Sei sulla pagina 1di 11

Ovidio, uno di noi: mito e leggenda del poeta di Sulmona tra i suoi concittadini

Alessandro Bencivenga

in memoria degli ovidianisti peligni Ilio Di Iorio e Giuseppe Papponetti

CHI ERA OVIDIO?


Fate questa domanda a chi volete dei nostri vecchi popolani, e tutti vi risponderanno che Ovidio era o un gran mago,
o un gran mercante, o un gran profeta, o un gran predicatore, o un gran santo, o anche una specie di paladino. Ma tutte
queste qualità e tutti questi attributi, nella loro mente, non suonano mai dispregio o caricatura.

Così esordiva Antonio De Nino1 nel suo saggio Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona,
pubblicato a Casalbordino per i tipi De Arcangelis nel 1886 e dedicato «alla memore e gentile/ città di
Constanza/ surta/ dalla storica Tomi» in occasione dell’erezione del monumento a Ovidio, opera dello
scultore romano Ettore Ferrari2 (figg. 1-2).

Fig. 1. Ettore Ferrari, statua di Ovidio (1887). Fig. 2. Ettore Ferrari, statua di Ovidio (1925).
Constanța, Piaţa Ovidiu. Sulmona, piazza XX Settembre.

1 Antonio De Nino (Pratola Peligna, 17 giugno 1833 – Sulmona, 3 marzo 1907) non a torto è stato considerato “il più
grande folkorista fiorito nella zona peligna”, come lo definì Ettore Paratore nel suo saggio Le tradizioni popolari abruzzesi su
Ovidio alla luce delle nuove esperienze, in «Atti del VII Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, Chieti 4-8 settembre 1957»
(B. M. Galanti ed.), Firenze, Olschki, 1959, pp. 30-55.
2 Si tratta della statua di bronzo “prototipo” di quella inaugurata a Sulmona il 30 aprile 1925.
Lo scopo di questo breve saggio è riproporre all’attenzione degli studiosi quelle tradizioni
popolari che ruotano attorno alla figura di Ovidio, raccolte tra l’ultimo quarto del XIX secolo e la prima
metà del seguente dal De Nino e da altri folkloristi italiani (come Domenico Ciampoli3, Luigi Correra4 e
Giovanni Pansa5), partendo dall’analisi proposta da Ettore Paratore nel 1957 nel suo intervento in
occasione del VII Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, celebrato a Chieti dal 4 all’8
settembre di quell’anno6. Il celebre latinista teatino dava del complesso di leggende sorte attorno alla
figura del poeta sulmonese una spiegazione condivisibile e finora pressoché inoppugnabile, in quanto
basata su riscontri specifici e puntuali: in sintesi, egli si diceva convinto che «il processo genetico della
leggenda di Ovidio» (sono parole sue), il cui nucleo centrale presenta molte affinità con quello di
Virgilio7, «non ha potuto ricevere le sue prime spinte se non dall’ambiente dotto, come si è venuto
configurando verso la seconda metà del XIII secolo»8, influenzato dalla cultura francese altomedievale
della cosiddetta Aetas Ovidiana, secondo la celeberrima definizione del filologo classico tedesco Ludwig
Traube (1861-1907).
Al netto di questa lucidissima analisi, che segna il punto di svolta nello studio di queste tradizioni,
il mio intento, già dichiarato, è solo quello di riproporle all’attenzione degli studiosi (e non solo), in
occasione del bimillenario della morte di Ovidio e a sessant’anni dal contributo di Paratore.
Mettendo temporaneamente da parte i due brevissimi articoli di Ciampoli9 e Correra10, che in
sintesi riportano quanto presente nelle opere maggiori, le fonti più importanti rimangono i due studiosi
peligni che insieme a Pietro Piccirilli11, altro illustre sulmonese, più hanno influenzato la scena culturale,
non solo di Sulmona, a cavallo tra i due ultimi secoli: Antonio De Nino e Giovanni Pansa.
Il saggio di De Nino precede di quasi quarant’anni quello di Pansa 12 (tacciato di ingenuità da
Paratore per quanto riguarda l’analisi delle origini delle leggende di cui scrive 13), più ampio e forse
“scientificamente” più corretto (tesi fortemente criticata da Bruno Mosca, curatore di una delle tre
ristampe novecentesche dell’opera14), ma l’avvocato sulmonese è quasi per intero debitore alla ricerca
del maestro pratolano per quanto concerne la mole delle leggende raccolte. Seguendo l’ordine con cui

