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Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nell'autunno del 1876 grandissima era l'attesa nel mondo musicale tedesco per la Sinfonia (la sua
prima Sinfonia!) che Brahms aveva appena finito di comporre; il musicista era già famoso ovunque,
ma aveva superato la quarantina senza essersi ancora cimentato nel genere strumentale più illustre,
quello che laureava definitivamente un compositore, seguito dal pubblico delle grandi città tedesche
con lo stesso interesse riservato in Italia a una "prima" operistica. La strada che portava alla Prima
Sinfonia era stata lunga e percorsa da Brahms con grande circospezione: dal Concerto per
pianoforte op. 15 alle due Serenate del 1857-59 e, dopo una lunga pausa, alle Variazioni su un tema
di Haydn del 1873; in realtà, la Sinfonia era già stata abbozzata nel 1855 e nel 1862 il primo
movimento era già quasi concluso; ma il lavoro riprese lena solo dopo il tirocinio delle Haydn-
Variationen, nell'estate del 1874, e arrivò in porto nel settembre 1876; ma ancora pochi giorni
avanti la prima esecuzione, il 4 novembre 1876 a Karlsruhe sotto la direzione di Felix Otto Dessoff,
Brahms interviene ancora sul manoscritto, ritoccando e tagliando qualcosa dai due movimenti
centrali.
Chi si avventurava a scrivere una Sinfonia nella seconda metà dell'Ottocento sapeva bene che la
riuscita si giocava sull'originalità con cui i movimenti erano predisposti e collegati fra loro; per
colpire un pubblico smaliziato dalla fortuna del poema sinfonico e del dramma musicale
wagneriano, una certa dose di "progressismo" e intellettualismo ci voleva anche per uno come
Brahms, che poco si curava di quegli spauracchi e in apparenza era tutto fedeltà ai canoni classici
della musica pura. Le due introduzioni della Prima Sinfonia, al primo movimento e al finale, la
strategia con cui i vari elementi dello stesso finale sono disposti, erano le risposte più evidenti al
problema di una grande Sinfonia tradizionale ma tuttavia al passo con i tempi. Eduard Hanslick
nella trionfale recensione alla prima esecuzione a Vienna (dicembre 1876) aveva parlato di inaudite
complessità e richiamato più volte il tardo stile di Beethoven, di cui la neonata composizione
testimoniava la diretta continuità.
Oggi siamo in posizione prospettica un po' più favorevole per giudicare il rapporto con Beethoven.
Il do minore della Prima di Brahms, in realtà, ha poco di beethoveniano; certo ricorrono qua e là i
martellamenti della Quinta e del Coriolano, ma più come episodi secondari, elementi di chiaroscuro,
che come matrice vincolante; già la scelta del ritmo di sei ottavi è indicativa, il ritmo fluente della
ballata romantica e delle fosche saghe nordiche; anche il riemergere dell'introduzione lenta alla fine
del primo movimento è contro i principii beethoveniani del progresso attraverso il conflitto: Brahms
non si libera di quel gesto introduttivo così pieno d'interrogativi (e, a suo dire, impregnato della
selvaggia natura di Wissow, nella rocciosa isola di Rügen dove l'opera prese forma nel 1876), ma lo
ripropone alla fine nella sua umorale indistruttibilità.
Ancora più lontano è il Beethoven del così detto terzo stile; certo, come avvertito da Hanslick e da
tanti altri, il finale è impostato come il finale della Nona Sinfonia, con una drammatica introduzione
che prepara l'epifania del tema principale; ma nulla è più lontano dal carattere convergente, dalla
significazione multipla del vero terzo stile di Beethoven, quello dei Quartetti e Sonate,
dell'esplicitezza con cui il corno rompe i vapori umidi e spessi dell'introduzione al finale, spianando
la strada al tema di corale: il quale a sua volta è più addottrinato in storia della musica tedesca di
quanto non sembri la melodia dell'Inno alla Gioia. Inoltre, un confronto interno con la Rapsodia op.
53 dello stesso Brahms, nella transizione alla consolatoria entrata del coro in do maggiore dopo un
episodio di tormento interrogativo, suggerisce che Brahms anche per il finale della Prima lavorava
su sentimenti e pagine del proprio diario interiore.
Lontanissimi infine da Beethoven i due movimenti centrali, un Andante che spinge il suo intimismo
fino a mettere in campo la tenera voce di un violino solo, e un Allegretto che non è scherzo, né
minuetto, né Ländler ma tutto ciò insieme, sotto il segno dell'indecisione sentimentale più privata di
Brahms. Vale quindi la pena riconsiderare la famosa battuta di Hans von Bülow, sulla Prima
Sinfonia di Brahms quale "Decima Sinfonia" di Beethoven, nel suo vero significato: non tanto di
imitazione, derivazione, eredità e simili, come subito fu intesa, facendo torto in realtà
all'intelligenza e alla finezza di un Bülow; ma di una Sinfonia che per la prima volta, liberatasi da
un timore reverenziale durato mezzo secolo, non suona epigonica di quelle di Beethoven; di una
Sinfonia che poteva continuare Beethoven proprio in ragione della sua maturata diversità.
Giorgio Pestelli
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Abbozzata già intorno al 1855, la composizione della monumentale Prima sinfonia procedette tra
infinite esitazioni: solo nel 1862 venne scritto il primo tempo (ma senza introduzione), mentre
l'attuale fisionomia del lavoro risale agli anni Settanta, in particolare alle estati dal 74 al '76 che
Brahms trascorse nell'isolamento del Mar Baltico, a Sassnitz, sull'isola di Rügen, in un contesto
naturale del tutto congeniale. I dubbi sopravvissero anche alla prima esecuzione del 4 novembre
1876 a Karlsruhe, e la partitura venne ancora emendata prima della pubblicazione. Capolavoro
ostico, difficile, non del tutto amabile per ammissione dell'autore, la Sinfonia si riallaccia
direttamente a Beethoven, come notarono senza esitazioni il critico Eduard Hanslick (già nel 1876)
e il celebre direttore Hans von Bülow, salutandola come la «Decima», ideale continuazione del
catalogo beethoveniano. Al Beethoven eroico del primo decennio del secolo rimandano con piena
coscienza storica la densità contrappuntistica, il pathos ad alto volo, la serietà etica alla base
dell'opera, evidenti innanzitutto nei movimenti estremi straordinariamente dilatati, che concedono
solo una manciata di minuti all'idillio del terzo tempo. Il problema sinfonico viene affrontato con
circospezione, preparando sistematicamente i futuri sviluppi di un discorso rigorosamente
consequenziale.
La fondamentale introduzione (Un poco sostenuto), solenne, severo prologo al tempo di sonata è
anche presentazione del materiale tematico che attende l'ascoltatore e insieme esibizione di tecnica
raffinata. Il motto implacabile che genererà il primo tema, imponente e compatto ma al tempo
stesso innervato da una fitta trama polifonica, è dato dall'intrecciarsi di due linee melodiche che
disegnano una settima in direzioni opposte, scivolando attraverso intervalli cromatici. Il carattere
fatale è avvalorato dalla pesante scansione ritmica assicurata dai timpani: l'anno dopo Cajkovskij
avrebbe costruito la Quarta sinfonia ricorrendo a un motto altrettanto inesorabile (ammettendo il
riferimento alla Quinta beethoveniana, aperta dal destino che «bussa alla porta»). Il discorso
procede fra salti sinistri, sospirosi intervalli e armonie cromatiche sino alla ripresa dell'attacco alla
dominante. Allora l'oboe presenta un disegno melodico oscillante. La pseudo-imitazione della sua
parte a opera del violoncello sarà il segnale d'avvio per l'Esposizione (Allegro). L'attacco serrato
non ci sorprende: l'introduzione ha determinato sia il profilo del primo tema che la qualità del clima
espressivo, dominato da un'angoscia contenuta e pervaso dalla «furchtbaren Energie» («terribile
energia») percepita da Spitta nel 1892. Si succedono effetti contrastanti (staccato, legato, pizzicato)
finché un ponte modulante non introduce il secondo tema in mi bemolle maggiore. L'oboe,
sostenuto dai fiati e dalle dolci terzine degli archi superiori, offre, pur nel cromatismo della sua
melodia, un momento di gradita quiete, che parrebbe espressione di quel sentimento della natura,
poesia tipicamente viennese, di viennesi d'adozione, comune a Beethoven e Mahler. Anche il
successivo gioco di salti discendenti dell'oboe (ancora parte del secondo gruppo tematico) sembra il
querulo lamento di un Naturlaut, mahleriana voce di natura. Un'ulteriore idea tematica agli archi
dissipa con il suo minaccioso attivismo la calma faticosamente raggiunta. L'apporto massiccio degli
ottoni (fortissimo marcato) chiude l'Esposizione. L'attacco risoluto dello Sviluppo cede ben presto il
passo alle dinamiche contenutissime di una pagina interlocutoria, sconvolta dall'irrompere della
terza idea tematica. Molto accade nella fucina brahmsiana: un tema corale, nelle sonorità festive
degli ottoni, assume un incedere marziale, legni e archi si scambiano violente sferzate, il
movimento sembra ripiegarsi su se stesso con una sorta di canto funebre affidato
all'accompagnamento dei timpani, ma poco a poco si risolleva, riproponendo cellule del primo tema
ad anticipare la Ripresa. Il primo tema trionfa allora ridistribuito tra archi e legni, il secondo
ricompare in do minore, e così anche la terza idea tematica, preceduta, come già nell'Esposizione,
dagli a solo di clarinetto e corno. La Ripresa si conclude col fortissimo dell'intera compagine
orchestrale. Un ultimo momento interlocutorio, scosso da pause drammatiche e animato dal
pizzicato degli archi sotto le fasce cromatiche dei legni conduce alla coda (Meno allegro):
riguadagnata la solennità dell'introduzione, il movimento si spegne enigmaticamente su sonorità
immobili in do maggiore (pacificato o rassegnato?).
