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Concerto per pianoforte n. 2 in fa maggiore, op.

102
Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)

Allegro
Andante
Allegro

Organico: pianoforte solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, timpani, tamburo militare,
archi
Composizione: 5 Febbraio 1957
Prima esecuzione: Mosca, Sala grande del Conservatorio, 10 Maggio 1957
Dedica: Maxim Dmitrievich Shostakovich
Guida all'ascolto (nota 1)

Ascoltando zampillare le prime note del suo Secondo Concerto per pianoforte e orchestra viene da pensare che
Sostakovic avesse una doppia vita. Lui, l'autore di pagine titaniche, drammatiche, laceranti, sardoniche, uno dei
compositori più squassati dai conflitti del Novecento, il cantore tragico più efficace della storia russa, come può
aver tirato fuori musica così fresca? Chi gliela ha suggerita? È qualcosa che teneva nascosto dentro o è il frutto
di un incontro, di una svolta, di un'occasione?

Per capirlo bisogna ragionare sulla vita, sui sogni e sulle sventure del Maestro, l'ultimo dei grandi che si
potrebbe definire tradizionalista e modernista nello stesso tempo e il primo tra i compositori russi ad essere
venuto alla ribalta paradossalmente per merito, e non a dispetto, del regime sovietico.

Contrariamente ai suoi compatrioti Prokof'ev e Stravinskij, educati entrambi nella Russia zarista, Sostakovic
lavorò per tutta la sua vita sotto l'influenza del governo comunista, assistendo all'assurda lotta tra il proprio
genuino desiderio di creare arte per lo Stato e l'incapacità per lo Stato di accettare qualunque forma d'arte che
non fosse in grado di capire.

Aveva studiato con Glazunov al Conservatorio di Pietrogrado e mosso i suoi primi passi nel mondo musicale
con il lavoro composto per il proprio diploma, la Prima Sinfonia, nel 1926. Il suo primo stile esaudiva le
richieste del Soviet di un realismo socialista - la Seconda e la Terza Sinfonia furono scritte in onore di eventi
rivoluzionari - ma era anche energico, sperimentale e pieno di humour sardonico (si pensi alle sue opere Il naso
e Lady Macbeth del distretto di Mzensk).

Sfortunatamente, il regime staliniano diventava ogni anno più rigido e nel 1936 Sostakovic venne attaccato per
il successo della Lady Macbeth (di due anni precedente) a causa del suo preteso "formalismo piccolo borghese".
L'era della repressione artistica era cominciata. Sostakovic cercò di tenere i censori a bada, non volendo
rinunciare alla propria indipendenza, ma il suo stile in questo periodo evolse da un lato verso una malinconia
più introversa e dall'altra in direzione di un più esplicito fervore nazionalistico, con la "chicca" meravigliosa
della sua Quinta Sinfonia, del 1937, sottotitolata "La risposta di un artista sovietico ad una giusta critica" e
destinata, nella sua grandiosità esibita e nella gioia forzata del finale, a sfottere argutamente il Politburo. Con la
Settima Sinfonia, composta a Leningrado mentre la città era assediata dai Tedeschi (1941), arrivò la celebrità
internazionale, ma la Nona Sinfonia (1944) non piacque al Soviet a causa della sua luminosità e del suo
carattere gioioso, quando lo Stato avrebbe voluto invece un'opera monumentale in onore delle vittorie di guerra
russe. E così nel 1948 Sostakovic fu nuovamente condannato, insieme a Prokof'ev e ad altri colleghi, per
"perversioni formaliste" e si ritrovò a comporre per lo più opere che glorificavano la storia russa.

Nel 1953 Stalin morì e anche per gli artisti cominciò finalmente il disgelo.

È in quegli anni che il Maestro compone il suo Secondo Concerto per pianoforte e orchestra: la partitura nasce
nel 1957 come regalo per i diciannove anni compiuti dal figlio Maxim, pianista, e quel suo muovere a cuor
leggero, quel suo canalizzare l'energia verso percorsi di felicità probabilmente non sono soltanto auguri gioiosi
per il proprio erede ma l'espressione del sollievo straordinario provato dopo la fine dello stalinismo. Ecco allora
spiegato il tono vivace, brillante, i tempi rapidi disseminati di note ribattute simili a squilli di tromba nel primo
e nel terzo movimento, quell'inarrestabile senso di allegria che ha spinto persino la Disney a sceglierne alcuni
estratti per la sequenza del soldatino di piombo in Fantasia 2000.

