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Lo Scaffale di Abelardo 8
AA. VV.
* Entrambi questi testi sono stati pubblicati per la prima volta su Il li-
bretto rosso dell’universitario, nelle diverse edizioni (1962-1968, Pa-
dova, Torino, [Milano?]), tutte ripetutamente sequestrate dalla magi-
stratura. Compaiono in appendice a I canti goliardici, a cura di Alfre-
do CASTELLI, Supplemento al n. 53 de ‘La Mezzora’, Ediz. Inteuro-
pa SpA, Milano 1971 [2ª ed. Tip. Tecnografica Milanese, Milano
1972]; quasi una riedizione del Libretto! (ma post ‘68!!!) e questa edi-
zione si salvò! Contemporaneamente usciva il volume dell’edizione
critica a opera di Enrico De Boccard (Homerus, Roma 1971).
Teatro Goliardico.
I classici
Don Sculacciabuchi
La Fuga di Angelica
Apogoliateosi
Turlupineide
I Goliardi all’ultima Crociata
Ifigonia
Indice
Introduzione 5
Don Sculacciabuchi: commedia satirica (Firenze, 1886-96?) 13
La Fuga di Angelica: operetta goliardica (Siena/Modena 1903) 53
Apogoliateosi: azione lirica (Torino, 1904) 81
Turlupineide: rivista comico satirica (Milano, 1908) 111
I Goliardi all’Ultima Crociata: azione eroica (Pavia, 1912) 133
Ifigonia: commedia satirica (Torino, 1928) 156
Alcune interessanti glosse di SatanAsso da Taranto 174
A.C.C.A. Padova
Si ringrazia per l’aiuto dato,
con consigli, suggerimenti e alcuni dei testi
qui presentati, i fratelli in goliardia
Guido Ciambellotti, Paolo De Paoli
e Pippo Mazzarino SatanAsso.
Turlupineide
Andata in scena per la prima volta il 21 aprile 1908, nasce come
spettacolo goliardico per recite di beneficenza che un gruppo di stu-
denti universitari dava presso i Filodrammatici. Tra gli organizzatori
un ‘anziano’ di nobil casata, il conte Emanuele Castelbarco, pensa be-
ne di chiedere un aiutino a un amico, Renato Simoni, giornalista, criti-
co e commediografo. I due sono personaggi che saranno di notevole
spicco nei decenni successivi, e da quel loro primo incontro nasce
un’opera, dapprima misconosciuta orfana d’autore.
Simoni accetta la richiesta e in pochi giorni prepara un copione,
ma non vuole firmarlo. Forse la considera non sufficientemente cura-
ta, forse vuol mantenere un minimo distacco dalla possibile baraonda
goliardica; sicuramente non si aspetta il successo trionfale dell’opera;
è solo alla fine della quarta rappresentazione che riescono a trascinarlo
sul palco per raccogliere i meritati applausi. L’opera inizia un suo per-
corso molto più professionale. Dopo l’allestimento goliardico è la fa-
mosa Compagnia di Operette “Città di Genova” che provvede ad alle-
stirla in grande stile, con scene di Rovescalli e costumi di Caramba.
Tra i protagonisti figurano nomi di spicco del teatro d’allora, il tenore
Vannutelli, la Braccony, del Valle, mentre nel ruolo del protagonista
Tecoppa c’è il suo creatore, il grandissimo Edoardo Ferravilla. (foto)
Renato Simoni <1875-1952> è un veronese trasferitosi a Milano
al volgere del secolo prima come critico teatrale, poi lui stesso autore di
commedie di buon successo, tanto da divenire poi critico del ‘Corriere
della Sera’, e collaboratore di varie testate dalla ‘Lettura’ al ‘Corriere
dei Piccoli’ alla ‘Tribuna Illustrata’. Tra il 1920 e il 1924 collaborò con
Giuseppe Adami nella stesura del libretto della Turandot. Il conte Ema-
nuele Castelbarco Visconti Simonetta <1884-1964>, di medievale no-
biltà lombarda, poeta e pittore, direttore anche di una piccola casa edi-
trice ‘Bottega di poesia’, fu genero di Toscanini, di cui aveva sposato,
in seconde nozze, la figlia secondogenita Wally <1900-1991>.