«Dopo l'ira immensa», la materializzazione della Grazia: l'Andante sostenuto in forma ternaria
(liedform: ABA'), sostenuto che Brahms rivide ancora a prima esecuzione avvenuta. In mi maggiore
i violini presentano un primo tema di equilibrio e simmetria classici nel disporsi ordinato e pacato
delle sue frasi. Parrebbe di vedere trascorrere l'ombra del tardo Mozart del Flauto magico, la serena
ieraticità di Sarastro coniugata con lo slancio lirico del romantico Mendelssohn. L'entrata dei legni
acuti prelude al secondo tema: una melodia ingenua all'oboe sul caldo impasto sonoro dei corni. L'a
solo oboistico ricorda l'attacco di un Adagio brahmsiano di due anni più tardi, quello del Concerto
per violino op. 77, in cui spetta sempre all'oboe la melodia (il tema è diverso, ma la suggestione
resta valida). La parte centrale del movimento è aperta dallo spensierato, ancora una volta
mozartiano ascendere dei violini primi, che si prodigano in ghirlande di semicrome, appena turbati
dall'accompagnamento ritmato di fagotti e corni. Nel variare scaltro delle dinamiche si insinuano
dapprima l'oboe, con un gioco intervallare che ricorda il primo tempo, e quindi il clarinetto. Quando
il discorso raggiunge il suo apice di animazione e intensità, lo scivolare verso il grave degli archi
porta quasi a un arresto. Sul rullo dei timpani ritorna allora la sezione principale (A1) in
un'atmosfera luminosa, come trasfigurata: il tema è affidato ai fiati, mentre gli archi superiori
disegnano ampie volute melodiche, impreziosite dal suggestivo pizzicato dei violoncelli. Un
susseguirsi di slanci ed esitazioni conduce alla ripresa del secondo tema, ora fatto proprio
dall'espressivo violino solista all'ottava acuta. Viene così anticipato il procedimento di imitazione
oboe/violino dell'Adagio del Concerto per violino citato. La coda è imperniata su una splendida
pagina per violino solo, ombreggiata dal controcanto sublime del corno, proveniente da distanze
remote, sul discreto pulsare dei timpani. L'Andante si conclude su un nastro sonoro cangiante che
assorbe il protagonismo sentimentale del violino nell'atmosfera dolce ed estatica di un Mozart
passato attraverso le fiabesche lande mendelssohniane (non sfugga il pizzicato che attraversa l'intera
sezione degli archi nelle ultime misure).
Col tempo eloquentemente segnato Un poco allegretto grazioso, sostituto del tradizionale Scherzo,
Brahms tocca la corda dell'idillio, regalandoci un gioiello di serenità pastorale affidato
prevalentemente alle sonorità dei fiati. Anch'esso in liedform (ABA'), si sviluppa dalla trama
delicatissima di un caldo impasto timbrico: la melodia, dolce, al clarinetto (protagonista dell'intero
movimento) coadiuvato da fagotti, corni e violoncelli in pizzicato (effetto prediletto nel corso di
questa sinfonia), mentre i violini manifestano la loro approvazione con un sospiro. Il timbro dei
legni brahmsiani è ben lontano da quello algido, marziale e meccanico spesso proprio di Cajkovskij
(nell'Andante lugubre del Finale della Prima sinfonia o nella Marcia slava). Le incursioni
spensierate dei saltellanti ritmi puntati, i gorgheggi arabescati del primo clarinetto e il passaggio del
tema ai violini congiurano a dipingere il quadro di un'età dell'innocenza, di un candore forse ancora
attingibile. Il secondo tema al clarinetto porta però con sé una folata d'inquietudine, grazie all'effetto
combinato del profilo melodico, delle pause e della tonalità minore. La fugace riapparizione del
primo tema conduce alla sezione B con una melodia per terze innestata su un rustico, danzante 6/8
che riporta alla memoria l'Allegretto della Sinfonia «Pastorale» beethoveniana e il Mendelssohn
dell'«Italiana». Questa pagina di gioia serena si chiude con la nota tenuta dei fiati sul pizzicato degli
archi, preludio alla ripresa di A, già da subito immersa in una trama orchestrale più ricca che non
all'inizio del movimento. La coda si fonda su elementi ritmici tratti dalla sezione B.
Un monumentale tempo di sonata con introduzione conclude la Sinfonia simmetricamente
all'esordio: finale beethoveniano nello spirito, nella concezione ideale ben più che non non
nell'affinità del primo tema con quello dell'Inno alla gioia. Ricchezza melodica e compattezza
architettonica vi si fronteggiano ad armi pari. L'Adagio introduttivo palesa dall'attacco il controllo
compositivo più ferreo in una pagina densa di eventi, di gestì icastici e calibratissimi: sul sostegno
elementare di un tetracordo discendente degli archi gravi i violini innestano un motto, caratterizzato
da fitti segni dinamici (crescendo, diminuendo, forte-piano), che dissimula il profilo del primo
tema, occultato da tonalità minore e ritmo lento. A queste sei misure ne seguono altre sei consacrate
ai soli archi in pizzicato, i cui stringendo e crescendo prolungano l'attesa. La tempesta va
addensandosi sempre più minacciosa con nuovi stringendo (molto) e crescendo, mentre risuonano
romantiche le veloci scale degli archi e la voce del corno solista. Improvvisamente l'uragano si
acquieta con la discesa cromatica di controfagotto e archi gravi, coadiuvati dal rullo dei timpani, per
lasciar spazio al Più andante: su un accompagnamento dal timbro ricercato (violini con sordina,
timpani e tromboni in pianissimo: questi ultimi tenuti in serbo sinora per questo Finale, come aveva
fatto Beethoven nella Quinta) si libra il canto caldo e passionato del corno, semplice richiamo da
corno alpino ,che Brahms dichiarò a Clara Schumann di aver ascoltato in Svizzera. Nell'animazione
progressiva compare inatteso, sordo, un corale ai tromboni; il ritorno del canto del corno nel
crescendo generale conduce all'Esposizione (Allegro non troppo, ma con brio). Smessa la sordina, i
violini intonano una melodia calda, dall'andamento calmo e pacato, quasi da corale (le affinità
estetiche sembrano portare oltre Beethoven, alla terza grande «B»: Bach!). Segue un episodio di
Sviluppo già all'interno dell'Esposizione (come accade spesso in Cajkovskij). Portata al massimo la
tensione dinamica, la riapparizione inopinata della testa del tema del corno conduce al secondo
tema, contorto, cromatico, costruito su appoggiature, pur nella dolcezza di un tono espressivo
diametralmente opposto al primo tema, sia nella prima che nella seconda parte affidata all'oboe.
