di Bracco in quanto a potere di seduzione. Nella FP sono conservati alcuni versi di Giobbe
apposti manoscritti ad un ritratto dello stesso Pagliara eseguito da Vincenzo Migliaro. Cfr.
Rocco Pagliara, pp. 79-81.
183
Vincenzo Migliaro (Napoli, 1858 - ivi, 1937) noto pittore e illustratore, anche
di molte opere digiacomiane, a cominciare da Minuetto Settecento (Napoli, Pierro, 1883),
apparteneva al fervido cenacolo culturale della birreria Strasburgo (cfr. lettere di Di Giaco-
mo, in questo volume). Cfr. A. SCHETTINI, Vincenzo Migliaro, Napoli, Morano, 1949; D. DI
GIACOMO, Vincenzo Migliaro, Pescara, Ianieri, 2006. Nella Collezione della FP sono presen-
ti alcune opere dell’artista. Tra queste anche il citato ritratto dello stesso Pagliara con dedi-
ca e con poesia di Mario Giobbe. Cfr. Rocco Pagliara, pp. 79-81.
184
Cfr. supra, lettera di Di Giacomo a Pagliara, X.
180 La seduzione dell’arte

XLV
Lettera su foglio di carta di cm 21x14, ripiegato lungo la base. Restano i segni di ripiegatura
e l’indicazione del destinatario: «A R.E. Pagliara da V. Pica».

domenica [1883]
Caro Rocco ,
Fammi il piacere di dare al latore quei due volumi di Louandre - Les
conteurs francais [sic]185, che tempo fa io ti prestai.
Arrivederci all’una da Luigi
Ama
Il tuo Vittorio

P.S. Mandami anche «Penombre»186 ed il «Momento»187. Ciao.

XLVI
Lettera su foglio di carta di cm 13x18.

martedì [1883]
Caro Rocco
Puoi farmi il piacere di lasciarmi da Luigi o oggi o domani La colpa
di Bianca di G. Chelli188?
Eccoti il n° del «Momento» che contiene il mio articolo su «Fanta-
sio»: mandalo tu stesso alla Serao189.
Come sta Nicolino? Salutamelo.
Tuo aff.mo
Vittorio

185
Si tratta del volume Chefs-d’oeuvre des conteurs français contemporains de La
Fontaine, curato da Charles Louandre (Paris, Charpentier, 1874).
186
Pica era solito segnalare i titoli delle opere e quelli delle riviste con la sempli-
ce sottolineatura. In questo caso, quindi, potrebbe trattarsi di E. PRAGA, Penombre, Milano,
Casa degli Autori e degli Editori, 1864; ma anche del periodico «Penombre: giornale lette-
rario artistico settimanale», un settimanale fondato a Milano il 14 gennaio 1883 e diretto
dall’avvocato Domenico Oliva dal gennaio al novembre 1883. Ad un primo spoglio della
rivista, non risultano articoli a firma di Pica o Pagliara.
187
Si tratta di un quindicinale palermitano, «Il Momento letterario, artistico, so-
ciale», nato il 16 aprile 1883. Pica, proprio in questo primo numero, vi pubblicò una recen-
sione a Au bonheur des Dames, in «Il Momento», a. I, 16 giugno 1883 (poi in All’Avanguar-
dia, pp. 126-137). Il romanzo era stato chiesto direttamente all’autore. Cfr. V. Pica, lettera
ad Emile Zola, 6 febbraio 1883, in G. MOMBELLO, Lettere inedite di Vittorio Pica ad Emile
Zola, in «Studi Francesi», a. IV (1960), n. 11, pp. 267-275, a p. 271.
188
G.C. CHELLI, La colpa di Bianca, Roma, Sommaruga, 1883.
189
Sulla rivista «Momento» e sulla collaborazione di Pica cfr. supra, lettera pre-
cedente.
I carteggi 181

XLVII

Biglietto su carta di cm 21x13,5.

Mercoledì [1881-1883]
Caro Rocco
Ti sarei veramente gratissimo se mi potessi prestare M.me Bovary e
l’Education sentimentale [sic] di Flaubert ed Eva di Verga190.
Io partirò sabato mattina per Cava.
In attesa di una sollecita tua risposta, mi ripeto
Tuo
Vittorio

XLVIII

Biglietto su cartoncino di cm 21x15 ripiegato lungo la base. Restano tracce di ripiegatura e


l’indicazione del destinatario «A R.E. Pagliara».

Sabato [1881-83]
Mio caro Rocco,
manda pure lunedì la tua bibliografia, ma senza meno ed a prima
ora. In quanto al brano di Flaubert191, parmi chiaro che vi si parli del modo
speciale in cui ciascun artista percepisce il mondo esterno, ed in ciò l’autore

190
Pica chiede quindi proprio a Pagliara alcuni già allora ‘classici’ della let-
teratura, la Madame Bovary: moeurs de province (Paris, Levy freres, 1858) e L’éduca-
tion sentimentale: histoire d’un jeune homme, (Paris, Levy, 1869), insieme alla Eva di
Verga (Milano, Treves, 1873). Di queste opere e di questi autori, cui non avrebbe dedicato
un ‘profilo’ specifico, si occupò però spesso. Probabilmente, mentre scriveva questa
missiva, Pica lavorava al saggio per il «Fantasio» Romanticismo, realismo, naturalismo
(cit. Cfr. supra, nel I cap.). Questo permette di datare la lettera agli anni di compila-
zione del «Fantasio». A Verga inoltre la rivista dà spazio, con una recensione a Pane
nero e una alla raccolta Novelle rusticane. Sulla presenza di Verga al «Fantasio» cfr.
supra, nel I cap.
191
I due amici si scambiano impressioni critiche sulle letture. Non si può risa-
lire al brano di Flaubert citato, forse si tratta della Education sentimentale, una cui copia
Pica aveva chiesto a Pagliara nella lettera precedente. Questo aiuterebbe ad avvicinare
cronologicamente queste due missive qui presentate in successione. Viste anche le cita-
zioni dei Goncourt e di Zola, si sta discutendo sul realismo, forse sempre in vista del
saggio pichiano dedicato a Romanticismo, realismo, naturalismo, apparso sul «Fantasio»
(cfr. supra).
182 La seduzione dell’arte

di M.me Bovary è d’accordo con Champfleury (Le réalisme)192, con i Gon-


court (Ideés et sensations)193, con Zola (Mes haines)194.
Fammi avere i Poèmes en prose [sic] di Baudelaire195. Vidi ieri sera
da Luigi quel maestro dalla barba rossa, tuo amico, che chiamasi Baladini,
Baliani o che so io, il quale mi pregò di dirti che desiderava parlarti d’urgenza
e che la sera potrai trovarlo al Caffè Casillo.
Ama il
tuo aff.mo
Vittorio

192
Pica chiede il notissimo testo di Jules Fleury-Husson [CHAMPFLEURY], Le Réa-
lisme (Paris, Calmann-Lévy, 1857; ried. Genève, Slatkine, 1967). Cfr. supra, lettera XXV.
193
Con il titolo di Idées et sensations d’un vieux civilisé i due fratelli de Gon-
court avevano pubblicato un estratto dal Journal, nell’aprile 1866, dedicato a Flaubert,
pubblicato poi in volume da Charpentier, nel 1877 e poi nel 1886. Cfr. anche l’omonimo
saggio, più noto, E. DE GONCOURT, Idées et sensations d’un vieux civilisé, in «Revue In-
dépendante», I serie, I tomo, 1 giugno 1884, pp. 192-196. Pica, nello stendere il saggio su
A Rebours di Huysmans attinse a questo saggio (la prova è in una lettera di Pica a Ed-
mond de Goncourt, 3 ottobre 1884, in Lettere a De Goncourt, p. 89). Nella sua prima re-
censione al romanzo A Rebours, infatti, (“La vita a rovescio”, cit., p. 150), a proposito della
«malattia morale» di Des Esseintes, accosta il romanzo al volume Idées et sensations, volu-
me che egli definisce «il breviario dei raffinati»: «In esso si raccoglie il fiore dello spirito
francese odierno, uno spirito che va nel fondo delle cose e degli esseri, che ne mette a
nudo l’intimità vibrante e dolorosa, che esprime con una sottile ironia o con squisite deli-
cature di chiaro-oscuri tutte le malinconie, tutte le ebbrezze, tutti i vacillamenti di un’in-
telligenza o di una coscienza» (ibidem). Sullo stesso volume Pica torna nel suo saggio Arte
aristocratica, la Conferenza tenuta al Circolo Filologico di Napoli il 3 aprile 1892, ora in
“Arte aristocratica”, p. 268-269.
194
Si tratta del poco noto Mes haines: causeries littéraires et artistiques, Paris,
Charpentier, 1870. Cfr. missiva XL.
195
Nel 1873 era uscita la seconda edizione di Petits poèmes en prose: paradis
artificiels, Paris, Michel Levy, 1873 (poi Paris, Lemerre, 1889). L’autore dei Fleurs du mal
veniva interpretato come espressione di un «romanticismo diabolico» (V. PICA, Romanti-
cismo, realismo, naturalismo, cit., p. 113). Fu Pica, inoltre, tra i promotori del monumen-
to a Baudelaire, per il quale cercò di sensibilizzare anche De Roberto. Nei numeri del
«Mattino» del 26-27 settembre e 16-17 ottobre 1892, infatti, nella rubrica Api, mosconi
e vespe, Gibus-Serao informava dell’iniziativa del monumento. Nel primo articolo, nel
numero quindi del 26-27 settembre, la Serao elencava i componenti del comitato d’onore
presieduto da Leconte de Lisle e invitava ad inviare sottoscrizioni alla rivista parigina «La
Plume», dicendo anche che i napoletani e gli italiani potevano far capo a Vittorio Pica,
del quale indicava anche l’indirizzo. In quello stesso questo stesso numero Pica firmava
un articolo Il monumento di Baudelaire. Pur riconoscendo a Baudelaire un influsso sulla
poetica di Huysmans (cfr. V. PICA, “La vita a rovescio”, cit., p. 145), resta il fatto che Pica
non dedicò nessun saggio a Baudelaire; un silenzio critico che, insieme a quello riservato
a Rimbaud, è ancora discusso dagli studiosi pichiani. Cfr. E. CITRO, Introduzione a Let-
teratura d’eccezione.
I carteggi 183

XLIX
Lettera su foglio di carta di cm 23x18, ripiegato lungo la base. Il ductus, con inchiostro
violaceo, occupa tutte le facciate e prosegue con una scrittura sovrapposta in senso perpen-
dicolare rispetto alla precedente.
Torre Annunziata, Villa Greco
Domenica, 21 settembre 1884
Mio carissimo Rocco, poiché mostri desiderio di ricevere una mia
lunga lettera e me ne prometti in compenso una tua parimenti lunga, non
voglio tardare a risponderti. La tua cartolina se da una parte mi ha fatto pia-
cere, perché mi ha assicurato dell’ottimo stato di salute tuo e dei tuoi, dall’al-
tra per la notizia datami della morte del povero D. Nicola, così allegro, così
simpatico, mi ha non poco rattristato. Del resto ahimè! bisogna pur preparare
l’animo a queste tristezze, giacché se ora le brutte cifre dei morti di colera,
che giornalmente ci recano i giornali risvegliano in noi una compassione vaga,
indefinita, mista ad un egoistico sentimento di personale preoccupazione, al-
lorché a morbo finito, il velo dell’innominato, che ora ricopre tanti cadaveri si
lacererà a poco per volta ai nostri occhi, ad ogni perdita che dovremo consta-
tare dintorno a noi, ad ogni persona che avevamo l’abitudine di vedere e che
più non dovremo vedere, sarà una nuova crudele trafittura pel nostro cuore.
Chi sa quante delle belle ragazze, che ci hanno rallegrati con i loro
sorrisi e col ... resto, saranno miseramente scomparse dal mondo, fulminate
d’improvviso dal morbo?
E dire che poi dovremo anche essere ben contenti di poter fare una
così sconsolante rivista!
Perdonami tutte queste melanconiche riflessioni, ma che vuoi? Ben-
ché io sia tutt’altro che sentimentale (benché forse, forse lo sono più di quello
che io stesso e gli altri credono), benché il colera non è riuscito finora a sgo-
mentarmi, neanche196 a troppo impensierirmi, pure a volte, pensando alle
tante vittime ignote che il morbo ha mietuto inesorabilmente, sento l’animo
mio riempirsi di tristezza.
Fortunatamente tutti i miei amici, secondo le notizie che essi quoti-
dianamente mi mandano da Napoli, sono restati finora immuni, ed il colera
pare disposto a cessare fra non molto: speriamo che si sbrighi. Qui a Torre
invece vi è stato negli ultimi giorni un aumento sensibile di casi e di morti,
non tale però da allarmare delle persone che, come noi, menano una vita pa-
triarcalmente igienica e monotona, e non trattano quasi nessuno.
Grazie per la cortese profferta dei libri però è impossibile il mandar-
meli, perché la posta tagliuzza senza pietà lettere, giornali, libri, carte. Del
rimanente poi, benché mi annoio sempre molto, pure mi sono alfine persuaso
a scrivere un po’ nella giornata, anzi oggi terminerò un articolo per A Rebours

196
Nell’originale «né neanche».
184 La seduzione dell’arte

di Huysmans197, nel quale maltratto con abbastanza vivacità la sig.ra Serao,


per la sua pretenzione alla critica, te lo dico perché so che ti farà piacere: ho
forse sbagliato?198
E tu perché non scrivi un bell’articolo per la sciagurata nostra «Cro-
naca Sibarita»199, della quale saranno riprese le pubblicazioni a morbo cessa-

197
La prima recensione pichiana al romanzo di Huysmans (edito da Charpentier,
Parigi, 1884) sarebbe apparsa il mese successivo in «La Domenica Letteraria» (V. PICA, “La
vita a rovescio”, in «La Domenica Letteraria», a. III, n. 40, 5 ottobre 1884, p. 3 e n. 41, 12
ottobre 1884, pp. 2-3, ora in “Arte aristocratica”, pp. 143-155). Poco dopo, nel novembre
dello stesso anno, apparve un secondo saggio, nella «Cronaca Sibarita». Cfr V. PICA, A Rebours,
in «Cronaca Sibarita», a. I, n. 2, novembre 1884, pp. 2-4 (è una risposta alla stroncatura del
romanzo firmata da Scarfoglio sul «Fanfulla della domenica») ora in “Arte aristocratica”, pp.
155-166. Questi primi interventi critici su Huysmans si muoverebbero ancora in chiave natu-
ralista (Cfr. N. D’ANTUONO, La Chimera e la Sfinge nel Des Esseintes italiano, cit., p. 29 ss.);
eppure accostano l’autore a Baudelaire o Poe, oltre che ai Goncourt. Il 9 giugno dello stesso
anno, Felice Cameroni scriveva a Pica di aver ricevuto il libro dall’autore francese e confidava
al collega e amico: «Ad ogni modo, sta di fatto, che non fu mai raggiunto un sì alto grado di
raffinatezza faisandée. Come ne sarebbe contento il Flaubert!» (in Cameroni, p. 65). Pica tor-
nerà spessissimo sull’argomento. Si veda anche il saggio dedicato a Huysmans nella serie sui
Moderni bizantini (V. PICA, Joris Karl Huysmans, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 30, 25 lu-
glio 1885, poi in All’avanguardia, pp. 237-238) e la recensione ad A Rebours (in «Cronaca
Sibarita», a. I, n. 2, 1 novembre 1884, pp. 2-3 (ora in “Arte aristocratica”, pp. 155-163) con un
metodo critico ben differente, sempre più slegato, nel corso degli anni Ottanta, dal naturali-
smo. Sulla ricezione di Huysmans in Italia cfr. I. GOTTA, J.-K. Huysmans à l’étranger. Notes
pour une bibliographie italienne sur J.-K. Huysmans, Paris, Aux Editions du Divan, 1955; G.C.
MENICHELLI, Huysmans e la critica italiana, in «La Fiera Letteraria», 26 febbraio 1956.
198
Dopo aver fatto cenno alle «diatribe» firmate dai «feroci gallofobi della nostra
critica», Pica nel saggio “La vita a rovescio” (cit.) toccava il caso Serao: «L’unica che su tale
argomento riesca in Italia qualche volta originale è la signorina Serao, la quale, poverina, ha
una passione sfrenata e purtroppo non corrisposta, per la critica. Questa brava signorina, che
pur ne’ suoi romanzi si è tanto spesso ricordata della lettura da lei fatta delle opere di Zola e
dei Goncourt, è tutta felice allorché può lanciare dei sassi contro qualche nuova opera di uno
di questi illustri scrittori» (ivi, p. 143). In effetti la Serao, della quale Pica metteva in discus-
sione le doti critiche, si era più volte espressa negativamente proprio su Huysmans. Nella let-
tera inviata il 20 agosto del 1884 a Giuseppe Primoli, la scrittrice dichiarava di aver letto A
Rebours, e definiva l’autore «pazzo»: «Quello non è un romanzo, non è un libro di critica let-
teraria, non è un libro di erudizione, non è un libro di filosofia schopenhaueriana; è un pastic-
cio di tutte queste cose, messo assieme senza interesse, senza colore, mal digerito, tutta roba
d’imprestito» (in M. SPAZIANI, Con Gegé Primoli nella Roma bizantina, Roma, Edizioni di Sto-
ria e Letteratura, 1962, pp. 133-134). In una lettera successiva, inviata il 20 ottobre 1884 allo
stesso Primoli, tornava sull’argomento con simile posizione (cfr. ivi, p. 141). Il suo intervento
ufficiale contro il romanzo, però, resta la recensione apparsa sul «Capitan Fracassa» (Chiquita
[SERAO], Letture, in «Capitan Fracassa», a. V, 16 settembre 1884, p. 2). Nel corso dell’articolo,
Pica tornava sulla Serao e dimostrava di aver letto questa recensione-stroncatura.
199
Si tratta di una delle collaborazioni più significative per la fortuna critica di Pica,
la raffinata rivista «Cronaca Sibarita. Letteraria artistica quindicinale», nata il primo settembre
1884, fondata, tra gli altri, da Pica, Federigo Casa, Francesco Stendardo, Luigi Conforti. Nel
primo numero della rivista si dà spazio a Di Giacomo, dando notizia della imminente pubblica-
zione dei Sonetti (Napoli, Tocco, 1884). Dopo una breve interruzione per il colera, il secondo
I carteggi 185

to? Poiché i miei buoni amici si sono ostinati, a volere che un nuovo giornale
letterario comparisse in Napoli, cerchiamo almeno di non far troppa cattiva
figura, pubblicando di tratto in tratto qualche buon scritto, e tu sei tra i pochi
che, se vuoi, puoi darci della buona roba200. Conosci troppo la mia feroce sin-
cerità per poter supporre che io ti voglia fare dei complimenti. Dunque que-
sto articolo ce lo darai? Non ti chieggo poesie, perché ne abbiamo già troppe,
e quel che è peggio in redazione vi sono nientemeno che 5 poeti (?).
Mi scrivono da Napoli che Valentino201 è quasi pazzo per la paura:
ecco perché non ha risposto a te, come non ha risposto a me.
Ossequiami i tuoi e salutami Santojanni, Fiordelisi202 e gli altri amici,
che avrai occasione di vedere.
Aspetto la lunga lettera promessa, augurandomi che mi giunga presto.
Ama il tuo aff.mo
Vittorio
numero esce il 1o novembre dello stesso 1884. Pica fu tra i redattori più assidui del periodico,
firmando recensioni e altri saggi alcuni dei quali poi raccolti in volume: V. PICA, Arte – Giusep-
pe De Nittis, a. I, n. 1, 1 settembre 1884, pp. 6-7; ID., Idee e sensazioni. Edmondo e Giulio de
Goncourt, a. I, n. 2, 1 novembre 1884, pp. 2-3; ID., A Rebours, a. I, n. 2, novembre 1884, pp. 2-
4 [in risposta alla stroncatura del romanzo firmata da Scarfoglio sul «Fanfulla della domenica»;
ora in “Arte aristocratica”, pp. 155-166]; V.P. [PICA], “La Revue Indépendante”, a. I, n. 2, 1 no-
vembre 1884, p. 7 (ora in “Arte aristocratica”, pp. 163-165); ID., Rec. a Autour d’un clocher,
moeurs rurales di H. Fèvre-L. Desprez, a. I, n. 2, 1 novembre 1884, pp. 7-8; ID., Il Libro di
Don Chisciotte, a. I, n. 3, 16 novembre 1884, pp. 1-2 (poi in “Arte aristocratica”, pp. 165-170);
ID., Pensieri di un pessimista di Arturo Schopenhauer, a. I, n. 5, 16 dicembre 1884, p. 3; ID.,
Rec. a Sonetti napoletani di Alfonso Fiordelisi, a. I, n. 5, 16 dicembre 1887, pp. 7-8; ID., Rec. a
Rimes de joie di Théodore Hannon, a. I, n. 5, 16 dicembre 1887, pp. 7-8; ID., Notizie [P. Alexis,
Desprez e Fèvre], a. I, n. 5, 16 dicembre 1887, p. 8; ID., Arte – Alceste Cipriani, a. II, n. 1, 10
gennaio 1885,, pp. 3-4; ID., Un orologio [trad. da Paul Verlaine], a. II, n. 1, 10 gennaio 1885, pp.
4-5; ID., Tra los montes, ivi, a. II, n. 1, 10 gennaio 1885, p. 8 (poi “Arte aristocratica”, pp. 174-
175); ID. Rec. a Checchina Vetrominile di Giuseppe Mezzanotte e Rec. a Au Tonkin – Autour
d’une caserme di Paul Bonnetain, a. II, n. 1, 10 gennaio 1885, pp. 7-8; ID., Rec. a L’élève Gen-
drevin di Robert Caze, a. II, n. 2, 1 febbraio 1885, pp. 7-8. Sul «sibaritismo» di Pica cfr. Vittorio
Pica, pp. 99-114; N. D’ANTUONO, La Chimera e la Sfinge nel Des Esseintes italiano, cit., pp. 29-
34; T. IERMANO, Dai Bizantini ai Sibariti. La “Cronaca Sibarita” (1884-1885) nella società lette-
raria napoletana, in «Giornale storico della letteratura italiana», a. CXII, n. 557, I trimestre
1995, pp. 91-107. Pica partecipava attivamente alla vita della rivista, come attesta anche l’epi-
stolario a Edmond de Goncourt (in particolare lettera del 7 novembre 1884, in lettere a De
Goncourt, pp. 91-92). Sulla collaborazione di Pagliara alla rivista cfr. anche infra.
200
Pagliara firmò sulla «Cronaca Sibarita» la lirica A X..., che apparve nello stesso
numero del novembre 1884 («Cronaca Sibarita», a. I, n. 2, novembre 1884), affianco all’ar-
ticolo di Pica sul romanzo di Huysmans (cit.). Nello stesso numero, inoltre, si pubblicano i
versi di Di Giacomo, Carmela. Il mese dopo esce anche una sua novella (S. DI GIACOMO,
Senza vederlo, ivi, a. I, n. 4, 1 dicembre 1884, poi inserita in ID., Mattinate napoletane, cit.).
Il primo intervento di Di Giacomo sulla rivista risale al primo numero della nuova testata,
con una novella Alba (in «Cronaca Sibarita», a. I, n. 1, 1 settembre 1884, p. 5).
201
Si tratta di Valentino Gervasi (1849-1920), giornalista amico di Pica, Di Giaco-
mo, più volte citato infatti in questo carteggio. Assiduo frequentatore della Birreria Stra-
sburgo. Cfr. infra.
202
Per notizie su Alfonso Fiordelisi, cfr. supra, il carteggio Di Giacomo.
186 La seduzione dell’arte

Lettera su foglio di carta di cm 21x13,5 ripiegato lungo la base.

lunedì [ottobre 1884]


Mio caro Rocco, vuoi darmi per il prossimo n° della «Sibarita» una
tua poesia203? Son sicuro che sì, e quindi ti prego di lasciarmela non più tardi
di posdomani da Luigi. E grazie. Nell’ultimo n° della «Sibarita» ho annunzia-
to il tuo volume, senza dirne il titolo poiché non lo ricordavo. Quando vedrà
la luce204?
Ho visto iersera Giulia: quanto mutata, ahimè! Ti decidi a venire da
Nunziatina? Ne sarebbe tempo!
Ho ricevuto da Franceschi la relazione del suo progetto pel monu-
mento a V.E.205, tu, che lo vedi spesso, ringrazialo da parte mia del gentile
pensiero.
Ama
il tuo aff.mo
Vittorio Pica

Ricordati di mandarmi Petits poèmes en prose di Baudelaire206.

203
Nella precedente missiva, datata 21 settembre 1884, Pica aveva già invitato
Pagliara a collaborare. L’amico Pagliara avrebbe pubblicato, già nel secondo numero, appar-
so il 1 novembre 1884 «a morbo cessato», alcuni versi: A X..., cit. Cfr. supra, missiva prece-
dente. I versi sono inseriti in un elegante riquadro, al centro di un articolo dello stesso
Pica, A Rebours, cit.
204
Si tratta del volume La canzone dei ricordi: poemetto lirico, che però sarebbe
apparso nel 1885 (Napoli, 1885). Pica ne dà notizia nel n. 1, 1o settembre 1884.
205
Pica si riferisce al progetto di monumento in onore di Vittorio Emanuele II di
Savoia per il Vittoriano di Roma, per il quale l’allora Consiglio Comunale della capitale
bandì ben due concorsi. Al primo parteciparono Emilio Franceschi (1839-1890), appunto,
insieme ad altri artisti come Enrico Chiaradia (1851-1892), Achille D’Orsi (1845-1929),
Giovan Battista Amendola (1848-1887), Alfonso Balzico (1825-1901). Al secondo concorso
parteciparono solo Franceschi e Chiaradia. Ad aggiudicarsi la commissione fu Franceschi,
che intanto stava realizzando anche la statua di Ruggiero Normanno per Palazzo Reale, e
che non potè portare a compimento l’opera monumentale per il sovrano savoiardo. La que-
stione fu lunga e accesa, riportata con dovizia di particolari, tra gli altri, da Vincenzo della
Sala (Il monumento a Vittorio Emanuele II di Savoia, in «Cronaca Partenopea», 15 giugno
1890, poi in ID., Ottocentisti meridionali, cit., pp. 177-181).
206
Pica aveva già chiesto il volume a Pagliara. Cfr. supra, lettera XLVIII.
I carteggi 187

LI
Comunicazione su foglietto di carta di cm 13,4x22,00 ripiegato lungo la base.

Domenica [24-31 gennaio 1886]


Mio caro Rocco
Eccoti il Caliban di Renan207 che tu desideravi.
Oggi stesso riceverai per la posta i n° 2, 3 e 4 della «Napoli lettera-
ria»208, che non ti furono spediti, perché non si sapeva il tuo indirizzo.
Manda l’articolo per l’Orchestrale, che verrà pubblicato o nel n°5 o
nel n°6209.
Stretta di mano cordiale
Vittorio

207
Ernest Renan (Tréguier, 1833 - Parigi, 1892) saggista e romanziere, pubblicò,
tra l’altro, la monumentale Histoire des Origines du Christianisme, in otto volumi editi tra
il 1866 e il 1881, e l’Histoire du peuple d’Israël (1887). Il «dramma filosofico» Caliban: suite
de la tempête fu pubblicato a Parigi da Calmann Levy nel 1878. Conosciuto e stimato in Italia
già in quegli ani Ottanta, Renan era spesso presente all’interno della stampa italiana. Proprio
nel citato «Fanfulla della domenica» (a. VII, n. 14, 5 aprile 1885) era apparsa una Lettera a
Giacomo Barzellotti a firma di Renan. Sulla presenza dell’autore in Italia, cfr. A. LEFRANC,
Ernest Renan en Italie: sa mission scientifique et littéraire, Paris, 1938; A-C. FAITROP-PORTA,
La letteratura francese nella stampa romana (1880-1900), Napoli, ESI, 1992, pp. 316-318.
208
Dato anche il riferimento successivo all’articolo «sull’orchestrale» la missiva è
databile al 1886. I numeri 2, 3 e 4 della rivista sono quindi quelli apparsi rispettivamente il
10, 17 e 24 gennaio 1886. Il foglio letterario settimanale «Napoli Letteraria. Giornale della
Domenica» fu pubblicato tra il 1884 e il 1887. Nel numero 7 della prima annata (30 marzo
1884) si legge una nota redazionale: «La Napoli Letteraria, che si propone di rappresentare
specialmente la letteratura del mezzogiorno, apre le sue colonne a tutti i cultori degli studi
letterarii, senza esclusione di partiti e di chiesuole, e promette di pubblicare i lavori che le
saranno inviati, purché degni e rispondano all’indole di questo giornale». Il 15 maggio 1887
la testata diventa quindicinale. Nel numero di apertura della nuova serie (a. I, n. 1, 3 gen-
naio 1885) Pica e Pagliara compaiono come collaboratori. Direttori Giovanni Bovio, Miche-
le Kerbaker e Bonaventura Zumbini. Sulla «Napoli Letteraria» Pica firmò diversi articoli o
recensioni: V. PICA, rec. a M. SERAO, La virtù di Checchina, Catania, Giannotta, 1884, a. I, n.
4, 9 marzo 1884; ID., Note bibliografiche: G. Miranda, Gli Orfani, a. I, n. 7, 30 marzo 1884;
ID., La coda di Zola, a. I, n. 15, 25 maggio 1884, e n. 20, 29 giugno 1884; ID., Un pittore
della vita clericale: Ferdinando Fabre, a. III, n. 2, 10 gennaio 1886 (poi in All’Avanguardia,
pp. 211-220); ID., rec. a La mauvaise Aventure di Camille de Saint-Croix, a. III, n. 6, 7 feb-
braio 1886 (poi in All’avanguardia, pp. 301-309); ID., rec. a Contro il romanzo sperimentale
di A. Lenzoni, a. III, n. 8, 21 febbraio 1886; ID., Tatiana Leïlof, a. III, n. 10, 7 marzo 1886,
poi in All’avanguardia, pp. 311-321; ID., Sonettisti napoletani, a. III, n. 28, 11 luglio 1886;
ID., Pica rec. a E. PARDO BAZAN, Le naturalisme, a. III, 11 luglio 1886; ID., Femmes di Gon-
court, a. IV, n. 2, 9 gennaio 1887, p. 3; ID., Strenne, a. IV, n. 2, 9 gennaio 1887. Sugli orien-
tamenti culturali della rivista, cfr. E. GIAMMATTEI, Il Romanzo di Napoli..., cit, p. 88 ss.
209
L’articolo sul concerto di Martucci alla Società del Quartetto, dal titolo Sinfonie
sarebbe apparso non nel n. 5 o 6 ma qualche mese dopo, in «Napoli Letteraria», a. III, n. 18, 2
maggio 1886, pp. 3-4. Nella stessa rivista Pagliara firmò anche due sonetti dialettali, ’Nu con-
siglio! E So’ scemo! (a. III, n. 9, 28 febbraio 1886) e Wagneriana. A Pablo de Hilos (a. III, n. 27,
4 luglio 1886, p. 2 e n. 28, 11 luglio 1886, pp. 1-2). Questi ultimi due articoli erano dedicati al
188 La seduzione dell’arte

LII
Lettera su foglio di carta di cm 26,8x21,8 ripiegato lungo la base. Il ductus, con inchiostro
violaceo, si dispone nell’ordine sulla prima e terza facciata, per concludersi nella seconda
facciata, con un post scriptum sulla quarta. Il senso di scrittura inoltre è verticale nella
prima e terza facciata, orizzontale nella seconda e obliquo nella quarta. Dal riferimento alla
rivista fiorentina «Cronaca Azzurra», si deduce che la lettera è stata scritta nel 1886. Il
quindicinale fiorentino, infatti, sottotitolato «Giornale artistico-letterario», e dal n. 8 «Gior-
nale umoristico letterario», dopo i primi nove numeri si era fuso con «La Civetta» di Roma
prendendo il titolo di «La Civetta. Cronaca Azzurra». Pica potrebbe anche riferirsi a questo
nuovo quindicinale, chiamandolo con la vecchia dicitura, e questo sposterebbe in avanti nel
tempo la datazione della lettera. Altrove, però, proprio in riferimento al nuovo quindicinale
Pica lo chiama non proprio «La Civetta», ma almeno «ex-‘Cronaca Azzurra’ di Firenze» (V.
Pica, lettera a Federico De Roberto, 4 febbraio 1887, in Lettere a Federico De Roberto,
cit., p. 99). A datare la lettera al 1886 è anche il riferimento al lavoro di Pagliara sul Tan-
nhäuser. Il suo primo studio sull’argomento è infatti dell’11 luglio 1886 (poi R. PAGLIARA, A
proposito del Tannhäuser a Roma, in Intermezzi musicali, cit., pp. 61-82).
[maggio 1886]
Mio caro Rocco
La tua fede nella mia erudizione francese le tue lodi alla mia bontà
ed affettuosità mi hanno commosso, sicché io cercherò di accontentarti come
meglio potrò.
Dunque fra i letterati odierni francesi spiccatamente Wagneriani210,
oltre Edouard Schuré, Catulle Mendès e Judith Gautier211, puoi citare

Tannhäuser eseguito al teatro Apollo di Roma qualche mese prima. Pagliara accusava solo «un
paio di dissonanze» e tornava sul caso Wagner: «La perfetta, la efficace e continua esecuzione
sinfonica ha reso a fatto popolari alcuni brani orchestrali del Wagner...» (ibidem).
210
Pagliara stava preparando l’articolo Wagneriana che sarebbe apparso in due
puntate sulla «Napoli Letteraria» rispettivamente il 4 e l’11 luglio 1886 (vedi lettera LI). In
questi articoli l’autore avrebbe citato, anche grazie alle indicazioni pichiane contenute in
questa missiva, «fortissimi ingegni spiccatamente, incrollabilmente wagneriani» (R. PAGLIARA,
Wagneriana. I, in «Napoli Letteraria», a. III, n. 27, 4 luglio 1886, p. 2), tra i quali avrebbe
annoverato Gautier, Gerard de Nerval, Champfleury, Baudelaire, Mallarmé, Rod, Huysmans,
Mendès, Reyer, Schuré (ibidem e cfr. anche ID., Wagneriana. II, ivi, a. III, n. 28, 11 luglio
1886). Nello stesso articolo Pagliara cita la sua fonte, Vittorio Pica appunto, «il quale mi ha
ricordato parecchi di questi nomi, e mi assicura che è wagneriano tutto il gruppo dei valorosi
scrittori suggestivi, raffinati, simbolici, che egli passa in rassegna ne’ suoi studi perspicaci e
appassionati sui Moderni Bizantini» (ibidem). Allo stesso argomento Pica si dedicava proprio
nello stesso periodo. Alla influenza di Wagner sui letterati francesi di nuova generazione, con
particolare riguardo ad Edouard Dujardin, il critico aveva appena riservato ampie riflessioni
nel recensire Les Hantises, articolo decisivo per l’evoluzione critica di Pica, eppure escluso
sia dal volume All’avanguardia che dal volume Letteratura d’eccezione. Cfr. V. PICA, “Les
Hantises”, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 11, 13 marzo 1886, pp. 86-87, ora in “Arte ari-
stocratica”, pp. 183-190. In questa recensione, nel novero dei letterati wagneriani, Pica ci-
tava, oltre naturalmente a Dujardin (direttore della «Revue Wagnerienne»), anche Bourget,
Huysmans, Rod. Un’altra recensione al testo di Dujardin apparve a firma di Pica nella rivista
«Conversazioni della Domenica», a. I, n. 13, 28 marzo 1886.
211
Su questi autori il giovane critico aveva scritto. Tra gli studi wagneriani di
Edouard Schuré (Strasburgo, 1841 - Parigi, 1929) è da citare almeno l’opera in due volumi
I carteggi 189

Edouard Rod212, Stéphane Mallarmé213, benché costui non istimi che la rifor-
ma wagneriana rappresenti il non plus ultra della moderna estetica e vagheggi
un dramma poetico etc., Edouard Dujardin, Villiers de l’Isle-Adam, J.K. Huy-
smans214 e dietro a costoro quasi tutti quei letterati suggestivi, raffinati, sim-

Le Drame musical, Paris, Perrin, 1875 (il secondo volume è interamente dedicato a Ri-
chard Wagner, son oeuvre et son idée), la cui seconda edizione, apparsa nel 1886 fu recen-
sita, tra gli altri, anche da Depanis nella sua «Gazzetta Letteraria» (G. DEPANIS, A proposito
di un nuovo libro su Richard Wagner, in «Gazzetta Letteraria», a. XI, nei nn. 2, 8 gennaio
1887, pp. 12-14 e n. 3, 15 gennaio 1887, pp. 19-21). Tra gli interventi pichiani su Schuré si
ricorda la recensione a La Légende de l’Alsace (Paris, Charpentier, 1884), in «Gazzetta
Letteraria», a. VIII, n. 23, 31 maggio 1886, p. 183. Al Catulle Mendès (cfr. supra, lettera
XXXVIII) autore di una monografia su Wagner, Pica aveva dedicato una Rassegna letteraria in
«Conversazioni della Domenica» il 5 settembre 1886, dove si parla di L’Abîme di Maurice
Rollinat e delle opere di Mendès, Richard Wagner, appunto, e Contes choisis. Si nomina
quindi Judith Gautier (Parigi, 1850 - ivi 1898) figlia del più noto Théophile e sposa dello
stesso Mendès, studiosa di Wagner (cfr. J. GAUTIER, Richard Wagner et son oeuvre poétique,
Paris, Charavay freres, 1882).
212
Nella «Gazzetta Letteraria», della quale era collaboratore anche Pica, Rod fir-
mò un saggio in proposito (E. ROD, Wagner in Francia, in «Gazzetta Letteraria», a. V, n. 34,
26 agosto 1882). I rapporti di Pica con il noto traduttore francese sono testimoniati, oltre
che dai saggi pichiani, da quattro lettere (1885-1907) inviate da Rod a Pica, in E. CITRO,
Lettere inedite di alcuni corrispondenti francesi a Vittorio Pica (Hénnique, Alexis, Rod,
Tailhade, Dierx, Remy e Jean de Gourmont), in «Revue des études italiennes», t. XXXVI, n.
3, settembre 1990, pp. 105-124. Cfr. anche A. CALEGARI, Vittorio Pica e Edouard Rod tra
naturalismo e simbolismo, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», t. CXLII
(1983-1984), pp. 399-425.
213
Riguardo a Mallarmé, Pica vanta una sorta di primato critico in Italia. Fu,
infatti, tra i primi ad occuparsi del poeta di «eccezione», mutuando una formula che coniata
da Pica stessa, poi si estese alla letteratura corrispondente. Si ricordano infatti i citati arti-
coli della serie I moderni bizantini apparsi nella «Gazzetta Letteraria» e poi nel volume
Letteratura d’eccezione. Cfr. lettera LVIII. Negli anni successivi sarebbe tornato ad occuparsi
del simbolista francese. Cfr. ID., Poemucci in prosa (Bertrand-Baudelaire-Mallarmé), in
«Fanfulla della domenica», a. X,12 settembre 1888 [poi in «Fortunio», a. I, 16 dicembre
1888]; ID., Dai poemucci di prosa di S. Mallarmé, in «Fortunio», a. III, 13 luglio 1890; ID.,
Letterati contemporanei: S. Mallarmé, in «Emporium», a. III, 16 aprile 1896, pp. 258-275;
ID., Poemucci in prosa, in «Il Marzocco», a. III, 5 novembre 1899. È attribuibile al Pica,
inoltre, l’articolo anonimo Tennyson giudicato da Mallarmé, apparso in «La Tavola Roton-
da», il 16 ottobre 1892. È, inoltre, interessante, in proposito, la scherzosa osservazione di
Fénéon (Petit Bottin des lettres et des artes, Paris, Giraud, 1886): «Devant un vers mallar-
méen, il arrive parfois que la perspicacité des disciples s’effare. Leur angoisse est brève:
une dépêche à Naples – et Pica, d’un prompt télégramme, élucide le verbe de S.M. [Ste-
phane Mallarmé]» (in F. FÉNÉON, Au-delà de l’impressionisme, Paris, Hermann, 1966). Cfr.
L. De Nardis, Mallarmé in Italia, Roma, dante Alighieri, 1957.
214
Dedicato a Dujardin Pica firma il citato articolo per la «Gazzetta Letteraria»
(V. PICA, ‘Les Hantises’, cit.). Edouard Dujardin (Saint-Gervais-La-Forêt, 1861 - Parigi,
1949), poeta e drammaturgo simbolista discepolo di Mallarmé, autore tra l’altro del roman-
zo Les Lauriers sont coupés, edito nel 1888 e noto come anticipazione del «flusso di co-
scienza». Di Pica restano due lettere a Dujardin, del 7 e 14 dicembre 1886 segnalate in J.
190 La seduzione dell’arte

bolici, che io studio nei miei Moderni bizantini215 (come vedi fo dello Scheril-
lo216, non ancora con grande abilità, ma spero col tempo di perfezionarmi). In
quanto a pittori – e forse in questo caso sarebbe meglio dire disegnatori –
possonsi dirsi wagneriani il Fantin–Latour ed il Redon, perché hanno tentato
d’illustrare l’opera di Wagner con una serie di litografie, di cui hai potuto
vedere dei saggi a casa mia217. Per i musicisti io non oserò mai suggerire dei
nomi ad un critico musicale perspicace e dotto quale tu sei.

