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CIRCOLO VITfORIESE di RICERCHE STORJCHE

Vittorio Veneto

estratto

Massimo Gusso

Il Libro dei Prodigi di Giulio Ossequente


Conferenza del 14 ottobre 2005, Biblioteca di Ceneda, Vittorio Veneto
Testo pubblicato nel Quaderno n 9 (2007)
del Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche, pp. 62-76
IL LIBRO DEI PRODIGI DI GIULIO OSSEQUENTE
di
Massimo Gusso

Chi era Giulio Ossequente?


Non esiste alcun riferimento nella letteratura latina antica ad un autore
con questo nome. Non se ne ebbe notizia sino a cinquecento anni fa
quando, attraverso una serie di personaggi espressione a diverso titolo
della cultura veneta, Giulio Ossequente fece il suo ingresso nella storia
letteraria e in quella religiosa e sociale dell'antichità romana.
Il suo volume, denominato Liber prodigiorum fu infatti rinvenuto
dall'architetto, umanista e frate Giovanni Giocondo da Verona: giaceva
sepolto nella biblioteca di una abbazia di Parigi, contenuto in un
manoscritto unico che il domenicano fece copiare. Trasmise poi la copia
a Venezia nel 1506, affinché a pubblicarlo fosse Aldo Manuzio.
Nel frattempo il codice antico, comprendente almeno una attesa novità,
cioè il corpus della corrispondenza di Plinio il Giovane in forma
integrale, fu acquistato da Alvise Mocenigo, ambasciatore veneto presso
la corte di Francia, e al termine della legazione da questi posto nelle mani
del celebre tipografo: si trattava di una pergamena così antica e delicata,
e di una scrittura così desueta, che fu fatta risalire con qualche
esagerazione "ai tempi di Plinio". Comunque era un manoscritto risalente
con tutta probabilità al sesto secolo d.C.
La stampa di Ossequente venne alla luce nel novembre del 1508, ricavata
dalla copia, eseguita con grande superficialità, visto il numero e la
tipologia degli errori.
Questo il titolo del volumetto in ottavo come si legge nel frontespizio
(figura 1):

C. Plinii Secundi Novocomensis Epistolarum libri X Eiusdem


Panegyricus Traiano principi dictus. Eiusdem De viris illustribus in re
militari et in administranda republica. Suetonij Tranquilli De claris
grammaticis, et rhetoribus. lulij Obsequentis Prodigiorum liber.

Una lettera al senatore Mocenigo con cui Manuzio accompagnava l'invio


del primo esemplare, al di là delle suggestioni che contiene, conserva le
sole notizie utili a tracciare un profilo storico, e qualche elemento per
indagare le origini del nostro testo.

62
I

/
Manuzio riprodusse nell'edizione del 1508 la pergamena portata a
Venezia dal Mocenigo, o forse, come si è detto, la copia eseguita in
Francia, anche se manca ogni possibilità di verifica, poiché il testo usato
in tipografia andò subito distrutto, come accadeva di frequente all'epoca;
esso fu, come è stato scritto "a victim ofthe age of print".
Con esso scomparve anche il manoscritto prezioso con Plinio e tutto il
resto; fu probabilmente diviso e disperso: solo pochi fogli sopravvissero
e furono rintracciati faticosamente, circa un secolo fa, alla Pierpont
Morgan Library di New York (segnatura M 462).
Ma torniamo all'edizione di Manuzio e ai suoi testi; questi formano un
corpus abbastanza omogeneo di opere profane di carattere erudito e
antiquario, di indubbia tendenza patriottica.
Plinio, Svetonio, Giulio Ossequente sono autori messi insieme
intenzionalmente già nel tardoantico, in ambienti culturali sospettabili di
simpatie paganeggianti.
Gruppi familiari come i Simmachi-Nicomachi o i Probi-Anicii
conservarono, trascrissero ed editarono classici della Roma antica nelle
loro biblioteche private; restava in loro assai vivo l'impegno militante a
favore delle memorie storiche di Roma, a partire naturalmente dalle
speciali cure dedicate all'opera liviana, di cui si conservano tantissime
tracce. Questa ripresa di interesse antiquario dovette favorire anche una
nuova circolazione del Livio integrale alla fine del V secolo. E proprio da
Livio - dal Livio in edizione integrale! - questo misterioso Giulio
Ossequente (il nome è un evidente pseudonimo) aveva tratto con
procedimento epitomatorio la sua raccolta di prodigi dal 190 all'll a.C.
(almeno questo è il periodo che ci resta, anche se senz'altro l'estensione
del suo lavoro era maggiore).
È probabile che si trattasse di un erudito che aveva concepito la stesura di
un documentato pamphlet in risposta alle più aspre polemiche
antipoliteistiche di parte cristiana, raccogliendo una certa mole di
materiale da una fonte in genere (anche se non sempre) rispettata anche
dai cristiani come Tito Livio.
Poi, con tutta probabilità (visto il clima politico-culturale di sostanziale
"intolleranza"), il lavoro non ebbe luce, o non ebbe circolazione
significativa: il nome "Ossequente" è quindi, forse, un vistoso
riferimento da parte di questo autore al suo rispetto dei più antichi mores,
ai più antichi costumi della romanità, comprese le tradizioni religiose (era
tra l'altro l'appellativo di alcune divinità femminili). Il nome scelto
appare quindi una sorta di autodenuncia di appartenenza alla minoranza