L’opera viene considerata una vera e propria pietra miliare nella
storia del teatro italiano, prefigurando e suggerendo soluzioni che sa-
ranno comuni nel teatro rivista tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta.
Il libretto, purtroppo, riporta le canzoni e i couplets, mentre mancano
anche solo le indicazioni sui quadri umoristici e le gag. Tecoppa, per-
sonaggio del tea-
tro dialettale mi-
lanese che prende
il nome dalla sua
abituale interie-
zione, “Dio te
coppa!” [ti ucci-
da], è un curvo,
allampanato po-
polano, nemico
del lavoro, appas-
sionato bevitore,
miscuglio di fur-
beria e ingenuità.
I Goliardi all’Ultima Crociata
L’opera è definita “Azione Eroica in Tre Atti”, anche se “Figlia
d’ignoti”, e vorrebbe quindi essere un’opera lirica anche se, struttura e
canzoni, per non dire dello svolgimento, suggeriscono piuttosto
un’operetta. La motivazione è seria, visto che è “Spettacolo Goliardi-
co Pavese Pro feriti e richiamati”, come è segnalato anche sulla carto-
lina celebrativa dell’evento, che abbiamo fortunosamente trovata.
L’occasione del richiamo era la guerra italo-turca, scoppiata il
29 settembre del 1911 e conclusasi, l’anno dopo, con la conquista del-
la Libia e delle isole del Dodecaneso. L’occasione spiega anche
l’ambientazione e i personaggi coinvolti, mediati, naturalmente, dalla
verve goliardica: “Studenti, Arabi, Beduini, Sartine, Odalische, Balle-
rine egizie, caldee, ecc.” Vi sono anche diversi riferimenti ai politici,
che abbiamo cercato di segnalare, senza però addentrarci in esegesi e
doppi sensi legati all’attualità dell’epoca.
Dalla cartolina, scribacchiata a mano, ricaviamo anche le tappe
della tournée che partendo da Pavia il 23 marzo si sarebbe conclusa il
1 aprile dopo aver fatto tappa a Modena, Bologna, Bergamo e Como.
Ifigonia
La seconda opera goliardica “pornografica”, ha condiviso con lo
Sculacciabuchi decine d’anni di riproduzioni sotterranee, con una dif-
fusione carbonara ma talmente capillare, da essere conosciuta e amata
da generazioni di goliardi e studenti. Per anni si è favoleggiato sulla
sua composizione, giungendo ad attribuirne alcuni passaggi addirittura
al Vate, Gabriele D’Annunzio, retrodatandone la realizzazione di oltre
un ventennio. Alcuni suoi versi sono tanto conosciuti da diventare
proverbiali, oltre ad esser citati addirittura nelle paludate aule parla-
mentari, simbolo della profonda cultura dei nostri politici!
Ebbe la sua prima edizione a stampa con il Processo di Sculac-
ciabuchi, passando dai libretti rossi fino al volume di Castelli e al con-
temporaneo di de Boccard del 1971, con saggio ed edizione critica.
L’autore, Hertz De Benedetti <1904-1989>, studente di medicina, la
scrisse nel 1928, ma lo stimato urologo che era diventato la riconobbe
solo dopo essere andato in pensione, quando nel 1975 fu premiato da
Cesare Perfetto, inventore e organizzatore del Salone Internazionale
dell’Umorismo di Bordighera, con il premio Rama di Palma d’Oro. In
quell’occasione l’austero primario rivelò la sua anima goliardica,
componendo dopo quasi cinquant’anni una maliziosa e malinconica
poesia per sottolineare l’evento, riportata da Franco Ressa (A conti fat-
ti beati i matti, Scipioni Editore). L’autore è ricordato anche nelle
memorie di Ovidio Borgondo, il Cavur geniale provocatore della go-
liardia torinese, che lo ricorda come uno dei suoi sodali in scherzi e,
soprattutto, organizzazioni teatrali con la Compagnia Teatrale Goliar-
dica Camasio e Oxilia.