È un Concerto che evita il tradizionale virtuosismo - forse anche per mettere in luce il talento particolare di
Maxim - e dribbla anche la consueta opposizione tra solista e orchestra a favore di un regolare transito tematico
tra i due, reso interessante da minuziosi giochi di variazione. Lo si ascolta con chiarezza nell'Allegro iniziale,
dove pianoforte e orchestra partecipano insieme all'alternanza tra una melodia leggera, luminosa, e un tema
ironicamente marziale, con tanto di tamburo militare dotato di cordiera (il cosiddetto rullante). Certo, ci sono
anche atmosfere infiammate, tonanti, come quando arriva il tema in ottave, così chiaramente malvagio da
spaventare solo per finta, o quando l'orchestra ruggisce presentando la melodia principale; ma non appena la
partitura potrebbe deviare verso sentieri seriamente drammatici Sostakovic tira la briglia, frena, come quando
lascia il pianoforte solo, per una lunga cadenza prima della ricapitolazione finale.

Il secondo movimento, Andante, come hanno notato alcuni commentatori potrebbe essere facilmente scambiato
per una pagina di Rachmaninoff, se si presta orecchio al suo carattere sentimentale. L'orchestra è drasticamente
ridotta: sono i soli archi, il pianoforte e un singolo corno a scambiarsi linee di un tenero lirismo, con la mano
destra del pianista impegnata in un semplice disegno sopra lenti arpeggi della sinistra. Non ci sono fuochi
d'artificio, qui, ma solo quel melodizzare nostalgico che siamo soliti associare ai compositori russi di un'era
precedente e imbevuta di romanticismo - o a Rachmaninoff, appunto, che ne era il geniale epigono.

Il movimento finale, nuovamente Allegro, riprende le atmosfere iniziali del Concerto, con un tema saltellante,
che si muove a scatti e va ad intrecciarsi con sezioni di scale e arpeggi che, stando alle dichiarazioni di
Sostakovic, sono citazioni testuali dai ben noti esercizi tecnici di Hanon: includerli nel Concerto, disse, era stato
il solo modo per costringere il figlio ad affrontarli! Come nel movimento iniziale, al primo tema fa da
contrappeso una seconda melodia, di nuovo segnata a tratti dalla presenza del rullante, stesa nel ritmo "zoppo"
di 7/8 che accresce la tensione ritmica della pagina e il senso di generale effervescenza. La chiusa è una corsa al
galoppo, con tutta l'orchestra schierata per un climax al quale è impossibile sottrarsi, e non c'è da stupirsi se si
arriva all'applauso con un senso di gratitudine euforica nei confronti del compositore e degli interpreti.

Nicola Campogrande
Una delle cifre più peculiari del genio è la semplicità: le menti più eccelse non sono solo quelle che assurgono
alle vette del sapere, dell’arte e della scienza, ma quelle che da lassù riescono a comunicare, divulgare e rendere
accessibili le meraviglie che ivi hanno trovato.

Il genio creatore risplende di una luce particolare quando le sue opere risultano essenziali, lineari, eteree, come
se nulla – non una nota, non un grammo di marmo, non una pennellata di colore – possa apparire superfluo ed
essere eliminato.

Non è un caso – per fare un esempio – che le opere di Mozart vengono ascritte come acme del genio umano, nel
campo musicale: la loro brillante freschezza e soave malinconia è trasparenza di rigore, complessità, profondità,
in ugual misura dilettando l’ascoltatore con quella venatura di malinconia sorridente e indulgente che tutto
comprende, e lo studioso con la sapiente costruzione formale dei suoi capolavori.

Se Mozart è l’archetipo del genio in questo senso, ritroviamo una composizione particolarmente felice e
paradigmatica, nella sua geniale inventiva ed elegante semplicità, facendo un salto in avanti direttamente al XX
secolo, nel concerto per pianoforte e orchestra n°2, op. 102 di Shostakovich – compositore geniale la cui estesa
e poliedrica produzione spazia in ogni genere: proprio come per Mozart, anche il catalogo del compositore
russo tocca praticamente tutti i generi musicali, dall’opera al quartetto, dalla musica da film (che Mozart non ha
potuto frequentare per mere ragioni anagrafiche!) alla sinfonia – e proprio come Mozart, anche Shostakovich
scriveva le sue partiture “in verticale”, portando avanti simultaneamente la costruzione armonica della
polifonia, che era evidentemente già un’idea chiarissima nella mente immaginifica del compositore, prima di
diventare segno grafico sul pentagramma.
Un concerto d’occasione