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di ascendenze religiose politeistiche e paradossalmente di tendenze
culturalmente e spiritualmente liberal, e chiedo scusa per l'anacronismo,
che tuttavia aiuta a rendere il concetto.
Immaginate qualcuno che sentisse proclamare che le disgrazie del
declinante Impero (segnatamente rimarcate da eventi prodigiosi: carestie,
terremoti, invasioni, clamorose sconfitte militari, apparizioni portentose
eccetera) si verificavano - la faccio breve - perché ancora molti, troppi,
seguivano gli antichi culti "pagani". A questi ultimi, e a molte persone
senza coraggio di esprimersi, le cause del declino dovevano invece
apparire esattamente contrarie: per l'impero le sventure andavano
moltiplicandosi in parallelo alla crescita del cristianesimo, alla chiusura
dei templi e al divieto dei culti ancestrali; con ogni evidenza gli dèi, per il
favore dei quali Roma era salita al dominio universale, avevano ritirato la
loro protezione e ora punivano l'ingratitudine di chi li aveva ora
abbandonati.
Durissima la presa di posizione di Sant' Agostino, dalla sua Africa: con
implacabile durezza affermava che gli abitanti di Roma - la circostanza
era il sacco di Alarico! - avevano avuto quanto meritavano, laddove la
capitale d'Africa, purgata un decennio prima dei suoi templi ad opera
degli emissari imperiali, se ne stava sana e salva in nomine Christi (si
può proprio dire: nemo propheta in patria! Infatti, solo vent'anni dopo i
Vandali si sarebbero impadroniti di tutta l'Africa Romana ...)
Ebbene immaginiamo il nostro Giulio Ossequente come un intellettuale
che non ne può più e comincia a raccogliere notizie relative a prodigi ben
simili a quelli richiamati dai polemisti cristiani per il suo stesso tempo,
ma di epoca assai più antica, sei-settecento anni prima; e tali prodigi
erano indubitabilmente accaduti quando dei cristiani non si conosceva
nemmeno il nome!
Sant' Agostino, dal canto suo, non s'era esposto più che tanto in
prima persona per sostenere le sue tesi a tutto campo, ma s'era servito
dello zelo di un prete spagnolo, Paolo Orosio, da poco arrivato in Africa
per sfuggire all'invasione della sua terra da parte dei popoli germanici,
cui assegnò l'incarico di comporre le Historiae contra paganos che ora,
con gli strumenti critici moderni possono leggersi anche come un oggetto
di polemica e contrasto immediato proprio verso Ossequente e le idee del
suo circolo, del suo milieu culturale.
Si tratta di un approccio interessante, che fa riflettere, restituisce dignità a
Giulio Ossequente e contribuisce a inquadrare in un contesto socio-

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culturale quel poco che di questo autore, e delle sue ragioni, ci è noto o si
può ragionevolmente ricostruire.

Cos'era un prodigio?