La prima recita pubblica di Ifigonia avvenne a Torino, sotto i
portici di piazza Carlo Felice davanti alla Casa del Caffè, ad opera
dell’autore che voleva raccogliere commenti e critiche degli amici, il
famigerato gruppo della Nave Ammiraglia, guidato da Cavur. Una de-
cina d’anni dopo i torinesi riuscirono anche a portarlo al Teatro Cari-
gnano, in un’unica rappresentazione ad inviti limitata al pubblico ma-
schile; cui naturalmente parteciparono numerose fanciulle travestite!
La protagonista fu interpretata dallo stesso Hertz, con una parrucca di
lunghi capelli biondi, mentre le musiche furono composte per
l’occasione da Giò Lanza, futuro autore di musiche per pubblicità e
caroselli, in cui riutilizzò il suo jingle più famoso, nato per l’Ifigonia
per la promozione della carne Simmenthal, con Walter Chiari e Sylvia
Koscina che cantavano: “Noi siamo felici, noi siamo contenti…”,
edulcorando di molto il testo originale!
Nel 1961 i goliardi torinesi approntarono una edizione commen-
tata, illustrata anche con sedici disegni, ma furono dissuasi dalla pub-
blicazione dalla rigidità delle leggi ancora esistenti sulla censura. Tale
edizione apparve solo nel 1999, per i tipi di Scipioni Editore a cura di
Giuseppe Vettori. Verso la fine del decennio apparvero le prime edi-
zioni a stampa, nei libretti rossi che tentarono di aggirare il problema,
venendo distribuiti direttamente dai bancarellari dell’usato, poiché
nessuna libreria ne avrebbe accettato l’onere. Non per nulla la prima
edizione ufficiale, nel volume di “Canti goliardici” curato da Alfredo
Castelli, uscì come supplemento alla “Mezzora” rivista erotica umori-
stica, che sfoggiava anche inserti di foto di “pupe tutte nude”! In pochi
anni tutto era cambiato.
Don Sculacciabuchi
[Firenze, 1886 ?]
Causa penale contro il reverendissimo prete
Don Sculacciabuchi di San Rocco,
imputato di aver rinculato in un boschetto
un bimbo della sua parrocchia
che colà si recava per viole.
Compongono il Tribunale i Signori Dottori
BUCHIROTTI, Presidente (PRE), FINOCCHIETTI, Giudice, BU-
CALOSSI, Giudice, SEGHETTI, Pubblico Ministero (P.M.)
FAVONI, Cancelliere (CAN), On. INCULATTI, Avvocato Difensore
(AD) (Manca il nome dell’Avvocato di Parte Civile, APC;
si propone: Avv. GUSTAVO DANDOLO)
Altri: un Testimone (TES), il Perito (PER) e l’Imputato (IMP)
UDIENZA PRIMA
AD – Mi permetto di chiedere umilmente,
vista la serietà della vertenza
se concede l’esimio Presidente
di leggere il verbale dell’udienza.
PRE – La cosa è troppo giusta e naturale;
Cancelliere, ci legga il suo verbale.
CAN – L’anno milleottocentoottantasei
del giorno ventisette di quel mese
che i ciuchi vanno in culo e portan sei,
l’egregio Tribunal Babilonese,
con l’avvocato Rimeni in presidenza,
messa la mano al cul, apre l’udienza.
Si discute la causa penale
contro Sculacciabuchi da San Rocco,
imputato d’aver, con magistrale
arte, attirato un giovanetto sciocco,
e avergli messo in culo dieci dita
autocrate e signor dei buchi aviti,
e protettore dell’amor carnale;
di Babilonia il Regio Tribunale
la sentenza seguente ha pronunciato
nel processo che trovasi pendente
contro Sculacciabuchi, ch’è imputato
d’atti osceni, lascivi e violenti
commessi con astuzia viperina
su persona minore e mascolina.
Ritenuto che Adone Culostretto
e Don Sculacciabuchi fiorentino
addi trentuno marzo, in un boschetto
si andavano nel culo, e lì vicino,
sospirando coperti dalle fronde
come persona stitica che ponde;
Considerato che una testimone
dice di aver veduto solamente
l’uccello al prete fuori del calzone
senz'alcun altro indizio concludente;
e avendo detto un altro sempliciotto
che non sa chi era sopra e chi era sotto.