MONFERIER, La Revue Indepéndante (1884-1893), Lille, Université de Lille, 1973, pp. 255-
256 e 741 e anche Lettere a De Goncourt, p. 10. Sullo scrittore e commediografo Jean
Marie-Mathias-Philippe Auguste, conte de Villiers de l’Isle-Adam (Saint-Brieuc, 1838 - Pa-
rigi, 1889) Pica pensava di scrivere presto, come esprime anche direttamente al francese in
una lettera del 18 gennaio 1887 (pubblicata in E. DE GIOVINE, Bibliographie de Corbière,
Lautreamont et Laforgue en Italie, Firenze-Paris, Sansoni-Didier, 1962, p. 91). Lo cita,
comunque, più volte nel volume All’avanguardia. Su Huysmans cfr. supra. Trattando di
questi autori, Pica richiama sempre Wagner, in un accostamento tra musica wagneriana e
sensibilità decadente. Cfr. supra, nel I capitolo di questo volume.
215
Pica fa qui riferimento al progetto di un volume su tutti gli scrittori non
classificabili come naturalisti. Il progetto è dichiarato ancora nel volume All’avanguardia,
del 1890, nel cui verso dell’occhiello si annunciava il volume I moderni bizantini, ma
l’opera non vide la luce. Uscì molto diversa, col titolo Letteratura d’eccezione, nel 1898.
Nel volume compare, ma rimaneggiata e ampliata, la nota serie di articoli dedicati a I
Moderni bizantini apparsi sulla «Gazzetta Letteraria»: Francis Poictevin, a. IX, n. 18, 2
maggio 1885 (poi in All’avanguardia, pp. 289-300 e infine in Letteratura d’eccezione, pp.
289-336); Joris Karl Huysmans, a. IX, n. 30, 25 luglio 1885 (poi in Letteratura d’eccezio-
ne, pp. 337-408); Paul Verlaine, a. IX, nn. 46, 14 novembre 1885, 47, 21 novembre 1885,
48, 28 novembre 1885 (poi in Letteratura d’eccezione, pp. 33-88); Stéphane Mallarmé, a.
X, nn.: 47, 20 novembre 1886, pp. 377-379; 48, 27 novembre 1886, pp. 387-390; 49, 4
dicembre 1886, pp. 393-396 (poi in Letteratura d’eccezione, pp. 89-139). Cfr. anche ID.,
Antologizzazione di Mallarmé, Lemmonnier, Poictevin e dei Goncourt, in «Il Napoli», 14
giugno 1885. Lo stesso proposito di un volume dedicato a I moderni bizantini era espresso
pochi mesi prima di questa lettera, il 4 febbraio 1887, ad un altro autorevole e stimato
corrispondente, Federico De Roberto (in V. PICA, Lettere a Federico De Roberto, cit., pp.
99-100).
216
Il riferimento ironico è a Michele Scherillo. Cfr. supra, lettere di Di Giacomo
a Pagliara.
217
Pica fa riferimento forse al volume di Adolf Jullien, Richard Wagner, sa vie et
ses oeuvres (ouvrage ourné de quatorze litographies originales par M. Fantin – Latour de
quinze portraits de Richard Wagner de quatre eaux-fortes etc., Paris, Libraire de l’Art, Ju-
les Rouan, 1887) o anche alla «Revue Wagnérienne» i cui numeri del 1885 vennero illustra-
ti con litografie di Jean Théodore Fantin-Latour (Metz, 1805-Parigi, 1875, pittore di fama
tardo-ottocentesco, le sue opere furono anche esposte al Museo di Grenoble) e Odilon Re-
don (noto come pittore francese nato a Bordeaux e attivo negli anni Sessanta e Settanta); il
primo realizzò per la rivista il disegno L’evocazione di Erda l’altro una Brunhilde. Cfr. V.
PICA, Liberi e periodici – Revue Wagnérienne, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 50, 12 di-
cembre 1885. Su Odilon Redon, inoltre, Pica si soffermò nell’articolo Due strani artisti,
apparso in «Mattino-supplemento», a. II, n. 8, 24 febbraio 1895, pp. 1-2, definendolo espo-
nente di un’«arte macabra» che trovava nello scrittore Edgar Allan Poe «un padre cerebra-
le» (ibidem).
I carteggi 191

Non ho più presso di me L’Oeuvre218, che ho già da una quindi-


cina di giorni prestata a De Luca219, del resto mi riuscirebbe difficilissimo
il ritrovare la pagina nella quale Gagnière [sic], un pittore sul tipo dei nostri
Capparelli e Migliaro220, esprime il suo entusiasmo per Wagner. Però io
credo – ed io qui esprimo un’opinione del tutto individuale – che le sim-
patie di Zola per Wagner come per Manet, siano figlie di ragionamento
puramente di testa e non già di personali ed indimenticabili impressioni
psicologiche: egli in Wagner ed in Manet ammira due novatori, due rivolu-
zionarii dell’arte moderna, come lui e le sue simpatie sono basate su que-
st’affinità di temperamenti innovatori e non già su profonde e spontanee
emozioni estetiche.
Desideri sapere qualche altra cosa ancora? La mia erudizione è com-
pletamente a tua disposizione.
A quanto pare però tu non ti contenti di scrivere un articolo più o
meno adatto sul Tannhäuser, ma prepari addirittura un ipogeo spirituale alla
gloriosa memoria di Riccardo Wagner.
Bravo, bravo, bravo! Ciò mi consola tanto più in quanto prova che la
tua nevrosi o tenia che sia non ti tormenta più molto e si dispone – non senza
rimpianto forse da parte tua – a definitivamente abbandonarti.
Aff.mo tuo
Vittorio

218
Il romanzo zoliano, ritenuto dallo stesso Pica «un roman qui à de très belles pa-
ges, mais qui est néanmoins complètement manqué» (V. Pica, lettera a Edmond de Goncourt,
20 maggio 1886, in Lettere a De Goncourt, p. 112), apparve prima nell’appendice del «Gil
Blas» (tra il 29 novembre 1883 e il 3 febbaio 1884) e poi in volume (Parigi, Charpentier,
1886). Tempestive erano state, sulla «Gazzetta Letteraria», le recensioni di Rod e dello stesso
direttore Depanis (E. ROD, L’Oeuvre di Emilio Zola, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 6, 6 feb-
braio 1886, pp. 43-44; G. DEPANIS, L’Oeuvre di Emilio Zola, ivi, a. X, n. 16, 17 aprile 1886, pp.
121-124), ma proprio in quel maggio 1886, periodo di questa missiva, apparve anche una re-
censione di Pica (V. PICA, L’Oeuvre par Emilio Zola, in «Conversazioni della Domenica», a. I,
n. 19, 9 maggio 1886, poi in All’Avanguardia, pp. 169-174). Si trattava di uno degli scritti testi-
moni del definitivo allontanamento dal naturalismo da parte di Pica.
219
Si tratta forse di Pasquale De Luca (Sessa Aurunca, 1865-1929), altro collabo-
ratore della «Gazzetta Letteraria», autore tra l’altro di un profilo di Arturo Colautti, che
insisteva sul wagnerismo dell’autore di Fidelia. Cfr. P. DE LUCA, Camere oscure. Arturo Co-
lautti, in «Gazzetta Letteraria», a. XIV, n. 5, 1 febbraio 1890, pp. 37-38. All’interno dell’atti-
vità pubblicistica di De Luca si ricordano la direzione di «Natura ed Arte», rivista milanese
fondata da De Gubernatis, la collaborazione al «Piccolo», «Corriere di Napoli», «Don Mar-
zio», «Il Pungolo». De Luca firmò anche molti romanzi, racconti e testi teatrali.
220
Pica cita Etienne Gagnièr [questo è il cognome esatto] pittore e disegnatore
tardo-ottocentesco, sconosciuto a Pagliara, e accostato a Vincenzo Capparelli (Manfredonia,
Foggia, 1853 - Napoli, 1907) pittore amico e ammiratore di De Nittis, che espose a sette
Promotrici. Visse a Napoli e si affermò per i suoi paesaggi e le vedute. Tra i suoi quadri più
celebri, Studio dal vero, Sole d’inverno, Bottega del ciabattino. Per Vincenzo Migliaro v.
supra, nota alla missiva XLIV.
192 La seduzione dell’arte

P.S. Non risposi ieri stesso, perché la tua lettera mi giunse all’ora di
pranzo, insieme con le bozze di stampa di un mio articolo su Péladan da
pubblicarsi domenica nella «Cronaca Azzurra», e che ho dovuto subito riman-
dare corrette a Firenze221. Del resto non grande è stato il ritardo e tu certo
me lo perdonerai. V.

LIII

Lettera su foglio di carta di cm 22x13,5 ripiegato lungo la base.

Sabato [< ottobre 1886]


Mio caro Rocco
Ho ricevuto stamane una letterina di Depanis, di cui ti trascrivo il
seguente brano che ti riguarda: «Ricordo perfettamente il Pagliara, simpaticis-
simo giovane: mandi pure l’articolo sul concerto del Martucci, che sarà bene
accolto e che vedrò di far passare presto, quantunque io sia ora affogato nella
troppa materia»222.
Voglimi sempre bene e credimi
Tuo aff.mo
Vittorio

221
Sul quindicinale «Cronaca Azzurra» Pica firma l’articolo Un romanziere cat-
tolico. Joséphin Péladan, dedicato al romanzo Le Vice Suprême (in «Cronaca Azzurra», a.
I, n. 9, 23 maggio 1886, poi in All’Avanguardia, pp. 273-287). Cfr. C. BEAUFILS, Joséphin
Péladan (1858-1918). Essai sur une maladie du lyrisme, Grenoble, Million, 1993. Nel pre-
sentare il suo articolo su Péladan a Edmond de Goncourt, Pica si premurava di pubbliciz-
zare questo poco noto scrittore. Cfr. V. Pica, lettera a Edmond de Goncourt, 20 maggio
1886, in Lettere a de Goncourt, pp. 112-113. In realtà l’articolo è tutt’altro che un sempli-
ce tributo allo scrittore, del quale Pica non accettava, «pur ammirandone la sincerità», le
sue opinioni di «cattolico intransigente non meno di Barbey d’Aurevilly» (V. PICA, Le Vice
Suprême, cit., p. 280).
222
Questo riferimento alla probabile collaborazione di Pagliara alla «Gazzetta
Letteraria» torinese diretta da Giuseppe Depanis permette di datare la missiva al 1886.
Pagliara infatti iniziò la sua collaborazione nel mese di ottobre. Naturalmente si parla di
Giuseppe Depanis (Torino, 1853 - ivi, 1942), figura di rilievo della «Gazzetta Letteraria» di
Torino a partire dal 1882, per la quale curava la rassegna periodica delle novità italiane e
francesi «Fra romanzieri e novellieri». È ricordato anche come critico musicale, esperto e
divulgatore della musica wagneriana. Depanis era, dunque, vicino a Pagliara; fu più volte a
Bayreuth e scrisse molti opuscoli wagneriani: Il Lohengrin di Riccardo Wagner, Torino,
Roux e C., 1888; Per la Walkiria di R. Wagner, Torino, L. Roux e C., 1891; I Maestri can-
tori di Norimberga di R. Wagner, Torino, L. Roux e C., 1892; L’anello del Nibelungo di
Riccardo Wagner, Torino, Roux e C., 1896. Cfr. G. MIRANDOLA, La “Gazzetta Letteraria”
(1877-1902), Firenze, Olschki, 1974. Cfr. anche supra nel I cap.
I carteggi 193

LIV
Lettera su foglio di carta di cm 27x21,5, ripiegato lungo la base.

Napoli, 22 ottobre 1886


Mio carissimo Rocco,
Il tuo Papà mi annunzia che tu resterai ancora per qualche giorno
costì ed io ne profitto subito per scriverti una lunga lettera tutta piena di mal-
dicenze e così risparmiarmi i rimproveri a voce, che tu nell’ultimo tuo bigliet-
tino mi prometti.
Ma sì che tu sei classificato a parte fra i miei amici e non te l’ho forse
provato scrivendo soltanto a te, mentre pure dovevo rispondere a sette od otto
altre brave persone, che avevano avuto la bontà di inviarmi delle lettere più
lunghe di sicuro delle laconicissime tue? O troppo ingenuo amico sii per l’avve-
nire interprete più perspicace e meno maligno delle mie parole! Dunque cosa
vi è di nuovo a Napoli? mi chiederai tu, interrompendomi con impazienza, di
nuovo? nulla o perlomeno, molto poco. Le uggiosissime questioni, i bambine-
schi pettegolezzi per lo Spiritismo anche loro sono fortunatamente finiti223. Ma
fra Bracco e Morello224 esistevano precedenti rancori? mi domandavi tu con
l’incorreggibile tua curiosità, appassionata di pettegolezzi. Naturalmente lo
Spiritismo in questo caso è stata l’occasione per far sfogare la bizza di Bracco
per il passaggio di Morello dalla redazione del «Piccolo» a quella del «Corrie-
re»225. La cosa però che parve per un momento volersi far grave, partorendo un
duello, è finita a risa e a pazzia. Ma il buon Bracco è restato a sua volta vittima

223
Si tratta dello studio Spiritismo apparso a firma di Baby [Bracco] a Napoli,
per la Casa Editrice Artistico-Letteraria nel 1886, riedito poi nel 1907 (Napoli, Perrella).
Sul fenomeno dello spiritismo nacque un vivo dibattito, che, oltre al noto volume di Capua-
na (Spiritismo, Catania, Giannotta, 1884) vide tra i protagonisti anche i nominati Vincenzo
Morello e Federigo Verdinois. Cfr. F. VERDINOIS, L’ultima parola. I fenomeni, in «Corriere
del Mattino», a. XV, 21 settembre 1886. All’articolo seguiva, nella stessa pagina, una nota di
Morello contro lo spiritismo. Cfr. anche l’articolo apparso il giorno prima: F. VERDINOIS, È
vero lo spiritismo?, in «Corriere del Mattino», a. XV, 20 settembre 1886.
224
Vincenzo Morello (Bagnara Calabra, 1860 - Roma, 1933) noto anche con lo
pseudonimo di Rastignac, polemista, giornalista, uomo politico e scrittore teatrale. Esordì al
«Piccolo», passò quindi al «Capitan Fracassa», «Don Chisciotte» e alla «Tribuna». Tra gli
scritti teatrali si ricordano La flotta degli emigranti (1907) e L’amore emigra (1912); tra i
numerosi romanzi, Politica e bancarotta (Roma, Tip. Dell’Unione operativa editrice, 1894);
tra i volumi di versi, Strofe (Napoli, Morano, 1881). Famosa la sua ‘boviana’, polemica col
Bovio per presunti plagi di quest’ultimo da testi tedeschi. Aspro polemista contro il parla-
mentarismo, nel 1915 firmò il suo atto di accusa contro la degenerazione del sistema parla-
mentare: Il libro della guerra, Torino, Società Tip. Ed. nazionale, 1915. Le sue polemiche,
però, erano spesso condotte sui giornali. In quel 1886 Morello pubblica, con la stessa casa
editrice dello Spiritismo di Bracco, Leggendo, in cui non manca di polemizzare con Baby.
Cfr. V. MORELLO, Leggendo, cit.
225
Si tratta qui del «Piccolo» fondato e diretto dal 1868 al 1888 da Rocco de
Zerbi e del citato «Corriere del Mattino». Cfr. supra, al I cap.
194 La seduzione dell’arte

dell’altrui malignità, giacché la Serao, come tu già saprai, ne ha fatto, sempre a


proposito dello Spiritismo, un ritrattino velenoso nel «Corriere di Roma»226.
Roberto ne è restato dispiaciutissimo, e con ragione, tanto più che
non s’aspettava una tale cattiva azione da un giornale amico, ma, siccome ben
dice il proverbio, dagli amici mi guardi Iddio!...
Intanto la settimana scorsa abbiamo avuto qui di passaggio Eduardo
Boutet227, ciò che ha dato luogo a mostruosi scoppi di entusiasmo per lo Scar-
foglio, il quale sembra proprio che sia diventato – almeno per gli habitués del
Gran Caffè228 – un grand’uomo. Per due o tre sere un circolo si formava, nella
sala rotonda del Gran Caffè e Boutet raccontava, raccontava, provocando ap-
plausi e grida fanatiche nella folla attorno a lui raccolta. Raccontava: oh! il no-
stro giornale, il nostro giornale... Volete sapere come lo facciamo? La sera ci
raccogliamo nella sala della redazione e per due, tre, quattro ore non facciamo
altro che discutere, ridere, schiamazzare, finché, allora quando la notte è molto
avanzata un ragazzino della tipografia viene a prendere i manoscritti. Nulla è
pronto e subito Scarfoglio grida: al lavoro, al lavoro, bisogna fare il giornale.
Detto fatto, tutti ci mettiamo a scrivere e di lì a poco il giornale è fatto!!!
Valentino [Gervasi] sorride beatamente e scrolla ammirativamente
[sic] la testa appoggiato al giallo bambou. Della Vecchia e Migliaro sgranano

226
Cfr. M. SERAO, I napoletani del 1886, in «Corriere di Roma illustrato», a. II, 1
ottobre 1886. La Serao dedica poche ma significative righe a Bracco, criticandone non le
sue doti di giornalista quanto le sue ambizioni letterarie: «ha scritto un opuscoletto contro
la Spiritismo. È stato cronista del Corriere del Mattino, ora è cronista del Piccolo. Giova-
notto, leggiadro, coi goletti scintillanti come uno specchio, segretario di tutti i comitati di
beneficenza, come era il compianto Martino Cafiero, suo genitore in giornalismo; segrete
velleità per la letteratura, non corrisposte» (ibidem).
227
Si fa riferimento al critico Edoardo Boutet (Napoli, 1856 - Roma, 1915), già
collaboratore del «Corriere del Mattino», poi del «Napoli, fondato il 1o aprile 1884 dallo stes-
so Martino Cafiero. Passò quindi al «Corriere di Roma illustrato», dove si occupava delle
Cronache Teatrali e della Rubrica Drammatica. Nel 1905 fondò la Compagnia Stabile Roma-
na al Teatro Argentina, ma nel 1908 tornò alla sua attività di critico drammatico. In un artico-
lo apparso sulla «Gazzetta del Popolo», il 18 agosto 1933, Silvio D’Amico scriveva a proposito
del carteggio Boutet: «... copioso epistolario d’oltre tremila fra lettere (che sono la massima
parte), cartoline, biglietti e anche telegrammi: tutta la corrispondenza che ... [Boutet] ebbe,
come amico, critico, consigliere, incitatore, e (parte importante) come direttore della Stabile
Romana, con tutti si può dire gli scrittori e attori del suo tempo...». Cfr. Edoardo Boutet e la
società teatrale italiana fra Otto e Novecento: Carteggi inediti, a cura di R. Silvestri, Chieti,
U.D.S.U., 1990; A. BARBINA, Edoardo Boutet: il romanzo della scena, Roma, Bulzoni, 2005.
228
Si tratta del Gran Caffè Gambrinus, luogo di riunione di molti intellettuali par-
tenopei, sarcasticamente ritratti, proprio dallo Scarfoglio, come «il gruppo più depretofobo,
un gruppo di egregi galantuomini i quali odiano Depretis perché sono lettori del Roma e leg-
gono il Roma perché odiano Depretis» (L’ostricaro, Il ventre di Napoli, in «Corriere di Roma
illustrato», a. III, 21 aprile 1887). Al cenacolo del Gran Caffè è dedicato anche un numero
speciale del «Don Chisciotte» di Di Napoli-Vita (Al Gran Caffè, a. II, n. II, 12 gennaio 1887,
pp. 1-2), nel quale si annoverano, tra i frequentatori, Vincenzo Morello, Rodolfo Pezzoli,
Giulio Massimo Scalinger, Arturo Colautti e Nicola Misasi. Altre notizie Si leggono sul «Ca-
poral Terribile» (CALIBAN, Al Caffè, in «Caporal Terribile», a. VII, n. 5, 30 gennaio 1887, p. 1).
I carteggi 195

gli occhi meravigliati. Russo, Rossi e 10 altri sono intontiti dalla sorpresa229.
E Boutet continua: Quello Scarfoglio che caro, che simpatico tipo! Una sera
incontra Carducci230 e gli dice: Professore dovete darmi qualcosa pel mio
giornale. Carducci si schermisce affermando, che ora non ha né tempo, né
voglia di lavorare. E Scarfoglio subito: non fa nulla, datemi il permesso di
pubblicare la vostra firma, che in quanto ai versi li farò io! Grida d’incompo-
sto entusiasmo nel gruppo. Valentino non cape più nei panni ed esclama,
con sorriso ineffabile: E sarebbe capace di farlo!... Ed i suoi versi sarebbero
di sicuro migliori di quelli del Carducci! Migliaro diventa taciturno e sogna,
lungamente sogna la miracolosa terra d’Abruzzo patria di Scarfoglio e di Mi-
chetti231. Della Vecchia è addirittura istupidito: nella sua mente annebbiata
si agita il tentativo di un confronto mostruoso tra Wagner e Scarfoglio. Ed
intanto Boutet continua: E che geniale parodia quella del nuovo libro poeti-
co di d’Annunzio! L’Isotta di Guttadaura [sic]232 est enfoncèe: tutti ne ride-
ranno e la chiameranno Risaotto al Pomidauro. Risa generali. Valentino os-
serva che D’Annunzio è addirittura un uomo spacciato e che la miglior cosa
che possa fare è di ritirarsi dalla letteratura, destinata ormai ai trionfi di
Scarfoglio e dei suoi accoliti. D’attorno si compiange l’orgoglioso autore di
Canto nuovo [sic], sempre più esaltando il talento e lo spirito di Scarfoglio,
di cui Boutet entusiasticamente racconta nuove prodezze. Valentino dirige i
cori che cantano: oh, che genio; oh che genio! Non c’è che lui, non c’è che
LUI!!! tutto ciò mi è stato raccontato da Gasparino Colosimo233 che ne era

229
Si fa riferimento al notissimo poeta dialettale Ferdinando Russo (cfr. supra,
nel I cap.) ed al meno noto Ernesto Rossi, altri assidui intellettuali del Gran Caffè. In par-
ticolare fu Rossi a firmare sul «Don Chisciotte» il ritratto dei letterati del Gran Caffè. Cfr.
supra, nota precedente, e infra.
230
La più celebre visita di Carducci a Napoli avvenne nel 1892, quando tenne
anche una conferenza al Circolo Filologico napoletano, il 10 aprile 1892, sul tema Prece-
denti e motivi personali del “Giorno” di Giuseppe Parini. Sulla presenza di Carducci a
Napoli e sul carduccianesimo di Scarfoglio, cfr. R. GIGLIO, L’invincibile penna..., cit., p. 69
ss; E. GIAMMATTEI, Il romanzo di Napoli ..., cit., pp. 193-248.
231
Francesco Paolo Michetti (Tocco da Casauria, 1851 - Francavilla al Mare,
1929), insieme a Edoardo Dal Bono allievo di Domenico Morelli, fu legato a molti letterati,
in particolare a Gabriele D’Annunzio, suo corregionale alle cui opere dedicò alcuni suoi di-
pinti. Cfr. Francesco Paolo Michetti: il Cenacolo delle arti: tra fotografia e decorazione, Na-
poli, Electa, 1999; F. DI TIZIO, Francesco Paolo Michetti nella vita e nell’arte, Pescara, Ianie-
ri, 2007; ID., D’Annunzio e Michetti. La verità sui loro rapporti, Pescara, Ianieri, 2002.
232
Si nomina il notissimo volume illustrato da pittori e artisti della Napoli preraf-
faellita: G. D’ANNUNZIO, Isaotta Guttadauro ed altre poesie, Roma, La Tribuna, 1886. Cfr.
infra, lettera LVIII.
233
Gaspare Colismo (Colosimi, 1859 - Napoli, 1944) avvocato, letterato e uomo
politico calabrese, eletto al Parlamento per la prima volta nel 1892, fu deputato per nove
Legislature. Colosimo collaborava con il cenacolo del «Fantasio», al quale aveva mandato
una ‘lettera aperta’ (A proposito della Calabria. Lettera aperta, in «Fantasio», a. I, n. 6, 25
ottobre 1881) in risposta alla stroncatura di L’umana commedia di Michelangelo Gangemi
196 La seduzione dell’arte

stomacato. Io, durante la dimora di Boutet in Napoli, ho saviamente evitato


il Gran Cafè. Ieri sera vi son ritornato ed appena entrato ho sentito Salvato-
re che diceva a Valentino: Hai letto stamattina nel «Corriere di Roma» i
sonetti (a dire il vero erano semplicemente delle quartine) di Scarfoglio con-
tro D’Annunzio?234 Graziosissimi nevvero? E subito Valentino: Stupendi,
meravigliosi... poi volgendo gli occhi estasiati da S.ta Teresa: Chill’ommo è
nu piccolo Dio. Salvatore con un certo sussieguo si credette in dovere di
aggiungere che egli aveva molta stima per lo Scarfoglio, e di riferire, a Della
Vecchia ed a Petitti, che lo guardavano compunti e pieni di rispettosa ammi-
razione, il contenuto di una letterina dello Scarfoglio ricevuta la mattina. Io
intanto, seduto in disparte, cercavo ostinatamente, per non udire, di pensare
al Giappone ed ai poeti simbolici.
E per oggi basta. Ripiglieremo le nostre maldicenze al prossimo tuo
ritorno. Vogliami bene e credimi il tuo aff.mo
Vittorio

LV

Lettera su foglio di carta di cm 21,5x13, ripiegato lungo la base.

Venerdì, 12 novembre 1886


Mio caro Rocco
fammi il piacere di portarmi o mandarmi domani da Santojanni il 2°
volume dei Portraits littéraires di Sainte-Beuve che deve contenerne uno su
Aloysius Bertrand l’autore di Gaspard de la nuit: nella mia vecchia e purtrop-

(Napoli, Prete, 1881) comparsa sul «Fantasio», a. I, n. 5, 10 ottobre 1881. Sulla stessa testa-
ta Colosimo firma un saggio-recensione, Storia critica della rivoluzione francese (in «Fanta-
sio», a. II, n. 14, 10 ottobre 1882, pp. 1-2).
234
Si tratta dei notissimi versi Risotto al Pomidauro apparsi proprio quel venerdì
22 ottobre 1886 sul «Corriere di Roma illustrato» a firma di Raphaele Pannunzio [Scarfo-
glio]. In effetti, erano gli ultimi di una serie di versi apparsi in più riprese anche nei giorni
precedenti con la stessa firma (in «Corriere di Roma illustrato», a. II, rispettiv. 16, 20 e 22
ottobre 1886). La tenzone poetica tra Scarfoglio e D’Annunzio, in realtà, era ben datata, e
risaliva ai tempi della sommarughiana «Cronaca Bizantina». Una prima corrispondenza in
versi risale al 1883. Ad iniziare il lusus poeticus fu D’Annunzio, che scrisse due sonetti Ad
sodales (in «Cronaca Bizantina», a. III, vol. I, n. 9, 1o maggio 1883, riportati in A. SOMMARU-
GA, Cronaca bizantina 1881-1884, Milano, Mondadori, 1941, pp. 213-214) nei quali difen-
deva la sua giovinezza e la sua dedizione ai giochi amorosi, quasi a rispondere al rimprovero
degli amici per la sua vita gaudente. Scarfoglio rispose con quattro sonetti Da parte degli
amici (A Gabriele D’Annunzio) (apparsi nella «La Domenica Letteraria» del 20 maggio
1883, riportati anche da A. SOMMARUGA, Cronaca bizantina, cit., pp. 215-218, e in E. JANNI,
I poeti minori dell’Ottocento, Milano, Rizzoli, 1958, pp. 408-409). Cfr. R. GIGLIO, L’invinci-
bile penna ..., cit., pp. 55-56.
I carteggi 197

po incompleta edizione manca ed io avrei gran bisogno di consultarlo al più


presto235.
Grazie anticipate
tuo aff. mo
Vittorio

P.S. Siniscalchi236, da cui ricevo or ora una lettera mi incarica di darti


tanti saluti anche da parte della sua Signora e di dirti che presto ti scriverà:
eccolo servito.

LVI
Lettera su 2 cc. di cm 23x18 ripiegate lungo la base. L’autore utilizza le quattro facciate con
inchiostro violaceo e sull’ultima sovrascrive sovrapponendo il ductus in senso perpendicolare.

Napoli, 12, Salita San Potito


23 dicembre 1886
Mio carissimo Rocco,
Vedi un po’ strana combinazione: contemporaneamente alla lettera,
in cui tu mi raccontavi la festosa ed ultra-tenera accoglienza fattati dal tuo
Barone237, ne ricevevo un’altra lunghissima di Verlaine che mi parlava di Ar-
thur Rimbaud dandomi su di lui dei curiosi particolari [...]238.

