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LORENZO BIANCONI
IL SEICENTO
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STORIA DELLA MUSICA
©
L'INIZIO DEL SECOLO
D ......... nel Selceato • Giovan BaUuta Marino e la poesia per mllllca • Le m
a voee sola• Claodlo Mo-.tevenU, lino al 1620 • La "crill" del Seicento• "Coneerto•
• Claudio Monteftl'dl, dppo U 1620
PROB~MI DBL S'.EICENTO MUSICALE
Classiftcazione degli still • Scienza e teoria musicale • Teoria e prassi • Pubblehi
della milSlca • Editoria e collezionismo • Condizione sodale del musldsta • Mlllieà
strumentale e musica da ballo
LA MUSICA DA CHIESA
La mualea nella lftarlia cattolea • Muslebe devodonall cattollche • La mll9ica luteràllll:
Heharleb Selliltz • Musica sacra di Stato: Francia e lngbllterra
IL TEATRO D'OPERA
Storlòpafla del teatro d'open • L'open prima del 1637 • I teatri d'open di Venezia
• La dlffulOlle dell'opera In ltallll • Convenzioni formali e drammabQ1idle. D lamento
• L'opera nel plelli tedeseld: Vienila e AmbllflO • La "tragédle lyrlqae": Jean-..,...
Lally • Muslebe teatraU In lllghllterra e In Spagna
ISBN 88-7063-099-4
LORENZO BIANCONI
IL SEICENTO
INDICE
IV • IL TEATRO D'OPERA
LETTURE
34 7 BIBLIOGRAFIA
359 INDICE DEI NOMI
PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE
tale bensì il complesso dei problemi stilistici del secolo, quelli vocali
(proprio per l'alterità che si insinua tra struttura verbale e strut-
tura musicale) in primis. Resta da constatare la rilevanza tutto som-
mato modesta (anche statisticamente) di una produzione strumen-
tale che - contrariamente all'uso abbondante che ne fanno oggi
i cultori della musica "barocca" - nel Seicento è ancora nettamente
minoritaria.
Infine non si meravigli troppo il lettore se, contro ogni aspet-
tativa e desiderio, troverà scritta la parola "barocco" soltanto in
questa pagina del libro. Vale per essa quel che del termine "classi-
cismo" saggiamente dice Giorgio Pestelli nella prefazione al set-
timo volume di questa serie. E vale a maggior ragione perché, se
il termine "classicismo" ha quantomeno una cittadinanza di lunga
data nella letteratura musicale, "l:,_~occ9" è invece un concetto sti-
listico e storiografico che s'è sedimentato intorno all'architettura
romana di metà Seicento e alle sue derivazioni, e soltanto a quella
e a queste si applica con proprietà: è dubl:Jio che la sua estensione
a tutta l'arte del periodo che va dal 1600 al 1750, o addirittura
la sua dilatazione alla storia della musica, ancorché legittima, sia
criticamente fruttuosa. Può forse darsi che lo sia ove si vogliano
contrapporre, in un grande disegno complessivo, i caratteri domi-
nanti dell'età "barocca" e quelli del rinascimento o del gotico o
di uno dei tanti classicismi. Non lo è affatto se invece si tratta di
cogliere, all'interno di un secolo, il disegno contrastato e frasta-
gliato di tante correnti e tradizioni e fenomeni diversi e magari
antitetici che, pacificamente o conflittualmente, coesistono. La
"forma del tempo" (come spiega l'omonimo, aureo libretto di
George Kubler, trad. it. Einaudi, Torino 1976) non è quella, ret-
tilinea e uniforme e scorrevole, che le categorie storiografiche e
stilistiche come "barocco" sottintendono. La "storia delle cose"
prodotte dall'uomo - e innanzitutto "cose", ossia manufatti, sono
le opere d'arte musicali - è una storia multiforme e discontinua,
come multiforme e discontinua è la storia dell'uso che ne è stato
fatto. Se delle vicende seicentesche di questa storia il presente libro
riuscirà a dare alcuni non insignificanti ragguagli, esso avrà rag-
giunto lo scopo massimo che poteva ragionevolmente prefiggersi.
Suggerimenti preziosi e materiali di ogni specie - dai documenti
di primissima mano al semplice procacciamento di fotocopie - mi
hanno dato molti amici e colleghi. Ringrazio in particolare Paolo
XVI NOTA DELL'AUTORE
I nove anni trascorsi dalla prima sortita del libro hanno ancora
di molto rinsaldato il vincolo della mia gratitudine verso i suoi primi
dedicatarii: mia moglie Giuseppina e il nostro primogenito Carlo.
* La più antica edizione a noi pervenuta (non sempre eguale alla prima effettiva!).
* * Le ristampe successive a •
--.
Il totale dei libri di madrigali apparsi nel primo decennio del nuovo
secolo supera di gran lunga quello di ciascuno dei decenni ante-
riori al boom del 1581-90; il calo delle prime edizioni, dal 1591
al 1620, non è certo scosceso; la somma di edizioni nuove e ristampe
nel primo decennio del secolo è pari a quella del decennio prece-
dente (vi figurano beninteso riedizioni frequenti dei madrigalisti
più famosi di prima del 1600, come Luca Marenzio). Il vero "crollo"
del genere madrigalesco avviene invece dopo il 1621, né a quel
punto lo possono mascherare i nuovi libri di madrigali a varie voci
concertati con il basso continuo e con o senza strumenti concer-
tanti, o tantomeno le poche decine (rispettivamente, a partire dal
1602: due, cinque, sei, quattro) di libri di musiche per voce sola.
Una curva ed.itori!!le. ~!l!Ùoga, culminante nel 1591-1600 e pre~i-
pitante solo dopo il 1621, traccia la produzione delle forme subal-
terne del madrigale, composte su testi strofici (canzonette, villa-
nelle). Fuor di dul5bio, il madrigale polifonico conclude il proprio
ciclo vitale ben addentro il secolo nuovo, ~d. esso continua a deli-
neare massicciamente l'orizzonte culturale del musicista (sia egli
compositore o teorico o cantore o ascoltatore) del primo Seicento.
Converrà dunque far iniziare da questo tenace, macroscopico ele-
IL MADRIGALE NEL SEICENTO 5
giore a quella del Marino. Che cosa, nella lirica mariniana, atti-
rava tanto i compositori?
Basti confrontare qui, a titolo d'esempio, due madrigali, uno
del Tasso (musicato da Luca Marenzio e da Sigismondo d'India)
e l'altro del Marino (musicato tra gli altri dallo stesso d'India, da
Pomponio Nenna e da Antonio Il Verso), composti ambedue su
un unico soggetto: la donna nana.
'TASSO MARINO
talvolta su testi brevissimi, 3-4 versi per strofa. Nel secondo libro,
tutto a due voci (1615), essi contrastano con le lunghissime "ottave
passeggiate" del Marino e del Tasso. Nel terzo libro, a voce sola
(1618), predomina lo stile recitativo: oltre i madrigali (uno dei testi
è ricavato da un madrigale cromatico di Gesualdo, che d'India imitò
anche nel suo terzo libro di madrigali polifonici), vi figurano sonetti
del Petrarca e del Marino, ottave della Gerusalemme liberata, una
«lettera amorosa» del Marino (un monologo lamentoso nella tra-
dizione delle "epistole eroiche" di Ovidio, spesso imitate nel Sei-
cento; cfr. § 23), uno stralcio dell'Amaranta di Giovanni Villifran-
chi, un brano in eco («Ahi, chi fia che consoli il dolor mio? Il io»).
Ilquarto libro (1621) dà l'indicazione esplicita degli autori dei testi:
forse d'India imita qui l'esempio di cantori-compositori-letterati
come Francesco Rasi o come Bartolomeo Barbarino, che nei loro
libri di musiche monodiche usavano segnalare i nomi dei poeti, tra
i quali figurano occasionalmente loro stessi. Infatti anche nel quarto
libro dell'India due "lamenti 1' recitativi (di Orfeo e di Apollo) sono
frutti dichiarati della musa poetica del musicista. Tutto il libro è
impegnativo nella scelta dei testi: l'invocazione iniziale è un sonetto
del Bembo («Piansi e cantai lo strazio e l'aspra guerra»), e poi ven-
gono un altro sonetto, petrarchesco, le tre ottave in stile recita-
tivo del battesimo l morte di Clorinda nella Gerusalemme, un «canto
di rosignolo» tratto da una favola pastorale di Francesco Braccio-
lini, un dialogo a due voci del Marino e, dello stesso poeta predi-
letto, una versione più completa e intieramente rimusicata della
«lettera amorosa» già utilizzata nel terzo libro. Disseminate tra
l'uno e l'altro brano recitativo del libro, le arie strofiche ne alle-
viano il tono letterariamente sostenuto.
Il quinto libro (1623) comprende altri tre lamenti su testi del-
l'autore (di Giasone, di Didone, di Olimpia). Accanto ad essi figu-
rano due brani di musica teatrale eseguiti tre anni prima alla corte
torinese: l'aria della Virtù Eroica «Io che del ciel i sempiterni campi»,
quattr{) quartine di endecasillabi su basso strofico cantate ne Le
accoglienze, balletto fatto il 30 gennaio 1620 per l'arrivo di Crf-
stina di Francia sposa dell'erede al trono Vittorio Amedeo (vedine
la descrizione nella Lettura n. 2), e il madrigale «Questo dardo, que-
st'arco» cantato dalla dea Diana in una festa di balli e apparizioni
allegoriche fatta, sempre in onore di Madama, nello stesso inverno.
L'uso di inserire nelle raccolte di musiche da camera a voce sola
20 L' IN !ZIO DEL SECOLO
lirica del Marino: per la prima volta nelsesto libro (1614) compare
il Marino, e in maniera peraltro alquanto anomala, giacché Monte-
verdi musica quattro suoi sonetti e una canzone, e trascura invece
affatto gli epigrammatici madrigali tanto favoriti da altri·. Anzi, i
. =
sonetti mariniani vanno di concerto con due sonetti del Petrarca:
l'impiego di forme poetiche.complesse ed artificiose come il soneùo,
ormai da gran tempo disertato dai musicisti (ve n'è in tutto e per
tutto uno solo nei primi cinque libri di Monteverdi stesso), è però il
segnale non già d'una restaurazione letteraria e stilistica, bensl di un
interesse. nuovo per l'articolazione della forma musicale in dimen-
sioni vaste. All'epigrammaticità musicale di Gesualdo e soci, tutta
fondata sulla traslitterazione musicale di un "concetto" chiuso nel
giro di poche immagini poetiche "aculeate", i sonetti pi*archeschi
e mariniani del sesto libro di Monteverdi sostituiscono superfici
sonore distese, grandi contrapposizioni tra episodi a voci piene ed
episodi solistici (dove talvolta le voci sole individuano i personaggi
di un dialogo amoroso). Anziché la forma musicale concisa innestata
sul concetto poetico, v'è qui una concezione della forma musicale
ottenuta per distribuzione preordinata di sezioni, di frasi, di periodi
che si corrispondono e contrappongono l'un l'altro secondo un'arti-
colazione e una disposizione ampie e sintetiche.
In « Ohimè il bel viso, ohimè 'l soave sguardo» (Petrarca), i due
soprani si limitano ad esclamare per 16 volte il loro «ohimè», mentre
le tre altre voci procedono gradatamente nell'enunciazione dei primi
versi del sonetto (anch'essi ampiamente conditi di «ohimè»); sin-
golare il costrutto musicale dei versi 5 e 6, dove, simultaneamente
alle lunghe, languide esclamazioni dei soprani, il tenore, il basso
e l'alto vanno sillabando soffertamente il resto del testo:
a 5 voci
«T'amo, mia vita» la mia vita sia!
26 L'INIZIO DEL SECOLO
6• "CONCERTO"
alla quale possano nobili ballarini far nobil danza, ché cosi nobil chiusa
mi par convenire a cosi nobile vista.
La parte di Licori, per essere molto varia, non doverà cadere in mano
di donna che or non si facci omo et or donna con vivi gesti e separate
passioni, perché, la imitazione di tal finta pazzia dovendo aver la consi-
derazione solo che nel presente, e non nel passato e nel futuro (per con-
seguenza la imitazione dovendo aver il suo appoggiamento sopra alla parola
e non sopra al senso della clausola), quando dunque parlerà di guerra,
bisognerà imitar di guerra, quando di pace, pace, quando di morte, morte,
e va seguitando; e perché le transformazioni si faranno in brevissimo spa-
zio e le imitazioni, chi dunque averà da dire tal principalissima parte,
che move al riso et alla compassione, sarà necessario che tal donna lasci
da parte ogni altra imitazione che la presentanea che gli somministrerà
la parola che averà da dire.
dem Herrn ein neues Lied, macht es gut auf Saitenspiel mit Schalle»
(«cantate a1 Signore un cantico nuovo; fatelo risuonare possente
ai vostri archi»), nell'ultima delle Symphoniae sacrae del 1647. Al
terrore e alla commozione dei due cavalieri tasseschi corrisponde
l'esaltazione formidabile, la biblica terribilità del salmo tedesco.
Intorno al Combattimento Monteverdi organizzò la prima metà
dell'ottavo libro, i Madrigali guerrieri: parallelamente sono disposti
i Madrigali amorosi. Nella tabella di pagina 45 le due serie sono
appaiate. Il giuoco delle corrispondenze speculari è intrecciato: all'e-
sordio delle Rime del Marino («Altri canti di Marte lo canto
Amor») è contrapposto un sonetto d'esordio di significato omologo
ed opposto; duetti e terzetti si corrispondono (ma forme poetiche e
trattamento musicale sono assai eterogenei); brani in genere rappre-
sentativo, da camera e da corte, si affrontano. Alcuni testi com-
paiono tra i madrigali "guerrieri" solo per l'uso occasionale di imma-
gini belliche e del "genere concitato" (cosl la similitudine «guerra è
il mio stato» nel sonetto petrarchesco «Or che 'l ciel», rappresenta-
zione musicale invero concitata della sofferenza amorosa); talvolta
la metafora dell'Amore guerriero è presa allegramente in giro, come
nel terzetto di Giulio Strozzi, pieno di beffarde incitazioni marziali
e cavalleresche («vuol degli occhi attaccar il baluardo ... Sù presto ...
Tutti a cavallo», oppure «a gambe, a salvo, chi si può salvare»),
oppure offre il pretesto al virtuosismo corale e alla ricerca di effetti
fonetici peculiari (come, in «Ardo, ardo, avvampo», la ripetizione
ciangottante e rapida del grido «acqua, acqua, acqua, ... »).
In generale, in ambedue le metà del libro, è assoluta la libertà
(il libero arbitrio, si vorrebbe dire) con cui Monteverdi ricorre a
tutte le risorse formali e inventive a sua disposizione, la disatten-
zione per l'eloquio «temperato», la contrapposizione sconcertante
e commovente del genere «molle» al «concitato», perfino il loro
impiego simultaneo (come in «Or che 'l ciel», là dove i due tenori
cantano in tono supplichevole il verso 6, «e chi mi sface sempre
m'è innanzi...», mentre gli altri urlano in quinte e ottave parallele
il verso 5, «veglio, penso, ardo, piango»). I legami di genere e stile
delle forme poetiche, vincolanti nel madrigale polifonico, sono sva-
lutati: un'arietta strofica di settenari e ottonari come «Non avea
Febo ancora», del Rinuccini, può anche diventare un'ideale aria
d'opera, un monologo che ignora del tutto la propria costituzione
strofica originaria (cfr. § 23).
MADRIGALI GUERRIERI MADRIGALI AMOROSI
«Altri canti d'Amor tenero arciero» « Altri canti di Marte e di sua schiera»
sonetto [6 voci e str.J sonetto; MARINo [6 voci e str.]
«Or che '! ciel e la terra e 'I vento tace» « Vago auge/letto che cantando vai»
sonetto; PETRARCA [6 voci e str .] sonetto; PETRARCA [6-7 voci e str.]
«Gira il nemico insidioso Amore» «Mentre vaga angioletta»
canzonetta; STROZZI [3 voci e b.c.] madrigale; GuARINI [2 voci e b.c.]
«Se vittorie sì belle» «Ardo, e scoprir, ahi lasso, io non ardisco»
madrigale; TESTI [2 voci e b.c.] ottave [2 voci e b.c.]
«Armato il cor d'adamantina fede» «O sia tranquillo il mar, o pien d'orgoglio»
madrigale [2 voci e b.c.] sonetto [2 voci e b.c.]
«Ogni amante è guerrier; nel suo gran regno» «Ninfa che scalza il piede e sciolta il crine»
elegia; RiNl.JCCINI (da Ovidio) [2, l, 3 voci e b.c.] canzonetta [1, 2, 3 voci e b.c.] Cì
,...