Attesoché, nel dubbio, il Tribunale
non può applicar l’articolo sessanta
e nemmeno l’articolo novanta
e trentasei del Codice Penale
che dice: Cadrà in multa un cittadino
sorpreso dentro un culo mascolino.
Ha per questi motivi condannato
a pagare le spese il querelante;
e senz'altro proscioglie l’imputato
dall’accusa lanciatagli infamante,
applicando la gran legge del Menga,
che dice: Chi l’ha in culo se lo tenga.
Oppur la stessa legge di Bisenzio
ch’è di pigliarlo in culo e far silenzio.
A totale beneficio delle prime Olimpiadi Universitarie
(che si tennero in Roma dal 7 al 30 aprile del 1922)
La fuga d’Angelica
Operetta – ballo in 3 atti e tanti quadri
Parole di Momo GIOVANNELLI e Wolfango VALSECCHI (goliardi)
Musica del Maestro ALESSANDRO BILLI
Prologo: Musica del Maestro AUGUSTO DALL’ACQUA
––––––––––––––
Edito a cura dell’Associazione Studenti Universitari – Modena
––– * –––
PROLOGO
LA GIOVINEZZA
Si odono alti squilli di tromba. Si presenta il Prologo.
Squillate! - note gioconde, squillate, (al pubblico)
e vi dia gioia lo squillo, o signori!!
Io vi presento la Dea che amate;
che, ognor sorrisa, vi sorride ai cori
È giovinezza, – l’ispiratrice (grandioso)
è la carezza – l’allettatrice
Perdono general!
Non ci capiscono un cavolo
Andate tutti al diavolo
Perdono general!
Gli studenti invece d’andare al diavolo preferiscono d’andare ciascu-
no a prendere la sua parte d’assoluzione; ottenuta la quale sentono lo
strano bisogno di cantare in coro: ·
STUD. – Evviva i professori PROF. – (commossi e stupefatti)
Dell’Università Evviva gli studenti
Che illustrano le cattedre Dell’Università
Di varie facoltà! Che a presentarsi in pubblico
Non han difficoltà!
STUD. – E sono severissimi PROF. – Noi siamo severissimi
Con noi studenti, è vero Con gli studenti, è vero,
Eppure a Bacco e a Venere Talora a Bacco e a Venere
Rivolgono il pensiero! Volgiam pure il pensiero.
Se poi dell’anno al termine Ma poi dell’anno al termine
Boccian senza pietà Bocciam senza pietà
E per serbare incolume Per conservar incolume
La loro dignità. La nostra dignità.
Cosi giunti più o meno felicemente al termine dell’op...eretta, si ricor-
dano di essere tutti studenti anche quelli che fanno da professori per-
ciò cantano in coro:
TUTTI – Viva la vita Mangiare, bere,
Dello studente, Fumar, dormire
Ciò che significa E la fatica
Non far mai niente. Sempre fuggire!
E questo è sempre stato, già si sa, / L’ufficio nostro all’Università!
(Quadro finale) (Cala la tela)
FINE
Cesare Cecchetti
Apogoliateosi
AZIONE LIRICA
RAPPRESENTATA DAI GOLIARDI TORINESI
NELLE
––––––––––
MUSICA di
Luigi Cecchetti
––––––––––
Personaggi
TALPONE
UN’OMBRA
UN VENDITOR DI CERINI
UNO STUDENTE DI MEDICINA
UNO STUDENTE TIROLESE
FINE
Turlupineide
Prosa e Versi di
Renato Simoni
Personaggi
La Réclame Lord Blok
Eusapia Filippo il Rosso
Basiliola Pannicelli
1ª signora Cornacchia
1° sposo Esculapio
1ª Merveilleuse Capitan Spaventa
2ª id. Pacifico
3ª id. Gigione
Direttrice delle femministe Sonnellino
1ª Congressista Pantalone
2ª id. Mascheragni
3ª id. Conte Stin
4ª id. 1° marito
Dama della Croce Rossa 1° americano
Tecoppa John
Gabriele Sporchetti
Napoleone Dante
Nepomuceno Erricone
Don Burri L’asinaio
ATTO PRIMO
LE STATUE
Coro degli Americani.
