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STUDI

VERDIANI
28

PARMA, 2018
Nicola Sani Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 7
Sandro Cappelletto Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11

SAGGI
Giovanni Bietti L’orchestrazione di Aida . . . . . . . . . . . . . . » 17
Susanna Pasticci L’enigma delle quattro Ave Maria di Verdi » 55
Alessandra Carlotta
Pellegrini «Abbruciate tutto questo pacco di carte»:
gli abbozzi musicali da Villa Verdi . . . . . . » 91
Nors S. Josephson Tonal Organization in Verdi’s Un ballo
in maschera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113

ANNIVERSARI
GIOACHINO ROSSINI 1868-2018
Sergio Ragni Rossini e Verdi: tentativi di reciproca
comprensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125

INSEGNARE VERDI
Guido Barbieri Insegnare Verdi nei Conservatori italiani:
cronaca didattica di una missione impossibile » 153

DIALOGHI
Presenza di Verdi nelle esperienze contemporanee

Luca Lombardi Falstaff e la giovane musica europea . . . . » 165


Gregorio Moppi «La mia Aida»: un colloquio con Riccardo Muti 181
Francesco Zito Appunti di lavoro per scene e costumi
verdiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191

RUBRICHE
Elvio Giudici Videodiscografia verdiana . . . . . . . . . . . . . » 201
Piero Mioli Ex Libris . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 217
L’orchestrazione di Aida

Giovanni Bietti

Preludio

Questo saggio prende in esame uno dei lati ancora oggi meno studia-
ti1 della drammaturgia verdiana: l’uso dell’orchestra. Non mi occuperò, se
non in modo sporadico, dell’orchestrazione di Verdi tout court, del suo
“stile” orchestrale, ma di come l’orchestra – spesso attraverso i singoli stru-
menti – contribuisce a definire la drammaturgia. Del modo in cui la vicenda
scenica, i significati, le emozioni dei personaggi sono sottolineati, rafforzati
dal colore strumentale. L’orchestra, quindi, come elemento essenziale della

1
Nella bibliografia verdiana i contributi dedicati all’orchestra e all’orchestrazione sono
piuttosto rari, e lo studio organico più frequentemente citato resta il libro di FRANCIS TRAVIS,
Verdi’s Orchestration, Zürich, Juris-Verlag, 1956. Per rendersi conto di come questo aspetto
della musica di Verdi resti ancora poco studiato, basta dire che l’indice degli Atti del convegno
internazionale organizzato per il centenario della morte del compositore (Verdi 2001, Firenze,
Olschki, 2003) non contiene neanche un saggio nel cui titolo sia menzionata l’orchestra, o la
strumentazione (anche se questi aspetti sono citati in modo più o meno approfondito in alcuni
contributi). I due più importanti compendi dedicati al compositore in occasione del bicentena-
rio della nascita, The Cambridge Verdi Encyclopedia (Cambridge, Cambridge University Press,
2013) e Verdi Handbuch (Kassel, Metzler-Barenreiter, 2013), riservano solo poche righe a voci
come Orchestra, Instrumentalfarben, Charakteristische Soloinstrumente o Orchestrierung.
18 BIETTI

“tinta” di un’opera, per usare una celebre espressione del compositore2:


questo è l’oggetto del mio studio.
Ho scelto di concentrare l’analisi su una singola opera della maturità,
Aida.Verdi dedicò alla sua strumentazione un’attenzione particolare, che si
mostra con evidenza già nella documentazione relativa alla genesi dell’ope-
ra3: sappiamo bene che il compositore lottò per una riforma nella disposi-
zione dell’orchestra in teatro (a cominciare proprio dalla Scala, destinata a
ospitare la prima esecuzione italiana); che scrisse a Giulio Ricordi preoccu-
pandosi, tra l’altro, dell’intonazione delle trombe egiziane, della qualità del
timpanista, delle dimensioni della grancassa, della cavata dell’arpa («Siamo
in Egitto e le Arpe lavorano molto»)4; giunse perfino a informarsi sugli
strumenti dell’antico Egitto, visitando il Museo archeologico di Firenze
per vedere un flauto, dal quale restò profondamente deluso, al punto che
decise di utilizzare uno speciale flauto basso appositamente costruito.
Aida si può quindi considerare una tappa fondamentale del graduale
processo di riflessione sull’orchestra che Verdi aveva condotto per l’inte-
ra carriera. A partire almeno dagli anni Cinquanta, nelle dichiarazioni e
nei giudizi del compositore sulle musiche di altri autori italiani gli accenni
alla parte “istromentale” si fanno via via più frequenti e puntuali, e van-
no dalla famosa affermazione che Bellini è «povero, è vero, nell’armonia
e nell’istromentazione, ma ricco di sentimento, e di una tinta melanconica
tutta sua propria!» alla lapidaria considerazione su Ruy Blas di Marchetti:
«quel che trovo di peggio si è la fattura e l’istromentazione»5. E allo sguar-
do verso la musica italiana faceva naturalmente da contraltare una costante
attenzione verso tutto ciò che proveniva dall’Europa, in particolare dalla
Francia e dalla Germania. Già nel 1845 Verdi aveva lodato, nella partitura
di Le Désert di David, «la strumentazione chiara e facile della scuola fran-
cese»6; e più tardi riconoscerà il «sentimento dell’orchestrazione» di Ber-
lioz, soprattutto per i «molti effetti d’orchestra»7 in cui il musicista francese
aveva preceduto Wagner.

2
L’espressione, mai perfettamente chiarita da Verdi e difficile da definire con precisione,
si riferisce comunque a quel complesso di elementi che rendono individuale e riconoscibile
un’opera, e ne identificano l’atmosfera, il carattere espressivo.
3
Si veda, oltre a JULIAN BUDDEN, Le Opere di Verdi (trad. it. Torino, EDT, 1988, vol. 3),
HANS BUSCH, Verdi’s “Aida”: the history of an opera in letters and documents, Minneapolis,
University of Minnesota Press, 1978.
4
GIUSEPPE VERDI, Lettere 1835-1900, Milano, Mondadori, 2000, p. 333 (edizione divul-
gativa che cito in questo saggio per la facile reperibilità).
5
La prima citazione si può leggere in VERDI, Lettere 1835-1900, p. 441; la seconda in
BUDDEN, Le Opere di Verdi, vol. 2, p. 30.
6
Cit. in Interviste e incontri con Verdi, a cura di Marcello Conati, Milano, Emme edi-
zioni, 1981, p. 7.
7
VERDI, Lettere 1835-1900, p. 431.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 19

Non stupisce, quindi, che molte delle numerose annotazioni che


Verdi segnò sulla partitura di Lohengrin dopo la rappresentazione bo-
lognese del novembre 1871 riguardassero proprio la strumentazione, in
particolare i passi troppo pesanti («abuso di note tenute e riesce pesan-
te») o troppo difficili da eseguire («nei punti difficili cattiva sempre»)8.
Evidentemente Verdi non era solo attentissimo ai nuovi effetti strumen-
tali, ma anche alla possibilità di eseguirli praticamente9; e questa costante
cura per l’eseguibilità di ciò che scriveva, se ha forse contribuito in parte
a creare l’immagine di un Verdi “conservatore”, poco sperimentale, resta
d’altra parte una delle ragioni del successo intramontabile della sua mu-
sica, che mantiene una formidabile efficacia e un’impeccabile chiarezza
anche con un numero limitato di prove a disposizione del direttore d’or-
chestra.

I. Funzione drammatica dei timbri strumentali

Per cominciare, possiamo identificare alcuni clichés strumentali, alcuni


“simboli sonori” legati a singoli strumenti, che ricorrono in più opere ver-
diane con un preciso significato drammatico10. Molti di tali simboli sono
tradizionali, li troviamo già nei lavori teatrali di diversi predecessori del
compositore: utilizzandoli, Verdi rende un evidente omaggio alla tradizio-
ne operistica.
Il flauto è spesso usato come simbolo di leggerezza, di innocenza,
di purezza: così, per fare solo un esempio evidente, quando Rigoletto
canta «Ma in altr’uomo qui mi cangio», il flauto solo, l’irrompere di un
tema nel registro acuto, segnala l’improvviso cambio di atmosfera dalla
tenebrosa scena con Sparafucile, tutta giocata sui registri gravi, all’in-
timità della scena con Gilda; e il timbro del flauto, assente durante il
duetto Rigoletto-Sparafucile, assume un’importanza crescente nei due
duetti successivi (Gilda-Rigoletto e Gilda-Duca) e infine nell’aria «Caro
nome».

8
Ricordo bene, molti anni fa, di aver assistito a un incontro dal vivo con Lorin Maazel,
che aveva avuto modo di esaminare le annotazioni verdiane al Lohengrin, e che osservava
come Verdi avesse perfettamente identificato e sottolineato tutti i punti più difficili da dirigere
della partitura.
9
Monaldi, nel 1899, riporta queste parole del compositore: «L’istrumentale bello non
consiste, del resto, nella varietà ed eccentricità degli effetti: esso è bello quando significa qual-
che cosa!», in GINO MONALDI, Verdi. 1839-1898, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1899, pp.
207-208.
10
L’idea di una “semantica dell’orchestrazione” è stata sviluppata da FRITS NOSKE in The
Signifier and the Signified. Studies in the Operas of Mozart and Verdi, Den Haag, Martinus
Nijhoff, 1977 (trad. it. Dentro l’opera, Venezia, Marsilio, 1993).
20 BIETTI