«Dolcissimo uscignolo >
e::
«Ardo, ardo, avvampo, mi struggo, accorrete» madrigale; GuARINI [5 voci, cantato alla francese] o
sonetto [8 voci e str.J o
{ «Chi vuol aver felice e lieto il core»
madrigale; GUARINI [5 voci, cantato alla francese] ~
o
Combattimento di Tancredi e Clorinda «Non avea Febo ancora» (Lamento della ninfa) z
>-l
ottave; T Asso [in genere rappresentativo] canzonetta; RrnuccINI [in genere rappresentativo] "'<
«Perché ten fuggi, o Fi//ide» "'
canzonetta [3 voci e b.c.] "o
«Non partir, ritrosetta» o
canzonetta [3 voci e b.c.] o
"Cl
« Sù, sù, pastore/li vezzosi» o
canzonetta [3 voci e b.c.] ;::
Introduzione al ballo e Ballo Ballo dell'ingrate
sonetti; RrnuccINI [in genere rappresentativo] balletto; RrnuccINI [in genere rappresentativo] °'o...
~
VI
46 L'INIZIO DEL SECOLO
stylus madrigalescus:
«stile italico per eccellenza, ilare, alacre, ripieno di grazia e soavità,
indulgente alle _çlirpinuzioni vocali, e rifuggente (quando non lo richieda
il testo) dalla lentezza», atto a rappresentare affetti amorosi e dolo,
rosi; esempi illustri: Lasso, Monteverdi, Marenzio, Gesualdo;
stylus melysmaticus (misurato):
«adattissimo ai versi e ai metri misurati», ai testi strofici, alle ariette
e villanelle, solistiche o polifoniche, cantate con dolce concordia, senza
concitazione né dissonanze artificiose; cita G. B. Ferrini della Spinetta
(noto oggidl tutt'al più come autore di musiche da tastiera);
stylus hyporchematicus (da feste e festini) o choraicus (da balletto):
il suo effetto è di «e~citare riell'anim·o letizia, tripudio, l~~civia, dis-
soluzione»; esempi ne sono da un lato le gagliarde, le sarabande, le
correnti, i passamezzi, le allemande (come ne scrisse il cavalier Johan-
nes Hieronymus Kapsberger, liutista pontificio), dall'altro le musiche
s~;lliche per balletti e festini;
stylus symphoniacus (strumentale d'assieme):
il suo carattere (esemplificato di nuovo sulle composizioni del Kaps-
berger) è determinato dalle combinazioni strumentali;
stylus dramaticus o recitativus (recitativo ~~itrale):
adatto, per sua natura, a rappresentare qualsivoglia affetto (o anche
il mutare immediato degli affetti, mediante il cambiamento brusco di
tonalità: il cosiddetto stylus metal;,olicus), come si vede nell'Euridice
di Caccini o nell'Arianna di Monteverdi o nel Sant'Alessio del Landi.
XVI-XVIl sec.
{:!~~:~za
amarezza
ira
XVI-XVII sec. { dttr;~:1:::a
enerezza
dolcezza
... altro è dire che una consonanza è più dolce d'un'altra, altro è dire
che essa è più piacevole. Tutti sanno che il miele è più dolce delle olive,
eppure molti preferirebbero mangiare olive, non miele. Cosl, tutti sanno
che la quinta è più dolce della quarta, questa più della terza maggiore,
questa a sua volta più della minore; eppure vi sono dei punti dove la terza
minore piace più della quinta, altri dove addirittura una dissonanza piace
più d'una consonanza.
10 • TEORIA E PRASSI
Ritmo e metro non sono gli unici settori della prassi composi-
tiva a restar "scoperti" nella teoria coeva. In generale, se - da un
lato - delle speculazioni e delle sperimentazioni dei grandi teorici
poco arriva ai compositori, dall'altro lato la teoria musicale seicen-
tesca poco si cura di aggiornare la propria precettistica composi-
tiva ai portati della moderna musica. Non è questione di ritardi
più o meno gravi: la scissione è di natura radicale. È sintomatico
della divergenza profonda di prospettiva che il Padre minimo Mer-
senne, nella sua strenua opera di conciliatore delle ragioni della
scienza moderna con quelle della teologia, riserbi 27 pagine alla
trattazione di tutte le dissonanze, ma ne dedichi ben 30 alla trat-
tazione del solo unisono: nell'unità, infatti, in ogni specie di unità
(che l'imperfezione umana, relegata nel mondo limitato e finito
della diversità e della varietà, del plurale e del molteplice, non può
mai raggiungere) si manifesta il principio divino di ogni cosa. Pari
pari, la polifonia (ossia la musica moderna) sembra a Mersenne un
pregevole ma dopotutto imperfetto rispecchiamento della musica
a una voce sola (ossia la musica vera e pura).
I compositori invece (ai quali poco importa dell'unisono) sono
ben consapevoli dello scarto tra teoria e prassi. Marco Scacchi, nel
Breve discorso sopra la musica moderna, parla di una «seconda pra-
tica» e nega però espressamente l'esistenza di una corrispondente
«seconda teorica». Infatti cambiano sl gli stili, ma la teoria della
composizione continua a rimanere unica, valida per la prima come
per la seconda «pratica», per lo stylus antiquus come per il moder-
nus: cambiano le applicazioni, non i principii.
Il fatto è che per il Seicento la teoria della composizione si
riduce, sostanzialmente, alla teoria del contrappunto vocale: in que-
sto, totale è la continuità con il Cinquecento, con i grandi com-
pendi teorico-pratici di Gioseffo Zarlino (Istituzioni armoniche,
Venezia, 1558; cfr. vol. IV, § 27), Lodovico Zacconi (Prattica di
musica, Venezia, 1592 e 1622), Pedro Cerone (El melopea y mae-
stro, Napoli, 1613), alacremente volgarizzati poi nei troppo nume-
rosi e scontati Specchi di musica, Arcani musicali, Primi albori musi-
cali, Regole del contrapunto e Regole di musica compilati per tutto
il secolo da modesti ecclesiastici ad uso di ancor più modesti musi-
TEORIA E PRASSI 65
dei cantanti e dei musicisti soggetto alla mutevolezza del gusto dal-
1' altro - si giocano nell'Italia del Seicento le sorti d' «una profes-
sione ch'è mera opinione, e di cui non si dà certezza alcuna ... ,
stante che questa prattica di musica con le diversità delle scale
anch'ella è diversa» («sempre quoad praxim, e non quoad scientiam»,
specifica significativamente Antimo Liberati, polifonista romano
di ascendenza palestriniana diretta, quando nel 1684 fu richiesto
d'un giudizio sulle composizioni dei concorrenti - tutti non
"romani" - al posto di maestro di cappella del duomo di Milano).
Un'idea pittoresca della mistura di apprendimento formalizzato e
canonico e di apprendimento mimetico la dà un testimone della
grande scuola romana degli anni Quaranta, il castrato Giovanni
Andrea Angelini Bontempi, che dall'alto di una carriera europea
di mezzo secolo così ne parla nella sua Historia musica (Perugia,
1695):
l'abilità esecutiva dei cantanti e dei virtuosi, e con essa la loro fama,
stima, reputazione, condizione sociale.
(Taluno obietterà che proprio nel Seicento si sviluppò un'ora-
toria specificamente musicale, un codice lessicale ed ermeneutico
di figurae retoriche musicali, con il quale decifrare l'assetto reto-
rico che la musica vocale desume dal testo. Fatte salve le affinità
tradizionali - ma generiche e superficiali - di musica e retorica,
il fenomeno specifico fu in realtà assai limitato. Più che un pro-
getto organico di poetica musicale, esso rappresentò un tentativo
- sostanzialmente circoscritto a pochi teorici tedeschi come Joa-
chim Burmeister autore d'una Musica poetica apparsa nel 1606, o
l'allievo di Schiitz, Christoph Bernhard, autore di un Tractatus com-
positionis augmentatus rimasto manoscritto - di razionalizzare con
gli strumenti concettuali della tradizione retorica classica, e con
il sussidio d'una terminologia retorica d'imprestito, quelle licenze
compositive della moderna musica espressiva - di provenienza ita-
liana - di cui la teoria del contrappunto non poteva dar ragione.
In questo senso il fenomeno, seppur effimero, fu davvero signifi-
cativo: nel senso, appunto, d'un ampliamento della teoria del con-
trappunto fino a comprendere e giustificare - e, quindi, a neutra-
lizzare ed esorcizzare - licenze altrimenti irrazionali. La retorica,
insomma, funse qui come legittimazione di irregolarità lessicali e
sintattiche, non già come promotrice di un'oratoria affettivamente
efficace, né si consolidò mai in un codice poetico o ermeneutico
coerente. «Chiamo figura un certo modo piacevole e artificioso di
impiegare le dissonanze», dice il Bernhard; e siccome egli consi-
dera dissonante financo una linea cromatica ascendente o discen-
dente - che egli vedeva frequentemente adibita a rappresentare
affetti di estremo dolore o di estrema delizia, e che però il con-
trappunto paradossalmente può spiegare soltanto come una serie
di false relazioni consecutive in una sola voce -, coniò il termine
"retorico" di passus duriusculus. Sfuggiva invece fatalmente ai "reto-
rici" tedeschi la natura armonicamente e non contrappuntistica-
mente determinata di molte figurae in uso nella musica moderna.)
Si potrà discutere intorno al grado e alla gravità della scissione
di teoria e prassi nel Seicento, del prevalere dell'apprendimento
mimetico sopra quello formale, dell'incidenza dell'ascolto non "com-
petente" e non "analitico": il fenomeno è comunque massiccio e
problematico, e condiziona la nostra comprensione di quella musica
TEORIA E PRASSI 71
12 • EDITORIA E COLL~IONISMO
testi (infatti, tanto per dire, un suo mottetto natalizio termina con
una <<Piva (si placet)»: testo metrico latino in endecasillabi, ma
musica da "rispetto" popolare): l'interdizione valeva però per Roma,
e qualcosa del Carissimi fu invece stampato, non a caso, in Ger-
mania (egli era maestro di musica del Collegio Germanico gesui-
tico, destinato alla difesa e propagazione missionarie della fede cat-
tolica nei paesi tedeschi). Dopo la morte di Carissimi, disposizioni
testamentarie e un breve di papa Clemente X tutelarono l'inte-
grità e inaliènabilità di quel repertorio manoscritto, proprietà del
Collegio (il che non impedl peraltro al Caifabri di pubblicare
postuma, per l'anno santo 16 75, una scelta di Sacri concerti del
Carissimi): l'esito del congelamento condusse però - in questo e
in tanti altri casi - alla dilapidazione del repertorio, una volta pas-
sato l'interesse e l'attualità.
La libera circolazione delle copie manoscritte comporta invece
un forte tasso di dispersione e di selezione precoce, determinata
dal "gusto" (categoria di giudizio, questa, che proprio nel Seicento
fa la sua comparsa). Del corpus delle historiae latine composte da
Carissimi per l'oratorio del SS. Crocifisso e per il Collegio Ger-
manico sopravvivono copie accurate e autorevoli: esse sono però
a Parigi, dove ne portò la fama il di lui allievo Marc-Antoine Char-
pentier, che le aveva copiate in Roma. Le corti delle famiglie papali
e dell'aristocrazia ~omana (Ottoboni Pamphili Chigi Barberini
Ruspali Colonna) costituiscono collezioni di manoscritti di cantate
e d'arie d'opera prodotte a loro spese e per il loro consumo da équi-
pcs di copisti; altre copie circolano nel bagaglio di singoli cantanti,
altre si producono volta per volta su richieste occasionali di "turi-
sti" nordici, giovani signori inglesi, tedeschi e francesi che fanno
il grand tour del continente. Delle musiche per tastiera che Swee-
linck componeva ed eseguiva durante i servizi religiosi riformati
di Amsterdam, a spese della municipalità (di cui era al servizio,
le chiese calviniste non potendo di per sé assumere alcun musici-
sta né coltivare alcuna musica d'arte), non sopravvive un solo mano-
sc~itto olandese, e no{ ne conosceremmo una sola nota se i suoi
allievi germanici (Heinnch Scheidemann, Samuel Scheidt, Paul Sie-
fert, Andreas Diiben, eccetera) non ne avessero fatto circolare copie
manoscritte. Del repertorio virginalistico inglese non possederemmo
la fonte più cospicua, il colossale Fitzwilliam Virginal Book, se il
suo copista, il perseguitato cattolico Francis Tregian, non fosse stato
84 PROBLEMI DEL $ EIC EN TO MUSICA LE
Venezia (antologie) 95 90 52 41 9 14 6 4 1 3
Venezia (autori) 220 162 151 117 39 15 10 9 8 6 15
Milano (antologie) 10 16 13 6 1 4 2 - 1 1 1
Bologna (antologie) - - 3 - - 1 - 4 2 2 4
Bologna (autori) - - 2 - - 2 2 8 26 29 34
Roma (antologie) 12 3 13 18 8 16 9 11 4 2
Napoli (antologie) 3 8 15 9 - 2 2
l:T1
o
Germania (antologie) 24 56 47 34 10 23 25 11 6 4 4 M
>-I
Germania (autori) 33 50 61 33 9 7 43 44 38 13 15 ,,o
>
t1l
Paesi B. (antologie) 25 19 16 17 5 13 6 4 1 1 17
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t1l
N
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--
N.B.: I dati (tanto per le antologie che per gli autori delle lellere Be G) sono ricdvati dal Répertoire intemational des sources musica/es, che notifica soltanto le
edizioni superstiti (e non quelle documentabili benché perdute), e che non distingue tra vere e proprie antologie e pubblicazioni di un singolo autore contenenti
u,
i:
una o poche composizioni altrui: tali dati hanno dunque un valore approssimativo, meramente indicativo. o
00
VI
86 PROBLEMI DEL SEICENTO MUSICALE
spesso privi di note e corredati delle sole cifre della chitarra spa-
gnola (la melodia si dà per conosciuta). In Francia, invece, le rac-
colte (in gran parte anonime) di chansons e airs à boire assumono
ritmo annuale a partire dal 1658, mensile dal 1694, e costituiscono
un cespite notevole per lo stampatore Ballard.
Cosa significa per l'arte musicale il riflusso, la depressione del-
1' editoria musicale seicentesca? Principalmente, la perdita dell'" oriz-
zonte storico" della musica. Ogni musicista del Seicento conosce
grazie alla stampa i capolavori estremi del madrigale cinquecente-
sco, Arcadelt e Gesualdo (cfr. § 1), conosce le edizioni monumen-
tali del Palestrina (cfr. § 15), conosce Frescobaldi (lo conoscerà
perfino Bach). Ma lo stesso musicista ignora però la produzione
corrente di musica vocale da camera della generazione precedente,
la produzione di musica sacra delle città lontane e vicine. Finita
la validità universale dell'idioma polifonico, cosl assiduamente pro-
pagato dalle stampe del secolo precedente, l'orizzonte del musici-
sta del Seicento si restringe a quello dei suoi maestri personali, al
giro spicciolo dei colleghi della sua città, dei cantanti e musicisti
di passaggio, dei procacciatori di copie manoscritte.