235
Pica chiede i notissimi volumi dei Portraits littéraires di Charles Augustin de
Sainte-Beuve, editi nel 1852 (Paris, Didier) ma in successive edizioni fino ai Portraits de
femme set portraits littéraires, editi a Parigi l’anno precedente a questa missiva (Paris, Gar-
nier, 1885). In particolare è interessato al ‘ritratto’ di Louis Jacques Napoléon Bertrand, più
noto come Aloysius Bertrand (Ceva, 1807 - Parigi, 1841) italiano ma francese di adozione,
autore di un’unica opera, appunto il volume Gaspard de la nuit: fantaisies à la manière de
Rembrandt et de Callot, una raccolta di brevi ballate in prosa edita postuma a Parigi nel
1842 grazie a Baudelaire. Pica avrebbe scritto su Bertrand, definendo l’opera «una serie di
scenette intime, di fantasticherie medioevali, di pietose elegie d’amore, che rivelano una
personalità d’artista, modesta sì, ma non priva di originalità e che hanno evidente l’impron-
ta dell’enfatico periodo letterario, durante il quale furono composte» (cfr. V. PICA, Poemucci
in prosa. Aloisius Bertrand, Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé, in «Fanfulla della do-
menica», a. X, n. 39, 23 settembre 1888, poi in All’avanguardia, pp. 361-380, a p. 363).
236
Cfr. infra, note alla lettera LXXIII.
237
Si tratta del barone von Holleufer, che ospitò Pagliara nella sua dimora a
Schloss Neuburn, in uno dei suoi itinerari wagneriani in Baviera, il primo dei quali si svolse
appunto della primavera del 1886, proprio su invito del Barone von Holleufer. Cfr. R. Pa-
gliara, lettera a Giuseppe Martucci, Monaco, 14 dicembre 1886, trascritta in Biblioteca mu-
sicale, p. LIV-LV.
238
Di questa lettera qui citata, o di altre a firma di Verlaine, non rimane traccia
nella vasta ricognizione epistolare finora edita in volumi o riviste. I rapporti personali con
Verlaine, però, trovano testimonianze anche nella nuova serie della «Cravache parisienne»
diretta da Georges Lecomte, la quale pubblica il famoso sonetto di Rimbaud (oggi di incer-
198 La seduzione dell’arte

Come che sia, io t’auguro di tutto cuore che la tua trimestre dimora
costì risollevi il tuo morale ed il tuo fisico; sì, anche il tuo fisico, giacché certa
ginnastica – purché non se ne abusi – non può fare che bene, se non fosse
altro perché infonde una riconfortante fiducia nelle proprie forze. Vuoi dun-
que che ti tenga informato minutamente di ciò che si fa e sopra tutto si dice
nella pettegola nostra repubblichetta letterario – artistica, che ti manda di
tratto in tratto delle cronachette quanto più è possibile maligne e pepate?
Eccomi tutto pronto a soddisfare la tua malvagia e femminile curiosità.
Incomincio dal rispondere alle tue dimande. Fu dunque Valentino
che persuase Salvatore, che proprio non voleva saperne, a scrivere la poco
abile lettera al «Corriere del Mattino», da cui pigliò subito l’occasione il To-
relli, poco delicatamente forse, ma certo molto furbamente, per scrivere la
terribile lettera al «Piccolo», che metteva i punti sugli i, attribuendo a Salva-
tore una parte addirittura infima239. In tutto ciò io credo che vi sia stato un

ta attribuzione) Poison perdu, con una lettera di Pica che dichiara di aver ricevuto in dono
il sonetto da Verlaine (V. PICA, Un sonnet inédit de Rimbaud, in «La Cravache parisienne.
Journal littéraire, artistique et financier», a. VIII, n. 401, 27 ottobre 1888, p. 1). Nell’articolo
Pica dichiarava di aver ricevuto il sonetto nel gennaio 1887; da questa missiva, invece, si
comprende che i rapporti epistolari sono precedenti e risalgono almeno alla fine del 1886,
avendo sempre ad oggetto il simbolista Rimbaud. Spetta a Pica, inoltre, il merito di aver
tratto uno dei primi bilanci critici sul poeta, oltre che di essersi dedicato alle, non numero-
se, traduzioni italiane delle sue opere. Pietra miliare della critica pichiana a Verlaine resta
l’articolo del novembre 1885 (V. PICA, I Moderni Bizantini. III Paul Verlaine, in «Gazzetta
Letteraria», a. IX, n. 46, 14 novembre 1885, n. 47, 21 novembre 1885 e n. 48, 28 novembre
1885, poi in Letteratura d’eccezione, pp. 33-88). Questo saggio fu tradotto in francese forse
da Fénéon e pubblicato nella stessa «Cravache parisienne», il 3 novembre 1888. Sempre a
Verlaine Pica dedicò anche: Cronache di letteratura e d’arte. Paul Verlaine, in «Il Mattino»,
a. V, n. 13, 13-14 gennaio 1896; Paul Verlaine, in «Il Capitan Cortese», a. I, n. 37, 19 gen-
naio 1896, pp. 1-4). Lo studio su Verlaine fu particolarmente significativo per la svolta cri-
tica di Pica, già iniziata con la lettura di Huysmans. Cfr. anche V. PICA, Watteau e Verlaine,
in All’avanguardia, pp. 351-359. All’interno del più ampio studio sulla ricezione di Verlaine
in Italia, firmata dal Fongaro, Pica è riconosciuto come «introducteur de Verlaine en Italie»
(A. FONGARO, Bibliographie de Verlaine en Italie, Firenze, Sansoni, 19762, p. 23). Sul ruolo
di Pica traduttore del simbolista francese cfr. Vittorio Pica, pp. 65-72.
239
Pica si riferisce già notissima commedia dei Mariti di Achille Torelli, di cui fu
rappresentata una discussa versione in napoletano curata da Salvatore Di Giacomo. Il titolo
che compariva sui cartelloni era «’O buono marito fa ’a bona mugliera. Commedia in quattro
atti di Achille Torelli. Riveduta nel linguaggio napoletano da S. Di Giacomo». Fu rappresen-
tata per la prima volta al Teatro Fenice nel novembre 1886 con l’impresario Federico Stella,
e poi apparve in volume nel 1889, ma senza il nome di Di Giacomo. Nel «Don Chisciotte»
fu pubblicata nei primi mesi del 1887 (atto primo in a. II, n. 1, 6 gennaio 1887; atto secondo
in a. II, n. 2, 12 gennaio 1887; atto terzo, in a. II, nn. 4-8, 10 e 27 gennaio, 18 febbraio e 3
marzo 1887). L’opera fu recensita anche da Verdinois (La commedia popolare, in «Picche»
dell’11 dicembre 1886). Il «Corriere del Mattino», citato in questa lettera, concede molto
spazio alla commedia. Nel numero del 4 dicembre 1886, nella rubrica «Spettacoli», si annun-
ziano le prove generali: «’O bono marito fa ’a bona mugliera, di Salvatore Di Giacomo. La
Fenice, così, acquista, per l’occasione, una importanza artistica, che speriamo s’infuturi.[...]
I carteggi 199

po’ anche lo zampino del buon Roberto Bracco, il cui articolo sullo spettacolo
della Fenice era al solito, insidioso240. La commedia, davvero buona, ad onta
di alcuni difetti inevitabili in una riduzione, fu applauditissima e Salvatore
ebbe l’ingenuità di venire alla ribalta insieme con Torelli a ringraziare il pub-
blico, mentre, nella poltrona Valentino, in una di quelle irrefrenabili escande-
scenze che nessuno meglio di te conosce, l’ingiuriava ad alta voce. La morale
della favola è tutta in due manifesti della Fenice, nel primo dei quali si an-
nunziava: Lo bono marito fa la bona mugliera, commedia di S. Di Giacomo,
tratta dai Mariti di Ach. Torelli, e nel secondo, affisso dopo un paio di giorni:
Lo bono marito ecc., commedia di A. Torelli, rivista per la forma popolare da
S. Di Giacomo241.
Intanto fra qualche settimana andrà in scena anche alla Fenice, una
Rivista del 1886 di S. Di Giacomo e F. Russo per la quale i due autori deb-
bono intascare 100 lire per ciascuno242. In realtà pare – siccome ho potuto

Il Di Giacomo ha tratto questa commedia dai Mariti di Achille Torelli, cioè da uno dei lavori
più squisiti, se non il più squisito, del teatro italiano contemporaneo». Nel numero del 5
dicembre 1886, nella stessa rubrica, si dà notizia delle prove dell’opera, chiamandola, però,
Lo buono marito fa la bona mugliera, se ne parla come «uno dei lavori più squisiti, che
resterà nel teatro dialettale». Poi si scrive che Di Giacomo forse aveva sottovalutato l’opera:
«Di Giacomo assisteva dubbioso, perplesso a quella prova che era la prima delle tre rappre-
sentazioni della Fenice». Nel numero del 7 dicembre 1886, Vincenzo Morello, nella «Parte
letteraria» firma un articolo, A teatro, recensendo I mariti rifatti da Di Giacomo. Chiama
l’opera «’O Marito buono», defininendola «un’opera indovinata» sperando si tratti dell’inizio
di una rinascita del teatro popolare napoletano. Pica fa qui riferimento ad una querelle accesa
da Di Giacomo con Torelli, su consiglio di Valentino Gervasi, stando almeno a questa mis-
siva. Il 6 dicembre, infatti, proprio nel «Corriere del Mattino» appare la lettera citata da Pica
in questa missiva; era indirizzata al Direttore Colautti, in seguito alle prove generali: Di
Giacomo, con una recusatio, ribadiva la paternità dell’opera di Torelli, limitando di molto il
suo apporto (simile lettera invia anche al «Picche» che la pubblicherà il 18 dicembre). Torelli
risponde, non solo sul «Piccolo» (la lettera, indirizzata a Di Giacomo, appare nella rubrica
«teatri», a. XIX, 6-7 dicembre 1886) come indica Pica in questa lettera, ma anche sullo stesso
«Corriere del Mattino» il giorno successivo, indicando il titolo dell’opera Lu buono marito,
confermando le divergenze in tema di ortografia, ammettendo anche che l’intervento di Di
Giacomo avrebbe reso «il finale assai più caratteristico di quel ch’io l’aveva fatto». Anche nel
citato «Don Chisciotte» (n. 4, 27 gennaio 1887) fu pubblicata una lettera di Torelli al Diret-
tore che ribadiva alcune divergenze con Di Giacomo in tema di ortografia.
240
La recensione di Bracco apparve nella rubrica «Teatri» (Baby [BRACCO], I
Mariti, in «Il Piccolo», 7-8 dicembre 1886). Bracco accostava Torelli a Goldoni, ma prende-
va anche le difese di Di Giacomo, accusando Torelli di non aver «avuto il coraggio di assu-
mere la responsabilità d’una commedia sua».
241
Oltre alle citate polemiche (v. supra), una recensione conclusiva della que-
relle apparve anche nel «Caporal Terribile» (a. VI, n. 48, 19 dicembre 1886, p. 4, nella
rubrica «Fra quinte e ribalta»: «Se n’è detto troppo ne’ giornali contrastando la paternità
del lavoro a destra e a sinistra per potere aggiungere anche noi, alla venticinquesima ora,
la modesta nostra opinione. L’azione è vivace, spigliata, interessante...».
242
In realtà, l’opera Rivista del 1886. Na passiata pe Napoli e pe fora fu rappre-
sentata a Roma, al Teatro Fenice, mesi dopo, il 5 aprile 1887, con la Compagnia di Scarpet-
200 La seduzione dell’arte

rilevare da alcune indiscrezioni di Russo – che la Rivista sia quasi completa-


mente scritta da costui e Salvatore non faccia che incastrarvi qualche scena.
Come vedi, il nostro ottimo poeta popolare prende in tutto e per
tutto le abitudini di quei notissimi commediografi parigini, che si pigliano
la loro parte di applausi o di quattrini e la cui collaborazione si riduce a
dare il loro nome e qualche consiglio. Avremo anche tra breve La Fiera di
D’Arienzo e Di Giacomo, per la quale ha disegnata dei bellissimi costumi
il Dalbono243.
Ierisera, al Sannazzaro, per la beneficiata del Novelli, vi è stato il
debutto drammatico di Bracco, con una sciocchezzina abbastanza esilarante in
un atto, che ha procurato all’autore molti applausi e due chiamate al prosce-
nio244. Si aspetta adesso la venuta di Scarpetta per sentire la nuova commedia
napoletana dell’amico Fiordelisi245. Come vedi, la cronaca di questo mese è
essenzialmente teatrale.
Ho parlato al Rossi, il quale ti ringrazia della lettera e dei libri e mi
ha assicurato che il Bideri, pel tuo volume di versi dialettali non gli ha ordina-
to che una copertina illustrata246.

ta. Il testo portava la firma di Di Giacomo e Russo, come indicato in questa missiva, ma
anche di Carlo Abeniacar, indicando anche, come autori delle musiche, D’Arienzo, Costa,
De Mita, De Leva, Cimmaruta. L’insuccesso del pubblico spinse «Uno della Rivista», forse
Di Giacomo stesso o Ferdinando Russo, a firmare un articolo in difesa di Scarpetta (Scar-
petta e C., in «Corriere di Roma illustrato», a. II, 6 aprile 1887).
243
Si tratta della commedia lirica in tre atti La Fiera, appunto, del librettista e
compositore Nicola D’Arienzo (Napoli, 1842 - ivi, 1915), noto come autore di opera buffa
ma anche di musica sacra e successore di Martucci alla reggenza del Conservatorio di San
Pietro a Majella (1909-1911). La Fiera, su versi di Di Giacomo, fu pubblicata in volume a
Napoli, Casa editrice Artistico-Letteraria nel 1887 con illustrazioni di Dalbono. I bozzetti di
Dalbono furono donati da Di Giacomo a Mezzanotte (cfr. S. Di Giacomo, lettera a Giusep-
pe Mezzanotte, 15 agosto 1887, in G. OLIVA, Giuseppe Mezzanotte ..., cit., p. 171). Rappre-
sentata per la prima volta il 1o marzo 1887 al Teatro Nuovo di Napoli, l’opera riscosse suc-
cesso di critica. Entusiastica la recensione apparsa nel «Pungolo» il 2 marzo 1887, ma anche
quella del «Corriere del Mattino» (2 marzo 1887), della «Gazzetta Musicale» di Milano (3
aprile 1887), e del «Don Chisciotte» (6 marzo 1887). A firmare una positiva recensione sul
«Piccolo» fu un anonimo V. che probabilmente è proprio Vittorio Pica (Teatri, in «Piccolo»,
a. XX, 2-3 marzo 1887). Cfr. infra, lettera LVIII.
244
L’opera di esordio del Bracco scrittore di teatro è la ‘novella in un atto’ Non
fare ad altri..., rappresentata per la prima volta al Sannazzaro, con la compagnia di Ermete
Novelli, il 22 dicembre 1886 (poi in R. BRACCO, Teatro. I, cit.). Per un gustoso ritratto su
Novelli, cfr. V. DELLA SALA, Camere oscure. I, Ermete Novelli, in «Napoli Letteraria», a. III,
n. 9, 28 febbraio 1886, pp. 2-3.
245
Si tratta dell’operetta Guerra allo sposo di Alfonso Fiordelisi (musica di Valen-
te), andata in scena nel marzo 1887 e recensita, tra gli altri, anche dal «Don Chisciotte» del
27 marzo 1887. L’opera non venne pubblicata e soprattutto non ottenne il successo sperato.
L’operetta in tre atti molto nota di Fiordelisi, infatti, è Anfitrione, rappresentata a Napoli al
teatro Politeama nell’ottobre 1890, poi in volume (Napoli, Santojanni, 1890).
246
Pica non può far qui riferimento al volume di versi, non dialettali, Romanze e
fantasie, edito a Napoli nel 1888 ma non per Bideri, piuttosto per Santojanni (il volume era
I carteggi 201

Ignoro l’edizione francese di Merlin Coccaio, di cui mi parli, e l’ho


invano cercata nel mio catalogo Charpentier: dammi dunque qualche altro
particolare247.
Ho ricevuto in questi giorni una moltitudine di libri nuovi, e fra essi
la stupenda edizione della Femme au XVIIIme siècle248, mandatami da Gon-
court e parecchie edizioni di lusso del Firmin Didot249.
Vista iersera a teatro la Gilda Ruta250, ma come pallida, triste, disfat-
ta: è certo la tua assenza che l’ha ridotta in tale miserevole stato! Santojanni
ne è tutto lieto, il diabolico, e non dispera ancora di riconquistarla, ed io,
come amico ho sentito il bisogno di avvisartene.
I miei ti ricambiano gli affettuosi saluti e sperano di rivederti tornare
roseo, baldo e non più preoccupato dai tuoi più o meno fantastici malanni.
Vogliami bene e riscrivimi presto
Vittorio

P.S. In quanto ai n.i che mi chiedi della «Gazzetta Letteraria», il


deposito di Roux & Favale non li ha251, ma posso se vuoi, pregare Depanis di

dedicato al compositore e amico Luigi Caracciolo). Piuttosto potrebbe far riferimento al volu-
me Canti napolitani. Piedigrotta 1888, che conteneva Notta d’ammora, su versi di Rocco Pa-
gliara musicati da Valente, e insieme anche ’E cerase! sui famosissimi versi di Di Giacomo
musicati dallo stesso Valente. Il volume, però, edito in effetti nel 1888 e illustrato da Rossi,
apparve per i tipi di Santojanni e non di Bideri. Rossi, inoltre, illustrò anche il volume Canzo-
ni napolitane, volume di Di Giacomo edito con autografi di Costa, De Leva, Di Capua, Tosti,
Valente. Questo volume è stato effettivamente pubblicato dall’editore Bideri con illustrazioni
di Rossi, anche se apparve molto dopo questa lettera nel 1891. In tal caso, il riferimento «tuo
volume» di Pica in questa lettera potrebbe spiegarsi con il personale interessamento di Paglia-
ra alla vicenda e dunque confermare il solido legame con Di Giacomo. E sempre Enrico Rossi
(Napoli, 1858 - ivi, 1916), allievo di Filippo Palizzi e Domenico Morelli, compare in Riflessi
nordici, Napoli, Santojanni, 1888, che è il citato volume di liriche tradotte, non certo dialetta-
li. Pagliara, comunque, firma molti versi in dialetto. Oltre alle canzoni incluse nella raccolta
Chi chiagne e chi ride! (cit.), proprio sulla citata «Napoli Letteraria» firma due sonetti, ’Nu
consiglio! e So’ scemo! (a. III, n. 9, 28 febbraio 1886).
247
In quel 1886 erano apparsi due volumi dedicati alle Opere maccheroniche di
Merlin Cocai (curate da Attilio Portioli, Mantova, Mondovì) recensiti sulla «Napoli Lettera-
ria» (a. III, n. 6, 7 febbraio 1886, p. 4) alla quale collaborava anche Pica. Pagliara chiedeva
forse l’edizione francese del testo apparsa nel 1876 (Cfr. infra, la missiva LVIII).
248
Cfr. E. et J. DE GONCOURT, La femme au dix-huitième siècle, Paris, Charpen-
tier, 1877 [riedita poi nel 1878, nel 1882, 1887 e 1890]. Pica recensì l’edizione del 1887 in
«Napoli Letteraria», a. IV, n. 2, 9 gennaio 1887, p. 3.
249
Casa editrice parigina nota al mondo della cultura europea sin dagli inizi del-
l’Ottocento, editrice tra l’altro del Codice Napoleonico nel 1808. Nel 1811 Charles Firmin
Didot (1764-1836) fu nominato stampatore dell’Istituto di Francia.
250
Per un ritratto della cantante Gilda Ruta e per i suoi rapporti con Pagliara,
cfr. supra, nel carteggio Di Giacomo-Pagliara.
251
Pica era assiduo collaboratore della rivista piemontese. Oltre ai citati articoli
su I Moderni Bizantini (cfr. supra), firma altri interventi dedicati alla letteratura francese.
202 La seduzione dell’arte

spedirteli costì252. Appena ricevetti la tua lettera imbucai le due altre da te


acclusemi ed il giorno seguente comunicai a tuo padre ciò di cui tu mi inca-
ricasti.

LVII

Lettera su foglio di carta di cm 21x13,5 ripiegato lungo la base. Sulla quarta facciata una
nota «Guido Mazzoni – Versi».

Venerdì [1886]
Mio caro Rocco
Se hai il 1° volume delle poesie di Mazzoni253, fammi il piacere di
portarmelo o di mandarmelo dimane da Santojanni.
L’amico Conforti mi prega d’invitarti alla riunione che il nuovo Cir-
colo Storico Napoletano254 terrà domenica prossima a mezzodì il 1° p. del
n°36 del Largo Garofalo: eccolo servito.
Il tuo
Vittorio

Tra questi: V. PICA, I romanzi dei fratelli de Goncourt (in «Gazzetta Letteraria», a. IX, n. 21,
23 maggio 1885, pp. 161-163 e n. 37, 12 settembre 1885, pp. 290-293); Libri e periodici –
La “Revue Wagnerienne” (ivi, a IX, n. 50, 12 dicembre 1885, pp. 398-399). Anche Pagliara
fu collaboratore della rivista, con cinque articoli apparsi tre nel 1886 e altri due nel 1888. Si
tratta dei citati articoli su Wagner e dei quattro sonetti wagneriani (cfr. supra, nel I cap.),
un articolo dedicato a Giuseppe Martucci (ID., Un concerto in “sì bemolle minore” di Giu-
seppe Martucci, ivi, a. X, n. 12, 20 marzo 1886, pp. 91-92, poi rivisto e apparso col titolo
Giuseppe Martucci ed il suo ‘concerto’ in sì bemolle, in Intermezzi musicali, cit., pp. 103-
124) un sonetto (ID., Miraggio!, ivi, a. X, n. 49, 4 dicembre 1886, p. 396), alcune liriche
(Riflessi nordici: In un paese...; in alto!; In vetta a un pino..., ivi, a. XII, n. 19, 12 maggio
1888, p. 149. Sono tre liriche del volumetto Riflessi nordici, appunto, di cui si annuncia
l’imminente pubblicazione). Sulla «Gazzetta », inoltre, apparve anche un profilo di Pagliara.
Cfr. M. SINISCALCHI, Rocco Edoardo Pagliara, in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 38, 18 set-
tembre 1886, p. 306-307.
252
Su Giuseppe Depanis e sui suoi rapporti con Pagliara cfr. supra, lettera LIII.
253
Pica si riferisce forse al volume di G. MAZZONI, Poesie, con pref. di G. Carduc-
ci, Roma, Sommaruga, 1882; più probabilmente, però, data anche l’intestazione della missi-
va, si riferisce al precedente volume G. MAZZONI, Versi, Livorno, Vigo, 1880.
254
Sul progetto di Conforti di far nascere a Napoli il Circolo Storico, con eviden-
te richiamo al desanctisiano Filologico, si discuteva nel 1886. Cfr. LA REDAZIONE, Per un
circolo storico napoletano, in «Napoli Letteraria», a. III, n. 25, 20 giugno 1886, p. 1.
I carteggi 203

LVIII
Lettera su 2 cc. di cm 22x18, ripiegate lungo la base.
Napoli, 12 Salita San Potito
25 gennaio 1887
Mio carissimo Rocco, non ricevendo più tue lettere dopo il laconico
biglietto di un mese fa, ho per un momento temuto che il gran freddo dei gior-
ni passati ti avesse gelato completamente le mani; ma ieri sera, a rassicurarmi
mi giunse la tua lettera, ed io, per ricompensarti della lunghezza e dell’affet-
tuosità di essa, non soltanto ti perdono il troppo prolungato silenzio, a patto
però che più non si rinnovi in avvenire, ma eziandio ti rispondo a rigor di posta.
Ahimè sì, la letteratura, come ogni cosa nella vita, è una lotta e ri-
chiede quindi un certo senso pratico. Per non essere sopravanzato da tutti gli
altri, per ottenere e conservare il posto meritato dal proprio talento bisogna,
pur non rinunziando mai ad avere come guida un alto e luminoso ideale d’Ar-
te, darsi da fare unguibus et morsu, sapere, a tempo e luogo, giuocare d’abi-
lità ed anche d’astuzia, e profittare, senza però mai abbassarsi a far concessio-
ni umilianti, d’ogni occasione di réclame. È triste, ma così è, e bisogna rasse-
gnarcisi per non fare la figura dello sciocco. Io me ne sono persuaso, ed ora,
benché abbia tuttavia delle ripugnanze, delle ribellioni e degli inabili scatti di
sincerità brutale, mi sono liberato della primitiva ingenuità ed ho acquistato
una sufficiente dose di accorgimento e di furberia. Ciò che è sempre mancata
a te è stata la perseveranza. Tutte le vie, è vero, conducono a Roma, ma non
bisogna fermarsi a metà strada, stanco e sfiduciato: la vetta del successo è alta
e per raggiungerla ci vuole sopra tutto perseveranza; coloro che s’impongono
sono gli audaci e gli ostinati!
Grazie di cuore per le buone ed amichevoli parole, che mi dici a
proposito del mio studio su Mallarmé255, ma in quanto a pubblicarlo in un
fascicoletto separato non credo sarebbe prudente, poiché l’estetica dell’altiero
poeta e pensatore francese troppe ostilità trova tuttora presso il gran pubblico
non solo, ma anche presso il ristretto gruppo degli intelligenti, e queste osti-
lità quasi certamente si rivolgerebbero contro di me e mi creerebbero un
gran brutto debutto. Invece pubblicato, da qui a qualche mese, insieme con

255
Tra novembre e dicembre dell’anno precedente, Pica aveva firmato un artico-
lo apparso in tre puntate sulla «Gazzetta Letteraria» (V. PICA, I moderni bizantini. Stéphan
Mallarmé, in «Gazzetta Letteraria», a. IX, 1886, nn. 47 [20 novembre], 48 [27 novembre] e
49 [9 dicembre], rispettivamente alle pp. 377-379, 387-390 e 393-396, poi in Letteratura
d’eccezione, pp. 89-139). L’articolo apparve, tradotto in francese, nella «Revue Indépendan-
te» (ID., Les Modernes Byzantins. Stéphane Mallarmé, in «Revue Indépendante», tomo XVI-
II, n. 52, febbraio 1891, pp. 173-215 e n. 53, marzo 1891, pp. 315-160).
Sarebbe tornato spesso a parlare del simbolista francese, con articoli apparsi sul
«Fortunio», sul «Marzocco» e sulla «Tavola Rotonda» (cfr. supra). Resta però che la serie dedi-
cata a I Moderni bizantini per la «Gazzetta Letteraria» torinese era iniziata nel 1885 ed aveva
accreditato Pica in Italia e all’estero. Da quel successo pubblicistico, nascono infatti le collabo-
razioni alle riviste di avanguardia europee, «Revue contemporaine» o la «Cravache parisienne».
204 La seduzione dell’arte

gli altri studii su Verlaine, Villiers de l’Isle-Adam, Huysmans, Bourget, Péla-


dan, Poictevin, Rimbaud e Corbière256 (una seconda serie conterrebbe poi gli
studi critici su Rollinat, Loti, Mendès, Moréas, Fénéon e gli altri giovani bi-
zantini)257, potrebbe sollevare una discussione più varia e più complessa e
procurarmi un successo non di vendita, – sarebbe follia lo sperarlo – ma di
stima e di simpatia; così in Italia, come all’estero.
Desideri sapere cosa abbiano scritto del mio studio258 il Fénéon e il
De Wyzewa259 che io ho pubblicamente ringraziato nel mio Per un fatto perso-
nale, brutto e poco opportuno titolo appioppato al mio articolo di rettifica dal-
l’ottimo Depanis260? Ti soddisfo subito: l’articoletto annunziatomi dal Fénéon,
che già altre volte ha simpaticamente parlato dei miei studi critici nella «Revue
Indépendante» e nella «Revue Moderniste» non l’ho ancora ricevuto261. In
quanto al De Wyzewa, che già precedentemente mi aveva citato con lode, ac-

256
La raccolta di saggi sarebbe apparsa solo nel 1890. Si tratta del noto e citato
volume All’avanguardia. Cfr. supra, in questo carteggio.
257
Pica pensava quindi alla prosecuzione dei suoi studi. Dichiara di volersi dedi-
care al poeta discepolo di Baudelaire, Maurice Rollinat (Châteauroux, 1846 - Ivry sur Sei-
ne, 1901) autore, tra l’altro, della raccolta poetica Les Névroses (Paris, Charpentier, 1883),
«caratterizzata dal connubio tra inquietudine, senso del mistero, malattia...» (F. FINOTTI, Si-
stema letterario ..., p. 63). Ne scrisse, con una recensione severa, anche il Salvadori. Cfr. G.
SALVADORI, La retorica dell’isterismo. Maurizio Rollinat (1883), in ID., Scritti bizantini, ora
a cura di N. Vian, Bologna, Cappelli 1963, pp. 138-145. Più entusiasti Edouard Rod (Cor-
rispondenza da Parigi, in «Fanfulla della domenica», a. V, n. 8, 25 febbraio 1883) e Felice
Cameroni (Rassegna bibliografica, in «Il Sole», a. XXI, n. 39, 15 febbraio 1884). Oltre che ai
citati Catulle Mendès e Félix Fénéon (cfr. supra e infra), Pica progetta di dedicarsi anche
al noto poeta simbolista Jean Moréas, pseudonimo di Ioànnis Papadiamantòpoulos (Atene,
1856 - Saint Mandé, Seine, 1910) protagonista del Parnasse e fondatore della rivista ufficia-
le del simbolismo «Le Symboliste» con Paul Adam e Gustave Kahn il 1o ottobre 1886, lo
stesso anno della pubblicazione del volume di versi, Les cantilènes. Vuole scrivere anche su
Pierre Loti (pseudonimo di Louis Marie Julien Viaud, Rochefort, 1850 - Handaye, 1910),
romanziere e viaggiatore, Accademico di Francia, autore tra l’altro di Aziyadé (1879) e di
Pêcheur d’Islande (1886).
258
Si tratta del saggio dedicato a Mallarmé nella serie I moderni bizantini. Ste-
phane Mallarmé, cit.
259
Il noto critico russo Téodor de Wyzewa (Kalusik, 1862 - Parigi, 1917) collabo-
rava alla «Revue des deux Mondes» ed aveva fondato con Dujardin la «Revue wagnérienne»
nel 1885, per poi dedicarsi alla direzione della «Revue Indépendante, politique, littéraire et
artistique», fondata nel maggio 1884, diretta da Fénéon, passata nel 1886 alla direzione di
Dujardin e poi di Téodor de Wyzewa appunto. Cfr. P. DELSEMME, Théodor de Wyzewa et le
Cosmpolitisme littéraire en France à l’époque du Symbolisme, 2 voll., Bruxelles, Presses
Universitaires de Bruxelles, 1967; J. MONFERIER, La Revue Indépendante (1884-1893), cit.
Pica si occupò di Fénéon pochi mesi dopo questa lettera. Cfr. V. PICA, F. Fénéon. Les im-
pressionistes en 1886, in «Conversazioni della Domenica», a. II, n. 10, 6 marzo 1887.
260
V. PICA, Per un fatto personale, in «Gazzetta Letteraria», a. XI, n. 3, 15 gennaio
1887, p. 22
261
Il più ampio profilo di Pica firmato dal noto critico italo-francese Félix
Fénéon (Torino, 1861 - Châtenay-Malabry, 1944), resta l’articolo apparso il 14 luglio del
I carteggi 205

canto a Taine, Bourget e Lemaitre [sic]262, fra i campioni della critica psicologi-
ca, ecco ciò che egli ha scritto nel 3° fascicolo della «Revue Indépendante»:
«En même temps un autre écrivain italien, et l’un des plus subtils parmi les
critiques de notre âge, M. Vittorio Pica, insérait dans la Gazzetta Letteraria de
Milan, une décisive et complète étude sur l’oeuvre de M. Mallarmè. J’insisterai
mieux sur ce travail lorsque il sera réédité dans le prochain volume I Moderni
Byzantini de M. Pica. Aujourd’ hui je dois simplement exprimer mon chagrin
de ce que la seule appréciation sérieuse, intelligente, des efforts de ce très no-
ble poète ait été faite en hiver de 1887, après vingt ans, et par un écrivain ita-
lien»263. Sono, come vedi, poche parole, ma abbastanza lusinghiere, tanto più
che il De Wyzewa mostrasi per solito nei suoi giudizi di una severità eccessiva,
scarfogliana. Non ti nego che tali lodi mi facciano molto piacere – e a chi non
piace di ricevere lodi? –, ma non mi faccio da esse mai montare troppo la testa
e non manco mai di riflettere che esse sono esagerate o da un sentimento di
amicizia o dalla speranza di un più o meno prossimo ricambio di lodi.
Ma mi accorgo di essermi lasciato pigliar la mano da un egoistico bi-
sogno di parlare di me e delle mie cose, e di aver trascurato la cronachetta
pettegola – artistica, che a te giunge sempre tanto gradita. Eccomi a riparar
subito al mal fatto.
Volumi nuovi: Morello ha raccolto in un grosso volume, la cui orri-
bile, pseudo-gotica e policroma copertina è opera del famigerato Tausky ed
il cui titolo è, come già saprai, Leggendo264, tutti i suoi articoli compresi quelli
di polemica col Bovio e di esaltazione del carissimo Migliaro265: il libro man-
ca di unità e d’interesse e non credo che possa ottenere un grande successo.
Bracco ha riunito, sotto il titolo di Novelle in un atto266 e con un bel fronte-

1888 sulla nuova serie della «Cravache parisienne» diretta da Georges Lecomte, ora in F.
FÉNÉON, Au delà de l’impressionisme, Paris, Hermann, 1966, citato in trad. it. in F. FINOTTI,
Sistema letterario ..., cit., p. 77.
262
Oltre ai più noti, e citati, Paul Bourget e Hippolyte Taine, Pica cita qui il Jules
Lemâitre, critico, autore del volume Les Contemporains. Études et portraits littéraires, So-
ciété française d’Imprimerie et de Librairie, Paris, 1887. Rispetto a costoro, Pica avrebbe
offerto alcune intuizioni originali proprio a proposito dei Goncourt. Cfr. N. RUGGIERO, In-
troduzione a Lettere a De Goncourt, p. 26 e n.
263
È il giudizio contenuto nella recensione a G. PIPITONE FEDERICO, Il naturali-
smo contemporaneo in letteratura. Impressioni e note (Palermo, Sandron, 1886) apparsa in
«La Revue Indépendante», t. I, gennaio 1887, p. 15.
264
V. MORELLO, Leggendo, cit. Bracco definisce il volume «un omaggio al giorna-
lismo: un omaggio e un rimprovero!» (Baby [R. BRACCO], Un libro, in «Piccolo», a. XX, 12-13
febbraio 1887).
265
A Vincenzo Migliaro è dedicato un capitolo del volume. Cfr. supra.
266
Si tratta del volume R. BRACCO, Novelle in un atto di Baby, con illustrazione di
E. Dalbono, Napoli, Casa Editrice Artistico-Letteraria, 1887. Il volume conteneva Articolo
ottavo, Amico intimo, Viceversa, Non fare ad altri... Ebbe un discreto ‘lancio’ editoriale: il
16 gennaio fu anche spedito in omaggio a tutti gli abbonati del «Piccolo» (come annuncia
una nota redazionale apparsa sulla testata il 14-15 gennaio 1887).
206 La seduzione dell’arte

spizio di Dalbono quattro sue graziose cosucce teatrali, di cui una già rap-
presentata ed applaudita al Sannazzaro267; le ha fatte precedere da una viva-
ce prefazione nella quale cita e punzecchia un po’ tutti quanti, dal Duca
Proto a Torelli, da F. Casa a F. Russo, da Gervasi a Montuoro a Pezzoli, da
Boutet all’umile sottoscritto: naturalmente la fine fleur dei sarcasmi il buon
Baby l’ha riservata al suo carissimo amico S. Di Giacomo268. Ritmi e Fanta-
sie269 il volume poetico di F. Casa, pel quale ho scritto, dietro le sue pres-
santi e davvero amichevoli insistenze, in furia ed in fretta una prefazione di
circa 20 paginette, in cui ti ho citato, accoppiandoti ancora una volta frater-
namente con Carmelo Errico, verrà messo dal Zanichelli in vendita verso la
fine di questa settimana: pregherò l’amico Casa di spedirne una copia.
Notizie teatrali: – La Fiera270 di D’Arienzo-Di Giacomo della qua-
le si annunziano le pruove a pie’ d’ogni cartellone del Teatro Nuovo e nelle
quotidiane cronache teatrali dei giornali, pare non sia ancora completata e
non possa andare in iscena che alla fine di carnevale od in Quaresima: in
ogni modo se ne sta facendo un piccolo Otello, tanto che nel «Caporal
Terribile» una penna maligna ed anonima (non la mia, giacché io repugno
da queste pettegole guerricciole sorde ed uso mettere sempre la mia firma
sotto tutto ciò che scrivo, a meno che non si tratti di un articoletto di
réclame pel signor Santojanni nel Cotillon, unico caso in cui abbia sentita
la necessità di nascondere il mio rossore sotto la maschera di uno pseudo-
nimo) farà pur essa ciò che a Milano il «Caffè» ha fatto pel futuro e pro-
blematico capolavoro di Verdi271. Forse comparirà prima alla luce della ri-

267
Si tratta della novella Non fare ad altri ... Cfr. supra, lettera LVI.
268
La gustosa Prefazione al volume Novelle in un atto (cit., pp. VII-XIV) si presenta
in effetti come galleria letterario-mondana, con ritratti sarcastici di molti intellettuali e let-
terati della Napoli di fine Ottocento, in occasione della prima del suo debutto teatrale Non
fare ad altri .... Tra questi ritratti quello di Di Giacomo non è stato certo il più severo. Scrive
Bracco: «Salvatore Di Giacomo, il fecondo, operoso e popolare scrittore napolitano, uno dei
più cari amici miei, che, per mancanza d’invito speciale, non era venuto a teatro, mi tenne
il broncio per qualche giorno, ponendomi così della incompetenza mia in fatto di réclame»
(R. BRACCO, Prefazione a Novelle in un atto, cit., p. XI). Pica viene invece definito, con affetto
e stima, «l’implacabile autorevole giovane critico italo-francese, che riceve per lo meno ogni
due giorni una lettera da Edmondo de Goncourt», dalla «simpatica aria canzonatoria» (ibi-
dem). I brevi ritratti sono numerosi: Ferdinando Russo è il «nero, sottile, ventenne emulo
dialettale» (ibidem); Eduardo Boutet, «il notissimo, nasuto, scarrucolante critico teatrale»
(ivi, p. XII); Valentino Gervasi, «la Cassazione in veste da camera della stampa napolitana, il
pubblicista rigido» (ibidem); Raffaele Montuoro «l’Adone parigino del giornalismo nostrale,
l’ostinato ammiratore altrui, che non riescirà mai ad ammirare gli altri più di quanto gli altri
ammirino lui» (ivi, p. XIII). Gli altri autori, il Federigo Casa autore di Ritmi e fantasie (cit.)
o il Rodolfo Pezzoli editore della Casa Editrice Artistico-Letteraria, sono appena accennati.
269
F. CASA, Ritmi e fantasie, cit. Sul testo della prefazione cfr. infra.
270
Sull’opera cfr. supra, lettera LVI.
271
Sul settimanale satirico di cultura «Caporal terribile», fondato a Napoli nel
1881 ed attivo, tra alterne vicende, fino al 1891, apparve un articolo anonimo sulla Fiera (a.
I carteggi 207

balta l’operetta Guerra allo Sposo, musicata da Valente su libretto di Silio


Fredi (leggi Fiordelisi): l’antica rivalità risorge dunque sotto un’altra for-
ma272. – In quanto alla Rivista del 1886 di Russo e di Di Giacomo, essa è
tuttora in gestione, ad onta che a completarla si siano aggiunti gli sforzi
poderosi di Carlo Abeniacar e di Enrico Campanella273.
Notizie giornalistiche: – Resurrezione del vecchio «Omnibus», con
una parte letteraria, diretta da Scalinger alla quale collaborerò forse anch’io
qualche volta così come Bracco, Morello, Della Sala, Conforti e parecchi al-
tri274. – Giornale perfettamente nuovo è «Il Novelliere»275, stampato molto