Una terza idea tematica enfatica porta alla coda dell'Esposizione, che la voce flebile delle viole lega
allo Sviluppo, aperto a sorpresa con la riproposta, di grande impatto emotivo, del primo tema,
largamente, alla tonica; ritorna la sezione ascoltata già nell'Esposizione, s'insinua un breve motto di
quattro note ai fiati, finché l'orchestra, ormai al parossismo fonico, non raggiunge una pausa
generale, dalla quale sboccia il tema del corno, con uno straordinario effetto rasserenante, tanto più
che viene intonato in do maggiore, preparando il terreno per la Ripresa. In modo irrituale questa
inizia solo con il secondo tema, forse perché il primo era già risuonato nello Sviluppo oppure
perché il tema del corno ne funge da surrogato. La coda della Ripresa è seguita dalla coda generale
(Più allegro), ditirambica, liberatoria, trionfante conclusione - nel solare do maggiore che rovescia il
do minore del primo tempo e dell'introduzione al finale - della prima lotta del compositore
nell'agone della Sinfonia: sezione eterogenea rispetto alle precedenti (lo notava già Clara), eppure
del tutto appropriata al progetto ideale dell'intero lavoro e del suo finale, itinerario per aspera ad
astra che richiama il Beethoven della Quinta sinfonia e dell'Ouverture Egmont, abilmente giocato
tra scoperti contrasti e relazioni interne, come la ricomparsa del corale dell'introduzione a turbare la
festa della coda ricorda sino alle ultime battute.
Raffaele Mellace
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Nel gennaio 1854, Schumann scriveva al Joachim, con riferimento a Brahms: "Dov'è dunque
Johannes? E vicino a voi? Vola egli in alto? O si attarda a raccogliere dei fiori? Non fa suonare
ancora trombe e timpani? Che si ricordi degli inizi delle Sinfonie di Beethoven. Che cerchi di fare
qualcosa del genere. Cominciare è la cosa principale; quando si è cominciato, la fine si presenta da
se stessa". Brahms dovette attendere a lungo prima di iniziare la sua Prima Sinfonia, e ancora più a
lungo prima di licenziarla definitivamente alle stampe e farla eseguire in pubblico. Questo avvenne
solo nel 1877, quando il compositore contava ormai 43 anni.
Il fatto è che non solo Schumann, ma la maggior parte del pubblico e dei critici a lui favorevoli, con
in testa Hanslick, attendevano che egli si cimentasse nel genere della sinfonia che Beethoven aveva
portato alle più alte vette, identificandolo quasi con la forma più alta e più completa nella quale un
compositore potesse dare l'intera misura del proprio talento e del proprio mondo interiore.
Nel caso di Brahms si aggiungeva inoltre un senso quasi eccessivo di responsabilità che gli derivava
dal fatto che la critica antiwagneriana vedeva in lui il compositore atto a "salvare" la musica dalle
"insidie" wagneriane, continuando la grande tradizione sinfonica nello spirito di Beethoven. Prima
di quella che doveva essere la sua Prima Sinfonia, Brahms aveva scritto per orchestra solo le
Variazioni sul tema di Haydn op. 56 (1874), oltre a due Serenate op. 11 e op. 12 per organici più
ridotti.
Al tormento di soddisfare la grande forma si aggiungeva in lui la fatica della concezione
strumentale. Ma quando finalmente la Prima Sinfonia fu varata, il successo che essa conseguì non
deluse le aspettative dei seguaci di Brahms. Anzi: gli guadagnò nuovi e importanti sostenitori,
primo fra tutti Hans von Bülow, nel quale quella Sinfonia provocò una vera e propria conversione.
È vero che in quel tempo molteplici ragioni personali spingevano Bülow a cercare di sostituire un
nuovo culto a quello che egli aveva nutrito precedentemente per Wagner, ma ciò nondimeno il suo
entusiasmo per la Prima di Brahms dovette essere sincero. "Abbiamo finalmente una Decima
Sinfonia ": questa sua esclamazione è certamente esagerata se la si considera come implicante una
identificazione tra la Prima di Brahms e una ideale Ultima Sinfonia di Beethoven. Essa acquista
invece un più giusto significato se le si dà il senso della constatazione che, con Brahms, la
tradizione sinfonica beethoveniana aveva trovato il suo primo valido continuatore. Continuare una
tradizione vuol dire anche innovarla. E oggi, a distanza di più di un secolo, l'originalità dell'apporto
di Brahms al sinfonismo ottocentesco appare evidente: sempre di meno essa appare come una
"pseudodecima" beethoveniana, e sempre più come la Prima dei quattro autentici capolavori con i
quali Brahms ha arricchito in modo più sostanziale la letteratura sinfonica dell'Ottocento, prima che
Mahler la portasse fuori dal suo, ancora classico, equilibrio.
La Prima Sinfonia di Brahms, che porta il numero d'opera 68, è formulata nella tonalità principale
di do minore e presenta la classica articolazione in quattro movimenti. Il primo movimento consta
di una introduzione (Un poco sostenuto) nelle cui trentasette battute è già contenuta la sostanza
tematica dell'intero Allegro che segue. Il primo tema è di carattere volontario e vigoroso, il secondo
è melodico e cantabile, il terzo basa il suo interesse principalmente su elementi ritmici. Il secondo
movimento (Andante sostenuto), in mi maggiore, ha il taglio di un Lied tripartito con una coda. Dei
due temi principali di questo movimento il primo è solenne, a tratti quasi religioso, il secondo lirico
e leggiadro. Il terzo movimento (Un poco allegretto e grazioso) ha la forma dello scherzo con trio.
Mentre la parte principale è in la bemolle maggiore (il clarinetto le conferisce una dolce atmosfera
pastorale), il Trio è in si maggiore ed ha carattere fantastico. Il Finale (Allegro non troppo ma con
brio) è preceduto da due episodi lenti (Adagio - più andante). Ognuna di queste parti è in sé
bipartita: nei loro rapporti dialettici caratterizzati dal passaggio dall'iniziale do minore al do
maggiore finale si riassume lo stesso, fondamentale assunto affettivo del lavoro che riflette l'idea
dialettica delle sinfonie beethoveniane che lo stesso Brahms supererà nelle sue successive opere
consimili: superamento e riscatto dei motivi drammatici dell'esistenza umana.
Roman Vlad
Guida all'ascolto 4 (nota 4)
La storia del sinfonismo postbeethoveniano è in gran parte la storia dei tentativi di risolvere il
problema stesso della forma sinfonica, come Beethoven l'aveva lasciata in eredità alle generazioni
successive. La frase spesso citata di Schumann sulla sonata che avrebbe ormai compiuto il suo
cammino («ed è giusto che sia cosi, perché non possiamo ripetere le stesse forme per secoli») è
indice, oltre che di uno slancio positivo verso il nuovo, anche di una crescente incertezza nel
rapporto alle forme classiche, monumento splendido e ingombrante di un passato sempre meno
prossimo. Anche Mendelssohn, in una poco conosciuta lettera a Johann Droysen, affermava già nel
1837 che «i primi tre tempi della Nona Sinfonia appartengono a quanto di più grande io conosca
nell'arte in genere», e attribuiva a una personale deficienza, non certo a una manchevolezza
nell'oggetto, la propria perplessità dinanzi al finale con coro. Già prima delle celebri e capziose
teorizzazioni, wagneriane, la sensazione che Beethoven avesse realmente detto l'ultima parola sul
terreno della sinfonia-sonata era dunque diffusa, e si rispecchia nella talora faticosa elaborazione dei
lavori sinfonici di Schumann e Mendelssohn, nonché nelle sostanziali modifiche introdotte in quelle
opere pur esteriormente ossequiose dell'architettura tradizionale. Johannes Brahms è stato forse il
compositore più consapevole di questo stato di cose, e la sua prima sinfonia, sia per la genesi che
per la struttura, ne è testimonianza eloquente.
Nel celebre articolo Vie nuove, apparso nel 1853 sulla «Neue Zeitschrift fùr Musik» e destinato a
rivelare al mondo il genio ancora sconosciuto di Brahms, Schumann aveva a un certo punto scritto:
«S'egli abbasserà la sua bacchetta magica là dove le potenze delle masse corali e orchestrali gli
prestano le loro forze, noi potremo attenderci di scoprire, nei segreti del mondo degli spiriti,
paesaggi ancor più meravigliosi». Parole profetiche; ma molti anni sarebbero dovuti trascorrere
prima che il compositore, dopo il Concerto in re minore, il Deutsches Requiem e le Haydn-
Variationen si decidesse a percorrere il cammino della sinfonia. Il 1862 sembrò l'anno decisivo: in
una lettera del 1° luglio Clara Schumann poteva già fare conoscere a Joachim il vigoroso attacco
dell'Allegro. Ma ancora all'inizio degli anni Settanta Brahms confidava all'amico Hermann Levi:
«Non comporrò mai una sinfonia. Non puoi avere alcuna idea di cosa si provi sentendosi marciare
alle spalle un simile gigante». Il gigante era, naturalmente, Beethoven. E quando, nel 1876, l'opera
fu finalmente terminata, apparve chiaro a tutti quelli che poterono conoscerla il profondo legame
che la univa alla sfera spirituale beethoveniana. La Sinfonia in do minore venne presto salutata
come «Decima Sinfonia» tout court (un'eco è registrata nella acrimoniose pagine del wagneriano
Uber das Dichten und Komponieren del 1879, a proposito dei «celebri compositori» che si possono
«incontrare in concerti-mascherate... travestiti da ultrasolidi sinfonisti in numero dieci»), ed è
rimasta memorabile una risentita replica del ruvido compositore a un autorevole personaggio che gli
parlava della straordinaria somiglianza del tema del finale con l'Inno alla gioia: «Ancor più
straordinario è il fatto che se ne accorge qualunque somaro».