A questa situazione non può certo - né vuole - porre rimedio
l'istituzione, frequente nel Seicento, di collezioni musicali. Si tratta
perlopiù di collezionismo colto ed erudito: si creano "gabinetti"
di musica come se ne creano di scienze naturali, o di disegni e
stampe. Si tratta, nella più vera accezione del collezionismo, di
massicce sottrazioni di beni di consumo al mercato; l'importanza
e il valore monetizzabile della collezione sono legati alla non-
funzionalità, alla rappresentatività astratta della merce alienata al
commercio. Cosl, la collezione di strumenti, di musiche stampate
e manoscritte, di ritratti di musicisti raccolta dal musicista ferra-
rese Antonio Goretti, decantata dalle guide monumentali di Fer-
rara ai primi del secolo, finisce poi alla corte di Innsbruck, dove
è però segregata dall'uso corrente della cappella. Il re Giovanni
IV del Portogallo raccoglie una biblioteca musicale aggiornatissima,
della quale pubblica anche il catalogo a stampa del 1649 (è tutto
quel che ne resta, dopo la distruzione di Lisbona nel terremoto
del 1755): ma nella sua Difesa della musica moderna (1649, edizione
italiana 1666) il sovrano si occupa, in realtà, della polemica cin-
quecentesca - ormai tutt'altro che moderna - sulla liceità litur-
gica del contrappunto figurato! I duchi di Modena, che di tutti
CONDIZIONE SOCIA LE DEL MUSICISTA 89
pagati molto meglio di tutti gli altri suonatori in virtù del presti-
gio marziale (e sia pur soltanto simbolico) del loro strumento. Per
gli altri, però, i salari sono bassi, non di rado integrati in natura:
soltanto grazie alla concessione di razioni di cereali e vino il mae-
stro di cappella di S. Maria Maggiore di Bergamo, Alessandro
Grandi, riesce a campare decorosamente; a Bologna i suonatori del
C;ncerto Palatino (cornetti e tromboni assunti dalla magistratura
cittadina) acquisiscono talvolta, per merito o anzianità, il diritto
a una pagnotta quotidiana (di pane nero) gratuita. Dalla fin~_g_el
Cinquecento si vanno costituendo confraternite, compagnie, con-
gregazioni di musicisti: altro non sono che società di mutuo soc-
corso, che regolamentano anche il diritto di esibirsi in pubblico
e di insegnar musica in città; i9. pratica, esse esercitano un con-
trollo sulla distribuzione della (scarsa) offerta di occasioni di lavoro
e un monopolio corporativo contro la concorrenza dei musicisti
girovaghi o non riconosciuti. RjunitL di preferenza sotto l'egida
di santa Cecilia, i musici d'una città provvedono all'assistenza sani-
t~ria e alla sepoltura comune dei propri membri poveri (un esem-
pio illustre è invece la tomba comune dei cantori pontifici della
Sistina istituita nel 1639 nella Chiesa Nuova, la chiesa degli ora-
toriani di Roma); in mancanza di eredi, ne incamerano talvolta l'ere-
dità. La mancanza di eredi, del resto, è tanto meno rara quanto
più frequentemente i musicisti prendono i voti ecclesiastici (unica
via che consente alle classi inferiori di accedere a una formazione
culturale elevata e di usufruire di rendite e benefici) -, e quanto più
numerosi sono i cantanti castrati. La società seicentesca, rigida,
concede infatti l'avanzamento sociale e l'arricchimento individuale
ai musicisti delle classi subalterne a condizione che essi non met-
tano sù famiglia: o matrimonio o patrimonio, non ambedue insieme.
Il caso eccezionale del campanaio pistoiese Domenico Melani
conferma la regola: sette figli maschi, tutti avviati alla carriera musi-
cale e perciò tutti o castrati o preti o frati tranne uno solo desti-
nato a continuare la famiglia, che infatti nel giro di due genera-
zioni grazie ai successi musicali degli zii cantanti e compositori
s' arricchl e assunse titoli di nobiltà.
Un altro indizio eloquente dei rapporti che i musicisti intrat-
tengono con la società del loro tempo e coi loro patrocinatori lo
dà, infine, la celebrazione della loro morte e della loro memoria.
A Corelli viene eretto un monumento nel Pantheon, a Pasquini
98 PROBLEMI DEL SEICENTO MUSICALE
(,
che lndica al violinista inesperto quale dito sopra quale corda pigiare,
e da che parte tirare l'arco: il repertorio che lo Zanetti schiude
a un siffatto principiante è fatto di brevi musiche da ballo, di pronto
consumo).
Sospeso tra composizione ed esecuzione, il musicista strumen-
tale incontra ostacoli e problemi diversi da quelli che affronta il
compositore per eccellenza, ossia il compositore di musica vocale.
Mancando il testo, manca alla musica strumentale un supporto for-
male preesistente alla composizione (che in buona misura ne pre-
determina l'assetto stilistico; cfr. § 8), e manca anche un pretesto
espressivo o rappresentativo definito. (La moda delle composizioni
strumentali su soggetti figurativi o con assunti imitativi o affet-
dvi determinati - le molte toccate o capricci sul canto del cucù
da f rescobaldi in poi, e i «lamenti» flebilmente filigranati di Fro-
berger, cfr. voi. VI,§ 10 - supplisce a quest'ultima mancanza, ma
incontra un severo limite nel carattere necessariamente eccezio-
nale, singolare di siffatti pretesti.) Più che in ogni altra forma di
produzione musicale coeva, nella musica strumentale la configura-
zione formale d'un brano è concepita dinamicamente: la forma musi-
cale -' d'una fantasia, d'una toccata, d'un capriccio, eccetera - si
costruisce e consuma man mano che essa procede. Sulla ricerca di
simmetrie e corrispondenze, equivalenze ed equilibri tra le varie
sezioni che compongono una composizione (tutte cose che all'a-
scolto o all'esecuzione risultano assai spesso meno percepibili che
non alla lettura) prevale il procedimento discorsivo, l'organizza-
zione dello scorrimento del tempo in stadi di variabile densità e
tensione, l'orientazione del moto che percorre un brano attraverso
fasi di accelerazione, rallentamento, stabilità, inerzia. A questa
costruzione della forma del tempo nella dimensione stessa della tem-
poralità concorrono risorse disparate. La frequenza, rapidità, com-
plessità, direzione delle figurazioni "ornamentali" - aggettivo, que-
sto, che sarà non improprio usare soltanto a patto di riconoscere
all'ornamento della musica strumentale una funzione strutturale
decisiva - produce forme diverse di organizzazione del tempo: le
scale o le ghirlande di semicrome per gradi contigui nelle fanta-
sie diJan Pieterszoon Sweelinck (1562-1621) hanno una scioltezza
fantastica che la rifrazione degli accordi in arpeggi a scroscio, pur
sempre in semicrome, può d'un sùbito tramutare in sonorità agglo-
merate o scoscese. Anche I' aumentazione o la diminuzione dei
102 PROBLEMI DEL SEICENTO MUSICALE
(Alla fine, la noble sefiora si rivela per quel che è, una sacrilega
indiana amulatada che alletta tutti a lasciarsi possedere dalla fre-
nesia del ballo.) Anche nelle commedie di Lope de Vega, nel secondo
decennio, risuona l'inno della ciaccona, vecchia dissoluta e sen-
suale: « Vida bona, vida bona,/ esta vieja es la chacona! •>. In tante
altre opere letterarie spagnole dei primi decennii il canto e il ritmo
sfrenato della ciaccona trovano un'eco pittoresca, in tanti trattati
di moralità sollevano riprovazioni indignate. Che la fama della ciac-
cona - come, poco prima, quella della sarabanda - fosse la fama
turpe d'un ballo disdicevole (mai regisfrato, infatti, nei trattati di
ballo alla moda), di origini oscuramente transoceaniche, è confer-
mato anche dalle testimonianze dei poeti italiani, pur tanto meno
propensi dei loro colleghi spagnoli a raffigurare realisticamente la
vita delle classi subalterne urbane e rurali. Nell'ultimo canto del-
l'Adone (XX, 84) - un canto tutto intessuto delle danze che Venere
MusrcA STRUMENTALE E MUSICA DA BALLO 111
nelle solennità di musiche non [si deve] permettere che siano usati instru-
menti se non gli ordinari usati nelle chiese, astenendosi particolarmente
dall'uso di instrumenti bellici, come sono trombe, tamburi ed altri simili
più accomodati ad usarsi negli eserciti che nella casa del Signore Iddio,
e che li musici tutti, cosi ecclesiastici come secolari, nell'atto del ser·
vire alla musica vadino vestiti con la cotta, abito proprio di usare nelle
chiese, e finalmente [che non si deve] permettere in esse musiche traspo·
sizione di parole ovvero cantare parole inventate da novo e non descritte
sopra i libri sacri, salvo che all'offertorio, all'elevazione, dopo l' Agnus
Dei, e così alli vespri tra li salmi si possono cantar moteti di parole però
devote e che siano cavate da libri sacri ed autori ecclesiastici, sopra il
qual particolare potranno e doveranno quelli che non avessero cognizione
bastevole ricevere la instruzione da reverendi parroci, da sacerdoti delle
chiese ed altre persone intelligenti sotto pena per cadauna volta contra\/·
venendo di ducati 25 ed altre pene.
LA MUSICA NELLA LITURGIA CATTOLICA 123
[v I
Dixit dominus ... a 6 voci
sul canto fermo
Donec ponam inimicos ... falso bordone
qui la chiarezza delle parole non fugge con le fughe del musico, né l'arte
del parlare perde i suoi pregi nell'arte del canto, ma questa s'innalza con
quella, s'umilia con lei, corre con lei, posa con lei, piange con lei, ed in
qualunque altra maniera quella si disponga, questa più efficacemente pro-
muove gli affetti di lei: onde insomma vedrà Vostra Altezza l'arte di que-
sto autore servire d'una giudiziosa luce, d'una spiritosa forza e d'un vivis-
simo spirito all'orazione, e fatto quasi scalpello d'armonico scultore ren-
der le parole di rilievo agli uditori; ufficio che tanto è proprio del canto,
quanto è poco inteso da molti professori di esso, i quali con gl'intempe-
stivi e troppo spessi rompimenti delle note turbano ed oscurano i sereni
corsi dell'orazione, e coi troppi ingordi raggiramenti sbranano le parole,
divorano la loro chiarezza e con varie code d'inanimati passaggi rappre-
sentano mostri e chimere a chi li ascolta. Vuolsi da valoroso compositore
rompere sì col canto la corrente dell'orazione, ma in quella guisa che pia-
cevole ruscelletto fra pietrucce minute frange il passaggio dell'acqua, che
certo un rompimento tale non solo non rende oscuro il suo tributo, ma
piuttosto in virtù di quei piccioli ripercotimenti raddoppia la chiarezza
dell'onde e cagiona nell'orecchie altrui un dolcissimo mormorio.
MUSICHE DEVOZIONALI CATTOLICHE 129
(Le «ariette» che Baccio del Bianco sentl cantare e di cui voleva
inviare agli amici fiorentini le musiche furono probabilmente dei
villancicos, ossia quei canti strofici volgari di vario argomento ma
spesso e volentieri rivestiti di parole devote - insomma: I' equiva-
lente iberico delle laudi italiane - che, ampiamente coltivati in Spa·
gna e in Portogallo, a partire dal Cinquecento assunsero le carat·
MUSICHE DEVOZIONALI CATTOLICHE 133
Dove (ai punti 2 e 6) si vede che della musica su testo sacro e morale
si faceva volentieri uso anche extraecclesiastico, coerentemente a
una tradizione istituzionale che risale a prima della scissione tra
musica "sacra" e non (scissione che comunque, come s'è visto, in
àmbito luterano non avrebbe avuto molto senso).
In Germania più che in qualsiasi altro paese d'Europa, nel Sei-
cento più che in ogni altro secolo, vige il principio cuius regio, eius
religio. Il caso di Dresda illustra bene la promiscuità e disconti-
nuità confessionale delle corti germaniche. Fin dall'epoca di Schiitz,
e in parallelo alla cappella di corte diretta da Schiitz, il principe
ereditario istituisce una propria cappella musicale, d'importazione
italiana, virtualmente cattolica. Salito al soglio il principe eredita-
rio, il contrasto con la cappella "tedesca" di corte si fa acuto. Fin
da prima della morte di Schiitz la preminenza della cappella "ita-
liana", con i suoi virtuosi castrati, è netta: ma al prossimo cambio
di sovrano gli italiani vengono licenziati in tronco. Nel 1697 infine
il duca Federico Augusto diventa re di Polonia e si converte per-
ciò al cattolicesimo: egli istituisce formalmente una cappella regia
cattolica parallela alla cappella protestante della corte ducale (per
il suo successore il protestante Bach compose la propria messa
MUSICA SACRA DI STATO: FRANCIA E INGHILTERRA 159
solenne cattolica, cfr. val. VI, § 42). Alterne vicende di tal fatta
non giovano alla conservazione duratura d'un repertorio musicale:
la tradizione sagittariana si dissolve a Dresda ancor più spedita-
mente che altrove in Germania.
Assai diversa è la condizione della musica sacra di corte nei paesi
fortemente accentrati attorno a un'autorità regia stabile e assoluta:
è, a diverso titolo, il caso della Francia e della Gran Bretagna. Le
differenze di culto e confessione - preponderanza cattolica nel-
l'uno, protestante nell'altro paese - sono irrilevanti rispetto alle
affinità di struttura sociale e politica, che coinvolgono peraltro il
ruolo delle chiese rispettive. L'affinità è palese anche dal punto
di vista dottrinale e giuridico: alla Chiesa anglicana, sorta nel XVI
secolo come variante britannica della riforma e sottoposta al governo
diretto della corona, corrisponde la Chiesa gallicana, che vanta una
relativa autonomia dal papato e attribuisce al "re cristianissimo"
prerogative assai vaste in materia di giurisdizione ecclesiastica nel
regno. Dal punto di vista mus"icale l'affinità è evidente (e sia pure
in diversa misura) sotto almeno tre aspetti: nella notevole imper-
meabilità della musica sacra francese e inglese agli stili allogeni
(mentre s'è visto il processo d'osmosi che intercorre tra la musica
luterana e l'Italia); nella dissociazione stilistica ed istituzionale tra
la musica sacra della corte (forgiata autoritariamente dal gusto del
sovrano e dalle esigenze del cerimoniale, e - ali' esatto opposto della
corte papale di Roma - irriguardosa dello stile polifonico "antico"
sancito dalle rispettive tradizioni confessionali) e la musica sacra
delle grandi cattedrali urbane (depositarie gelose e tenaci della tra-
dizione polifonica di lunga durata); nell'atteggiamento declama-
torio, enfatico, eloquente che la musica sacra di corte - una musica
sacra che apostrofa il sovrano dei cieli a tu per tu, con un'alterigia
concessa soltanto a un monarca-pontefice - assume nelle mani dei
massimi musicisti della nazione, Lully in Francia e Purcell in
Inghilterra.
La Dichiarazione del clero gallicano sul potere nella Chiesa, del
1682, è uno dei tanti gesti d'autorità che la sovranità assoluta di
Luigi XIV indirizza al mondo (l'autorità degenera in intolleranza
con la revoca dell'editto di Nantes nel 1685). Non è affatto casuale
che proprio in questi anni, nel 1684 e nel 1686, il re patrocina
la stampa di tre collezioni esemplari di grands motets «per la cap-
pella reale», stampa destinata non tanto a divulgare il consumo
160 LA MUSICA DA CHIESA
d'una musica sacra che era in primis prerogativa della corte, quanto
a sancire anche in campo ecclesiastico uno stile musicale peculiare
della nazione francese e la supremazia della Chiesa gallicana. Que-
st'intenzione dimostrativa va intesa anche in senso stretto: pub-
blicare nel 1684 o nel 1686 i grands motets regi di Pierre Robert
e Henry Du Mont, maestri benemeriti della cappella reale ritira-
tisi in pensione nel 1683, significava imporre ai loro successori la
perpetuazione d'un modello e d'uno stile di musica sacra graditi
al sovrano. Lo stesso concorso del 1683 per la successione di Robert
e Du Mont fu una dimostrazione di potenza politico-culturale: Luigi
XIV esortò i vescovi di Francia a farvi partecipare i loro maestri
di cappella, dai quali - 35 in tutto - furono selezionati i quattro
che, a rotazione trimestrale, avrebbero poi retto e fornito la musica
della cappella reale. Il più eminente dei vincitori dell'83 fu Michel-
Richard de La Lande (1657-1726). Il più eminente dei perdenti
- malato all'epoca delle ultime prove di concorso - fu Marc-Antoine
Charpentier (tl 704), idealmente risarcito però dal favore diretto
o indiretto della corte, di cui godé nella sua molteplice attività pari-
gina: maestro di cappella dei gesuiti a Saint-Louis e della Sainte-
Chapelle, Charpentier fu, più che l'antagonista sfortunato di de
La Lande, il suo corrispettivo metropolitano, e più che le pur sen-
sibili differenze di stile personale tra i due predomina, all'ascolto
dei loro grands motets, la sostanziale unitarietà d'uno stile nazio-
nale di musica sacra che, "inventato" nei primi decenni del lungo
regno di Luigi XIV, ebbe validità plurigenerazionale. Basti citare
il caso di de La Lande stesso: tutti postumi, nel 1729, apparvero
i venti volumi dei suoi grands motets, risalenti in parte ai primi anni
del suo magistero reale, e poi via via dall'autore stesso ritoccati,
"aggiornati" nel colorito armonico o nell'apparato strumentale;
entrati nella tradizione dei concerti pubblici parigini - quei Con-
certs spirituels (cfr. val. VI, § 5) di musica vocale e strumentale
che con l'esecuzione d'un grand motet solevano aprirsi-, rimasero
in uso per il resto del secolo, e dal repertorio scomparvero del tutto
soltanto con la scomparsa di quell' ancien régime all'anzianità del
quale essi - come le tragédies lyriques di tradizione lullista (cfr. §
25) - tanto durevole fasto apportarono.