Prima di entrare nello specifico del Liber Prodigiorum è bene dire che
l'antica religione romana era, come molte religioni del passato, di tipo
formalistico-contrattualistico: a patto che gli uomini tenessero
determinati comportamenti collettivi (si tratta di religioni eminentemente
"sociali" in cui non c'è spazio per la fede individuale) gli dei avrebbero
prodigato conseguentemente la loro protezione.
La occasionale rottura di questo equilibrio pattizio era verificabile
attraverso la lettura di segni inequivoci di rottura dell'equilibrio naturale:
dai segni momentanei, di puro "avvertimento", come un lampo nel cielo,
giù fino a segni devastatori, di specifico intento "punitivo", quali
terremoti distruttivi, carestie, pestilenze eccetera.
Giulio Ossequente ci offre descrizioni di fatti che sembrano esorbitare
dal normale ciclo della natura, i prodigia appunto, censiti anno per anno
e raccolti in appositi elenchi: ma cosa intendevano gli antichi con questo
termine?
L'etimo è incerto, e i grammatici romani lo riportavano ad aio 'dire',
pensando a una formazione composta del tipo adagium I adagio (rimasto
identico in italiano col significato di "motto, proverbio"); se si segue una
partizione di competenze semantiche, prodigium riguarderebbe l'evento
che tocca gli esseri umani, ostentum e portentum coinvolgono oggetti
inanimati; mentre, monstrum è quanto serve di mònito (da mo nere) e
miraculum, in generale, è ciò che stupisce e desta 'meraviglia' (da
mirari).
Il vocabolario della lingua arcaica proponeva una interpretazione dei
fenomeni ritenuti misteriosi e sovrannaturali, e ovviamente spaventevoli
perché connessi a una rete di segni provenienti dalle potenze celesti, che
manifestavano in tal modo la propria collera e chiedevano un
rinnovamento dei patti - i vincoli religiosi, appunto (il termine denota
esplicitamente il "legame") - stretti fra uomini e divinità.
La religione dei Romani antichi trascurava la sfera degli affetti privati:
come già detto si dava pochissimo spazio alla fede personale o, men che
mai, agli entusiasmi mistici, anzi ogni gruppo di nuova devozione appare
sospetto (si pensi ai seguaci dei culti bacchico-dionisiaci). La sola cosa

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importante, per l'individuo come per la collettività, stava nelle rigide
osservanze che garantivano un regolare procedere degli eventi sulla terra.
Niente teologia! Non ha senso cercare di conoscere gli dèi, perché si
tratta di entità lontane, capricciose, insensibili alle sorti umane.
Lo sapeva bene quel popolo di rudi gli agricoltori, che da sempre
scrutavano i cicli della natura, fatti di ritorni regolari e benevoli, ma
anche di stravaganze e anomalie climatiche o meteorologiche distruttive.
Ogni rapporto con le potenze divine - per questa cultura - va perciò
stabilito su pragmatiche basi giuridiche e contrattuali, dove un'eventuale
liberazione dal male, è assicurata mediante la più scrupolosa diligenza
verso gli atti di culto, quindi si scambia con cerimonie, preghiere,
sacrifici pubblici.
Anche in una religione "provvidenzialistica" come quella cristiana, sono
transitati e rimasti peraltro molti rituali di culto coinvolgenti la
popolazione, presi direttamente dalla tradizione cosiddetta pagana, quali
le processioni o le benedizioni dei campi per ottenere l'intercessione per
la pioggia o per ottenere il ritorno del sereno e così via.
Dall'immaginario 'primitivo' erano percepiti come segnali di minaccia
quelli che per noi sono fenomeni magari catastrofici, ma facilmente
spiegabili in base ad elementari conoscenze scientifiche se non a comuni
esperienze di vita: già Cicerone adoperava l'argomento dell'eclissi di
sole o di luna (causa da sempre di generale terrore) per ironizzare sui
popoli che ignorano l'astronomia.
Nei fatti lo scontro dura da secoli, e pare anche oggi che parole come
'progresso', 'ragione', perfino 'scienza' siano talora evitate, mentre
cresce la marea di persone che indulgono alle credenze più assurde, ai
sincretismi da supermarket, ad offerte speciali di maghe e guaritori,
cartomanti e fattucchiere, veggenti e sensitivi mescolati a demonologi ed
esorcisti; a giudizio di molti è scelta di vita normale levare I' àncora da
una realtà solida, ma sgradita, verso gli approdi comunque scivolosi del
misticismo - e basti un cenno al diluvio giornaliero di oroscopi,
autorizzati e quasi autenticati dai mezzi di comunicazione al pari di
previsioni meteo se non dei listini di borsa.
Certo, anche nell'antichità una persona sana guardava gli indovini alla
stregua di ciarlatani spudorati, incapaci di restare seri quando
s'incontrano fra loro perché consapevoli degli inganni che alimentano: è
celebre la battuta di Catone il Censore, riferita da Cicerone: Vetus autem
illud Catonis admodum scitum est, qui mirari se aiebat quod non ridere!
haruspex haruspicem cum vidisset; ma l'esistenza di esperti fidati