(Matchiche)
Volete voi vedere – il portafoglio?
star pieno di dollari – in quantità!
oh yes we are the Kings of del petrolio siam
molto miliardari
o yes già già!
Compriam tutte le cose
che costan più quattrini,
Caruso, Toscanini
e d’Ascoli il pivial.
L’Italia star paese
molto molto in gran bolletta
però ha antichità
di prima qualità
e noi le comprerem
milioni spenderem!
Canzone di Eusapia.
(Aria Tonchinoise)
Ci si mette al tavolino
e si forma la catena
la corrente si scatena
e si sente un traballar.
Traballare, che vuol dire
che lo spirito si desta;
fuor del buco che ho qui in testa
ecco un soffio evaporar.
Zitti zitti, piano piano
su quel buco, ognun la mano
per l’onor del teatro italiano
A DUE – Viva l’Immaginifico
evviva Basiliò.
GAB. – Su di che ti piace la Fedra
BAS. – Oh la Fedra gnor no, gnor no
GAB. – Se non la vuoi lodar
d’ambo gli occhi ti faccio accecar
e non la vuoi lodar
la bella morte ti voglio dar.
BAS. – Ti dirò che mi piace la Fedra
ma nessuno me lo crederà.
A DUE – Viva l’Immaginifico / evviva Basiliò.
Coro finale
(Musica: Hans, il suonatore di flauto)
Già fondata è la cittade
ha il suo ben ed ha il suo mal!
buchi e sassi per le strade,
automobili e caval!
Tu tu pan pan tutù pan pan.
Avrà presto i suoi teppisti,
le sue etere presto avrà
preti code e socialisti
ah si è una gran città.
Tu tu pan pan tutù pan pan.
Viva viva Turlupinopoli
fatta di niente, si sa,
fragilissima metropoli
che al primo soffio cadrà.
Tu tu pan pan tutù pan pan.
(cala la tela)
FINIS
I Goliardi all’Ultima Crociata
Azione Eroica in Tre Atti – Figlia d’ignoti
Scena Settima
Fate la pace, colombini miei, perché la mezzanotte si avvicina ed è ora
di finirla. Quattro passi di ballo per celebrare il lieto fine
dell’incidente e poi… tableau!...
Un canto lontano annuncia l’arrivo delle sartine che hanno seguiti i lo-
ro amici nelle lontane oasi africane. Per uno di quei soliti ed innocenti
segreti dei librettisti, colle sartine entrano anche Cecilio ed Alì Babà.
Lascio considerare alla S.V. lo slancio d’entusiasmo con cui gli amici
ricevono l’amico finalmente trovato e la convinzione profonda con cui
essi cantano il
CORO Fra spasimi e tortur Ma il nostro Cecilio
L’abbiam ritrovato S’è fin ingrassato
Giornate ben dure Soffrendo l’esilio
Abbiamo passato! Che qui l’ha portato!
Per finire il terz’atto e con esso l’operetta era evidentemente necessa-
rio avere una trovata finale. I librettisti son convinti invece che basti il
CORO FINALE
Dalla Libia al deserto sabbioso Grande e forte d’Italia l’onor!
Gettiam seme di fede e d’Amor Su goliardi leviamo glorioso
Perché sorga quaggiù rigoglioso Un grand’inno all’Italia e all’amor!
Sperando d’aver assolto con zelo il mandato venutomi (1) dal Comitato
ho l’onore di presentare a Lei, Egregio Spettatore, un cordiale augurio
di buona notte.
SABATO CAPPERO
(1) Anche nel supremo momento del congedo S. Cappero ha un’atroce fred-
dura… è la freccia del Parto!
