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Da intendersi come storia della filologia classica, si analizza l’esperienza concreta filologica,
ecdotica ed esegetica di umanisti e filologi del passato. La filologia è una scienza induttiva: il
metodo lackman, metodo che nel dibattito successivo sulla base della conoscenza di disparate
tradizioni manoscritte aveva mostrato dei limiti e poteva essere attendibile in alcuni casi ideali come
lo stemma tripartito. Oggi sappiamo che esistono tradizioni chiuse ed aperte, e tttu questo è
maturato con l’esame concreto della tradizione manoscritta di vari autori che in alcuni casi
presentavano a stento presentavano caratteristiche che non potevano rientrare nel metodo
lackmaniano.
Introducendo nel metodo lackmachiamo una serie di correttivi dettati dall’esperienza si può parlare
di neolackamanismo, non si può dimenticare l’iniezione sensus storico che proviene dall’opera
“storia della tradizione e critica del testo” (prima edizione 1934) di Giorgio Pasquali: resta ancora
l'opera più letta da tutti i filologi, non solo quelli classici, ma anche i filolgi romanzi in generale e
italianistici in particolare. Chiunque oggi voglia pubblicare o emendare testi, chiunque si occupi di
studi di critica testuale o di storia della tradizione, non può fare a meno di quest'opera. Molte delle
formulazioni di Pasquali in questo libro, come "tradizione orizzontale", "recensione chiusa" e
"recensione aperta", recentiores, non deteriores sono ormai nel linguaggio comune di tutti gli
studiosi.
Nella filologia del 900 esempi del metodo deduttivo ed empirico sono dati da PAUL MAS, che
enuncia i principi metodologici della critica testuale. In effetti l’opera di pasquale nasce da quella
che doveva essere una recensione al testo di Mas, recensione che poi ha subito una lievitazione che
ha portato pasquali ha realizzato una monografia organizzata per titoli (esempio: ci fu sempre
l’archetipo?), mettendo in discussione il postulato.
BEATO RENANO ED ERASMO DA ROTTERDAM:
Ci sono due personaggi che intrattengono un legame di collaborazione e discepolato, Beato
Renano(1485-1547) ed Erasmo da Rotterdam, renano discepolo di erasmo (1536) di lui più grande
di 20 anni e che era gia un umanista affermato quando Renano stava completando gli studi. Essi ci
aiutano a scoprire la diffusione dell’umanesimo a livello europeo.
Il fenomeno dell’umanesimo è una dimensione onnicomprensiva della civiltà umana di quel
momento, che include nella sua globalità l’espressione letteraria, l’espressione sociale (dimensione
civile), filosofica e pragmatica dell’uomo sulla terra. E’ un fenomeno che investe l’esperienza
dell’uomo in tutti i suoi aspetti basandosi su un concetto chiave, quello di PEDAGOGIA, intesa
nella sua educazione, l’idea che il singolo sin da subito venga educato a principi etici positivi,
ispirati a modelli positivi, stimolanti che potesse riversare queste nuove competenze in qualsiasi
cosa facesse nella sua vita. Nell’umanesimo l’insegnamento e la ricerca sono strettamente connessi,
l’insegnamento non era considerato un peso e di conseguenza ci si pone anche delle domande sul
modo migliore per trasmettere il sapere. Generalmente si crede che con umanista si intenda
professore, in realtà umanista vorrebbe invece dire che una formazione positiva, l’esercizio della
virtù potevano essere riversare nell’esercizio di ogni esercizio. La conoscenza promossa
dall’umanesimo è enciclopedica, l’umanesimo comprende l’insieme dei saperi mentre la
ripartizione degli stessi è frutto di una scissione del mondo moderno. L’umanesimo è un fenomeno
che si manifesta a partire dall’Italia puntando sulla formazione. La rivoluzione dell’umanesimo
partì proprio dalla scrittura, non solo in termini paleografici (times new roman è la carolinga
restaurata dagli umanisti) ma anche nel senso di stile e di forma. Scrivere e parlare bene poteva
comportare un progresso sociale, civile, amministrativo.
Accanto ad una conoscenza enciclopedica si accompagna tutta una attività di critica testuale ed
esegetica che si intreccia con realtà politico-religiose che dimostrano il carattere di filologia
militante che si fa portatrice di una concezione rinnovata della cultura. Questo era accaduto in Italia
con il maestro ideale di Erasmo, il valla, più in generale in Italia ci fu una attività ecdotica che fu
molto prolifica nel 400, periodo degli incunaboli. Incunaboli sono testi a stampa fino al 1500
quando si parla di edizioni a stampa (cinquecentine). L’area in cui visse beato Renano era un’area
con stamperie di ottimo livello. In Italia è Venezia con Aldo Manuzio, tipografo umanista.
Renano fu un correttore di bozze, Erasmo lamentava la difficoltà di reperire per il greco caratteri di
piombo che avessero una garanzia di leggibilità e la linea di demarcazione tra testo a stampa e
manoscritto non è netta perché in quel periodo con CODEX si intende un testo a stampa (codex
excusus, dal verbo excudere) oppure un codice manoscritto (CODEX MANUS.SCRIPTUS).
L’OPERATO DI BEATO RENANO E’ INNOVATIVO E RIVOLUZINARIO che si giova del
metodo critico ereditato dal valla. Del valla Erasmo aveva curato una stampa fuori Italia delle
ANNOTATIONES IN NOVO TESTAMENTUM (note critiche al testo del nuovo testamento) cui il
valla applicava la sua conoscenza del greco e latino alla discussione delle varianti testuali che si
potevano incontrare nella vulgata geronimiana (nell’opera conduce in generale una serrata critica
alla vulgata che fu oscurata negli anni successivi)
Beato renano vive tra il 1485 e il 1547, una vita che si svolge fra la sua città nativa che si trovava in
l’Alsazia, (shlestat, città natale, e selenstànt, dove esiste una associazione intitolata a beato renano e
li è conservata la sua biblioteca privata con edizioni a stampa, esemplari preziosi con sue
annotazioni autografe), una città lì vicina, Strasburgo, Parigi dove completa la sua formazione
filologica e dove opera la stamperia di FROBEL che ebbe un rapporto privilegiato con renano ed
erasmo. Il lavoro dell’umanista è condizionato dalla necessità di dover consegnare il lavoro perché
altrimenti i torchi vengono prenotati da altri.
Abbiamo letto alcune tappe della sua vita, redatta da un biografico, umanista e studioso di
pedagogia. IOANNUS SCIURM. E’ una biografia ristampata anche nei primi dei 600 in una
raccolta di biografie di tedeschi illustri curata da MELCHIOR ADAM, talvolta erano biografie
premesse come prefazione all’edizione delle opere del personaggio di cui si raccontava la vita.