VII, n. 4, 23 gennaio 1887) nella consueta rubrica «Fra quinte e ribalta», annunciando la
rappresentazione dell’opera. Pica, però, fa riferimento all’articolo più ampio (a. VII, n. 10, 6
marzo 1887, p. 4) apparso nella stessa rubrica teatrale, forse meno severo e quasi riabilita-
tivo: «La Fiera del Mo D’Arienzo, senza essere certamente la migliore e più indovinata
musica dell’esimio maestro, pure ha ottenuto soddisfacente successo, specialmente nelle
successive rappresentazioni, quando il giudizio del pubblico fu serenamente dato e quando
il soverchio zelo non esagerava le ovazioni come nella prima sera in cui i nei dell’opera, e
ve ne sono, venivano fragorosamente applauditi [...]. Secondo noi nella musica di D’Arienzo
manca essenzialmente l’unità di stile, di concetto. C’è troppa alleanza tra il genere della
nostra opera buffa, l’operetta francese e quella austriaca».
272
L’opera di Fiordelisi musicata da Valente venne rappresentata al Teatro Nuo-
vo nel 1887. Cfr. infra, lettere LVIII, LIX, LX, LXI. Sulla rivalità cfr. già la rubrica «Fra quinte
e ribalta» in «Caporal Terribile», a. VII, n. 4, 23 gennaio 1887.
273
A proposito della Rivista del 1886 si legge nel «Caporal Terribile» (a. VII, n. 11,
30 marzo 1887, p. 4): «Non è il caso di fare certamente la critica di questo genere di lavoro,
quindi, limitandoci alla cronaca, dobbiamo sovvenire che essa, sebbene non sia sembrata al
pubblico la più felice rivista che si sia scritta finora, pure è abbastanza piaciuta». Sulla identi-
ficazione del nome de plume Abeniacar, collaboratore anche del «Fantasio» (con i versi dialet-
tali Sfregio, in «Fantasio», a. II, n. 3, 10 febbraio 1882, p. 3). Cfr. infra, lettere successive.
274
Si tratta della rivista «Omnibus. Giornale Politico-letterario-Artistico-Commer-
ciale» ripreso nell’anno 1887, sotto la direzione di Federico Zurcher, il cui primo numero del-
la nuova serie appare il 29 gennaio 1887, ma seguendo la vecchia numerazione e dunque an-
nata 52. La rivista napoletana, in questo primo numero, si apriva con una nota redazionale:
«Dopo un lungo silenzio, o lettori cortesi, ritorniamo a voi come a vecchi conoscenti, senza
sciorinarvi il prammatico verboso programma. Un programma è necessario soltanto ai neofiti.
– l’Omnibus, che vanta oltre dieci lustri di vita, può farne senza e dire, parafrasando un motto
superbo: le programme c’est moi. [...] L’ideale vagheggiato dai valorosi che ci hanno precedu-
to, la patria libera, è ormai un fatto compiuto: a noi però resta sempre il compito di assicurar-
ne la prosperità, potenza e grandezza, a cui con tutte le nostre forze ci votiamo». Tra i collabo-
ratori di questa «parte letteraria» diretta da Scalinger, compaiono Verdinois, Ferdinando Rus-
so, Vincenzo Della Sala. Ad una consultazione del periodico, non risultano articoli a firma di
Pica o Pagliara. Sulla figura di Giulio Massimo Scalinger cfr. infra, in questo carteggio.
275
Si tratta di una testata che nasce appunto nel gennaio 1887 (cfr. R. GIGLIO,
Letteratura in colonna..., cit., p. 98 ss.). Ad una prima, ma dettagliata indagine tra archivi e
biblioteche, la rivista risulta introvabile. Con ogni probabilità, però, le notizie che Pica offre
a Pagliara derivano per lo più dalla pubblicità che alla nuova testata riservavano alcune altre
riviste. Si legga, per esempio, la nota redazionale apparsa in «Il Piccolo», a. XX, 16-17 gen-
naio 1887, che annunciava la nascita del «Novelliere» come «giornale della domenica», fa-
cendo esplicito riferimento ai romanzieri d’appendice francesi nominati in questa missiva.
208 La seduzione dell’arte

bene su carta rosa e con una testa graziosa, disegnata da Rossi: contiene ro-
manzi di Montépin e Gaboriau276, novelle di Merimée, Andersen, Zola e Dau-
det277, editore ne è il Pietrocola278 e direttori, naturalmente, ne sono gl’indivisi-
bili Petitti e Miranda, il quale ultimo pubblicherà fra giorni un volume di no-
velle, illustrato da Rossi e Pratella, che ha per titolo: Napoli che muore279. – Ma
il più interessante avvenimento giornalistico rimane sempre la pubblicazione,
nel «Don Chisciotte», dei ritratti degli assidui del Gran Caffè: non si può im-
maginare quante persone vi vengono la sera, nella speranza di veder riprodotta
dalla matita dell’instancabile Rossi la loro immagine280. Ma il n° più importante

In quella nota si specificava: «Il giornale è elegantissimo e pubblicherà man mano le più
belle novelle e i più interessanti romanzi stranieri». A differenza di quanto dica Pica in
questa missiva, però, la testata non era «affatto nuova». Esisteva infatti, fondato nel 1877,
un «Novelliere» quotidiano stampato a Napoli. A questo giornale forse fa riferimento Vin-
cenzo Morello, nel suo Leggendo, informando che un «Novelliere» fu creato proprio dallo
stesso De Zerbi: «In esso il De Zerbi, appunto, gittava le fresche gemme purpuree della
sua esuberante fantasia, che nel folto del Piccolo non trovavano posto» (V. MORELLO, Leg-
gendo, cit., pp. 80-81).
276
Si tratta di due popolari e prolifici romanzieri francesi, autori anche di roman-
zi ‘gialli’ e misterici, secondo il gusto letterario del tempo. Di Xavier Aymon de Montépin
(1820-1873) si ricordano almeno i cinque volumi Les confessions d’un bohéme (1849-1850)
Les viveurs de province (1858), Les métamorphoses du crime (1863). Di Èmile Gaboriau
(1835-1873) si ricordano L’Affaire Lerouge (1866), La corde au cou (1873), L’Argent des
autres (1874).
277
Oltre al citato Mérimée (cfr. supra) e all’allora già scomparso, notissimo scrit-
tore e poeta danese Hans Christian Andersen (Odense, 1805 - Copenhagen, 1875), Pica fa
forse riferimento non ad Alphonse Daudet ma alla meno nota Julie Daudet, alla quale egli
stesso dedica un articolo sulla «Letteraria» (V. PICA, Medaglioni letterari: Giulia Daudet, in
«Gazzetta Letteraria», a. XV, n. 38, 19 settembre 1891).
278
Oltre ad essere l’editore del «Novelliere», l’abbruzzese Pietrocola editò molte
opere letterarie, popolari e non, di fine Ottocento. Proprio in quegli anni Ottanta, la casa
editrice Pietrocola inaugurò due collane: «Il Romanziere popolare» e la «Biblioteca teatra-
le» che si aggiunsero alla più nota «Piccola Collezione Amena».
279
Lo scrittore e giornalista Gaetano Miranda (Sant’Anastasia, Napoli, 1863 -
Napoli, 1935), noto come il fondatore di «La Tavola Rotonda» nel 1891, diresse con Petitti
la citata rivista «Il Novelliere». Pica fa qui riferimento al suo volume di maggior successo, la
raccolta di novelle Napoli che muore: studi di vita napoletana, con prefazione di Luigi Ca-
puana e illustrazioni di Rossi e Pratella, Napoli, Pietrocola, 1887. Cfr. R. GIGLIO, Letteratura
in colonna..., cit., pp. 74-86.
280
Definito da Bracco «il più simpatico e brillante giornale settimanale napoleta-
no» (R. Bracco, lettera a Giuseppe Mezzanotte, 4 settembre 1887, in G. OLIVA, Giuseppe
Mezzanotte..., cit., p. 121), il «Don Chisciotte» era un settimanale fondato nel 1886 e diret-
to da Vincenzo di Napoli Vita. Pica vi collabora con un ritratto di C. Abeniacar (a. II, n. 4,
27 gennaio 1887. cfr. infra) e con un articolo sui Giovani poeti (a. II, n. 23, 5 giugno 1887).
Si fa qui riferimento, però, ad una serie di articoli apparsi nella rivista settimanale nel mese
di gennaio 1887, a firma di diversi letterati, talvolta traslati abilmente da io narrante a og-
getto di narrazione, preceduti dai ritratti di Ernesto Rossi. La prima galleria di ritratti ap-
pare nel n. 2, 13 gennaio 1887: sono i ritratti di Arturo Colautti, Vincenzo Morello e Nicola
Misasi, firmati da Giulio Massimo Scalinger, uniti a quello dello stesso Scalinger e di Rodol-
I carteggi 209

del «Don Chisciotte» sarà senza alcun dubbio quello di giovedì prossimo, che
conterrà la mia testa ostrogota, illustrata dalla vivace prosa di Baby, quella di
Abeniacar, illustrata dalla mia di prosa, oltre ogni dire arguta, e quella del duca
di Maddaloni e della Bosisio, la più bona fra tutte le pianiste281.
Per completare questa mia cronachetta non mi resta che a richiamar
la tua attenzione sul nuovo e fulgidissimo astro del partenopeo firmamento
letterario, incarnato nella persona piccolina e nera di Carlo Abeniacar: il dire
quanto parli e scriva quest’irrequieto Livornese, ignoto fino a ier l’altro, è
cosa impossibile; basti il dirti che financo Valentino Gervasi, dopo un breve
periodo di vana resistenza, gli ha ceduto, annichilito più che rassegnato, lo
scettro della parola nel Gran Caffè.
La risposta del Dujardin alla tua richiesta della «Revue Wagnérien-
ne»282 mi sorprende non poco, giacché egli si è sempre mostrato meco oltre-
modo gentile; ma probabilmente il mantenimento della sua rivista gli costa
molti quattrini ed egli cerca in tutti i modi di rifarsene. Stamane ho ricevuto
l’ultimo fascicolo del II anno della «Wagnérienne», che, come quello dello
scorso anno, contiene una collana di sonetti in onore di Wagner, ma di essi
uno soltanto mi pare veramente bello ed è di Catulle Mendès; te lo trascrivo,
affinché un luminoso saggio di poesia rischiari il grigio di questa mia prosa:
L’OR DU RHIN
«Les fluides enfants du fleuve qui ruisselle, / Cheirs à peine, déjà
femmes, odes encore, / Wellgunde avec Woglinde et Flosshilde vers l’Or /
Lèvent leurs yeux d’eau verte ou le rire étincelle. / Tout le futur du mal gît
dans l’Or. Il recèle / (Noire gestation du flambogant trésor) / Les désastres,
les deuils, puis, quand s’est t˚ le Corp / l’estinction des Dieux en l’ombre
universelle. / Mais près de l’Or ouvrant son radieux halo. / Wellgunde rit,
Woglinde fuit, Flosshilde chante,/ mêlée à la candeur de l’eau, / Et tu l’ob-
scur destin-l’âme au gouffre penchante, / Les Héros morts, les cieux déchus,
la fin, la nuit» [sic]283.

fo Pezzoli firmati da Roberto Bracco. Nel n. 3, 20 gennaio 1887, compaiono i ritratti di


Roberto Bracco e Raffaele Montuoro firmati dallo Scalinger.
281
La terza e ultima galleria di personaggi apparsa su «Don Chisciotte» n. 4, 27
gennaio, era dedicata a Ida Bosisio, al Duca di Maddaloni e a Carlo Abeniacar. Ritrattista,
proprio il Pica. Nello stesso numero il ritratto di Pica è invece firmato dalla sagace penna di
Bracco, che offre un portrait che val la pena riportare almeno in parte: «Quell’individuo dai
16 ai 40 anni risultante dalla misteriosa combinazione fisica d’un frate, d’un toro e d’un
giapponese, quell’individuo dalle tinte tenere, dal collo d’acciaio, dagli occhi pigramente
socchiusi ...». L’affresco arguto si chiudeva con la nota considerazione della scarsa ‘napole-
tanità’ del Pica, che si sarebbe aggirato, nei saloni del Gran Caffè, come simulacro, larva:
«Ma il vero, autentico, unico Vittorio Pica, cari signori, sta a Parigi».
282
Pica scrive della vita rivista. Cfr. V. PICA, Libri e periodici – “Revue Wa-
gnérienne”, cit.
283
Questi versi di Mendès furono inseriti nell’ultimo numero dell’annata 1886
che però apparve il 15 gennaio 1887; sono dedicati a L’oro del reno (Das Rheingold), la
210 La seduzione dell’arte

Non è vero che è molto bello? Altro che i versi del tuo Fuster284, sul
conto del quale non posso darti nessun particolare, giacché di lui non mi han-
no giammai parlato i miei parecchi amici d’oltralpe, né ho mai letto, nelle
riviste o nei giornali che ricevo da Francia e dal Belgio, nulla che lo riguar-
dasse. A proposito di sonetti: Verlaine me ne ha mandati giorni fa tre del
Rimbaud d’argomento sodomitico, che certo t’interesseranno molto e che ti
farò leggere al tuo ritorno285.
Sì, io continuo la mia rassegna nelle «Conversazioni» di Milano, anzi
mi sono impegnato di scriverne nel 1887 non più una ogni mese, ma una ogni
20 giorni, dovendomi occupare d’ora innanzi della letteratura russa e spagno-
la: fra 5 o 6 giorni te ne spedirò una sui romanzieri russi286.
Dò un’ultima occhiata alla tua lettera per vedere a quale altra delle
tue domande mi resta ancora da rispondere.
Dunque la tavola dei papi della letteratura italiana, pubblicata dalla
«Scena Illustrata»287, ha ottenuto più che altro un successo d’ilarità: sono così

prima opera della tetralogia wagneriana L’anello del Nibelungo (l’opera, composta tra il
1853 e il 1854, fu rappresentata per la prima volta a Monaco di Baviera il 22 settembre
1869). I versi sono stati riportati da Pica con alcuni errori e con l’omissione dell’ultimo
verso. Si riporta qui la trascrizione esatta: «Les fluides enfants du fleuve qui ruisselle, /
Chairs à peine, déjà femmes, odes encor, / Wellgunde avec Woglinde et Flosshilde vers l’Or
/ Lèvent leurs yeux d’eau verte où le rire étincelle. / Tout le futur du mal gît dans l’Or. Il
recèle / (Noire gestation du flamboyant trésor) / Les désastres, les deuils, puis, quand s’est
t˚ le Cor / l’estinction des Dieux en l’ombre universelle. / Mais près de l’Or ouvrant son
radieux halo. / Wellgunde rit, Woglinde fuit, Flosshilde chante,/ Innocence mêlée à la can-
deur de l’eau, / Et tu l’obscur destin-l’âme au gouffre penchante, / Les Héros morts, les
cieux déchus, la fin, la nuit - / Pur les folles enfants est un jouet qui luit!» (in «Revue
Wagnérienne», a. II, n. XII, 15 gennaio 1887, p. 375). Sul Mendès wagneriano cfr. almeno F.
LESURE, Debussy. Gli anni del simbolismo, Torino, EDT, p. 122 ss.
284
Poeta francese Charles Wilhelm Fuster (Yverdon, Svizzera, 1866 - Parigi,
1929), autore di romanzi, saggi critici, ma soprattutto noto come poeta: si ricordano, tra
l’altro, la raccolta di versi Sonnets (Bruxelles, Librairie Nouvelle, 1887) e l’opera Louise:
roman lyrique (Paris, Librairie Fischbacher, 1893). Scrisse anche versi musicati in Italia da
Luigi Denza e Francesco Paolo Tosti.
285
Sui rapporti tra Pica e Verlaine cfr. supra, in questo carteggio.
286
Pica aveva iniziato la collaborazione alla rivista «Le Conversazioni della Dome-
nica» nel gennaio 1886: Les concubines, a. I, n. 5, 31 gennaio 1886; Un libro postumo di Flau-
bert, ivi, a. I, n. 5, 31 gennaio 1886 [poi in All’avanguardia, pp. 55-64]; “Tartarin sur les Al-
pes” di A. Daudet, a. I, n. 5, 31 gennaio 1886; La morte, a. I, n. 10, 7 marzo 1886; Rassegna
letteraria, a. I, n. 18, 28 marzo 1886; L’Oeuvre par Emile Zola, a. I, n. 19, 9 maggio 1886 [poi
in All’avanguardia, pp. 169-174]; Rec. a Croquis parisiens di Huysmans, a. I, n. 23, 6 giugno
1886; rec. a Sensations d’art di J.B. d’Aurevilly, a. I, n. 23, 6 giugno 1886. In questo 1887
avrebbe inoltre continuato la collaborazione, ma solo fino al 6 marzo 1887: Rassegna Lettera-
ria. I. Romanzieri russi, a. II, n. 5, 30 gennaio 1887 [poi in All’avanguardia, pp. 393-404]; Ras-
segna Letteraria. II. Letteratura francese, a. II, n. 10, 6 marzo 1887; Léon Hennique. Poeuf, a.
II, n. 10, 6 marzo 1887; F. Fénéon. Les impressionistes en 1886, a. II, n. 10, 6 marzo 1887.
287
Elegante rivista fiorentina, giunta in quel 1887 alla XXIII annata, la «Scena Il-
lustrata», diretta da Pilade Sollazzi, era vicina alla scapigliatura e contava collaboratori illu-
I carteggi 211

calunniate le immagini di tutti quei poveri signori! Ciò non pertanto l’«Eco di
Genova» vuol seguirne l’esempio ed io ho dovuto rispondere ieri con un rifiu-
to alla richiesta di fotografia, fattami dal direttore di esso288. Non è ancora
venuto fuori il 1° n° dell’«Italia Artistica» trasformata ed ingrandita289. «La
Farfalla» continua la sua vita grama e sciocca290. Non ho visti i nuovi giornali
letterari dei quali tu mi chiedi notizie. In questi giorni Merlin Caccaio [sic] io
l’ho inutilmente ricercato nei cataloghi di Charpentier e di altri editori parigi-
ni: il dizionario di Vapereau291 che hai anche consultato, parla di una ristampa
francese del 1856 con introduzione di un certo G. Brunet, ma non dice quale
sia stato l’editore292. È comparso finalmente Isotta di Guttadauro [sic]: l’edi-
zione ne è veramente splendida e parecchi dei disegni sono bellissimi; in
quanto ai versi, non ne hai tu forse già letti buona parte, tradotti anticipata-
mente in francese da Lorrain?293.

stri, Cletto Arrighi [Carlo Righetti], Vittorio Bersezio, Felice Cavallotti, Antonio Ghislanzo-
ni, insieme ai napoletani Federigo Verdinois, Michele Scherillo e lo stesso Salvatore Di
Giacomo. La «tavola dei papi» cui accenna Pica in questa missiva era apparsa nel numero
del 10 gennaio 1887: era un ‘ottavo’ con i ritratti dei collaboratori della rivista. Quaranta
ritratti, tra i quali molti letterati meridionali, da Onorato Fava a Domenico Ciampoli; omes-
si però sia Pica che Pagliara, da cui forse scaturisce l’ironia polemica di questa missiva.
288
Pica cita qui il settimanale «Eco di Genova» fondato nel capoluogo ligure nel
1872. La rivista pubblicò altri «ritratti» di letterati nel numero del 7 febbraio 1887. Anche
in questo caso, assenti i ritratti di Pica e di Pagliara.
289
Rivista nata il 20 settembre 1860, «Italia artistica» uscì con una nuova serie
dal titolo «Italia artistica: periodico di letteratura e belle arti», inaugurata il 15 febbraio
1887, a Genova.
290
Notissimo foglio della scapigliatura, emblema del realismo scapigliato, «La
Farfalla» era animata da Cameroni, Fontana e Ragusa Moleti, ma letta da molti intellettuali
napoletani. Fu Matilde Serao a definirlo «un giornale, organo della bohème italiana [...]. È
un giornale sbrigliatuccio, realista, scritto con l’anima e coi nervi, fatto per i giovani e non
per i parrucconi» (M. Serao, lettera a Gaetano Bonavenia, 22 marzo 1878, in M. SERAO, A
furia di urti, di gomitate, in «Nuova Antologia», LXXIII, 1594, 16 agosto 1938, p. 404). Gui-
data da Angelo Sommaruga e nata a Cagliari nel 1876, nel 1877 «La Farfalla» si trasferisce
a Milano, proseguendo le pubblicazioni fino al 1886. cfr. A. CHEMELLO, La “Farfalla” di
Angelo Sommaruga: storia e inediti, Roma, Bulzoni, 1977.
291
Cfr. lettera XVII.
292
Pica si riferisce alla edizione di Folengo apparsa in Francia nel 1876 (T. FO-
LENGO, Histoire maccaronique de Merlin Coccaie, prototype de Rabelais, avec des notes et
une notice de G. Brunet, Paris, Garnier freres, 1876).
293
Pica fa qui riferimento, pur non ricordando bene il titolo, ai noti versi dan-
nunziani. Cfr. G. D’ANNUNZIO, Isaotta Guttadauro ed altre poesie, con disegni di Vincenzo
Cabianca, Roma, La Tribuna, 1886 (cfr. supra, lettere LIV e LX). Sul vigore artistico del
volume, in rapporto anche alla scuola parnassiana, intervenne, subito dopo la pubblicazione,
Enrico Nencioni sul «Fanfulla della domenica» (a. IX, n. 6, 6 febbraio 1886, pp. 1-2): «Ma
Gabriele d’Annunzio è incomparabilmente più poeta di tutti i Parnassiens – abilissimi mec-
canici della parola, ma sprovvisti di ogni ispirazione lirica, e di quella che Wordsworth chia-
mava la ‘seconda vista’ poetica. E questa, il d’Annunzio l’ha in grado eminente». Si cita
anche un suo traduttore ed amico, il discusso intellettuale e poeta francese Jean Lorrain
212 La seduzione dell’arte

Ed ora non mi resta proprio più nulla da aggiungere: far soddisfare


l’irrefrenabile ed avidissima tua curiosità ha ridotto il mio cervello allo stato
miserando di un limone spremuto, ora conto nella tua eterna riconoscenza, e
mi auguro che me ne darai una pruova col non farmi più aspettare tanto una
tua risposta.
Vogliami bene e credimi tuo aff.mo
Vittorio

LIX
Lettera su 2 cc. di cm 22,8x18,4 ripiegate lungo la base.

Napoli, 4 marzo 1887


Mio caro Rocco, sta’ pur sicuro che non farò leggere la tua penulti-
ma lettera all’amico Casa294, che certo non potrebbe restarne molto lusingato:
è stato soltanto per metterti addosso un po’ di paura e punirti così della tua
inqualificabile pigrizia che ti ho fatto una simile minaccia. In quanto ai ringra-
ziamenti e alle congratulazioni sarebbe molto meglio che li mandassi tu stesso
direttamente al Casa, il cui indirizzo è: Via Chiaja n° 216.
Hai fatto bene ad esprimermi completamente e senza quei conside-
revoli riguardi che sono le foglie di fico della sincerità, l’impressione ricevuta
dalla mia prefazione295: io ho sempre fatto così con te e con tutti i miei amici
e così devi far sempre tu con me. Ti ringrazio dunque dei complimenti fatti-
mi per la charpente e in quanto alle riserve e alle censure, forse non imme-
ritate del tutto che mi fai, permettimi qualche osservazione e qualche chiari-

(Fécamp, 1855 - Parigi, 1906) amico e frequentatore dei maggiori artisti contemporanei.
Sul Lorrain traduttore e studioso dell’estetismo cfr. T. D’ANTHONAY, Jean Lorrain: barbare et
esthète, Paris, Plon, 1991.
294
Federigo Casa (1845-1910), insegnante e poi funzionario della Pubblica Istru-
zione, poeta classicista e autore di traduzioni dal latino, saggi e studi critici, pubblicò nel
1887 il citato volume Ritmi e fantasie, prefato proprio da Pica. Casa collaborò inoltre al
«Fortunio», occupandosi anche di novità letterarie e recensioni, e compare tra i redattori
della «Cronaca Sibarita», la preziosa rivista animata da Pica citata anche in questo carteggio.
Nel marzo del 1889, tenne una conferenza al Circolo Filologico Napoletano, Cavalleria e...
cavalleria, dedicata alla società e cultura tedesche, alla quale fu presente anche Pagliara.
Cfr. Schegge. Federico Casa al “Filologico”, in «Fortunio», a. II, n. 13, 31 marzo 1889, pp.
3-4. L’anno precedente a Ritmi e fantasie, lo stesso Casa aveva pubblicato Fantasmi ellenici
(Napoli, Tocco, 1886).
295
Nella Prefazione a Ritmi e fantasie, (cit., pp. III- XXVII) Pica offre anche una
interpretazione storico-critica della lirica italiana, che aveva già inviato anche a Federico De
Roberto (Cfr. V. Pica, lettera a Federico De Roberto, 12 febbraio 1887, in Lettere a Fede-
rico De Roberto, cit., pp. 104-105). In questo testo il giovane critico passava in rassegna una
vasta bibliografia di opere, citando autori quali Prati, Zanella, Praga, Boito e lo stesso Car-
ducci, come emerge anche da questa lettera.
I carteggi 213

mento a mia discolpa. La prefazione ho dovuta pensarla e scriverla in appena


due giorni, in furia e in fretta, siccome bene hai tu intuito, giacché l’editore
non aspettava che me per impaginare completamente il volumetto e l’autore
era oltremodo impaziente. Nello scriverla poi mi sono dovuto lasciar guidare
non da criterii assolutamente artistici, ma da criterii pratici e di utilità per il
Casa: ecco perché hai trovato un così gran numero di nomi, più o meno lau-
dati e magnificati, sono i nomi dei futuri bibliografi, e di fatti, finora, oltre la
promessa di articoli di parecchi miei fidi, quali il Cameroni, il Cimbali, il
Turati, il Benetti, il De Roberto, il Ricciardi, l’Invrea296 ecc., ho avuta quella

296
Pica parla innanzitutto di un suo assiduo corrispondente, Felice Cameroni
(Milano, 1844 - ivi, 1913). Con il suo ben più famoso critico letterario, o «topo di libre-
ria», Pica intrattenne una corrispondenza che copriva un ventennio, dal 1883 al 1903. Cfr.
Cameroni. Cita quindi Filippo Turati (Canzo, 1857 - Parigi, 1932), comune amico di Pica
e dedicatario del volume All’avanguardia, corrispondente di Pica (ora in E. CITRO, Docu-
menti per una biografia su Vittorio Pica. Lettere inedite di Cameroni, Turati e Kuliscioff
a Vittorio Pica, cit.; tre lettere sono anche in Cameroni, pp. 239-242. Cfr. anche R. MON-
TELEONE, Filippo Turati, Torino, UTET, 1987, p. 43 ss.). Pica cita anche altri meno noti
letterati: Giuseppe Benetti, giornalista, collaboratore de «Il Preludio» e della «Gazzetta
Letteraria» come Pica (cfr. La scapigliatura democratica. Carteggi di Arcangelo Ghisleri:
1875-1890, a cura di P.C. Masini, Milano, Feltrinelli, 1961); Giuseppe Cimbali (Bronte,
1858 - Roma, 1924), docente di filosofia e funzionario del Ministero dei lavori pubblici,
direttore della rivista «Lo Spedalieri», autore di studi e testi critici e letterari come Con-
fessioni di un disilluso (Roma, Bocca, 1882), Giorni solitari (Roma, Paolini, 1884) e L’ago-
nia del secolo (Roma, Casa Editrice Italiana, 1899); il marchese Gaspare Invrea, noto col
nome de plume di Remigio Zena (1860-1917) il noto magistrato genovese autore dei ro-
manzi La bocca del lupo (Milano, Treves, 1892) e L’apostolo (Milano, Treves, 1901) e del
volume di versi, Poesie grigie (Genova, Tip. del R.I. dei sordo-muti, 1880). Questi autori
avrebbero accontentato il Pica. In occasione della pubblicazione di Casa, infatti, Camero-
ni scrisse una recensione entusiastica sulle colonne del suo «Sole» (a. XXIV, n. 82, 8 aprile
1887); Cimbali avrebbe di lì a poco pubblicato una recensione al volume di Casa, apparsa
in «Gazzetta Letteraria», a. XI, n. 16, 16 aprile 1887, p. 127. Oltre alle recensioni citate,
il volume di Casa ne ebbe anche una sul «Fanfulla della domenica» (a. IX, n. 30, 24 luglio
1887, p. 4).
In questa missiva Pica cita anche il più noto scrittore verista Federico De Ro-
berto (1861-1927) scrittore e critico, l’autore dei Viceré, collaboratore a diverse riviste, dal
«Fanfulla della domenica» a «Lettere e Arti», al «Corriere della Sera». Cfr. S. ZAPPULLA
MUSCARÀ, Federico De Roberto, Catania, C.U.E.C.M., 1988; A. NAVARRIA, Federico De Ro-
berto. La vita e l’opera, Catania, Giannotta, 1974; S. ZAPPULLA MUSCARÀ, De Roberto a
Luigi Alberini. Lettere del critico al direttore del “Corriere della Sera”, Roma, Bulzoni,
1979. Di Pica a De Roberto resta un ampio gruppo di lettere edita da Giovanni Maffei (V.
PICA, Lettere a Federico De Roberto, cit.). Nella lettera del 12 febbraio 1887, Pica inviava
a De Roberto proprio il volume di Casa, pregandolo di darne notizia (ivi, pp. 104-105) e
nella lettera del 29 aprile dello stesso anno ringrazia dell’interessamento, a seguito della
Notizia bibliografica che De Roberto fa pubblicare sul «Corriere di Catania», a. IX, 22
aprile 1887 (cfr. ivi, pp. 108-109). Si cita quindi Michele Ricciardi (1865-1916), redattore
e direttore del «Pungolo» e redattore del «Don Chisciotte»; fu forse grazie al suo interes-
samento che sul «Don Chisciotte» apparve una recensione al volume di Casa (a. I, n. 2,
1887, p. 4).
214 La seduzione dell’arte

del Cesareo, del Baccelli, del Conforti297, sicché finisco col credere, lascian-
domi vincere da un po’ di vanità, che non è stata cattiva l’idea di Casa di ri-
volgersi a me per la prefazione. D’altra parte, non volendo io che la prefazio-
ne riuscisse banalmente benevola e noiosamente ottimista, ho scagliato qua e
là delle frecciate, ho condito il tutto con qualche malignità e con qualche os-
servazione pepata. Come vedi metto per te da banda ogni ipocrisia, e ti mo-
stro il dietro scena così com’è: spero dunque che tu converrai meco che io
sono per lo meno schietto quanto te e che tu non hai più il diritto di vantarti
della tua straordinaria sincerità e di minacciare ad ogni momento di soppri-
merla preso dal puerile timore che essa possa riuscirti dannosa! Si, è vero, ho
fatto troppi nomi di poeti e poetini, ma, oltreché la mia giustificazione è in

297
Si nomina qui il citato Giovanni Alfredo Cesareo (cfr. carteggio Di Giacomo,
missiva IX) e Alfredo Baccelli (Roma, 1863 - ivi, 1955) poeta, avvocato e uomo politico. Tra
le raccolte di versi si ricordano Sentimenti (1905). Giovanissimo deputato al Parlamento nel
1895, fu poi anche Senatore del Regno nel 1921. Collaboratore alla «Gazzetta Letteraria» o
al «Capitan Fracassa», fu anche autore di romanzi: Nell’ombra dei vinti (Firenze, Salani,
1924); La via della luce (Firenze, Salani, 1930). È ricordato da Pica (V. PICA, Prefazione a F.
CASA, Ritmi e fantasie, cit., p. XXI) come l’autore del poema filosofico Diva natura (Roma,
Tribuna, 1885) e di studi storici e ricerche letterarie (Impressioni e note letterarie, Città di
Castello, S. Lapi, 1899). Luigi Conforti (Torino, 1854 - Roma, 1907), figlio del patriota Raf-
faele, giureconsulto e ministro dopo l’Unità, fu segretario del Museo Nazionale di Napoli
dal 1880, ma si occupò di critica letteraria in giornali e riviste. Fu amico di Pica e soprat-
tutto di Di Giacomo, insieme al quale curò la Guida generale di Napoli, Pompei-Ercolano,
Pesto-Stabia-Campi Flegrei, Napoli, Morano, 1905. Grazie all’interessamento di questi ami-
ci letterati, una recensione al volume di Casa sarebbe apparsa, pochi giorni dopo questa
lettera, nel «Corriere del Mattino», a firma di X Y. (a. XVI, 9 marzo 1887, p. 3). Quest’ultima
recensione concede ampio spazio anche a Casa, oltre che a Pica. L’unica osservazione nega-
tiva: «Forse, qua e là, si vorrebbe un po’ meno di preoccupazione nella forma, e un po’ più
di vivacità nel contenuto; un po’ meno di martellamento nel verso, e un po’ più d’impeto
nella strofe». Con ogni probabilità a firmare questo articolo sul «Corriere del Mattino» è
Cesareo, il quale, in questa recensione nomina Mazzoni, rivelando quindi di avere letto le
sue Rassegne letterarie, l’opera che Cesareo stesso recensisce nella stessa rivista circa un
mese più tardi (G.A. CESAREO, Un critico, in «Corriere del Mattino», a. XVI, 12 aprile 1887).
Con il «Piccolo» di De Zerbi, invece, gli accordi furono diversi, rispondendo a una precisa
strategia editoriale del direttore-deputato: il volume di Casa andò in omaggio agli abbonati,
non prima di avere dato ampio spazio all’iniziativa nei giorni precedenti all’invio. Una nota
redazionale, per esempio, apparsa in «Piccolo», a. XX, 15-16 febbraio 1887, annunciava l’in-
vio di un volume «degno figlio della nostra gratitudine». Sullo stesso quotidiano, inoltre,
Bracco firmò una recensione (cfr. Baby [BRACCO], Ritmi e fantasie, in «Piccolo», a. XX, 6-7
marzo 1887, p. 3), nella quale loda nei versi di Casa «una bellezza nitida e aristocratica» e
nella prefezione di Pica ritrova la «nota competenza del critico». Le recensioni, però, non
mancavano di insistere più sulla introduzione del Pica che non sul valore poetico di Casa. A
firmare una recensione al volume sul «Capitan Fracassa» fu invece il citato Guido Mazzoni,
nella sua consueta rubrica «Rassegna letteraria» (in «Capitan Fracassa», a. VIII, n. 58, 26
febbraio 1887). Mazzoni trova in Casa «qualche svista metrica» e «troppo ancora dello sco-
lastico», ma non lesina elogi, dichiarando la prova «veramente notevole e nuova testimo-
nianza delle singolari attitudini dell’autore. Il quale, formatosi sui classici, immagina con
quella correttezza e compostezza che da loro si apprende» (ibidem).
I carteggi 215

quella necessità di preparazione di réclame bibliografica a cui ho di sopra


accennato, sei proprio tu che devi farmene una colpa? non è forse il tuo
nome – e parecchi già me lo hanno fatto notare – uno di quelli voluti citare
ad ogni costo, ad onta che non fosse proprio quello il caso di citarlo? Le ine-
sattezze298, delle quali mi accusi, io le ammetto senz’altro, a priori, benché tu
non mi abbia detto quali esse siano; ma in quanto poi alle contraddizioni io
credo che o esse siano apparenti e non reali o derivino da un fenomeno psi-
cologico, più comune ad avverarsi di quello che si crede, pel quale il lettore,
credendo, al bel principio di un libro o di un articolo, di scorgere un comple-
to accordo fra le idee proprie e quelle dell’autore, dà alle parole di costui
un’interpretazione ristretta ed inesatta, ciò che gli fa ritrovare delle contraddi-
zioni in quello che segue e che più non è in accordo colle proprie idee, men-
tre pure le contraddizioni debbonsi soltanto attribuire alla primiera falsa in-
terpretazione ed in realtà non esistono. Ma forse ho torto io e tu hai ragione:
è così difficile esser buon giudice in casa propria! Il fatto è che, con tutta la
mia pretesa furberia, io sono riuscito a dispiacere a parecchi: a te, perché ti
ho nominato accanto a Panzacchi e ad Errico299, mentre pure avresti dovuto
intendere che, non essendo tu conosciuto dal gran pubblico che quale autore
di Romanze e fantasie300, cioè di una raccolta di poesie per musica, io soltanto
così potevo citarti; a Mazzoni – cosa invero che io non avevo avuto il talento
d’indovinare in antecedenza perché, dicendo che il Casa ha una stretta affini-
tà di temperamento con lui, ho in certo modo menomata la sua pretesa, mol-
to arbitraria invero, a poeta originale e personale301; a Cimmino – e ciò invece