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nell'interpretare i segni celesti, pronosticare il futuro, eseguire i sacrifici
adatti a stornare i malanni (quel complesso rituale di espiazioni e
propiziazioni, demandato appunto a pontefici e aruspici, che a Roma
rientrava nell'ambito della divinatio) costituiva un fattore di dominio
sulle coscienze, cioè di controllo del corpo sociale, tale da garantire
vantaggi irrinunciabili per chiunque detenesse il potere politico.

Il Liber Prodigiorum

Il repertorio di prodigi raccolti da Giulio Ossequente I è ricchissimo e


variegato: tuoni che atterriscono, fulmini che mettono fuori
combattimento uomini e animali; disgrazie immaginarie e vere calamità:
terremoti distruttivi, maremoti, eruzioni, incendi devastanti, epidemie,
inondazioni; parti plurigemellari, nascite di esseri umani deformi e
anormali, o di animali a due teste o tre zampe; cadute di piogge di latte di
terra di sangue e di sassi; sogni premonitori, visioni notturne, voci
dall'oltretomba, fantasmi che parlano, statue e immagini che sanguinano
o lacrimano, oggetti volanti in cielo e innumerevoli altre: il tutto elencato
in ordine seguendo il metodo annalistico, allo scopo di ricavarne profezie
negative se non pronostici augurali, quindi messo in relazione con gli
eventi della storia militare e civile di Roma repubblicana.

Una difficoltà è stata la resa in italiano dei prodigi, non tanto per la
ripetitività del linguaggio con il suo scarno tecnicismo (si tratta del
cosiddetto sermo prodigialis, la lingua tecnica degli interpreti degli
eventi) quanto per la diversa sensibilità linguistica nell'accettazione
stessa dei fenomeni. Sin dalle prime righe abbiamo il problema di
rendere la locuzioni come pleraque de caelo icta con "molte altre cose
furono colpite da fulmini" mentre avrebbe dovuto mantenere il singolare
(dal fulmine). La narrazione degli eventi andrebbe 'contestualizzata'
entro abiti mentali e schemi immaginativi in cui ognuno di questi
fenomeni atmosferici, a prescindere dalla vastità o pluralità degli effetti
prodotti, era comunque percepito come un 'singolo fulmine', oggetto
d'attività di un dio particolare; quando Giove avesse stabilito di fulgu-

1
Ci si riferisce qui all'ultima edizione uscita: Giulio Ossequente, PRODIGI,
introduzione e testo a cura di Paolo Mastandrea, traduzione, note e indici a cura
di Massimo Gusso, Milano, Mondadori Editore (Oscar Classici Greci e Latini,
151) 2005, p. 292

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rare, avrebbe avuto a disposizione tre specifici fulmini, da lanciare in una
precisa sequenza, e con diversi risultati, stanti le diverse manubiae, cioè
le tipologie in cui i fulmini stessi venivano categorizzati; dato che attri-
buivano a più potenze celesti la possibilità di lanciare saette di diversa
qualità, più che del numero (che tanto colpisce noi moderni) dei fulmini,
gli antichi si concentravano sull'interpretazione da dare ad ogni singolo
'evento-fulmine', e soprattutto di scoprire quale divinità l'avesse
scagliato, osservando con attenzione i suoi effetti, il suo colore, l'ora del
giorno in cui era caduto, ecc. Si è preferito comunque tradurre il latino
fu/men (e i suoi sinonimi) ora al singolare ora al plurale italiano, a
seconda della singolarità o della pluralità dei bersagli colpiti, siccome
oggi intende una diffusa sensibilità comune.

Lo stato del testo

Ossequente fu stampato la prima volta in maniera abbastanza sbrigativa.