In Aida il ruolo del flauto si fa più sfumato, alla tradizionale funzione


“leggera” e celestiale si accosta un carattere più ambiguo11 e perfino – una
rarità in Verdi! – sensuale (nel duetto12 Aida-Radamès del terzo atto), gra-
zie all’uso del registro grave dello strumento, e soprattutto quando a suo-
nare sono tutti e tre i flauti prescritti dalla partitura13.
L’oboe, accanto al tipico ruolo “pastorale”, viene spesso usato per
evocare atmosfere malinconiche, perfino lamentose: le dolenti appoggia-
ture di «Condotta ell’era in ceppi», le introduzioni di «Addio del pas-
sato» e di «O cieli azzurri»14 sono esempi di questa funzione dello stru-
mento, che ha una lunga tradizione (basta pensare al pianto di Rosina nel
Finale primo del Barbiere di Siviglia) e che Verdi sfrutterà fino alla fine
della carriera (i singhiozzi di Nannetta nella prima scena del secondo atto
di Falstaff).
Lo stesso ruolo lamentoso, perfino accentuato, viene a volte riservato
al corno inglese15, in un registro più grave e livido e con un timbro nasa-
le messo volutamente in evidenza grazie a una strumentazione alleggerita
(«Miei signori, perdono, pietate…» di Rigoletto che supplica i cortigiani,
o l’aria di Amelia «Ma dall’arido stelo» nel secondo atto del Ballo in ma-
schera).
Il clarinetto, fin dai tempi di Mozart, è lo strumento dell’amore, dello
struggimento, del desiderio inafferrabile (un buon clarinettista può ren-
dere il suono dello strumento letteralmente impalpabile, soprattutto nel
pianissimo e nel registro medio-acuto). Verdi sembra ricordare la lezione
mozartiana nel breve sospiro del clarinetto all’inizio di «Tacea la notte
placida», o nel commovente assolo che accompagna la scrittura della let-
tera ad Alfredo nel secondo atto di Traviata. In Aida, questa funzione
dello strumento è ancora più esplicita: il clarinetto solo, dolce espressivo,
sottolinea il primo ingresso della protagonista intonando quello che viene
generalmente definito il “tema di Aida” (p. 24, lettera C della partitura

11
Non mi occupo in questo saggio dell’“esotismo” della partitura di Aida. Per un esame
di questo aspetto, comprendente anche alcuni accenni alla veste strumentale e in particolare
all’uso del flauto (che nell’opera si collega spesso alla figura della protagonista), si veda ad
esempio FABRIZIO DELLA SETA, “O cieli azzurri”: Exoticism and dramatic discourse in “Aida”,
in «Cambridge Opera Journal», III/1 (1991), pp. 49-62.
12
In realtà, come è noto, Verdi aveva chiesto a Ricordi di non indicare le suddivisioni in
numeri chiusi nel terzo atto dell’opera, ma l’editore decise di inserirle comunque. Nel corso
di questo saggio, per brevità, userò le suddivisioni convenzionali per denominare le diver-
se sezioni drammatiche dell’atto: Romanza di Aida, duetto Aida-Amonasro, duetto Aida-
Radamès.
13
TRAVIS, Verdi’s Orchestration, p. 41.
14
Anche se bisogna sottolineare che il solo di oboe all’inizio di «Là tra foreste vergini»,
nel duetto Aida-Radamès dello stesso terzo atto, ha un carattere diverso.
15
TRAVIS, Verdi’s Orchestration, p. 43.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 21

Ricordi)16; e durante la Romanza che conclude la prima scena dell’opera


(«Ritorna vincitor!…»), quando la schiava si distoglie improvvisamente
dai propositi bellicosi, riappare il “suo” tema (p. 68, B), di nuovo nel cla-
rinetto ma poco più lento della prima volta, una chiara reminiscenza. Aida
canta qui le parole «E l’amor mio?», rendendo esplicito il significato sim-
bolico dello strumento che alla prima apparizione sembrava più sfumato
(ma in realtà, con grande sottigliezza drammaturgica, alla sua prima appa-
rizione il tema segnalava sia l’ingresso di Aida che il turbamento amoroso
provocato in Radamès dalla sua presenza)17.
Il fagotto viene generalmente associato a situazioni comiche e grot-
tesche, ma Verdi a volte ama utilizzarlo come simbolo di pesantezza d’a-
nimo, perfino di disperazione. Gli esempi più efficaci si trovano proprio
in Aida. La terza apparizione del “tema di Aida” si presenta all’inizio del
duetto della protagonista con Amneris, nel secondo atto (p. 120): il tema,
stavolta, è affidato al primo fagotto solo, raddoppiato da viole e violon-
celli, e la sonorità – perfetta rappresentazione musicale, si direbbe, dello
stato d’animo di Aida dopo la sconfitta dell’esercito etiope – è cupa,
priva di dell’anelito amoroso delle due prime apparizioni18. Ancora più
efficace, e tutt’altro che casuale, è l’uso della medesima combinazione
strumentale (tema nel primo fagotto solo, raddoppio di viole e violon-
celli) nel momento più drammatico del duetto Aida-Amonasro del ter-
zo atto («Padre!… A costoro… schiava… non sono…», p. 296, N), che
rende in modo indimenticabile la disperazione di Aida – trascinandosi a
stento ai piedi del padre, dice la didascalia scenica19.
Gli ottoni, in particolare trombe e tromboni, hanno da secoli un
significato simbolico evidentissimo (spesso, ma non sempre, rafforza-
to dall’uso dei timpani): sono gli strumenti del potere, della guerra, del

16
Nel corso di questo saggio, quando sarà necessario identificare con chiarezza un sin-
golo passaggio di Aida farò riferimento al numero di pagina e alle lettere della classica parti-
tura Ricordi del 1913, sulla quale non viene indicato il numero di battuta. È ancora oggi la più
diffusa ed è l’unica reperibile online: http://imslp.org/wiki/Aïda_(Verdi,_Giuseppe).
17
Si veda più sotto la nota 40, per quanto riguarda l’uso di diversi clarinetti (in Do e in
Si bemolle) in questi due passi, e per alcune ulteriori considerazioni.
18
Si veda più sotto, per un esame dei frequenti cambiamenti di strumentazione dei ma-
teriali ricorrenti in Aida. Il timbro del fagotto solo viene utilizzato di nuovo nel corso del
medesimo duetto («Pietà ti prenda del mio dolor», p. 133, K), per sottolineare in modo ancora
più accentuato il dolore della protagonista.
19
Per comprendere appieno la forza espressiva di questo passo, che come vedremo
giunge dopo uno dei più impressionanti crescendo orchestrali verdiani, si ascolti l’effetto di
“apertura” improvvisa realizzato dai legni acuti – flauto, oboe e clarinetto – che sollevano
letteralmente da terra il tema quando Amonasro comincia a cantare «Pensa che un popolo»
(p. 297; si osservi anche la linea dei violini che comincia a salire, lenta e costante, dopo ben 16
battute di pedale fisso). Un esempio paradigmatico della potenza dei contrasti in Verdi.
22 BIETTI

trionfo. In Aida, come vedremo, tale significato è particolarmente accen-


tuato, e diventa uno degli elementi principali della drammaturgia orche-
strale dell’intera opera. Non a caso, in quest’opera Verdi aggiunge all’or-
ganico alcuni ottoni costruiti appositamente, le «trombe egiziane» (tre in
La bemolle, tre in Si).
Ugualmente sfruttato in Aida è lo specifico ruolo simbolico dei trom-
boni, anch’esso tradizionale: quando suonano in lenti accordi, in genere a
tre, questi strumenti accompagnano le scene sacre, le atmosfere solenni e
cerimoniali («Nume, custode e vindice» nel primo atto: p. 85, C); allo stes-
so tempo essi simboleggiano la morte e l’aldilà (basta pensare all’apparizio-
ne della statua del Commendatore in Don Giovanni, o perfino ai «Cori di
spiriti» dell’Orfeo monteverdiano).
Si potrebbero aggiungere altri esempi, dal ruolo del triangolo come
simbolo dell’oro e della ricchezza (nel secondo atto di Aida, da p. 167,
Un drappello di danzatrici che recano i tesori dei vinti; o nel secondo
atto di Falstaff, durante il dialogo tra il protagonista e Ford: «Ho un
sacco di monete qua, che mi pesa assai»; «Spendetele! Sì, spendete e
spandete tutto il mio patrimonio!»), al carattere arcaico dell’arpa (sem-
pre Aida, come si è visto più sopra), al corno usato come simbolo della
natura; ma credo che queste brevi indicazioni siano già sufficienti per
dare al lettore un’idea delle possibilità del timbro strumentale in fun-
zione drammaturgica.
Resta da aggiungere che Verdi a volte inserisce nell’organico orche-
strale qualche strumento specifico, evocativo, che diventa quasi un “perso-
naggio” sul modello del Glockenspiel nel Flauto magico: è proprio il caso
delle trombe egiziane dell’Aida, usate nella grande scena trionfale del se-
condo atto (o, per fare un altro esempio, dei martelli e incudini nel secondo
atto del Trovatore).
Infine, spessissimo (e fin dalle prime opere: si pensi a Nabucodonosor)
Verdi utilizza strumenti fuori scena, piccole orchestre e soprattutto bande.
Qui la funzione drammaturgica, il “segnale dall’esterno”, si fa decisamente
esplicita.