Il concerto n° 2 per pianoforte fu scritto da Shostakovic per un’occasione precisa, l’esame di diploma del figlio
Maksim, e – va detto – pare non fosse tenuto in grande considerazione dall’autore stesso, che dichiarava (in una
missiva all’amico e confidente Denisov) che tale lavoro “non ha alcun merito artistico che possa riscattarlo”: si
trattava di una vera, impietosa autocritica per un lavoro che lo stesso autore riteneva minore, o era solo un modo
per mantenere un basso profilo, memore di infelici incidenti con la censura del partito dominante in URSS? In
passato infatti, Shostakovich aveva avuto modo di assaggiare la terribile e pervasiva critica staliniana, sempre
ottusamente in agguato (si pensi all’opera Lady Macbeth del distretto di Mcensk). Considerati i rapporti
tormentati tra l’autore e il regime dittatoriale, quest’ultima ipotesi non è del tutto escludibile; certo è che il
concerto in questione non ha alcuna sovrastruttura ideologica, nè riferimenti politici nè intenti propagandistici:
in questo lavoro, forse, Shostakovich ha voluto permettersi il lusso di scrivere in assoluta libertà, senza distrarre
la sua ispirazione dalle forche caudine della censura di regime (sebbene Stalin fosse morto nel 1953); in
quest’ottica, non risulterebbe di troppo un’autocensura che derubrica il concerto quasi ad un semplice esercizio,
in modo da farlo “passare” più facilmente sotto la spietata (e miope) lente di ingrandimento del regime
comunista.
Che si trattasse di una composizione meramente d’occasione, o un lavoro totalmente scevro da condizionamenti
ideologici, certo è che il concerto n° 2 per pianoforte e orchestra ha sempre incontrato il favore del pubblico – e
fra i motivi di questa popolarità non possiamo non osservare la geniale semplicità con cui si presenta.
Guida all’ascolto

Il primo movimento del concerto vola via d’un fiato: l’estrema compattezza con cui si svolge non è dovuta solo
alla sua esigua lunghezza, bensì alla disarmante, sorprendente fluidità con cui le idee musicali sono esposte,
sviluppate, riprese. Siamo distanti dalla complessità formale dei concerti per pianoforte classicamente
monumentali, come Beethoven e Brahms, ma quel che viene perso in termini di magniloquenza strutturale ci
viene restituito in freschezza e vivacità: il movimento scorre spensieratamente gioioso, venato da un’ironia
spiritosa e ilare, i temi vengono presentati in rapida successione, in una tavolozza timbrica secca e stilizzata,
che li rende orecchiabili pur essendo costruiti raffinatamente; l’intera costruzione rispetta poi formalmente la
classica forma di successione e concatenazione di esposizione, sviluppo, cadenza e coda tipica dei concerti
classici e romantici, e la giustapposizione di temi goffamente militareschi – l’uso del rullante conferisce un
carattere di infantile, giocosa marzialità – con i temi principali enunciati dal pianoforte (il secondo, in
particolare, lirico e dolcissimo), muove tutto il primo tempo in un equilibrio miracoloso, in cui l’orchestra canta
con sicurezza e accompagna con discrezione i molti passaggi a ottave del solista; siamo lontanissimi dal clima
cupo, grottesco, delle grandi sinfonie o quartetti di Shostakovich, i lavori per cui l’autore è più conosciuto: qui
sembra tutto gioco, sorriso, allegria, un contagio scanzonato di brio e spensieratezza che quasi si fatica ad
attribuire ad un autore come il nostro, e invece innamora e conquista fin da subito.