Trovandosi in compagnia di un testo assai richiesto quale l'epistolario
integro di Plinio, il Liber prodigiorum dapprima parve condividerne le
sorti tipografiche in maniera parassitaria, ma favorì anche la nascita di un
nuovo filone letterario, a metà fra storia e profezia, scienza e magia, in
un'epoca turbata dagli sconvolgimenti politico religiosi successivi alla
Riforma protestante.
Giusto alla metà del secolo in cui le credenze nell'astrologia godettero
maggior credito, arrivò al culmine pure l'effimera fortuna dell'opuscolo,
che iniziò ad andare per la sua strada nelle stampe; esce a Basilea nel
1552 un volume in ottavo, dove Ossequente gioca finalmente in veste di
protagonista, voce primaria e autorevole nella sequenza che associa
l'opuscolo antico a due trattati sullo stesso argomento composti da
moderni emulatori; questo il frontespizio (figura 2):

Iulii Obsequentis Prodigiorum Liber. Polydori Vergilii de Prodigiis.


Ioachimi Camerarii de Ostentis, cura Conr. Lycosthenis, Basileae, ex
officina Joannis Oporini, 1552

Non era però questa la maggiore novità introdotta dal Lycosthenes


(Konrad Wolfhart, 1518-1561), quanto piuttosto la stesura di amplissime
parti dell'opuscolo che seguendo una prassi ben diffusa in età
prescientifica andavano a 'completare' sulla base di dati ricavabili da

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Livio e altri storiografi le vere o presunte lacune interne al testo, ma
redigeva addirittura un elenco di prodigi a scendere dall'età di Romolo,
immaginando amplissime parti dell'opuscolo che in realtà mai furono
scritte - sempre che diamo credito al titolo tramandatoci. Ma l'interesse
per il Liber prodigiorum da parte del poligrafo alsaziano andava ben oltre
i limiti dello studio filologico: nella sua attività di editore e
commentatore il Lycosthenes era soprattutto attento agli aspetti di natura
teologica, quindi rivolto ad una attualizzazione di significativi testi
dell'antichità entro la fase turbolenta di rinnovamento religioso in atto in
quei decenni cruciali per la storia europea: simpatizzante delle posizioni
erasmiane e poi luterane, bibliografo dottissimo e linguista poliglotta,
appassionato di geografia nell'età d'oro delle scoperte, diede la sua opera
più famosa con la stampa del Prodigiorum ac ostentorum chronicon, una
specie di Giulio Ossequente esteso a tutti i tempi e tutti i paesi: in realtà,
un pamphlet in cui i prodigi si giustificano come altrettanti giudizi (e per
lo più castighi) di Dio, dove la massima tensione spirituale e durezza
invettiva sono raggiunte allorché gli eventi straordinari lambiscono la
senescente Babilonia, capitale corrotta dalla immoralità dei papi e della
curia romana.
Il testo dell'edizione mondadoriana si basa su una rivisitazione integrale
dell'Aldina, testimone unico, e delle principali stampe antiche elencate
alla fine di questa breve carrellata - il che ha consentito un certo numero
di retrodatazioni di congetture rispetto agli apparati critici di Jahn e
Rossbach; trovandoci di fronte un testo giuntoci in condizioni malconce,
occorreva prendere un atteggiamento flessibile, intervenire in misura
discreta, ma non al punto da sopportare incomprensibilità o incongruenze
del testo per ossequio ad un aprioristico conservativismo: occorre dire
che il numero di lezioni rettificate non si è troppo espanso rispetto alle
edizioni scientifiche degli ultimi centocinquantanni, anzi i luoghi difesi
bilanciano le nuove (e speriamo non inutili) entrate; qualche
aggiustamento - irrilevante sul piano dei numeri progressivi - ha
riguardato anche la partizione e i confini dei capitoli; inoltre, nel caso di
integrazione della coppia consolare in testa, si è seguito il criterio di Peter
Lebrecht Schmidt, adottando la forma dei nomi presenti al nominativo
nella cronaca di Cassiodoro - con ciò considerandola quindi prossima ad
Ossequente anche dal punto di vista di una comune dipendenza da una
fonte epitomatoria liviana. Infine, non ci si è attardati in eccessi di
timidezza, tanto meno in prove di pazienza verso le grafie tràdite, che qui
sono state sottoposte a un generale adeguamento all'uso attuale, dal

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momento che già l'editio princeps sembra appiattita senza troppi scrupoli
sulle convenzioni normalizzatrici del suo tempo.