La biografia spiega l’origine del nome, nomen adventicium, la sua originaria famiglia aveva il
cognome di BILD. Il villaggio di Rainau prende nome dal reno, fiume importante nella storia della
germania e nei miti nazionali germanici e importanza culturale sin dall’età carolingia lungo il cui
corso si formarono grandi centri scrittori come l’abazia di Fulda, che custodiva tesori manoscritti
che gli umanisti tra cui beato renano portarono alla luce. La città di rainau era la città di origine del
padre il padre. Quel villaggio a nord di strasburgo è bagnato dal reno e sempre dal medesimo fiume
nella maggior parte è stato o cancellato dalle alluvioni o ridotto di dimensioni da quelle meno gravi
oppure improvvise, la qual cosa per alcuni fu la causa del trasferimento, delle migrazioni,
abbandonarono (tra cui il padre) abbandonao rainau perché troppo sottoposta alle alluvioni. Poiché
il padre era emigrato a sclestat fu chiamato antonio renano per via della sua origine, anche se
talvolta si è sentito dire dal figlio beato che spesso si era pentito di aver mantenuto un nome
accessorio (stato dato da altri) e non aver invece impiegato quello dei suoi avi. Difatti i suoi antinati
si chiamano bild di cognome.
Vi è uno squarcio socio economico della condizione socio familiare, il padre fa parte di una
borghesia industriosa che gli consente di ricoprire cariche cittadine: si usano termini altisonanti nel
testo come quello di senatus. Il biografico ha un atteggiamento benevolo della famiglia di renaro. Il
padre antonio fu un pater familias molto diligente del suo patrimonio. Egli praticando il mestiere di
macellaio dal piccolo patrimonio che aveva portato con sé ne produsse uno di media grandezza con
la sua parsimonia e la sua diligenza tanto che in pochi anni fu scelto dal senato (consiglio della
città) e ricoprì la carica di console e svolse tutti gli altri incarichi di quella città. Uno dei principali
meriti del padre è quello di aver pensato alla educazione del figlio, capisce che la buona formazione
culturale avrebbe aperto al figlio traguardi piu ambiziosi di quelli che egli si era conquistato.
Da questo padre fu generato beato renano nel 1485 sotto l’impero di federico II, imperatore Del
sacro romano impero (dinastia degli asburgo), sotto il pontefice innocenzo VIII e sotto il re della
gallia ludovico XI. Elogia poi la madre di renano che morì lo stesso anno della sua nascita.
Nel medesimo anno in cu nacque perse la madre barbara la cui virtù fu provata dalla vita del marito
antonio che non si risposò (vita vedova). Infatti quella che fu la sua prima moglie fu anche l’ultima
essendoci solo l’unico figlio beato che fu erede del padre: quindi il padre rimane vedovo molto
giovane ma non si risposò.
Sento dire infatti dai famigliari di renano che dopo la nascita del figlio e la morte della moglie era
arrivato (antonio) oltre il 35 anno del figlio (antonio muore nel 1520) intorno ai 45, quindi si
sottolinea l’esempio di un uomo che era rimasto fedele alla moglie. Quindi il padre è morto
contento, sicuro della rettitudine del figlio, quando ormai non sperava che il figlio fosse una persona
retta, ma già renano lo era diventato. Muore contento.
Il padre morì in una speranza non appena concepita ma confermata circa la rettitudine del figlio e il
figlio era nato nel periodo della cultura non sfortunato (litòte) (renano è nato nel periodo che lui
stesso chiama della “rinascita delle lettere”, renascientium litteratum).
Il tedesco biografo rinasce il primato culturale dell’Italia: grandi ingegni fiorirono per la loro fama
letteraria in Italia quando a quel tempo in cui in Germania c’era ancora l’infanzia degli studi e delle
lettere (germania alle prime armi quando l’italia aveva questi grandi).
Il biografo cita alcuni nomi scrive che poliziano visse fino al 24 anno di beato renano (dato
importante, MA ERRATO renano è nato nel 1485, se sommiamo 24 arriviamo nel 1509 mentre
poliziano nel 1494 dopo due anni di Lorenzo il magnifico, quindi la fonte cui attinse lo scium è
errato). In questo tempo ci fu anche ERMOLAO BARBARO (morto nel 1493) “filologo critico di
venezia occupatosi soprattutto di plinio” di cui si oocupa anche renano con le sue
CASTIGATIONEM IN PLINIUM), e ancora giovanni pico della mirandola, famoso per la sua
prodigiosa memoria, teodoro garza (umanista bizantino, si fanno nomi di umanisti che erano
emigrati in occidente alla fine del 300 ed erano maestri di lingua greca, il greco entra in occidente
come lingua parlata e questo diede luogo ad una disputa sulla lingua greca), giorgio trevisotta,
marsilio ficino (filosofo e traduttore di plotino e nei primi anni del 500 presso le stamperie di
strasburgo dopo la sua morte si stampavano le sue opere) e giovanni pontano, di origine umbra e
che passò la sua vita a napoli presso la corte di aragona.
Infatti la Germania, fatta eccezione per Rodolfo agricola (soprannominato frisius, autore del De
Inventione Dialectica libri tres (1479) critica fortemente Aristotele a causa della sua oscurità e della
lontananza dal senso comune e combatte il logicisimo aristotelico-scolastico. Secondo il suo
pensiero, nella retorica il docere (insegnare) va difeso dalle "usurpazioni dei retori" sospettati di
tendenze edonistiche, poiché è più importante del movere (eccitare, animare) e
del delectare (compiacere, rallegrare). Egli fu maestro di alessandro egio e tranne erasmo da
rotterdam discepolo di egio (quindi a parte questi) la Germania non aveva visto nella letteratura
niente di grande e eccellente. Ma tuttavia grazie agli scritti di questi uomini la germania è
comunque da apprezzare, perchè con questi esempi furono risvegliati gli ingegni degli adolescenti e
dei giovani verso una maggiora purezza non solo delle dottrine ma anche dell’espressione e delle
lingue (rinascono gli studi che fanno comprendere l’eleganza delle lingue classiche. Si ricordano i
sei libri delle elegantie della lingua latina, intaccata da barbarie linguistiche, con le quali si
intendono neologismi estranei al latino classico propri della filosofia scolastica). Nel medesimo
periodo iniziavano a crescere gli studi di Filippo Melantone, uno dei principali esponenti della
riforma protestante, primo compagno di lutero. Lutero era uomo di medioevo, Melantone uomo
dell’umanesimo, un grecista).
Osservazione generale: appare anche dai testi di storia che i pontefici, gli imperatori i re e gli stati
(res publice) avevano scelto per le loro decisioni degli uomini eruditi (i saggi erano valorizzati
anche al fine delle decisioni politiche da prendere) ai quali Massimiliano molto si dilettò (mass. I di
asburgo, sovrano mecenate e protesse le arti e le lettere e aveva il titolo di poeta cesareo e fiorì
anche l’umanesimo chiamato baveriano che comprendeva la societas litteraria della germania
inferiore e del Austria).