II. La “solita forma” e l’orchestra verdiana

Verdi utilizza in genere il potere evocativo, la funzione semantica


dei singoli timbri strumentali in determinati passaggi; difficilmente se
ne serve per costruire una drammaturgia timbrica che attraversa l’intera
partitura come fa ad esempio Mozart nelle tre opere su libretto di Da
Ponte. Anche nei titoli della maturità verdiana è difficile sostenere che
un dato strumento segua un personaggio, lo caratterizzi per l’intera ope-
ra con la stessa coerenza e continuità con cui, nelle Nozze di Figaro, il
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 23

clarinetto si accompagna al personaggio della Contessa e l’oboe a quello


di Susanna20.
Aida dimostra come a Verdi interessi maggiormente caratterizzare la
vicenda attraverso le diverse configurazioni orchestrali in sé, con il tutti,
completo di ottoni e timpani (più eventualmente le altre percussioni), che
marca i punti di maggior tensione ed energia ritmica – oltre che natural-
mente le grandi scene di folla –, mentre configurazioni ridotte, prive degli
strumenti più sonori, tendono a sottolineare gli istanti intimi, quelli in cui
prevale il confronto tra i personaggi o l’intreccio dei sentimenti.
Se si prendono in esame i brani solistici, arie e duetti, sembrerebbe pro-
prio che Verdi tenda nel corso degli anni a ridurre progressivamente l’uso
del tutti ad alcuni istanti specifici, nei quali si concentra l’energia, l’esplosio-
ne orchestrale: a volte nel tempo d’attacco, quasi sempre nel tempo di mez-
zo (in particolare per sottolineare il colpo di scena) e invariabilmente nella
cabaletta, soprattutto nelle strette conclusive. Le opere verdiane dei primi
anni Cinquanta ci mostrano diversi esempi di questo pensiero orchestrale.
L’aria del Duca all’inizio del secondo atto di Rigoletto, «Parmi veder
le lagrime», dispiega una notevole economia orchestrale: l’attacco, il recita-
tivo e l’intero cantabile sono strumentati per un’orchestra ridotta, priva di
ottoni e timpani; poi, con un fragoroso tutti, entrano in scena, frettolosi, i
cortigiani. Nella cabaletta «Possente amor» il compositore raddoppia con
una tromba sola alcuni istanti della melodia vocale; il tutti, anticipato nel
breve intervento del coro tra le due strofe della cabaletta stessa, ritorna de-
finitivamente nella stretta conclusiva. Verdi sfrutta quindi le caratteristiche
interne della “solita forma”, l’idea di un passaggio da uno stato d’animo a
un altro attraverso un colpo di scena, per costruire un percorso orchestrale
che sottolinea e rafforza le linee di tensione del brano, puntando verso un
effetto di cumulazione conclusiva.
La soluzione adottata nel duetto Gilda-Rigoletto alla fine del secondo
atto è simile: l’attacco è affidato all’intera orchestra, nel momento in cui
Gilda esce dalla stanza del Duca. Tutta la scena e l’articolato cantabile suc-
cessivi sono invece accompagnati da configurazioni orchestrali ridotte. Il
tutti riappare con l’ingresso di Monterone; anche in questo caso, nella prima
parte della cabaletta «Sì, vendetta» la tromba sola raddoppia il punto cul-
minante di ogni frase (Tavola I), poi, nella stretta, rientra l’intera orchestra.
Lo stesso tipo di pensiero strumentale organizza gran parte delle arie e
dei duetti delle opere di questo periodo: nell’aria di Violetta nel primo atto

20
Si veda GIOVANNI BIETTI, Mozart all’opera. Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così
fan tutte, Roma-Bari, Laterza, 2015, pp. 114-135 e 178-179. Anche per quanto riguarda lo
“scambio di ruoli” strumentale nel Finale quarto delle Nozze, dove Susanna è accompagnata
dal clarinetto e la Contessa dall’oboe.
24 BIETTI

Tavola I. Rigoletto, atto II: «Sì, vendetta», raddoppio della tromba (più ob.,
fag. e vl. I) nel punto culminante della melodia.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 25

della Traviata il tutti arriva direttamente nel tempo di mezzo, sulle parole
«gioire», «di voluttà nei vortici», «di voluttà perir» (ossia, nel momento in
cui Violetta cambia stato d’animo), e quindi l’intera orchestra viene gra-
dualmente utilizzata nella cabaletta, sfociando nella piena sonorità delle
battute conclusive (nella prima strofa, in maniera simile a quanto osservato
nei due brani del Rigoletto, Verdi si limita a raddoppiare con la tromba sola
il punto più espressivo di una frase della melodia). La stessa soluzione, con
l’intera orchestra che entra soltanto, bruscamente, nel tempo di mezzo e
viene poi reintrodotta poco a poco nella cabaletta (cominciando dal sem-
plice raddoppio da parte di una tromba solista di alcuni istanti culminanti
delle frasi vocali), si può osservare in altri brani di Traviata (per esempio
l’aria di Alfredo «De’ miei bollenti spiriti») o del Trovatore (l’aria di Man-
rico del terzo atto, l’aria di Leonora del quarto atto21).
Verdi doveva essere particolarmente soddisfatto di questa strategia
orchestrale, visto che la ripropose in alcuni istanti cruciali anche delle ope-
re successive. Il duetto Amelia-Riccardo nel secondo atto di Un ballo in
maschera comincia con una sorpresa, l’arrivo in scena di Riccardo, mar-
cata dal tutti orchestrale. Quindi trombe, tromboni e cimbasso spariscono
dall’organico, per riapparire nel momento culminante del tempo di mezzo
(«nel mio seno… estinto tutto», vale a dire nel momento in cui Riccardo
ha finalmente scoperto che Amelia è innamorata di lui); trombe e trom-
boni rinforzano poi due istanti particolarmente intensi della cabaletta («e
più non sorga il dì» di Riccardo, «o nella morte» di Amelia). Il tocco più
raffinato rispetto alle opere precedenti si mostra all’arrivo del tutti vero e
proprio, che coincide con un momento di sorpresa, il ritorno improvviso
del “tema d’amore” nel mezzo della cabaletta stessa (convenzionale è poi
l’uso dell’intera orchestra nella sezione conclusiva).
Anche il duetto Aida-Radamès nel terzo atto di Aida mostra un’enne-
sima reinterpretazione, ancora più articolata e complessa, dello stesso sche-
ma orchestrale: gli ottoni, utilizzati in modo estremamente vario e sottile
nella prima parte del brano (lo vedremo più sotto), vengono poi del tutto
esclusi – a parte i corni – dal sinuoso cantabile «Là tra foreste vergini»; il
tutti improvviso giunge sulla frase di Aida «Allor piombi la scure su me, sul
padre mio». Segue la cabaletta «Sì: fuggiam da queste mura», nella quale,
ancora una volta, solo i punti culminanti delle frasi sono raddoppiati dalla

21
In quest’ultima aria, l’uso del tutti nel corso del Miserere costituisce una sorta di caso
limite: non sottolinea solo il colpo di scena ma crea un’atmosfera unica, lugubre e inquie-
ta (nelle indicazioni di Verdi l’episodio «deve essere pianissimo benché a piena orchestra»).
L’aria del Conte di Luna nel secondo atto del Trovatore presenta una variante dello schema
generale: non c’è colpo di scena, e quindi il tempo di mezzo non è marcato dal tutti; e la trom-
ba raddoppia l’intera parte vocale della cabaletta, senza dubbio per sottolineare il carattere
particolarmente “marziale” della melodia.
26 BIETTI

tromba (Tavola II a e b), e infine giunge il grande tutti conclusivo (anche


qui, come nel Ballo in maschera, su una reminiscenza, la ripresa improvvisa
del tema udito precedentemente all’ingresso in scena di Radamès).
E se queste considerazioni dovessero apparire scontate (dopotutto,
cosa c’è di più logico che accompagnare un cantabile con un’orchestra ri-
dotta, e dare sfogo alla piena sonorità orchestrale per un colpo di scena,
per una cabaletta, per una stretta?) 22, basterà osservare anche di sfuggita
un’opera scritta nel periodo iniziale dell’attività di Verdi. Nel primo atto di
Nabucodonosor, per esempio, gli ottoni sono usati quasi dappertutto: non
solo l’opera comincia con la piena sonorità del coro e dell’orchestra, ma
nella successiva cavatina di Zaccaria sono caratterizzati dal tutti orchestrale
sia il recitativo che il cantabile, il tempo di mezzo e la cabaletta. Non c’è
traccia di quell’articolazione graduale che pochi anni più tardi si ritroverà
nelle partiture verdiane.
Questa caratteristica, un uso insistito del tutti orchestrale senza par-
ticolare attenzione per la struttura drammaturgica del singolo numero
operistico, è comune a gran parte delle opere italiane degli anni Trenta, e
quindi Verdi si trovò con ogni probabilità ad adottarlo in modo del tutto
naturale23. Le prime due arie di Lucia di Lammermoor – l’aria di Enrico
«Cruda, funesta smania» e l’aria di Lucia «Regnava nel silenzio» – ci
fanno ascoltare la piena sonorità orchestrale fin dal cantabile, e lo stesso
succede nell’aria di Pollione in Norma «Meco all’altar di Venere» (ma
in «Casta diva», invece, il cantabile è orchestrato per una formazione
ridotta).
All’epoca di Aida, Verdi ha quindi a disposizione diverse strategie or-
chestrali: accanto alla perfetta conoscenza delle tradizionali funzioni sim-
boliche dei singoli timbri strumentali, ha sviluppato anche l’idea di diffe-
renziare attraverso la strumentazione, con un dosaggio accorto e graduale
del tutti, le varie situazioni sceniche. L’orchestra aiuta l’ascoltatore a distin-
guere gli stati d’animo intimi e riflessivi da quelli più irruenti e concitati;
sottolinea un colpo di scena, un improvviso cambiamento di stato d’animo,
un repentino aumento della tensione drammatica; e inoltre segnala l’in-

22
Specifico qui che non ho intenzione di proporre questa strategia orchestrale verdiana
come una regola assoluta: anche nelle opere degli anni Cinquanta ci sono eccezioni, come ad
esempio la prima aria di Leonora nel Trovatore, nella quale durante il cantabile alcune frasi
vengono raddoppiate dagli ottoni “a mo’ di cabaletta” (senza dubbio Verdi voleva sottoli-
neare attraverso i raddoppi l’intensità, quasi parossistica, del sentimento di Leonora). Ma la
ricorrenza di questo pensiero orchestrale, che si differenzia sia da numerosi brani delle opere
giovanili dello stesso Verdi che dalla prassi di molti suoi predecessori, mi sembra comunque
notevole.
23
E del resto questa enfasi orchestrale si adattava perfettamente allo spirito “risorgimen-
tale” degli anni Quaranta.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 27

Tavola IIa. Aida, atto III: «Sì, fuggiam da queste mura», raddoppio della
tromba nel punto culminante della melodia.
28 BIETTI

Tavola IIb
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 29

gresso di una folla di personaggi, ossia il trapasso dalla dimensione “pri-


vata” a quella “pubblica”. Sono proprio questi gli elementi su cui si basa
la drammaturgia orchestrale dell’Aida; e per comprenderne più a fondo la
sottigliezza è necessario esaminare brevemente la struttura drammaturgica
dell’opera.