3 Atessa, 13 agosto 1852 – Roma, 20 marzo 1929.


4 Napoli, 1852 – ivi, 24 gennaio 1916.
5 Sulmona, 21 marzo 1865 – ivi, 19 gennaio 1929.
6 E. Paratore, Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio…, cit.
7 Al quale si dedicò Domenico Comparetti col suo Virgilio nel Medioevo (Livorno, Francesco Vigo, 1872), più volte citato dagli

studiosi peligni.
8 Paratore, Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio…, cit., p. 54.
9 D. Ciampoli, La leggenda d’Ovidio in Sulmona, in «L’Abruzzo: per le scuole medie e le persone colte» (R. Di Vestea ed.),

Milano, L. Trevisini, [s.d.], pp. 103 sg.


10 L. Correra, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona, in G. Basile (ed.) «Archivio di Letteratura Popolare» III (1885), Napoli,

Tip. F. Raimondi, 1885, pp. 20 sg.


11 Sulmona, 18 luglio 1849 – ivi, 8 marzo 1921.
12 G. Pansa, Ovidio nel Medioevo e nella tradizione popolare, Sulmona, U. Caroselli, 1924.
13 Paratore, Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio…, cit., pp. 44 sg.
14 A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona (B. Mosca ed.), L’Aquila, L. U. Japadre, 1972. Le altre due edizioni

sono una a cura di V. Orsini (Sulmona, Libreria editrice A. Di Cioccio, 1975) e l’altra una ristampa anastatica (Sala
Bolognese, A. Forni, 1979).
De Nino le elenca nel brano riportato in esergo, presenterò le varie tradizioni popolari legate al nostro
poeta, cercando di ridurre al minimo le citazioni dirette e stimolando così il lettore a gustare per intero
le pagine dei due studiosi.

OVIDIO MAGO E MERCANTE (E DANNATO)


Come già era successo con Virgilio nella tradizione napoletana15, anche Ovidio fu identificato dal
popolo come mago potente, che può unire e dividere gli innamorati (accòcchie e scòcchie, nel dialetto di
Sulmona)16, chiara eco della produzione giovanile del poeta; la sua, però, è una magia “buona”, intesa
come il possesso di un enorme sapere, grazie al quale è in grado di dare una spiegazione a qualunque
fenomeno, sia di natura fisica che morale (a metà strada tra il negromante e il filosofo). L’elemento più
interessante di questa leggenda è senz’altro ciò che riporta Pansa (citando Ciampoli) riguardo
all’iniziazione alla magia di Ovidio17: pare che il poeta avesse fatto il suo “apprendistato” niente meno
che presso la maga Angizia, sorella di Medea e Circe, che aveva nel santuario di Luco dei Marsi
(recentemente riportato alla luce e citato anche da Virgilio come nemus Angitiae18) il suo luogo di culto
principale. Non mi soffermerò qui sulla tradizione che attribuisce ai Marsi la capacità di maneggiare
serpenti e veleni, nonché su quella (ricordata da Orazio19) di preparare filtri d’amore, tipica delle anus
Paelignae20 (ma condivisa, a quanto pare, da Ovidio stesso21); trovo interessante, però, la circostanza che
nella tradizione popolare si sia sviluppata (forse involontariamente) una connessione tra il poeta
sulmonese e il vate mantovano, tramite la figura mitologica di Angizia. Ad Ovidio mago erano attribuiti
poteri straordinari, derivanti dall’enormità del suo naso (da cui poi il cognomen Nasone) ed esercitati
tramite una sorta di bacchetta magica ed un “libro del comando” o “dei segreti”, che gli permetteva di
mutare aspetto agli altri e a se stesso a piacimento (palese reminiscenza del capolavoro ovidiano), come
ad esempio quando, costretto a fuggire dalla collera del re, si trasformò in un lupo (chiara
rielaborazione del mito del licantropo narrato nel primo libro delle Metamorfosi ai vv. 163-241).
Direttamente connessa al tema della “magica” sapienza di Ovidio era l’idea che il poeta
esercitasse la mercatura: infatti, secondo il popolo, il vate Sulmonese durante i suoi lungi viaggi
intrapresi al fine di commerciare, aveva avuto modo di osservare tante e tali cose che gli permisero di
scoprire una serie di verità nascoste e di svelare i segreti della natura.