L'impiego extraliturgico dei grands motets non è una anomalia
o una depravazione settecentesca. I grands motets, composti di norma
sul testo d'un salmo (per esempio il Miserere) o d'una sequenza (come
MUSICA SACRA DI STATO: FRANCIA E INGHILTERRA 161
a una sola parte vocale con basso continuo alla messa in stile da
cappella o policorale, dalla messa concertata di voci e strumenti
alla messa solo strumentale da eseguire alternatim (ma con «vari
strumenti in vece del solo organo»), dalla messa su canto fermo
alla messa per la notte di Natale intessuta di noé'ls popolari. Intanto
però, altrove in Francia, continua incessante la routine polifonica
delle maitrises, delle cappelle musicali delle cattedrali, vividamente
descritta nel 1643 da Annibal Gantez - maestro di scholae canto-
rum via via a Aigues-Mortes, Aix-en-Provence, Annecy, Arles,
Aurillac, Auxerre, Avignon, Carpentras, Grenoble, La Chàtre, Le
Havre, Marseille, Montauban, Nancy, Nevers, Rouen, Toulouse,
Valence, e in varie chiese di Parigi ... - nel suo Entretien des musi-
ciens, un «trattenimento dei musicisti» intessuto di gioviali consi-
derazioni sulla condizione quotidiana dei musici di cappella, dediti
più al boccale e - potendo - alla buona tavola che non alle muse.
Gantez lamenta, tra I' altre cose, il monopolio di stampa dei Bal-
lard, che mortifica la produzione corrente di musica sacra. In effetti
ancora ai primi del Settecento il catalogo di vendita degli stampa-
tori parigini elenca un buon numero di messe polifoniche di Or-
lando di Lasso: fondi di magazzino, forse, ma anche modelli intra-
montati per la produzione sacra provinciale francese del Seicento.
Per i monarchi di Francia, invece, la polifonia osservata venne ad
assumere una valenza cerimoniale specifica: in stile decisamente
"antico" (tutt'al più rinvigorito da inserti e raddoppi strumentali
nella prassi esecutiva) sono i requiem cantati alle esequie reali. La
Missa pro defunctis di Eustache Du Caurroy - un musicista (t1609)
che, alludendo allo stile datato delle proprie musiche, ammise «di
aver dormito per 40 anni» - fu cantata, postuma, per le esequie
di Enrico IV: edita nel 1636, divenne un vero e proprio requiem
di Stato, in uso fin nel Settecento. Il severo requiem a 4 voci di
Charles d'Helfer, del 1656, fu cantato per i funerali di de La Lande
- che non compose mai una messa in vita sua -, e poi nel 1774
per il riposo dell'anima di Luigi XV, il quale era però stato inu-
mato (come, prima di lui, Rameau) al canto meno austero e scarno
della Messe des morts del meridionaleJean Gilles (tl 705), un requiem
concertato che, riesumato dal Concert spirituel nel 1750, venne
ad arricchire stabilmente (fino ad oggi) il repertorio delle glorie
vetuste e imperiture della cultura nazionale "classica" offerte alla
compiaciuta ammirazione dei posteri.
MUSICA SACRA DI STATO: FRANCIA E INGHILTERRA 163
Per l'Italia e per l'Europa intiera la novità più vistosa del Seic~nw
musicale fu, fuor d'ogni dubbio, l'introduzione del teatro d'opera. La
sua vistosità è commisurata alla complessità delle risorse che vi con-
corrono: nessun'altra forma di produzione artistica moderna fa
ricorso a forze produttive e organizzative tanto costose, numerose e
differenziate. Pari pari radicatissima nelle vicende storiche e soci.~
è tutta la storia e la fortuna del teatro d'opera: condizionato dalle
situazioni politiche ed economiche dominanti, il teatro d'opera è
stato (ed è) di volta in volta strumento non indifferente di persua-
sione o mobilitazione ideologica, pubblica dimostrazione di un'au-
torità sovrana, divertimento collettivo, comunitaria celebrazione di
vita civile, oltre che forma d'arte vigorosa e rigogliosa.
L'introduzione del teatro d'opera ebbe ripercussioni secolari:
in Italia, in Francia, in Inghilterra, nei paesi tedeschi la vita ope-
ristica odierna è la continuazione d'una tradizione istituzionale che,
pur con mille cambiamenti (non ultimo l'emergere di capitali tea-
trali extraeuropee nell'ultimo secolo: New York, San Francisco,
Buenos Aires, Sydney, ... ), si può legittimamente far risalire senza
interruzioni al Seicento. L'entità stessa del fenomeno e la persi-
stenza della sua tradizione - una persistenza che è proporzionale
alla dinamica capacità del sistema operistico di mutare, evolvere,
assumere funzioni sociali e culturali nuove senza però mai rinne-
gare la propria costituzione - spiegano l'interesse vivissimo che
la storiografia musicale e letteraria e teatrale ha sempre dimostrato
per le origini del melodramma (o per i suoi "albori", secondo il
titolo dell'edizione più copiosa che dei primissimi testi dramma-
tici per musica sia stata fatta a tutt'oggi). Interessava conoscere
come, quando, dove, perché e ad opera di chi fosse nata una forma
d'arte apparentemente abnorme e però ricca di un fascino tanto
durevole. Più del tragitto che essa ha percorso (un tragitto pieno
di zone depresse e passi insidiosi), interessava il punto di partenza,
176 IL TEATRO D'OPERA
tro due paratie posticce ai lati della scena (che era poi il cortile
di Palazzo Pitti); nel finale coreografico dell'opera le due paratie
cadevano, in modo tale che sulle popolosissime nubi di una « scena
di tutto cielo» comparissero, oltre le divinità canore, anche due
celestiali concenti di strumenti. '
In realtà, l'apparizione scenica degli stru.menti nell'apoteosi
finale delle Nozze degli dèi è soltanto la conseguenza estrema ma
non impropria di una concezione delle sonorità· strumentali che è
spettacolare e non orchestrale, una concezione che discende dagli
intermedi del Cinquecento (e di cui danno testimonianza verbale
le descrizioni coeve, altrimenti sempre cosl laconiche intorno ai
particolari dell'allestimento musicale). Gli strumenti - i colori stru-
mentali - vi vengono utilizzati come attributi sonori di determi-
nati personaggi, di determinate situazioni; lo stesso sostegno "neu-
tro" del basso continuo può assumere abiti sonori cangianti,
mediapte una accorta selezione degli strumenti (violoni cembali
liuti organi arpe chitarroni eccetera; già il Cavalieri consiglia di
«mutare stromenti conforme all'affetto del recitante», senza però
specificare come, cfr. voi. IV, Lettura n. 17). Il caso più eloquente
è quello della partitura dell'O,feo monteverdiano, che specHi~a
mediante didascalie la distribuzione strumentale adottata nel 1607:
le scene pastorali sono connotate dalle sonorità giulive dei flauti
e flautini, le scene infernali dai timbri cupi dei tromboni e del regale,
i balli dai violini piccoli alla francese, e via dicendo; la grande invo-
cazione in terza rima del citaredo Orfeo (atto III) è intramezzata
di virtuosistici ritornelli di violini, cornetti, arpe. Un impiego,
insomma, "naturalistico" delle sonorità e delle tecniche strumen-
tali, associate in presa diretta a quel che lo spettatore vede fi per
lì sul palcoscenico. ·
I soggetti drammatici predominanti sono mitologici, ricavati
perlopiù da Ovidio: il mito di Dafne (Firenze, 1598, e Mantova,
1608), il mito di Orfeo (l'Euridice fiorentina del 1600, poi Man-
tova, 1607, l'O,feo dolente di G. Chiabrera e D. Belli a Firenze
nel 1616, la Morte d'O,feo musicata da S. Landi nel 1619), quello
di Cefalo e Aurora (il Rapimento di Cefalo del Chiabrera e del Cac-
cini a Firenze nel 1600, l'Aurora ingannata di R. Campeggi e G.
Giacobbi a Bologna nel 1608), quello di Narciso (il dramma omo-
nimo di O. Rinuccini non fu però mai rappresentato), di Andro-
meda (Bologna, 1610: R. Campeggi - G. Giacobbi; Firenze, 1618:
188 IL TEATRO D'OPERA
la Maga fulminata: l'autore «ha potuto del suo e con quello di cin-
que soli musici compagni, con spesa non più di duemila scudi, rapir
gli animi agli ascoltanti»; «operazioni simili a' principi costano infi-
nito danaro». I musicisti - anche il librettista Ferrari, composi-
tore e virtuoso di tiorba, lo era - si consorziano e producono in
proprio lo spettacolo. Nel 1639 Ferrari e Manelli passano al Tea-
tro SS. Giovanni e Paolo, una vecchia sala di commedie riattata
in fretta e furia dalla famiglia Grimani per destinarla all'opera in
musica. In concorrenza, nel S. Cassiano subentra una compagnia
nuova, in buona parte indigena, costituitasi intorno a Francesco
Cavalli: dal punto di vista economico la rappresentazione delle sue
Nozze di Teti e di Peleo è un vero disastro, ma paradossalmente
è anche il debutto di una carriera folgorante di operista che durerà
praticamente senza interruzioni fino al 1666. Fin dalle prime sta-
gioni la storia economica del teatro d'opera è una storia di banca-
rotte e di processi per insolvenza, la sua storia artistica una storia
di successi incessanti.
Alla base di questo vitale, fruttuoso paradosso c'è una strut-
tura produttiva singolare, che con una certa approssimazione si può
riassumere in tre livelli d'operazione, tre categorie di operatori.
Innanzitutto ci sono i padroni del teatro: sono le grandi famiglie
patrizie veneziane - Tron Grimani Capello Giustinian eccetera -
che, alla ricerca di un investimento immobiliare sicuro, acquistano
o rimaneggiano gli edifici teatrali senza però intervenire diretta-
mente nella produzione degli spettacoli (gli interventi occulti sono
in realtà frequenti, la concorrenza e la "politica" teatrale riflet-
tono talvolta contrasti e alleanze mutevoli di gruppi ideologico-
economici in seno al patriziato). La gestione dell'impresa teatrale
è affidata poi per un'intiera stagione (da santo Stefano al martedl
g~asso) ~ per una serie di stagioni alla figura di un impresario (che
può anche essere una società di impresari): costui investe il pro-
prio danaro in alcune spese certe, talune fisse per l'intiera stagione
(l'affitto della sala; l'allestimento delle scene; l'arruolamento degli
artisti), talaltre variabili a seconda del numero di rappresentazioni
(l'illuminazione del teatro; i suonatori dell'orchestra; gli operai
addetti alle scene), per ricavarne degli utili preventivabili (l'affitto,
su base annuale, dei palchi) e degli utili impreventivabili, legati
al successo dei singoli spettacoli (i biglietti d'ingresso, che tutti
- anche gli affittuari dei palchi - devono pagare; l'affitto degli scanni
J TEATRI D'OPERA DI VENEZIA 197
per chi sta in platea). Il terzo livello di operatori è quello degli artisti,
compositori cantanti scenografi ballerini costumisti: talvolta essi
intervengono anche finanziariamente nell'impresa, ma ben pr_e~to
si riducono di preferenza al ruolo di professionisti pagati su base
contrattuale per le proprie prestazioni (le quali en.trano a far parte
delle passività del bilancio impresariale). Di uno status a parte gode
il librettista, ossia colui che viene considerato il vero e proprio autore
del dramma per musica: a lui spettano le spese di stampa e gli utili
di vendita del libretto. Quest'economia separata in realtà equivale
a un tànto maggioré cointeressamento al buon andamento dell'im-
presa: né è infrequente il caso di librettisti direttamente coinvolti
nella gestione dei teatri, mentre assai raro (dopo i tentativi dei primi
anni, regolarmente finiti in situazioni debitorie pesanti) è il caso
dei musicisti-impresari. (In questa disparità si riflette anche il
diverso rango sociale di musicisti e librettisti: mentre costoro appar-
tengono al ceto avvocatizio o addirittura al patriziato, il grado mas-
simo detenuto dai compositori d'opera è quello di organista o vice-
)Tiaestro di S. Marco, quando non si tratti di maestri di cappella
assunti da fuori Venezia. Una specie di tacita incompatibilità vieta
invece al massimo funzionario musicale dello Stato, il maestro di
~appella della basilica, di comporre per le scene: le eccezioni - per
esempio Monteverdi - sono pochissime.)
Dei tre livelli di questa struttura economica quello critico è,
ovviamente, quello dell'impresario. Nonostante la copertura occulta
o palese dei proprietari, nonostante l'interesse professionale degli
artisti, il rischio finanziario è suo. Un fattore di relativa stabilità
tutela in condizioni normali i suoi investimenti: la consuetudine
sociale dell'andare a teatro. Il teatro d'opera si radica fermissima-
mente nella vita cittadina e diventa sùbito l'ingrediente dominante
di quell'industria del divertimento collettivo che è il carnevale vene-
ziano. Ma eventi imprevedibili (come la chiusura dei teatri per
ordine q_ello Stato in tempo di guerra, nel 1645) possono causare
la perdita completa dell'investimento; e uno o più insuccessi arti-
stici possono discreditare l'impresa, disincentivare le entrate e com-
promettere quindi a lungo andare la copertura finanziaria. Un ele-
mento di compensazione è dato dall'economia dei palchi (che della
consuetudine sociale sono il requisito essenziale): l'affitto preven-
tivo dei palchi per tutta la stagione serve a procurare una parte
cospicua del capitale liquido da investire nell'allestimento degli spet-
198 lL TEATRO D'OPERA
tro d'opera in Italia è una storia di drammi per musica che - intatti
o rimaneggiati - dimostrano una singolare versatilità, una forte
predisposizione al soddisfacimento di aspettative molteplici. Di que-
sta storia suppergiù tre sono le fasi: quella iniziale delle compa-
gnie d'opera itineranti; quella centrale dell'istituzione di teatri cit-
tadini stabili e regolari; quella dominata dalla circolazione, a fine
secolo, dei grandi cantanti.
Il sistema stagionale in vigore a Venezia lascia liberi gli artisti
per circa 9 mesi all'anno. Nei due mesi del carnevale, Venezia è
però più che mai una città cosmopolita: nell'afflusso dei forestieri
di ogni specie che a Venezia inseguono affari e piaceri, non man-
cano i potentati, promotori potenziali di iniziative teatrali paral-
lele fuori di Venezia. Il fratello del granduca di Toscana, Mattias
de' Medici, per esempio, nel 1641 assiste a «tutte queste comedie
cantate, che sono al numero di cinque» (sente musiche di Cavalli,
Ferrari, Monteverdi, Sacrati): cinque anni dopo promuove un ten-
tativo di teatro d'opera in Siena (di cui era il governatore), dieci
anni dopo avvia un succoso commercio di cantanti e canterine e
compositori tra Firenze e Venezia. Anche la rete dei letterati affi-
liati all'Accademia degli Incogniti è estesa fuori Venezia e disse-
mina dappertutto la nozione e l'interesse per la drammaturgia dei
librettisti veneziani degli anni Quaranta. (Il dramma per musica
ha beninteso piena cittadinanza, nel 1666, nella prima bibliografia
sistematica del teatro italiano, la Drammaturgia del bibliotecario
vaticano Leone Allacci, anch'egli Incognito.) Ci sono tutte le con-
dizioni perché da Venezia partano, fuori di stagione, gruppi di can-
_tanti chiamati a riprodurre nelle città del Nord d'Italia gli stessi
spettacoli dati a Venezia. A Bologna il gruppo Manelli-Ferrari dà
nel 1640 la Delia e il Ritorno di Ulisse; l'anno dopo, la Maga fulmi-
nata e il Pastor regio (sempre di Ferrari). Sempre Ferrari - pare -
è responsabile dei primi spettacoli genovesi di cui si ha notizia
certa (1645), la solita Delia e l'Egisto di Faustini e Cavalli; idem
a Milano nel 1646 (Pastor regio e Delia). La composizione delle~-
pagnie è variabile, stabile però il repertorio. Oltre le opere citate,
vi compare di frequente La finta pazza di Strozzi e Sacrati. A Pia-
cenza nel 1644 essa viene allestita dagli Accademici Febiarmonici,
a Bologna nel 1647 dagli Accademici Discordati. Di queste stesse
curiose denominazioni si fregiano vari gruppi che danno spet-
tacoli un po' dappertutto in Italia negli anni successivi: sotto
LA DIFFUSIONE DELL'OPERA IN ITALIA 209
Vedrai
ne' suoi bei rai
diviso il sol scherzar.
In quel seno, in quel labbro, in quel volto,
sta raccolto
tu tt' il bello per farsi adorar.
Vedrai ecc.