Trovandosi in questo periodo della storia umana questo uomo di media ricchezza padre dell’unico
figlio e vedovo volle che il figlio si dedicasse alle lettere e per questo scopo (litteratum causa) volle
che partisse verso altre nazioni. Il padre sia stato spinto a ciò non solo dalla sua volontà naturale ma
anche dall’autorità di stati, dai principi, dall’esempio di dotti e dall’esortazione degli amici a volere
che il suo unico erede fosse erudito nelle lettere.
ISTRUZIONE DI RENANO: Fu istruito appena età lo conseguiva a sclestat da Cratone udenaim
(CRATONE UHDENEMIO) che allora insegnava lettere, uomo grande anche per la serietà dei
costumi e la fama della dottrina, morto il quale fu affidato a Gerolamo Ghebuler, insegnante alla
scuola di sclestat e fece dall’inizio presso l’uno e presso l’altro con buona speranza dei progress tali
(eo progresso) fu messo a capo (preficeterut) a discepoli più giovani a causa della sua diligenza.
Questo si comprende dagli scritti di IOANNES SAPIDUS (pedagogo a sclestat. Renano fu posto a
capo alcuni allievi tra cui SAPIDUS che non solo istruiva ma anche castigava). Dopo questo
apprendimento fu mandato a Parigi dove tre anni dopo anche sapido ascoltò Beato che spiegava gli
economica di Aristotele.
Allora a Parigi insegnava le lettere greche Giorgio Girolamo Spartano che renano ascoltò a lungo e
molto mentre insegnavano la dialettica e fisica Jacque le Fevre e il discepolo CLITOVEUS.
Intorno al medesimo tempo c’era a Parigi Erasmo da Rotterdam che cominciò per la prima volta
con la pubblicazione degli adagia ad assumere una fama più grande di prima. Erasmo nel 1505 e
aveva 38 anni e pubblicò gli ADAGI; ADAGIORUM CHILIADES, opera che raccoglie le sentenze
e i proverbi divisi in centurie. Si tratta di una raccolta di motti in lingua latina, in gran parte risalenti
al mondo classico, dei quali s'impegnò a ricostruire l'origine fornendo note esplicative che andavano
anche al di là della mera illustrazione filologica. Erasmo si dedicò per tutta la vita a più riprese alla
creazione di questa sorta di "enciclopedia" di adagi classici raccogliendo materiale erudito raccolto
dalla letteratura greca e latina che poteva aiutare a comprendere le espressioni proverbiali.
E si ricorda a proposito degli adagia che fausto andrelini(poeta italiano) insegnava la poesia ad una
grande frequenza di ascoltatori e compose le sue lettere di carattere proverbiale (adagiales) al punto
che non si sa chi sia stato stimolato dall’altro (se erasmo da fausto erasmo che raccolse e ordinò o
fausto da erasmo).
Nel 1500 l'editore parigino Jean Philippe pubblicò Adagiorum collectanea, 818 proverbi latini e modi di
dire filologicamente commentati, raccolti da Erasmo con l'aiuto di Fausto Andrelini: infatti, una lettera di
quest'ultimo che sottolineava l'utilità e l'eleganza dell'opera era compresa nella pubblicazione[25].
La raccolta si amplierà con le successive edizioni: quella del 1505 ne contiene 838,
l'edizione veneziana di Aldo Manuzio, del 1508 - a partire dalla quale Erasmo comincia a inserire
numerose citazioni greche - ne contiene 3.260 e porta il titolo Adagiorum chiliades che sarà quello
definitivo anche nell'ultima edizione del 1536, pubblicata con i tipi dell'editore di Basilea Johan Froben e
contenente 4.151 proverbi.
I più citati, tra i latini, sono Cicerone, Aulo Gellio, Macrobio, Orazio, Virgilio; tra i
greci, Aristofane, Aristotele, Diogene Laerzio, Luciano, Omero, Pitagora, Platone, Plutarco, Sofocle,
la Suda. Gli autori cristiani - Agostino e Girolamo - o i passi biblici sono relativamente meno presenti,
mentre non mancano autori rari come Michele Apostolio, Diogeniano, Stefano di Bisanzio, Zenobio.
Erasmo aveva infatti iniziato a studiare il greco solo dal 1500, comperandosi scritti di Platone e
pagandosi un insegnante, e nello stesso tempo si dedicava allo studio di Gerolamo, di cui possedeva
tutte le opere. La conoscenza del greco gli era indispensabile per affrontare l'impegno maggiore, quello
della Bibbia e della teologia.
A quel tempo la condizione delle lettere era buone, le quali cominciarono ad essere riportate alla
luce dopo essere state oppresse e cancellate dalle barbarie culturali, queste lettere suscitarono un
grande desiderio di se sia per la natura piacevolissima sia anche per le lodi, gli onori, tutte cose che
se vengono sottratte dalle nostre abitudini in breve tempo preannunciano la scarsezza non solo di
uomini dotti ma anche di uomini che studiano.(corruzione della lingua latina. (Erasmo compose
un’opera intitolata L’ANTIBARBARO, l’antibarbarorum Liber, un dialogo nel quale egli affronta il
problema della convivenza della cultura classica con la fede cristiana. I motivi della decadenza
dell'antica cultura sono addebitati al prevalere, nella religione cristiana, di un'ostilità pregiudiziale
nei confronti dell'eredità classica, spesso senza nemmeno conoscerla realmente; i teologi scolastici
l'hanno giudicata per lo più pericolosa per la fede, e altri hanno ritenuto che per vivere davvero
cristianamente fosse necessario coltivare non le lettere, ma la virtù della semplicità.
È così avvenuto che «religione e cultura in quanto tali non riescono a vivere in armonia nel modo
giusto», poiché «la religione senza le bonae litterae comporta in ogni caso una certa pesante
ottusità», mentre «i conoscitori delle litterae hanno una cordiale avversione della religione». Poiché
Erasmo ritiene che nella cultura antica vi sia il presentimento del prossimo annuncio cristiano, una
conciliazione tra fede e cultura classica è tuttavia possibile, come già Agostino e Gerolamo avevano
dimostrato, ma ora è l'arroganza dei teologi moderni a renderla problematica.
In questo periodo nella letteratura tardo antica pesa un giudizio, si crede che alla decadenza politica
dell’impero accompagnasse quella culturale. In realtà tutte le lingue hanno una vita)
Quella condizione di questo periodo fu di grande aiuto a Beato Renano infatti i suoi primi maestri
cratone Girolamo anche se ritenuti dotti tuttavia in loro vi era più di bontà che di dottrina. (polemica
contro le ultime propaggini della cultura scolastica medievale) infatti allora occupavano i
ginnasi/scuole in cui si insegnano le lettere il grammatico alessandro, il dialettico Pietro Ispano il
commentatore Tartareto e nella teologia godevano di autorità scoto (teologico del 300) e niccolò de
lira (esegeta della bibbia) al punto che il commentatore aveva maggiore autorità del testo che
commentava). Anche quello che di filosofia veniva trasmesso da Aristotele e dà gli altri scrittori
non sono era impuro nell’espressione verbale ma anche nei concetti era oscurato o depravato o falso
(deformazione linguistica che comporta fraintendimenti concettuali).