15 Vd. Comparetti, Virgilio nel Medioevo, cit.


16 Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 33.
17 Id., op. cit., pp. 30-32; Ciampoli, La leggenda…, cit.
18 Verg. Aen. VII, 759.
19 Hor. Epod. XVII, 60.
20 Per la quale cfr. il mio Le Paelignae anus di Orazio: maghe, sacerdotesse o prostitute sacre?, in «Antropologia e archeologia a

confronto: Rappresentazioni e Pratiche del Sacro, Atti Incontro Internazionale di Studi, Roma 2011», Roma, E.S.S. Editorial
Service System, 2012, pp. 737-744.
21 Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 33.
Una gran parte della fama di Ovidio come mago si deve all’immagine che i Sulmonesi ebbero del
poeta dal XV secolo in poi, ossia la statua in calcare locale attualmente ospitata nel cortile del Palazzo
della SS.ma Annunziata e già precedentemente custodita presso la sede comunale e poi all’interno
dell’edificio che ospiterà in seguito il Liceo Classico cittadino: la particolarità di quest’opera scultorea,
che ritrae Ovidio in abiti quasi monacali, con un libro in mano ed uno sotto i piedi, ha fatto sì che si
sviluppassero diverse leggende aventi come punto di riferimento proprio gli elementi presenti nella
statua (fig. 3).

Fig. 3. Statua di Ovidio (sec. XIV). Sulmona, Palazzo della SS.ma Annunziata.
Che fosse la sua capacità di leggere coi piedi22, o la sua enorme sapienza derivata dai caratteri
“ebraici”23 scolpiti sul libro che reca in mano (in realtà nient’altro che le lettere S M P E, acronimo
dell’emistichio Sulmo mihi patria est, terzo verso della decima elegia del quarto libro dei Tristia, divenute
dal Medioevo parte integrante dello stemma cittadino), la fantasia popolare ha sempre visto in Ovidio
un essere dal sapere sovrumano in qualunque campo, tanto da farlo diventare anche il consigliere del re
di Napoli in materia di legge24. Un’altra immagine sulmonese del poeta (almeno secondo la vulgata)
andrebbe forse riconosciuta nel busto25 attualmente conservato presso il Musée du Louvre di Parigi, che
in realtà è stato ormai unanimemente riconosciuto come il ritratto di Ferdinando d’Aragona e che un
tempo di trovava sulla Porta Salvatoris (fig. 4), accanto alla Fontana del Vecchio, sul culmine della quale
si trova invece quello che dalla tradizione è interpretato come il ritratto di Solimo, eroe troiano mitico
fondatore della città26.

Fig. 4. Busto di Ferdinando d’Aragona, già ritenuto di Ovidio (sec. XV).


Da Sulmona, Porta Salvatoris. Paris, Musée du Louvre.

22 De Nino, Ovidio…, cit., p. 17; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 36.
23 De Nino, Ovidio…, cit., p. 44; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 36.
24 De Nino, Ovidio…, cit., p. 2; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 37.
25 De Nino, Ovidio…, cit., pp. 46-49; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., pp. 146-148.
26 Un altro probabile ritratto ideale di Ovidio è una testa di poeta laureato che si trova conservata presso il Museo Civico di

Sulmona.
Pare che coi suoi poteri magici Ovidio si fosse costruito anche una villa vicino a Sulmona (in
località Fonte d’Amore, nome di ascendenza ovidiana ma secondo Paratore senza alcun legame reale 27),
piena di trappole e sortilegi per tenere lontani i curiosi, persino arrivando a trasformarli in uccelli o
alberi (ulteriore reminiscenza del capolavoro ovidiano); questa villa, da sempre identificata coi resti
visibili a mezza costa del Monte Morrone (che ormai da una sessantina d’anni sappiamo essere in realtà
il santuario italico-romano di Ercole Curino), naturalmente doveva ospitare al suo interno un immenso
tesoro, che sarebbe stato trovato, secoli dopo, dall’eremita Pietro Angelerio (il futuro papa Celestino V),
che lo impiegò parzialmente per edificare l’abbazia di Santo Spirito al Morrone, che si trova proprio ai
piedi della supposta villa (questa leggenda avalla in qualche modo l’ipotesi che l’abbazia sia stata
costruita utilizzando anche i materiali provenienti dalle strutture ormai dirute del santuario di Ercole)28.
Tanto sapere legato alla magia e la fama di immoralità che accompagnava le sue opere, però, non
potevano che ispirare, soprattutto agli occhi di una popolazione ancora fortemente soggetta al diktat
della Chiesa, l’immagine di un Ovidio dannato in quanto dedito a conversazioni col demonio tramite il
pozzo della sua villa e impegnato a manifestarsi fugacemente ora in forma di fantasma nero su un carro
infuocato, ora nell’aspetto di un animale (solitamente un cane nero o un bue/vitello) dagli occhi
infuocati29.