La Sinfonia si apre con una grandiosa introduzione appoggiata a un pedale di tonica ossessivamente
reiterato nel timpano, rafforzato dal controfagotto e dai contrabbassi; su questo drammatico
supporto si distende negli archi un tema ascensionale da cui verrà in seguito ricavato parte del
materiale che dà vita all'Allegro. L'atmosfera del primo movimento è epica, a tratti eroica; i tre temi
(l'ultimo, come spesso in Brahms, è incisivo e spigoloso) si generano l'uno dall'altro, e la forma si
spiega e si chiarisce nel suo stesso progredire, delineando un conflitto che giunge all'acme nello
sviluppo centrale senza però trovare soluzione, malgrado la luminosa chiusa nel modo maggiore. I
due movimenti centrali, ricchi di rare bellezze, rappresentano una parentesi nell'evolversi del
'dramma' sinfonico: qui Brahms dipinge a chiaroscuro, seguendo una strada personalissima, lontana
dal modello beethoveniano. L'Andante sostenuto si dipana con intenso lirismo (e nell'arcata dei temi
si avverte la mano del grande liederista), impreziosito da assoli del primo violino che nella ripresa
duetta con il corno svettando sulle sonorità quasi cameristiche dell'orchestra; mentre l'Allegretto ha
il sapore di un vero e proprio intermezzo, e solo nella parte centrale fa spazio ad accenti più
energici. Il grande finale, senz'altro il più potente brano orchestrale scritto da Brahms sino ad allora,
si apre con un Adagio che si ricollega all'atmosfera cupa dell'inizio. Due episodi dominati da
fantomatici pizzicati degli archi sfociano in una tempestosa transizione al Più andante che afferma
finalmente la tonica di do, dove il corno enuncia un'appassionata melodia (un omaggio a Clara
Schumann: la si ritrova identica in un biglietto di auguri a lei indirizzato da Brahms otto anni
prima), seguita poi da un corale dei tromboni e dei legni gravi. È la preparazione all'Allegro non
troppo ma con brio, che attacca con il magnifico tema 'beethoveniano' intonato dai violini sulla
quarta corda, e si snoda come un inno con maestosa imponenza, salendo sino all'apoteosi
conclusiva, dove ritorna sfolgorante anche il corale dell'introduzione.
Maurizio Giani
Storia
Le prime tracce del primo tempo di questa sinfonia sembrano risalire agli anni che Brahms trascorse
a Duesseldorf, quindi tra il 1855 ed il 1856, gli stessi in cui compose il Concerto n. 1 per pirnoforte
e orchestra.
Naturalmente, conoscendo noi solo quello che Brahms ha voluto farci arrivare, il riferimento
proviene dalle lettere. Il primo tempo, senza però l'introduzione lenta, fu completato solo sei anni
dopo, nel 1862. Da questo momento, per ben quattordici anni, Brahms si dedicò costantemente alla
composizione di questa sinfonia; mentre lavorava naturalmente anche ad altre opere, fra mille
indecisioni, ripensamenti e correzioni, elaborava, limava e migliorava questa sinfonia che in piccola
parte reca traccia dell'enorme travaglio rappresentato per l'autore.
In realtà la prima sinfonia vede corpo tra il 1874 ed il 1876, considerando che il lavoro a tempo
pieno di Brahms su di essa avveniva soprattutto durante le vacanze estive e quindi sono le tre estati
dal '74 al '76 quelle in cui arriva a completare l'opera (più in particolare tra l'agosto ed il settembre
del 1876 che trascorse nell'isolamento del Mar Baltico, a Sassnitz, sull'isola di Ruegen, in un
contesto naturale del tutto congeniale. Si ritiene comunque che sino stati effettuati tagli e
aggiustamenti anche nei mesi immediatamente successivi (ottobre 1876).
La prima esecuzione avvenne come collaudo generale il 4 novembre 1876 a Karlsruhe e fu diretta
da Otto Dessoff. Soltanto tre giorni dopo Brahms diresse la prima esecuzione a Mannheim.
Successivamente le esecuzioni più importanti furono a Lipsia, a Breslavia (sempre dirette dal
compositore) e a Cambridge (diretta da Joseph Joachim). La sinfonia ebbe ovunque un successo
molto caldo, nonostante le critiche dei neo-tedeschi che vedevano nella Prima di Brahms un atto di
orgoglio, come una forza restauratrice rispetto al mondo del poema sinfonico.
In ogni caso la grande prima di questa sinfonia si tenne ovviamente a Vienna il 17 dicembre 1876.
A questo punto si scatenarono i commenti: da una parte i brahmsiani come Eduard Hanslick (il
quale la dichiarò l'opera che finalmente avrebbe avuto la capacità di continuare la strada che si era
interrotta con i neo-tedeschi), dall'altra la critica più famosa fu quella di Hans von Bulow che
rinominò la sinfonia “decima di Beethoven”, come se Brahms fosse il degno erede di quest'ultimo.
Ovviamente è una sinfonia che vede il pensiero beethoveniano nel proprio centro, e lo si può notare
dalla scelta del Do minore, e da riferimenti molto evidenti al percorso della Quinta sinfonia di
Bieethoven, cominciando in Do minore e finendo in Do Maggiore come in uno sforzo, in una
conquista). Mentre però la sinfonia beethoveniana ha una sorta di percorso ascensionale molto
continuo, Brahms già dalla prima propone un altro tipo di scrittura: primo e ultimo tempo in
relazione con questo problema evolutivo, mentre i due tempi centrali, a differenza di quanto aveva
fatto Beethoven, sono piuttosto dei tempi parentetici, che paiono non partecipare a questo grande
sforzo drammatico che si attua nel 1° e nel 4º tempo. Innanzitutto lo possiamo notare dall'assenza di
scherzo: Beethoven dalla Seconda sinfonia in poi aveva sostituito il minuetto settecentesco con il
tempo di scherzo, sempre più immesso nel problema drammatico della sinfonia; addirittura nella
Quinta e nella Sesta Beethoven aveva collegato lo scherzo al Finale, trasformando il tutto in un
percorso continuo, dove tutto converge verso l'ultimo tempo.
Brahms invece intende i tempi centrali della sinfonia come una parentesi, come un momento
sospensivo del problema che sta ad arco tra il primo e l'ultimo tempo. Questo vale nella prima, ed è
emblematico quello che accade nel terzo tempo, che infatti non partecipa all'impegno drammatico.
Pur essendo una “prima” non ne ha assolutamente il carattere, e ciò è dovuto al lavoro colossale che
Brahms ha fatto durante gli anni '50 e '60 sulle forme della musica da camera, sulle grandi opere
corali (una su tutte il Deutsche Requiem) e preparandosi al confronto con l'orchestra.
Questo per dire che quando compare, la Prima sinfonia non risulta tale, è un po' come il Titano di
Mahler, lo sbocco, la conclusione, di tutta la fase giovanile di Brahms.
Struttura
La sinfonia è strutturata nei quattro movimenti tipici della sinfonia classica:
1. Un poco sostenuto – Allegro – Meno Allegro (Do minore)
2. Andante sostenuto (Mi maggiore)
3. Un poco Allegretto e grazioso (La bemolle maggiore)
4. Adagio – Più Andante – Allegro, ma con brio – Più Allegro (Do maggiore)
La Prima sinfonia è un'opera in quattro tempi, i quali sembrano procedere in una dimensione
schubertiana dal punto di vista tonale, come una progressione di terze: il primo tempo è in Do
minore, il secondo in Mi Maggiore, il terzo in Lab Maggiore (enarmonicamente possiamo
intenderlo come Sol#), mentre l'ultimo tempo è in Do Maggiore.

Analisi: il primo tempo


Sull'esempio della Settima di Beethoven, Brahms crea una gigantesca introduzione di 37 battute.
Tutta questa sezione, che mostra la preparazione tematica al primo tempo, è indicata col tempo “Un
poco sostenuto”.