Il secondo movimento, in cui l’orchestrazione si riduce ai soli archi e al corno, costituisce, in un modo che
potrebbe definirsi ossequioso alla definizione di concerto (composizione generalmente in tre movimenti, di
carattere movimentato e virtuosistico gli estremi, e di carattere più pacato, riflessivo il centrale), una parentesi
lirica, malinconica e sognante, incastonata fra i due movimenti veloci; anche qui non è fuori luogo richiamare
un paragone con Mozart e i suoi concerti per pianoforte, quantomeno per il carattere amabilmente elegiaco,
soffuso, dolcissimo, con il solista che conduce il discorso in un’atmosfera ovattata, dove il sostegno offerto
dagli archi è un tappeto di suoni rarefatti. Dolente, ma non disperato, anche questo movimento si muove con
estrema concisione; alcune sonorità non mancano di richiamare l’estrema iridescenza del concerto in sol di
Ravel, di oltre trent’anni precedente.Il terzo movimento infine, conclude il concerto con ritmo forsennato, in un
clima da tripudio scintillante: accanto al solista brilla il virtuosismo dell’orchestra che segue il pianoforte in
passaggi ribattuti velocissimi, in cui si ravvisa qua e là un altro dei caratteri tipici della musica di Shostakovic,
una sorta di clima circense, sempre in bilico tra l’euforia e la caricatura. Il movimento non lascia un attimo di
respiro, facendo uso di ritmi composti in ⅞ e scale pentatoniche, che invece di rendere più arduo l’ascolto,
conducono l’ascoltatore in un clima di febbrile eccitazione, sottolineata dalla bonaria presenza sarcastica degli
ottoni, che porta rapidamente alla luminosa conclusione del concerto.
La bellezza come pedagogia, lo studio come diletto

Sicuramente, il terzo e ultimo movimento è quello in cui più marcatamente si avverte la destinazione finale del
concerto, ovvero l’esibizione del figlio all’esame di diploma: si narra che Shostakovich scrisse il concerto
anche per “costringere” il figlio a studiare alcuni passaggi tecnici cui, altrove, Maksim non si dedicava con la
necessaria attenzione. Ecco allora un’altra cifra della genialità nascosta in questo concerto, apparentemente
minore: essendo invero piuttosto difficile riuscire a scrivere pezzi che, accanto all’esercizio della tecnica,
costituiscano un diletto, Shostakovich rientra nel novero di quei geni che, componendo musica destinata
all’ascolto (e non esclusivamente al mero esercizio tecnico), sapevano inserirvi passaggi che costringono
l’esecutore ad uno studio continuo e attento, impegnando non solo intelligenza e sensibilità, ma anche, e in
modo vario e molteplice, tutte le diverse risorse tecniche necessarie ad affrontare, risolvere ed eseguire
correttamente (che non vuol dire soltanto “note giuste”) i passaggi musicali tecnicamente più impervi e
problematici.

Anche da questo punto di vista, didattico e pedagogico, possiamo rintracciare nel passato un antesignano del
concerto di Shostakovich, pensando ai concerti per strumento solista di Vivaldi: la loro inesauribile verve
melodica e armonica rende ciascuno di loro un gioiellino, un miracolo di concisione e compiutezza, in cui
cimentarsi rappresenta sempre una sfida gustosa e appassionante per ogni esecutore: se infatti suonare – bene –
Vivaldi rappresenta una grande soddisfazione per i continui, sottili e stupefacenti giochi che la sua musica
compie, e anche per il virtuosismo brillante – ma mai fine a se stesso – è innegabile come tale sfida può dirsi
vinta solo padroneggiando pienamente le risorse virtuosistiche ed espressive degli strumenti chiamati a
sostenere le parti più impegnative: l’esecutore che studi un concerto di Vivaldi non diventerà solo un ottimo
esecutore di quel particolare concerto, ma un ottimo strumentista capace di fronteggiare qualsiasi pezzo grazie
alla tecnica posseduta e affinata studiando Vivaldi.

In questo modo, lo studio del concerto (da Vivaldi a Shostakovich) non si risolve unicamente nella riuscita
esecuzione di questo o quel passaggio, ma porta invece a padroneggiare la tecnica strumentale in sé –
costituendo quindi una più appagante integrazione di quegli esercizi assolutamente necessari, ma spesso
estenuanti nella loro ripetitività e frustranti nella loro apparente autoreferenzialità: nel terzo movimento del
concerto di Shostakovich, sono ravvisabili interi passaggi che si rifanno direttamente agli studi di Hanon, una
sorta di Bibbia fondamentale per ogni pianista: inseriti nell’architettura del concerto (e a questo funzionali), tali
passaggi richiedono chiaramente uno sforzo continuo ed attento, ma lasciano sempre riconoscere distintamente
l’idea musicale che costituisce l’identità del brano e ne fa un pezzo da concerto, da ascoltare e riascoltare per la
sua bellezza – rendendo del tutto invisibili le componenti didattiche, che anzi trascolorano in un discorso
musicale compiuto e riconoscibile, la cui cifra principale è proprio quella solare semplicità e immediata
raffinatezza che si dipana nei canonici tre movimenti.
Colonna sonora – o colonna visiva?
L’amore del pubblico per questo concerto, così immediato e solare, è testimoniato poi dall’uso che ne ha fatto
la Disney, che lo ha scelto per inserirlo nel suo film Fantasia 2000, come commento musicale alla fiaba del
soldatino di stagno di Andersen, aumentando notevolmente la popolarità del concerto, e raggiungendo un
uditorio forse non particolarmente avvezzo alle sale da concerto.