Ifigonia
(Tragedia classica in tre atti)
Personaggi
IL RE DI CORINTO
IFIGONIA, sua figlia
ALLA’ BEN DUR, primo pretendente
DON PEDER ASTA, secondo pretendente
UCCELLONE, CONTE DI BELMANICO, terzo pretendente
SPIRO KITO, quarto pretendente
ENTER O’CLISMA, Gran Sacerdote
IN MAN LAH, Gran Cerimoniere
BEL PISTOLINO, elefante sacro
CORO di NOBILI, VERGINI e POPOLO
Reggia di Corinto, Vastissima sala del trono
- anno 93 a.C. / 69 d.C.
ATTO PRIMO
SCENA: Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo.
Entra il gran cerimoniere.
GR.CER. – O popolo bruto, su, snuda il banano
non vedi che giunge l’amato sovrano?
È il Sir di Corinto, dal nobile augello
qual mai non fu visto più duro e più bello.
Il sir di Corinto dall’agile pene
terrore e ruina del fragile imene;
il sir di Corinto dal cazzo peloso
del cul rubicondo ognora goloso.
O popolo invitto, in gesta d’amore
s’affermi il Sovrano più caro al tuo cuore.
Rendiamogli omaggio nel modo migliore,
offrendogli il culo delle nostre signore.
POPOLO – Noi siamo felici, sappiategli dire,
Tu, che mai cedesti a seghe ed a pompini,
stavolta fosti vittima di due denti canini.
Dormi! Da questa sera sars tuo cimitero,
in segno di cordoglio, un sospensorio nero.
Da oggi tu, negletto, starai nelle mutande,
né più le tingerai con il possente glande.
Morire ben dovevi in nobile tenzone
e invece, miserello, moristi da coglione!!!
Avrei bramato di perdere anche il cazzo,
ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo.
(Il Re si apparta piangendo)
GR.CER. – Ti sarà dato il trattamento duro
d’esser legata con la fica al muro.
Il popolo sfilerà e tu con l’ano
farai da monumento vespasiano.
IFIG. – Sognavo un cazzo forte da bambina,
perciò pregavo Giove ogni mattina,
chè, come un giorno avvenne per Enrica (mia sorella)
potesse capitarmi nella fica
un poderoso e ben tornito cazzo
per farmene per sempre il mio sollazzo.
Cosi non fu! E la Giustizia grande
che gioia e pur dolore in terra spande.
volle che fossi, per crudel destino,
moglie di un detestato culatino!!!
Addio per sempre, Spiro Kito sposo,
mi butto pel dolor nel water closo.
Tu porrai fin, ti prego, alla mia pena,
tirando lentamente la catena.
(Prima che qualcuno possa trattenerla, Ifigonia si getta a capofitta
nel water closed. Spiro Kito, ubbidendo ai suoi ultimi voleri,
tira lentamente la catena.)
(Tutti si inginocchiano pregando, mentre una salva di scorregge
saluta la moritura.)
CALA LA TELA
Alcune interessanti glosse di SatanAsso da Taranto
L’aulico linguaggio dell’Ifigonia e dello Sculacciabuchi non è sempre
di facile e piena comprensione nel XXI secolo. Sarà opportuno allora,
senza pretesa di aver compiuto un esaustivo studio filologico, eseguire
comunque alcune glosse ai due testi e fornire spiegazioni su termini
obsoleti oggi sostanzialmente incomprensibili. A partire da tecnicismi
desueti collegati agli studi dei due autori delle immortali opere: Rosa-
di, studente di Giurisprudenza, e De Benedetti, studente di Medicina.
In piena monarchia, per esempio, è ovvio che l’accusa nel Processo di
Sculacciabuchi sia sostenuta dall’ufficio del Procuratore del Re, e
dunque il Regio Ministero è per l’appunto l’ufficio del Pubblico Mini-
stero. Il bottino è il deposito degli escrementi: pozzo nero o cantaro
che sia; i bottinai sono gli addetti al suo svuotamento.
