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Alessandro Boeri

DIPLOMA ACCADEMICO DI II LIVELLO IN

MAESTRO COLLABORATORE

Programma di Sala

Keta Tsutskiridze, soprano


Paolo Calcagno, Violino
Alessandro Boeri, pianoforte

Il concerto si apre con tre arie per soprano di Gioacchino Rossini, tratte da tre capolavori del
Maestro pesarese: l'aria di Berenice Voi la sposa pretendete, da L'occasione fa il ladro; l'aria di
Clorinda Sventurata! Mi credea, da La Cenerentola, e l'aria di Semiramide, Bel raggio lusinghier,
dall'opera eponima. Si tratta di tre arie di grande agilità e difficoltà, e consentono di mettere in luce
tutte le qualità che chi aspira a cantarle deve possedere. In particolare, l'aria di Berenice Voi la
sposa pretendete, è particolarmente interessante, per la sua completezza e struttura: inizia con una
sorta di arioso, dove, oltre abbellimenti e passaggi di bravura della protagonista, non mancano
seducenti e un po' melliflui temi orchestrali che accompagnano le “parole inzuccherate”, per citare
il libretto, di Parmenione e del Conte Alberto. Nell' Andante, di grande bellezza melodica, la
protagonista può fare sfoggio di un legato puntellato comunque da ornamenti e scalette, mentre il
fulcro delle agilità e prodezze sono concentrate nell'Allegro finale, sorta di cabaletta in cui
l'elemento principale è il caratteristico crescendo rossiniano. Questa farsa in atto unico, composta in
soli undici giorni, è, insieme a Il Signor Buschino, un capolavoro che prelude a L'Italiana in Algeri.
Una maggiore intimità e cantabilità pervade l'aria di Semiramide (1823). La maturità del linguaggio
è evidente, come la cura del rapporto tra le parole e la musica (vedi i “madrigalismi” sulle parole
“gemè, tremò, languì”, e l'effetto orchestrale che evoca il terrore), e del trattamento orchestrale e
timbrico.
Di minore fortuna ha goduto l'aria di Clorinda da La Cenerentola (1817), che viene spesso tagliata
durante la rappresentazione dell'opera, e non regge il paragone con le due arie precedenti.

Una vibrante freschezza pervade il concerto per violino n. 5 in La maggiore, K 219, di W. A.


Mozart. Esso risale al 1775, ed è il più eseguito dei cinque concerti mozartiani. Dopo l'introduzione
orchestrale del primo movimento, Allegro aperto, il solista fa il suo ingresso in un Adagio di calma
serenità, con un controcanto orchestrale per terze dei violini in orchestra, del registro medio – grave,
che conferisce morbidezza e affettuoso calore. Viene poi esposto il tema vero e proprio dell'Allegro,
dal solista, e anche i motivi del secondo gruppo tematico sono brillanti e mai troppo contrastanti
con il clima gioioso del movimento tutto, appena adombrato da sfumature di inquietudine durante lo
Sviluppo. Segue un lungo ed elaborato Adagio, che infatti fu giudicato troppo complicato da alcuni,
vero fulcro emotivo del Concerto, che ci proietta già verso il trattamento dei movimenti lenti
centrali che sarà proprio di Beethoven. A conclusione di questo capolavoro, è un Rondeau, tempo di
Menuetto, nella forma del “Rondò – Sonata”). Caratteristica peculiare del movimento. È l'inserzione
di un tema “alla Turca”, in minore, con carattere quasi di danza popolare, e quasi percussivo. La
scrittura orchestrale imita infatti strumenti tipici (o presunti tali) della Turchia (che ritroveremo in
Rossini, con la caratteristica “banda turca”) e dell'Oriente, visto come ambiente magico e lontano,
manifestazione caratteristica di quell'esotismo tipico della fine del Settecento, che ai nostri occhi
può apparire un po'ingenuo ma che poi sarà approfondito e maturato da compositori come Debussy
e Ravel.
Tornando all'Ottocento, ma con un salto di quasi un secolo rispetto al capolavoro
Rossiniano, ci aspetta ora un'incursione nella musica da camera per soprano e pianoforte, siamo ad
accostarci a tre brani di Sergej Rachmaninov (1873 – 1943).
Oh, non cantarmi, mia bella (Ne poj, krasavica, pri mne), op. 4 n. 4, è uno dei primi capolavori nel
genere del maestro, su testo di Puskin. Nello struggente preludio, il pianoforte anticipa la melodia
dei “canti della Georgia” di cui parla il testo, che riportiamo di seguito:

Oh, non cantarmi, mia bella,


I tuoi tristi canti georgiani;
Che essi mi ricordano
Un'altra vita in terre lontane.