Ma come accade nelle piante e nelle erbe delle quali quelle che sono di buona natura sono loro che
succhiano dal terreno i migliori succhi per crescere, così anche agli ingegni degli uomini accade che
coloro che sono provvisti di miglior ingegno naturale seguono gli studi migliori e antepongono
l’eleganza alla barbaria, cosa che Renano fece sia spontaneamente sia per esortazione deli familiari
sia per esortazioni di altri e scelse di ascoltare (come maestri) o quelli che erano padroni di
entrambe le lingue greca e latina oppure che impiegavano la lingua latina x eleganza delle arti
piuttosto che per deturparle. Ma tra i suoi compagni di studi a Parigi ebbe MICHAEL
HUMMELBERGH che era suo coetaneo e uguale per impegno e dottrina del quale si servì per
riflettere insieme sui loro studi e sulle cose che avevano ascoltato.
DOPO UNA PRIMA FORMAZIONE Istruito con questi esordi nelle arti e nelle lingue e tornato in
Germania non si tranne molto in patria (sclestat) e si stabili per alcuni anni a Strasburgo, dopo a
Basilea per coltivare meglio le cose che aveva appreso e per non abbandonare il corso di studi che
doveva essere completato nelle scuole di filosofia e letteratura prima che sembrasse giunto alla
meta. SI TRASFERISCE A BASILEA NEL 1511. LI COSA SUCCEDE?
Fu buona cosa che in quel momento era tornato dall’Italia Ioannis Kono di norimberga dove aveva
imparato il greco (e diviene maestro di beato) e fu fortuna anche il fatto che un tipografo di Basilea
JOHANN HAMERBACK aveva deciso di divulgare le opere di san Girolamo e perché questi
fossero pubblicati più corretti aveva invitato a casa sua KONO e si servì di lui non solo come aiuto
per la correzione delle opere di Girolamo ma anche come precettore ed educatore dei suoi figli
(l’edizione delle opere di girolamo coinvolge anche erasmo, sono due le sue opere fondamentali dal
punto di vista editoriali, tra queste gli opera omnia di Girolamo in cui erasmo cerca di dare una
immagine moderna di girolamo del quale esalta il padre della chiesa non soltanto come un
personaggio austero nel deserto, l’immagine del monaco e dell’asceta che prevaleva nella cultura
medievale. Più che un monaco Gerolamo è, per erasmo, un umanistia. La biografia di Girolamo la
appare nella prefazione agli degli opera omnia che esce lo stesso anno del novum testamentum.
Nel periodo della controriforma ci sarà una reazione a questa immagine di Girolamo tanto che
l’edizione finirà all’index librorum proibiturium; la roma controriformistica incaricherà ariano
vettori vescovo di rieti di creare una biografia del santo padre secondo una edizione anti erasmiana.
Insieme ad altri discepoli bruno Basilio e Bonifacio ascoltò le lezioni giovanni kono che traduce gli
scrittori greci, Giovanni kono che onorò con affetto devoto anche da morto. Kono curò l'edizione
delle opere di San Girolamo pubblicata da Johann Amerbach. Tradusse le opere di diversi Padri
della Chiesa greca (Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo).
Infatti a Basilea c’è un monumento commemorativo che beato dotò di questo titolo sepolcrale
“bisogna far del bene ai buoni anche quando sono morti”. In questo epitaffio tributò al suo
precettore molto all’età di 50 anni nel 1513, la conoscenza della teologia, del greco e del latino,
l’integrità di vita e il desiderio di aiutare gli studi letterari.
Dopo la morte di Kono rimase a baiselea per alcuni anni sia per la salubrità del posto sia per la
frequentazione che aveva con gli uomini più dotti e migliori, tra cui spicca l’editore FROBEN,
Ma soprattutto nel 1513 in quel luogo vi giunse Erasmo da rotterdam, e proprio allora renano
credette di aver colto lì a basilea il frutto più abbondante della vita che onorò con una tale riverenza
e a tal punto fu da lui amato. ELOGIO AD ERASMO: Difatti per parlare dei suoi costumi e delle
altre doti del suo animo oltre all’eccellente dottrina, finché visse fu lodato con la lode
dell’innocenza dell’umanità e della purezza. Per quanto riguarda la pudicizia si sa che visse con
solo senza macchia ma anche senza sospetto fino alla fine della sua vita. Anche per quanto riguarda
la sua umanità è evidente che nei rapporti di amicizia non fu mai scontroso ne severo con la servitù
né intrattabile con le controversie.
Erasmo fu due volte suo ospite a Basilea dopo essersi recato da lui per amicizia e anche se lui per il
suo carattere la necessità degli studi amava la solitudine domestica, fuori frequentemente mangiava
insieme agli amici. Nei suoi costumi non c’era nessuna asprezza, nessun lusso, nessuna esaltazione
di sé, pur sapendo molte cose a nessuno si anteponeva. In materia religiosa era solito esprimere
quello che pensava anche se si sa che ricercava una teologia più pura.
A quel tempo era dottore in teologia il teologo ioannes geiler (prima era stato nominato anche
johannes wilfeling) famoso predicatore di Strasburgo nato nel 1495 morto nel 1510. Come dicono
gli uomini di quel tempo e come si può capire dalle sue predite (concioribus) erasmo si pose il
problema della predicazione cristiana, ECCLESIASTES SINE DE RATIONE CONCIORATI (IL
MODO DI PREDICARE) al punto che si potrebbe definire una sorta di de oratore cristiano). In
effetti nella sua opera Ecclesiaste: sive de ratione concionandi erasmo riflette sul tema della
predicazione efficacie, sostenendo che proprio la predicazione sia uno dei dovere più importanti
della fede.
LETTERE DI BEATO RENANO p. 18 ad ARLANDO del 1508
Lettera inviata da beato renano ad una persona cui si rivolge con il termine gentili suo (forse dlla
sua gens, si può riferire o ad un membro della sua famiglia oppore ad un suo conterraneo) e il tema
riguardo la ratio studiorum, gli autori che consigliabili leggere nella formazione degli adolescenti.
-C’è una duplice preoccupazione in renano: una di caratteri estetico, è un sano principio che in tutti
i campi dello scibile umano si leggano gli autori più autorevoli, quali sono gli autori imprescindibili
della formazione letteraria dei piu giovani? In renano è presente anche un pregiudizio estetico nei
confronti della tarda latinità: non è questione di autore cristiano o no, in quanto egli è convinto che
vi sia una decadenza del latino stesso andata di pari passo con la decadenza dell’impero.