OVIDIO PROFETA, PREDICATORE E SANTO


Al pari di Virgilio, anche ad Ovidio venivano attribuite dal popolo doti di profezia, ossia la
capacità di leggere il futuro (era addirittura «il primo profeta della città dell’Abruzzo»30!), e l’abilità di
predicare per svelare a tutti le verità più recondite, ma non solo. L’amore che da sempre lega i cittadini
di Sulmona al loro Vate è così forte che molti furono coloro che nel corso dei secoli cercarono di
“moralizzare” la sua opera, spingendosi ad affermare, con articolate argomentazioni, che l’intento del
poeta era quello di far conoscere il male per poterlo evitare31. Perciò, secondo alcuni, in vecchiaia
Ovidio decise di abbandonare la magia e di ritirarsi in penitenza sul Morrone (nelle cunicelle, cioè gli
ambienti voltati di una delle terrazze che compongono il santuario/villa di Fonte d’Amore32), dando alle
fiamme il suo “Libro dei segreti” (vd. sopra) e componendone un altro sulle virtù cristiane; questo gli
permise di assumere il ruolo di abate, a capo dei monaci della Badia33, e addirittura di diventare maestro

27 Paratore, Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio…, cit., pp. 45 sg.


28 A. De Nino, San Pietro Celestino e Ovidio, in «Usi e costumi abruzzesi», vol. IV (Sacre leggende), Firenze, G. Barbèra, 1887;
Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., pp. 31, 47 sg., 111-131.
29 Id., op. cit., pp. 46 sg. e 121.
30 De Nino, Ovidio…, cit., p. 4; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 63.
31 Id., op. cit., p. 54.
32 De Nino, Ovidio…, cit., p. 33; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 115.
33 De Nino, Ovidio…, cit., p. 23; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 62.
di dottrina cristiana per i bambini della parrocchia delle Marane (una frazione di Sulmona ai piedi del
Morrone)34.
Il processo di “santificazione” popolare di Ovidio passa anche attraverso alcuni aneddoti, come
quello riportato da De Nino35, che vede protagonisti il poeta e un bambino intento a prosciugare il mare
riempiendo una buca scavata nella sabbia (ovvia rielaborazione dell’omologo episodio di Sant’Agostino
in merito al mistero della Trinità)36.

OVIDIO PALADINO (E CAVALIERE)


Un’altra serie di racconti popolari vede Ovidio nei panni di un paladino, nello stile dei poemi del
ciclo carolingio, in compagnia di altri tre noti personaggi: Ciciarone d’Arpine (Cicerone), Razielle de Roma
(Orazio) e Arasce de Barlette (Eraclio, imperatore d’Oriente); di questi, il vero “amico/rivale” di Ovidio è
considerato Cicerone (morto in realtà nello stesso anno di nascita del poeta, il 43 a.C.), al quale il
Sulmonese dedicò una sorta di filastrocca (della quale riporterò qui solo alcuni versi)37:

Sulemone belle ‘ndove ‘Viddie nacque;


Furmate de fiore e circognata de monte;
Scarsia de terre e cupiose d’acque;
Sulemone belle ‘ndove ‘Viddie nacque;

La descrizione di Sulmona come scarsa di terre e copiosa d’acque è un’evidente citazione di


quanto Ovidio stesso dice nella decima elegia del terzo libro degli Amores (atque aliquis spectans hospes
Sulmonis aquosi/ moenia, quae campi iugera pauca tenent,/ ‘Quae tantum’ dicet ‘potuistis ferre poetam,/
quantulacumque estis, vos ego magna voco.’), mentre la caratteristica (ben evidente) dell’esser circondata di
monti potrebbe riecheggiare un passo del Filocolo di Giovanni Boccaccio («[Fileno] pervenne fra li
salvatichi e freddi monti d’Abruzzi, fra’ quali trovò Sulmona, riposta patria del nobilissimo poeta
Ovidio. Nella quale entrando, così cominciò a dire: - O città graziosa a ciascuna nazione per lo tuo
cittadino, come poté in te nascere o nutricarsi uomo, in cui tanta amorosa fiamma vivesse quanta visse
in Ovidio, con ciò sia cosa che tu freddissima e circundata da fredde montagne sii? -; e questo detto,
reverente per lo mezzo di quella trapassò»; III, 33).
A proposito della patria di Ovidio, sia De Nino che Pansa riportano la notizia che il poeta era
considerato re della Curfinia (Corfinio)38, ma da tutti era risaputo che fosse originario di Sulmona39, dove