III. Aida: la struttura drammaturgica

Il nucleo drammatico di Aida – volendo semplificare il contenuto


dell’opera – è il conflitto tra pubblico e privato, tra l’amore segreto di Aida
e Radamès (e l’amore di Amneris per Radamès stesso) e le esigenze del
potere – militare, politico e (un tratto caratteristico della poetica e delle
idee di Verdi in questo periodo) soprattutto religioso, il potere di coloro
che «né di sangue son paghi giammai… e si chiaman ministri del ciel!». Si
tratta di un argomento classico nell’opera italiana dell’Ottocento, sia pure
con diverse gradazioni “politiche”, e Aida ne rappresenta uno degli esempi
più chiari ed efficaci.
Verdi e Ghislanzoni costruiscono una struttura basata su alcune solide
simmetrie: così come l’amore per Radamès è duplice, riguarda sia Aida che
Amneris24, allo stesso modo la ragione di Stato, che minaccia l’amore, si sdop-
pia. Su Radamès (e, nel quarto atto, su Amneris) pesa la fedeltà verso l’Egitto,
che si incarna nella figura del Re e, soprattutto, di Ramfis e dei sacerdoti; su
Aida pesa la fedeltà verso l’Etiopia, rappresentata dal padre Amonasro25. Un
duplice dualismo, quindi, che con grande sottigliezza drammaturgica si spec-
chia nella struttura dell’intera opera: a parte l’organismo unitario e continuo
del terzo atto, gli altri tre sono tutti divisi in due parti.
Nei primi due atti, inoltre, le due parti sono complementari tra loro: la
prima parte di ognuno dei due atti è dedicata alle vicende private di Aida,
Amneris e Radamès, la seconda invece è “pubblica”, mette in scena una ce-
rimonia (propiziatoria nel primo caso, trionfale nel secondo). Ma in realtà la
struttura è molto meno semplice e schematica di quanto non sembri da que-
sta sommaria descrizione: nell’opera la sfera pubblica, infatti, irrompe con-
tinuamente nella sfera privata. Il terzetto del primo atto sfocia direttamente
nell’ingresso dei Re e dei sacerdoti, e nell’annuncio dell’invasione etiope; il

24
E Amneris, nel quarto atto, finirà per soffrire specularmente le stesse pene che ha sof-
ferto Aida durante l’opera: non a caso nell’ultimo atto la principessa egizia canterà più volte
le stesse parole che avevano concluso gli interventi solistici della schiava etiope nei primi due
atti: «Numi, pietà».
25
Ulteriore elemento di complessità, i due popoli sono in conflitto tra loro: gli egizi
sconfiggono e dominano gli etiopi. La volontà di rivalsa e di libertà di Amonasro è un altro
potente motore dell’azione.
30 BIETTI

duetto del secondo atto viene interrotto dalla banda fuori scena e dal coro
che riprende l’inno trionfale «Su, del Nilo al sacro lido». Pubblico e privato,
quindi, si confrontano ripetutamente, si alternano, sfociano l’uno nell’altro,
in alcuni istanti cruciali finiscono addirittura per sovrapporsi (anche sceni-
camente, nel Finale dell’opera). La scena iniziale del primo atto alterna per
due volte, in modo programmatico, la sfera pubblica e quella privata:

– Dialogo Ramfis-Radamès «Sì: corre voce che l’Etiope», sfera pub-


blica;
– Romanza «Celeste Aida» e terzetto «Quale insolita gioia», sfera pri-
vata;
– Ingresso del Re, annuncio del messaggero, dichiarazione di guerra,
sfera pubblica;
– Romanza di Aida «Ritorna vincitor!», sfera privata.

Nella prima scena del secondo atto si scorge un’eco della medesima
suddivisione ma in un certo senso compressa, ravvicinata (dopo i cori e le
danze iniziali, che rappresentano, evidentemente, la sfera pubblica): duetto
Aida-Amneris «Fu la sorte dell’armi», sfera privata; interruzione dall’ester-
no, ripresa del coro «Su, del Nilo», sfera pubblica (che in realtà si sovrap-
pone al duetto: p. 136, L); ripresa di «Numi, pietà» di Aida, sfera privata.
Ma è nella prima scena del quarto atto che il conflitto pubblico-privato
raggiunge il punto culminante, tanto più straziante in quanto è Amneris a
subirne, improvvisamente, le conseguenze. Il confronto tra la principessa e
Radamès rientra, naturalmente, nella sfera privata, ma nella seconda parte
della scena Amneris si confronta due volte, in modo progressivamente più
intenso, con l’inesorabilità e la violenza del potere26. Dapprima è costretta
ad assistere, dall’esterno, alla scena del giudizio (nuova sovrapposizione di
pubblico e privato), quindi, quando i sacerdoti escono dal sotterraneo, li
investe e si scontra direttamente con loro, ma invano.
È essenziale sottolineare che il confronto tra i due ambiti nel corso
dell’opera non è mai realizzato bruscamente, attraverso la pura giustappo-
sizione o la semplice sovrapposizione: al contrario, Verdi compone un gran
numero di transizioni, spesso molto sottili, da un piano all’altro; e l’aspetto
più interessante è che queste transizioni sono in genere realizzate attraver-
so l’orchestra, il confronto tra differenti configurazioni strumentali.

26
Il potere che lei stessa aveva esercitato nei confronti di Aida nella prima scena del se-
condo atto, verrebbe da dire. In effetti l’ascolto dell’opera lascia la sensazione di una sorta di
crudele legge del contrappasso nei confronti di Amneris; un contrappasso che si esprime nel
testo (per esempio in «Numi, pietà del mio straziato core»), e che come vedremo Verdi riesce
a realizzare anche attraverso l’orchestra.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 31

IV. La drammaturgia orchestrale

Verdi utilizza, nella strumentazione di Aida, le diverse caratteristiche


espressive del tutti orchestrale di cui ho parlato in precedenza: per sotto-
lineare i colpi di scena, un “picco” emozionale, per realizzare atmosfere
tese e concitate, per raffigurare la folla e i momenti pubblici e solenni. Ma
sarebbe superficiale pensare che la struttura drammaturgica di Aida, sche-
matizzata nel paragrafo precedente, sia semplicemente sottolineata, a livel-
lo orchestrale, alternando tutti (nei momenti “pubblici”) e configurazioni
orchestrali più leggere (nei momenti “privati”). Basta osservare l’inizio del
Preludio orchestrale27 per renderci conto di come Verdi sia capace di arti-
colare il conflitto attraverso mezzi più sfumati, in questo caso attraverso la
mediazione del registro: il “tema di Aida”, all’inizio, è affidato ai soli archi
acuti, violini e poi viole28; segue il “tema dei sacerdoti”, affidato inizialmen-
te ai violoncelli, ossia sempre agli archi ma in un registro più grave che fino
a questo momento quasi non avevamo ascoltato. Pubblico e privato, amore
e potere si confrontano, ma la loro contrapposizione è affidata alla dico-
tomia grave/acuto, non alla scrittura orchestrale29. Il tutti arriva, qualche
battuta più tardi, nel momento in cui i due temi si sovrappongono (e dopo
una progressiva estensione di registro e di densità strumentale): la piena
sonorità orchestrale, insomma, viene raggiunta gradualmente, ed è il punto
culminante del confronto tra due temi – che naturalmente simboleggiano il
nucleo drammatico, il conflitto centrale dell’opera. Il tutti è quindi il risul-
tato del conflitto, non è semplicemente espressione di una delle due sfere:
forse mai come in quest’opera Verdi è stato tanto interessato alla gradualità,
alla sottile articolazione del processo drammatico – e quindi compositivo,
e quindi orchestrale.
La prima presentazione scenica del potere, l’ingresso di Ramfis che
conversa con Radamès, è di nuovo affidata ai violoncelli in registro medio-
grave; solo con la Romanza di Radamès il registro si sposterà verso l’acuto,
come se Verdi intendesse invertire il processo avviato nelle prime battute
del Preludio. Abbiamo qui la prima transizione tra la sfera pubblica e quel-

27
In questo saggio non prendo in esame l’ampia Sinfonia che Verdi scrisse per la prima
esecuzione italiana dell’opera, ma che decise poi di non utilizzare. Si vedano BUDDEN, Le
Opere di Verdi, vol. 3, pp. 272-274, e ANTONIO ROSTAGNO, Ouverture e dramma negli anni
Settanta. Il caso della Sinfonia di “Aida”, in «Studi verdiani», 14, pp. 11-50.
28
Durante l’elaborazione di questo tema, le note più gravi sono affidate al clarinetto,
raddoppiato dal flauto nel registro grave.
29
Una dicotomia che Verdi aveva già esplorato in precedenza (ho citato più sopra la con-
trapposizione di registro che Verdi utilizza nel primo atto di Rigoletto), e che in alcuni istanti
delle opere successive si farà ancora più accentuata: basta pensare all’improvviso ingresso del
contrabbasso nell’istante in cui Otello entra nella stanza di Desdemona, dopo i suoni acuti e
dolcissimi di violini e viole con cui si era conclusa l’Ave Maria.
32 BIETTI

la privata: il recitativo di Radamès è inizialmente incentrato sul “sogno”