-Una di carattere morale, renano non nasconde che in molti autori classici latini troviamo contenuti
moralmente discutibili. Uno scrupolo di moralità era una caratteristica propria dell’umanesimo di
oltralpe caratteristica non propria dell’umanesimo italiano, in cui molti umanisti si scambiavano
epigrammi ingiuriosi nel metro catulliano del falecio. Anche se può sembrare una contraddizione,
anche se l’italia era patria del cattolicesimo, le idee erano più larghe di vedute. Questa caratteristica
dell’umanesimo d’oltralpe si rinviene anche nella produzione di uno dei primi umanisti e poeti
tedeschi conard celtis, che nel dedicare all’imp. Massimiliano la raccolta dei suoi AMORES,
POESIA ELEGIACA DI ARGOMENTO AMOROSO sente il bisogno di premettere una lunga
giustificazione in latino appoggiandosi alla teoria platonica dell’amore (testi che nell’umanesimo
platonico fiorentino erano tornati in auge).
Nel primo capitolo prende l’esempio dell’arte medica, l’ars peonia, l’arte curativa. Quelli che si
occupano dell’arte medica, studiano con cura maggiore quegli autori che nel numero/ elenco dei
medici (in albo medicorum) occupano il primo posto e sono soliti rivolgersi a loro come fonte
autorevole. Infatti sperano di poter conseguire in maniera più piena la perfezione somma della
propria arte ricavata da quelli. Ora polemizza: se questa abitudine la osservassero gli insegnanti che
operano in questo lasso tempo (oc evi, lucreziano) che ricevono i teneri animi degli adolescenti che
devono essere formati con dei buoni insegnamenti non si metterebbero a tradurre e commentare
poesie lascive e piene della vana superstizione dei pagani e di parole oscene e che stimolano le
impietà, non farebbero questo che accade non senza grande danno per la maggior parte di coloro
che si trovano nel periodo scivoloso dell’adolescenza (adolescenza è un periodo non ancora formato
si può inclinare al bene o al male).
Renano non vuole eliminare questi libri, non è un censore, ma questi libri vanno letti dopo che
l’animo è stato sufficientemente corroborato ed il lettore ha un criterio di giudizio più saldo, dice
infatti ma volesse il cielo che non toccassero mai quelle cose o le riservassero ad una età più
matura.
I più giovani al contrario dovrebbero riempire gli ingegni ancora inesperti (rudia) con quegli autori
che esortano in maniera più cauta ad abbracciare la virtù come sono questi opuscoli cristiano di
ludovico vigo (autore di ferrara) e gli esempi di sabellico (filologo e umanista romano che si
occupato di marcellino) fausto adreino (sulle virtù morali ed eventuali) e i poemi che parlano
divinamente degli scrittori sacri (AGIOGRAFI, con questa parola renano non indica chi ha scritto le
vite di santi ma autori di ispirazione religiosa, sono poeti famosi della latinità cristiana) come quelli
di Prudenzio, Sedulio (carmen pascale e di inni pubblicati in germania nella fine del 1400) dello
spagnolo giovenco (de evangeliorum libri, primo a fare una parafrasi dei vangeli), alcimo amito (V
e VI secolo, vescono di vièn, città della francia, nel regno dei burgundi) del vescovo paolino di
nola, (poema ultium e amico di ausonio che non condivide la scelta di nola di darsi all’ascesi) di
venanzio fortunato (pieno VI secolo, poeta di corte dei sovrani merovingi) dai quali le menti degli
adolescenti una volta preparate potrebbero affrontare in maniera più sicura i volumi dei pagani
(l’ordine dei poeti viene dati senza alcun criterio, si ricorda che manuzio nei primissimi anni del
1501 aveva pubblicato una raccolta di poeti cristiani: poeti cristiani veteres, intento di riscoprire
autori famosi).
In questo modo leggendo questi apprenderebbero che bisogna adorare in primo luogo dio che è la
somma bontà e grandezza (espressione in se è giove ottimo massimo) e che bisogna attribuire a lui
tutti gli sforzi e ogni dono che abbiamo ricevuto.
Inoltre, assentirentur (dovrebbero seguire) piuttosto i santissimi espositori dei misteri divini (come
paolo, giovanni, e dionigi l’areopagita autori del nuovo testamento. Il nome di diogini viene messo
qui perché era ritenuto da una tradizione un discepolo di paolo, areopagita perché membro
dell’areopago di Atene e convertitosi ad Atene quando paolo predicò lì (paolo predica ai non
cristiani; edward norden grande filologo tedesco ha scritto “il dio sconosciuto”, con sottotitolo “le
forme primitive della predicazione cristiana” espressione usata da paolo)
Le opere dell’areopagita sono di un platonico, sotto il suo nome vanno degli scritti composti da un
non identificato autore (detto oggi Pseudo-D.) tra la fine del 5º e la prima metà del 6º sec, si parla
del cosiddetto corpus dionisiacum. L'opera di D. rappresenta nel suo complesso la confluenza di
motivi neoplatonici nel corpo della teologia cristiana, sì da esaltarne il carattere mistico-speculativo:
D. fa propria la teoria plotiniana di Dio che, per la sua infinità, è al di sopra dell'essere e di ogni
realtà comprensibile nelle categorie della ragione discorsiva. Il nome di Dionigi viene citato per la
prima volta negli scritti di Gregorio magno. Studi recenti dimostrano che è nel clima culturale del
neoplatonismo cristiano, fu tradotto in latino in età carolingia e tradotto anche in greco. Le
numerose traduzioni lo hanno reso una colonna della teologia scolastica, influenzando anche
cusano. Una delle sue opere sui nomi divini lo rende esponente della cosiddetta teologia negativa.
I giovani quindi dovrebbero leggere questi santi espositori dei misteri, invece preferiscono leggere
piuttosto che plinio che il piacentino valla (anche se renano non sa il quale opera il valla definisca
plinio porco, non l’ha individuata) chiama porco epicureo (espressione di orazio utilizzata da
orazio, che il poeta applicava a se stesso ironicamente alla lettera all’amico tibullo) o piuttosto che
luciano di samòsata, colui che morde esercita una ironia mordace contro gli dei e gli uomini o
filostrato, il più fantasioso degli storici come riferito da Eusebio.
Da notare che Negli stessi anni in cui renano scrive questa lettera il suo amico erasmo era amico di
thomas more (tommaso moro) uomo integro e canonizzato (cancelliere di enrico VIII, non lo seguì
nello scisma di roma) e in quegli anni loro traducevano dal greco a latino i dialoghi di luciano
(dialogo caronte aveva grande fortuna).