X X X X
X X X
X X X X
la prima volta, dal personale della corte (testo del Ferrari e musica
del maestro della cappella imperiale Antonio Bertali), alla dieta di
Ratisbona nel 1653, di fronte ai prlncipi elettorali dell'impero. Sarà
difficile sopravvalutare il valore esemplare di un gesto siffatto:
l'opera in musica si diffonde nelle corti tedesche appunto come
lo spettacolo emblematico dell'autorità sovrana. Lo stesso anno
1653 la corte di Baviera festeggia la visita dell'imperatore e resti-
tuisce il favore con la rappresentazione della prima "opera" in
musica prodotta a Monaco (L'arpa festante di G. B. Maccioni è in
realtà una breve azione drammatica d'encomio: della partitura
manoscritta, oggi a Vienna, fu fatto omaggio all'augusto ospite).
Nella stessa estate, l'arciduca del Tirolo - reduce da un viaggio
nelle corti italiane che fu densissimo di musiche e spettacoli - alle-
stisce a Innsbruck un teatro d'opera vero e proprio, per il quale
s'è assicurata la collaborazione stabile di un team italiano di rango:
il maestro di musica frat' Antonio Cesti, il librettista Gio. Filippo
Apolloni, vari castrati italiani, e la primadonna Anna Renzi. (È
grazie a costoro e alla loro Argia che proprio a Innsbruck - dove
nel 1655, in viaggio verso Roma, celebra la propria conversione
al cattolicesimo - Cristina di Svezia, abdicato al trono svedese,
assiste per la prima volta a quella meravigliosa novità del mondo
cattolico che è l'opera in musica, di cui si farà ella stessa patroci-
natrice in Roma.) Sempre in quello stesso 1653 è in viaggio in Ger-
mania Atto Melani, il celebratissimo castrato al servizio dei Medici:
canta al cospetto dell'imperatore, ma svolge anche missioni diplo-
matiche clandestine e attività spionistiche (attività che, di scan-
dalo in scandalo, coltiverà su scala europea per un altro mezzo
secolo) ...
L'immagine di sovranità, la pretesa imperiale che in Germania
resta indelebilmente associata agli spettacoli d'opera («le opere sono
cose più per re e prlncipi che per commercianti e negozianti», sen-
tenzia acido Johann Mattheson nel 1728 a proposito della deca-
denza dell'opera amburghese), è un elemento di forza e di debo-
lezza: ne garantisce la disseminazione rapida anche nelle corti minu-
scole, ma più fortemente che in Italia ne vincola la continuità isti-
tuzionale al favore o al disfavore di un sovrano, alle alterne e non
prevedibili congiunture dinastiche. Sintomatico è proprio il caso
di Innsbruck: estinto il ramo dei prìncipi del Tirolo nel 1665, l'arci-
ducato passa sotto l'amministrazione imperiale diretta, e l'efficiente
L'OPERA NEI PAESI TEDESCHI: VIENNA E AMBURGO 243
rario fu il gesto con cui Luigi XIV la istitul, istituendo l' Académie
royale de musique, organismo stabile preposto in esclusiva alla sua
produzione. Autoritario fu il ruolo che vi ebbe, per investitura regia
e bravura manageriale e talento artistico, un unico musicista, Lully.
Mette conto di leggere per intiero la patente concessa dal Re Sole
a Lully nel 1672 (un precedente tentativo di introdurre le rappre-
sentazioni operistiche in francese, sulla base d'un privilegio regio
concesso a Pierre Perrin e Robert Cambert, era fallito dopo un
paio di spettacoli per intrighi economici e gelosie artistiche):
E per indennizzarlo delle grandi spese che gli converrà sostenere per
le suddette rappresentazioni, tanto a causa del teatro, delle macchine,
delle scene e dei costumi quanto delle altre cose necessarie, gli conce-
diamo di dare in pubblico tutti i drammi che avrà composto, ivi com-
presi quelli che saranno stati rappresentati al nostro cospetto, senza tut-
tavia che per !"esecuzione dei detti drammi egli si serva dei musicisti che
sono alle nostre dipendenze; come pure di richiedere quelle somme che
riterrà opportune e di istituire delle guardie o altri ufficiali agli ingressi
dei luoghi dove si daranno le suddette rappresentazioni, facendo nel con-
tempo espressa proibizione a qualsiasi persona di qualsiasi qualità e con-
dizione (ivi compresi gli ufficiali della nostra corte) di accedervi senza
pagare, come pure proibendo a chicchessia di far cantare qualsiasi dramma
integralmente in musica, tanto in francese quanto in altre lingue, senza
il consenso scritto del signor Lully, a rischio di una multa di 10 000 lire
e della confisca di teatri, macchine, scene, costumi e altre cose a benefi-
cio per un terzo nostro, per un terzo dell'ospizio generale e per un terzo
del signor Lully; il quale potrà anche istituire scuole private di musica
nella nostra città di Parigi e dovunque egli reputi necessario per il bene
e il vantaggio della suddetta accademia reale. E giacché noi la istituiamo
sul modello di quelle d'Italia, dove i gentiluomini cantano pubblicamente
in musica senza derogare alle convenienze nobiliari, vogliamo e dispo-
niamo che qualunque gentiluomo e madamigella possa cantare nei sud-
detti drammi e spettacoli nella nostra accademia reale senza pregiudizio
del titolo di nobiltà e dei loro privilegi, cariche, diritti e immunità.
Musica e Poesia sono sempre state riconosciute per sorelle che, pro-
cedendo mano in mano, si sostengono a vicenda. Se la poesia è l'armonia
delle parole, la musica è l'armonia delle note; e come la poesia si solleva
sopra la prosa e l'arte oratoria, cosl la musica esalta la poesia. Ciascuna
di esse può eccellere singolarmente: congiunte, esse sono eccellentissime,
poiché soltanto allora non manca nulla alla loro rispettiva perfezione, e
brillano come brillano spirito e bellezza in un'unica persona. Nella nostra
nazione la poesia e la pittura hanno raggiunto la loro maturità: anche
la musica, sebbene si trovi tuttora nella minore età, è una ragazza pre-
268 IL TEATRO D'OPERA
coce e fa ben sperare di ciò che essa potrà diventare in futuro in Inghil-
terra, quando i di lei maestri troveranno maggiore incoraggiamento. Per
ora sta imparando l'italiano, che è il suo miglior precettore, e studia anche
un poco di modi alla francese, per darsi maniere un po' più gaie e aggra-
ziate. Più lontani dal sole, noi siamo d'una maturazione più lenta che
non le nazioni vicine, e ci dobbiamo accontentare di scuoterci di dosso
la barbaricità poco a poco. L'età presente pare già disposta a una certa
raffinatezza, e impara a distinguere tra una fantasia selvaggia e una pro-
porzionata, esatta composizione.
«al presente le nostre scene sono in uno stato scadente, e nel com-
battimento fierissimo tra Drury Lane e Haymarket la Musica e
la Poesia, queste due sorelle, si accapigliano come pescivendole al
mercato», cinque anni dopo il critico teatraleJoseph Addison san-
civa tranquillamente la nuova realtà con queste parole:
corte spagnola di Napoli nel 1678 con musica del napoletano Filippa
Coppola, che non poco dovette penare per adeguarsi a uno stile
di canto teatrale assai alieno (a Napoli nell'82 fu dato anche Celos
aun del aire matan, non si sa con quale musica né con quale suc-
cesso: anche in questa provincia del regno ispanico l'insediamento
d'una variante spagnola dell'opera in musica rimase senza conse-
guenze, tanto più in presenza d'un teatro d'opera ormai consoli-
dato sulla norma italiana). Insomma: due terzi delle tracce musi-
cali indirette di quell'intrapresa calderoniana bisogna andarle a cer-
care nella periferia (il Perù, Napoli) della periferia (la Spagna) del,
l'opera europea del Seicento. Quanto ai non molti lacerti di zar-
zuelas superstiti, li si rintracciano nei cancioneros manoscritti, rac-
colte di "arie" (o, per dirla alla spagnola, di tonos) a voce sola e
basso continuo destinate all'uso domestico.
La debolezza intrinseca e nel contempo la forte suggestione del
tentativo di Calder6n sta nella serie di divieti e prescrizioni che,
nelle due opere del 1659-60 come nelle zarzuelas di soggetto mito-
logico, regolano la distribuzione degli stili di canto tra i personaggi
d'un'azione drammatica. Per quel poco che le fonti superstiti con-
sentono di dire, tali regole sono di natura simbolica (e congruenti,
del resto, con l'uso spagnolo di distinguere fin nella denominazione
tra tonos humanos e divinos, arie profane e spirituali). Una voce
(o coro) fuori scena sta per la voce di Dio, origine e fonte di ogni
armonia. Lo stile recitativo d'impronta italiana è riserbato alle divi-
nità precristiane (lo stile per metà canoro, ossia "divino", e per
metà parlato, ossia "umano", denota la loro natura di prefigurazioni
imperfette della divinità cristiana). La soavità d'una melodia cela
perlopiù seduzioni diaboliche. Ai personaggi rustici e inferiori com-
petono le coplas, formule melodiche stereotipe che, ripetute quante
volte bastano, si prestano a consumare - narrativamente più che
recitativamente - lunghe porzioni di dialogo in quartine (in Celos
aun del aire matan una copia siffatta viene ripetuta una quindicina
di volte, e consecutivamente per tre scene, con un effetto di mec·
canica iterazione e di indifferenza all'elocuzione del testo che è
l'antitesi più radicale immaginabile al recitativo italiano: del resto
la sistematica organizzazione strofica del dialogo drammatico è uno
dei caratteri primari che distinguono la comedia nueva di Lope de
Vega e di Calder6n dal teatro poetico italiano, di regola intessuto
- come il recitativo operistico, di cui ~u il modello - appunto in
MUSICHE TEATRALI IN INGHILTERRA E IN SPAGNA 279
Come già nel Quattro e nel Cinquecento (cfr. voll. III, § 24, e IV, Let-
tura n. 4), la musica fu anche nel Seicento ingrediente prestigioso dei più
memorabili banchetti di corte. Si riproduce qui (infliggendo qualche taglio
al sesquipedale menu) l'assetto del banchetto dato dal granduca di Toscana
il 19 ottobre 1608 nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio per lo spo-
salizio dell'erede al trono. La descrizione - ricavata da una fonte autorevo-
lissima, il trattato di banchetti Lo scalco prattico (Roma, 1627) dell'insigne
cuoco Vittorio Lancellotti da Camerino - è interessante a vario titolo. Come
nei banchetti ferraresi del secolo precedente (cfr. «Rivista italiana di musi-
cologia», X, 1975, p. 216 sgg.), gli intermezzi musicali tra una «portata»
e l'altra fungono da veri e propri entremets: momenti di sollievo e diverti-
mento dei sensi, cesure e al tempo stesso collegamenti tra le fasi successive
dell'evento conviviale. Ma alla esuberante congerie cinquecentesca di offerte
musicali diverse subentra qui un'organizzazione complessiva degli intermezzi
musicali, tutti omogenei tra loro e tutti convergenti sull'apoteosi del gran
«concerto» finale (più di 150 esecutori, a detta d'un testimone): su macchine
semoventi compaiono e scompaiono personaggi allegorici che rendono canoro
tributo agli sposi e alla dinastia. Più che farcito di episodi musicali e spetta-
colari, il banchetto è trasformato esso stesso in un grande spettacolo cerimo-
niale, di cui i convitati sono, oltre che spettatori, comparse: sulla stupefa-
zione (presto esaurita) prevale l'autorappresentazione. Semmai si ammirano
le prestazioni straordinarie, letteralmente ineffabili (cfr. § 10), dei cantanti,
nominati ad uno ad uno (Vittoria Archilei, Ippolita Recupito, Melchiorre
Palantrotti, Francesca e Settimia Caccini figlie di Giulio Romano: il fior fiore
del virtuosismo canoro di Roma e Firenze). Il canto virtuoso a voce sola è
prerogativa principesca, rarità privilegiata (cfr. § 3), e proprio come attri-
buto della supremazia fiorentina esso viene esibito in una mess'in scena che
ne garantisce la reclamizzazione d'alto rango. Un banchetto siffatto, invero,
è (come tutti i restanti festeggiamenti spettacolari di quelle nozze, di cui si
legge un resoconto critico in «Acta musicologica», LV, 1983, p. 89 sgg.: due
favolette in musica del Chiabrera; il giuoco del calcio a S. Croce; una veglia
da ballo a Palazzo Pitti; la favola pastorale Il giudizio di Paride - soggetto
prediletto per nozze, fino al Pomo d'oro viennese del 1668, cfr. § 24! - reci-
tata agli Uffizi con sei intermedi musicali; un balletto a cavallo in S. Croce;
il combattimento navale degli Argonauti sull'Arno; ... ) anche un messaggio
di potere e di sfarzo inviato al mondo intiero (o, più concretamente, alle altre
corti europee). Non a caso le informazioni più minute delle festività fioren-
tine e de~e macchine spettacolari messe in opera si leggono nel carteggio
284 LETTURE
tro piatti, e }'altre quindici, due piatti per tavola, nelle quali erano
darne, che furono servite da' loro mariti e fratelli. A piedi della
sala incontro alla tavola reale era una bellissima credenza di bacili,
piatti imperiali, reali e mezzani, panattiere, tazze di più sorti, fatte
di zuccaro tanto al naturale che molti restarono aggabbati, né fu
mai visto cosa più bella.
Pasticci in forma di rosoni, di vitella ... con sei palle intorno fatte di pasta
di marzapane, con tre gigli in faccia nella palla azzurra ...
Salami spaccati serviti con una corona imperiale sopra di pasta di
zuccaro ...
Pavoni con ale, code e collo alto di pasta di zuccaro ... ; il petto del pavone
lardato minutamente di lardelli di cucuzzata ...
Ova misside, a modo di una montagnuola ... con li tre gigli miniati d'oro,
tramezzati d'arme della Serenissima sposa fatte di pasta di pistacchiata
... con diverse imprese di casa d'Austria e Medici ...
Sommate, con sapore di visciole sopra ...
Bianco magnare di mezzo rilievo in forma di gigli ...
Galli d'India arrosto lardati di lardelli di cedro condito ...
Gelatina di mezzo rilievo, con galli d'India sotto a modo d'aquila reale ...
Gigli ripieni di conditi fatti di pasta di marzapane ...
Presciutti agghiacciati di zuccaro, serviti sopra sei busti di leone ...
Crostate di conditi, con cannelloni confetti sopra ...
Un carro dorato, tirato da quattro colombe bianche di pasta di zuccaro,
con un Cupido della medesima pasta con le redini in mano, carico di cedri
conditi. ..
Un altro carro tirato da due capponi bianchi di pasta di zuccaro ... carico
di marzapanetti.
Un altro carro tirato da due conigli bianchi con cocchiero carico di
pizzette di pistacchiata.
Un altro carro tirato da due pollancotte d'India bianche carico di
cucuzze di Genova grosse ...
Un leone, un cavallo con uomo armato sopra, un'aquila, un orso di
butirro ...
La regina di Francia fatta di pasta di zuccaro, a cavallo ...
Il re di Francia a cavallo in atto di guerreggiare ...
Secondo servizio.
Terzo servizio.
Starne bollite, coperte con una podritina di fettoline di cardi e di tartu-
fali, fette di sommata e di presciutto ...
Pagnotte ripiene di cotogni siroppati, ova misside, cedro condito e pistac-
chiata, cotte in forno ...
Fagiani arrosto affagianati, levati poi dalla carta, serviti in canestrelle
di pasta di marzapane ...
Pasticciotti sfogliati, di vitella, bocconi d'animelle, fette di presciutto,
pignoli, fettoline di tartufali, rossi d'uova e suo brodetto ...
Polpettoni reali tondi, grandi quanto era il fondo d'un piatto reale, di
vitella, animelle, medola ...
Torte fatte con amandole atturate in bianco, petto di cappone arrosto,
fegatelli di pollo arrosto ...
Olive in porcellana; uva pergolese, con salviette sotto ...
Quarto servizio.
Teste di vitella senz'osso, servite con una zuppa imperiale sotto ...
Galli d'India arrosto, serviti con un festone intorno di pasta di mar-
zapane ...
Piccioni in addobbo fritti, serviti con fette di pane di Spagna ...
Rosoni di pasta di sfoglio, ripieni di cotognata ...
Vitella arrosto, servita con tartarette intorno di bianco magnare ...
Crostate di melappie, con fette di cucuzzata ...