guerriero e quindi accompagnato, con una simbologia fin troppo evidente,
dalle trombe marziali; ma poi Radamès pensa ad Aida, e improvvisamente
la sua frase non è più accompagnata dalle trombe, ma dal timbro più dol-
ce degli archi (Tavola III). Quindi, sulla frase (dal contenuto nuovamente
“guerriero”) «per te ho pugnato, per te ho vinto!» le trombe riappaiono per
un breve istante, e si congedano. Verdi presenta così una strategia che riap-
parirà spesso nel corso dell’opera: il trapasso dalla sfera pubblica a quella
privata, o viceversa, è sottolineato dall’orchestra, attraverso un improvviso
cambiamento di strumentazione – o, come in questo caso, una rapida al-
ternanza tra diverse sezioni orchestrali – che in qualche modo anticipa ciò
che seguirà.
Non è quindi un caso che gli ottoni marziali, trombe e tromboni, non
siano utilizzati nel corso di «Celeste Aida», e che riappaiano solo nelle ulti-
me battute (p. 36) del concitato terzetto tra Aida, Amneris e Radamès; vale
a dire, pochi istanti prima che entrino in scena – segnalati dagli immancabili
squilli di tromba – il Re e i sacerdoti30. Così come Verdi aveva articolato
la transizione tra pubblico e privato all’inizio dell’opera, allo stesso modo
il compositore realizza qui il processo inverso, ci annuncia il tutti qualche
istante prima che la sfera pubblica faccia trionfalmente il suo ingresso in
scena.
Il recitativo di Radamès sopra esaminato ci mostra un altro aspetto
interessante: spesso Verdi utilizza gli ottoni, in particolare le trombe, quan-
do il testo allude ad argomenti marziali – o religiosi; al potere, insomma.
Un uso tradizionale di questa sezione strumentale, che diventa però – in
modo del tutto originale – un mezzo attraverso il quale Verdi permette
alla sfera pubblica di insinuarsi all’interno della sfera privata. Ne troviamo
un esempio chiarissimo all’inizio della Romanza di Aida con cui si con-
clude la prima parte dell’atto. Il testo della sezione iniziale di quest’aria
(da p. 64) ha un contenuto inequivocabilmente marziale (ossia, in un certo
senso, è ancora intriso dell’atmosfera della precedente scena, la dichiara-
zione di guerra all’Etiopia da parte degli egizi): «Vincitor del padre mio»,
«Vincitor de’ miei fratelli», «Struggete le squadre dei nostri oppressor».
Verdi realizza un veemente crescendo orchestrale (archi soli, poi fagotto e
oboe, quindi clarinetti, corni e timpani) che punta verso il tutti improvviso,
nell’istante in cui la fanciulla realizza quali siano le conseguenze di ciò che
si sta augurando («Ah! Sventurata! Che dissi?», Tavola IV). È la tecnica del
colpo di scena, evidentemente; ma qui viene utilizzata con una sfumatura

30
Il primo squillo di tromba che segnala l’arrivo del Re e della folla (p. 38) è un Mi, e
Verdi lo scrive in modo da farlo risultare allo stesso tempo come ultima nota del terzetto, che
termina proprio nella tonalità di Mi minore.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 33

Tavola III. Aida, atto I. Romanza di Radamès: «Se quel guerrier io fossi»,
contrasto archi-ottoni.
34 BIETTI

Tavola IV. Aida, atto I, Scena e Romanza di Aida: «Ah! Sventurata! Che dis-
si?», uso del tutti orchestrale.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 35

drammatica molto sottile: ciò che Aida intuisce improvvisamente, infatti,


è l’effetto devastante che il prevalere della sfera pubblica potrebbe avere
sul suo amore. Il tutti dissonante e aggressivo è allo stesso tempo il punto
culminante del crescendo marziale e il momento del trapasso dalla sfera
pubblica a quella privata – il clarinetto solo, simbolo dell’amore, che si insi-
nua carico di dolcezza e di ricordi – che da questo momento in poi prevale
per il resto dell’aria.
È particolarmente notevole il fatto che un’eco del medesimo procedi-
mento, semplificata, si ritrovi all’inizio del quarto atto, nel breve “a solo”
di Amneris (da p. 346): rimuginando tra sé, la principessa volge il pensiero
al tradimento di Radamès, al suo intento di fuggire con Aida, e prorompe
in una furiosa invettiva («Traditori tutti! A morte! A morte!…»). Verdi non
costruisce, per dare risalto a questo ennesimo passaggio dalla sfera privata
(la gelosia) a quella pubblica, un crescendo orchestrale come nella Roman-
za di Aida: gli basta far salire di registro la linea vocale di Amneris, che si
innalza insieme alla sua collera. Sulle parole «A morte!» esplode, improv-
viso, il tutti orchestrale, seguito dal silenzio quando la principessa si rende
conto delle terribili conseguenze di ciò che ha appena detto (Tavola V a e
b). Anche in questo caso, il trapasso da pubblico a privato è sottolineato
da una reminiscenza tematica e strumentale, la ripresa del tema sul quale
Amneris era entrata in scena all’inizio dell’opera (p. 18, D), affidato alla
stessa sezione orchestrale – gli archi – ma in una versione che potremmo
definire più “tenera” (note lunghe delle viole, legato dei bassi)31: il ricordo
dell’«insolita gioia» nello sguardo di Radamès e del sottile messaggio d’a-
more che la principessa gli aveva lanciato.
Le similitudini tra i due passaggi sono troppo accentuate per essere
casuali: riproducendo – anche a livello orchestrale, oltre che nella tecnica
della reminiscenza tematica32 – il medesimo procedimento Verdi mette in
relazione tra loro i due momenti dell’opera, ci mostra come il peso del con-
flitto pubblico-privato, che per gran parte dell’opera aveva afflitto Aida,
si sia ora trasferito sulle spalle di Amneris. (Tra l’altro, i due temi oggetto
della reminiscenza, il tema d’ingresso di Aida e quello di Amneris, si erano
presentati nello stesso brano, il terzetto del primo atto, ossia nel momento
in cui cominciava a delinearsi la vicenda privata dell’opera. Questo spiega
anche perché soltanto uno dei due temi, quello di Aida, sia affidato al-

31
In realtà, alla prima apparizione il tema comprendeva anche i raddoppi delle parti di
accompagnamento nei fagotti e nei corni, pianissimo.
32
Il parallelismo tra le due scene è confermato anche dal testo:
Aida: «Struggete le squadre dei nostri oppressor! / Ah! Sventurata! Che dissi? / E l’amor
mio?»
Amneris: «Traditori tutti! A morte! A morte! / Oh! Che mai parlo? / Io l’amo, io l’amo
sempre…».
36 BIETTI

Tavola V a. Aida, atto IV, Scena e Duetto (Amneris): «A morte! Oh! Che mai
parlo?», uso del tutti orchestrale.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 37

Tavola Vb
38 BIETTI

l’“amoroso” clarinetto: Verdi non poteva utilizzare due volte il medesimo


segnale timbrico e strumentale in uno stesso brano.) 33.
Tramite la strumentazione, quindi, Verdi inserisce spesso la sfera pub-
blica all’interno di un brano solistico: gli basta sfruttare un accenno del testo,
anche brevissimo, alla guerra, al potere, alla religione, che viene naturalmente
sottolineato dall’ingresso degli ottoni e dei timpani, o dal tutti. L’esempio più
impressionante di questo procedimento si trova nel duetto Aida-Amonasro
del terzo atto, di cui mi occuperò in dettaglio nel prossimo paragrafo.
Nel duetto Aida-Radamès del terzo atto, tutta l’ampia spiegazione
“guerresca” di Radamès («Nel fiero anelito di nuova guerra», p. 304) è ac-
compagnata da un ostinato ritmico delle trombe, una sorta di leggera fanfa-
ra: un’idea talmente efficace che Verdi decide, con un tocco di grande raffi-
natezza, di far sentire alcuni echi dell’ostinato quando Radamès riprende il
tema slanciato e appassionato con cui si era presentato in scena poco prima
(«Sarai tu il serto della mia gloria»)34.
Nel duetto Amneris-Radamès del quarto atto Verdi inserisce alcuni
segnali di tromba (breve-lunga, ossia semicroma-minima puntata) pro-
prio negli istanti in cui il testo accenna ai sacerdoti e al giudizio («Già i sa-
cerdoti adunansi / Arbitri del tuo fato»; «Di mie discolpe i giudici», ecc.:
da p. 350, B e C). Segnali che anticipano chiaramente gli squilli di trombe
e tromboni (due brevi e una lunga, da p. 389, M35) nella scena del giudi-
zio sotterraneo36. Verdi costruisce la transizione tra privato e pubblico
partendo da molto lontano: dopo aver ascoltato la tromba all’inizio del

33
Da sottolineare che comunque il compositore decide, nel Finale secondo, di far ac-
compagnare anche il tema d’amore di Amneris da un clarinetto solo, quando la principessa
pone la corona trionfale sul capo di Radamès (p. 206, N). Di lì a poco, il Re annuncerà il
matrimonio tra i due. Significativo il fatto che la vera sortita solistica del clarinetto nell’intera
opera, il primo istante in cui il timbro dello strumento è in primo piano, anticipi l’ingresso in
scena di Aida, nel momento in cui Amneris chiede a Radamès, con esplicito intento amoroso,
se egli non abbia «in Menfi / desiderii… speranze?» (p. 20).
34
È degno di nota il fatto che durante la prima esposizione di questo tema Verdi rafforzi
la terza enunciazione di Radamès («Gli Dei m’ascoltano», p. 302) con il raddoppio della trom-
ba, “a mo’ di cabaletta”. Ancora una volta il compositore costruisce una transizione graduale,
annunciando la presenza delle trombe con una breve sortita, quindi mettendole al centro del
tessuto sonoro durante l’ostinato, e infine facendole “congedare” più delicatamente.
35
Si tratta di quella che NOSKE (The Signifier and the Signified, pp. 171-214) chiama la
«figura musicale della morte», un tipico cliché musicale verdiano.
36
Il collegamento è accentuato dal fatto che nel duetto al segnale di tromba si accom-
pagna anche un leggerissimo colpo di grancassa, altro strumento che nella scena del giudizio
ha un ruolo importante. Ma si potrebbe tracciare un altro collegamento, anche più sottile: lo
stesso segnale, sempre nella tromba e identico nel ritmo, si era udito all’inizio del secondo
atto (p. 97), mentre Amneris veniva abbigliata dalle schiave attendendo l’arrivo di Radamès
vincitore. Abbiamo qui a che fare con una sorta di crudele rovesciamento del significato di
quel segnale.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 39