Anche in questo film, come in molti altri, sembra che la Disney non si sia fatta troppi problemi a cambiare, fino
allo stravolgimento, l’originale fonte letteraria che costituisce il soggetto della sempre splendida animazione: la
fiaba del soldatino di stagno (similmente a molte altre di Andersen) ha infatti un carattere principalmente
malinconico, senza il lieto fine cui assistiamo guardando il cartone animato; notiamo che la Disney ha
ovviamente tutto l’interesse a piegare le fonti letterarie scelte, per adattarle a una narrazione che appassioni e
non intristisca i suoi spettatori principali, i bambini: e per favorire l’immedesimazione e il coinvolgimento dei
più piccoli non esita a cambiare trama e personaggi, anche a costo di snaturare del tutto la storia narrata.

Nel caso di Fantasia 2000 e del soldatino di stagno, tuttavia, possiamo azzardare anche un’altra lettura dello
stravolgimento operato sulla fiaba di Andersen: e la chiave di questa lettura sta proprio nella musica scelta per
accompagnare l’animazione, ovvero il primo movimento del nostro concerto. Se la Disney avesse voluto
mantenersi fedele al testo della fiaba, la musica di Shostakovich si sarebbe rivelata senz’altro inadeguata:
troppo gaia, radiosa, divertente rispetto alla vicenda; e se invece, possiamo chiederci, la vicenda della fiaba sia
stata deliberatamente tradita e fraintesa per adattarla alla musica? Se il punto di partenza per la realizzazione di
questo episodio del film non fosse la fiaba, ma la musica?

Non avremmo da stupirci molto: quando lavorava al film Fantasia, diretto precursore del film Fantasia 2000
(quest’ultimo infatti costituisce a tutti gli effetti una celebrazione di quello), Walt Disney pose l’accento fin
dall’inizio sulla maggiore importanza della musica: diceva infatti che “nel nostro materiale ordinario, la nostra
musica è sempre dietro l’azione, ma su questo [film] noi dovremmo rappresentare questa musica – non adattarla
alla nostra storia”. Ecco la chiave per interpretare la lettura della fiaba di Andersen così come la Disney l’ha
voluta raccontare, alterandola: è la musica, il punto di partenza, non la sequenza animata! Walt Disney voleva
produrre cartoni animati (e Fantasia sarà il progetto più ambizioso e rischioso, nel lontano 1940, in questo
senso) dove “la pura fantasia si rivela… l’azione controllata da un motivo musicale ha grande fascino nel regno
dell’irrealtà”: sono le immagini animate che vengono ideate, schizzate e disegnate in funzione della musica, che
è la protagonista principale e indiscussa; così in Fantasia 2000 il concerto per pianoforte e orchestra di
Shostakovich non è un prezioso accompagnamento alla sequenza animata, bensì costituisce la narrazione
primaria cui quest’ultima dà concretezza visiva e consistenza di immagini che accompagnano, commentano e
amplificano le emozioni che scorrono nella musica di Shostakovich.

Se è vero questo ragionamento, come meravigliarsi che la vicenda del soldatino di stagno sia stato modificata in
funzione della musica? Come dare torto alla Disney, che ha voluto immaginare, sulle suggestioni dettate dal
carattere semplice e immediato del concerto, un finale del tutto diverso – e perfettamente intonato – per la fiaba
di Andersen?

Il concerto per pianoforte e orchestra n°2 di Shostakovich, la spontanea e incontaminata gioia che lo pervade,
l’irrefrenabile ottimismo che ne emana, e, sopra ogni cosa, l’immediata semplicità con cui conquista il nostro
animo dal primo ascolto all’ennesimo ri-ascolto, sono allora non solo l’epifania apparentemente marginale di un
genio assoluto – anche come didatta – ma anche un ottimo motivo per ri-leggere una fiaba triste, dandogli un
nuovo finale, positivo e luminoso: e chissà in quanti abbiamo bisogno di questa grande magia, che la musica di
questo concerto ci può regalare, facendoci credere, alla maniera di Walt Disney, che quel che possiamo
sognare, lo possiamo anche fare. Anche cambiare i finali che sembrano già scritti.