Ora previene obiezioni di natura estetica, immagina una obiezione. Ma questi autori autori cristiani,
a qualcuno sembrano privi di eleganza e sono del tutto estranei alle muse (non ispirati, AMUSOS)
dal momento che bisogna imitare tutti i migliori come ci ammonisce fabio (indica Quintiliano, cui si
rivolge con tono confidenziale, una grande rivalutazione di egli era stata iniziata da valla. Un
umanista tedesco pietro mosellano, nome che gli deriva dal suo paese al nord della Germania vicino
al fiume musella, aveva commentato Quintiliano. La istitutio oratoria diviene un testo autorevole e
si affianca a cicerone). Gli autori cristiani quindi o non li avviciniamo mai oppure li avviciniamo
con grande prudenza.
E POI RISPONDE A QUESTA FINTA OBIECTIO: Non voglio negare che quei poeti nostri (i
cristiani) sono un pochino più rozzi e spesso sono caduti da quella antica e romana eleganza che è
andata gradualmente diminuendo insieme all’impero. Ma non è forse vero che quella stessa
erudizione che si trova in loro (autori cristiani) merita di essere considerata cosi che risulta essere di
gran lunga più gradita e amabile DAL MOMENTO CHE non è abbellita da nessun artificio di
parole e che grazie al suo abbigliamento genuino è più amabile delle canoniche sciocchezze dei
pagani, ricoperte di piastre di metallo (come dice orazio nell’ars poetica).
(siamo nella polemica sulla poesia pagana che troviamo nelle prefazioni di giovenco e sedulio nelle
proprie opere). Nel momento in cui cita gli autori cristiani cita gli autori classici.
MA COSA DEVE FARE L’ASCOLTATORE DILIGENTE? ADOTTARE UNA VIA DI MEZZO.
Da una parte approverà con maggiore convinzione il dicendi genus lo stile grandilocum (dal
linguaggio elevato) e ricco che è in virgilio e orazio e si proporrà questi come modelli di imitare,
avrà questi come guida verso l’eloquenza. Da quelli (dagli autori cristiani) si procura il criterio per
vivere in maniera onesta e cristiana.
Dilemma di renano, è singolare invece che quei poeti Erasmo però li traduce in latino, viene
tradotto Aristofane, nelle cui commedie ci sono espressioni licenziose. Quindi renano è
preoccupato, letteratura non come pure diletto, delectare ma anche docere, miscere utile dulci,
importanza della formazione morale. Renano non invoca una censura ma una attenzione ad
avvicinarsi a questi testi. Invece erasmo è stato piu paganeggiante del suo allievo ed amico.
Lettera 2 (p.24) 1509 GIOVANNI ROICLIN del 1509
Epistola indirizzata a iohannes roiclin (qui chiamato con il soprannome capnion che si era
attribuito) originario di FORZAIN, città non lontana da scelstain. Roilclin è importante pe
l’umanesimo tedesco perché fu il primo che oltre al latino e greco coltiva la conoscenza dell’ebraico
e della cultura ebraica valorizza la tradizione mistica Kabbalah. (Per anni Reuchlin fu assorbito
dagli studi di ebraistica, i quali non avevano per lui soltanto un interesse filologico. Egli era
interessato alla riforma della predicazione, come scrisse nel De arte predicandi (1503), un testo che
divenne un vero e proprio manuale di predicazione. Egli sperava anzitutto che si conoscesse meglio
la Bibbia, rifiutandosi, fra l'altro, di considerare come unica fonte la Vulgata).
Già umanisti italiani come il poliziano e pico della mirandola avevano rivalutato queste tradizioni
cercando una conciliazione in senso sincretistico con il cristianesimo. L’interesse per la tabbaha non
confluisce mai nella tradizione filosofica occidentale, cosi come accade per altre tradizioni
esoteriche come l’ermetismo (nel periodo rinascimentale nasce l’interesse per i trattati del corpus
ermeticum).
La lettera è indirizza a roiclin ha una finalità prettamente di istaurare una collaborazione culturale. a
renano risulta che nella biblioteca del destinatario, di roiclin siano presenti manoscritti con l’opera
di Niccolò Cusano, pensatore ecclesiastico della prima metà del 400, grande esponente della
tradizione del platonismo cristiano e renano fa da intermediario fra roiclin e l’altro jacque fevre ,
uno dei più importanti personaggi che renano conobbe a Parigi: A parigi le fevre aveva fatto
riscoprire il pensiero aristotelico.
Jacque favre uomo fra tutto il nostro tempo incomparabile e fonte fecondissima di tutte le discipline
che a tal punto ha illustrato la filosofia che era quasi abbandonata, ricoperta della muffa
dell’antichità e privata del suo splendore, che sotto l’insegnamento di ERMOLAO e di GIOVANNI
L’ARGIROPULO BIZANTINO cosa che in qualche luogo tu hai notato, che sono stati tuoi
precettori, ha aggiunto molto maggiore splendore a questo (alla filosofia).
Quello infatti oltre ad aver tradotto in latino Temistio (ha tradotto i suoi commenti, un neoplatonico)
e Dioscoride(ancora in parte inedito) di questi autori aveva tradotto tutta la filosofia di Aristotele
dal greco in latino (esistevano traduzioni integrali ma spoglie e non illustrate da nessun commento)
grazie al quale le menti di che legge possano comprendere gli oscuri concetti di quel filosofo, si
capisce male Aristotele senza commento)
Questo (jacque) ha reso cosi accessibile la dottrina che ormai non c’è bisogno più dei commentatori
neoplatonici tardoantichi (si cercava un accordo tra platone e aristotele, programma che anche
boezio si era proposto con le sue traduzioni di Aristotele e che non porta a termine a causa della
morte).
Quell’uomo cosi celebre quando io mi trovavo a parigi come studente degli studi di filosofia mi fu
talmente familiare che è accaduto che qualche volta mi ha scritto circa le sue cose dopo che ero
tornato in Germania (si è conservata l’amicizia).
Siamo in un ambito tecnico: poiché ha in animo (abet in animo) di consegnare alla stampa
(impressioni gravere) le opere di Cusano che è il più dotto degli uomini della Germania, le opere
che ha esaminato criticamente (assere cognita, recognitio, esame critico del testo) (ha esaminato il
testo dei manoscritti), essendo trascorso ormai del tempo mi ha chiesto per lettera se ci fossero degli
opuscoli di quell’uomo cusano) soprattutto, il direttorio del contemplatore, che trittenio (giovanni di
trittenai, abate di spira) ha indicato nel suo catalogo, mi ha chiesto che io ne curassi la trascrizione
(gli ha chiesto di farne una trascrizione se trovasse opuscoli del cusano oltre a quello che gioanni di
trittenai. Egli aveva scritto una sorta di de viris illustribus sugli scrittori ecclesiastici, il modello è
Girolamo, tra cui anche Cusano e quindi quello del direttorio del contemplatore è un titolo che
trittenai ha indicato nel suo catalogo e che quindi si presume abbia visto.