298
Nel testo: «inesatezze».
299
Scrive infatti Pica nella Prefazione al volume di Casa (cit., pp. XII-XIII): «[...] la
diretta influenza del Panzacchi si scorge in due soltanto dei nostri giovani poeti, cioè in
Carmelo Errico ed in Rocco Pagliara, i quali meritano una speciale lode e per aver mostra-
to, con Convolvoli e con Romanze e fantasie, i due loro volumi di versi che hanno dal pub-
blico italiano ottenuta una così festosa accoglienza, di possedere ciascuno una sua nota per-
sonale, e per avere efficacemente contribuito alla riabilitazione della tanto discreditata po-
esia per musica». Per una nota su Carmelo Errico cfr. supra. Enrico Panzacchi (Bologna,
1841 - ivi, 1904) ebbe peso certo maggiore nella storia culturale dell’Italia tardo-ottocente-
sca. Segretario della Accademia di Belle Arti di Bologna, caporedattore di «La Rivista Bo-
lognese», dove pubblicò tra l’altro il noto Saggio sull’ingegno critico di Galileo, fu anche
direttore del «Monitore» di Bologna e collaborò al sommarughiano «Nabab» dopo aver di-
retto il «Capitan Fracassa» cui collaborarono anche Pica e Pagliara. Cfr. supra e infra. Di
sensibilità culturale vicina a Pagliara e Pica anche per i suoi interessi musicali e in partico-
lare wagneriani, Panzacchi è autore del volume Riccardo Wagner: ricordi e studi (Bologna,
Zanichelli, 1883), Nel centenario di Rossini (Bologna, Zanichelli, 1892), Nel mondo della
musica (Forense, Sansoni, 1895).
300
Pagliara pubblicò Romanze e fantasie con la Casa Editrice Ricordi, Milano,
1885. Era un’antologia di trentacinque poesie per musica che gli diede notorietà come mu-
sicologo e compositore di versi da musicare. Il libro ebbe molte recensioni, Pica tra i primi.
Cfr. V. PICA, Poesia per musica, in «Il Pungolo della Domenica», a. III, 14 giugno 1885.
301
Nel dividere la grande e varia produzione poetica contemporanea tra «poesia
soggettiva» e «poesia oggettiva», Pica colloca Casa in questo secondo gruppo che risentireb-
216 La seduzione dell’arte

me l’aspettavo – perché non l’ho citato, però con questo ultimo ho fatto sfog-
gio di abilità ed in una lunga conversazione ho fatto completamente svanire la
sua sarcastica dispiacenza persuadendolo che egli, come poeta spiccatamente
soggettivo, non poteva esser nominato nella mia prefazione. Il fatto è che io
una tale prefazione non avrei voluto scriverla e che avevo consigliato il Casa
di rivolgersi invece a qualcheduno di molto conosciuto, come ad esempio il
De Zerbi, e che soltanto mi sono deciso a scriverla allorché ho visto che il
mio rifiuto sarebbe stato preso da lui in mala parte. Del resto io ho per motto
«Cosa fatta, capo ha» ed ora non sono scontento di aver scritto quelle venti-
sette paginette, che rappresentano per me una specie di scaramuccia prepara-
tiva e che mi abituano al fuoco della critica, che dovrò affrontare presto, con
tanto maggior pericolo, mettendo fuori il 1° vol.e dei Moderni bizantini302. Di
esse ho fatto una traduzione o meglio una riduzione, corretta, ampliata in
molte parti e con molti nomi soppressi; – anche il tuo ahimè. Ma mi avresti
tu perdonato di presentarti in Francia accanto all’odiato Carmelo Errico e
come seguace del Panzacchi? – per la «Revue Indépendante»303, traduzione-
riduzione che ti dispiacerà forse meno dell’originale.
Ti ho promesso, nella mia cartolina ultima, una particolareggiata
ed ampia narrazione di quei pettegolezzi, che tu femminilmente prediligi,
ma in questo momento non ne ricordo più nessuno. Cioè uno soltanto ne
ricordo perché personale: nel mio profilo di Abeniacar, Salvatore ha credu-
to, al solito, di scoprire delle allusioni maligne a lui ed è salito su tutte le
furie facendo una partaccia a Di Napoli-Vita304; che gli ha risposto per le

be maggiormente del modello carducciano: «è a questo secondo gruppo che appartiene


l’amico mio Federigo Casa» (ivi, p. XIX). In questo stesso gruppo Pica inserisce anche, tra
gli altri, Guido Mazzoni (ivi, p. XX).
302
Sul progetto (fallito) di riunire in volume i saggi dedicati a I moderni bizantini
cfr supra.
303
Si fa qui riferimento al saggio Chronique Littéraire Italienne. La poésie en
Italie, apparso nella «Revue Indépendante» (tomo II, n. 5, marzo 1887, pp. 346-361), nel
quale Pica riprende, quasi limtandosi a tradurlo, il materiale utilizzato per la citata Prefazione
a Ritmi e fantasie di Casa (cfr. lettera successiva). Sulla stessa rivista il critico firma anche:
Chronique de Venise. Gabriele D’Annunzio, tomo XVII, n. 48, ottobre 1890, pp. 95-103; Les
Modernes Byzantins. Stéphane Mallarmé, tomo XVIII, n. 52, febbraio 1891, pp. 173-215 e n.
53, marzo 1891, pp. 315-160. Fondata a Parigi nel maggio 1884 e diretta da George Chevrier
con redattore capo Felix Fénéon, la «Revue Indépendante» fu interrotta nel maggio dell’an-
no successivo. Ripresa in una seconda serie breve, che durò fino al dicembre 1887, la rivista
con sottotitolo «de la littérature et de l’art», uscì in una terza serie, dal novembre 1886 al
settembre 1895, sotto la direzione di Dujardin, fino alla fine del 1888, poi sotto la direzione
di François de Nion fino al giugno 1891. Pica stesso annuncia la nascita della rivista in un
articolo sulla «Cronaca Sibarita» (V.P. [PICA], “La Revue Indépendante”, in «Cronaca Sibari-
ta», a. I, n. 2, 1 novembre 1884, p. 7, poi in “Arte aristocratica”, pp. 163-165).
304
Il profilo di Carlo Abeniacar era apparso proprio in occasione della Rivista del
1886. Cfr. V. PICA, C. Abeniacar, in «Don Chisciotte», a. II, n. 4, 27 gennaio 1887. Abeniacar
viene presentato «minuscolo, nero, barbuto, occhialuto ed irrequieto livornese, che risponde
I carteggi 217

rime e ad Abeniacar, che è venuto a lagnarsi con me, e che io naturalmen-


te ho mandato a quel paese; ma la conclusione è stata che nel manifesto
della Fenice il nome di Abeniacar è comparso accanto a quello di Di Gia-
como e di Russo, benché sarebbe stato tanto meglio per lui che non vi
fosse comparso; ma non precipitiamo gli avvenimenti, siccome direbbe un
romanziere della vecchia scuola. In questa rubrica dei Pettegolezzi, potrei
trascrivere una cartolina del Cesareo adiratissimo perché il Depanis ha detto
che egli imita il D’Annunzio305, cartolina che chiudesi con la seguente elo-
quentissima apostrofe: «Non vi è peggior dolore che l’imbattersi con dei
critici imbecilli!».
Ed invero quel Depanis è un bravissimo figliuolo, pieno di coscienza
e di ponderazione, ma non vede un palmo più in là della punta del suo naso,
e fa della critica letteraria o musicale, con dei criterii più da burocratico che
da artista: basta leggere un paio di colonne di un suo articolo per accorgersi
subito che egli appartiene al popolo piemontese, al popolo cioè che dà all’Ita-
lia il più gran numero d’impiegati rigidi, scrupolosi e gretti! Chiamami pur
maligno, che certo non tarderà molto a presentarmisi il destro di ricambiarti
un simile epiteto.
A proposito di malignità, l’amico Santojanni avendo letto parecchie
tue lettere con delle identiche – uso Petitti – descrizioni dei Castelli in riva al
Reno, del mare del nord a Scheveningen, dello Scoglio della Loreley ed in
un’identica narrazione degli entusiasmi e delle insonnie procurateti dall’audi-
zione di Tristano ed Isotta, sostiene che tu ti servi del velocigrafo per riprodur-
re buona parte di ciascuna tua lettera. Come è cattivo quel Peppino! Non ha
avuto forse giorni fa il coraggio di affermare che il trattolino di unione che
nella «Letteraria» accoppia il nome di von Holleufer al tuo dimostra ed evi-
denzia, sotto forma lucidamente simbolica, che nei rapporti intimi e greci che
tu innegabilmente hai con codesto barone, tu ti adatti a far la parte passiva?306

indifferentemente ai due nomi di Abeniacar e di Yacamar». Del letterato avvocato Abenia-


car, assente dai dizionari biografici, il ritratto del «Don Chisciotte» giunge a sospettarne la
falsa identità, almeno a ridurre la sua a identità letteraria. Questo, collegato alla polemica
sulla dubbia paternità della Rivista del 1886, aveva evidentemente adombrato Di Giacomo,
il quale, stando alla missiva, avrebbe chiamato a rispondere l’allora direttore, Di Napoli-Vita.
305
Si tratta della recensione al volume di novelle di G.A. Cesareo (Avventure
eroiche e galanti, Torino, Triverio, 1887) apparso nella consueta serie Fra romanzieri e no-
vellieri tenuta da Depanis sulla «Gazzetta Letteraria» (a. XI, n. 9, 26 febbraio 1887, pp. 71-
72). Nella citata recensione Depanis non negava le doti di Cesareo («non ha solamente la
tempra di poeta, ma anche di spigliato ed efficace novelliere») ma aggiungeva una nota
sulla scarsa originalità dell’autore: «nelle avventure galanti egli ricorda assai da vicino i boz-
zetti scapigliati del Mendès, ed in quelle eroiche qua e là, sebbene meno accentuati, si ri-
velano gli ultimi echi dell’influenza D’Annunziana, che per un po’ di tempo invase la lette-
ratura italiana co’ suoi effluvi carnali di bestialità» (ivi, p. 72).
306
Si tratta di una nota redazionale apparsa anonima in «Domenica Letteraria»
del 25 febbraio 1887. Si fa qui, comunque, riferimento all’amicizia di Pagliara con la fami-
218 La seduzione dell’arte

Oh, come ha sorriso, il malvagio, quando io gli ho innocentemente ripetuta


una frase della tua penultima lettera: «col vivo desiderio di sottoscrivermi a
qualche impeto erotico decadente»!.
Ma non voglio più tardare a renderti conto delle due premières, che
rappresentano i più rilevanti avvenimenti del giorno.
Della Fiera ti avrà già scritto a lungo Santojanni307; spedendoti il li-
bretto, ti avrà detto che, la prima sera, gli applausi e le chiamate al maestro
ed al poeta sono state molto rumorose, ma che ciò non pertanto l’opera, ad
onta di un sestetto di un duetto e di qualche altro bel pezzo, non è vitale ed
annoia e che il libretto, contiene qua è là dei graziosissimi versi napoletani,
ma manca completamente di azione, di situazioni sceniche, di vis comica ed è
sovente puerile; ti avrà detto che la stampa fatta eccezione – e pour cause –
pel «Pungolo» si è mostrata severa così pel maestro come pel librettista; ma
ciò che non ti avrà detto è che Colautti, nell’impeto della sua indignazione,
aveva scritto 7 od 8 cartelle ferocissime contro La Fiera, che poi furono ridot-
te alle poche righe, abbastanza pepate, che anche tu avrai lette sul «Corrie-
re»308. In quanto alla Rivista del 1886, rappresentata per la prima volta mer-
coledì sera alla Fenice, i fischi incominciarono al 3° quadro del I atto e prose-
guirono ininterrotti ed accoppiati a urli e a contumelie d’ogni sorta sino alla
fine dello spettacolo309. Pareva di assistere ad una natalizia rappresentazione
della Nascita del Verbo Incarnato310 ed a completare l’illusione non mancava
il tradizionale grido Fetiente, fetiè! che veniva di tratto in tratto giù dalla pic-

glia dei baroni von Holleufer. Dei suoi viaggi a Bayreuth e a Schloss Neuburn, ospite del
barone von Holleufer, rimane traccia nel citato carteggio con Martucci. E alla sorella del
barone von Holleufer è dedicata Riflessi nordici (cit.), raccolta di traduzioni di liriche tede-
sche del 1899. Cfr. supra.
307
Sulla Fiera di Nicola D’Arienzo e sulle recensioni all’opera, cfr. supra, lettere
LVI e LVIII. A proposito, invece, della corrispondenza di Giuseppe Santojanni, nella FP del-
l’Università Suor Orsola Benincasa non sono state rinvenute lettere a firma di Santojanni.
Nella «Raccolta Di Giacomo», conservata presso la Biblioteca Lucchesi Palli della Naziona-
le di Napoli (segnatura: Racc. Di Giacomo, mss. Di Giacomo, Ba I A) sono presenti 8 co-
municazioni indirizzate da Di Giacomo a Santojanni.
308
La recensione apparve nel «Corriere del Mattino» del 2 marzo 1887. cfr su-
pra, lettere LVI e LVIII.
309
Gli insuccessi furono registrati anche dal benevolo Bracco, che però teneva a
precisare quanto le polemiche, dopo pochi giorni, fossero finite. Cfr. Baby [R. BRACCO],
«Teatri», in «Piccolo», a. XX, 6-7 marzo 1887, p. 3: «Per un caso impreveduto e imprevedi-
bile, in questa rubrichetta non si fece cenno della prima rappresentazione della Rivista alla
Fenice. Tanto meglio: il caso ci ha risparmiato l’impiccio di constatare la burrasca di quella
prima rappresentazione, le cui vittime innocenti erano amici nostri carissimi. Ma alla burra-
sca è succeduto il buon tempo, e ogni sera un pubblico numeroso applaudisce la Rivista
della Fenice...».
310
Si fa qui anche riferimento, oltre che generico, all’opera La Nascita del Verbo
Umanato, opera su testo di Luigi Aversa e postfazione di Francesco Petillo, edita a Napoli
dai fratelli Carluccio nel 1875.
I carteggi 219

cionaia. Fu una vera catastrofe, una novella Sahati311, di cui i generali furono
il De Leva ed il Costa, che almeno videro applaudite dal pubblico due loro
graziose canzoncine. L’insuccesso fu del resto meritato giacché la Rivista, fat-
ta eccezione per una scena molto graziosa del I atto e per qualche motto qua
e là, è una cosa disordinata e scipitissima, di maniera che non può dirsi trop-
po ingiusto il giudizio satiricamente sintetico che ne ebbe un popolano ad alta
voce, dopo il II atto: «Comme, comme se songo accucchiate nove persone pe’
combinà sta fessaria?!!...». Il contegno però di una parte del pubblico fu addi-
rittura scostumato. Il Di Giacomo, dopo i primi fuochi, scappò via a casa,
mentre invece il Russo e l’Abeniacar assistettero a quasi tutto lo spettacolo e
poi sostennero – bisogna dirlo a loro onore – con grande presenza di spirito
gl’innumerevoli sarcasmi degli amici al Gran Caffè, benché naturalmente non
poco dispiaciuti da un così solenne fiasco, che nessuno di noi invero si aspet-
tava – Honneur au courage malheureux!
Un fascio di notizie. Il «Corriere di Roma» avrà presto una pagina
napoletana, compilata da Di Giacomo e da Gervasi, che ha abbandonato da 4
giorni il «Piccolo»312. Fra breve uscirà, ispirato da Bovio e diretto da Torre,
«L’Esame», giornale settimanale di scienze, politica e letteratura: il formato
sarà quello della «Bizantina». In aprile vedrà la luce un romanzo del carissimo
Mezzanotte, e forse il Pompei del buon Conforti, ambidue editi da Pierro313.
Del Monasterio [sic] non si hanno più nuove. Graziosissime le edizioni Trive-

311
Pica fa ironico riferimento alla nota battaglia di Sahati, che insieme a quella di
Dogali, furono combattute nel gennaio 1887 (cfr., tra gli altri, il ricordo di C. ANTONA TRA-
VERSI, Sahati e Dogali, 25 e 26 gennaio 1887, Roma, 1887) e all’eroe di guerra Franco Ni-
chelini Tocci.
312
Diretto dalla napoletanissima coppia Scarfoglio-Serao, la testata romana – pur
non avendo una rubrica specifica – da tempo dava grande spazio alle notizie letterarie par-
tenopee come anche alle firme partenopee che collaboravano attivamente alla rivista, Di
Giacomo e Gervasi con loro. In quella primavera 1887, in particolare, compaiono lunghe
recensioni ai Monasteri di Di Giacomo; viene ospitata la polemica a proposito della Rivista
del 1886, tra Russo Abeniacar e Scarpetta (cfr. letere LVI e LVIII), e soprattutto L’Ostricaro
[Scarfoglio], il 21 prile 1887, avrebbe firmato un grazioso quanto pungente articolo contro
gli intellettuali e artisti napoletani riuniti al Gran Caffè (Il ventre di Napoli, in «Corriere di
Roma illustrato», a. III, 21 aprile 1887).
313
Si fa qui riferimento a La tragedia di Senarica (cit.), tra le maggiori opere di
Mezzanotte, e al volume Pompei, di Luigi Conforti, che però vede la luce nel 1888. Quest’ulti-
mo volume non convincerà Pica, il quale ne parla sinceramente a De Roberto. Cfr. V. Pica, let-
tera a Federico De Roberto, 1 aprile 1888, in ID., Lettere a Federico De Roberto, cit., p. 130:
«Del resto io credo che a te, appassionato di modernismo il Pompei piacerà poco assai, come
poco assai è piaciuto a me, che mi sono astenuto saggiamente dal dedicargli un articoletto, che
doveva riuscire o poco sincero o poco amichevole». Differente invece il giudizio sulla Tragedia
di Senarica di Mezzanotte, che Pica più volte loda allo stesso De Roberto. Cfr. V. Pica, lettera a
Federico De Roberto, 18 luglio 1887, ivi, p. 114: «Fra giorni riceverai una copia del bellissimo
romanzo di Mezzanotte che a te raccomando come se fosse opera mia». Sulla organizzazione
pubblicitaria per la Tragedia di Senarica approntata da Pica cfr. anche le lettere di Pica a Mez-
zanotte in G. OLIVA, Giuseppe Mezzanotte ..., cit., pp. 235-265.
220 La seduzione dell’arte

rio, ma molto scorrette314. Guerra allo sposo della coppia Valente-Fiordelisi


sarà rappresentata verso la fine del mese315. Crisi nella redazione della «Na-
poli letteraria» in seguito al rifiuto dell’articolo contro Morello, e per la quale
ne sono usciti Ricciardi e Casertano316.
La carta mi manca ed io, provvidenzialmente per te, fo punto e basta.
In attesa di una tua sollecita lunghissima risposta mi ripeto
Tuo aff.mo
Vittorio

P.S. In quanto ai 3 sonetti di Rimbaud che tu desideri tanto di legge-


re317, forse per apprendervi qualche nuova raffinatezza anacreontica, non ti
farò leggere che al tuo ritorno il quale, spero, non vorrai rimandare sempre
alle calende greche.

LX
Lettera su 2 cc. di cm 26x21, ripiegate lungo la base.

Domenica, 13 marzo 1887


Mio caro Rocco, a quest’ora sarei dovuto essere in treno sulla via di
Roma, ma Papà non si è sentito troppo bene ed il nostro viaggio viene così
ritardato di due o tre giorni. Questo ritardo mi ha fatto ricevere stamane la
tua lettera, alla quale rispondo subito, sia perché a Roma, nei primi giorni,
avrò poco tempo e poca voglia di scrivere, sia perché non ho coraggio di re-
stare, neppur per un giorno, sotto il peso davvero schiacciante della tua requi-
sitoria, senza tentare di scolparmi almeno in parte.
Ti ringrazio però della cura messa nel sussidiare con esempii, sia
anche minuscoli, le censure e gli appunti, un po’ troppo vaghi e generali, e
perciò inefficaci, della precedente tua lettera318. La tua pazienza nel ricerca-

314
Si fa qui riferimento alla notissima opera digiacomiana ’O munasterio (Napoli,
Tocco, 1887. Cfr. supra, carteggio Di Giacomo). Per le edizioni dell’opera e per le recensio-
ni apparse, cfr. supra, carteggio Di Giacomo, lettera XXV. Di lì a poco, nella citata rivista
romana «Corriere di Roma illustrato», sarebbe apparso un ampio brano dell’opera digiaco-
miana (a. III, 13 giugno 1887); e sarebbero seguite anche ampie recensioni, una a firma di
Gibus [Serao] (ivi, a. III, 2 luglio 1887) e una della Contessa Lara (ivi, a. III, 9 luglio 1887).
315
Si tratta dell’operetta di Vincenzo Valente su libretto di Alfonso Fiordelisi,
rappresentata per la prima volta il 24 marzo 1887 al Teatro Nuovo. Più tardi Pica avrebbe
parlato della rappresentazione come di un fiasco. Cfr. infra, lettere LXI e LXII.
316
Oltre al citato Michele Ricciardi, si nomina qui, con ogni probabilità, Antonio
Casertano (Capua, 1863 - ivi, 1938), deputato in diverse legislature, Presidente della Came-
ra dal 1925 al 1928, avvocato civilista, il quale si occupò anche di letteratura. Sulla collabo-
razione di Pica alla rivista e sulla vita stessa del periodico, cfr. supra, lettera LXI.
317
Sui sonetti di Rimbaud cfr. supra, lettere LVI e LVIII.
318
Si parla della Prefazione che Pica firma a F. CASA, Ritmi e fantasie, cit.
I carteggi 221

re nella mia prefazione gli errori e le inesattezze capitatevi, mi ha fatto ri-


pensare a quella, non meno utile e lodevole, impiegata dalle donne del no-
stro popolino in un’operazione, denominata pittorescamente dagli stranieri:
la chasse hideuse. Eccomi dunque pronto, o valoroso spulciatore degli arti-
coli altrui, a difendermi da alcune delle accuse che mi fai ed a lealmente ac-
cettarne altre, che anche a me sono sembrate del tutto giuste. Comincio col
farti notare che, nella mia prefazione io ho detto, che, tanto tu quanto Erri-
co319, nei due volumi pubblicati, avete dimostrato di possedere ciascuno una
nota personale, e che l’unico mezzo per citare il tuo nome era quello di riat-
taccarti al Panzacchi320, col quale tu stesso convieni di avere qualche nota
comune, ché anzi tu perdippiù confessi coscienziosamente che 3 o 4 tue
poesie hanno grandi affinità con le romanze del poeta di Lyrica321. E pas-
siamo subito ai tuoi spietati freghi azzurri, coi quali ti sei furbamente assicu-
rata la proprietà del fascicolo da me inviatoti: o erotico amico, non potendo-
mi fregare fisicamente ti sforzi, con ogni tua possa, di fregarmi idealmente e
da lontano! Io non mi sono mai sognato di attribuire assolutamente, come tu
affermi, l’esaltazione dell’amor platonico ad Aleardi, né ho creduto fargliene
una colpa, tanto è ciò vero che, se lo spazio non me lo avesse vietato, avrei
tradotto in francese i versi delle Lettere a Maria che incominciano: «Mia
non sarai: ti chiamerò col nome – placido di sorella» etc., che io trovo molto
belli322. Nessuno meglio di te può sapere che io, pur conservando le mie
maggiori simpatie pel movimento verista, non disdegno gl’idealisti, purché
non sia progettata e speculativa svenevolezza od anche scrupolosa fiacchezza
di organismo che li spinge a mordere «au citron d’or de l’Ideal amer»; ed i
miei recenti studi su Mallarmè e su Verlaine, i quali, a quanto almeno mi
scriveva giorni fa una forte e simpatica scrittrice spagnola Doña Emilia Par-
do Bazan323, sono riusciti molto poco graditi al gruppo verista francese, non

319
Per altri riferimenti e notizie sul già citato scrittore Carmelo Errico cfr. supra,
lettere del [< 15 marzo 1883] e del 4 marzo 1887.
320
Pagliara sarebbe diventato amico di Enrico Panzacchi. Nel FP infatti (fascicolo
VII, busta 103) sono conservate due lettere di Panzacchi a Pagliara, una datata 1 luglio 1889
e una datata 16 agosto 1894. Per una nota biografica su Panzacchi cfr. missiva precedente.
321
Pica fa riferimento alla raccolta poetica dell’amico corrispondente (R. PAGLIA-
RA, Romanze e fantasie, cit.), ricordando invece Panzacchi come l’autore di Lyrica: romanze
e canzoni, Bologna, Zanichelli, 1877.
322
Pica cita il volume del poeta romantico Aleardo Aleardi, Lettere a Maria,
Verona, Tip. Pietro Naratovich, 1846 [poi Verona, Libreria della Minerva, 1858].
323
A Emilia Pardo Bazán (La Coruna, 1852 - Madrid, 1890), romanziera di colo-
re di successo in Spagna, Pica dedicò un articolo-recensione al suo volume Le naturalisme,
apparso in «Napoli Letteraria», a. III, 11 luglio 1886. Anni dopo, lo stesso Pica avrebbe
dedicato un altro articolo alla scrittrice, ospitato nel supplemento domenicale di Matilde
Serao; vi definiva l’autrice spagnola «una delle più spiccate personalità dell’odierna lettera-
tura spagnola» (V. PICA, Il canzoniere d’una madre, in «Mattino-supplemento», a. II, n. 4, 27
gennaio 1895, pp. 1-2). Fu inoltre grazie alla mediazione di Pica che Pardo Bazán divenne
collaboratrice dello stesso «supplemento», tanto aperto alle donne scrittrici e alle questioni
222 La seduzione dell’arte

sono forse la pruova più eloquente che io non mi sono punto fermato alla
prima taverna, alla taverna del Naturalismo, e che so mostrarmi anche ec-
clettico, in una certa forma e dentro certi limiti e purché non si tratti mai
d’idealismo banale? Dunque l’accusa di aver io strapazzato questo o quel po-
eta soltanto perché idealista e che dell’idealismo per se stesso io abbia fatto
un capo di accusa parmi che non abbia base solida. Ti pare che le lodi e le
censure che io fo al Zanella324 non siano conciliabili fra loro? Ebbene per
tutta risposta ti consiglio di rileggere i versi dell’abate veneto e forse conver-
rai anche tu che, se nella scelta di qualche parola sono stato non troppo feli-
ce, nell’insieme del giudizio ho toccato giusto. Pel Fontana325 tu stesso, nuo-
vo Saturno, ti sei rimangiata la tua accusa di omissione nel gruppo lombardo
e quindi io nulla ho da aggiungere. In quanto al Tarchetti, è vero sì che i
suoi Disjecta furono pubblicati dopo il 1877326, benché alcuni, credo, già an-
teriormente stampati sui giornali, ma non bisogna dimenticare che egli, al
tempo della pubblicazione era già morto da un bel pezzo e che i suoi versi
quindi dovettero tutti esser composti parecchi anni prima e poi la parola ré-
sumè si riferisce, mio caro ricercatore di peli nelle uova degli amici, a tutto
l’insieme della produzione lombarda-bohème e non soltanto a quella del Tar-
chetti. Fu o non fu capo-gruppo il Rovani? Fu egli oppur no che diresse in
una certa via i suoi amici? Ti pare proprio che fosse lì il posto opportuno di

femminili in genere. Sul domenicale della Serao, infatti, apparvero due racconti: La sete di
Cristo (in «Mattino-supplemento», a. II, n. 16, 28 aprile 1895, p. 1); Sirena (ivi, a. II, n. 24,
30 giugno 1895, p. 2). Per un ampio e dettagliato quadro sulla vita del supplemento dome-
nicale del «Mattino» cfr. D. TROTTA, La via della penna e dell’ago. Matilde Serao tra giorna-
lismo e letteratura, Napoli, Liguori, 2008, p. 44 ss. La stima per la scrittrice spagnola, inol-
tre, spinge Pica a sottoporre il suo volume Bucolique (traduzione di L. Garcia Ramòn, Sa-
vine, 1887) a Felice Cameroni, ottenendone una recensione (F. Cameroni, Rassegna biblio-
grafica, in «Il Sole», a. XXIV, 9 luglio 1887). Cfr. F. Cameroni, lettera a Vittorio Pica, 12
giugno 1887, in Cameroni, pp. 98-99.
324
Traduttore tra gli altri di Teocrito e Catullo, il fiero classicista autore di Una con-
chiglia fossile, Giacomo Zanella (1820-1888), poeta veneto, professore emerito di Letteratura
Italiana all’Università di Padova e poi Rettore dello stesso Ateneo (1871-1872), aveva già pub-
blicato, al 1887, oltre a moltissime poesie d’occasione, anche i volumi di Versi (Firenze, Bar-
bera, 1878) e Nuove poesie (Venezia, Segre, 1878) ed era stato ospite a Napoli, conferenziere
al Circolo Filologico, il 17 maggio 1877 con una lezione Alla gioventù napoletana.
325
Al poeta della scapigliatura lombarda, Ferdinando Fontana (1850-1919), auto-
re di Poesie e novelle in versi (Milano, Galli, 1877) e di Nuove Poesie (Bologna, Zanichelli,
1882), Pica accenna nella sua Introduzione a F. CASA, Ritmi e Fantasie, cit., p. XIII.
326
Il volume Disjecta del noto scapigliato Igino Ugo Tarchetti apparve a Bologna,
per i tipi di Zanichelli, nel 1879 [II ed. 1882]. Pica si difende dalle accuse evidentemente
rivolte da Pagliara contro la sua periodizzazione. Nel citato saggio introduttivo, infatti, Pica
segna una cesura al 1877, individuando all’altezza di quella data una svolta decisiva per la
poesia italiana: era una «novissima fioritura lirica. Prima di quell’anno principi della poesia
nazionale erano considerati Prati, Aleardi, e in seconda linea, l’abate Giacomo Zanella» (V.
PICA, Prefazione a F. CASA, Ritmi e fantasie, cit., p. IV). A questa fioritura Pica ascrive anche
il Tarchetti di Disjecta.
I carteggi 223

fare delle simili e intricate ricerche, piuttosto che di contentarsi di ciò che
afferma la voce comune? Ogni cosa deve esser fatta a tempo ed a luogo.
Hai ragione in quanto mi rimproveri di non aver citato Fiabe e Leggende327
ed io, contrito per un tal peccato di omissione, mi batto il petto esclamando,
come di rito: mea culpa, mea culpa! Benché pure, a mia discolpa, potrei
fare osservare, che io, citando Tavolozza intendevo parlare anche di Fiabe e
Leggende, che con essa formano, nell’edizione Casanova, un sol volume328.
In quanto poi ai due volumi di prosa, non era il caso di parlarne, giacché i
periodi riguardanti Praga, Boito e Tarchetti formano quasi una parentesi, de-
terminata e limitata dalle prime tre o quattro righe, mentre del D’Annunzio
invece, nell’articolo della «Revue Indépendante»329, si parla di proposito del
Boito, poi come musicista non potevo parlare che in un inciso ed essendo
così non potevo discutere il valore reale del Mefistofele330 e narrarne la ge-
nesi: se di ogni particolare mi fossi voluto soffermare con tanta cura e tanto
scrupolo avrei scritto un volume e non già una modesta prefazione331. Pas-
siamo oltre. Non ho detto nulla delle poesie con accento sentimentale dello
Stecchetti, perché meno caratteristiche e composte più che per altro per
giustificare il preambolo col giovane poeta morto tisico; del resto la frase:
«l’intonation ironique et égrillarde, qui domine dans la plupart des gracieu-
ses pièces de Postuma»332 lascia di leggieri indovinare che nel volume del
Guerrini vi sono altre poesie, in minor numero, d’intonazione differente333.

327
Il volume Fiabe e leggende di Emilio Praga era apparso nel 1867 (Milano,
Casa editrice degli autori-editori).
328
Qualche anno prima della missiva, nel 1884, era apparsa una seconda edizione
di Fiabe e leggende (con illustrazioni di Edoardo Calandra e Mario Michela, Torino, Casa-
nova, 1884).
329
Pica fa qui riferimento al citato suo articolo Chronique Littérarire Italienne.
La poésie en Italie, (cit.). L’articolo riprende gran parte della Prefazione al Casa. Cfr. supra,
lettera precedente.
330
Il Mefistofele di Boito (la cui prima rappresentazion fu al Teatro alla Scala il 5
marzo 1868 e il cui libretto fu edito nel 1876 dalla casa Ricordi di Milano) venne rappre-
sentato a Napoli, al Teatro San Carlo, nel marzo 1884.
331
Sugli scapigliati aveva scritto Pica nella citata Prefazione: «Pure è doveroso
rammentare che una nota umana, giovanile, nervosamente ed angosciosamente moderna
avevano tentato di farla risuonare nei loro versi, apprezzati soltanto dopo il 1877, [...] tre
giovani scrittori, appartenenti a quel cenacolo di letterati e di artisti lombardi, capitanati dal
Rovani, la maggior parte dei quali rimasero vittime di una stolta imitazione della vita scapi-
gliata e piena di stravizi dei bohémiens parigini. Il lettore avrà già compreso che io intendo
parlare di Emilio Praga, di Iginio Ugo Tarchetti e di Arrigo Boito» (V. PICA, Prefazione a F.
CASA, Ritmi e fantasie, cit., pp. v-vi).
332
Pica riporta la citazione dal suo saggio nella «Revue Indépendante», Chroni-
que Littérarire Italienne. La poésie en Italie, (cit., p. 350).
333
Sul Guerrini di Postuma aveva scritto Pica nella sua Prefazione: «fu un delirio
da non potersi descrivere, furono degli entusiasmi e degli sdegni non mai per lo innanzi
visti, fu un accapigliarsi violento, furibondo da un capo all’altro d’Italia in nome della nuova
scuola...» (V. PICA, Prefazione a F. CASA, Ritmi e fantasie, cit., pp. VII-VIII).
224 La seduzione dell’arte

Mi accuso di nuovo senz’altro di aver peccato d’omissione, non nominando


Polemica – ricca in colore (un francesismo tuo e non mio, ché io ho scritto
invece, nel testo italiano, ricca di colore) è un luogo comune laudativo, a cui
non bisogna dare più importanza di quella che realmente ha.
Forse hai ragione in quanto alla precedenza, nella difesa dei metri
barbari del Chiarini sul Carducci, il quale anche lui, come io ho verificato e tu
medesimo riconosci, li difese con calore; ma io – a rifletterci bene – non ho
parlato di antecedenza dell’uno sull’altro, ma ho detto soltanto che il Chiarini
combattè strenuamente accanto al Carducci ed ho poi soltanto del Chiarini in-
dicati sommariamente gli argomenti addotti334. Il dire poi che, col volume La-
chrymae (consulta, se lo hai costì, un dizionario latino e ti persuaderai, mio
buon pedante, che si può dire così lacryma come lachryma)335, il Chiarini det-
te una ripruova splendida e positiva della sua dimostrazione critica, non può,
in modo alcuno, condiderarsi come una menomazione del merito del Carduc-
ci, come poeta barbaro, tanto più che pruova positiva è, come concezione op-
posta a dimostrazione teoretica. Io non ho inteso dire che soltanto i poeti mo-
derni inglesi posseggono la semplicità e il naturale (io avevo detto più italiana-
mente: la naturalezza), ma bensì che il Chiarini ha descritto parecchie scene
dell’intima vita familiare con una s.[emplicità] ed una n.[aturalezza] che trova-
no riscontro soltanto nella poesia inglese336. Teocrito dunque c’entra come i
cavoli a merenda. Bisogna pure che chi legge sappia leggere! In quanto alla
sérénité souriante et vraiment grecque337, bada che essa riferiscesi soltanto al
poeta delle Odi Barbare e non già al Carducci des brilantes poésies politiques
et du rebelle et athèe Inno a Satana338, che se poi anche fra le Odi Barbare ve
ne sono di quelle che non meritano l’epiteto di paganamente serene, non c’è
che a rammentare la vecchia sentenza grammaticale: le eccezioni provano la
regola. Infatti Mommesen [sic] non ha tradotto che qualcuna delle Odi di Car-
ducci, ma qui l’errore non è mio ma del [...], giacché ricordo bene di aver
scritto: «ont été, presque toutes, traduites en allemand et même deux ou trois