288 LETTURE
e"
Le accoglienze (Torino 1620) La dé!ivrance de Renaud (Parigi 1617) Oberon (Londra 1611) ...,:-::
...,
le Infante concertano un balletto il sedicenne Luigi XIII celebra con un balletto di corte I' as- corteo di entrata dei sovrani e degli
con le loro dame e invitano le dame sunzione del potere e la cessazione della reggenza della regina- ambasciatori di Spagna e di Venezia t:'1
"
della nobiltà cittadina madre e dei di lei consiglieri; sceglie personalmente il soggetto nella sala dei banchetti, pronta per lo
ostentazione delle toilettes delle tassesco del balletto: la liberazione di Rinaldo dagli incante- spettacolo (pifferi)
dame sul corso cittadino simi malèfici di Armida
banchetto ducale: gastronomia e la scena è allestita nella sala grande del Louvre
musica in forme più modeste che
a Firenze nel 1608 (cfr. lettura 1!);
la nobiltà non ammessa al ban-
chetto ducale passa il tempo
ballando
accesso alla sala di dame e cavalieri,
indi della famiglia regnante (suono
[ANTIMASQUE:]
di trombe)
sipario: il tempio della Gloria, il sipario: prospettiva di palazzo e un paesaggio arretrato sipario: rocce oscure, chiaro di luna
giardino delle Virtù, il Parnaso 'coRo INVISIBILE: invito alle gioie dell'amore (grande concerto un Satiro (suona il corno tre volte),
le Infante con 12 dame; la di 64 voci, 28 viole, 14 liuti) poi dieci Satiri che dialogano confu-
Fatica che combatte le fiere; i mutazione: montagna rocciosa, una grotta orridamente amena samente con movenze bizzarre, in-
Vizii neghittosi; le Virtù ope- fine il loro prefetto Sileno, che an-
rose; otro Poeti laureati e le Rinaldo [ = il duca di Luynes confidente del re] assopito; nuncia l' arnrn del Principe delle Fa-
nove Muse sopra di lui il Demone del fuoco[= il re che arde d'amore te Oberon [ = il sedicenne principe
per i sudditi fedeli e di sdegno per i nemici] e 12 Demoni Henry, primogenito di Giacomo I]
:\!ADRIGALE DEI.LA FATICA: esorta [=gentiluomini] lasciati da Armida a guardia di Rinaldo; si aprono le rocce: appare splendido il
alla virtù e bandisce i Vizii Rinaldo avanza verso il proscenio, il re discende alcuni gra- palazzo illuminato di Oberon
BALI.ETTO GROTTESCO DEJ VIZII FUG- dini al suono di 24 Spiriti (24 violini)
GIASCHI (tromboni e cornetti) due Silvani dormienti a guardia del
l ENTRÉE DI BALLETTO DI RINALDO COI DEl\lONI DEL Fuoco, palazzo: i Satiri li stuzzicano e
motteggiano (cantano un canone
DELL' ACQVA, DELL'ARIA burlesco), Sileno li interroga
ENTRÉE BIZZARRE E STRAVAGANTI DI SPIRITI E DEMONI CANZONE DEI SATIRI ALLA LUNA
BALLETTO DI 14 PERSONAGGI: Rinaldo e i 23 Demoni { BALLETTO GROTTESCO (BRANLE) DEI
i Demoni spariscono; entrano due Cavalieri corazzati all'an- ' SATIRI
tica (musica di trombe); per incantesimo di Arrnida la scena
si tramuta in un
giardino delizioso con tre fontane zampillanti
emerge nna Ninfa nurb. e-- ~c-~rmic!:H~ta.
AlR Dl::.LLA NINFA: intìma ai CavaHeri di lasciare Rinaldo ad
Armida
compaiono sei Mostri; due gufi-giureconsulti, due cani-
contadini, due scim.mie-damigclle; i Mostri attaccano i
Cavalieri
! ENTRÉE BUFFA/GRAVE DEI MOSTRI E DEI CAVALIERI
i Mostri fuggono e i Cavalieri scorgono Rinaldo
AIR. m RINALDO: canta la propria beatitudine amorosa
[?mmtÉE DEI CAVALIERI CON RINALDO]: i Cavalieri liberano
{
Rinaldo dalla sua dorata cattività
Annida accorre, assiste disperata alla desolazione dd giar-
dino incantato, convoca i propri Ministri demoniaci, tre
in forma di gamberi, due di tartaruga, due di lumache
AIR. m .AltMmA: redarguisce i Mostri
{ ENTRÉE DEI MOSTRI E LORO METAMORFOSI IN ORRIBILI VECCHIE [MASQUE:]
compare la Virtù Eroica, con terremoto: il gimdino d'Armida si tramuta in nuda ClltlfflltJ; entrtl al canto del gallo si apre il pa/auo: e:
2!
sergentino e cornucopia, attri- in scena, su un amel/o, un bosco folto; sullo sfondo, rovine antiche compare il Popolo delle Fate, che cir-
1:11
buti di imperio e ricchezza conda i Cavalieri [ = i 1) gentiluomini
nd bosco, Pietro l'Eremita che con la sua sapienza aveva masquers], che circond4no Oberon
•l"'
QUARTINE DELLA Vm:rù EROICA ordito la liberazione di Rinaldo, e 16 Soldati dell'esercito l"'
(musica di S. d'India, cfr. S il carro trionfale di Oberon trai- l'l
di Goffredo "1
3): esorta le Virtù ad assistere nato da orsi bianchi e guidato dai "1
Madama Reale nella sua venuta CORO DEI SOl.oAn DI GOFFREDO: alla ricera di Rinaldo Silvani avanza verso il proscenio o
DIALOGO CANTATO DELL'EREMITA COI SOLDATI: annuncio della (squilli di trionfo) t:l
~
{ BALIErrO DELLE VIRTÙ («sinfonia~
di «cento voci» e strumenti) { liberazione di Rinaldo CANZONE all'indirizzo di re Artù ('l
compare Apollo CORO [E BALI.ETIO?] DI GIUBILO (92 voci e più di 45 strumenti) [ = Giacomo I, seduto in sala] ,.o
disconi d'encoinio di un Silvano "1
MADRIGALE DI AJ'Ou..o: invita i l'l
Poeti a celebrare Cristina e di Sileno
>-j
BALIErrO DELLE MUSE E DEI PoETI CANZONE m DUE FATE (due ragazzini o
,.
{ («armonia drammatica e al suono di 10 liuti) ~
lv
-,:,
....
N
~
N
Le accoglienze (Torino 1620) La délivrance de Renaud (Parigi 1617) Oberon (Londra 1611)
si apre il tempio della Gloria: com- scomparso il bosco mobile, appare il padiglione dorato di Gof- CANZONE APIENO CORO: esortazione al t""'
l'1
paiono su un arco trionfale l'Onore, fredo, con palme e trofei di vittoria ballo dei masquers -i
la Vittoria e la Fama -i
apoteosi di Goffredo [ = il re] e dei suoi Cavalieri [ = gli stessi { BALLETTO D'ENTRATA DEI MASQUERS: e:
gentiluomini che impersonavano all'inizio i Demoni] in Oberon e i Cavalieri ballano
MADRIGALE DELL'ONORE: esorta le l'1
"
splendido addobbo; a un segnale del re, sceso dal trono, CANZONE: incitamento a proseguire le
Infante ad accogliere degna- ha inizio il
mente Madama Reale danze dei masquers
{ GRANDE BALLETTO DELLE INFANTE GRANO BALLET TRIONFALE (violini) { BALLETTO GRANDE DEI MASQUERS: Obe-
CON LE LORO DAME (violini) indi il ron e i Cavalieri ballano a lungo
riverenza delle Infante a
Madama Reale («dolcissima CANZONE: esortazione ad aprire le
melodia» corale e strumentale) danze collettive
BRANDO BALLATO DALLA FAMIGLIA GRANDE BALLO COLLETTIVO REVELS (BALLI COLLETTIVI) DEI
{ REALE AL COMPLETO, E BALLO MASQUERS CON LE DAME DEL PUB·
COLLETTIVO (violini) BLICO: scesi dalla scena, il principe
Henry [ = Oberon] con la regina,
pubblicazione del cartello di gli altri masquers con altre dame
disfida per un torneo ballano una pavana, un coranto,
una gagliarda, un branle de Poitou
eccetera
a un segnale discreto del re appare
Phosphorus, la stella del mattino
CANZONE DI UN SILVANO: annunzia la
fine della notte e dei balli
Phosphorus esorta gli astanti a
ritirarsi
BALLETTO DI COMMIATO DEI MASQUERS
E DEI SATIRI
CANZONE A PIENO CORO: riverenze dei
! masquers all'indirizzo delle Loro
Maestà
i sovrani col loro séguito e gli amba-
sciatori si avviano verso il banchetto
imbandito
UN BALLETTO DI CORTE: TORINO 1620 293
una tromba in mano, sciolse il canto dalla più alta parte del tem-
pio in queste parole:
della foggia aiutata poi anca dalla grazia del portamento. Perché
la veste di tela d'oro e d'argento riccia sopra riccia guernita di sei
giri o vie di ricamo largo più di due dita tutti di vernigli d'oro rile-
vati si serrava come un'armatura al busto ed allargava quindi le
falde, che radevano la terra, come pure la punta della manica aperta
con fodra di tela d'oro di colore incarnato, che tagliata a fogliami
sfuggendosi a guisa di palma era della medesima lunghezza. Risplen-
deva alle spalle il manto di lama fina d'argento, che cadendo e dila-
tandosi con bella pompa si raccoglieva indi per li cantoni alla cin-
tura ove si allacciava al girello alto due palmi e mezzo tutto rica-
mato di vernigli sopra il fondo di lama d'oro. Ma di vaghezza ammi-
rabile e di prezzo quasi inestimabile si partiva nel petto il collaro,
chiudendo nello spazio di mezzo una gran gioia, questa e quello
composti di diamanti e d'altre gemme in tanta quantità ed in qua-
lità tali che ne rimase superato il lume dei doppieri accesi intorno
al salone ed abbagliati gli occhi dei riguardanti. Cosl dunque avan-
zandosi oltre cominciarono al suono de' violoni con piacevole maestà
e con maestosa piacevolezza il loro balletto di quaranta figure bel-
lissime, formando dall'una all'altra per un'ora continua diversi pas-
saggi in corrente ed in gagliarda con tanta giustezza e cosl bene
a tempo, che pareva fatto per costume, e non ad arte. Terminando
finalmente il detto balletto vicino alla grande scalinata, dopo una
gran riverenza furono condotte da Sua Altezza e da' Sereniss. fra-
telli a sedere con le Sereniss. cognata e sorella, da' quali furono
ricevute con molta allegrezza, mentre tutti gli stromenti e tutte
le voci sentite prima separatamente accordandosi insieme fecero
una dolcissima melodia. Indi tacendo questi ripigliarono i violoni
soli un brando ballato dalle Sereniss. Altezze, ed altre danze di
favore per buono spazio a piacere di quelle dame e de' cavalieri,
ed in questo modo s'impose il fine a quella festa.
[A questo punto un araldo con trombe "pubblica" il cartello di disfida
al torneo del principe Filiberto sotto nome di Prencipe Fiammidoro.]
CONDIZIONE SOCIALE E INTELLETTUALE DEL MUSICISTA 301
zia: sicché deposi del tutto gli altri studi e mi dedicai con la mas-
sima diligenza allo studio della musica. Nel quale coll'aiuto di Dio
ebbi tanto successo da poter pubblicare in Venezia (tre anni dopo
il mio arrivo, e un anno prima di lasciare l'Italia) la mia prima opera,
in lingua italiana (dedicata con ogni gratitudine al landgravio Mau-
rizio), ottenendone la lode particolare dei meglio musici di Vene-
zia. E dopo aver pubblicato questa mia prima operina fui esortato
e incoraggiato non soltanto dal mio precettore, Giovanni Gabrieli,
ma anche dal maestro di cappella [di S. Marco] e da altri musici
illustri a perseverare nello studio della musica, dove avrei raccolto
i più felici successi. Trattenutomi in Venezia un anno ancora (a
spese, questa volta, dei miei genitori) per perfezionare gli studi,
venne a morte il mio precettore: sul suo letto di morte, egli dispose
e ordinò al proprio confessore, un agostiniano, che mi venisse affi-
dato un certo suo anello a sua perenne memoria. Aveva dunque
avuto ragione il landgravio Maurizio di sostenere che chi avesse
voluto approfittare degli insegnamenti di quell'uomo di grandis-
simo talento non doveva esitare un minuto a portarsi alla sua scuola.
Rientrato dunque nel 1613 per la prima volta dall'Italia in Ger-
mania, divisai tra me e me di coltivare per qualche anno ancora
segretamente gli studi musicali - nei quali avevo posto ormai buone
fondamenta-, per produrmi poi al momento buono con qualche
opera davvero degna. Né mi mancarono stimoli e ammonimenti
assidui dei miei parenti a procurarmi in altri campi con le mie sia
pur modeste qualità merito e stima, e a considerare la musica come
un passatempo: come finalmente mi lasciai convincere a fare. Stavo
dunque per rimettere mano ai libri tanto a lungo trascurati quando
piacque a Dio onnipotente - che senza dubbio fin nel grembo di
mia madre m'aveva predestinato alla professione della musica -
di farmi chiamare a Dresda nel 1614 per il servizio del battesimo
del duca Augusto, oggi amministratore dell' arcicapitolo di Mag-
deburgo, e - dopo che ebbi data buona prova di me - di farmi
offrire in nome di V.A.S. la direzione della Vostra cappella. Al
che i miei genitori non vollero contrastare oltre la volontà divina,
ed io fui indotto ad accettare con devota gratitudine la condizione
onorifica che mi si offriva, determinato a sostenerla con il mas-
simo zelo. Quali siano poi stati dal 1615 (anno della mia nomina
al posto nel quale persevererò fintanto che a Dio e a V.A.S. pia-
cerà) ad oggi, per lo spazio di 35 anni e passa, i miei compiti di
312 LETTURE
Benevolo lettore.
È noto e risaputo come, venuto agli occhi e tra le mani di noi
tedeschi, lo stile di composizione concertato sopra il basso conti-
nuo proveniente dall'Italia tanto ci sia piaciuto da trovare più
seguaci di qualsiasi altro stile prima d'esso: ne danno copiosa testi-
monianza svariate opere musicali pubblicate e vendute dai nostri
librai musicali. Ora, non vorrò io certo biasimare siffatta propen-
sione: al contrario, in essa riconosco nella nostra stessa nazione
buon numero di ingegni abili e dotati a professare la musica, ai
quali non invidio le meritate lodi, e vi aggiungo di buon grado le
mie. Ma è d'altra parte fuor di dubbio - e lo sanno tutti i musici
educati a una buona scuola - che nel difficilissimo studio del con-
trappunto nessuno potrebbe intraprendere in buon ordine e trat-
tare convenientemente altro tipo di composizione, qualora prima
non si sia bastantemente esercitato nello stile senza basso conti-
nuo, e non si sia cosl ben fornito dei requisiti necessari d'una com-
posizione regolata - che (tra gli altri) sono: le disposizioni dei modi;
le fughe semplici, miste e inverse; il contrappunto doppio; le diver-
sità dei vari stili musicali; la condotta melodica delle singole voci;
la connessione dei soggetti; eccetera-, di cui scrivono diffusamente
gli eruditi teorici e vengono istruiti a viva voce gli studenti del
contrappunto in schola practica: senza dei quali per un composi-
tore esperto non si dà composizione veruna (anche quando essa
volesse parere un'armonia celestiale ad orecchie poco addestrate
alla musica), oppure non varrà più d'una noce vuota.
CONSAPEVOLEZZA STORICA E CONSAPEVOLEZZA STILISTICA 315
Nei suoi 36 anni di vita Henry Purcell accumula molti offici alla corte
inglese (compositore ordinario dei violini di corte, organista a Westminster
Abbey, cantore e organista della cappella reale, accordatore degli strumenti
del re); l'intensa attività teatrale ed editoriale e didattica fuori della corte
integra i magri salari reali, ma gli conquista anche la stima universale della
metropoli londinese. Muore nel 1695, la vigilia di santa Cecilia, una festa
che egli aveva tante volte sonoramente celebrato con le sue odi in lode della
musica (cfr. § 18). Il compianto dei letterati e dei musicisti è unanime: ci
è pervenuta una dozzina di componimenti poetici pubblicati in morte di Pur-
cell. Il musicista vi viene paragonato a Davide, ad Anfione, ad Orfeo (Orpheus
Britannicus è il titolo di due volumi postumi di sue musiche vocali), a Virgi-
lio, Tiziano, Michelangelo, artisti "divini" per eccellenza: lusinghiero è anche
l'accostamento ai nomi di due musicisti coevi come Corelli e Lully, nomi
in cui già prima del 1700 la coscienza artistica europea riassume la "clas-
sica" perfezione delle due tradizioni musicali dominanti, l'italiana e la fran-
cese (da ambedue Purcell aveva attinto con inventiva voracità, cfr. § 26).