Tema
Sembra l'antefatto del tema e in questa introduzione possiamo vedere un “serbatoio” di tutti gli
incisi che poi sono combinati nel tema. In realtà il processo compositivo è partito dal tema e questa
introduzione rappresenta una sorta di giustificazione di come il compositore sia arrivato a scrivere il
tema; probabilmente è anche per questo che non ha voluto ci arrivassero gli abbozzi: tutto ciò che
noi vediamo è ciò che Brahms ha deciso di farci vedere: il suo lavoro è già testimoniato da questa
formidabile introduzione che si apre in modo memorabile, con un gesto di potenza beethoveniana.
Quello che ascoltiamo nelle prime 8 misure è un tema estremamente complesso. L'inizio si svolge
su un pedale di tonica dei timpani, dei contrabbassi e del controfagotto che danno la pulsazione del
6/8. La scrittura si può definire in doppio coro dove un coro è costituito dagli archi e un altro dai
legni con il sostegno di due dei corni (mentre gli altri due assecondano il pedale). In questa struttura
a doppio coro sono già individuabili degli incisi molto significativi: Un'ascesa cromatica nei violini,
alla quale nei fiati corrisponde una discesa sempre cromatica.
Le prime tre note dei violini rappresentano già uno dei sette incisi tematici che andremo ad
individuare, mentre il secondo si identifica nel gesto coi sedicesimi in scala, riprodotto a battuta 4
anche dai legni.
Il terzo inciso è il salto d'ottava sui sedicesimi di violini primi e secondi a battuta 5.
A battuta 9 parte un secondo periodo (b) con il ritorno al 6/8 costituito dagli elementi:
• progressione di settime diminuite (battute 9-11)
• iterazione del semitono (battute 11-12)
A battuta 13 questo processo si ripete: ritroviamo nell'ordine gli elementi 4, 5 e 6 (quest'ultimo
rappresentato dalla scala discendente delle battute 19 e 20 di flauto, fagotto e violini, la quale
conclude questo periodo). A 21 troviamo una terza sezione che si porta fino a battuta 24,
caratterizzata da un elemento che chiameremo 7, che nuovo non è, derivando dal 3 di battuta 5, il
salto d'ottava in sedicesimi, rappresentato dalla figura in arpeggio di Mib degli archi.
Tutto questo passaggio, armonicamente molto sottile, scuro e ambiguo, è in realtà sospeso tra
maggiore e minore, e più precisamente tra Mib M e Do m. A battuta 25 segue per quattro misure
una ripetizione variata delle prime quattro battute di a, quindi limitata agli elementi 1 e 2: l'ascesa
cromatica e la scala ascendente. L'introduzione si conclude con una sezione che possiamo chiamare
d, che copre le misure 29-37, con l'oboe ed i violoncelli che ripetono questa frase simmetricamente.
In questa sezione si riprendono nell'ordine gli incisi 5, 7 e 6.
Già facendo un piccolo riassunto di queste prime 37 battute notiamo l'incredibile densità e
complessità del pensiero di Brahms. Sette diversi incisi significativi vengono esposti e bilanciati
nell'introduzione, anche se esposto in modo disarticolato, per essere poi strutturati nel primo tema;
tutto ciò che è comparso finora sarà fondamentale e diversamente combinato in tutto il materiale
tematico seguente.
A questo punto parte l'Allegro con il primo tema, di grande complessità e di matrice beethoveniana;
non è un tema cantabile. Il primo tempo di questa sinfonia è un'innervatura formale sulle cellule
minime fra le più compatte e capillari che esistano. Non ci saranno sorprese, ma solamente modi
mirabili di combinare tutto ciò che abbiamo già sentito nelle prime 37 battute. Possiamo stabilire
dove cominci il primo tema soltanto valutando l'uso che ne fa Brahms nella ripresa. Sembra quasi
che ci sia una sorta di introduzione interna, comprendente le battute 38-42, e che il primo tema vero
e proprio parta dal f degli archi di battuta 42.
È un tema frazionato tra archi e fiati con una scrittura complessissima. Le battute 38 e 39
riprendono l'elemento 1 (l'ascesa-discesa del semitono), mentre a 40 troviamo l'inciso 2 capovolto,
imitato prontamente dai violini.
La figurazione dei violini di 42 altro non è che il 7 ascoltato a battuta 21, mentre nelle stesse misure
compaiono nel fagotto gli elementi 1 e 2.
Questa sezione termina a 51, quando vengono esposti gli elementi 4 (progressione delle settime) e 5
(scala discendente). L'intera sezione tematica è organizzata in un primo grande periodo divisibile in
tre frasi da 38 a 70; una specie di espansione di unificazione e di diversa organizzazione degli incisi
presenti nell'introduzione, che conferisce una natura muscolosa al brano, fortemente caratterizzata
dal ritmo.
A 70 tutti gli incisi vengono costantemente variati fino ad arrivare all'episodio di transizione di
battuta 111, dove comincia appunto un processo modulante (fino ad ora la tonalità si era mantenuta
piuttosto stabilmente su Do m). Possono essere isolati diversi periodi:
• 70-78 dominate dalla figura dell'arpeggio
• 78-89 con ancora una forte presenza dell'elemento 7 unito però all'ascensione semitonale (1)
e all'inciso 2 (84-85 nei legni)
• 89-97 caratterizzate sempre da 1 e dall'iterazione del semitono nei fiati
• 97-103 propongono nuovamente la figura dell'arpeggio, stavolta in inversione mentre
l'ultima parte, nelle battute 103-110 vede l'elemento 1 isolato e seguito dal 7.
Comincia il capillare processo di transizione che però non si identifica con un proprio tema. La
transizione copre le battute 111-121, fino alla nona di dominante di battuta 120 che porta ad
un'affermazione di Mib M, identificandosi quindi con un processo tradizionale della forma sonata,
che contrappone Mib M alla tonalità principale di Do m. Questa transizione, molto breve, si compie
in due fasi: 111-116 e 116-121 ed è basata sugli elementi 7 (arpeggio), 1 (semitono), 5 (iterazione
del semitono) e nuovamente l'arpeggio. Converge su un accordo di nona di dominante e in modo
piuttosto obliquo scende su Mib M, con una settima di Mib. In realtà si parte su una dominante di
Mib. Da 121 a 129 si ha un primo periodo in cui compaiono gli incisi 1,7 e 5 diversamente
organizzati: il primo nell'oboe, l'arpeggio nei violoncelli e l'ultimo nei fiati. Molti commentatori
fanno partire il secondo tema con la figura dell'oboe di battuta 130, ma essa non si configura come
un secondo tema, come un'alternativa al primo, e all'ascolto pare che il secondo tema cominci a 161,
quando appare la prima cosa di carattere ritmico diverso dal primo tema. Interpreteremo questa
sezione come un secondo tema composto da due immagini:
• la prima, che chiameremo B, rappresentata dalla figura dell'oboe nelle sue due frasi 131-145
(fino al pp degli archi) e 145-156, dove si ha una nuova figurazione derivata da un
frammento dell'oboe;
• la seconda, C, che parte a battuta 157 con una propria introduzione fino a 160, quando
appare il tema vero e proprio in ff in Mib m, in ritmo della Quinta sinfonia di Beethoven da
battuta 161;
Considerando il tutto scolasticamente la struttura risulterebbe tritematica con tonalità principali di
Do m, Mib M e Mib m. Le funzioni dei tempi però non sono quelle delle sinfonie di Haydn, perché
tutto viene fuso in un discorso unico e continuo, è tutta storia degli stessi elementi. Sempre
scolasticamente quello di 161 dovrebbe rappresentare un tema di coda, ma come vedremo in seguito
risulta una delle cose maggiormente usate nello sviluppo e quindi in realtà funziona più da secondo
tema, perché lo sviluppo si svolge principalmente su di esso oltre che naturalmente sul primo tema.
Riassumendo il tutto in modo schematico e chiaro troviamo che la sezione del secondo tema
comincia a 130 ed è composta da due frasi: 130-156 con l'oboe, e 161-1692 con un terzo tema in ff.
Abbiamo detto che la figura C risulta nuova all'ascolto, ma avendoci Brahms abituato al suo modo
di lavorare possiamo andare a verificare come le note polari di questa zona, quelle su cui il
compositore ha posto degli accenti, rimandino alla figura 1 dell'introduzione e tutta la struttura del
tema risulti una specie di diversa elaborazione del tema dell'introduzione. Questo terzo tema vede
una sua prima frase tra 161 e 169 e una seconda fra 169 e 176, dove ricompare l'inciso dell'arpeggio
in inversione. L'esposizione si chiude in Mib M con due frasi (177-185/186-189 ed è interamente
costruita sull'inciso di C, che potremmo chiamare 9 se identifichiamo con 8 quello dell'oboe. Si noti
come il 9 si contragga in modo molto ingegnoso su una terza minore discendente che in due sole
battute si riaggancia all'inizio che vale il primo tema includente la propria introduzione. Non si
parla di un vero e proprio tema di coda in quanto solitamente con questa nomenclatura si
intenderebbe un tema con funzione liquidatoria, che serve per chiudere un periodo; in questo caso
invece quello che identifichiamo tema di coda è immesso direttamente nel discorso, funzionando
quasi da secondo tema e portando verso il ritornello prima e lo sviluppo poi.