334
Aveva scritto infatti Pica nel testo: «Ed accanto a lui [Carducci] strenuamente
combattè il suo carissimo amico Giuseppe Chiarini, il quale, con profonda dottrina e con
mirabile evidenza di ragioni e di esempi, dimostrò che l’adattamento dei metri barbari alla
poesia moderna non soltanto era stata effettuata con ottimi risultati in Germania, ma che
era eziandio stata tentata, per quanto parzialmente ed incompletamente, da vari nostri clas-
sici scrittori, e dimostrò d’altra parte non esser punto vero che tali metri fossero contrari
alla peculiare indole della nostra lirica; e di una tale dimostrazione egli dava di lì a non
molto una splendida riprova, pubblicando Lacrymae, in cui sono state raccontate le ango-
scie di un padre per la morte dell’adorato primogenito...» (ivi, p. XIV).
335
Sulle Lacrymae di Chiarini (cit.) Pica aveva chiesto notizie e giudizi proprio a
Pagliara. Cfr. supra, lettera X.
336
Così nella Prefazione a F. CASA, Ritmi e fantasie, cit., p. XXII.
337
Pica attinge alternativamente al testo della Prefazione al Casa come anche al
saggio apparso sulla «Revue Indépendante» (Chronique Littéraire Italienne, cit., p. 353).
338
Ivi, p. 346.
I carteggi 225

par l’illustre T. Mommsen»339. È o non è l’abolizione della maiuscola al princi-


pio del verso un’innovazione del Carducci? Tu lo neghi, senza dire di chi inve-
ce è. Io so soltanto che essa è generalmente attribuita al Carducci, il quale è
stato per essa spesso e volentieri posto in berlina dai suoi avversari. Io poi ho
aggiunto che l’ho con piacere vista adottata da qualche poeta francese, senza
però affermare che il Verlaine e gli altri l’abbiano direttamente imitata dal
Carducci, che essi forse conoscevano appena di nome. Tu poi credi che Luci-
fero e Giobbe del Rapisardi non siano punto dei poemi désordonnés; che Nen-
cioni non meriti di essere citato quale poeta; che Betteloni non sia modesto
(eppure una tale lode mi pareva proprio di avergliela sentita fare replicata-
mente da te!); che la prosa del De Amiciis sia inferiore alla sua poesia (!!!); che
il Cavallotti non meriti di essere trattato severamente, come ho fatto io?340 Ma
queste, mio caro, sono opinioni tutt’affatto personali e tu mi concederai, spe-
ro, di poter giudicare di alcune cose diversamente da te. Ammetto che col
D’Annunzio mi sono mostrato molto laudativo, ciò che mi è stato aspramente
rimproverato dall’amico Cesareo, ma ti confesso che la guerra sleale, mossagli
da certi ex-amici ed ex-ammiratori suoi, mi ha stomacato e me lo ha reso oltre-
modo simpatico. In quanto alle influenze dei poeti italiani del XV secolo, già
constatate dal Nencioni nel «Fanfulla»341, ed a quelle evidenti dei parnassiani
e dei preraffaelliti, non fa punto bisogno che si accordino esteriormente fra
loro, poiché succede spesso che nel cervello di un artista s’incontrino e si
amalgamino due opposte influenze e generino un nuovo raffinato ideale d’ar-
te. Sissignori, scrivesi Isaotta Guttadauro e non Isotta di Guttadaura, Canto
novo e non Canto nuovo, nel secondo caso però potevi ben notare che 8 o 10
righi innanzi avevo scritto esattamente il titolo del volume del D’Annunzio, il
quale, sia detto fra parentesi, sembra sia restato molto contento del mio arti-
colo, giacché, giorni fa, ha parlato di esso e di me con espressioni abbastanza
lusinghiere nella «Tribuna»342. Infine il giudizio sul Marradi343 è esattissimo e

339
Ivi, p. 353. Cfr. T. MOMMSEN, Carducci, Berlin, 1879.
340
Cfr. ID., Prefazione a F. CASA, Ritmi e fantasie, cit., pp. XXII-XXV.
341
Si fa qui riferimento, forse, all’articolo di Enrico Nencioni apparso mesi prima,
Medaglioni (in «Fanfulla della domenica», a. VIII, n. 26, 27 giugno 1886, pp. 1-2), dedicato ad
Enrichetta d’Inghilterra e alla poesia dei secoli XV e XVI; oppure ci si riferisce forse all’articolo
su d’Annunzio, apparso dopo, poche settimane prima di questa missiva (E. NENCIONI, Isaotta
Guttadauro, in «Fanfulla della domenica», a. IX, n. 6, 6 febbraio 1887, pp. 1-2).
342
La lettera di d’Annunzio apparve in «La Tribuna» il 5 marzo 1887.
343
Giovanni Marradi (Livorno, 1852 - ivi, 1922), poeta toscano seguace di Car-
ducci (Cfr. anche E. NENCIONI, Le poesie di Giovanni Marradi, in «Fanfulla della domeni-
ca», a. IX, n. 24, 12 giugno 1887, pp. 1-2), spesso noto con lo pseudonimo di Labronio, col
quale pubblicò il volume Canzoni moderne di G.M. Labronio (1879). Con la firma di Mar-
radi pubblica versi anche su diverse testate, non ultima la «Cronaca Bizantina». Collabora-
tore, come Pica e Pagliara, anche del «Fanfulla della domenica», dove pubblicò per lo più
versi, è autore, tra l’altro, di Canzoni e fantasie (II ed. Roma, Sommaruga, 1883), si fa qui
riferimento, pochi righi dopo questa prima citazione, al citato volume Canzoni moderne.
Cfr. V. PICA, Prefazione a Ritmi e fantasie, cit.
226 La seduzione dell’arte

scritto in seguito ad una rilettura dei suoi due volumi Paesaggi e marine e Ri-
cordi lirici344, nei quali il dolore per la sorella morta, la descrizione del mare,
le scene in treno ferroviario ricompaiono quasi ad ogni pagina. Ricordo anzi
che nel primo mediocrissimo volume, Canzoni Moderne, pubblicate col pseu-
donimo di Labronio, il Marradi, in un poco felice impeto lirico, minacciava di
schiaffeggiare la sbuffante locomotiva, che gli portava via l’amata. Sei tu, amico
caro, che non li ricordi più i versi del Marradi, che io non mi periterei di defi-
nire il poeta che va in ferrovia!345
Finisco questa mia lunga difesa col farti osservare che negli studii criti-
ci come quelli per Mallarmè, Verlaine, i Goncourt e simili bisogna badare così
all’insieme come ai più minuti particolari, mentre invece quelli, che, come il
mio della «[Revue] Indépendante», si prefiggono di dare un concetto generale
di un certo movimento letterario, in un dato paese e in un dato periodo di tem-
po più o meno lungo, debbono produrre più che altro un effetto d’insieme e
possono, direi quasi debbono, non essere scrupolosissimamente esatti nei parti-
colari: i primi li paragonerei, si parva componere licet ecc., a dei quadri di Meis-
sonnier346 da guardarsi particolareggiatamente da vicino; i secondi a degli affre-
schi da chiesa, che bisogna ad ogni costo guardare da lontano.
Inutile aggiungere ancora una volta che non soltanto io non mi sono
dispiaciuto per i tuoi appunti, ma che te ne sono gratissimo e voglio che tu fac-
cia sempre così in appresso; inutile farti osservare che se, difendendomi, ti ho
tirato qualche stoccata è stato soltanto per seguire una elementare regola di
scherma, che vuole che non soltanto si pari la botta dell’avversario, ma si rispon-
da eziandio con un’altra botta. Ora dunque da bravi cavalieri non ci resta che
salutarci coi fioretti (nel caso presente i nostri fioretti sono le nostre penne) e a
stringerci la mano, a meno che tu non voglia tirare ancora qualche altro colpo,
che io tenterò di parare alla meglio, così come ho fatto per i precedenti.
Mi sono talmente dilungato nella mia difesa che mi manca lo spazio
per il solito maligno notiziario; te lo manderò invece da Roma, aggiungendovi
qualche grazioso pettegolezzo raccolto sul posto. S’intende però bene che tu
devi prima riscrivermi lungamente, indirizzandomi la lettera in Via S. Andrea
della Fratte n°24.
Del tuo sonetto ti dirò che le due quartine mi sembrano mediocri
(anzi la prima mi pare anche poco comprensibile) con qua e là delle parole
poco esatte o poco felici (Fari è la meta per diversa via; tutto prorompe il già

344
Del citato Giovanni Marradi, Pica menziona in realtà le Fantasie marine (Pi-
stoia, F.lli Bracali, 1881) e il più noto volume Ricordi lirici, edito prima da Sommaruga,
Roma, 1884 e poi, con prefazione di E. Panzacchi, Milano, Treves, 1893 (una versione dei
versi, per musica di Luigi Salina, apparve a Bologna, Achille Tedeschi, 1897).
345
Si cita da Labronio [G. MARRADI], Canzoni Moderne, cit., p. 21.
346
Juste-Aurèle Meissonnier (1690-1750) pittore, scultore e architetto francese
ma nato a Torino, noto per la stravaganza del suo stile decorativo, che lo rese molto popo-
lare. Cfr. P. FUHRING, Juste-Aurèle Meissonnier: un genio del rococo (1695-1750), Torino,
Allemandi, 1999.
I carteggi 227

represso ardore)347, mentre invece bellissime trovo le due terzine, ad onta che
sciupate da quel troppo materiale e poco opportuno trascina, che le chiude.
T’accludo il sonetto [...], concepito molto differentemente dal tuo, ma abba-
stanza bello e ti annunzio che Stuart Merrill prepara il XXII sonetto col titolo
di Le Cycle de Wagner348.
Vogliami bene e credimi tuo
aff.mo amico Vittorio.

LXI

Lettera su foglio di carta di cm 23x18, ripiegato lungo la base.

Napoli, 16 aprile 1887


Mio carissimo Rocco, eccomi di nuovo, con immensa mia letizia, a Na-
poli, che mi appare sempre più affascinante dopo una dimora di 20 o 30 giorni a
Roma, bella, monumentale quanto si vuole, ma pur tanto pesante, tanto mono-
tona, tanto uggiosa ... E le donne ... quando ritorno qui, rivedendo le vivaci na-
poletane, mi pare sempre di riacquistare la nozione di qualche cosa di magnifi-
co e di misterioso, di qualche cosa che forma la poesia della creatura umana: gli
occhi. Soltanto qui al Mezzodì essi rilucono, parlano, ammaliano; le splendide
romane hanno così come le statue dei buchi invece di occhi.
Da Roma avrei voluto, avrei anzi dovuto scriverti, ma il tempo proprio
mi mancava per riempire colle mie zampe di mosca le parecchie paginette di
lettera, alle quali ti ho assuefatto, durante questa tua interminabile assenza349.
Ora che sono qui, comodamente attablé alla mia cara scrivania, posso pur dilun-
garmi a chiacchierare, a malignare a pettegolare teco a mio bell’agio.
La sera prima di partire da Roma ho assistito alla prima del Vascello-
Fantasma all’Apollo350, per cui ho ritardato di due giorni il mio ritorno; ma
posso io parlare a te di un’opera di Wagner, a te autore di acclamati articoli e

347
Si tratta del sonetto Miraggio!, apparso in «Gazzetta Letteraria», a. X, n. 49, 4
dicembre 1886, p. 396.
348
Si tratta di Stuart Fitzrandolph Merrill (New York, 1863 - Versailles, 1915) poeta
americano vissuto in Francia, seguace del simbolismo, autore wagneriano; Le cycle de Wagner
sarebbe stato incluso nella postuma raccolta di scritti Prose et vers, oeuvres posthumes, Pre-
facè d’André Fontainas, Paris, Messein, 1925. Tra gli altri scritti dell’autore si ricordano Les
gammes (Paris, Venier, 1887) e Pastels in Prose (New York, Harper & Brothers, 1890). Pica si
occupa dell’autore nel saggio Giovani poeti, in «Don Chisciotte», a. II, n. 23, 5 giugno 1887.
349
Pagliara si trova in Germania. Cfr. supra.
350
Le prove generali del capolavoro wagneriano Der fliegende Holländer, più
noto come Vascello fantasma, si erano svolte il 3 aprile; il debutto ci fu il 4 aprile al Teatro
Apollo appunto. L’opera ebbe un gran successo di pubblico, a dispetto di una critica più
fredda. Cfr. H. BERLIOZ, Il Vascello Fantasma, in «Corriere di Roma illustrato», a. III, 4
aprile 1887. Cfr. lettera successiva.
228 La seduzione dell’arte

sonetti wagneriani, a te a cui i Volpato dedicano riverenti i loro scritti musicali,


a te amico del famosissimo Pablo de Hilos351? Non sarebbe forse – per servir-
mi di una frase elegantemente immaginosa da parlamentario [sic] o da avvoca-
to – come portare vasi a Samo e nottole ad Atene? Ma – chissà! – le impres-
sioni di un profano quale sono io possono forse per te avere l’interesse di do-
cumenti umani: eccotele dunque genuine, genuine. Comincerò col dirti che il
Vascello Fantasma mi ha nell’insieme soddisfatto molto meno del Tannhäu-
ser352 e che, al solito, mi è piaciuto di più quello che è piaciuto di meno al
pubblico, cioè il terzo atto, che, a parer mio, è dei tre il più omogeneo, il più
tetramente grandioso, il più efficacemente drammatico. Bellissima è pure la
sinfonia, che fu bissata, benché forse un po’ disuguale, un po’ frammentaria,
non innalzantesi tutta di un getto come quella stupenda del Tannhauser [sic].
Bello il coro delle filatrici, bella la leggenda cantata da Senta, bello il duetto
d’amore, forse un po’ lungo, del 2° atto, che, essendo il più melodioso, è quel-
lo che conquista il pubblico e decide del successo dell’opera. Inferiore agli al-
tri due parmi il 1° atto, con quell’eterno duetto fra l’Olandese ed il padre di
Senta, figura antipatica nella sua volgare avidità d’oro, il cui intervento sciupa
spesso la tragica idealità della fosca leggenda nordica. Insomma un’opera di
transizione, con le ambiguità e le deficienze che accompagnano ogni opera di
transizione, ma con pagine splendide, geniali addirittura, come geniale è la
trovata artistica di far sentire in orchestra, durante tutto il corso dell’opera, i
sordi muggiti, i minacciosi boati, gli arcani fragori del mare353.
Il successo non ebbe scoppi certo di entusiasmo frenetico, ma fu ab-
bastanza clamoroso e senza contrasti. L’esecuzione aureamente mediocre fu
nel complesso di gran lunga superiore a quella del Tannhauser [sic], senza
però il vantaggio di un artista superiormente intelligente e simpatico quale il
Kaschmann, un’esecuzione infine sufficiente pel pubblico bonario ed indul-
gente di Roma pronto a perdonare alla Boronat le sue esasperanti mossettine
di pupa di Norimberga, al Devoyod il suo atteggiamento ostinatamente e vol-
garmente funebre e l’intonazione antipatica e soverchiamente cupa della sua
non molto gradevole voce di baritono, al cantante, che rappresentava la parte
del padre di Senta, la nessuna comprensione del carattere da lui interpretato
ecc., tutte cose che avrebbero messo in serio pericolo le sorti dell’opera din-
nanzi ad un pubblico esigente quale è quello di Napoli354.

351
A Pablo de Hilos Pagliara dedica due articoli dedicati al Tannhäuser. Cfr. R.
PAGLIARA, Wagneriana. A Pablo de Hilos, cit.
352
Pica si riferisce naturalmente al notissimo capolavoro wagneriano Tannhäuser.
Cfr. supra e infra.
353
Pica sembra confermare il giudizio dello stesso Pagliara sulla inferiorità del-
l’opera rispetto agli altri capolavori. Cfr. R. PAGLIARA, Tannhäuser, in «Fortunio», a. II, n. 17,
28 aprile 1889, pp. 1-2.
354
Pica si riferisce ad alcuni famosi interpreti dell’arte wagneriana. Nomina infat-
ti Josip Kasman [trascritto germanizzato come «Kaschmann»], artista istriano (1850-1908)
interprete del ruolo di Wolfram nel Tannhäuser di Bayreuth nel 1882. Nomina quindi due
I carteggi 229

Passiamo oltre – tu certo desideri che io ti riferisca quali delle


grandi ed illustri personalità del giornalismo letterario della Capitale io
abbia visto, quali discorsi abbia con loro avuti, quali maldicenze più o meno
feroci abbia a Roma raccolte: ma come contentarti? ho visti un po’ tutti,
fatta esclusione per la coppia Serao-Scarfoglio e per qualche altro e troppo
lungo riuscirebbe il volerti parlar di tutti: sarà pel tuo ritorno. Fra quelli
che non ho visti stanno il Checchi355 ed il Torraca356. Dal primo sono stato
una volta e non l’ho trovato e quindi non gli ho potuto proporre pel «Fan-
fulla della Domenica» i tuoi sonetti wagneriani: perché non gli scrivi tu
stesso direttamente357? Sarebbe tanto più efficace. Non sono stato a visitare
il Torraca, perché avendo egli l’abitudine d’invitarmi con lui a colazione
ogni volta che vado a Roma, temo sempre che la mia visita possa sembrar-
gli una periodica stoccata.
Del fiasco di Guerra allo sposo358 e conseguenti pettegolezzi giornali-
stici ti avrà di sicuro scritto a lungo l’altro tuo corrispondente napoletano si-
gnor Giuseppe nob. Santojanni (le recenti pretese nobiliari di questo ns. [no-
stro] intrigante e vanitosissimo amico, che ha speso 20 lire per farsi mandar da

interpreti dell’esecuzione romana del Vascello fantasma: Olimpia Boronat (1856-1914) e


Iestin Devoyod (1841-1901). I giudizi di Pica non trovano conferma nelle altre recensioni
alla esecuzione dell’opera. Cfr. H. BERLIOZ, Il Vascello Fantasma, cit.
355
Eugenio Checchi (Livorno, 1838 - Roma, 1932) giornalista e drammaturgo,
autore di Vita di Versi dal 1813 al 1901 (Firenze, 1901) fu direttore di «Fanfulla della do-
menica» dal 1883 a sostituzione di Capuana, rivista per la quale, già negli anni Ottanta, si
occupava di critica musicale. Con Checchi, Pica si era trovato tre anni prima, nel 1884, in
una polemica critica a proposito di Chérie di Edmond de Goncourt. La recensione dell’al-
lora neodirettore apparve anonima nella rubrica «Chiacchiere» in «Fanfulla della domenica»
(a. VI, n. 35, 4 maggio 1884, p. 1). Pica vi aveva risposto con l’articolo Chérie, in «La Do-
menica Letteraria», a. III, n. 21, 25 maggio 1884, pp. 1-2, poi in All’Avanguardia, pp. 65-85.
Nello stesso torno di tempo Pica cura anche la traduzione della Prefazione a Chérie (in
«Napoli», maggio-giugno 1884). Per una rassegna bibliografica sul romanzo cfr. il saggio di
M.-C. BAYLE, “Chérie” d’Edmond de Goncourt, Napoli, ESI, 1983, pp. 77-143.
356
Francesco Torraca (cfr. supra, lettere XXIX e XXXI) condivideva con Pica l’inte-
resse per la letteratura francese goncourtiana, almeno quella non ascrivibile al predecaden-
tismo. Fu anche Torraca, inoltre, come Pica, a intervenire nel ‘caso’ della Faustin. Cfr. L [F.
TORRACA], La Faustin, in «La Rassegna», a. I, n. 4, 30 gennaio 1882, poi, modificato, in ID.,
Saggi e rassegne, Livorno, Vigo, 1885, pp. 243-249.
357
In realtà, forse attraverso altre strade, i sonetti wagneriani di Pagliara apparve-
ro in «Gazzetta Letteraria». Cfr. supra. Sul foglio domenicale del «Fanfulla», inoltre, fonda-
to a Roma nel 1879 da Ferdinando Martini, apparve più tardi anche un articolo dedicato
alla commemorazione di Francesco Florimo. Cfr. R. PAGLIARA, Francesco Florimo, in «Fan-
fulla della domenica», a. XI (1889), n. 1, pp. 2-3. Pica era invece ormai un vecchio collabo-
ratore della testata. Cfr. supra, nel cap. I di questo lavoro.
358
I giudizi sull’operetta di Valente su testo di Fiordelisi rappresentata a Napoli
il 24 marzo 1887 (cfr. supra, lettere LVI, LVIII, LIX), furono discordanti. Un anonimo recen-
sore del «Piccolo» parla invece degli applausi e dei «festeggiamenti clamorosi» riservati alla
prima, il 24 marzo al teatro Nuovo (in «Il Piccolo», a. XX, 25-26 marzo 1887). Cfr. anche
infra, lettera LXII.
230 La seduzione dell’arte

Milano e far poi incorniciare un grottesco preteso stemma di famiglia, hanno


suscitato la più clamorosa ilarità); il volume di Sonetti Napoletani del Russo359,
con prefazione maligna di R. Bracco ti è a quest’ora già arrivato, sicché a me
non resterebbe che raccontarti per filo e per segno ciò che è, in questi giorni,
il grande avvenimento nel Cenacolo del Gran Caffè, cioè la feroce querelle fra
Valentino e Salvatore, per ragioni ... artistiche, con conseguente coglionesco
articolo di Abeniacar, soprannominato, in tale occasione, Aben il Leale360; ma
per correggere e punire insieme la sfrenata tua curiosità rimando un tale e in-
teressante rendiconto alla prossima mia lettera. Scrivimi tu intanto.
Aff.mo Vittorio

LXII
Lettera su 2 cc. di cm 23x18,2 ripiegate lungo la base. Il ductus, con inchiostro blu, occupa
le quattro facciate di ciascuna c., l’ultima facciata della seconda c. inoltre presenta una so-
vrascrittura perpendicolare al senso della precedente, che si estende poi fino a sovrapporsi
alla scrittura verticale di questa come delle altre facciate.

Napoli, 5 maggio 1887


Mio caro Rocco, dilungandoti ad apprezzare ed a discutere le mie
impressioni di profano di musica sul Vascello – Fantasma361 e cercando così di
piacevolmente solleticare il mio amor proprio artistico, tu hai voluto evidente-
mente disarmare la mia giusta ira per l’ultima tua malvagia letterina, hai volu-
to evitare ulteriori sarcasmi ed ulteriori insinuazioni, camuffate alla greca, ed
hai voluto persuadermi a soddisfare ancora una volta la tua insaziabile curio-
sità: hai così dimostrato ancora una volta di essere una persona accorta ed io,
benché abbia saputo comprendere subito le tue malizie, te ne voglio tener
conto e ti perdono la tua lettera e mi accingo a raccontarti i pettegolezzi ul-
timi. Già tu lo sai bene che lo spirito e la furberia sono due qualità che io
ammiro molto e che riescono quasi sempre a disarmarmi: non abusarne però
con me in avvenire!

359
Dopo avere trattato di Ferdinando Russo nel noto intervento Sonettisti na-
poletani (cit.), Pica torna a scrivere del poeta napoletano in occasione di questo volume, il
cui titolo corretto è Sunettiata, edito con prefazione di Roberto Bracco in quel 1887 (Na-
poli, Federigo Casa editore). Pica avrebbe dedicato una recensione sotto forma di lettera,
apparsa in «Il Piccolo», a. XX, 7-8 giugno 1887. Su Russo, inoltre, Pica sarebbe intervenuto
l’anno successivo (Poeti dialettali: S. di Giacomo “Zi Munacella” – F. Russo “Rinaldo”, in
«Fanfulla della domenica», a. X, n. 43, 21 ottobre 1888, poi in All’Avanguardia, pp. 449-
459). Cfr. supra, al I cap.
360
L’articolo su Valentino Gervasi e Salvatore Di Giacomo apparve in «Don Chi-
sciotte» il 26 marzo 1887.
361
Cfr. lettera precedente. L’esecuzione dell’Ouverture del Vascello fantasma fu
eseguita dall’amico wagneriano di Pagliara, Giuseppe Martucci, alla Società del Quartetto
di Bologna, il primo maggio del 1887. Cfr. F. PERRINO, Giuseppe Martucci, vol. III. Fervore
d’arte a Bologna, Novara, Centro Studi Martucciani, 2002, p. 70 ss.
I carteggi 231

Dell’episodio tragicomico Gervasi – Di Giacomo – Abeniacar362 i do-


cumenti pubblicati dal «Corriere di Roma», di cui tu sei assiduo lettore e cor-
rispondente d’oltralpi, e dal «Don Chisciotte»363 di cui ti mando 2 n.i che ti
prego di conservarmi per poi restituirmeli al tuo ritorno, ti mettono in grado
di ricostruirlo mediante un piccolo sforzo di fantasia, in tutti i suoi particolari.
A me non resta dunque che a dirtene la conclusione, cioè in generale Em-
brassons-nous, Folleville! à un homme à la mer. Dopo 10 giorni d’insolenze
crudeli e reciproche, declamate nei crocchi di amici, Salvatore e Valentino
hanno una buona volta rinunziato a guardarsi in cagnesco e a non salutarsi, si
sono stretta la mano e sono ridiventati gli ottimi amici di prima. L’homme à la
mer è, come avrai di leggieri indovinato, Aben il Leale. Il caso di costui è
abbastanza tipico e grazioso da meritare che io ci spenda attorno qualche pa-
rola di più. Questo toscanino ultra – loquace, petulante, di cultura e di talento
meno che mediocre, ma instancabile scrittore di martelliani, di bozzetti, di
scenette, di articoli, di poesie per musica ecc., aveva vissuto per più di 4 anni
in Napoli, ignoto a tutti e forse anche a se stesso, quando una bella sera, non
si sa come, né da chi presentato, è capitato in mezzo a noi del circolo (!!!) del
Gran Caffè ed in un po’ di tempo, ciarlando sempre, di tutto e con tutti, è di-
ventato amico intimo e tutoyer di ciascuno di noi. Ed ecco venuto il quarto
d’ora splendido di Gorcamar364, l’ignoto di ieri, la nuova stella fulgidissima del
Gran Caffè: eccolo emulo di Valentino, che piuttosto che lottare in loquacità
con lui si rassegna spesso a tacere; eccolo collaboratore assiduo del «Don Chi-
sciotte»; eccolo citato su per i giornali, eccolo accompagnare parlando e gesti-
colando sempre, il nostro gruppo al Festival, a teatro, dovunque esso si reca;
eccolo infine collaboratore di Di Giacomo e di Russo. Ma a questo punto il
tramonto della sua, ahimè, troppo fugace gloria incomincia. La Rivista, tanto
aspettata e tanto strombazzata in antecedenza, cade, anzi precipita ignominio-
samente alla Fenice e sul suo capo si riversano in gran copia frizzi e sarcasmi,
ma egli non si abbatte per questo primo fiasco ed ha ragione: non è forse an-
che un onore per lui il condividere un fiasco con Salvatore Di Giacomo, il
novelliere tanto reclamato, il poeta popolare favorito di Napoli? Egli dunque
continua a ciarlare, a ridere, a fare dello spirito, tutto lieto della sua novissima
e crescente notorietà, ma un passo falso fa precipitare la catastrofe. Benché

362
Si riferisce a Carlo Abeniacar, collaboratore di «Don Chisciotte», traduttore di
alcune canzoni digiacomiane (tra le quali Oilà. Canzone popolare tarantina, 1886). Lo stes-
so Pica qualche mese prima ne aveva tracciato un ritratto: C. Abeniacar (in «Don Chisciot-
te», a. II, n. 4, 27 gennaio 1887). Coinvolto nella ‘questione’ di Rivista del 1886, cfr. supra,
lettere LIX e LXI.
363
Pica si riferisce a Rivista del 1886, e agli articoli intitolati Le canzoni, apparsi
in «Don Chisciotte» a firma di Sansone Carrasco nei nn. 16 e 17 apparsi rispettivamente
nei giorni 22 e 29 aprile 1887. Sulla querelle e sugli articoli pubblicati cfr. lettere LVI, LVIII
e LIX.
364
Gorcamar era un altro nome dell’Abeniacar, tutti probabili pseudonimi di un
misterioso scrittore. Cfr. supra, lettera LVIII.
232 La seduzione dell’arte

sconsigliato vivamente da Valentino, egli vuole ad ogni costo difendere la pit-


tura napoletana contro le pretese e le accuse di Di Giacomo e poiché, poveri-
no, di pittura non ha mai compreso un bel nulla, né nella sua anima vi è quel
profondo schietto ed ampio sentimento d’Arte, che può soltanto, in questioni
di simil genere, salvare chi non ha speciali cognizioni tecniche, egli scrisse un
articolo piucché bestiale, cretino. Ciò non pertanto Di Giacomo da principio
se ne adirò molto, ma, quando seppe che tale articolo era parso ridicolo e
puerile a tutti indistintamente e che tutti indistintamente avevano durante
due o tre sere, sfottuto nel modo più crudele e spietato il povero Gorcamar, si
colmò e pensò di sfotterlo a sua volta con l’insolentissimo articolo di risposta,
che servì inoltre a placare l’ira di Valentino e che, ad onta di alcune trovate
felici, a me sembra mediocremente arguto. Da quel giorno Gorcamar non ha
trovato più pace: tutti gli danno torto, tutti lo mettono in berlina, tutti lo pun-
zecchiano con feroci epigrammi ed egli ha perduto la calma e si adira e si di-
mena sulla seggiola allorché qualcuno – ciò accade ad ogni momento – lo
chiama leale o parla di quella sua lealtà, che egli ebbe il cattivo pensiero di
mettere innanzi, nelle prime ore di rimproveri, a sua difesa. Ha perduto per-
fino la sua inesauribile loquacità e annunzia a chi vuol sentirlo che tra breve
non verrà più al Caffè. Ier l’altro è partito per la Toscana a ritemperarsi, per
una quindicina di giorni, nelle riconfortanti e meno scettiche aure natie. E a
riaversi della terribile recente disillusione. Ahimè, il poveraccio non ha forse
ancora compreso che la facilità con la quale era penetrato e si era insediato
nel nostro clan artistico–letterario-giornalistico era dovuta alla sua evidente
nullità intellettuale, all’incapacità di poter turbare in modo alcuno la vanità di
questo o di quell’altro dei componenti di esso!
Di Guerra allo Sposo rappresentatasi una sola volta al Teatro Nuo-
vo365, durante la mia assenza, non posso che brevemente riferirti ciò che
me ne scrisse il nobile amico comune Santojanni in una lunghissima ed
ingarbugliatissima lettera, per comprendere la quale stentai più che per un
articolo od un poemetto di Mallarmé. Dunque il 1° e 2° atto dell’operetta
del Valente, benché meno che mediocri, passarono senza incidenti, procu-
rarono anzi parecchie chiamate al proscenio così al maestro, come al poeta,
ma al 3° atto la tempesta, trattenuta fino allora, si scatenò e la tela calò tra
svariati ed indubbi segni di riprovazione a beneficio dei nostri due carissi-
mi amici (sono queste sottolineate le parole testuali dell’ottimo Santojanni).
Il giorno seguente, lo Scalinger, che aveva una vecchia e contraccambiata
antipatia pel Fiordelisi, scrisse che «a quell’ammasso di scempiaggini del
libretto il pubblico non aveva potuto resistere ed aveva fischiato, sebbene
il Valente qua e là avesse fatta della musica graziosa, non scevra per altro
di volgarità»366; il Bracco in uno dei suoi soliti e disinvolti articoletti cercò

365
Cfr. supra, lettere LVIII e LXI.
366
La recensione apparve anonima in «Caporal Terribile», a. VII, 26 marzo 1887.
Giulio Massimo Scalinger (Napoli, 1857 - ivi, 1906), giornalista e critico letterario, autore
I carteggi 233

di giustificare in certo qual modo il librettista, senza però troppo insistere


e non dipartendosi da un certo frasario nebuloso ed umoristico367; il Di
Giacomo non si lasciò sfuggire l’occasione di sfogare la sua bile contro
Fiordelisi e contro Valente e di vendicarsi, sia anche con un’inabile porche-
riola, rivelante ancora una volta – per servirmi dalle parole del non mai
abbastanza lodato Santojanni – la sua malignità di lazzariello isterico, del
male che erasi detto della Fiera, e caricò di contumelie maestro e libretti-
sta, chiamandoli profanatori dell’Arte368. I commenti degli amici del Gran
Caffè, poco benevoli per tutti, li lascio indovinare a te, come io stesso ho
dovuto indovinarli stando lontano dal focolare dello scandalo.
Vuoi ad ogni costo che io ti parli particolareggiatamente della mia
dimora a Roma, delle persone che vi ho viste, dei discorsi che vi ho fatti?
Vuoi che ti descriva i ventagli, i paraventi, i mille ninnoli giapponesi, che
adornano il salotto in cui mi ha ricevuto il D’Annunzio o ti dica piuttosto
le varie opere, che egli prepara e delle quali mi ha detto i titoli e gli ar-
gomenti con la sua vocettina strascicante, leziosa e volutamente languida?
Vuoi che ti riferisca le fandonie e le atroci insinuazioni contro il poeta
d’Isotta dettemi replicatamente da quel blagueur di talento di Cesareo, il
quale, un giorno che mi ha invitato a colazione con lui, è arrivato perfino
ad affermare, con l’aria più seria e convinta, che D’Annunzio, in un assalto
di scherma, aveva tentato di ammazzarlo per invidia, rivelazione che mi ha
fatto ridergli in viso? Vuoi che ti scriva l’impressione poco gradevole pro-
vata alla lettura di un inedito lavoro fantastico-poetico, La Leggenda del
cuore, del Baccelli369, un lavoro scucito, nebuloso, puerile, con grande sfog-
gio d’immagini mineralogiche e di colori grossolani da scenografia, in cui
non ho trovato di bello che una descrizione di una cascata e qualche altro
frammento descrittivo qua e là? Vuoi che ti descriva la figurina elegantis-
sima, benché maltrattata dagli anni e forse anche più da un’ esistenza av-

di commedie, drammi lirici e volumi di prosa e di critica, iniziò la sua carriera come molti,
nel gruppo dei giovani giornalisti guidati da Verdinois per la pagina letteraria del «Corrie-
re del Mattino». Spesso nascosto dietro lo pseudonimo di Malardi, Scalinger si occupava
di cronaca d’arte e avvenimenti mondani. Direttore della pagina letteraria dell’«Omnibus»
(cfr. supra, lettera LVIII), la sua più nota esperienza pubblicistica resta, però, la fondazio-
ne e direzione del «Fortunio», nato il 19 agosto 1888, che Scalinger diresse fino al 1898,
un anno prima della chiusura della rivista. Cfr. R. GIGLIO, Letteratura in colonna..., cit.,
pp. 63-74.
367
La recensione di Bracco a Guerra allo sposo apparve in realtà senza firma, ma
nella rubrica «Teatri» redatta di consueto da Baby-Bracco nel «Piccolo» di De Zerbi (a. XX,
25-26 marzo 1887): «E di questo successo possono essere soddisfatti musicista e librettista,
che certo sanno d’aver fatta insieme una cosetta briosa, spigliata, geniale, ma non mica
priva di difetti».
368
L’articolo apparve in «Pungolo», 28 aprile 1887.
369
Si tratta del volume di Alfredo Baccelli, La leggenda del cuore, che sarebbe
stato pubblicato pochi mesi dopo (Roma, Verdesi, 1888).
234 La seduzione dell’arte

venturosa, della Contessa Lara370, che si è mostrata oltremodo cortese con


me e che io ho trovato molto simpatica, che ti descriva la chioma luminosa
di questa Blonde dont les coiffeurs divins sont des orfèvres? Ma no, ma no,
sono tutte cose queste che le tue interrogazioni insistenti, instancabili, in-
discrete mi strapperanno da corpo al tuo ritorno.
A quest’ora avrai ricevuto Sunettiata371, giacché l’amico Russo, a
cui quindici giorni fa detti l’indirizzo tuo, mi assicura avertela spedita. Essa
ha ottenuto un ottimo successo ed anche la vendita va abbastanza bene. I
sonetti, troppo spesso rozzi come forma e poco armoniosi, sono, come ri-
produzione dal vero, proprio meravigliosi e sono intimamente, profonda-
mente napoletani, napoletani nel dialogo, nelle immagini, nel sentimento,
nella rappresentazione, in tutti i più minuti particolari, senza ringentilimen-
ti, senza modificazioni, senza ritocchi: il popolino nostro rivive miracolosa-
mente in essi, in tutta la sua appassionata e caratteristica volgarità. Natural-
mente Di Giacomo è poco soddisfatto di questo successo e si mostra disgu-
stato delle trivialità di linguaggio, che nei sonetti di Russo abbondano, e
spiega a chi vuol sentirlo che la poesia dialettale deve evitare certe volga-
rità e deve essere accomodata in modo da non urtare la suscettibilità delle
signore e così di seguito. Egli intanto due settimane fa in casa Dalbono,
dinnanzi a 5 o 6 amici del Caffè, a varie signore e signorine e ad alcuni
amici del padrone di casa lesse il suo Monasterio[sic]372, che comparirà fra
breve in un’edizione molto elegante e molto capricciosa: ne ho chiesto al
Morello ed al Santojanni, che assistettero alla lettura: il primo, che già da
qualche tempo ha un po’ di astio con Salvatore, me ne ha detto un gran
male, segnalandomi due brani rubati ad una leggenda francese; ma neppu-
re il secondo, che non ha alcuna ragione che gli vieti di essere imparziale,
si è mostrato molto benevolo nel suo giudizio e mi ha detto che la tela del
lavoro è puerilmente romantica.
Presto usciranno anche alla luce La Tragedia di Senarica del carissi-
mo Mezzanotte373, che io ho buone ragioni per credere che sia un’opera di

370
Pseudonimo di Evelina Cattermole, la Contessa Lara (Firenze 1849 - Roma
1895) fu nota protagonista di amori tormentosi, fino a morire per mano di un suo amante.
Elegante giornalista e scrittrice (Storie di amore e di dolore, 1893, e Il romanzo della bam-
bola, 1895) di lei si ricordano i suoi volumi di versi Canti e ghirlande (1867) e Nuovi versi
(apparsi postumi nel 1897). Fu collaboratrice di numerose riviste insieme con Pagliara e
Pica, dal «Corriere del Mattino», al «Corriere di Roma illustrato».
371
Si tratta del notissimo volume di Russo, Sunettiata, Napoli, Federigo Casa,
1887. Il volume aveva prefazione di Roberto Bracco. Fu proprio Sunettiata a stimolare gli
interventi di Pica in favore di Russo nella nota querelle Russo-Di Giacomo. Cfr. supra.
372
Di lì a poco, Di Giacomo stesso avrebbe inviato a Pagliara una copia dell’ope-
ra, il cui titolo corretto è però ’O Munasterio, edito a Napoli da Tocco nel 1887. Cfr. supra,
carteggio Di Giacomo, lettera XXV.
373
Si tratta del romanzo La tragedia di Senarica, Napoli, Pierro, 1887, poi a cura
di A. Palermo, Bologna, Cappelli, 1977. Cfr. supra, lettere XXXVII e XL.
I carteggi 235

polso e tale da rivelare appieno la non comune forza di talento di questo


troppo modesto e quindi troppo poco apprezzato giovine scrittore, ed il Pom-
pei del buon Conforti che invece temo apparirà na patana374.
E tu, durante questa troppo lunga assenza da Napoli, cosa hai scritto
di nuovo? Possiamo sperare che riporterai da costì, se non compiuto, almeno
condotto a buon punto, il libro, che si ha ora il diritto di pretendere da te che
dia la giusta misura del tuo forte talento, della tua ampia cultura, del tuo gusto
squisito? Speriamolo. Io per mio conto spero di poter, per la fine di quest’an-
no, compiere il mio volume su Moderni Bizantini375 e – ciò che è anche più
difficile – trovare un editore che me lo pubblichi: preferisco debuttare con un
libro come questo, che abbia un organismo unico e complesso, e che forse per
le eccezionali teoriche d’arte che vi si espongono, mi procurerà delle feroci
requisitorie, piuttosto che con una raccolta di articoli, che pur sarei quasi si-
curo di veder lodate generalmente dalla stampa letteraria, ove per fortuna ho
molti amici, che ho messi di recente a pruova col volume di Casa376.
Ero lì lì per spedirti il chiestomi volume di Bracco377, quando mi è
capitato sotto gli occhi il seguente tuo periodetto «ma ci spero poco, perché
tu contrariamente a quanto io farei per te, schivi ogni seccatura d’invii!» ed
ho subito rinunziato al mio primo proposito: non era forse una crudeltà il
privarti della gioia di poterti vantare di una superiorità su di me? Del resto,
per compensarti di tale mancato invio, tolgo dalla prefazione del Bracco – il
quale è nel genere umoristico il più sapiente e novatore prefazionista d’Italia
come io lo sono del genere serio (ti prego, a questo proposito, di rileggere le
parole che il dottissimo G. Cimbali ha scritto nella «Gazzetta Letteraria» della
mia prefazione378, che tutti, eccetto te CANE INVIDIOSO riconoscono quale
modello delle prefazioni che debbonsi scrivere per libri degli amici) – una
gemma, una riflessione profonda e giustissima, degna di La Rochefoucault o
di La Bruière: «Dirò un po’ di bene di me e dirò un po’ di bene della minu-
scola opera mia. Voulez-vous qu’on ose dire du bien de vous? N’en dites ja-
mais! Così dice Pascal. Non si vede che i profondi pensatori hanno qualche
volta – forse perché gli estremi si toccano – delle idee eccessivamente inge-
nue. Chi è pratico della vita sa che dell’auto-ammirazione pubblicamente ma-

374
Cfr. lettera LIX.
375
Sul progetto di pubblicazione cfr. supra, lettera LII.
376
Pica fa qui riferimento alla prefazione al volume F. CASA, Ritmi e fantasie, cit.
Cfr. supra.
377
Si tratta del volume Novelle in un atto, cit.
378
Scriveva Cimbali, recensendo il volumetto di Casa (G. CIMBALI, Ritmi e fanta-
sie, cit.), a proposito della prefazione di Pica: «[...] breve quanto efficace, arguta quanto
piena della profonda cognizione della materia. La prefazione del Pica, tra gli altri, ha il
merito speciale, che sfuggirà forse alla comune dei lettori. O io m’inganno, o ha dato egli
un modello delle prefazioni che debbono scriversi pe’ libri degli amici. Spesso agli amici si
fa più male che bene lodandoli sperticatamente. Tutt’altra via tiene Pica, sagacissimo, di
fronte al Casa».
236 La seduzione dell’arte

nifestata, resta sempre qualche cosa la quale poi costituisce la base dell’ammi-
razione altrui»379. Prima di finire debbo, rispondendo ai tuoi acerbi rimprove-
ri per le mie allusioni ... rimbaudiane, farti osservare che esse erano scritte in
italiano, travestite alla greca e che io non potevo mai supporre che anche in
codesto aristocratico castello bavarese vi fossero dei Della Sala.
Nella speranza che tu vorrai esprimermi la tua gratitudine per la
presente interminabile epistola, scrivendomi anche tu al più presto una pari-
menti lunga, mi ripeto, restituendoti i saluti affettuosi dei miei.
Tuo aff.mo
Vittorio

LXIII

Comunicazione scritta utilizzando un volantino pubblicitario di cm 9x14 «Piedigrotta 1888.