cantabile, troviamo un improvviso tutti sulla frase di Radamès «L’infamia


m’attende e vuoi ch’io viva?», e poi, in modo più consueto, nella caba-
letta «Chi ti salva, sciagurato». Segue poi un poderoso sfogo orchestrale
(p. 379, J), nel quale l’intera sezione degli ottoni ci anticipa una versione
secca e tagliente degli squilli che marcheranno, di lì a poco, il giudizio
(stavolta completa, due brevi e una lunga, ma sul tempo forte della bat-
tuta), come se l’orchestra stesse già gridando «Radamès! Radamès! Ra-
damès!». Il «tripudio dei sacerdoti», a ben vedere, è già evidente fin da
questo duetto.
Le strategie orchestrali che Verdi mette al servizio del dramma sono
numerose: non mi occuperò qui dei Finali del primo e del secondo atto,
momenti eminentemente “pubblici” nei quali, ovviamente, il tutti orche-
strale è ampiamente utilizzato – e rafforzato, nel Finale secondo, dal-
la banda sul palco e dalle trombe egiziane. La scena del giudizio mostra
anch’essa una logica prevalenza del tutti, alla quale si abbandona perfino
Amneris durante il disperato scontro con i sacerdoti (del resto, questa è
la scena che sancisce il trionfo definitivo della sfera pubblica e religiosa
su quella privata).
Ma una delle grandi sorprese strumentali dell’Aida consiste nel fatto
che nell’ultima scena gli ottoni marziali, trombe e tromboni, scompaio-
no dall’organico orchestrale: Verdi, una volta di più, li congeda gradual-
mente all’inizio della scena (un accenno di dolente corale che ricorda
certe sonorità berlioziane, e poi quattro semplici accordi: pp. 413-415);
il resto del Finale sarà caratterizzato da tessiture orchestrali molto più
leggere, quasi aeree (sottolineate ad esempio dall’uso insistito degli ar-
monici nei violini e nei violoncelli). La struttura simmetrica dell’Aida
si mostra qui in tutta la sua efficacia: così come all’inizio dell’opera
Verdi aveva introdotto gradualmente il tutti orchestrale, affermandolo
solo nelle ultime battute del terzetto e nella scena “pubblica” seguen-
te, allo stesso modo al termine dell’opera egli conduce l’ultima gran-
de transizione tra pubblico e privato, liquidando progressivamente la
sonorità della piena orchestra (Tavola VI)37. L’ultimo sfogo orchestrale,
l’ultimo violento tutti, è quello che chiude la scena tra Amneris e i sa-
cerdoti; il Finale comincia riprendendone, come un’eco lontana, alcuni

37
Si osservi anche la corrispondenza simmetrica tra libretto e strumentazione: nel reci-
tativo all’inizio del primo atto il trapasso si realizza nell’istante in cui Radamès pensa ad Aida
(«E a te, mia dolce Aida», archi); nel Finale del quarto atto il pensiero di Aida («Non rivedrò
più Aida») coincide con l’ultimo accordo, il congedo, degli ottoni; poi Radamès si chiede
«Aida, ove sei tu?» e gli rispondono gli archi soli, proprio come nel primo atto. Sembra quasi
che, libera dal peso degli ottoni, la sezione degli archi voglia dire a Radamès che la fanciulla
è anch’essa nel sotterraneo. Tra l’altro i due accordi degli archi, quello del primo e quello del
quarto atto (p. 8 e p. 415), sono entrambi in posizione di quarta e sesta.
40 BIETTI

Tavola VI. Aida, atto IV, Finale: «Non rivedrò più Aida», contrasto
archi-ottoni.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 41

elementi tematici negli archi, e facendo delicatamente svanire gli ottoni38.


Bisogna sottolineare la particolarità, l’unicità di questa soluzione, che
dimostra l’importanza della concezione strumentale del compositore e la
specificità della drammaturgia orchestrale del titolo: Aida è l’unica opera
verdiana nella quale gli ottoni restano esclusi dall’intero Finale. L’unica ec-
cezione, molto parziale, è costituita dalle ultime undici battute della Forza
del destino, dopo la morte di Leonora; tutte le altre opere di Verdi finiscono
con la piena orchestra, anche quando la dinamica è un pianissimo come in
Otello.

V. Strumentazione cangiante, strumentazione progressiva

Accanto alla resa strumentale della dialettica pubblico-privato, si pos-


sono evidenziare altri aspetti della drammaturgia orchestrale di Aida. Uno
dei più caratteristici è il fatto che quando Verdi decide di riutilizzare un
materiale musicale già ascoltato in precedenza in genere ne modifica, spes-
so radicalmente, la strumentazione.
Il modo più semplice per mostrare questo procedimento, che si ritro-
va in molti istanti dell’opera, è quello di concentrarci sui temi ricorrenti, i
famosi “motivi conduttori” dell’Aida. Vediamo per esempio le ricorrenze
del “tema di Aida”, quello con cui si apre l’intera opera39:

– nel Preludio, il tema è affidato ai soli violini con sordina;


– all’ingresso di Aida nel primo atto (p. 24), tema affidato al clarinetto
solo, e accompagnamento in tremolo di violini e viole (a cui si aggiunge poi
il fagotto);
– durante la Romanza di Aida «Ritorna vincitor!» Verdi ripropone la
medesima strumentazione (p. 68)40;
– nel duetto Aida-Amneris del secondo atto il tema è utilizzato due vol-
te: la prima è affidato al fagotto solista raddoppiato da viole e violoncelli con

38
Il significato di questo gesto orchestrale è evidente: solo qui, dopo aver definitiva-
mente trionfato, il potere allenta la sua morsa (e infatti resta fisicamente separato, sulla scena).
Forse è proprio per questo, per il suo svolgersi in una sfera ormai al di là dei conflitti, lontana
dal clamore delle armi, delle cerimonie, della folla, che l’effetto incantatorio, la sublimazione
del Finale risulta come uno dei passaggi più toccanti dell’opera.
39
Mi limito a riportare di volta in volta la prima apparizione del tema, tralasciando
l’elaborazione che comunque costituisce un ulteriore livello di differenziazione strumentale.
40
In realtà c’è un’interessante differenza: nella Romanza il tema è affidato al clarinetto in
Si bemolle, mentre durante il terzetto Verdi lo aveva riservato al clarinetto in Do. Gran parte
delle esecuzioni odierne, in cui viene utilizzato solo il clarinetto in Si bemolle, cancellano
la leggera, ma innegabile differenza timbrica tra i due strumenti, che doveva evidentemente
avere per il compositore un significato ben preciso. In effetti l’uso del clarinetto in Do nelle
42 BIETTI

accompagnamento pizzicato degli altri archi (p. 120); la seconda («Amore,


amore! Gaudio… tormento…», p. 123, C) il tema è cantato da Aida, e subito
raddoppiato dal flauto; accompagnamento ostinato in terzine dei violoncelli,
singoli pizzicati delle viole e delicato contrappunto dei clarinetti;
– all’inizio del terzo atto, infine (p. 264), il tema è affidato ai tre flauti
nel registro medio-grave, con un accompagnamento uniforme in semicro-
me delle viole sottovoce (un presagio dei «cupi vortici del Nilo», si direbbe)
e una nota tenuta, acutissima, nei violini (che raccorda questo passo con la
precedente introduzione “d’atmosfera”).

Come si vede, le configurazioni orchestrali del tema cambiano a ogni


nuova apparizione; l’unica eccezione è rappresentata dalla Romanza del
primo atto, in cui la strumentazione è identica a quella del primo ingresso
di Aida. Scelta comprensibile, visto che si tratta dell’unico caso in cui il
tema ha funzione di reminiscenza: l’identità strumentale è quindi essenzia-
le, soprattutto nel contesto di un’opera in cui l’orchestrazione dei temi è
continuamente mutevole41.
Esaminando il percorso strumentale degli altri “temi conduttori” – il
tema d’amore di Amneris, già citato, il tema della gelosia della stessa Am-
neris, perfino il tema dei sacerdoti – scopriamo infatti la stessa instabilità
timbrica, la stessa idea di una strumentazione continuamente cangiante.
Difficile dare un’interpretazione univoca, dal punto di vista dramma-
turgico, di questa particolarità: probabilmente Verdi intende mostrarci il
vortice dei sentimenti, il fatto che gli stati d’animo sono in continua tra-
sformazione42. Comunque sia, essa rappresenta un altro lato di quella ri-

opere di Verdi meriterebbe uno studio approfondito: in Rigoletto Verdi lo utilizza in brani che
contengono un gran numero di alterazioni in chiave (per esempio «La donna è mobile», in
Si Maggiore, o il quartetto, che oscilla tra le tonalità di Mi maggiore e Re bemolle maggiore).
Nella Traviata, il clarinetto in Do è prescritto per l’intero primo atto (esclusa la cabaletta
conclusiva di Violetta), che passa attraverso tonalità come Mi maggiore, La maggiore o La
bemolle maggiore. Perché Verdi, in questi e in molti altri istanti delle sue opere, non si preoc-
cupò di rendere più agevole l’esecuzione prevedendo l’uso di uno strumento traspositore che
almeno in teoria sarebbe stato più appropriato?
41
Anche la ripresa di «Numi, pietà» al termine del duetto Aida-Amneris del secondo
atto – un altro effetto di reminiscenza, in cui l’identità strumentale, la citazione letterale, è
fondamentale (p. 143) – è orchestrata in modo praticamente uguale alla prima apparizione,
durante la Romanza di Aida del primo atto (ci sono alcuni scambi di parti, e un paio di tremoli
in più).
42
Questa interpretazione sembra scontrarsi con il fatto che anche il tema dei sacerdo-
ti – il tema del potere, immutabile e in un certo senso “disumano” – viene continuamente
trasformato dal punto di vista strumentale; si potrebbe però sostenere che nella nostra perce-
zione esso appare molto più simile a se stesso rispetto agli altri temi ricorrenti. Forse perché
è un tema contrappuntistico, la sua sostanza consiste nella linearità più che nell’armonia o nel
colore.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 43

cerca della gradualità del processo drammatico, della continua transizione


e trasformazione che è al cuore della concezione orchestrale di Aida (e rap-
presenta anche un indizio evidente del dialogo che il compositore intratte-
neva con la tradizione musicale europea: con Beethoven, con Berlioz, con
Liszt, con Meyerbeer, senza voler nominare Wagner).