34 Id., op. cit., p. 36.


35 De Nino, Ovidio…, cit., p. 5.
36 La leggenda, studiata da L. Pillion (La Légende de s. Jérome, in «Gazette des Beaux-Arts» del 1908), riprende un testo della

Lettera apocrifa a Cirillo, scritta dallo stesso Agostino, nella quale il santo ricorda una rivelazione divina con queste parole:
Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum?
37 De Nino, Ovidio…, cit., pp. 16-20; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., pp. 37-41.
38 De Nino, Ovidio…, cit., p. 13; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 22.
erano situati sia la sua casa (nell’area della chiesa di S. Maria della Tomba o di Palazzo Tironi)40 che i
suoi poderi41 (oltre alla già citata villa), nonché la casa dell’amante, molto spesso identificata con una fata
o una maga (presso il Casino Pantano42).
Sulla condizione sociale di Ovidio non c’erano dubbi tra i popolani: era un cavaliere e anche
molto ricco, tanto che «a Sulmona, quando si tratta di grosse somme, si suol dire ironicamente: Vattele a
fà’ dà’ a ’Viddie ’nnante Corte: vattene a far dare da Ovidio innanzi all’antico palazzo municipale […]
dov’era la sua statua»43. Tutta questa ricchezza, però, non gli servì a nulla quando l’imperatore decise di
mandarlo in esilio… alla città della Siberia44! Il nostro povero Ovidio morì di freddo45!

OVIDIO OGGI
Avviandomi a concludere questo breve contributo, vorrei riportare le parole di Panfilo Serafini46,
già citate da Pansa, che illustrano al meglio il rapporto tra i Sulmonesi e il loro più famoso concittadino:

Il basso popolo sulmonese ha una specie di venerazione per la memoria di questo poeta: esso ne conserva le
tradizioni, esso levasi in compiacenza di averlo concittadino. Chi ti racconta un qualche avvenimento della sua vita, chi ti
discorre della sua abitazione di Sulmona […] Insomma Ovidio gode una fama popolarissima fra noi, dal nobile che tiene in
pregio soltanto le sue rose pergamene, all’umile agricoltore; dalle donne mature che sputando sentenze, hanno l’occhio
all’educazione della prole ed alla famigliare educazione, alle vaghissime fanciulle che ti rapiscono coi loro grandi occhi neri e
annodano i cuori con le chiome in mille guise meravigliosamente intrecciate. 47

Noi osserviamo che il volgo Sulmonese conserva molto certe tradizioni patrie, ed una stima per Ovidio che giunge
all’orgoglio. Nello sdegno, l’uomo bestemmia alla cosa più cara che conosca, e la bestemmia caratteristica è mannaggia
Guiddie.48

Il fatto che questo sentimento di orgoglio e di quasi appartenenza alla famiglia stessa di Ovidio sia
ancora vivo e sentito a Sulmona, è dimostrato, in ultima istanza, da due prodotti letterari di recente
pubblicazione, che ancora una volta confermano il fortissimo legame del popolo peligno col suo figlio

39 De Nino, Ovidio…, cit., p. 12; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 37.
40 De Nino, Ovidio…, cit., pp. 21-23; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., pp. 99-101.
41 Id., op. cit., pp. 106 sg.
42 De Nino, Ovidio…, cit., p. 25; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., pp. 107 sg. e 128.
43 De Nino, Ovidio…, cit., p. 33.
44 De Nino, Ovidio…, cit., p. 37; Pansa, Ovidio nel Medioevo…, cit., p. 73.
45 Per una analisi più approfondita di questa esotica destinazione cfr. Paratore, Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio…, cit.,

p. 44.
46 Sulmona, 23 agosto 1817 – ivi, 11 novembre 1864.
47 P. Serafini, Una visita alla Villa di Ovidio, in «Gazza, giornale di amena lettura», I (1846), pp. 17-22.
48 P. Serafini, Sulmona, in «Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato» (F. Cirelli ed.), Napoli, G. Nobile, 1853, p. 63.
più illustre: si tratta di un romanzo49 e di una raccolta di poesie50, che altro non sono se non
rielaborazioni di tematiche e versi ovidiani.
L’istituzione di un concorso internazionale di traduzione dal latino, infine, ha senz’altro
contribuito a rafforzare il legame degli studenti del Liceo Classico “Ovidio” (e della cittadinanza tutta)
con colui al quale la scuola è intitolata, favorendo la conoscenza e l’approfondimento delle tematiche
care al poeta; il Certamen Ovidianum Sulmonense, giunto nell’anno 2017 alla sua XVIII edizione, è un
ambasciatore di Ovidio nel mondo, attraverso quanto di più bello possa offrire il nostro Paese: giovani
menti plasmate dalla cultura classica.