Renano a sua volta chiede l’aiuto ad altre persone che hanno accesso alle biblioteche. QUINDI SI
RIVOLGE A DELLE PERSONE SICURAMENTE NON CASUALI. Io mi sono già dato da fare
presso molti per venire a capo di qualcosa, sia a magonza, presso teodoro gresemund (giurista) sia a
friburgo, (una delle città dove ha anche dimorato erasmo) presso gregorio ruschum certosino perché
lui svolgendo il ruolo di visitatore (visitatore apostolico, visita i conventi per controllare che tutto si
svolga secondo il rispetto della regola) molto spesso visitava ed esaminava (excutio, prende libri
fisicamente tirandoli fuori dallo scaffale) varie biblioteche soprattutto di quella regione dove cusano
ancora in vita aveva frequentato. (la scelta della persona non è causale ma una persona che per il
ruolo che svolge ha diritto di vedere quello che vi è nelle biblioteche monastiche, principali centri
scrittori, gli umanisti italiani come Bracciolini avevano perlustrato molte abbazie tedesche, cosi
come niccolò niccoli “a fulda, spira”. Chiaro che è più facile trovare manoscritti di cusano dove
cusano ha trascorso parte della sua vita).
Ma questo afferma di non aver ancora trovato nulla a eccezione dell’opuscolon (libellos) sul dio
nascosto (si tratta del de deo ebscondito, teologia negativa, si può dire ciò che non è. Trova solo
questo oposcuolo che già renano aveva trascritto cosi come i sermoni delle prediche.)
Inoltre ho indagato anche presso Pelecano Rubiacensi se per caso avesse visto da qualche parte
qualcosa del genere e lui mi hai riferito che tu sei in possesso di molte opere (multa habere)
composte da cusano ma che le condividi con poche persone perché le tieni presso di te con grande
considerazione (le conservi con grande tesoro. Ha scoperto dalla fonte che roiclin ha molte opere
del cusano conservate nelle sue biblioteche). Anche il certosino mi ha fatto sapere la medesima gli
ha confermato la medesima cosa.
Ho quindi iniziato a penare o uomo eruditissimo in che modo per opera mia potessi essere reso
partecipe dei medesimi opuscoli. In un primo momento quando avevo preso la decisione di
preparare una lettera per te e guardavo me stesso (pensavo a quanto fossi inferiore rispetto a te)
temevo che avrei cantato invano (temevo non avresti considerato la mia lettera) ma subito dopo,
poiché pensavo a faver a cui queste cose dovevano essere mandate e a cui difficilmente debbono
essere negate, mi è venuto il coraggio di chiedere con fiducia. Io infatti stento a chiedere facilmente
che tu non accontenteresti (obsequor) un uomo cosi grande che in maniera ammirevole lode, esalta
e stima te e tutti i tuoi scritti (abile captatio benevolentiae, favrel parla di te sempre bene).
Favr parlando del salterio quintuplice (questa è una opera di roichi, una edizione di alcuni salmi con
testo greco latino ed ebraico che ricorda quasi la prassi di origene) di te fa una menzione cosi
onorevole che mi piace riportare le parole quando parla del “santissimo nome del nostre re e
salvatore”. Favre esamina il testo dell’opera di roicli (che da poco ha mandato in dono a renano) e
lo ha riesaminato criticamente con grande attendibilità secondo la verità originaria dell’ebraico e del
greco (c’è dietro il concetto di Girolamo ebraica veritas) e illustrato di gradevolissime note.
Nell’esame cita un’opera di roicilin “il de verbo verifico”, in cui c’è una conciliazione tra la
tradizione cristiana ed ebraica.
Quella stessa cosa ce l’ha scritta mirandola, che spesso nelle sue opere in altri passi fa menzione dei
rudimenti di roisclin “i rudimenti ebraici” una sorta di grammatica, un compendio, delle regole
fondamentali della lingua ebraica.
Vedi quindi quanto ti considera il faver premettendo grandi lodi. E come parla di te premettendo
grandi lodi. Mi ricordo che non solo una volta ho sentito dire dalla sua bocca “ è veramente dotto
colui che si è chiamato piccolo fumo” (capnion, suffisso diminutivo). Se credi che io metta in
campo queste cose per adularti ti inganni di molto.
Renano afferma quindi che i suoi elogi sono sinceri. Io infatti non appartengo alla schiera di quelli
che blaterano una cosa e altro portano invece chiuso nel loro animo, l’animo va d’accordo con la
penna e la lingua con il cuore (secondo il proverbio latino). Lasciati dunque stimolare o uomo
illustre a dare in prestito quegli opuscoli non solo per la benevolenza di favr nei tuoi confronti ma
anche per la più grande gloria della Germania che da ora in poi sarà condivisa da tutti i tedeschi.
IN CONCLUSIONE RENANO DESCRIVE UNA PRASSI NORMALE ALL’EPOCA cerca di
informarsi con passaparola circa la presenza di manoscritti e poi cercare di intermediare i giusti e
non sempre questo era facile, renano sospiro per anni il codice di GHORS DELLE OPERE DI
TERTULLAINO e finalmente qualcuno collazionò per lui il manoscritto e gli inviò i risultati della
collazione. Una conoscenza indiretta. I manoscritti quindi difficilmente uscivano dal luogo in cui
erano conservati, era più agevole spostarsi di persona per fare la collazione.
LETTERA A FEVR PAG. 41 del 1512
Lettera indirizzata a jacqu fevr le table da parte di renano. Nella parte iniziale soprattutto presenta
una orgogliosa difesa del livello raggiunto dall’umanesimo di area germanica. Lo scriva al suo
destinatario parlando di un non meglio definito detrattore dell’umanesimo tedesco. Lettera in cui
polemizza contro un personaggio di cui non fa nome della cultura francese attaccava di barbarie la
Germania.
La tua lettera elegantissima e desideratissima me l’ha consegnata a Strasburgo il nostro Michael
HUMELBERGH istruito in maniera ammirevole nelle buone discipline e a stento si può dire con
quanto ardore per il piacere che provavo e anche gesticolando l’abbia anche letta a fondo. Da quella
lettera ho capito che tu non ti dimentichi mai del tuo beato. Anche se il tuo beato in campo letterario
ha per ora conseguito poco (i lavori di renaro piu importanti non avevano visto la luce, aveva 27
anni) e oltretutto sono di una nazione straniera, tuttavia viene intimamente amato da te come il
discepolo dal maestro (rapporto interpersonale molto forte).
In questa cosa (nella benevolenza che mi dimostri) si puo riconoscere la tua purezza d’animo che
desideri essere utile a tutti, infiammato dall’uguale amore nei confronti di tutti.