Sviluppo e ripresa
Lo sviluppo copre la sezione da 189 a 343; per il tipo di lavoro capillare sulle cellule e per il
contrappunto incessante presenta una densità degna del primo tempo della sinfonia Eroica di
Beethoven.
Si ricordi che l'esposizione era terminata in Mib e si noti come lo sviluppo parta, subito modulato,
addirittura su un pedale di Si, con una scrittura a canone basata sull'elemento 7. La prima parte si
può delimitare fino al tremolo degli archi di 197. Da questo punto compare ancora l'inciso
dell'arpeggio, unito all'1, la testa dell'introduzione (nei violini si-do-do#). A 215 l'elemento 1,
l'arpeggio e il tema dell'oboe (che avevamo chiamato B o 8) sono sovrapposti. Possiamo
tranquillamente sostenere che questo momento rappresenta l'unica comparsa del secondo tema
all'interno dello sviluppo, perché da 225 si riafferma prepotentemente il tema C, sviluppato in una
sorta di canone in scrittura corale. Tutta questa sezione dominata dalla figura che era il “tema di
coda” termina a battuta 273 ed è dominata dagli elementi 9 e 5. Alle battute 251 e 252 c'è un
famoso esempio di falsa relazione, che conferisce a questo momento un effetto molto dissonante e
che si motiva con l'enfatizzazione del semitono derivata dall'introduzione: in fiati partono in Do M
mentre gli archi si trovano in Sib M. Alla misura 273 con i violini si torna a lavorare sul primo tema
ed in modo particolare sugli incisi 1 e 2: tutto questo movimento del primo tema arriva fino alla
battuta 319 con due frasi: 273-297 e 297-319.
Da 321 finalmente comincia l'ultima sezione dello sviluppo che copre 20 battute, occupate dal tema
A, l'inciso 2 e dal tema C, il tutto svolto su un gigantesco pedale di sol dato dai timpani e dal
controfagotto che rinforza i contrabbassi: è il momento culminante dello sviluppo, in una
convergenza del primo tema col tema di coda che rappresenta una sorta di sintesi. A 335 (sul ff)
dove volge a Si m, torna il tema A senza C, ma nella ritmica della scala di fagotto, controfagotto,
viole, violoncelli e contrabbassi, la ritmica dell'inciso 2 rovesciato. Dopo Si m si converge verso Sol
come dominante di Do e a 342 si innesta la ripresa del primo tema, che comincia senza quella che
ne avevamo definito l'introduzione (come se riprendesse quindi da battuta 41).
Dal punto di vista drammaturgico, la tensione fortissima di questo sviluppo è provocata da una sorta
di tentativo di fusione tra la figura dell'introduzione o primo tema (ascesa cromatica di semitono) e
il “tema di coda”.
Il momento culminante è la sorta di prova d'incastro nel ff tra il tema A ed il tema C, dopodiché
tutto precipita verso la ripresa con la ricomparsa del tema principale. Quest'ultima copre le battute
342-494 ed è perciò molto abbreviata rispetto all'esposizione. Ne ritroviamo tuttavia le sezioni
principali: la sezione del primo tema fino a 383, la transizione 384-394, la sezione del secondo tema
esposta allo stesso modo (394 come 121, 403 come a 130 e 418 come 143) e alla fine l'intera
sezione di coda C con la sua preparazione a 430 fino alla 458. Il tutto risulta però all'interno della
conquista della tonalità di Do m già dalla misura 434. Proseguendo con l'analisi si può notare come
a 458 ci sia una sorta di estensione di questo tema fino ad entrare in fase di coda alla 462, misura
che in realtà è un'estensione di codetta poiché la coda vera e propria sarebbe più appropriato farla
cominciare da 495 con il cambiamento di tempo (“Meno allegro”), svolta sugli incisi 1 (violini e
legni), 2 e 7. Ovviamente tutto l'assetto della ripresa esclude l'apertura a Mib e fa convergere tutto il
materiale su Do m.
Risulta però molto significativo il fatto che l'intera parte da 475 in poi moduli verso Fa e che alla
495, dal “Meno allegro”, in realtà la coda si svolga in Do M. Il raggiungimento del maggiore
sembra una sorta di pacificazione, ma il senso che se ne ricava è quello di una conquista
accantonata, rimandando il problema al finale. Anche se le coda risulta essere in Do M non si può
parlare di una soluzione catartica: il linguaggio appare disarticolato negli incisi, sospendendo il
discorso drammatico; tutto precipita in una sorta di amarezza e la tonalità di Do M appare come un
miraggio, un qualcosa ancora da conquistare, e permane un'eco dei conflitti fra questi temi.

Il secondo tempo
Il secondo tempo della Prima sinfonia, un “Andante sostenuto”, è una delle forme tripartite di
Brahms, come nel 1º Concerto per pianoforte e orchestra, ed è facilmente riconducibile ad una
forma di Lied (A-B-A con coda), anche se in realtà le trasformazioni delle cellule interne
contribuiscono a rendere la forma molto più complessa. Sappiamo dalle lettere e da vari riferimenti
che in origine questo tempo era in cinque sezioni: Brahms lo ha tagliato e purtroppo non ne
abbiamo la prima versione. Partendo da forme molto semplici il compositore arriva a qualcosa di
molto complesso con un lavoro interno sugli incisi. In questo secondo tempo troviamo una
particolarità che Brahms attuerà raramente, vale a dire l'investitura del primo violino di una
funzione concertante. L'intero movimento, per il carattere molto lirico, sognante e molto struggente
sembra come una parentesi rispetto al primo, come se i problemi ed il dramma appena vissuti nel
primo tempo venissero accantonati, anche se comunque i due tempi sono collegati da alcune
relazioni tematiche.

Tema
La sezione del primo tema copre le prime 27 battute, divisibili in due sezioni (1-17/17-27), delle
quali se consideriamo la prima notiamo che ci sono degli incisi significativi che ruotano tutti attorno
all'ascesa cromatica di tre-quattro suoni e quindi sono inequivocabilmente modellati sull'inizio
dell'introduzione del primo tempo. La prima battuta (do-do#-re-mi) vede appunto lo stesso tipo di
configurazione, variato, della struttura del primo tempo. Figure significative sono l'arpeggio e la
scala discendente. Possiamo isolare quattro elementi significativi imparentati tra di loro:
1. battute 1 e 2 nei violini e nel fagotto dove notiamo sol, la, do (come nota di volta) e si
2. nota ribattuta nelle misure 3 e 4
3. figura dei violini delle battute 5-6 col levare (citazione dal primo tempo) che però eredita già
la figura di due della nota ribattuta
4. nota ribattuta estesa a scala (battuta 8 con il levare)
L'elemento cromatico ricompare nei violini alle battute 9-1. A 17 l'oboe enuncia una variante di
quello che abbiamo già ascoltato, e fino alla 23 il tutto si costruisce sull'ascesa cromatica di tre
suoni, sulla nota ribattuta e sulla scala. A 29 ricompare nei violini l'elemento cromatico.
Da 27 a 38, sempre sulla figura del primo tema, si svolge quella che possiamo definire una
transizione, caratterizzata dagli incisi 3 e 4, e che modula da Mi M si passa a Do# m, la tonalità
nella quale si svolge la sezione B (38-66), costruita sugli stessi elementi3 (tanto da sembrare una
variazione di A) e tonalmente molto instabile (si muove fin verso Lab); questa sezione giunge al
termine sul rullo dei timpani che porta al pp e a un ritorno a Mi M, dove il primo tema ritorna
riscritto: l'elemento della nota ribattuta è al flauto clarinetto e fagotto mentre è uguale l'elemento
dell'arpeggio in terzine (nel tema a battuta 6 ai violoncelli).

Tema a battuta 100, nel secondo movimento.


Tutto questo si svolge su due frasi (66-90/90-99), soltanto che a 90 quella che era stata la variazione
di A, cioè la figura dell'oboe, viene svolta dal corno mettendo contemporaneamente in luce la voce
del primo violino che funziona da variante timbrica e la decora.