L'uso politico degli antichi "prodigi"

Ricordiamo che l'uso dei prodigi aveva un sapore eminentemente


politico: la classe dirigente romana sapeva bene che per controllare il
popolo doveva giustificare le proprie decisioni e i propri errori
mascherandoli anche dietro cause soprannaturali.
Era il collegio dei pontefici a stendere l'elenco degli eventi prodigiosi e a
dar loro la interpretazione più "politicamente corretta", oltre a suggerire
direttamente l'espiazione necessaria o a proporre al Senato, nei casi più
gravi, la soluzione rituale da mettere in atto per riparare alla rottura
dell'equilibrio tra dèi ed uomini.

"Prodigi" moderni

Vorrei sottolineare in chiusura che ancora oggi si tende facilmente ad


utilizzare qualche evento eclatante per attribuire allo stesso qualche
difficoltà economica, politica, di realizzazione sociale. Si prenda il
celebre 11 settembre 2001.
Quante volte abbiamo sentito dire, in Italia, che "a causa dell'll
settembre" non si è potuto risalire la china della crisi economica o cose
del genere: ovviamente non è più vero da qualche mese dopo Ground
Zero, basti pensare che negli USA l'economia ha marciato più forte che
in Europa, ma tant'è. È sempre più facile creare un mito, appoggiato su
un prodigio, e marciare sulla scorta di quello usandolo come
autogiustificazione riduzionistica.
La stessa cosa vale per le recenti disgrazie climatologiche che hanno
colpito gli Stati Uniti, alle quali vengono associati regolarmente gli alti
prezzi del petrolio, mentre quegli eventi disastrosi vi hanno inciso
congiunturalmente, solo per qualche settimana, dato che i prezzi sono
invece alti per banali ragioni di domanda internazionale (anche se
gravide di conseguenze )2.
2
Non posso infine che riferire sommariamente degli innumerevoli "prodigi" moderni,
che sono repertati in molti siti, a partire dall'anno "senza estate" (il 1816) quando
l'esplosione di un vulcano in Indonesia fu probabilmente la causa della distruzione,
durante l'estate di numerosi raccolti in Europa, Canada e New England (cfr. "Le

70
Scienze", 132, agosto 1979, pp. 94-100); la "pioggia di vermi neri" sulla Romania nel
1872, la "pioggia di serpenti" che cadde su Menphis, nel Tennessee (USA) il 15
dicembre 1876, la "pioggia di uccelli morti" a Barksdale Field in Luisiana (USA) il 20
marzo 1940 (cfr. in INTERNET: http://www.forteana.org); la "pioggia di sangue" del
18 febbraio 1956 nella nostra Vibo Valentia (cfr. in INTERNET:
http://web.infinito.it/utenti/t/tropeamagazine/pioggiadisangue/); la "pioggia di pesci"
dell'agosto 2000 a Norfolk (BBC 7-8-2000); la "pioggia di rane" nel Connecticut
(USA) nell'ottobre 2003 (Associated Press, 2-10-2003); la "pioggia di pietre"
nell'agosto del 2004 in Sud Africa (News24 South Africa 2-8-2004) ecc.

71
figura 1 Sommario della edizione a cura e stampa in ottavo di Aldo Manuzio, che
contiene il Liber Prodigiorum di Giulio Ossequente (Venezia 1508)

72
figura 2
Frontespizio dell'edizione lionese del Liber Prodigiorum a cura di Conradus
Lychostenes (Konrad Wolfhart, t}561) pubblicata nel 1553 (= Basilea 1552). Da quel
momento si cominciò a "supplire", ricostruendole, le notizie di prodigi che si ritenevano
"manca nti" o "perduti" nel Liber, a partire addirittura dal regno di Romolo, creando
addirittura una sorta di genere letterario.

73
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Principali edizioni e traduzioni del testo a stampa