49 Non mi avrete mai, giallo storico di Giuseppe Martocchia, già docente di Latino e Greco presso il Liceo Classico “Ovidio”
di Sulmona, pubblicato nel 2008 (Pescara, Tracce), basato su una immaginaria ricostruzione del periodo in cui Ovidio visse
relegato a Tomi.
50 Uvìddie Nuostre. Vulgata Sulmontina, raccolta di poesie in vernacolo sulmonese di Maria Pia Palesse (Pineto, Riccardo Condò

Editore, 2016).
BIBLIOGRAFIA

o D. Ciampoli, La leggenda d’Ovidio in Sulmona, in «L’Abruzzo: per le scuole medie e le persone


colte» (R. Di Vestea ed.), Milano: L. Trevisini, [s.d.], pp. 103-104.
o L. Correra, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona, in G. Basile (ed.) «Archivio di Letteratura
Popolare» III (1885), Napoli, Tip. F. Raimondi, 1886, pp. 20-21.
o A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona, Casalbordino, De Arcangelis, 1886.
o A. De Nino, San Pietro Celestino e Ovidio, in «Usi e costumi abruzzesi», vol. IV (Sacre leggende),
Firenze, G. Barbèra, 1887.
o A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona (B. Mosca ed.), L’Aquila, L. U. Japadre,
1972.
o A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona (V. Orsini ed.), Sulmona, Libreria editrice A.
Di Cioccio, 1975.
o A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona (rist. anast. ed. 1886), Sala Bolognese, A.
Forni, 1979.
o G. Martocchia, Non mi avrete mai, Pescara, Tracce, 2008.
o M. P. Palesse, Uvìddie Nuostre. Vulgata Sulmontina, Pineto, Riccardo Condò Editore, 2016.
o G. Pansa, Ovidio nel Medioevo e nella tradizione popolare, Sulmona, U. Caroselli, 1924.
o E. Paratore, Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio alla luce delle nuove esperienze, in «Atti del VII
Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, Chieti 4-8 settembre 1957» (B. M. Galanti ed.),
Firenze, Olschki, 1959, pp. 30-55.
o P. Serafini, Una visita alla Villa di Ovidio, in «Gazza, giornale di amena lettura», I (1846), pp. 17-
22.
o P. Serafini, Sulmona, in «Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato» (F. Cirelli ed.), Napoli,
G. Nobile, 1853, p. 63.
ABSTRACT

ITALIANO

Lo scopo di questo lavoro è illustrare la fama di Ovidio tra i suoi concittadini dal Medioevo al XX
secolo, in particolare concentrandosi sulle tradizioni popolari che riguardano il “poeta dell’amore” (a
metà strada tra fantasia e realtà) raccolte tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del seguente da
due importanti studiosi di Sulmona, Antonio De Nino e Giovanni Pansa. Dai sulmonesi Ovidio è
sempre stato visto come un donnaiolo impenitente, ma anche come un mago potente, un mercante, un
profeta, un predicatore, un santo e finanche un paladino. I più recenti esempi del forte legame di
Sulmona col suo figlio più noto sono due volumi, un romanzo e una raccolta poetica pubblicati negli
ultimi dieci anni, che rielaborano temi e versi dell’opera ovidiana.

ENGLISH

The aim of this paper is to illustrate the authority of Ovid amongst his citizens from the Middle Ages
the 19th century, especially focusing on the popular traditions about the “Love Poet” (halfway between
fantasy and reality), collected in the late 19th and early 20th century by two major scholars from
Sulmona, Antonio De Nino and Giovanni Pansa. By the citizens of Sulmona Ovid has always been
seen as a womanizer, but also as a powerful magician, as a merchant, a prophet, a preacher, a saint and
even as a paladin. The most recent examples of this strong love of Sulmona for its best-known son are
two books, a novel and a poetic collection published in the last ten years, that rielaborate themes and
verses taken by Ovid’s work.

Potrebbero piacerti anche