Quanto ad Ifigonia, che è apparentata solo nel nome all’Ifigenia degli
incubi di maturità classica d’un tempo (la sventurata figlia di Agamen-
none e Clitennestra è già citata nell’Iliade col nome Ifianassa; poi appa-
re come Ifigenia o Ifigone in tragedie perdute di Eschilo e Sofocle,
quindi nell’Ifigenia in Aulide di Euripide), è nota a tutti ch’essa è in so-
stanza la parodia della Turandot: e se l’opera pucciniana fu rappresenta-
ta per la prima volta solo nel 1926 (Puccini era scomparso nel 1924),
alla Scala di Milano, e nel 1927 al Teatro Regio di Torino, va ricordato
– come ha fatto in un suo utile per quanto altezzoso e non sempre atten-
dibile volumetto Giuseppe Vettori (Ifigonia. Tragedia classica in tre atti.
A cura di Giuseppe Vettori, Scipioni, 1999, che dichiaratamente utilizza
ampiamente gli studi del benemerito Alfredo Castelli – sì, proprio lui, il
padre di Martin Mystère...) – che il libretto della fortunatissima opera,
cavallo di battaglia fra l’altro del grande Pavarotti, risale ad una favola
teatrale in versi del letterato veneziano Carlo Gozzi, pubblicata e rap-
presentata a Venezia nel 1762, che a sua volta fu rifatta nel 1802 da
Schiller e rappresentata – adattamento di Schiller, musiche di Carl Ma-
ria von Weber – nel 1809. Infine, nel 1917 veniva rappresentata una Tu-
randot di Federico Busoni. Ifigonia, la cui composizione è databile
nell’arco di tempo fra il 1926 ed il 1927/28, costituirebbe un caso di
sincronicità, o comunque di incredibile tempestività goliardica?
Ben prima del 1926, in ogni caso, Turandot e la sua trama di indovi-
nelli da risolvere, pena la morte, per ottenere la mano della principessa
erano ben presenti nell’immaginario collettivo, sì da poter dar luogo
ad una dissacrante e goliardica parodia come, appunto, Ifigonia. Vet-
tori (che sulla Goliardia e sui canti goliardici specula, ma che non ama
Nostra Santa Madre e la fraintende ed altezzosamente disprezza) se-
gnala anche fra le possibili fonti ispiranti (la Goliardia, come la com-
media antica, ama la contaminatio...), sempre seguendo la traccia di
Alfredo Castelli, la novella in versi Re Bischerone dell’autore tardo
settecentesco Luigi Batacchi (le cui opere furono però stampate in
edizione definitiva ed accessibile solo nel 1910/1913 in Firenze): c’è
un linguaggio volutamente basso, con grande presenza scenica di
“corregge” non nel senso di cinghie ma di scorregge, con la giovine
figlia di Re Bischerone “che gran prurito / sentìa dove grattarsi è proi-
bito”, proprio per voglia di un marito, e cospicua presenza di laghi di
merda e di “stronzi lunghi trenta braccia almeno”... ma l’opera del Ba-
tacchi poteva poi essere talmente conosciuta da meritarsi, e rendere
comprensibile al pubblico, una kontrafaktur? Difficile...
Il titolo originale della fortunata tragicommedia è comunque “Ifigo-
nia”; alcune delle edizioni alla macchia in ciclostile vi aggiunsero “in
Culide” o “in Troiade”, parodiando l’Ifigenia in Aulide o rievocando
la Troade, che era la destinazione dell’armata achea bloccata in Aulide
fino al sacrificio di Ifigenia. Ma sono superfetazioni inessenziali.
Quanto ai tecnicismi: il protargolo (argento proteinato) era negli anni
Dieci e Venti il rimedio sovrano contro la blenorragia, popolarmente
detta scolo, la più diffusa e temuta delle malattie veneree, fino a quan-
do non arrivò l’Aids (oggi la blenorragia si cura con gli antibiotici); il
muso di tinca è la parte dell’utero che sporge nella vagina; il canale di
Bartolino è sempre parte dell’organo genitale femminile: è il canale
che collega le ghiandole di Bartolino alla vagina. Spiro Kito, infine,
richiama nel nome la spirocheta pallida, il terribile batterio apportatore
della sifilide (anche se nel dattiloscritto il prence samurai non si chia-
ma ancora Spiro Kito ma Kirokito, a palese imitazione dell’imperatore
del Giappone Hirohito, imperatore dal 1926).