Alcuni degli effetti strumentali e drammatici più trascinanti dell’opera


dipendono proprio dall’idea di utilizzare la strumentazione cangiante in
modo graduale, progressivo: uno stesso tema che riappare in successione
due, tre o più volte, arricchendosi ogni volta di nuovi strumenti dell’orche-
stra fino a sfociare nel tutti43. L’inno del primo atto «Su del cor prorompa
il grido», per esempio, viene annunciato dal Re e da Ramfis con l’accompa-
gnamento dei soli archi (p. 46, R). Con il primo intervento del coro («Su!
del Nilo», p. 48, S) Verdi aggiunge legni (senza flauti!), corni e timpani; l’in-
tervento a parte di Aida («Per chi piango», p. 50) e la successiva consegna
della bandiera da parte di Amneris vedono entrare i flauti e il resto degli
ottoni, ma pianissimo (e inizialmente senza gli archi); è solo con il secondo
ingresso del coro, la terza apparizione del tema (p. 53, T), che sentiamo
l’intera orchestra, finalmente fortissimo.
Allo stesso modo, il Finale secondo sfrutta la strumentazione progres-
siva per realizzare un effetto di cumulazione, di irresistibile slancio trion-
fale: basta osservare le due apparizioni del grande concertato «Qual speme
omai più restami?» (pp. 244 e 250). La seconda volta Verdi aggiunge trom-
be, tromboni, piatti, gran cassa e la banda (e, nelle ultime battute, anche
le trombe egiziane), realizzando quello che, dal punto di vista puramente
orchestrale, è il momento culminante dell’opera, dove vengono utilizzate
tutte le risorse timbriche a disposizione.
L’idea della “strumentazione progressiva” non è certo esclusiva di
Aida, se ne trovano esempi nelle opere precedenti di Verdi e di molti suoi
predecessori (oltre che, naturalmente, in un gran numero di composizioni
sinfoniche). Ma in quest’opera Verdi la utilizza con una continuità che non
ha, probabilmente, confronti nella sua carriera, anche perché è proprio at-
traverso questo tipo di pensiero strumentale che il compositore costruisce
l’accumulo di tensione che rende indimenticabili alcuni brani solistici. Nel
duetto Aida-Amneris del secondo atto, per esempio, l’orchestra segue il
confronto tra le due donne con una precisione eccezionale; per dimostrarlo

43
C’è comunque una notevole eccezione: la scena del giudizio nel quarto atto (p. 389,
M), nella quale Verdi ripropone per tre volte gli stessi materiali musicali, con la medesima
strumentazione (anche se ogni volta un semitono più in alto). Una scelta destinata a sottoli-
neare l’imperturbabilità del rito e l’immutabilità del potere, evidentemente. (Un esame delle
caratteristiche ricorrenti nelle “scene rituali” verdiane, da Giovanna D’Arco a Falstaff, si trova
in NOSKE, The Signifier and the Signified, pp. 241-276.)
44 BIETTI

basta elencare la successione di punti culminanti, di esplosioni orchestrali


che Verdi realizza, una dopo l’altra, per sottolineare gli snodi drammatici
cruciali. Si possono evidenziare quattro “tappe” drammatiche in successio-
ne (Tavole VII-X):

– la reazione di Aida alla falsa notizia della morte di Radamès («Che


mai dicesti! Misera»: p. 127, I) viene sottolineata da un improvviso forte or-
chestrale in cui però non suonano trombe, tromboni, cimbasso e timpani;
– Amneris comincia a scoprire la verità, e prorompe («Trema! In cor ti
lessi…», p. 128) in un secondo forte nel quale Verdi aggiunge all’orchestra
cimbasso e timpani;
– Aida comprende che Radamès è vivo, ed esclama (con esaltazione, in
ginocchio) «Vive! Ah grazie, o Numi!»: il compositore scrive qui un vero e
proprio tutti orchestrale, fortissimo, completo di trombe e tromboni (su un
classico accordo “verdiano” di quarta e sesta: p. 130, J);
– ultima tappa, il momento in cui Aida sta per rispondere alla rivale,
ma si reprime cadendo ai piedi d’Amneris («Ah! Che dissi mai?», p. 132):
nuovo tutti, sempre fortissimo, ma su un accordo dissonante, quindi an-
cora più teso.

La gradazione drammatica, la trasformazione nello stato d’animo delle


due protagoniste, viene perfettamente sottolineata e rafforzata dalla stru-
mentazione, dal progressivo arricchirsi dell’organico orchestrale. E biso-
gna sottolineare un’ulteriore raffinatezza drammaturgica, la differenza nel
tipo di accordi scelti da Verdi per i due tutti, dapprima un accordo conso-
nante “aperto”, poi un accordo dissonante, quindi ancora più sospeso e
carico di tensione. Evidentemente il sentimento al quale Verdi conferisce il
massimo peso drammatico è la lacerazione interiore di Aida, l’impossibilità
di proferire «i sacri nomi di padre… d’amante», come la stessa fanciulla ci
ha rivelato nella Romanza del primo atto. E i due tutti orchestrali successivi
accennano proprio all’amante e al padre, determinano due violenti culmini
emozionali nei quali Aida viene dapprima costretta a rivelare il suo amore
per Radamès ma riesce poi, con uno sforzo disperato, a tenere celato il fatto
di essere figlia del re etiope (una tensione che naturalmente verrà sciolta alla
fine del terzo atto).
Possiamo esaminare un esempio anche più complesso della dram-
maturgia orchestrale verdiana e dell’uso della strumentazione progres-
siva in un altro duetto, quello tra Aida e Amonasro al centro del ter-
zo atto che viene da sempre considerato uno dei vertici dell’opera. In
questo brano l’accrescimento graduale dell’organico non è legato alla
ripetizione, alla riapparizione di materiali musicali già ascoltati con una
diversa configurazione orchestrale: pur sottilmente collegati tra loro, i
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 45

Tavola VII. Aida, atto II, Duetto Aida-Amneris, strumentazione progressiva:


1) «Che mai dicesti! Misera!».
46 BIETTI

Tavola VIII. Aida, atto II, Duetto Aida-Amneris, strumentazione progressi-


va: 2) «Trema! In cor ti lessi…».
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 47

Tavola IX. Aida, atto II, Duetto Aida-Amneris, strumentazione progressiva:


3) «Vive! Ah, grazie, o Numi!».
48 BIETTI

Tavola X. Aida, atto II, Duetto Aida-Amneris, strumentazione progressiva: 4)


«Ah! Che dissi mai? Pietà!».
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 49

materiali evolvono in una sorta di flusso drammatico continuo, inin-


terrotto. E di tale flusso l’orchestra è un elemento centrale, davvero
essenziale.
Il duetto comincia con un breve recitativo tra padre e figlia, che Verdi
fa accompagnare dai soli archi: una strumentazione convenzionale, che vie-
ne però utilizzata come punto di partenza per uno straordinario processo
di accumulo orchestrale, man mano che i due personaggi dialogano e si
scambiano le frasi vocali.
Il seguente schema esemplificativo evidenzia la gradualità delle va-
rie fasi orchestrali in cui è organizzata la prima parte del duetto (pp.
274-282, I-J)44:

– Amonasro: «Rivedrai le foreste imbalsamate»; un oboe, un clarinet-


to, un fagotto e archi
– Aida: «Rivedrò le foreste imbalsamate»; ottavino, flauti e archi
– Amonasro: «Sposa felice a lui»; clarinetti, un fagotto, un corno e
archi
– Aida: «Un giorno solo»; un flauto, clarinetti, un fagotto, corni e archi
– Amonasro: «Pur rammenti»; due corni soli, clarinetti, un fagotto e
archi, poi flauti e oboi
– Aida: «Ah! Ben rammento»; oboe, clarinetti, un fagotto e archi; poi,
a «Deh, fate o Numi», ottavino, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni e archi
– Amonasro: «In armi ora si desta»; oboi, clarinetti, fagotti, corni, tim-
pani e archi

Durante le frasi di Amonasro Verdi aggiunge, uno dopo l’altro, gli stru-
menti più sonori: dapprima le ance, poi il corno – del quale spicca il timbro
solistico nella terza frase, «Pur rammenti» –, infine i timpani. Aida risponde
dapprima rendendo più luminoso, acuto il colore orchestrale (ottavino e
flauti), e quindi sintetizzando, armonizzando progressivamente i timbri in-
trodotti da Amonasro e inserendoli nel tessuto orchestrale (si noti l’istante
di espansione orchestrale cantabile sulla frase «Deh, fate o Numi»).
Il senso di questa progressione diventa chiarissimo se esaminiamo anche
sommariamente il contenuto del testo: Amonasro comincia ricordando alla
figlia la patria lontana, poi le fa balenare l’immagine del matrimonio felice con
Radamès, quindi comincia a rammentarle i soprusi subiti dagli egizi (ossia, a
far scivolare lentamente il discorso dalla sfera privata a quella pubblica: non

44
Inutile dire che non tutti gli strumenti sono utilizzati in modo uniforme in ogni sin-
gola “tappa”; ma quello che mi interessa evidenziare qui è il graduale processo di accumulo
orchestrale, l’ingresso progressivo di nuovi strumenti uno dopo l’altro, e non analizzare l’ar-
ticolazione interna di tale tessuto.
50 BIETTI

a caso in questo istante Verdi prescrive un solo di ottoni); infine, introduce


la nota più propriamente marziale («In armi ora si desta»), sottolineata dal
rullo di timpani e dal cambiamento di tempo, poco più animato. La strumen-
tazione segue ogni piega del testo, comincia da una nota dolce e nostalgica,
poi si vela di un accento più pungente e doloroso, infine diventa aggressiva
e risoluta45. Verdi sta insomma dando vita, attraverso l’orchestra, alla sottile
opera di manipolazione psicologica di Amonasro nei confronti della figlia.
Ma il momento più raffinato del processo è forse quello che segue: una
sospensione, un attimo di recitativo sottovoce accompagnato nuovamente,
con radi tocchi sparsi, dai soli archi (p. 282). Un gesto “beethoveniano” per
eccellenza, la sospensione drammatica prima del momento culminante, che
Verdi usa in maniera indimenticabile46. Il tutti, infatti – punto d’arrivo del
processo orchestrale, della “strumentazione progressiva” –, giunge immedia-
tamente dopo, nell’istante in cui Aida si accorge di ciò che il padre le sta chie-
dendo. Ed è solo l’inizio: il rifiuto di Aida scatena le invettive di Amonasro
(con impeto selvaggio), dal contenuto ancora più marziale: le «egizie coorti»,
le «stragi, le morti», i «flutti di sangue». Verdi scrive qui una delle più po-
tenti esplosioni orchestrali dell’intera opera (p. 285, K), che sfocia nel gesto
di ripudio («Non sei mia figlia… Dei Faraoni tu sei la schiava!») destinato
a rendere insopportabile il senso di colpa, e a vincere la resistenza di Aida.
Questo duetto realizza quindi un ennesimo trapasso dal privato al
pubblico47, e lo fa con una forza espressiva e una coerenza orchestrale che
hanno pochi paragoni, e non solo in Aida. La strumentazione progressi-
va si rivela per Verdi un formidabile mezzo drammaturgico, in grado di
dare risalto agli aspetti più nascosti del testo e soprattutto di articolare il
passaggio da uno stato d’animo all’altro con una precisione e un’efficacia
drammatica straordinarie.