1508 Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae Asulani soceri


1514 Argentorati, apud Matthaeum Schurerum, cura Beati Rhenani
1515 Florentiae, impressum opera et sumptu Philiooi Juntae
1518 Joannis de Prato et Jacobi le Messier
1521 Basileae, apud Andream Cratandrum
1523 Antuerpiae, in aedibus Guillelmi Vorstennanni
1529 Parisiis, ex officina Roberti Stephani
1531 Lugduni, excudebat Sebastianus Gryphius
1532 Antuerpiae, apud Martinum Caesarem
1542 Lutetiae Parisiorum, ex officina Michaelis Vascosani (con Cicero,
de divinatione)
1542 Antuerpiae, apud Dumaeum
1543 Parisiis, apud Ambrosium Girault
1549 Coloniae, excudebat Martinus Gymnicus
1552 Basileae, ex officina Joannis Oporini, cura C. Lycosthenis
1553 cfr. Lugduni, apud Joannem Tomaesium et Guilelmum Gazeium, idem
1552
1554 Lione, per Giovan di Toumes, volgarizzato da Damiano Maraffi
1555 Lyon, par Jan de Toumes, traduit par George de la Bouthière
1557 Basileae, per Henricum Petri
1679 Amstelaedami, apud Henricum et Theodorum Boom, J. Scheffer
1703 Oxonii, e Theatro Sheldoniano, Th. Heame (con Eutropio)
1720 Lugduni Batauorum, apud Samuelem Luchtmans, Fr. Oudendorp
1772 Curiae Regnitianae, apud I. G. Vierlingium, J. Kaoo
1806 Argentorati, ex typographia Societatis Bipontinae (con Valerio
Massimo)
1825 Paris, C. L. F. Panckoucke, V. Verger
1841 Paris, D. Nisard, Dubochet (con Nepote, Curzio Rufo, Giustino,
Valerio Massimo)
1853 Lipsiae, typis et sumptibus Breitkopfii et Hartelii, O. Jahn
1864 Paris, Firmin-Didot (con Nepote, Curzio Rufo, Giustino,
Valerio Massimo)
1880 Berlin, Weidmann, Hennann J. Mueller (con Livio)
1910 Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, O. Rossbach
1954 Bruxelles, mémoire de licence, R. d'Hondt
1959 London - Cambridge /Ma., Heinemann, A. C. Schlesinger
1976 Firenze, Corrado Tedeschi Editore, S. Boncompagni

74
1981 cfr. Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri
1910
1990 Madrid, Ediciones clasicas, Ana Moure Casas
1992 cfr. Roma, Edizioni Mediterranee, S. Boncompagni
1976
1995 Madrid, Editoria! Gredos, J. A. Villar Vidal
2005 Milano, Mondadori, curr. P. Mastandrea Mastandrea e Massimo
Gusso

Edizioni e traduzioni del testo in versione elettronica


http://www.ukans.edu/history/index/europe/ancient rome/L/Roman/Texts/Obse
quens/text* .htm
http://www.aillyacum.de/la/Obsequens/ (iibersetzt, kommentiert und fiir das
Internet bearbeitet von Annette Pohlke - 1. Auflage Juni 1998, aktualisiert im
August 2000) ·
http://www.gmu.edu/departments/fld/CLASSICS/obsequens.html
http://www.intratext.com/X/LAT0238.HTM (lntratext Edition, Èulogos 2001)
http://www.liceotorelli.it/didattica/prodigi/ossequente.htm (interessante
edizione di testo e traduzione a cura della classe IV D e del prof. Stefano
Lancioni, del Liceo Scientifico "Torelli" di Fano, 2005)

Lessico di Giulio Ossequente


Silvana Rocca, Iulii Obsequentis Lexicon, Istituto di Filologia classica e
medievale, Genova 1978

Selezione aggiornata di alcuni contributi


L. Bessone, La tradizione liviana, Bologna 1977
- La tradizione epitomatoria liviana in età imperiale, in ANRW 30/2, 1982,
pp. 1231-63
R. Bloch, La divination romaine et /es livres Sibillins, «RÉL» 40, 1962, pp.
118-20
-Prodigi e divinazione nel mondo antico, tr. it. Roma 19772
D. Briquel, Chrétiens et haruspices. La religion étrusque, dernier rempart du
paganisme romain, Paris 1997
E. De Saint-Denis, Les énumérations de prodiges dans l'oeuvre de Tite Live,
«RPh» 16, 1942, pp. 126-42
G. Dumézil, La Religione romana arcaica, con una appendice su la Religione
degli Etruschi, tr. it. Milano 1977
K. Fiehn, Obsequens Iulius, in RE XVII/2, 1937, cc. 1743-44
M. Galdi, L'epitome nella letteratura latina, Napoli 1922 (VII, Giulio
Ossequente e il suo Liber Prodigiorum, pp. 75-79)

75
P. Handel, Prodigium, in RE XX:111/2,1959, cc. 2283-96
J. Jimenez Delgado, Importancia de los prodigios en Tito Livio, «Helmantica»
12, 1961,pp.27-46
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61
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