Coda
Dopodiché a 100 (vedi figura a lato), fino a 128, si ha la coda, svolta in Mi M sulla figura del tema
principale, comunque con richiami evidenti anche al B, come notiamo dalle note puntate ribattute
del flauto a 100 e dei violini e nelle viole (richiamo di battuta 39). Questa coda è una specie di
meravigliosa sintesi degli elementi che erano già gemellati tra loro: nota ribattuta ed ascensione
semitonale. Perciò rappresenta una convergenza di tutto questo materiale, fuso con un senso di
grande pacificazione; l'intera sezione viene decorata dal violino solista fino al mi acuto che
conclude sull'arpeggio nell'ultima battuta, sul pedale delle trombe e timpani col pizzicato degli
archi.

Il terzo tempo
La distanza grande ed incolmabile di Brahms dalle sinfonie di Beethoven si può cogliere dal terzo
tempo. Come già avevamo detto, in Beethoven dalla seconda sinfonia in poi questo momento era
rappresentato dallo Scherzo, pezzo quindi dal carattere molto dinamico, a volte drammatico, a volte
incisivo. Episodicamente aveva recuperato il Minuetto nell'Ottava, aveva complicato invece lo
Scherzo della Quarta facendolo diventare pentapartito anziché tripartito. Restò invece Minuetto
nelle sinfonie di Schubert e di Schumann. In questa sinfonia il terzo tempo è una specie di
intermezzo molto snervato, privo di carattere: non è riconducibile allo scherzo se non per la sua
forma tripartita, non diversa da quella del secondo tempo (quindi A-B-A con una coda). La tonalità
è di Lab, considerato Sol# enarmonica mente nell'ascensione di terze rispetto al Mi M del secondo
tempo. La prima sezione A (battute 1-70) si muove intorno a Lab e Fa m (già da battuta 5), e alla
dominante dalla 10 (Mib M). Possiamo distinguere al suo interno varie sezioni:
• 1-10 (“a”) con la prima parte il Lab e dalla 5 in Fa m (la sezione 5-10 è costruita a specchio
su una sorta di inversione di 1-5). Il tema del clarinetto, sul moto cullante del pizzicato dei
violoncelli, può essere riferibile al secondo tempo, più precisamente alla figura dell'oboe che
avevamo visto alla battuta 40.
• 11-18 (“b”) con una figura che deriva chiaramente dall'inizio e ne rappresenta una
variazione; è in Mib M, quindi alla dominante. La tonalità principale viene riconquistata alla
battuta 19.
• 19-25 ritorno del tema a nei violini con il clarinetto in funzione decorativa grazie agli
arpeggi in terzine.
A 26 ricompare il Fa m mentre a 33 ricomincia il B. C'è una battuta di conclusione (45) dopodiché
comincia una nuova figura (“c”), ansiosa, in Fa m, che si muove su una figurazione di note ribattute
derivata dal secondo tempo.
Tra 62 e 70 tutto si conclude con un ritorno alla figura di a, convergendo su Lab, la tonalità
principale. La struttura fino a qui può essere quindi ricapitolata schematicamente: a-b-a-b-c-a'.
Da battuta 71 parte la sezione che chiameremo B e che deriva da A per la figurazione in note
ribattute e per il profilo melodico dei legni. Troviamo un gioco armonico di grande raffinatezza,
poiché il mi viene interpretato come enarmonico re# e attraverso di esso ci si sposta verso Si M,
tonalità della sezione centrale, al passaggio in 6/8 che copre le battute 71-114. Questa zona funziona
da Trio (in due frasi: 71-86 e 87-108) ed è ritornellata internamente.
Alla battuta 115 si ritorna alla sezione principale in Lab con il 2/4 -ma in forma abbreviata perché
se la prima volta l'A occupava 70 battute, ora copre la sezione da 115 a 154- (dopo alcune battute,
109-114, che possiamo definire di preparazione, nelle quali si era riaccennato al tema a), tuttavia in
una mirabile sovrapposizione del tema iniziale a con la nota ribattuta che aveva caratterizzato il B.
Questa parte rappresenta una commistione tra i due elementi (b=126-138;a= 139-149; di nuovo il b,
anche se solo accennato=150-154). La prima sezione torna effettivamente alla battuta 215.
La coda (“più tranquillo”) che parte a 155 è un altro gioiello formale dove Brahms crea una sintesi
A e di B, la sezione principale e quella di contrasto, dominata da B con elementi di A (a cominciare
dall'arpeggio che poi la chiude) e sfuma molto velocemente. Questo tempo non ha un carattere è
forte e quindi la funzione beethoveniana dello Scherzo che già prepara ed introduce l'ultimo tempo,
e dal punto di vista della drammaturgia della sinfonia costituisce un momento di alleggerimento,
quasi di distensione, prima di affrontare il Finale, risoluzione di tutti i contrasti che sono stati
accumulati e non risolti nel primo tempo. Le sue parentele sono con il secondo tempo, come se
fossero una coppia che separa primo e ultimo, i quali sono fortemente collegati tra di loro.

Il finale
Il Finale della Prima sinfonia ha una forma molto ardita, probabilmente la più eterodossa che
Brahms abbia scritto nelle sinfonie, e risulta difficile isolarne le parti generali. Alcuni hanno
azzardato che sia una delle punte più spinte verso il mondo dei suoi “nemici” neotedeschi, poiché le
figure sonore che vi compaiono assumono un'evidenza quasi simbolica, potremmo quasi attribuirle
ad un poema sinfonico.
Eccezion fatta per il celebre richiamo alla Nona di Beethoven, ci sono concreti riferimenti a un
certo mondo sonoro tedesco come il corale e lo squillo del corno evocativo della natura.
È una forma simmetrica rispetto a quella del primo tempo, con una grande introduzione iniziale che
copre le prime 61 battute, che instaura con la forma sonata un rapporto simile a quello che abbiamo
visto all'inizio della sinfonia tra introduzione e primo tempo stesso.
Dal punto di vista tonale l'introduzione parte in Do m ed è costituita da due sezioni molto ben
distinte e contrassegnate da un cambiamento di tempo: le prime 29 battute sono qualificate
“Adagio”, mentre da 30 a 61 abbiamo un “Più andante” che risulta essere in Do M.

Tema del corno nel Finale


La prima parte dell'introduzione è caratterizzata da un fortissimo cromatismo, una torsione
cromatica che deriva dall'inciso 1 dell'introduzione del primo tempo, mentre la seconda parte ha un
evidente configurazione diatonica in cui i temi sono chiari, come scritti in caratteri cubitali,
scarsamente cromatici. Si vengono a contrapporre perciò le figure di un'oscurità tenebrosa, di un
tormento interiore, a simboli potremmo dire di verità assoluta (lo squillo del corno e il corale); due
valori, oltre che due temi ai quali sarà poi affidata la soluzione catartica della sinfonia.
L'inizio in Do m vede una torsione cromatica dei bassi e simmetricamente segue la stessa cosa
eseguita dai violini che però la rovesciano in su. Possiamo identificare tre incisi, all'interno di un
gruppo a che è circoscritto alle prime 5 battute: la discesa dei bassi(1), la figura dei violini di battuta
2 (2) e il movimento cromatico dei violini dopo il secondo rullo dei timpani alla quarta misura (3).
A battuta 6 comincia una nuova sezione b che si estende fino a 12, contrassegnata dall'elemento 4
(ottavi pizzicati degli archi), chiaramente di derivazione da 2 data la relazione cromatica. Alla
dodicesima misura viene ripresa la figura iniziale a, mentre il b ritorna alla 16. Le battute 20-29
sono basate sugli incisi 2 e 3 di a, configurati come soluzione di coda di questa sezione che
chiameremo c. A questo punto, sul rullo dei timpani, con un effetto quasi teatrale, plateale, un po'
raro in Brahms, compare un nuovo tema con lo squillo del corno, evocativo di paesaggi alpestri.
La sezione del “più andante” che parte proprio da questo, può essere divisa in tre parti: 36-46 (in Do
M), 47-52 (in La M) e 53-60 (nuovamente in Do M). È costituita da due segnali emblematici: lo
squillo del corno a cui abbiamo appena accennato (con il tremolo degli archi che quasi ricorda il
Tannhäuser) che risulta incorniciare, in quanto prima lo precede e poi lo segue, il corale, con tutta
la simbologia che si porta dietro, eseguito da tromboni, corni, fagotti e controfagotto a battuta 47.
Pur essendo sia l'”Adagio” che il “più andante” classificati come introduzione noteremo che in
realtà questa è una denominazione impropria, poiché la forma sonata ne riutilizza i temi al suo
interno. Il primo tema della forma sonata parte in Do M con un tema diatonico, nel quale molti
commentatori vedono una reminiscenza del tema della gioia del Finale della Nona sinfonia di
Beethoven, più precisamente nella sua terza battuta. Dobbiamo precisare che il richiamo è voluto,
l'intenzione di Brahms era quella di farlo riconoscere a chiunque.