Editore Santojanni. Splendida edizione illustrata da V. Migliaro». Il volantino pubblica i
versi di Pagliara per la musica di Mario Perla, dal titolo Mare! Mare! Canzona appassiuna-
ta. Lo stesso volantino anticipa «altre composizioni vocali di Mario Perla-versi di Rocco Pa-
gliara»: «Diceva!; Che mondo!; Finestra chiusa; Vurria addeventà».

Domenica, 16 settembre 1888


Mio caro Rocco,
abbi la cortesia di lasciarmi domani da Santojanni Katia di Tolstoij e
[Cherniers] di Lemonnier380, poiché d’ambedue ho bisogno urgente.
Grazie pel dono del tuo volumetto381, ma valeva proprio la pena di
tradurre tutte quelle lirichette tedesche insipide e banali parecchio, esclusion
fatta per quella carina di Carmen Sylva382.
Affettuosa stretta di mano dell’aff.mo tuo
Vittorio Pica

379
R. BRACCO,Prefazione a ID., Novelle in un atto, cit.
380
Un’edizione italiana di Katia di Lev Nikolaevic Tolstoij sarebbe apparsa nel
1889 per le edizioni dei fratelli Treves, in un volume unico insieme a Delitto e castigo di
Dostoevskij. Una nuova edizione francese dell’opera, invece, era apparsa proprio nel 1888 a
Parigi per la Perrin et C. Per la seconda opera citata, invece, potrebbe trattarsi di Les
Cherniers (Sedan), di Camille Lemonnier, edita a Parigi, Lemerre, 1881.
381
Pica si riferisce alla raccolta di traduzioni dal tedesco Riflessi nordici, Napo-
li, Stabilimento Tipografico dell’Unione, 1888. Il volume si apriva con un’illustrazione di
Rossi.
382
Nome d’arte di Pauline Elisabeth Ottilie Luise zu Wied (Schloss Monrepos,
Neuwied, 1843 - Bucarest, 1916), la scrittrice Carmen Sylva fu moglie di Re Carlo I di
Romania, nota come Regina Elisabetta di Romania. Vissuta tra Berlino, Parigi e la Roma-
nia, esordì pubblicando a Lipsia due poemi, Sappho e Hammerstein tra le sue opere più
riuscite è Les Pensées d’une Reine (Paris, 1882) e la tragedia Anna Boleyn (Bonn, 1888).
Nel volume Riflessi nordici (cit., p. 43), Pagliara offrì la traduzione di una lirica, Neve di
marzo.
I carteggi 237

LXIV

Lettera su foglio di carta di cm 20x15,5 listato a lutto sulla prima facciata.

12 ottobre 1888
Mio caro Rocco
Ho sofferto e soffro moltissimo. L’affettuosa parola di conforto del-
l’amico che sa od indovina la terribilità del colpo che mi ha, in questi giorni,
così crudelmente ferito, giungemi grata oltremodo all’anima: grazie dunque di
cuore del tuo bigliettino.
In quanto al meschino pettegolezzo, di cui in esso mi parli, non lo
ricordo quasi più, né, addolorato come sono, ho voglia di fermarci su il pen-
siero. Non saprei dunque più dire se il torto maggiore sia stato tuo o mio.
Ero così nervoso in queste ultime settimane che quasi certamente il torto è
dovuto essere stato da parte mia: se ho avuto dunque qualche scatto troppo
vivace, se ti ho offeso con qualche frase, con qualche parola troppo acre, ecco
qui a chiedertene scusa.
Affettuosa stretta di mano
Tuo Vittorio

LXV

Comunicazione su cartoncino filigranato, di cm 20x15,5 ripiegato lungo la base, listato a


lutto.

4 dicembre 1888
Mio caro Rocco
Ti sarò grato se vorrai lasciarmi o mandarmi a casa in busta suggella-
ta quelle 20 lire: scusa se te lo chieggo, ma in questi giorni ho bisogno urgen-
te di quattrini.
Scusami e credimi
Aff.mo tuo
Vittorio

LXVI

Lettera su foglio di carta di cm 26x21 ripiegato lungo la base.

Giovedì mattina [1888]


Mio caro Rocco
Sono dispiaciutissimo di non poterti rendere il piccolo servizio che
mi chiedi, ma sgraziatamente attraverso anch’io una crisi economica, in que-
sto che è il periodo in cui maggior quantità di quattrini squaglia.
238 La seduzione dell’arte

In quanto alla lettera che mi chiedi mi sembra perfettamente inutile


per una persona che come te ritornerà fra due giorni in mezzo al puerile e
pettegolo pandemonio delle canzoni per Piedigrotta.
E poi fa tanto caldo che ogni voglia di scrivere scappa via. Ti dico
soltanto che finora secondo il mio modesto giudizio d’incompetente, la più
bella canzone per i versi è Comme te voglio amà e per la musica Capille
d’oro383.
Ciao tuo aff.mo
Vittorio

LXVII

Biglietto postale, scritto a matita, di cm 12,5x14,5 ripiegato lungo l’altezza. Nel margine
superiore sinistro si legge «Saluti affettuosissimi a Peppino Santojanni», sulla destra inve-
ce, in basso all’indicazione cronologica, si legge «Ospedale Militare della Trinità a Magno-
cavallo».

21 settembre 1889
Mio caro Rocco,
Sto da parecchi giorni con la faccia incartocciata in un apparecchio
di fascia e di bambagia, che mi dà le sembianze eroiche, benché poco esteti-
che, di quei feriti di Dogali, le cui molteplici fotografie suscitano la pietà e
l’ammirazione dei passeggianti di Toledo e di Chiaja. Domani, domenica, noi
poveri malati riceviamo dalle 11 alle 2 pom.[eridiane]: vuoi venire a trovarmi?
Passeggeremo per il pensile giardino babilonese di quest’Ospedale e faremo
della maldicenza ...
Se ti fosse possibile, cercando con un po’ di buona volontà fra i tuoi
giornali, procurarmi i due «Fantasio» col mio articolo su L. Bouilhet384, te ne
sarei riconoscentissimo.
Ti aspetto dunque
Vittorio

383
Sono due delle canzoni di Piedigrotta 1888. Comme te voglio amà era stata
musicata da Vincenzo Valente su versi di Bracco (ma traduzione di Mario Perla, cioè dello
stesso Pagliara); Capille d’oro, invece, su versi di Cinquegrana, fu musicata da Edoardo di
Capua.
384
Pica fa qui riferimento ai citati articoli su Bouilhet apparsi sul «Fantasio»: V.
PICA, Profili letterari francesi. Luigi Bouilhet I-II, cit. Cfr. supra.
I carteggi 239

LXVIII
Lettera su foglio di carta di cm 26,6x25,5, ripiegato lungo la base.
Sabato, 29 novembre 1889
Mio caro Rocco
con molto mio rincrescimento, sono costretto a rimandare ad un al-
tro giorno il progettato pranzetto, giacché dimani, secondo ogni probabilità,
verrà dall’Alta Italia una mia parente ed io dovrò andarla a ricevere alla Sta-
zione verso le 6 1/2 pom.
Del resto quod differtur non aufertur, siccome direbbe Don Salvato-
re [Mormone], ciò che tradotto in lingua povera vorrebbe dire che il pranzo
non fatto dimani si potrà farlo invece domenica ventura.
Santojanni è già arrivato
Aff.mo Tuo
Vittorio

LXIX
Lettera su foglio di carta di cm 26x30 ripiegato lungo la base.
Domenica sera [>1889]
Immagina, caro Rocco, se sarei lieto di far cosa grata al caro e simpa-
tico Scoppetta385, ma gli acquisti della Promotrice vengono fatti dal giurì arti-
stico di cui è presidente [...] e sono componenti Belliazzi, Pratella, Migliaro,
De Nittis [...]386 e noi componenti del Consiglio direttivo non siamo chiamati
che a decidere sui prezzi.
Io per ragioni di delicatezza, non posso fare nessuna raccomandazio-
ne, cosa che ho già dichiarato ai molti che già si sono rivolti direttamente ed
indirettamente a me.
Scusami con l’amico Scoppetta ed accetta una cordiale stretta di
mano dall’
aff.mo tuo
Vittorio

385
Pietro Scoppetta (Amalfi, 1863 - Napoli, 1920) esordiente come pittore alla
Esposizione della Società Promotrice «Salvator Rosa» del 1881, era tra i preferiti allievi di
Morelli. Illustratore, tramite intervento di Pagliara, della raccolta di canzoni Chi chiagne e
chi ride! (cit.), era anche il noto illustratore di Di Giacomo, Onorato Fava ed altri scrittori
meridionali. Era legato a Pagliara, come attesta questa missiva e come attesta la folta pre-
senza di sue opere all’interno della Collezione Pagliara. Tra queste si segnala un ritratto dello
stesso Pagliara (matita, cm 30x23,6). Cfr. AA. VV., Pietro Scoppetta. Un pittore sulla scena
della Belle Epoque, a cura di M. Bignardi, Salerno, De Luca, 1998. Cfr. Rocco Pagliara, pp.
98-105. Per un profilo biografico personale di Scoppetta e sui rapporti tra l’artista e Vittorio
Pica, cfr. A. SCHETTINI, Pietro Scoppetta, Napoli, Fausto Fiorentino Editore, 1964, p. 24 ss.
386
Pica si riferisce alla ‘nuova gestione’ della Società Promotrice di Belle Arti di
Napoli, nata nel 1861 su modello delle Promotrici di Torino e Firenze, ed organizzatrice
240 La seduzione dell’arte

LXX

Lettera su foglio di carta di cm 26,9x21,8 ripiegato lungo la base.

Mercoledì, 7 maggio 1890


La mia mamma, caro Rocco, sarà assai lieta, benché ancora sofferen-
te, di ricevere la visita della gentile signora Marchisio387, che ella ricorda con
la più viva simpatia. Inutile aggiungere che sarà molto contenta se potrà, nel-
l’istesso tempo, rivedere anche te. Le ore nelle quali ella riceve sono da mez-
zodì alle 5 pom. di qualunque giorno della settimana.
Cordiale stretta di mano
dall’aff. mo tuo
Vittorio

delle note, periodiche, Esposizioni. Dopo il 1880, con le dimissioni di Morelli, Dalbono e
altri membri del Consiglio Direttivo, inizia un periodo di decadenza della stessa Società.
A questo periodo è ascrivibile la presente missiva. In particolare, l’ingresso di Pica all’in-
terno del Consiglio Direttivo è attestato al 1889. Cfr. AA. VV., La Società Promotrice di
Belle Arti Salvator Rosa (1861-1961), Napoli, 1961; I. VALENTE, Le forme del reale. Il
naturalismo e l’immaginario storico ed esotico nella pittura napoletana del secondo Otto-
cento, in La pittura napoletana dell’Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli, Pironti, 1993,
pp. 47-73.
Molti degli artisti citati nella lettera erano, o sarebbero diventati, amici di Pa-
gliara, presenti nella collezione della Fondazione. Oltre al citato Migliaro (cfr. supra, let-
tera LXIV), si ricordano Raffaele Belliazzi (Napoli, 1835 - ivi, 1917) scultore di successo,
autore, tra l’altro, della scultura di Carlo III per la facciata del palazzo reale di Napoli.
Docente anche all’Accademia di Belle Arti di Napoli, fu amico di Pagliara. Con un rap-
porto testimoniato da alcune lettere presenti nell’Archivio della FP, insieme ad alcune scul-
ture, delle quali solo una datata, al 1880, il busto di una giovane donna. Cfr. Rocco Paglia-
ra, pp. 49-55. Di Attilio Pratella (1856-1949) artista romagnolo attivo a Napoli già dal 1876,
nella FP è presente un olio su tela, Strada di periferia con persone, datato ai primi del
Novecento. Del notissimo pittore Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846 - Saint-Germain-en-
Laye, 1884) verista e anche impressionista, fondatore della «Scuola di Resina», protagoni-
sta all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, Pica si occupò in occasione della sua
morte e anche in seguito. Cfr. V. PICA, Giuseppe De Nittis, in «Fanfulla della domenica»,
a. VI, n. 15, 31 agosto 1884; ID., Per Giuseppe De Nittis, in «Il Pungolo della domenica»,
a. II, n. 40, 5 ottobre 1884; ID., Giuseppe De Nittis e gli impressionisti francesi, in «Il
Marzocco», a. XIX, 12 luglio 1914; ID., Giuseppe De Nittis e la scuola napoletana di pittu-
ra, in «Emporium», 223, maggio 1914, pp. 322-344. Cfr. D. GALEONE, Vittorio Pica e Giu-
seppe De Nittis, cit.
387
Potrebbe trattarsi di Barbara Marchisio (Torino, 1833 - Mira, 1919) cantante
lirica e interprete di molte opere liriche nei teatri italiani. Lavorava con l’inseparabile sorel-
la, il soprano Carlotta Marchisio. Barbara Marchisio si trovava spesso a Napoli, in partico-
lare a partire dal 1892, e fino al 1912 tenne la cattedra di Canto lirico al Conservatorio S.
Pietro a Majella.
I carteggi 241

LXXI
Lettera su foglio di carta di cm 20x15 ripiegato lungo la base.
Giovedì [< dicembre 1890]
Mio caro Rocco
Luigi Pierro388 ha affidato a me e a Spinazzola389 l’incarico di compi-
lare una strenna per il Capo d’anno390, a cui debbano collaborare tutti gli as-
sidui della sua libreria. Mandami dunque una tua poesia non troppo lunga e
preferibilmente dialettale391.
Accetta un’affettuosa stretta di mano dal
tuo
Vittorio
LXXII
Lettera su foglio di carta di cm 15x20 ripiegato lungo la base. Presenti segni di ripiegatura,
con timbro, francobollo e tracce di cera lacca e con l’indicazione del destinatario «A Rocco
Pagliara Archivio del Real Collegio di Musica S. Pietro a Majella. Città».
Venerdì, 14 luglio 1893
Vuoi farmi, caro Rocco, il favore di lasciarmi domani o, al più tardi
posdomani, il volume di Bergerat su T. Gautier392 e L’Art romantique di Bau-
delaire393? Grazie anticipatamente.

388
È il citato e noto ormai libraio-editore napoletano, editore di Di Giacomo e
Pica, la cui bottega di Piazza Dante era centro di riferimento per gli intellettuali napoletani.
Cfr. supra. Per i rapporti tra Pica e Pierro cfr. Vittorio Pica, pp. 121-131.
389
Vittorio Spinazzola (Matera, 1863 - Roma, 1943), allievo di Francesco D’Ovi-
dio, archivista ed archeologo, letterato e traduttore, fine intenditore d’arte e impiegato in
diversi Musei fino alla direzione del Museo Nazionale di Napoli (1910), Spinazzola parteci-
pò attivamente al fervore culturale e pubblicistico della Napoli di fine Ottocento. Redattore
con Pica della Strenna della Libreria Pierro (vedi nota successiva) fu anche tra i fondatori
di «Napoli Nobilissima».
390
Si fa qui riferimento alla notissima Strenna della Libreria Pierro pel 1891,
Napoli, Pierro, 1890, compilata da Pica e da V. Spinazzola alla fine del 1890. Pur coinvol-
gendolo nella Strenna Pica non chiese a Pagliara di entrare nella «Società dei Nove Musi»,
nata nel 1890 dal gruppo della Libreria Pierro (Benedetto Croce, Francesco Saverio Nitti,
Michelangelo Schipa, Carlo Petitti, Francesco Cimmino, Onorato Fava, Michele Ricciardi e
naturalmente Vittorio Pica; a costoro si unì successivamente come decimo Giuseppe Ceci).
Nello statuto della società, che pare redatto proprio da Croce, era scritto: «La Società dei
Nove Musi non può riunirsi che a tavola». Spesso infatti i «Musi» si riunivano nella celebre
osteria del Pallino. Cfr. F. CIMMINO e V. PICA, Trattorie popolari napoletane, in AA. VV., Na-
poli d’oggi, Napoli, Pierro, 1900, pp. 287-291.
391
Pagliara inviò una lirica di venti quartine (Fantasia lirica, in Strenna della
Libreria Pierro..., cit., p. 69) ma non in dialetto come avrebbe preferito l’amico Pica.
392
E. BERGERAT, Théophile Gautier: entretiens, souvenir et correspondances, Pa-
ris, Charpentier, 1879 (II ed. 1880), ora in rist. anast. Ginevra, Slatkine, 1998. Il volume era
prefato da E. de Goncourt.
393
C. BAUDELAIRE, L’art romantique, Paris, M.L. Freres, 1868 (poi Paris, Lemer-
re, 1889). Sull’attenzione di Pica per Baudelaire cfr. supra.
242 La seduzione dell’arte

Cordiale stretta di mano dall’


Aff.mo tuo
Vittorio Pica
P.S. I due volumi di Bergerat e di Baudelaire tuoi lasciameli da Pierro.

LXXIII
Lettera su foglio di carta di cm 27x22 ripiegato lungo la base.

Venerdì [1893]
Eccoti , caro Rocco, il Bergerat; il Baudelaire lo riterrò ancora qual-
che giorno394. Ed eccoti una delle solite noje: tre pagine d’albo, su una delle
quali tu scriverai, e sulle altre due farai scrivere dal Platania395 e da qualche
altro maestro del Conservatorio della musica. Se però questa seconda cosa
non ti riesce facile o ti riesce semplicemente fastidiosa, rimandami i due
fogli bianchi come te li dò o facci scrivere delle note dall’ottimo Ricci396 o
dal tuo Napolitano. Fa’ tu, ma i fogli davanti rimandameli per la settimana
ventura.
Ringraziamenti anticipati e cordiale stretta di mano dall’aff.mo
tuo Vittorio
Il buon Siniscalchi397 è a Napoli? Lo hai visto?

LXXIV
Biglietto postale di cm 12,5x14,5. Timbro postale «Munchen 7/8/93» e indicazione del de-
stinatario «A Rocco Edoardo Pagliara Hotel Simmen Monaco Germain».

Lunedì, 4 agosto 1893


L’albergo in cui stetti caro Rocco, due anni fa nella mia permanenza
bimensile a Parigi fu l’Hotel Taranne (Boulevard St. Germain 153) un assai

394
Cfr. lettera precedente.
395
Pietro Platania (Catania, 1828 - Napoli, 1907) fu compositore e direttore
del Conservatorio di San Pietro a Majella dal 1885. Trattò tutti i generi musicali, ma
prevalse la melodica. Tra i suoi trattati musicali si ricordano almeno Trattato di armonia
(Milano, Lucca, 1883) e Guida teorica al corso pratico-scolastico di Fughe e Canoni (Pa-
lermo, Michele Amenta, 1879). Per i rapporti con Pagliara proprio al Conservatorio cfr.
supra, I cap.
396
Si riferisce all’amico di Pagliara Corrado Ricci. Cfr. supra, I cap.
397
Si tratta probabilmente del linguista e scrittore Michele Siniscalchi, autore di
un profilo di Pagliara. Cfr. M. SINISCALCHI, Rocco Eduardo Pagliara, in «Gazzetta Lettera-
ria», 18 settembre 1886, p. 2.
I carteggi 243

piccolo, ma assai pulito ed assai comodo albergo398. Avevo una grande camera
al 1° p.° con due balconi sul boulevard ed un piccolo gabinetto da toletta e
pagavo 4 lire al giorno, fissando però la camera mensilmente. Per la trattoria,
a Parigi si mangia a tutti i prezzi: io per solito pranzavo ad un grande restau-
rant del boulevard Pursunnière che non dà che pranzi fissi a tre lire, col dirit-
to nell’avventore di scegliere i cinque piatti che gli spettano nella minuta del
giorno. Mangiavo bene ed abbondantemente.
Buon divertimento!
Aff.mo Tuo
Vittorio Pica

LXXV

Lettera scritta con inchiostro verde su foglio di carta di cm 13x20.

Lunedì [maggio 1895]


Caro Rocco , fammi il piacere di pubblicare domani sul «Mattino»
l’accluso articoletto sulla tornata musicale del mio carissimo amico Mo Schi-
pa399.
La tua quota pel pranzo da Pallino400 fu di 14 lire, che io ho antici-
pate per tuo conto. Quando vorrai mandarmele, avrai la cortesia di mandarmi
anche i versi del conte di Montesquiou401 e il volume di Burckhardt sulla Ri-
nascenza italiana402.
Cordiale stretta di mano dall’
aff.mo tuo
Vittorio

398
Pica fornisce informazioni pratiche a Pagliara sul soggiorno parigino, che egli
stesso visse nel 1891. In quella occasione Pica aveva chiesto informazioni pratiche a Feli-
ce Cameroni. Cfr. F. Cameroni, lettera a Vittorio Pica, 17 aprile 1891, in Cameroni, pp.
113-115.
399
Una «notizia» sui concerti di Schipa apparve nel «Mattino» del 13-14 maggio
1895. Sulla collaborazione di Pagliara al quotidiano fondato da Scarfoglio e Serao, cfr. su-
pra, nel I cap. di questo lavoro. L’«accluso articoletto» non è conservato con la missiva.
400
La storica osteria del Pallino ospitava spesso i banchetti della «Società dei
Nove Musi» animata proprio da Pica. Cfr. supra, lettera LXXI.
401
Di Robert de Montesquiou-Fézensac (Parigi, 1855 - Mentone, 1921), poeta e
scrittore «dandy» francese, sostenitore dell’avanguardia decadentista. All’altezza del 1895,
non ancora autore di romanzi, aveva al suo attivo alcuni volumi poetici dai titoli eloquenti,
tra i quali Les chauves-souris (Paris, Richard, 1892) e Le chef des odeurs suaves (Paris, Ri-
chard, 1893). In quel 1895, inoltre, apparve un altro volume, Les perles rouges (Parigi,
Charpentier-Fasquelle, 1895).
402
Pica chiede il notissimo studio di Jakob Burckhardt, La civiltà del Rinasci-
mento in Italia, trad. di D. Valbusa, Firenze, Sansoni, 1876. Stessa richiesta Pica aveva inol-
trato a Pagliara in una lettera del 25 ottobre 1880 (XVIII).
244 La seduzione dell’arte

P.S. Insieme con questa letterina riceverai i tre cataloghi dell’esposi-


zione di Monaco403.

LXXVI

Biglietto postale di cm 20x15. Tracce del timbro postale e indicazioni del destinatario:
«Rocco Pagliara archiviario del R. Collegio di Musica S. Pietro a Majella. Città». Sul margine
superiore destro, invece, in apertura della missiva la indicazione «venerdì mattina».

Venerdì mattina, 17 maggio 1895


Dovendo, caro Rocco, partire fra qualche giorno per Venezia, ti sarei
molto grato se mi mandassi tra domenica e lunedì i due famosissimi volumi di
Burckhardt e di Montesquiou, nonché la quota tua del banchetto palliniano404.
Cordiale stretta di mano
dall’aff.mo tuo
Vittorio

LXXVII

Lettera scritta con inchiostro verde su foglio di carta di cm 15,8x22,4 ripiegato lungo la
base. Sul verso si legge, con lo stesso inchiostro verde, «al ch.mo signore Rocco Pagliara
archiviario del Collegio di Musica in S. Pietro a Majella Città». Il timbro postale indica
«Napoli Ferrovia 26/5/95».

Sabato sera, 26 maggio 1895


Posdomani , caro Rocco, manderò verso le 2 pom.[eridiane] al Colle-
gio di musica, il mio servo, a cui tu avrai la cortesia di consegnare il promes-
somi volume di Burckhardt sulla Rinascenza.
Il volume di Montesquiou me lo darai al mio ritorno da Venezia405
Cordiale stretta di mano
Dall’aff.mo Tuo
Vittorio

403
Si fa riferimento all’Esposizione Internazionale d’Arte di Monaco di Baviera,
svoltasi nel 1895, quasi contemporanea alla più nota Esposizione Internazionale di Belle
Arti di Venezia.
404
Sui volumi richiesti e sulla quota del pranzo all’osteria del Pallino, cfr. lettera
precedente.
405
Cfr. lettere precedenti.
I carteggi 245

LXXVIII
Biglietto di carta di cm 16x17. Scrittura con inchiostro verde. Sul verso, l’indicazione del
destinatario: «A Rocco Edoardo Pagliara archiviario del R. Collegio di Musica via S. Pietro
a Majella. Da V. Pica». Il biglietto mostra tracce di ripiegatura e di cera lacca.

Mercoledì [1895]
Caro Rocco
abbi la cortesia di consegnare al latore del presente biglietto il volu-
me del Burckhardt406.
Consegnagli anche, se non ti riesce di fastidio, in una busta chiusa, le
14 lire della tua quota di banchetto Palliniano407.
Cordiale stretta di mano
dall’aff.mo tuo
Vittorio

LXXIX
Lettera su foglio di carta di cm 30x21 ripiegato lungo la base.

Giovedì [< febbraio 1896]


Caro Rocco, possiamo dunque contare sulla da me tanto desiderata
tua conferenza al Filologico408? Benedetto Croce, vedendo che né quest’an-
no né l’anno scorso tu, unico tra tutti i conferenzieri invitati da Panzacchi
o Misasi409, non ti sei degnato neppure rispondere con un semplice biglietto

406
Cfr. lettere XVIII, LXXVI e LXXVII.
407
Cfr. lettere LXXVI e LXXVII.
408
Pica tenne due conferenze al Filologico Napoletano. Il 3 aprile 1892 tenne la
nota conferenza dal titolo Arte aristocratica, proprio nell’anno in cui al Filologico cominciò
a partecipare il futuro direttore Benedetto Croce (ora in “Arte aristocratica”, pp. 243-270).
Nel 1894, quando ormai Croce affiancava – e quasi sostituiva – nella direzione del Circolo
Bonghi, Pica e molti degli intellettuali dei «Nove Musi» furono invitati come conferenzieri.
È del 4 marzo 1894 la Conferenza pichiana L’arte dell’Estremo Oriente. Cfr. T. IERMANO, Il
giovane Croce il Circolo Filologico di Napoli..., cit., p. 227 ss. Si veda anche supra, nel I cap.
409
In realtà, a dispetto di queste lettere che testimoniano l’insistenza di Pica,
Pagliara non tenne alcuna conferenza al Filologico. Al contrario Enrico Panzacchi fu as-
siduo conferenziere: Donatello (2 maggio 1886), Solitudine (5 maggio 1889), Raffaello (30
aprile 1893), Giambattista Marino e il secentismo (15 aprile 1894), I momenti storici del-
la pittura italiana (22 aprile 1895). Nicola Misasi invece tenne solo due conferenze: La
provincia qual era, qual è (13 maggio 1894), La poesia dei pini e degli abeti (24 febbra-
io 1895). Questo permette di datare l’epistola tra il 1894 e il 1895. La lettera è certa-
mente precedente al febbraio 1896, quando Pica non venne più rieletto nel Consiglio
Direttivo del Circolo Filologico e Croce, eletto Vicepresidente, si dimise dall’incarico, a
causa di manovre elettorali, guidate dal nuovo Presidente Enrico Pessina, che puntavano
a esautorarlo. Un’attenta ricostruzione della crisi è in T. IERMANO, Il giovane Croce e il
Circolo Filologico Napoletano..., cit.. A proposito delle tormentose vicende del Circolo
Filologico, Pica stesso scrive, non rammaricato, a De Roberto: «Al Filologico abbiamo
avuto una crisi tragi-comica! Un gruppetto di fruits-secs, per vendicarsi del rifiuto oppo-
sto da me e da Croce a qualcuno di loro d’invitarli a tenere una conferenza hanno orga-
246 La seduzione dell’arte

di visita, sia accettando sia rifiutando, si era persuaso che tu sia una persona
molto... una persona abbastanza ... come dirtelo?410 sia una persona molto
distratta. La mia eloquenza è riuscita a fargli cambiare, ancora una volta,
opinione sul tuo conto, ma se tu gli scrivessi una letterina non sarebbe male.
In ogni caso, tu la conferenza dovresti farla a gennaio o, al più tardi,
nella prima metà di febbraio giacché altrimenti finirai con non farla, ed io
voglio assolutamente che quest’anno tu la faccia, giacché sono sicuro ch’essa
otterrà un grande successo e che dopo fatta tu mi ringrazierai.
In attesa di una tua risposta, ti stringo cordialmente la mano
Aff.mo tuo
Vittorio

LXXX
Lettera su foglio di carta di cm 23x17,8 ripiegato lungo la base. Scritto con inchiostro verde
su tutte le facciate e il ductus prosegue lungo margine sinistro della quarta e ultima faccia-
ta. Per la datazione della lettera cfr. la precedente.

Venerdì [<febbraio1896]
Dovresti, mio caro Rocco, farmi un gran favore, dovresti cioè pregare
il m.o [maestro] Longo411, che io conosco assai poco, ma di cui tu sei grande
amico, di rimandare la mia prossima tornata dalla prima alla seconda domeni-
ca di marzo. Era ciò che volevo fare io per la mia conferenza del Filologico
essendovi stato pregato da varie signore e signorine, ma Benedetto Croce non
ha voluto a nessun costo concedermelo.
Non mi rimane dunque, per togliere d’imbarazzo le signore indecise
tra il Filologico e la tornata musicale, di rivolgermi al m.o Longo per tuo
mezzo e chiedergli un favore di cui gli sarò molto riconoscente.
Aspetto un tua sollecita risposta e ti ringrazio anticipatamente della
amichevole e certo efficace intercessione, o fiero pubblico ministero della cri-
tica musicale napoletana! Aff.mo tuo
Vittorio Pica
P.S. Mandami il titolo, anche non definitivo, della tua conferenza412.

nizzato una piccola sorpresa elettorale e, con pochi nuovi socii, hanno dato la scalata al
potere!, scacciando dal Consiglio direttivo me ed i miei amici. In seguito di ciò i profes-
sori D’Ovidio, De Petra e Persico, il conte del Pezzo, il marchese de Montemajor, rie-
letti, e Roberto Bracco, nuovo eletto, si sono subito dimessi, e quasi tutti i conferenzieri
napoletani hanno scritto al nuovo presidente Senatore Pessina, che trovasi imbarazzatis-
simo [...]» (V. PICA, lettera a Federico De Roberto, 10 febbraio 1896, in ID., Lettere a Fe-
derico De Roberto, cit., p. 216).
410
Nell’elenco dei conferenzieri del Filologico, fino a tutto il 1895 Pagliara non
compare. Cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce e il Circolo Filologico di Napoli, cit., pp. 13-78.
411
Si fa qui riferimento al pianista e compositore Giacomo Longo (Messina, 1833
- ivi, 1909). Cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce e il Circolo Filologico di Napoli..., cit.
412
Cfr. lettera precedente.
I carteggi 247

LXXXI

Lettera su carta millimetrata di cm 27x21,5.

Sabato, 25 marzo 1898


Caro Rocco
Per la prima del tuo Profeta velato413 si può avere in amichevole
dono un palco sia di 3a sia di 4a fila?
La richiesta ti viene non soltanto dal sottoscritto, ma anche dagli
amici Cimmino e Spinazzola ed è stata suggerita nientemeno che da VALEN-
TINO! Tu certo non vorrai rispondere con un rifiuto ed è perché sicuro di ciò
che io non discendo alla volgarità di promessa o di minacce.
Evviva il poeta Conforti! evviva il musicista Napoletano414!!
Evviva Rocco Edoardo Pagliara, poeta, musicista e critico!!! Aspettia-
mo con ansia una tua risposta...
Aff.mo tuo
Vittorio Pica

LXXXII

Biglietto postale di cm 12,5x14. Intestazione: «A Rocco Pagliara, redattore del Mattino, Via
Magnocavallo, Città».