Il tuo canto struggente


Richiama la memoria
Della steppa, della notte, della luna,
Del volto di un'umile fanciulla.

Se guardo te, posso dimenticare


Quella bella, fatale immagine;
Ma quando canti,
Essa torna a tormentarmi.

Particolarmente interessanti sono i brevi “interludi” del pianoforte, di austera malinconia, in cui la
voce si inserisce, e la conclusione del brano, in cui la melodia principale è affidata al pianoforte, e
non al canto, che contribuisce con un controcanto a note lunghe e filate, in una struggente discesa
cromatica. La severità è conferita soprattutto dalle pulsazioni che procedono inesorabili, fin
dall'introduzione, e diventano quasi colpi di grancassa nell'ultima pagina.
Di carattere più soavemente sognante sono due delle 12 romanze op. 21 (N. 5 e n. 7). In Zdes
khorosho (Che magico ambiente è questo), su poesia di Glafira Galina, il poeta immagina di essere
su un verde prato in riva a un fiume, alla sola presenza, nel silenzio, di Dio e del suo “sogno”,
invocato nell'ultimo verso, che si potrebbe interpretare come un'invocazione all'oggetto del suo
amore (“e tu, mio sogno!”).
In Siren, il poeta confessa che la sua felicità, l'unica che può ricercare, sta nella fioritura dei Lillà,
lasciando intendere come sia una falicità passeggera e ondivaga, come ogni fioritura.

Il programma si chiude con una meravigliosa pagina per violino e pianoforte: la Sonata op. 9
di Karol Szymanowsky. La densità della scrittura e la forza espressiva sono notevoli, e le difficoltà
non sono mai fini a se stesse, come sfoggio di agilià sul violino, ma dettate sempre da drammatiche
ragioni musicali. Fin dall' Allegro moderato, patetico, troviamo le cellule principali che
caratterizzeranno l'intera sonata, ossia un tetracordo cromatico, ascendente o discendente, e una
melodia più distesa (il “secondo tema del primo movimento”) che alterna duine e terzine.
L'Andantino tranquillo e dolce si apre con una struggente melodia, di “divina lunghezza”, che
sembra non finire mai, in un flusso wagneriano che caratterizza tutta la composizione: gli influssi
del grande operista tedesco sono infatti evidenti da un punto di vista sia armonico sia di trattamento
melodico e gestione dei periodi musicali, con dei lunghi crescendo, dei salti dinamici, dei “sali –
scendi” di tensione fino a culmini liberanti. Un misterioso Scherzando riconduce al Tempo I, in cui
si fa più fitto l'accompagnamento, e che raggiunge l'apice dopo una tormentata ascesa. Una cadenza
che è quasi un recitativo del violino solo riporta alla melodia principale, riesposta ciclicamente nella
sua purezza iniziale, dal pianoforte.
Ma è nell'Allegro molto, quasi presto, che sono condensate le maggiori difficoltà virtuosistiche.
Qui, ancor più che nei movimenti precedenti, la scrittura del pianoforte è quasi insufficiente: è
chiaro che l'autore aveva in mente un'intera orchestra. Dopo un infernale richiamo “di trombe”, una
salita cromatica, e una fermata, viene esposto il tema principale del movimento, in 6/8, incalzante.
Di grande cantabilità è invece la parte centrale, in cui un tema chiaramente derivato dal secondo
tema del primo movimento, si sovrappone al tema principale, in tempo più moderato e con grande
espansione lirica. Segue un minaccioso ritorno al Tempo I, con il pianoforte a imitare una sezione di
violoncelli e contrabbassi, in agguato e in crescendo costante. Un'altra sezione più moderata prepara
il climax emotivo, con un tremolo al pianoforte a imitare un rullo di timpani, e il tema per seste in
una scrittura che rimanda chiaramente ai corni. Questo crescendo conduce alla sezione più
appassionata del movimento, che si chiude trionfalmente su una reiterazione del tema in
accelerando e infine in Presto.

Alessandro Boeri

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