È il primo tema della forma sonata, la cui sezione copre le battute 62-94 (a sua volta divisibile in
una nuova sezione da 78 quando viene ripreso) dopodiché comincia la transizione.
A 94 comincia una transizione che arriva alla misura 118 in tre fasi: 94-102 basata ovviamente sulla
testa del tema alternata all'inciso 3 dell'introduzione e all'inciso 2, 102-114 con una nuova
immagine basata sull'arpeggio (facilmente riconducibile al primo tempo), 114-118 sempre in fase di
transizione c'è una ricomparsa come citazione e reminiscenza del tema del corno, suonato però dal
flauto e ripreso dal corno.
Viene così raggiunta la dominante ed eseguito un secondo tema in Sol M (118), svolto su un basso
ostinato che riprende l'inciso 1 dell'introduzione, seppur trasposto in tonalità diversa, in un modo di
agire barocco.
C'è un gusto ancora più straordinario se guardiamo la battuta 119 o flauto e oboe a 125 che ne
eseguono l'inversione.
Alla 118 viene raggiunta la dominante con un nuovo tema annunciato dai violini su un basso
ostinato che deriva appunto dalla prima battuta dell'introduzione. Questa sezione molto ampia del
secondo tema conduce allo sviluppo, che può essere fatto iniziare alla 186. A 132 compare una
figura che deriva direttamente da B di 118 (oboe) e viene ulteriormente variata in seguito,
precisamente alla battuta 142. Successivamente questa sezione si divide in più frasi che possiamo
elencare: 148-155, 156-163, 164-175, 176-182 e le battute finali 183-185 dove c'è la discesa con la
quale comincia in modo assai strano lo sviluppo. Tutto il materiale che si anima in questa parte
deriva da B, ma più indirettamente elabora la sezione c dell'introduzione, particolarmente la sua
parte finale, quella che era rappresentata dalle battute 27-29.
Dal punto di vista tonale, partendo dalla dominante a 118, si passa in La M a 148, Si M a 156,Mi m
a 176 e l'ultima parte (183-185) rappresenta un raccordo fra Mi m e Do M.
Una delle cose su cui è opportuno riflettere è che lo sviluppo, se lo fissiamo in questo punto, parte
alla tonica, in Do M; l'anomalia è che questa tonalità, di principale importanza in questo finale, è
già avvertito dentro l'introduzione, che l'afferma già in modo inequivocabile col tema del corno. Per
cui, quando poi si presenta il primo tema vero e proprio, 'affermazione della tonica risulta già
depauperata del suo valore. Inoltre, il fatto che lo sviluppo annunci il tema principale alla tonica, gli
attribuisce quasi un senso di ripresa.
In realtà Brahms compie in quest'ultimo tempo un'arditissima mescolanza tra la funzione di ripresa
e quella dello sviluppo, perché pur essendo ripreso il tema principale alla tonica, rapidamente
modula. Tutto è basato sul tema a e la seconda frase che parte dalla misura 204 si porta in Mib M
come variazione del primo tema nuovamente modulante. La testa del tema a ricompare a 220,
alternata all'inciso 3 dell'introduzione, esattamente come aveva fatto nelle battute 94-102
dell'esposizione.
Che tutto questo non sia da considerarsi ripresa, anche se viene esposto il primo tema alla tonica, ce
lo dimostra quanto avviene successivamente: da 228 a 284 dominano elaborazioni di questo tema in
un fugato molto denso e poi principalmente basate sulla figura che era apparsa nella transizione a
102, fino a convergere sulla dominante per la riaffermazione della tonica, che compare a pieno
soltanto alla 285. In questo punto, sul ff del tema del corno dell'introduzione, che ha un effetto
catartico travolgente ed è lo sbocco risolutore di tutta la sinfonia, si può fissare la ripresa. Da qui,
raggiunto saldamente il Do M, seppur con delle modulazioni interne, Brahms lo mantiene fino alla
fine.
Questa ripresa si svolge in modo bizzarro perché subito dopo aver esposto il tema del corno, il
compositore scrive il secondo tema alla tonica (battuta 301); viene il sospetto che la forma anomala
di quanto avviene sia: ripresa del primo tema all'interno dello sviluppo-sviluppo-ripresa alla tonica
del tema D- ripresa di B alla tonica; prima viene risolto il primo tema e dopo lo sviluppo riprende il
tema del corno dell'introduzione e quindi passa a risolvere tutta la sezione del secondo tema.
Quanto segue da 314 a 374 ripresenta praticamente tutto quanto abbiamo sentito nell'ampia sezione
del secondo tema; quindi qui non siamo in una vera e propria fase di ripresa. Ricapitolando il tutto
fino a questo punto notiamo:
• 62-94-sezione del primo tema
• 94-118-transizione dove il tema a si alterna all'inciso 3
• 118-185-sezione del secondo tema
• 186-284- ripresa anticipata e falsa (seppur con il primo tema alla tonica) perché da 204 il
carattere è quello dello sviluppo e si elabora la figura a con quella della transizione, in ben
tre sezioni di densissimo fugato
• 285-ritorno del tema del corno in Do M che apre la fase di ripresa
• 301-374-ripresa del secondo tema con l'intera sezione risolta alla tonica
Alla battuta 375 parte una sorta di codetta che si estende fino al “più allegro” di 391 ed è una
sezione che si richiama alla sezione c dell'introduzione. Il “più allegro” rappresenta la coda vera e
propria ed è basata sul materiale proveniente dal primo tema. Tuttavia, con un effetto clamoroso, a
battuta 406 Brahms riprende il corale dell'introduzione. Le ultime battute sono tutte basate, ormai in
un senso affermativo e trionfante, sull'elemento 2 dell'introduzione, in un luminosissimo Do M. La
grandezza di questa coda serve come un gioco ritmico per frenare l'enorme struttura di questo
Finale.
Abbiamo dunque visto come quest'ultimo tempo sia una forma antiscolastica e strana: l'introduzione
è divisa in due parti delle quali la prima ruota attorno a Do m, mentre la seconda (30-61) a Do M
con un corale in La. Il fatto di far sentire la tonica nell'introduzione depaupera l'affermazione del
primo tema, tanto che alcuni fanno cominciare l'esposizione del primo tema all'a 30, perché poi la
ripresa avviene su quel tema lì (ma risulterebbe comunque anomala poiché nella ripresa compare un
altro tema alla tonica).
Brahms fa sentire molto forte il Do M nell'introduzione, dopodiché l'esposizione risulta abbastanza
scolastica, perché c'è una sezione del primo tema in Do M, una transizione, e un secondo tema che
parte dalla regione della dominante e che si estende attraverso altre tonalità (Si M e Mi m). Il
problema però arriva quando vediamo lo sviluppo cominciare con un ritorno alla tonica del primo
tema, dopo il quale c'è la vera fase di sviluppo, come ci confermano il fugato ed il carattere stesso
del brano. Dalla convergenza sulla dominante di Do, e quindi dalla ripartenza in Do M (285) la
tonalità è stabile e conquistata.
La ripresa parte col tema del corno e successivamente viene il tema B (risolto naturalmente alla
tonica) con tutta la sua sezione. All'interno della coda, interamente in Do M, viene ripreso il corale
che era comparso nell'introduzione. La considerazione che dobbiamo fare a questo punto è che c'è
un'ambiguità molto evidente tra quella che chiamiamo introduzione e quella che abbiamo indicato
come esposizione, perché all'interno dell'introduzione avviene già l'affermazione della tonica e con
un tema che poi funziona da ripresa del primo tema. L'allegro di forma sonata parte però con un
nuovo primo tema in Do M e quando comincia lo sviluppo, invece di deviare tonalmente dalla
tonica riparte in Do M con una nuova affermazione del primo tema. La ripresa avviene sul tema del
corno dell'introduzione, al quale è accostato il secondo tema con tutta la sua sezione risolta alla
tonica.
È la forma sonata più anomala di Brahms e all'ascolto la configurazione come risoluzione verso la
tonica di Do M, gloriosa e affermativa di questo finale, in realtà passa attraverso varie fasi che sono
intercalate da sezioni di sviluppo. Prima riprende il tema alla tonica (vale la pena ripetere ancora
che la cosa singolare è che non lo riprende in fase di ripresa, ma solo nello sviluppo). Ci sono due
temi quindi che possiamo dire funzionino da primo tema: quello del corno dell'introduzione e quello
con reminiscenze della Nona di Beethoven, i quali ricompaiono entrambi alla tonica: uno all'inizio
dello sviluppo e uno all'inizio della ripresa, senza dimenticarne il valore simbolico.

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