Una noterella a parte merita la “rorida begonia” (nelle prime edizioni
a stampa non sequestrate e distrutte, De Boccard e Castelli (1971), si
parla di “lucida begonia” (ma è un errore!) che prude, come ricorda il
Sir di Corinto, a madonna Ifigonia: rorida è termine letterario per ru-
giadosa, e ben s’addice all’organo sessuale femminile; e proprio alla
Rorida Begonia furono intitolate alla fine degli anni ’50 le liste di ispi-
razione goliardica “pura”, contrapposte a quelle cattoliche, neofasciste
o comuniste, per le elezioni dell’Università di Padova.
Ad imitazione del Processo di Sculacciabuchi, e con risultati ovvia-
mente diversissimi fra loro, anche perché improntati all’improv-
visazione, gli Ordini goliardici si erano dotati, fino ai primissimi anni
Settanta, di cancellieri particolarmente abili nella versificazione
all’impronta che trascrivevano in rime, soprattutto baciate,
l’andamento dei processi goliardici ai quali – rito di iniziazione alla
Goliardia – venivano sottoposte le matricole; processi al termine dei
quali, insieme con le pene corporali e pecuniarie, veniva consegnato ai
neo-goliardi il papiro, l’attestazione cioè dell’ingresso, anzi, come per
i cristiani nel battesimo, della nascita in Goliardia; papiro originaria-
mente vergato a mano, su pergamena (o simil...) traforata da bruciatu-
re fatte con le sigarette, con preziose chine, ed alluminato con non
meno preziose tinture d’oro ed argento, pennini e pennelli, il tutto ri-
gorosamente trafugato, mai pagato... e che poi si ridusse a foglietti o
tesserini stampati. O tempora, o mores!... Papiri, atti di nascita in Go-
liardia, che per un vero goliarda avevano almeno altrettanto valore
dell’altra pergamena, l’atto di morte goliardica, il diploma di Laurea...
L’Ifigonia invece, a lungo trascritta soltanto a mano o dattiloscritta,
poi anche clandestinamente ciclostilata, indi a partire dagli anni 60 del
XX secolo pure stampata, dapprima alla macchia, sempre con vistosi
errori ed interpolazioni, conobbe uno strepitoso successo nelle Feriae
Matricularum, ma fu anche portata sulle scene in veri teatri; in pieno
regime fascista, per esempio, nel 1939, ebbe una inaspettata licenza
dalla commissione di censura di Torino (come racconta Franco Ressa
nel suo prezioso “A conti fatti beati i matti. I goliardi letterati”, Sci-
pioni, 1999) per essere rappresentata al Teatro Carignano; rappresen-
tazione per la verità limitata ad un pubblico maggiorenne e maschile;
goliardicamente, il Carignano si riempì anche di donne e di ragazzi
abbigliati tutti in foggia maschile e con barbe e baffi finti... commedia
nella commedia, teatro alla seconda potenza... qualcosa di molto futu-
rista ed avanguardista... o fors’anche soltanto di molto goliardico.
Gaudeamus!
Lo Scaffale di Abelardo
Collana di storia, cultura e curiosità goliardiche
a cura di Umberto ‘Kociss’ Volpini (ukv2022@gmail.com)
Il simbolo segnala che è la prima edizione italiana del testo.
1 Codici della Goliardia Italiana, 144 pp. illustrato
2 Lo Studente di Padova, parole e immagini,
di Arnaldo Fusinato e altri, 176 pp. illustrato
3 Addio Giovinezza!, storia di un'emozione,
di Sandro Camasio e Nino Oxilia 192 pp. illustrato
4 Vecchia Heidelberg (Il Principe studente) di Wilhelm Meyer-
Förster, 160 pp. illustrazioni originali di Adolf Wald
5 Manuale Scolarium, Heidelberg 1481,
un classico tradotto per la prima volta, e annotato, 160 pp.
6 Le scuole dell'antico studio bolognese di Francesco Cavazza,
224 pp. illustrato e con la mappa della città
Lo Scaffale di Abelardo 8
A.C.C.A. – Padova 8
Associazione Culturale Studentesca