45
Naturalmente, bisognerebbe integrare questa rapida analisi con gli altri elementi del
discorso musicale: l’alternanza di tonalità maggiori e minori, per esempio.
46
Anche in questo caso, la sospensione non è solo orchestrale: è ritmica, melodica, armo-
nica. Amonasro, nel corso dell’opera, ci appare come un grande maestro della sospensione, un
aspetto che si concilia appieno con le sue capacità manipolatorie: basta pensare all’improvviso
«Ma tu, Re, tu signore possente» nel Finale secondo (p. 216, R), cantato con accento suppliche-
vole e accompagnato, d’un tratto, dai soli archi in totale contrasto con il grande tutti precedente.
Difficile pensare che i due episodi non siano collegati tra loro dal punto di vista drammatico. Per
inciso, l’uso degli archi soli, nei due istanti qui menzionati e in altri di cui ho parlato nel corso
del saggio (il recitativo iniziale di Radamès e il “congedo” degli ottoni nel Finale quarto, per
esempio), dimostra che l’analisi della drammaturgia orchestrale dell’Aida potrebbe ampliarsi in
modo considerevole, prendendo in esame anche l’uso delle singole sezioni orchestrali.
47
Il duetto non termina con il cedimento di Aida; la parte cantabile che segue – total-
mente contrastante – è altrettanto, e forse anche più straordinaria. Ma qui entrano in gioco
elementi, musicali e drammaturgici, che mi porterebbero fuori dall’argomento principale del
saggio. Ne ho parlato brevemente più sopra, nota 19.
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 51

Si può ben dire che con Aida Verdi conquisti definitivamente una pro-
pria «arte della transizione», diversissima da quella wagneriana e anche per
questo tanto affascinante.

Postludio

La prima esecuzione di Aida alla Scala, l’8 febbraio 1872, fu un evento


fondamentale per la storia del teatro italiano, e in particolare per le orche-
stre di teatro: le caratteristiche della partitura rendevano infatti necessario
un livello di esecuzione orchestrale superiore rispetto alla media italiana
dell’epoca, e Verdi ne era perfettamente consapevole (tanto che si era bat-
tuto per modificare sia la composizione che la disposizione dell’orchestra
scaligera48; e sappiamo che, dopo la prima, il compositore si oppose a qua-
lunque rappresentazione dell’opera nei teatri che secondo lui non avevano
le caratteristiche adatte49). Questo livello verrà negli anni successivi impo-
sto dal compositore stesso «come modello standard a cui tutte le orchestre
dovranno tendere secondo le proprie possibilità»50.
I contemporanei non tardarono a cogliere la qualità orchestrale di
pagine quali il Preludio, l’inizio del terzo atto (l’evocazione delle rive del
Nilo), le numerose danze disseminate nel corso della partitura: l’artico-
lo citato nella precedente nota dimostra che Aida fu fondamentale nello
spingere i teatri italiani a migliorare la qualità dell’esecuzione orchestrale, e
metterla al passo con il resto d’Europa. Probabilmente in questo processo
di rinnovamento – che era già in atto da alcuni anni, ma al quale Aida diede
un impulso definitivo – si finì per esagerare un po’; o almeno, questo è ciò
che sembra pensare lo stesso Verdi, visto che una dozzina d’anni più tardi

48
Si veda ANTONIO ROSTAGNO, La Scala verso la moderna orchestra. Gli eventi e i mo-
tivi delle riforme da Merelli ad “Aida”, in «Studi verdiani», 16, pp. 157-215. Ricordo al let-
tore che questo numero di «Studi verdiani» era interamente dedicato a L’orchestra di teatro
in Italia nell’Ottocento, e resta un punto di riferimento essenziale. Sullo stesso argomento,
e sempre con particolare riferimento ad Aida, si vedano anche i seguenti saggi: GREGORY W.
HARWOOD, Verdi’s reform of the Italian opera orchestra, in «19th Century Music», X/2 (Fall
1986), pp. 108-134; LUKE JENSEN, The Emergence of the Modern Conductor in 19th Century
Italian Opera, in «Performance Practice Review», 4/1 (Spring 1991), pp. 34-63; Paradigma
“Aida”: Marianis Erbe, in MARTIN FISCHER-DIESKAU, Dirigieren im 19. Jahrhundert, Mainz,
Schott, 2016, pp. 282-333; ALESSANDRO DI PROFIO, Verdi, direttore d’orchestra. L’epistolario
come esposizione di una poetica, in Maestro! Dirigieren im 19. Jahrhundert, a cura di Ales-
sandro Di Profio e Arnold Jacobshagen, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2017, pp.
167-183.
49
BUDDEN, Le Opere di Verdi, vol. 3, p. 202.
50
ANTONIO ROSTAGNO, Aida e l’orchestra. Le prime esecuzioni, le partiture, le prassi
esecutive, in «Studi verdiani», 16, p. 267.
52 BIETTI

scriveva, in una lettera ad Arrivabene51, di aver «sentito dir molto bene» del
giovanissimo Puccini, e proseguiva:

Pare però che predomini in lui l’elemento sinfonico! niente di male. Soltanto
bisogna andar cauti in questo. L’opera è l’opera: la sinfonia è la sinfonia, e non
credo che in un’opera sia bello fare uno squarcio sinfonico, pel sol piacere
di far ballare l’orchestra. Dico per dire, senza nessuna importanza, senza la
certezza d’aver detto una cosa giusta, anzi colla certezza d’aver detto cosa
contraria alle tendenze moderne.

Verdi doveva considerare quasi ironico il fatto che le «tendenze mo-


derne», l’inserimento nelle opere di brani sinfonici «pel sol piacere di far
ballare l’orchestra» – ossia, senza una precisa ragione drammatica – si fos-
sero sviluppate anche grazie all’enorme, indiscussa autorevolezza di Aida:
proprio dell’opera in cui la drammaturgia orchestrale, la fusione tra il
dramma e il pensiero strumentale, aveva raggiunto un livello di integra-
zione e di complessità senza precedenti. La “tinta” di Aida, questa qualità
tanto misteriosa quanto innegabile e suggestiva, è ottenuta in gran parte
grazie alla coerenza della scrittura – del “colore” – orchestrale: al potere
evocativo dei timbri strumentali (degli ottoni, degli archi, del clarinetto, del
flauto), all’uso sempre funzionale, mai puramente d’effetto, del tutti, alla
gradualità e alla capacità di dosare l’accumulo della tensione drammatica
ottenute attraverso la strumentazione progressiva.
La realizzazione musicale del conflitto tra pubblico e privato in Aida
è stata a volte considerata un po’ schematica. Massimo Mila, per esempio,
scriveva già nel 195652 del «singolare paradosso di quest’opera, troppo amata
e troppo disprezzata per la sua facile esteriorità spettacolosa, e ricca poi di
particolari di una tale finezza, che solo a un attento esame della partitura si
rivelano pienamente». Il risultato di un simile dualismo, in fondo considera-
to irrisolto, era che «dal rango altissimo che le assegnava naturalmente la sua
situazione cronologica, di massima opera verdiana prima di Otello e Falstaff,
l’opera è a poco a poco scaduta», e che con il passare degli anni Aida comin-
ciasse a soffrire un po’ a paragone di precedenti opere del compositore come
Un ballo in maschera o Don Carlos – nonostante il fatto che Verdi stesso, in
una lettera a Ferdinand Hiller, avesse affermato chiaramente che secondo lui
Aida aveva «più mordente» e «più teatralità» rispetto a Don Carlos53.
Non è interessante proporre gerarchie o preferenze tra le opere di Ver-
di. Mi limito a osservare che in Aida le ragioni private e intime vengono

51
Lettera del 10 giugno 1884, cit. in VERDI, Lettere 1835-1900, p. 432.
52
Ora in MASSIMO MILA, Verdi, Milano, Rizzoli, 2000, pp. 592-603.
53
BUDDEN, Le Opere di Verdi, vol. 3, p. 208. Il corsivo (teatralità) è di Verdi, che subito
dopo specifica: «non intendete Teatralità nel senso volgare…».
L’ORCHESTRAZIONE DI AIDA 53

letteralmente soffocate, schiacciate («La fatal pietra sovra me si chiuse…»)


dal peso del potere politico e religioso che si insinua continuamente all’in-
terno dei brani solistici, grazie soprattutto alla strumentazione. La gran-
diosità orchestrale di tanti momenti dell’opera quindi non è superficiale: è
drammatica. È teatrale. Proprio a proposito di Aida Verdi aveva scritto a
Ghislanzoni che «per il teatro è necessario qualche volta che poeti e com-
positori abbiano il talento di non fare né poesia né musica»54. Per il teatro,
ossia per le ragioni del dramma, esaltate in Aida dalla forza impressionante
che ci rivela la sua drammaturgia orchestrale.

54
VERDI, Lettere 1835-1900, p. 320.

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