Soprattutto, però, per piangere Purcell - come per qualsiasi altro soggetto
poetico di natura musicale - i poeti inglesi dispongono di un dovizioso arse-
nale di immagini che illustrano la potenza degli effetti musicali, un reperto·
rio di topoi che si è sedimentato per tutto il Cinque e il Seicento, e che cumula
MUSICA CELESTIALE E "TOPOI" POETICI 31i
II
m
The heav'nly choir, who heard his notes from high,
let down the scale of music from the sky:
they handed him along,
and all the way he taught, and all the way they sung.
MUSICA CELESTIALE E "TOPOI" POETICI 319
II
m
I cori celesti, sentita dall'alto la sua voce,
calarono dal cielo la scala della musica,
e nella salita l'accompagnarono:
lungo il cammino egli li ammaestrava, lungo il cammino essi cantavano.
Voi confratelli dalle lire e dalle voci armoniose,
compiangete il suo destino, ma rallegratevi del vostro.
Vivete sicuri e trascorrete tranquilli i vostri giorni.
Soltanto dei canti di Purcell gioiscono gli dèi,
né saprebbero mai fare altra scelta.
320 LETTURE
Nel 1680 in Venezia sono attivi simultaneamente sette teatri dediti all'o-
pera in musica. La concorrenza - artistica e commerciale - è acuta; le leggi
di mercato si ripercuotono sulla politica dei prezzi d'ingresso non meno che
sui criteri di programmazione; da tre anni è aperto un teatro d'opera "povero",
il S. Angelo, che pratica prezzi accessibili al «popolo» oltre che ai «nobili
e mercanti»; da due anni i fratelli Grimani - nobiluomini dediti da lunga
data alle iniziative teatrali - hanno inaugurato il più grande e suntuoso dei
teatri d'opera, un vero e proprio teatro di lusso, il S. Giovanni Grisostomo,
dove - accompagnati da un'orchestra teatrale numerosa come mai prima d' al-
lora - compaiono in scena i migliori cantanti delle corti europee. Intanto,
nella sua villa di Piazzola sul Brenta, il procuratore Marco Contarini «con
eroica generosità e magnificenza» allestisce uno splendido teatro d'opera per
la villeggiatura: un teatro privato di corte in piena regola, proprio nel momento
della maggior espansione dei teatri impresariali cittadini. I duchi di Braun-
schweig - fornitori di milizie alla Serenissima - soggiornano lungamente in
Venezia e patrocinano compositori e cantanti d'opera. Per carnevale, altri
sovrani (i duchi di Modena e Mantova con particolare assiduità) frequen-
tano i teatri. Il «Mercure galant» di Parigi riferisce le impressioni teatrali
dei turisti di rango.
È in questo clima d'euforia teatrale che il canonico di S. Marco Cristo-
foro Ivanovich (un dalmata residente in Venezia dal 1657) dedica nel 1681
ai fratelli Grimani le Memorie teatrali di Venezia, un «trascorso isterico» (ossia
una cronistoria) sull'origine, le funzioni e l'organizzazione dei teatri d'opera
veneziani che - a meno di mezzo secolo dalla loro istituzione - ne sancisce
per la prima volta la storia ormai già illustre. Librettista in proprio, l'Ivano-
vich pare però interessato a descrivere più la configurazione impresariale dei
teatri e il loro significato ideologico e civile - frequenti i richiami all'impor-
tanza politica del teatro, strumento d'autorità e di controllo sociale - che
non la loro organizzazione artistica. I teatri sono un vanto repubblicano di
Venezia (che si considera legittima discendente della repubblica romana: un
tema che - ricondotto alle origini troiane di Roma - appare con frequenza
nei soggetti operistici veneziani dei primi decenni; cfr. § 21): ma in essi si
realizza altresl quel venezianissimo connubio di arte e negozio, profitto este-
tico e investimento finanziario che l'Ivanovich illustra partitamente (acqui-
sizione del capitale iniziale e entrate annuali garantite mediante assegnazione
ed affitto dei palchetti; spese fisse e spese di gestione per l'allestimento e
la rappresentazione dei drammi; entrate serali condizionate dal successo).
Oltre i capitoli riprodotti qui, le Memorie teatrali - che si concludono
con una tavola cronologica dei drammi per musica (poco meno di duecento)
rappresentati a Venezia tra il 1637 e il 1681 - trattano pure delle vicende
che condussero all'apertura del primo teatro nel 1637 (cap. V), della storia
dei teatri di Venezia prima del 1637 (VIII), delle procedure per l'assegna-
L'ORGANIZZAZIONE IMPRESARIALE DEI TEATRI VENEZIANI 321
Capitolo IV: De' teatri romani, e della differenza che v'è tra quelli
e questi di Venezia.
[Segue qui una storia sommaria dei dodici teatri d'opera attivi in con-
tinuità o a intermittenza tra il 1637 e il 1681 a Venezia: S. Cassiano,
aperto all'opera in musica nel 1637; S. Salvatore, 1661; SS. Giovanni
e Paolo, 1639; S. Moisè, 1640; Novissimo, 1641; SS. Apostoli, 1649;
S. Apollinare, 1651; Teatro ai Saloni, 1670; S. Samuele, 1656 (dedito
in realtà soltanto alle commedie); S. Angelo, 1677; S. Giovanni Griso-
stomo, 1678; teatro a Cannaregio, 1679.]
Il più certo utile che ha ogni teatro consiste negli affitti de'
palchetti. Questi sono almeno in numero di cento, oltre le soffitte
compartite in più ordini, e non tutti hanno lo stesso prezzo, men-
tre questo si considera dall'ordine e dal numero, che migliora il
sito de' medemi. [... ] Sogliono dal principio che si vuol fabricare
un teatro praticarsi due capi d'utilità, il primo un regalo in denaro
per cadaun palchetto (e questo serve in gran parte alla spesa della
fabrica, e questa è stata la causa principale che si siano fabricati
più teatri con tanta facilità e prestezza), il secondo si conviene in
un affitto annuale, e si paga ogni volta che in quell'anno fa recitar
il teatro, non altrimenti venendo fatto questo pagamento in riguardo
della spesa che impiega il teatro e del comodo che riceve chi lo
tiene ad affitto. Il jus poi che acquista il possessore d'esso palchetto
326 LETTURE
può esser più onesto di quello che vien suggerito agli uomini
dalla stessa Virtù? [... ] Il giocondo poi non può esser maggiore
di quello che nasce dall'armonie insegnate sino dal moto delle
sfere: onde, aggiunte queste all'altre circostanze del teatro, lo
rendono in tre forme godibile, all'occhio per la pompa, all'orec-
chio per la musica, e all'ingegno per la poesia. [... ] L'utile, final-
mente, come necessario stromento a sostenere il concetto del tea-
tro con le spese toccate nell'antecedente capo e ad inanimire la
volontà all'operazioni virtuose, di cui l'interesse è un caro alletta-
mento. Diversi sono gli utili che si cavano dal teatro: il primo,
dei bollettini [ossia biglietti] che servono di passaporta ogni sera;
il secondo, degli scagni che s'affittano pure di sera in sera; il
terzo, la contribuzione convenuta per botteghini che servono di
rinfreschi. Tutti questi utili si fanno considerabili quando incon-
tra [buon successo] l'opera, la cui riuscita o buona o cattiva dipende
da mille accidenti per lo più originati da' giuochi stravaganti d'una
ridicola fortuna, che ordinariamente suole sposarsi col giudicio
del volgo. L'ultimo utile che si ricava è quello degli affitti de'
palchetti, che per esser in numero quasi di cento diviene conside-
rabile: e questo, o riesca o no il dramma, sempre è lo stesso,
né può mancare annualmente ogni volta che recita il teatro in
quel carnovale. L'utile poi che si cava dal teatro della comedia
consiste [unicamente] negli affitti de' palchetti, mentre ogni altro
utile è de' comici: a' quali è tenuto il padrone del teatro a far
un regalo di quello che si cava da essi palchetti.
Le spese del teatro sono più che certe; ma gli utili, derivando
(come s'è detto) dagli scherzi di fortuna, sono incerti. Pure il tea-
tro studia sempre più d'accrescer i suoi aggravii; ma l'utile della
porta, ch'è fondamento principale dell'interesse, invece di crescere
si va diminuendo, con evidente pregiudizio e pericolo di tralasciarsi
la continuazione di questo nobilissimo trattenimento. Il poco prezzo
lieva il modo alla spesa considerabile delle pompe, introduce più
facilmente il volgo ignorante e tumultuario, e fa perder il decoro
328 LETTURE
a quella virtù che comparisce non meno per diletto che per pro-
fitto. L'anno primo che comparl in Venezia il drama in musica (fu
del 163 7) si limitò come onesta contribuzione il pagamento di lire
quattro per bollettino [ossia biglietto] che serve di passaporta
nel teatro. Durò l'uso della medema inalterabile, nonostante qual
si sia fortuna sinistra incontrassero le recite, sino l'anno 1674, e
durerebbe ancora se Francesco Santurini quell'anno, col comodo
del teatro di S. Moisè preso ad affitto vantaggiosamente, con le
scene e materiali che servirono l'anno innanzi ad una generosità
accademica e con una mediocre compagnia de' cantanti, non vio-
lava l'integrità dell'uso suddetto, con un quarto di ducato [ossia
meno di due lire] alla porta. Questa novità vantaggiosa piacque
all'universale, ond'egli allettato dal profitto, venendogli contrastata
la continuazione del teatro di S. Moisè suddetto, pensò e gli sortl
di fabricar il teatro di S. Angelo, col beneficio del regalo di pal-
chetti, ed aprirlo col prezzo medemo alla porta l'anno 16 77 [... ].
Un calo eccedente la metà [nel prezzo del biglietto] allettò il con-
corso col pregiudicio de' teatri soliti a ricever le lire quattro sud-
dette, facendo che il famoso teatro di SS. Giovanni e Paolo si ridu-
cesse dopo quaranta anni di così decorosa contribuzione al sud-
detto quarto [di ducato] l'anno 1679, e coll'esempio di lui l'anno
1680 quelli di S. Salvatore e di S. Cassiano, non rimanendo altro
[teatro] al prezzo primiero che il novissimo di S. Giovanni Griso-
stomo, dove si vede impiegata tutta la magnificenza maggiore da'
[... ] fratelli Grimani.
Nel Seicento italiano l'opera in musica non fu mai fatta oggetto di consi-
derazione critica né dagli uomini di cultura né da quelli di teatro (con le sole
eccezioni di due napoletani, il letterato Giuseppe Gaetano Salvadori e il com-
mediante e librettista Andrea Perruccio, che nei rispettivi trattati sopra la
Poetica toscana all'uso, 1691, e Dell'arte rappresentativa premeditata ed all'im-
provviso, 1699, dedicano alcune righe pertinenti alle esigenze specifiche del
teatro d'opera). In Francia invece, nel grand siècle dell'arte tragica e comica,
una critica teatrale avvertita e sperimentata intervenne assiduamente nel set-
tore del teatro in musica: ma lo fece quasi sempre con criteri esclusivamente
letterari e rigorosamente classicistici, donde una considerazione generalmente
negativa di quella stessa forma spettacolare che nella vita teatrale della corte
e della capitale godeva invece d'un prestigio altissimo. Anche i difensori del-
1' opera - accusata di ledere le leggi della verosimiglianza, del decoro, delle
unità aristoteliche di tempo, luogo e azione - controbattono con argomenti
letterari, e non rendono dunque mai vera giustizia alla struttura drammatur-
gicamente peculiare della tragédie lyrique (cfr. § 25). Questa stessa prospet-
tiva critica (con tutte le sue congenite incongruenze) mutuarono quegli intel-
lettuali italiani che a partire dagli anni intorno al 1700 intervennero sull'o-
pera (cfr. § 19, e voi. VI, Lettura n. 3).
In mancanza d'una tradizione letteraria illustre come l'italiana o la fran-
cese, ma in presenza d'una preoccupazione etico-religiosa tanto più acuta,
la Germania - che dall'Italia aveva importato il nuovo genere teatrale-musicale
(cfr. § 24) e dalla Francia la controversia su di esso - produsse una tradi-
zione critica cospicua sui problemi morali, estetici, drammaturgici dell'opera:
una tradizione che percorre con vigore tutta la critica letteraria e teatrale
tedesca dell'intiero Settecento (cfr. G. FLAHERTY, Opera in the development
of German criticai thought, Princeton University Press, 1978). Il librettista
amburghese Barthold Feind (16 78-1721) interviene con spirito scettico,
insieme divertito e acre, nella polemica protestante intorno alla liceità morale
dell'opera in musica, ma anche nelle controversie classicistiche dei francesi.
Nei suoi Gedanken von der Opera (1708) egli cita e smentisce a più riprese
il codice classicistico del famosissimo discorso Sur !es opéras del francese Saint-
Évremond (un saggio che, edito nel 1683 e poi frequentemente ristampato,
risale agli anni Settanta; lo si legge in italiano nelle sue Opere slegate, II, a
cura di L. De Nardis, Ateneo, Roma 1964, p. 294 sgg.). La sua esperienza
di uomo di teatro è diretta (Feind è l'autore dei più acclamati drammi per
musica di Reinhard Keiser, come Octavia, Lucretia e Masagniello furioso,
1705-06), la sua esperienza di spettatore è vastissima (egli mostra di cono-
scere bene, e di persona, i teatri d'Italia, di Francia e di Germania): tanto
più prammatica e disincantata è la sua precettistica di drammaturgo musi-
cale. L'ottica del Feind è in primis letteraria: ma della dottrina degli affetti
(cfr. § 9) - dell'importanza reciproca di temperamento, passione, azione dei
330 LETTURE
italiani e dai (sia pur pochi) tedeschi presso i quali l'arte ha rag-
giunto vette incomparabili. [... ]
Da molte persone assennate ho sentito criticare severamente
- se non proprio rifiutare del tutto - le opere, perché in esse si
canta di continuo. Dice Saint-Évremond nel suo discorso Sur les
opéras: «Un'altra cosa nelle opere è talmente contro natura da ferire
la mia immaginazione: è il far cantare il dramma dall'inizio alla
fine, come se i personaggi che si rappresentano avessero ridicol-
mente convenuto di trattare in musica le questioni più minute o
più capitali della loro vita. Possiamo mai immaginarci che un
padrone chiami cantando il suo servitore, che cantando gli affidi
una commissione, che l'amico cantando si confidi con l'amico, che
in consiglio si deliberi cantando, che si esprimano cantando gli ordini
che si danno, e che si uccidano melodiosamente a colpi di spada
e giavellotto i soldati in combattimento?». A me pare che un fan-
ciullo il quale leggesse e vedesse per la prima volta un dramma per
musica darebbe sùbito un giudizio siffatto, ove lo si volesse per-
suadere che si tratta di cose vere e che il poeta abbia voluto dare
per veritiero (tramite gli attori) quello che invece è una finzione.
La verità, nei drammi, viene comunque rappresentata mediante
finzioni: altrimenti non sarebbe certo meno illecito recitare in versi
che cantare. Ci si limita a imitare in qualche modo la natura, e
a chi vuol vedere qualcosa di totalmente naturale offre quotidia-
namente rappresentazioni sempre nuove il gran palcoscenico del
mondo, non certo quello (assai più angusto) delle opere e delle com-
medie. Un dramma è per cosl dire soltanto un giuoco d'ombre,
nel quale si vede nitidamente qualcosa senza però toccare carne
né corpo; e se in pieno giorno si accendono centinaia di lampade
e lo spettatore sta all'opera al buio, chi vorrà convincerlo che gli
attori esigano che egli creda che è notte, quando il sole è ancora
all'orizzonte? Statue, fontane, cascate artificiali eccetera sono e
restano cose naturali anche se non hanno spiriti animati; ma non
s'è mai sentito dire che l'idea che ce ne facciamo sia stata pietrifi-
cata con loro. Il recitativo (di qualsiasi specie praticata nelle opere)
è molto nettamente distinto dalla melodia delle arie, dei canti e
delle canzoni ordinarie. Per chiedere, per raccontare, per ordinare,
per leggere vi sono in musica regole, note e armonie di volta in
volta diverse. Un punto e virgola, un punto fermo, un punto inter-
rogativo, un punto esclamativo, una virgola, un due punti hanno
332 LETTURE
3 • Per Adriana Basile, Leonora Baroni, i Caccini, vedi le "voci" del Dizio-
nario biografico degli italiani: ma per Giulio Caccini e il suo stile di canto,
anche gli studi di H. W. HITCHCOCK (Vocal ornamentation in Caccini's Nuove
musiche, in «The musical quarterly», LVI, 1970, pp. 389-404, e Caccini's
"other" Nuove musiche, in «Journal of the American musicological society»,
XXVII, 1974, pp. 438-460), che ha curato anche le edizioni delle Nuove musi-
che del 1602 e del 1614 (A-R Editions, Madison, Wi. 1970 e 1978), nonché
H. M. BROWN, The geography of Fiorentine monody, in «Early Music», IX,
1981, pp. 147-168. I cinque libri di musiche solistiche di Sigismondo d'In-
dia sono stati pubblicati (con commento) da]. J. Joyce nel vol. IX della serie
Musiche rinascimentali siciliane, dedicata finora in gran parte a musicisti sei-
centeschi (De Santis, Roma 1970-73; Olschki, Firenze 1978 sgg.). Per il
rapporto poesia/musica vedi S. LEOPOLD, Chiabrera und die Monodie: die Ent-
wicklung der Arie, in «Studi musicali», X, 1981, pp. 75-106. Le ricerche di
N. FORTUNE sulla monodia vocale sono compendiate nel cap. IV del vol. IV
di The new Oxford history of music, Oxford University Press, London 1968,
pp. 125-217 (trad. it. Storia della musica, IV, I, Feltrinelli, Milano 1969, pp.