Rosario Dipasquale
Dmitri Shostakovich vita e biografia

Dmitri Shostakovich nasce a San Pietroburgo il 25 ottobre del 1906 e morì a Mosca il 10 agosto del 1975.

Importante personalità della musica moderna russa, si formò artisticamente nel clima politicamente e
culturalmente acceso della rivoluzione sovietica, frequentando il conservatorio della città natale e diplomandosi
nel 1923 in pianoforte e nel 1925 in composizione.

Il suo linguaggio si rifà alla tradizione e cultura russa, mischiandola a una propria e originalissima visione della
forma e contenuto.

Le opere teatrali di Shostakovich come “Il Naso”, “Lady Macbeth” (o Katerina Ismailova) del e le sue Sinfonie
riflettono gli entusiasmi che seguirono la Rivoluzione d'Ottobre, anche se “Lady Macbeth” fu attaccata dal
giornale Pravda che scrisse un articolo con il titolo "caos anzichè musica", la “Quarta sinfonia” fu accusata di
formalismo da parte della critica sovietica più sbrigativa ed intransigente ed i suoi balletti furono criticati per
l'impatto sonoro troppo moderno.

L’atmosfera innovativa nella quale Shostakovich componeva a fianco di intellettuali quali Maiakovski, Gorki,
Eisenstein, Pudovkin e Mejerchold fu presto smorzata dalla burocrazia sovietica ed il compositore fu costretto
ad adeguarsi alle direttive del Partito.

Fu membro del comitato direttivo dell’Unione dei Compositori Sovietici, del Comitato Slavo dell’Unione
Sovietica e di quello per la difesa della pace.

Dal 1956 gli scritti pubblicati da Shostakovich sulla Pravda erano un continuo riferimento alla necessità da
parte dei giovani musicisti sovietici di impegnarsi in una ricerca più coraggiosa e vicina alle loro aspirazioni.

La sua vasta produzione è stata classificata dalla critica in tre grandi periodi: un primo di formazione sino alla
“Quarta Sinfonia” (1935), un secondo normalizzato ai canoni estetici del realismo socialista, infine un terzo
iniziato nel 1948 e proseguito con la morte di Stalin (1953) sino alla sua stessa morte, in cui si apre cautamente
alle istanze della musica occidentale.

La musica di Shostakovich è sovente tinteggiata di un colore livido, tetro, funereo, attraversato da un lirismo
accesissimo, tragico e per questo adatta anche come colonna sonora in numerosi film.

Composizioni di Dmitri Shostakovich :

Sinfonia n.1 1925 saggio del diploma di composizione


Sinfonia n.2 1927
Sinfonia n.3 1929
La nuova babilonia 1929 colonna sonora del film
Lady Macbeth 1930 opera
L'età dell'oro 1930 balletto
Il naso opera
Il bullone 1931 balletto
Concerto per pianoforte 1933
Sinfonia n.4 1935
Il limpido fiume 1935 balletto mettendo il scena la vita di un Kolkoz
Sinfonia n.5 1937
Sinfonia n.6 1939 ispirata al poema "Lenin" di Majakovskij
Sinfonia n.7 1941 una delle più conosciute è dedicata alla città di Leningrado
Sinfonia n.8 1943
Sinfonia n.9 1945
Concerto per violino 1947
La caduta di Berlino 1949 colonna sonora del film
Sinfonia n.10 1953
Sinfonia n.11 1957
Concerto per pianoforte 1957
Concerto per violoncello 1957
Sinfonia n.12 1961
Sinfonia n.13 1962
Amleto 1963 colonna sonora del film
Concerto per violoncello 1966
Concerto per violino 1967
Sinfonia n.14 1969 -(Dmitri Shostakovich affronta il tema della morte ispirandosi ai testi di Apollinaire, Rilke,
Garcia Lorca e Kuchelbecker )
Sinfonia n.15 1971 - ispirata anche questa come la sinfonia precedente al tema della morte. In questa
composizione si possono avvertire richiami dal Wagner della Valchiria e dal Gioachino Rossini de Il barbiere di
Siviglia.

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