Giovedì Santo
30 marzo 1898
Dunque, caro Rocco, questo palco per la prima del Profeta415 c’è o
non c’è?
Aspetto per domattina una risposta da poter comunicare anche agli
altri postulanti, Cimmino, Spinazzola e altri.
Aff.mo tuo
Vittorio

413
Si accenna alla celebre opera di Thomas More, tradotta da Giovanni Flechia
(Torino, Canfari, 1838); qui si fa riferimento alla versione del Profeta velato del musicista
Daniele Napoletano su libretto di Luigi Conforti e Italo Robin, probabile pseudonimo dello
stesso Pagliara [di qui il riferimento al «tuo Profeta velato»]. Il dramma fu rappresentato al
teatro di San Carlo di Napoli nel marzo 1898.
414
Il musicista Daniele Napoletano (Saviano, 1874 - Nola, 1943) compositore e
studioso di musica, presente per anni anche nella wagneriana Bayreuth, fu fondatore a
Napoli, nel 1916, di una Scuola di canto corale di cui fu direttore, e dell’Accademia Musi-
cale Napoletana, da lui istituita nel 1933.
415
Cfr. lettera precedente.
248 La seduzione dell’arte

LXXXIII
Lettera su foglio di carta di cm 16x10,5 ripiegato lungo la base.

27 ottobre [1898]
Carissimo D. Rocco
Ti ringrazio anzitutto delle tante scatolette mandatemi.
Continuo e continuerò le mie ricerche su Leopardi: ti mando un
numero della «Rassegna Italiana», in cui vi è un articolo di Zumbini416.
Ti ricordo che nei Saggi Critici vi sono vari articoli sul Leopardi417
e che A. de Musset nell’Ode Alla Malibran [sic]418 ha due o tre sestine a
lui rivolte. T’ho ricordato ciò soltanto per precauzione.
Portami giovedì, giorno in cui ti aspetto assolutamente, il mio ritrat-
to, affinché possa metterci la mia firma
Ciao
Tuo
Vittorio Pica

LXXXIV
Lettera su foglio di carta di cm 13x10. Indicazione del destinatario: «A R.E. Pagliara (con
un libro) da V. Pica».

Lunedì [s.d.]
Caro Rocco
Non credo di aver fatto il tuo nome a Parigi, a proposito del Rive,
alla prima del quale non potetti assistere perché ritardata di più giorni, non

416
In realtà Pica fa riferimento alla rivista «Rassegna critica della Letteratura Ita-
liana». L’articolo del noto leopardista Bonaventura Zumbini, dal titolo La canzone del Leo-
pardi ad Angelo Mai, apparve nel n. 3, a. 1898, pp. 1-6.
417
Pica cita i notissimi e numerosi studi di Francesco De Sanctis su Leopardi,
conferenze tenute al Circolo Filologico o saggi apparsi sul «Roma», sul «Diritto» e su altre
riviste; parte di questi inclusi nei Saggi critici sin dalla prima edizione (Napoli, 1866) e poi
riproposti nelle diverse riedizioni dei volumi desanctisiani, alcuni riuniti poi da Raffaele
Bonari col titolo Studio su Giacomo Leopardi (Napoli, Morano, 1885). In particolare la rac-
colta di saggi desanctisiani sul poeta comprende: Epistolario di Giacomo Leopardi (1849);
“Alla sua donna”, poesia di Giacomo Leopardi (1855); Schopenhauer e Leopardi (1858). A
questi si aggiungono saggi successivi, La Nerina di Giacomo Leopardi, Le nuove canzoni di
Giacomo Leopardi (1877); Leopardi risorto e Il nuovo Leopardi (apparsi nel 1879 e nel
1881 in «Nuova Antologia»); infine due saggi postumi, Silvia e I nuovi idilli, apparsi nel
1893 rispettivamente in «Fortunio» e «Pungolo» e poi inclusi nel volume Scritti vari inediti
o rari, curato da Benedetto Croce nel 1898. Cfr. Introduzione a F. DE SANCTIS, Leopardi, a
cura di C. Muscetta e A. Perna, Torino, Einaudi, 1983.
418
Si tratta in realtà del volume À la Malibran, edito nel 1837 da Alfred Louis
Charles de Musset (Parigi, 1810 - ivi, 1857) poeta e drammaturgo del romanticismo france-
se, noto a Pagliara che possedeva alcune racolte di versi nella sua biblioteca.
I carteggi 249

posso averlo fatto e averlo dimenticato. Ti hanno forse proposto di tradurre il


libretto del Rive? Eccoti il volume delle Poésies419.
Cordiale stretta di mano
Aff.mo tuo Vittorio

LXXXV

Lettera su foglio di carta di cm 21x13,5.

Lunedì [s.d.]
Caro Rocco
Potresti farmi il gran favore di prestarmi per 7 od 8 giorni soltanto
una ventina di lire? Se sì, lasciamele domani, prima di mezzogiorno, da Luigi
in una busta suggellata420.
Sicuro che non vorrai rifiutarmi il favore che ti chieggio e ringrazian-
dotene anticipatamente, mi ripeto
tuo aff.mo
Vittorio Pica

LXXXVI

Lettera su foglio di carta di cm 26x21.

Sabato [s.d.]
Sono caro Rocco,
assai dolente di non poterti rendere il piccolo favore che mi chiedi,
ma sino ai 20 di questo mese, giorno in cui posso fare un’esazione di affitti,
ho pochi quattrini a mia disposizione421.
Scusami e credimi
Aff.mo tuo
Vittorio

419
Se si tratta di Lucien de La Rive (1834-1924), il suo volume di versi è Les
résistances: poésie, Paris, Fischbacher, 1889.
420
Differentemente dalle altre missive con richieste di danaro, in queste righe
dal tono e dalla cortesia adoperate da Pica, si comprende che non si tratta di questioni
pratiche riguardanti la gestione per la stampa di «Fantasio», quanto piuttosto di un vero
prestito. Questo esclude la possibilità di dedurre una data, anche approssimativa, della
lettera.
421
Cfr. lettera LXVI.
250 La seduzione dell’arte

LXXXVII

Biglietto di cm 12x18. Consegnata, non spedita, senza busta, la missiva presenta ancora i
segni della ripiegatura e sul verso la semplice indicazione del destinatario: «A Rocco Pa-
gliara».

[s.d.]
Heu! Sero revocatur amor, seroque iuventas.
Cum vetus infecit cana senecta caput. Tum studium formae; coma
tum mutatur [sic]422.

422
Si tratta di una nota citazione da Tibullo (Elegie, I, VIII, vv. 41-43). Riportiamo
qui il testo corretto: «Heu! Sero revocatur amor, seroque iuvent / quum vetus infecit cana
senecta caput. / Tum studium formae; coma tum mutatur, ut annos».
I carteggi 251

Vittorio Pica a Salvatore di Giacomo

I
Lettera su foglio di carta di cm 21x16.

Roma, 21 marzo 1883


Carissimo Salvatore,
Appena ricevetti la tua cartolina mi avviai per andare da Danesi, ma
poi per via mi ricordai che era domenica e rimandai a dimani la mia andata;
il lunedì però trovai lo stabilimento chiuso per la festa di S. Giuseppe. Sono
poi riandato in mattina – martedì- e finalmente sono riuscito a trovare il Da-
nesi, il quale, quando io mi fui lagnato del suo ritardo e gli ebbi detto che tu
volevi che ad ogni costo il tuo volume fosse tutto pronto per Pasqua, mi ri-
spose che, stante ed il cattivo tempo e la malattia di alcuni suoi operai ed
infine i molti ed urgentissimi lavori per il prossimo centenario di Raffaello gli
era assolutamente impossibile mandarti le prime pruove del disegno, prima
del prossimo lunedì cioè il giorno dopo Pasqua. Tutte le mie molte insistenze,
non riuscirono ad ottener nulla ed io mi dovetti contentare di andarmene con
questa sua promessa423.
In quanto alla tua novella io credo che finiranno col pubblicartela,
ma che dovrai attendere ancora dell’altro tempo424.
Del resto mi sono convinto che la pubblicazione nel «Fanfulla della
Domenica» più o meno sollecita di una novella o di un articolo dipende più

423
Al 1883 le ricerche non riportano pubblicazioni di Di Giacomo stampate pres-
so l’editore Danesi. Si fa forse qui riferimento al volume Minuetto Settecento, il prezioso
libricino illustrato da Vincenzo Migliaro, che però vide la luce, in quello stesso 1883, per
i tipi di Pierro, stampato dalla tipografia Giannini, forse proprio in seguito ai ritardi di
Danesi.
424
Da uno spoglio attento della rivista «Fanfulla della domenica», la novella cita-
ta in questa missiva non compare in nessun numero dell’annata 1883 e neppure nei numeri
dell’annata successiva. Di Giacomo, dunque, non sarebbe riuscito nel suo intento.
252 La seduzione dell’arte

che da altro da fortuna e da cagioni imprevedibili; p.e. il Martire ha mandato


da circa tre mesi una novella, che è stata un bel giorno fin mandata in tipo-
grafia per essere stampata, poi è stata di un tratto ritirata, per essere surroga-
ta da un’altra e rimandata a tempo migliore425. Invece il Torrioli lo scorso
mercoledì portò a leggere al Capuana una sua novella426; il Capuana la mise
prima da parte deciso a farla al solito dormire nel tiratoio per un bel pezzo,
ma poi, visto che mancava la novella ancora per il n° di domenica passata, il
quale era già in gran parte composto, la prese, la lesse e, essendogli piaciuta
la mandò subito in tipografia. Capirai benissimo che dopo tutte le mie solle-
citazioni e le risposte evasive del Capuana, a me non conviene più di farmi
ridare da lui la tua novella; quindi se un consiglio debbo darti è di mandargli
subito un’altra tua novella e richiedergli, così incidentalmente, quell’altra già
mandata.
Se desideri qualche altra cosa qui a Roma, chiedimela pure, ché io
sarò felicissimo di poterti rendere qualche altro servigio.
Salutami affettuosamente tutti gli amici e scrivimi presto.
Ama il tuo
Vittorio

425
Si tratta della novella di Raffaele Martire, Mamma lo diceva ..., apparsa in
«Fanfulla della domenica», a. V, n. 23, 10 giugno 1883, pp. 3-4.
426
Cfr. E. TORRIOLI, Fosca, in «Fanfulla della domenica», a. V, n. 11, 18 marzo
1883, pp. 3-4. Dello stesso Enrico Torrioli, in quel 1883, sul periodico romano apparvero
altre novelle: Altalena (n. 27, 8 luglio 1883, pp. 3-4), Perché il Tritone cessò di ridere (n. 33,
19 agosto 1883, pp. 3-4), Ciao Augustin (n. 48, 2 dicembre 1883, pp. 3-4).
I carteggi 253

Appendice
Roberto Bracco a Rocco Pagliara: Discorso commemorativo427

Il mio cuore di compagno, di amico di fratello ha già detto addio e


arrivederci a Rocco Pagliara, ed egli nel silenzio e nell’immobilità del riposo
crudelmente imposto al suo spirito combattivo dall’ingiustizia del Destino, ha
già accolto il sorriso del mio arrivederci e le lagrime del mio addio. Ci siamo
sempre intesi, parlandoci poco. E questa facile comunione è stata sempre per
lui un conforto, per me un conforto e un orgoglio. Ora, la mia povera voce
non ha altro compito che di dargli l’estremo saluto in nome della parte mi-
gliore di Napoli, della quale io ho la coscienza d’interpretare il dolore e il
rimpianto: un rimpianto in cui è il convincimento che sia sparito con lui uno
dei più nobili, dei più benefici, dei più benemeriti, dei più preziosi cittadini
napoletani. La parte migliore di Napoli sa che l’anima di Rocco Pagliara fu
perennemente tutta una vivida fiamma dinanzi all’Arte della Musica, da cui
Egli credeva fosse costituito il maggiore e più sacro patrimonio artistico di
questa città. La parte migliore di Napoli sa ch’Egli chiuse in una muta mode-
stia la sua vena di poeta gentile e rinunziò alla sua magnifica facoltà di critico
coraggioso e geniale per seguire unicamente e dirittamente le aspirazioni al-
truistiche della fede che dentro gli ardeva.
Appunto la sua fede restituì a Napoli Giuseppe Martucci428. E oggi lo
stesso dolore e lo stesso rimpianto uniscono il ricordo del grande musicista e
l’omaggio alla salma del suo degnissimo apostolo. Così, noi torniamo a nominarli
insieme, mentre essi – dopo cinque anni di lontananza – tornano a essere vicini.

427
Si trascrive qui un discorso autografo, non datato, che risale al periodo imme-
diatamente successivo alla morte di Pagliara (1914), utile testimonianza della sincera voca-
zione musicale dell’autore, oltre che del rapporto di amicizia che lo legava al più noto cri-
tico Roberto Bracco (cfr. supra). Il manoscritto autografo è conservato nell’Archivio del
Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli (segnatura Rari 4.6.927), donato all’Istituto
musicale dalla signora Bracco nel 1956, in occasione della mostra dedicata a Martucci per
il centenario della sua nascita (sulla mostra cfr. Giuseppe Martucci, Mostra di autografi ci-
meli e documenti, Napoli, Comitato Nazionale per la celebrazione del centenario della na-
scita di Giuseppe Martucci, 1956).
428
Su Giuseppe Martucci cfr. supra, al I cap.
254 La seduzione dell’arte
Indice dei nomi 255

Indice dei nomi

Abbatino, Laura Barbieri, Giovanni


Abbruzzese, Alberto Barbina, Alfredo
Abeniacar, Carlo Bartoli, Domenico
Adorno, Theodor Ludwig Bartolomeo, Luigi
Albertazzi, Silvia Bartolotto, Massimo
Aleardi, Aleardo Barzellotti, Giacomo
Alexis, Paul Basso, Alberto
Ambiveri, Corrado Battistini, Andrea
Amendola, Giovan Battista Baudelaire, Charles
Andersen, Hans Christian Bavarese, Fausto
Andreatini, Francesco Bavarese, Roberto Federico
Andreoli, Annamaria Bayle, Marie Claude
Angarano Moscarelli, Maria Bazan, Enrico
Antona Traversi, Camillo Belliazzi, Raffaele
Arena, Leonardo Vittorio Benetti, Giuseppe
Arrighi, Cletto [Carlo Righetti] Bergamini, Giovan Battista
Arslan, Atonia Bergerat, Emile
Asor Rosa, Alberto Bergfeld, Joachim
Attanasio, Natale Berlioz, Hector
Aversa, Luigi Bernard, Claude
Bernard, Daniela
Baccelli, Alfredo Bernard, Pierre Marie Charles (de)
Balduino, Armando Bernardini, Nicola
Balzac, Honoré de Bernhardt, Sara [Henriette Rosine Ber-
Balzico, Alfonso nard]
Bandini Buti, Antonio Bersezio, Vittorio
Banville, Théodore de Bertini, Oddo Piero
Barbagallo, Francesco Bertini, Paolo
Barbera, Sandro Bertrand, Louis Jacques Napoléon (Aloy-
Bàrberi Squarotti, Giorgio sius)
Barbey d’Aurevilly, Jules Amédée Betteloni, Vittorio
Barbier, Henri Auguste Bianchetti, Enrica
Barbier, Jules Biavati, Eros
256 La seduzione dell’arte

Bideri, Ferdinando Capuana, Luigi


Bigazzi, Roberto Caputo, Michele Carlo
Bignardi, Massimo Caracciolo, Luigi
Bissoli, Francesco Carafa, R. (Duca di Andria)
Bizet, Georges Carafa, Riccardo
Boito, Arrigo Carducci, Giosuè
Bollina, Marco Careri, Enrico
Bolognesi, Domenico Carli, Decio
Bonari, Raffaele Carlini, Antonio
Bonavenia, Gaetano Carré, Michel
Bonghi, Ruggiero Casa, Federigo
Bongiovanni, Gaetano Casertano, Antonio
Bonnetain, Emilio Castellani, Giuseppe
Bonnetain, Paul Castronovo, Valerio
Bonora, Ettore Cavallotti, Felice
Bordi, Luigi Caze, Robert
Boronat, Olimpia Ceci, Giuseppe
Borrelli, Clara Cerone, Francesco
Bouhilet, Louis Cesareo, Giovanni Alfredo
Bourdieu, Pierre Cesi, Beniamino
Bourget, Paul Champfleury [Jules- François-Félix Hus-
Boutet, Edoardo son-Fleury]
Bovio, Giovanni Checchi, Eugenio
Bracco, Roberto (Baby) Chelli, Gaetano Carlo
Branca, Emilia Chemello, Adriana
Briganti, Alessandra Chénier, André
Brunetière, Ferdinand Chiaradia, Enrico
Buonvino, Orazio Chiarini, Giuseppe
Burckhardt, Jakob Chiesi, Gustavo
Busnelli, Valerio Chiurazzi, Luigi
Byron, Gorge Gordon Noel (Lord) Ciamarra, Giacinto
Ciampoli, Domenico
Cabianca, Vincenzo Cimbali, Giuseppe
Cafiero, Martino Cimini, Mario
Cafiero, Rosa Cimmino, Francesco
Cafisse, Maria Cristina Citro, Ernesto
Calandra, Edoardo Civile, Giuseppe
Calauti, Michele Colautti, Arturo
Caldore, Patrizia Colli, Giorgio
Cameroni, Felice Colosimo, Gaspare
Campailla, Sergio Comte, Auguste
Campanella, Enrico Conforti, Luigi
Campanili, Naborre Conforti, Luigi jr.
Campioni, Giuliano Conrad, Michael Georg
Candela, Elena Consiglio, Alberto
Cantalupi, Andrea Contessa Lara [Evelina Cattermole Man-
Cantù, Cesare cini]
Capparelli, Vincenzo Conti, Angelo
Indice dei nomi 257

Contini, Gian Franco De Wyzewa, Téodor


Coppée, François Edouard Joachim De Zerbi, Rocco
Corbière, Tristan [Edouard Joachim] Del Balzo, Adelaide
Cordié, Carlo Del Balzo, Carlo
Corrado, Adriana Del Balzo, Ernesto
Cossa, Pietro Del Franco, Costantino
Costa, Mario Dell’Erba, Francesco
Costa, Pasquale Maria Della Sala, Modestino
Cottrau, Giulio Della Sala, Vincenzo
Cottrau, Luigi Guglielmo Delsemme, Paul
Crisafulli Jones, Lilla Maria Denza, Luigi
Croce, Benedetto Depanis, Giuseppe
Croce, Elena Devoyod, Iestin
Croce, Silvia Di Bendetto, Renato
Crotti, Ilaria Di Capua, Edoardo
Di Giacomo, Domenico
D’Alessandro, Lucio Di Lena, Carla
D’Aloe, Giovanni Di Lustro, Erasmo
D’Annunzio, Gabriele De Martino, Pier Paolo
D’Anthonay, Thibaut Di Nallo, Antonella
D’Antuono, Nicola Di Tizio, Franco
D’Arienzo, Nicola Donizetti, Domenico Gaetano Maria
D’Orsi, Achille Doria, Gino
D’Ovidio, Francesco Dosotevskij, Fëdor Michajlovi
Dal Bono, Edoardo Dossi, Carlo
Dalbono, Edoardo Dujardin, Edouard
Dante (Alighieri) Durante, Francesco
Daudet, Alphonse Duranty, Louis Edmond Emile
Daudet, Giulia Duse, Eleonora
De Amicis, Edmondo
De Caprio, Caterina Errico, Carmelo
De Castro, Eugenio Esmerre, Alphonse
De Fusco, Renato
De Giovine, Esther Fabre, Ferdinand
De Gubernatis, Angelo Faccio, Franco
De Leva, Enrico Faitrop Porta, Anne Christine
De Lieto, Antonio Falciola, Pia
De Liso, Daniela Falqui, Enrico
De Luca, Pasquale Fano, Fabio
De Martino, Pier Paolo Fantin Latour, Jean Théodore
De Musset, Alfred Farinelli, Giuseppe
De Nardis, Camillo Fava, Onorato
De Nardis, Luigi Fénéon, Félix
De Nittis, Giuseppe Feuerbach, Ludwig Andreas
De Roberto, Federico Fiche, Johann Gottlieb
De Sanctis, Francesco Filippi, Filippo
De Troja, Elisabetta Finotti, Fabio
De Vito Puglia, Luigina Fiordelisi, Alfonso
258 La seduzione dell’arte

Fiordelisi, Luigi Giobbe, Mario


Fiorentino, Francesco Giordano, Oreste
Fischetti, Matteo Luigi Glatigny, Albert
Flaubert, Gustave Goethe, Johann Wolfgang (von)
Flechia, Giovanni Goldmann, Lucien
Fleres, Ugo Golisciani, Enrico
Flora, Francesco Goncourt, Edmond (de)
Florimo, Francesco Goncourt, Jules (de)
Fogazzaro, Antonio Gotta, Italo
Fongaro, Antoine Gottardi, Ermenegildo
Fontainas, André Gottardi, Vittorio
Fontana, Ferdinando Gourmont, Jean de
Forcella, Roberto Grande, Tiziana
Fortunato, Giustino Grasso, Franco
Fothergill, Brian Greco, Franco Carmelo
Foulques, Alessandro Grey, Thomas
Foulques, Eugenio Wenceslao Grimaldi, Emma
France, Anatole [François Anatole Thi- Guarnieri Corazzol, Adriana
bault] Guerrieri Gonzaga, Anselmo
Franci, Giovanna Guerrini, Olindo
Fratta, Arturo Gutman, Robert W.
Fucini, Renato
Fuhring, Peter Halévy, Ludovic
Fumagalli, Giuseppe Hannon, Théodore
Fuster, Charles Wilhelm Heine, Heinrich
Hilos, Pablo de
Gagnièr, Etienne Holleufer, Maria von
Galasso, Giuseppe Hollinrake, Roger
Galli-Marié, Célestine Horatius Flaccus, Quintus
Gandi, Orazio Huysmans, Joris Karl [Charles Marie Ge-
Gangemi, Michelangelo orges]
Gautier, Emile Théodore Léon
Gautier, Théophile Iaccio, Pasquale
Gemito, Vincenzo Iermano, Toni
Genovese, Gianluca Infusino, Gianni
Gentile, Emilio Insanguine, Giacomo
George, Albert-Joseph Isella, Dante
Gervasi, Valentino
Ghirelli, Antonio Janni, Ettore
Ghislanzoni, Antonio Jourda, Pierre
Ghisleri, Arcangelo Jullien, Adolph
Giacometti, Paolo
Giacosa, Giuseppe Kasman, Josip
Giametta, Sossio Kerbaker, Michele
Giammattei, Emma Kock, Charles Paul (de)
Giannelli, Enrico Kopp, Robert
Giannini, Francesco
Giglio, Raffaele La Rive, Lucien (de)
Indice dei nomi 259

La Rocca, Vincenzo Martucci, Giuseppe


Landucci, Giovanni Maser, Werner
Lanson, Gustave Masini, Ferruccio
Lebrecht, Vittorio Masini, Pier Carlo
Lecomte, Georges Maupassant, Henri René Albert Guy
Lefranc, Abel (de)
Lemonnier, Camille Mazzei, Francesco
Leotta, Massimo Mazzini, Giuseppe
Lermina. Jules Mazzola, Luigi
Lesure, François Mazzoni, Guido
Licata, Giovan Battista McCalla, Arthur
Limoncelli, Mattia Meilhac, Nenri
Liszt, Franz Meissonnier, Juste Aurèle
Locchi, Giorgio Melis, Rossana
Longo, Giacomo Mendès, Catulle
Lorrain, Jean Menichelli, Gian Carlo
Loti, Pierre [Louis Marie Julien Viaud] Mérimée, Prosper
Lotman, Jurii M. Merrill, Stuart Fitzrandolph
Louandre, Charles Metastasio, Pietro
Luperini, Romano Mezzanotte, Giuseppe
Michela, Mario
Macry, Paolo Michetti, Francesco Paolo
Madrignani, Carlo Alberto Miele, Lucia
Maffei, Giovanni Migliaro, Vincenzo
Maione, Paologiovanni Mila, Massimo
Malato, Enrico Milelli, Domenico
Malherbe, Charles Mimita Lamberti, M.
Mallarmé, Stéphane Minichini, Sergio
Mancini, Massimliano Miranda, Gaetano
Mandalari, Mario Mirandola, Giorgio
Manfellotto, Barbara Mirecourt de, Eugène
Mangoni, Luisa Misasi, Nicola
Mann, Thomas Moffa, Rosy
Mantegazza, Paolo Mola, Monica
Marchetti, Marilia Mombello, Gianni
Marchianò, Grazia Mommsen, Theodor Christian Matthias
Marchisio, Barbara Monferier, Jacques
Marchisio, Carlotta Monteleone, Renato
Marini, Giorgio Montella, Luigi
Marino, Marina Montépin, Xavier Aymon (de)
Mariotti, Claudio Montesquiou Fézensac, Robert (de)
Marradi, Giovanni [Labronio] Montinari, Mazzino
Martelli, Mario Montuoro, Raffaele
Martin, Martial Moore, Thomas
Martini, Alberto Moranti, Luigi
Martini, Emidio Moréas, Jean [Ioànnis Papadiamantòpou-
Martini, Ferdinando los]
Martire, Raffaele Morelli, Domenico
260 La seduzione dell’arte

Morello, Vincenzo Pergolesi, Giovan Battista


Moretti, Mauro Perna, Antonia
Mormone, Salvatore Perrelli, Raffaele
Morpurgo-Tagliabue, Guido Perrino, Folco
Mousset, Alfred Louis Charles (de) Persico, Federico
Munthe, Axel Pessina, Enrico
Murger, Henry Petillo, Francesco
Muscetta, Carlo Petitti, Carlo
Muscogiuri, Francesco Petitti, Pompilio
Musset, Alfred Louis Charles (de) Pezzoli, Rodolfo
Piazzoli, Emilio
Napoletano, Daniele Pierro, Luigi
Nattiez, Jean Jacques Pignatelli, Francesco
Navarria, Aurelio Pipitone Federico, Giuseppe
Nazzaro, Carlo Pironti, Pasquale
Nencioni, Enrico Piscopo, Ugo
Nerval (de), Gérard [Gérard Labrunie] Piva, Domenico
Nichelini Tocci, Franco Placci, Carlo
Nietzsche, Friedrich Wilhelm Platania, Pietro
Nitti, Francesco Saverio Platone
Nordau, Max Poerio, Giusepope
Novelli, Ermete Poictevin, Francis [Jacques Emile Blan-
che]
Oliva, Domenico Polidori, Federigo
Oliva, Gianni Portioli, Attilio
Orazio Flacco, Quinto Praga, Emilio
Orsini, Lanfranco Pratella, Attilio
Ossani, Olga Primoli, Giuseppe
Ottino, Giuseppe Procida, Saverio
Prudhomme, Sully [René François Ar-
Pagliara, Adele mand Prudhomme]
Pagliara, Maria Antonietta Pulle, Leopoldo
Paisiello, Giovanni Pupino, Angelo Raffaele
Palermo, Antonio
Paliotti, Vittorio Raffele, Mariagrazia
Palizzi, Filippo Ragusa Moleti, Girolamo
Panico, I. Ragusa, Olga
Panizzardi, Mario Rapisardi, Mario
Pannain, Guido Redon, Odilon
Panzacchi, Enrico Renan, Joseph Ernest
Papa, Dario Ricatte, Robert
Papa, Pietro Ricci, Corrado
Pardo Bazàn, Emilia Ricciardi, Michele
Pascal, Carlo Riccio, Gaetano
Pascoli, Giovanni Ricorda, Ricciarda
Pasolini, Pier Paolo Ricottini, Cecilia
Péladan, Joséphin Righetti, Carlo
Penta, Maria Teresa Rimbaud, Arthur
Indice dei nomi 261

Rocco di Torrepadula, M. Scarpignato, Marisa


Rocco, Emmanuele Scherillo, Michele
Rod, Edouard Schettini, Alfredo
Rollinat, Maurice Schilizzi, Matteo
Romanelli, Raffaele Schipa, Michelangelo
Ronsard, Pierre Schlitzer, Franco
Roqueplan, Nestor Schopenhauer, Arthur
Rossi, Enrico Schuré, Edouard
Rossi, Ernesto Schwob, Marcel
Rossi, Sandro (musicologo) Scialò, Pasquale
Rossigni, Gioacchino Scirocco, Alfonso
Rostagno, Antonio Scoppetta, Pietro
Rostand, Edmond Sebastiani, Carlo
Rostirolla, Giancarlo Seller, Francesca
Rouveyre, André Serao, Matilde
Rovani, Giuseppe Sergio, Nestore
Rovito, Teodoro Shakespeare, William
Ruggiero, Nunzio Shelley, Percy Bysshe
Ruskin, John Silvestri, Rossana
Russo, Ferdinando Simonetti, Flavio
Russo, Giuseppe Siniscalchi, Michele
Ruta, Gilda Soffici, Ardengo
Ruta, Michele Solitario, Francesco
Sollazzi, Pilade
Sabbatino, Pasquale Sommaruga, Angelo
Saccomani, Sabrina Sorel, Giuliano
Sainte-Beuve, Charles Augustin (de) Sortini, Saverio
Salsano, Roberto Soulary, Joséphine
Salvadori, Giulio Spaventa, Bertrando
Salvagnini, Francesco Alberto Spaziani, Marcello
Salvemini, Gaetano Speroni, Gigi
Salvestroni, Simonetta Spina, Giuseppina
Salvetti, Guido Spinazzola, Vittorio
Salvoni, Lucia (personaggio novella) Squarciapino, Giuseppe
Sand, George [Amantine Aurore L. Du- Stecchetti, Lorenzo [vedi Guerrini, Olin-
pin] do]
Sandron, Remo Stella, Federico
Santamaria, Luigi Stendardo, Francesco
Santojanni, Giuseppe Strappini, Lucia
Santomauro, Vincenzo Swinburne, Algernon Charles
Santoro, Mario Sylva, Carmen [Pauline Elisabeth Ottilie
Sardou, Victorien Luise zu Wied]
Sasso, Gennaro
Scalera, Erminio Taine, Hippolyte Adolphe
Scalinger, Giulio Massimo Tallarigo, Carlo M.
Scano, Antonio Tamburello, Adolfo
Scarfoglio, Edoardo Tarallo, Alfredo
Scarpetta, Eduardo Tarchetti, Iginio Ugo
262 La seduzione dell’arte

Tari, Antonio Villani, Paola


Tellini, Gino Villari, Pasquale
Ternois, René Villari, Rosario
Thalberg, Sigismund Fortuné F. Villiers de l’Isle-Adam, Jean Marie-Ma-
Theuriet, André thias-Philippe Auguste (de)
Thomas, Charles-Louis A. Villon, François
Tolstoij, Lev Nikolaevic Vinciguerra, Mario
Topin, Marius Vitale, Vincenzo
Torchi, Luigi Voci, Anna Maria
Torelli, Achille Volpato, Giovanni
Torraca, Francesco Volpe Rinonapoli, Luigi
Torrioli, Enrico Volpe, Vincenzo
Tosti, Francesco Paolo
Trezza, Gaetano Wagner, Cosima
Trompeo, Pietro Paolo Wagner, Richard
Trotta, Donatella Wagner, Sigfrido
Turati, Filippo Walpole, Charles George
Walpole, Horace
Uda, Felice Walpot, Ferdinando
Uda, Michele Westerhout Van, Niccolò
Withe Mario, Jessie
Vajro, Max Wyzewa, Téodor (de)
Valbusa, Diego
Valente, Isabella Zaccagnini, Cassiano
Valente, Vincenzo Zanardelli, Giuseppe
Vallès, Jules Zanella, Giacomo
Vapereau, Gustave Zanella, Giacomo
Venditti, Mario Zappulla, Muscarà, Sarah
Verdinois, Federigo Zena, Remigio [Gaspare Invrea]
Verga, Giovanni Ziino, Agostino
Verlaine, Paul Marie Zocchi, Vincenzo Giordano
Vetri, Paolo Zola, Emile
Vian, Nello Zumbini, Bonaventura
Vigliani, Ada
Indice delle riviste 263

Indice delle riviste

«Alceo. Rivista di lettere, arti e scienze» «Diritto»


«Aprutium» «La Domenica del Don Marzio»
«L’Arte pianistica nella vita e nella cultu- «La Domenica Letteraria»
ra musicale» «Don Chisciotte»
«Caffè» «Don Marzio»
«Il Capitan Cortese» «L’Eco»
«Capitan Fracassa» «Economia irpina»
«Caporal Terribile» «Emporium»
«La Civetta» «L’Esame»
«Coltura giovanile. Periodico scientifico «Esperienze Letterarie»
artistico letterario» «L’evoluzione»
«Conversazioni della Domenica» «Excelsior. Gazzettino del mondo elegan-
«Corriere Artistico-Letterario» te»
«Corriere del Mattino» «Fanfulla»
«Corriere della Sera» «Fanfulla della domenica»
«Corriere di Catania» «Fantasio»
«Corriere di Napoli» «La Farfalla»
«Corriere di Roma» «La Fiera Letteraria»
«Corriere di Roma illustrato» «Le Figaro»
«La Cravache Parisienne. «Fonti Musicali Italiane»
Journal littéraire, artistique et financier» «Fortunio»
«Il Crepuscolo» «La Frusta»
«La Crisalide. Giornale di lettere, scienze «Gazzetta del Popolo»
ed arti» «Gazzetta d’Italia»
«La Critica» «Gazzetta di Napoli»
«Critica Letteraria» «Gazzetta Letteraria»
«Cronaca Azzurra» «Gazzetta Musicale»
«Cronaca Bizantina» «Gazzetta Piemontese»
«Cronaca d’Arte» «Gil Blas»
«Cronaca Partenopea» «Giornale critico della filosofia italiana»
«Cronaca Rosa» «Il Giornale d’Italia»
«Cronaca Sibarita» «Giornale Napoletano di filosofia e lette-
264 La seduzione dell’arte

re, scienze morali e politiche» «Le Parnasse»


«Giornale Storico della Letteratura Italia- «Pegaso»
na» «Penombre: giornale letterario artistico
«L’Illustrazione italiana» settimanale»
«Illustrierte Zeitung» «La Perseveranza»
«Intermezzo» «Picche»
«Italia» «Il Piccolo»
«Italia artistica: periodico di letteratura e «Picenum»
belle arti» «Plinio»
«The Italianist» «La Plume»
«Italian Culture» «Il Plebiscito. Giornale politico quotidia-
«Lettere ed Arti» no»
«Lettere Italiane» «Poliorama Pittoresco»
«Libellula. Rivista letteraria artistica bi- «Preludio. Rivista di scienze, lettere e
mensile» arti» «Il Preludio»
«Il Liceo» «Pro Patria»
«Il Marzocco» «Prospettive Settanta»
«Il Mattino» «Psiche»
«Mattino-supplemento» «Il Pungolo»
«Mercure de France» «Il Pungolo della domenica»
«Meridiana» «La Rassegna»
«Il Mezzogiorno» «Rassegna contemporanea»
«Moderne Kunst» «Rassegna critica della Letteratura Italia-
«Il Momento letterario, artistico, sociale» na»
«Monitore» «Rassegna di cultura e vita scolastica»
«Musica e Musicisti» «Rassegna Settimanale»
«Musica/Realtà» «Regina»
«Nabab» «La Repubblica Letteraria»
«Napoli. Giornale politico letterario com- «La Revue contemporaine»
merciale» «La Revue des deux Mondes»
«Napoli Letteraria. Giornale della Dome- «Revue des études italiennes»
nica» «Revue d’Italie»
«Napoli Musicale» «Revue fantaisiste»
«Napoli Nobilissima» «Revue Indépendante, politique, littérai-
«Natura ed Arte» re et artistique»
«Il Novelliere» «Revue Moderniste»
«Nuova Antologia» «La Revue Wagnérienne»
«Nuova Corrente» «Riscontri»
«Nuova Musica» «La Rivista Bolognese»
«La Nuova Rivista» «Rivista di letterature moderne e compa-
«Nuova Rivista Europea» rate»
«L’Occhialetto» «Rivista di Letterature Moderne e Con-
«Omnibus. Giornale Politico-Letterario- temporanee»
Artistico-Commerciale» «Rivista nuova di Scienze, Lettere ed
«Omnibus Pittoresco» Arti»
«L’Opinione» «Rivista Teatrale»
«Orfeo» «Roma»
«Il Paese» «Roma Artistica»
Indice dei nomi 265

«Il Roma della Domenica» «La Tavola Rotonda»


«La Ronda» «La Tribuna»
«La Scena illustrata». «Vela Latina»
«Il Sole» «Il Verri»
«Lo Spedalieri», «Vita Nuova»
«Studi Francesi»
«Le Symboliste»
266 Torino
I carteggi 267

Indice

000 I. Pagliara in contesto


1. Pagliara, Pica e il ‘caso Wagner’, 00
2. Una tribolata amicizia: Salvatore Di Giacomo, 00
3. Letteratura quotidiana, 00
4. «Carissimo Don Rocco»: le lettere di Di Giacomo e di Pica, 00
5. «O rinnovarsi, o morire!», 00

000 II. I carteggi


Nota al testo, 00
Salvatore Di Giacomo a Rocco Pagliara, 00
Vittorio Pica a Rocco Pagliara, 00
Vittorio Pica a Salvatore di Giacomo, 00
Appendice. Roberto Bracco a Rocco Pagliara, Discorso commemora-
tivo, 00

000 Indice dei nomi

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