135-232), interessante anche per l'analisi comparativa con la prassi mono-
dica inglese coeva (per il suo massimo esponente si veda la monografia di
D. PouLTON, fohn Dowland, Faber & Faber, London 1972, ed. rived. 1982,
da integrare col numero unico dowlandiano del «Journal of the Lute society
of America», X, 1977).
480-531 (ora anche in R. RoMANO, L'Europa tra due crisi. XIV e XVII secolo,
Einaudi, Torino 1980, pp. 76-147). Ma vedi anche i contributi di storia
sociale, politica ed economica sul Seicento apparsi ripetutamente nella rivi-
sta <i Studi storici» (p. es. quelli dello stesso autore, IX, 1968; di R. VILLARI,
XII, 1971 e XVIII, 1977; di R. PECCHIOLI, XVII, 1976, con rinvio ad altra
bibliografia recente; di I. WALLERSTEIN, XIX, 1978), nonché R. VILLARI,
Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Laterza, Roma-Bari
1987. Per il contesto europeo, il volume Crisis in Europe, 1560-1660, a cura
di T. Aston, Routledge & Kegan Paul, London 1965 (trad. it.: Crisi in Europa,
1560-1660, Guida, Napoli 1968), rappresenta lo stadio del dibattito al 1965,
poi ripreso in The generai crisis o/ the seventeenth century, a cura di G. Parker
e L. M. Smith, Routledge & Kegan Paul, London 1978. Lo stesso concetto
di "crisi" del Seicento è riesaminato (anche polemicamente) in TH. K. RABB,
The struggle /or stability in early modem Europe, Oxford University Press,
New York 1975; J. DE VRIES, The economy o/ Europe in an age o/ crisis,
1600-1750, Cambridge University Press, Cambridge 1976; I. WALLERSTEIN,
Y a-t-il une crise du XVII' siècle?, in «Annales. Économies, sociétés, civilisa-
tions», XXXIV, 1979, pp. 126-144; ID., Mercantilism and the consolidation
o/ European world economy, 1600-1750, Academic Press, New York 1980
(trad. it. Il mercantilismo e il consolidamento dell'economia-mondo europea,
1600-1750, Il Mulino, Bologna 1982); V. G. KIERNAN, State and society
in Europe, 1550-1650, Blackwell, Oxford 1980. Per la storia della cultura
basti citare qui quattro saggi d'eccezione: M. FoucAULT, Les mots et /es cho-
ses, Gallimard, Paris 1966 (trad. it. Le parole e le cose. Un'archeologia delle
scienze umane, Rizzoli, Milano 1967); P. Rossi, !filosofi e le macchine (1400-
1700), Feltrinelli, Milano 1976; F. A. YATES, The Rosicrucian enlightenment,
Routledge & Kegan Paul, London 1972 (trad. it. L'illuminismo dei Rosa-
Croce. Uno stile di pensiero nell'Europa del Seicento, Einaudi, Torino 1976);
J. A. MARAVALL, La cultura del Barroco. Antilisis de una estructura hist6rica,
Ariel, S. Joan Despf 1975 (trad. it. La cultura del Barocco, Il Mulino, Bolo-
gna 1985).
soni, Firenze 1985. Lo stesso APEL ha dato una serie analoga di Studien iiber
die friihe Violinmusik, in «Archiv fiir Musikwissenschaft», XXX-XXXVIII,
1973-81. Per Frescobaldi, il rinnovamento degli studi è recentissimo: F.
HAMMOND, G. F., Harvard University Press, Cambridge, Ma. 1983; C. GAL-
LICO, G. F. L'affetto, l'ordito, le metamorfosi, Sansoni, Firenze 1986; G. F.
nel IV centenario della nascita, a cura di S. Durante e D. Fabris, Olschki,
Firenze 1986; Frescobaldi studies, a cura di A. Silbiger, Duke University Press,
Durham, N.C. 1987; importanti anche i commenti introduttivi ai volumi
dell'edizione critica delle opere frescobaldiane intrapresa dalla Società Ita-
liana di Musicologia nei Monumenti musicali italiani, Suvini Zerboni, Milano
1975 sgg. All'area dei tastieristi nordeuropei si può accedere tramite A. CuR-
TIS, Sweelinck's keyboard music. A study o/ English elements in seventeenth-
century Dutch composition, Oxford University Press, London 1972; ma lo
studio più stimolante su Sweelinck è quello di F. NosKE, Formaformans, in
«International review of the aesthetics and sociology of music», VII, 1976,
pp. 43-59. Per la musica strumentale d'insieme, si vedano in generale W.
S. NEWMAN, The sonata in the baroque era, University of North Carolina
Press, Chapel Hill, N.C. 1959 (rist. 1966), e in particolare E. SELFRIDGE-
FIELD, Venetian instrumentalmusic/rom Gabrieli to Vivaldi, Blackwell, Oxford
1975 (trad. it. La musica strumentale a Venezia da Gabrieli a Vivaldi, ERI,
Torino 1980).
Per la musica da ballo si vedano le "voci" del New Grave cit. e contributi
(peraltro di indirizzo assai vario) come TH. W ALKER, Ciaccona and passacaglia:
remarks on their origins and early history, in «Journal of the American musico-
logica! society», XXI, 1968, pp. 300-320; W. KmKENDALE, L'aria di Fiorenza
id est il Ballo del Gran Duca, Olschki, Firenze 1972; R. HuosoN, Passacaglia
and ciaccona, UMI Research Press, Ann Arbor, Mi. 1981, e Io., The alle-
mande, the balletto, and the tanz, Cambridge University Press, Cambridge
1986; J. W. HIIL, "O che nuovo miracolo!": a new hypothesis about the Aria di
Fiorenza, in In cantu et in sermone. For Nino Pirrotta on his 80th birthday, a cura
di F. Piperno e F. Della Seta, Olschki, Firenze 1989, pp. 283-322.
19-20 • Per la storia artistica e sociale dell'opera italiana in tutti i suoi aspetti
è fondamentale la Storia dell'opera italiana, a cura di L. Bianconi e G. Pestelli,
6 voll., EDT, Torino 1987 sgg. Sussidio bibliografico capitale è C. SARTORI,
I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 6 voli., Bertola & Locatelli,
Cuneo 1990 sgg. I testi delle favole pastorali fiorentine si leggono in A.
SOLERTI, Gli albori del melodramma, 3 voll., Sandron, Milano [1904]; una
selezione di e da libretti seicenteschi in A. DELLA CORTE, Drammi per musica
dal Rinuccini allo Zeno, 2 voll., UTET, Torino 1958. La serie Italian opera
1640-1770, a cura di H. M. Brown (Garland Publishing, New York 1977
sgg.), dà il facsimile di 24 partiture seicentesche (coi libretti); la serie Dram-
maturgia musicale veneta, a cura di G. Morelli, R. Strohm e Th. Walker
(Ricordi, Milano 1983 sgg.), ne aggiunge altre nove. I testi teorici di inizio
secolo si leggono in A. SOLERTI, Le origini del melodramma cit. (e ora anche
in una raccolta di fonti documentarie operistiche che copre l'intiero secolo
per Italia, Francia e Germania: Quellentexte zur Konzeption der europiiischen
Oper im 17. Jahrhundert, a cura di H. Becker, Barenreiter, Kassel 1981);
importante è il trattato adespoto Il Corago o vero Akune osservazioni per metter
bene in scena le composizioni drammatiche, a cura di P. Fabbri e A. Pompilio,
Olschki, Firenze 1983. I testi teorici della fine del secolo sono esaminati in
R. FREEMAN, Apostolo Zeno's re/orm o/ the libretto, in «Journal of the Amer-
ican musicologica! society», XXI, 1968, pp. 321-341, e nel suo Opera without
drama. Currents o/ change in Italian opera, 1675-1725, UMI Research Press,
Ann Arbor, Mi. 1981. Brillante è la trattazione dei problemi estetici ed arti-
stici delle origini dell'opera nel cap. VI di N. PIRROTTA, Li due Orfei. Da
Poliziano a Monteverdi, Einaudi, Torino 1975 (cfr. anche le sue Scelte poeti-
che di musicisti cit.). Per il contesto teatrale si veda S. CARANDINI, Teatro
e spettacolo nel Seicento, Laterza, Roma-Bari 1990.
Abbondano le ricerche sulla scenografia (pregevoli: P. BJURSTROM, Giacomo
Torelli and baroque stage design, Almqvist & Wiksell, Stockholm 1962; C.
MoLINARI, Le nozze degli dèi. Un saggio sul grande spettacolo italiano nel Sei-
cento, Bulzoni, Roma 1968; Illusione e pratica teatrale. Proposte per una let-
tura dello spazio scenico dagli intermedi fiorentini all'opera comica veneziana,
catalogo della mostra a cura di F. Mancini, M. T. Muraro e E. Povoledo,
Pozza, Vicenza 1975). V'è un ottimo panorama della librettistica seicente-
sca: P. FABBRI, Il secolo cantante, Il Mulino, Bologna 1990; manca invece
una trattazione complessiva soddisfacente della musica teatrale italiana della
prima metà del secolo. Per le opere Barberini-Rospigliosi: M. MURATA, Operas
/or the Papa/ Court 1631-1668, UMI Research Press, Ann Arbor, Mi. 1981;
di altri spettacoli romani con musica tratta la stessa autrice in <iEarly music
history», IV, 1984, pp. 101-134.
BIBLIOGRAFIA 355
24-26 • L'accesso alla sterminata bibliografia sul teatro d'opera nei paesi tede-
schi (esclusa la corte viennese, per la quale si vedano: F. HADAMOWSKY,
Barocktheater am Wiener Kaiserhof, in «Jahrbuch der Gesellschaft fiir Wie-
ner Theaterforschung 1951/52», A. Sexl, Wien 1955, pp. 7-117; M. Drn-
TRICH, Goldene Vlies-Opern der Barockzeit. Ihre politische Bedeutung und ihr
Publikum, Òsterreichische Akademie der Wissenschaften, «Anzeiger der
phil.-hist. Klasse», CXI, 1974, pp. 469-512; H. SEIFERT, Die Operam Wie-
ner Kaiserhof im 17. Jahrhundert, Schneider, Tutzing 1985) si accede attra-
verso R. BROCKPAHLER, Handbuch zur Geschichte der Barockoper in Deut-
schland, Lechte, Emsdetten 1964 (da aggiornare coll'ampio panorama di R.
STROHM in Storia dell'opera italiana cit., II). Per l'opera amburghese (oltre
le annate III e V, 1978 e 1980, dello «Hamburger Jahrbuch fiir Musikwis-
senschaft») si veda, in generale, H. C. WoLFF, Die Barockoper in Hamburg
(1678-1738), 2 voll., Moseler, Wolfenbiittel 1957, e, in particolare, K. ZELM,
Die Opern Reinhard Keisers, Katzbichler, Miinchen-Salzburg 1975, e W.
BRAUN, Vom Remter zum Giinsemarkt. Aus der Friihgeschichte der alten Ham-
burger Oper (1677-1697), SVD, Saarbriicken 1987.
I già citati R. M. IsHERWOOD e J. R. ANTHONY trattano per esteso anche
dell'opera francese. In particolare si vedano poi: H. PRUNIÈRES, L'opéra ita-
lien en France avant Lulli, Champion, Paris 1913; C. GIRDLESTONE, La tragé-
die en musique (1673-1750) considérée camme genre littéraire, Droz, Genève-
Paris 1972; J. NEWMAN, Jean-Baptiste Lully and bis tragédies lyriques, UMI
Research Press, Ann Arbor, Mi. 1979; H. ScHNEIDER, Chronologisch-thema-
tisches Verzeichnis siimtlicher Werke von Jean-Baptiste Lully, Schneider, Tut-
zing 1981; Io., Die Rezeption der Opern Lullys im Frankreich des Ancien régi-
me, ibid. 1982; Jean-Baptiste Lully and the musico/ the French baroque: essays
in honoro/J. R. Anthony, a cura diJ. H. Heyer, Cambridge University Press,
Cambridge 1989; M. ARMELLINI, Le due "Armide" (Lully, 1686 - Gluck,
1777), Passigli, Firenze 1991. Sul conflitto stilistico Italia-Francia: G. MoR-
CHE, Corelli und Lully. Uber den Nationalstil, in Nuovi studi corelliani, a cura
di G. Giachin, Olschki, Firenze 1978, pp. 65-78.
Oltre La musique de scène de la troupe de Shakespeare, a cura di J. P. Cutts,
BIBLIOGRAFIA 357
ABBATESSA Giovan Battista, 108 BACH Johann Sebastian, 88, 134, 144,
ABBATINI Antonio Maria, 7, 54, 80, 94, 147, 158, 230
96, 215 BACON Francis, 32
AasBURGO Margherita d', infanta di BADOARO Giacomo, 202-3
Spagna, 243 BALLARD fam., 81, 88, 162
AccIAiuou Filippo, 214 BAN Joan Albert, 63
AcHILLINI Claudio, 29, 42 BANCHIERI Adriano, 108, 121
ADDISON Joseph, 273 BARBARINO Bartolomeo, detto Il
AGAZZARI Agostino, 10, 66, 115, 237 Pesarino, 10, 19
AGOSTINI Paolo, 54 BARBERINI fam., 8, 79, 83, 195, 215,
AGOSTINI Pier Simone, 55, 95 252
AGOSTINO Aurelio, v. SANT' AGOSTINO BARDI Giovanni Maria, conte di
ALBERT Heinrich, 241 Vernio, 136
ALESSANDRO VII, Fabio Chigi, papa, BARONI Leonora, 21
82, 91, 118, 216 BARTOU Daniello, 53
ALGAROTTI Francesco, 181 BARTOUNI Nicolò Enea, 202
ALLACCI Leone, 208 BASILE Adriana, 15-6, 21, 41, 60
ALLEGRI Gregorio, 56 BASILE Giovan Battista, 60, 108
ALTIERI fam., 217 BASSANI Giovan Battista, 86, 141
ANCINA Giovanni Giovenale, 130 BELLANDA Lodovico, 10
ANDREINI Virginia Ramponi, 15 BELLI Domenico, 187-8
ANERIO Giovan Francesco, 10, 116, BEMBO Pietro, 19
120, 136 BENEVOLI Orazio, 82
ANGEUNI BoNTEMPI Giovanni Andrea, BERARDI Angelo, 54-5
68, 143 BEREGAN Nicolò, 206
ANGUILLARA Giovan Andrea dell', BERNHARD Christoph, 55, 70, 153-4,
233-4 156
ANIMUCCIA Giovanni, 116, 130 BERNINI Giovan Lorenzo, 34, 98, 131,
ANTEGNATI Costanzo, 121 194, 216, 254
APOLLONI Giovan Filippo, 214, 226, BERTALI Antonio, 242-3
242 BERTI Giovan Pietro, 22
APROSIO Angelico, 111 BESARD Jean-Baptiste, 108
ARCADELT Jacques, 7, 52, 88 BIANCHI Giovan Battista, 14
ARcHILEI Vittoria, detta La Romanina, BIANCIARDI Francesco, 10, 67
21 BIANCO Baccio del, 132, 276
ARIOSTO Ludovico, 19{ 202, 233 BIBIENA Ferdinando Galli da, 213,218
ARISTOTELE, 181, 261 BICILU Giovanni, 54
ARrusI Giovan Maria, pseud. presunto BIRKEN Sigmund von, 239
Braccino Antonio, 27, 40, 54, 69 BISACCIONI Maiolino, 203
AUGUSTO II di SASSONIA, detto il BISSARI Pietro Paolo, 202
Forte, re di Polonia, 158 Bww John, 167, 170
AuRELI Aurelio, 202-3 BOCCACCIO Giovanni, 194
AVELLA Giovanni d', 65 BoDENSCHATZ Erhard, 144
360 INDICE DEI NOMI