Non fa nome qui renano: tuttavia, da questa tua naturale disponibilità dei tuoi costumi una certa
persona dal nome non oscuro che io anche amo molto per la sua erudizione, dalla corte del duca di
lotaringia si discosta (dalla tua disponibilità) doppiamente. Egli infatti pieno di amore verso i
francesi al di sopra di quanto si possa dire, parla male dei gloriosi popoli della Germania con molti
appellativi. Ma certamente non sa quanto sia spiacevole quello che fa per il suo principe (un
cortigiano del duca di lottaringia, territorio che sin dai tempi della divisone dell’impero di carlo
magno dai paesi bassi scendeva al sud) il cui illustre padre quando ormai la situazione era disperata
e prossima alla fine si rifugiò presso i germani come ad un sacro appiglio.
Ma del resto il fatto che lui ci chiama barbari non è poi sempre del tutto intollerabile ad ascoltarsi.
Infatti col medesimo criterio anche i francesi potranno essere barbari: chi non nasce barbaro, chi
non rimane barbaro, se non si soglia dell’ignoranza coltivando la mente con le discipline liberali
(trivio e quadrivio). (essere barbaro non è un fatto etnico, tutti siamo barbari se rimaniamo
nell’ignoranza, la storia ci insegna che anche nelle aree in cui la cultura era di alto livello si può
piombare nell’ignoranza, come Gregorio di tour nella sua historia francorum: nessuno coltiva più le
arti, è sufficiente che si interrompa la circolazione libraria per ripiombare nell’ignoranza). C’E’
QUINDI UN ORGOLGIO NAZIONALE, MA CHIUNQUE PUO’ ESSERE BARBARO,
LA GERMANIA ANCHE VANTA DI UOMINI DOTTISSIMI: Non mancano anche in Germania
uomini che lavata via le barbarie sono in possesso di tutto lo splendore dei latini. Infatti la Germania
inferiore ha Erasmo da Rotterdam espertissimo nell’una e nell’arta lingua (latino e greco) erasmo
che quel tale (il detrattore) devoto piu del giusto alla sua Gallia cerca di portarci via quasi a morsi
dalla nostria patria (vuole rivendicare erasmo a patria francese).
Renano riformula il concerto di cultura (barbaria intendersi come rozzo). L’umanesimo E’ UN
FENOMENO CHE TRAVALICA I CONFINI NAZIONALI E CHE ACCOMUNA TUTTI
COLORO CHE A QUESTA CULTURA PARTECIPANO. Si paragona al concetto di ellenismo,
concetto in nuce già nel panegirico di Atene di Socrate, che scrive “la nostra città è stata cosi
superiore nel pensiero e nella parola che coloro che sono diventati suoi discepoli sono diventati
maestri degli altri e cosi essere greco è diventato non un fatto di stipe ma paideia, di cultura” (essere
greco significa non solo essere nato in Grecia ma avere la cultura greca). E fa un elenco di uomini
dotti che erano in Germania.
- A Magonza Teodorico, in Alsazia jacob wimpheling (alsazia, regione cui appartiene anche
sclestet) sebastian brant (umanista scrive un’opera poetica di carattere satirico e metaforico “la nave
dei folli” che fu tradotta in latino da martin lohker con il titolo di “stultitera navis”, metafora della
società, tema della follia che ricorre anche in un’opera di Erasmo “elogio della follia”. Roicly
definito “l’ornamento di tutta l’Europa”.
-ancora giorgio symler, enricus bebelius (autore che si dedicò anche alla poesia e recupera i testi
finiti poetici finiti nell’uso liturgico come quelli di Prudenzio “libri degli inni ricondotti alla loro
forma metrica” (liber innorum).
Ancora la figura di joannes stabius, eccellente matematico che si trovava alla corte di Massimiliano
d’asburgo. Egli tra l’altro ha il merito di aver scoperto un’opera allora sconosciuta di gregorio di
nissa, autore greco cristiano , del IV secolo che appartiene ai TRE LUMINARI DI CAPPADOCIA,
insieme a Basile e Gregorio di Nazianzo. Il nisseno è impregnato di platonismo e alcuni dialoghi
svertono su questioni dell’anima e sulla resurrezione. L’opera in questione è la creazione dell’uomo
(de opificio hominis) trattato di antropologia filosofica che riveste un grande interesse nel periodo
nell’umanesimo in cui la riflessione sull’uomo e la sua posizione nel mondo era stata oggetto della
riflessione del (de dignitate de exceletia hominis) di pico della mirandola.
Stabius scopre un’opera sconosciuta di Gregorio di Nissa opera tradotta in latino qualche secolo
prima da burgundio pisano. La repubblica di Pisa (rep. Marinara) aveva rapporti commerciali con
l’oriente bizantino e quindi c’era UNA CERTA CONOSCENZA DEL GRECO, aveva tradotto in
latino quest’opera in un latino ROZZO, incolto, barbaro.
QUINDI GIA’ NEL XII SECOLO C’ERA UNO SCMABIO TRA ORIENTE E OCCIDENTE.
Questo stabius scopre un’opera rada di nissa rinasta sconosciuta per secoli, un’opera che gregorio
pisano dedicò, dopo averlo tradotto (traslato) a federico Enobarbo (barbarossa) terrore di tutte le
genti o a federico II (è una cosa dubbia perché egli operò sotto il regno dell’uno e dell’altro, quindi
è incerto il destinatario anche perché gli imperatori erano omonimi) ma lo tradusse in una
MANIERA COSI INDOTTA, INELEGANTE CHE IL TESTO SI PUO LEGGERE MA NON
CAPIRE (stroncatura della traduzione).
Viene chiamato in causa MATTIA SCHURERIUS. Questo tipografo di vienna (vienna in pannonia,
la pianura pannonica infatti coinvolge anche la parte orientale austriaca, la pannonia è la reggia
degli arciduca di Austria) e che è anche mio concittadino, lo aveva ricevuto per la stampa ma
interviene joannes kono (che è stato precettore di renano) che aveva trovato dei manoscritti greci
nella dotazione libraria (in libraria soppellettile) che viene conservata senza che nessuno la guardi
(inutilizzata) nel convento domenicano (nella firenze del 400 il più grande centro librario la cui
dotazione a costituire un nucleo della biblioteca nazionale di firenze era il convento di san marco,
del savonarola, domenicano) trova delle porzioni di testo in greco e confronta la traduzione di
burgundio in parte anche confronta dola con il testo greco che aveva trovato in questi manoscritti.
Jovanni kono non sopportava che un autore cosi nobile che da ogni parte era guastato da abusi di
espressione (improprietà espressive) più che gotiche (piu che barbare) e si è basato su questi
manoscritti che erano lì come lascito testamentario (di dice da chi proveniva il fondo manoscritto
conservato nel monastero di san domenico) del cardinal ragusini).
Interessante in cui Renano ha quasi l’indirizzo di dove si potevano trovare questi manoscritti e non
rimane vago: questa indicazione precisa in cui si trova la fonte manoscritta utilizzata è in un certo
senso l’eredità del poliziano, uno degli umanisti del 400 che è uscito dalla vaghezza in cui si
muovevano (gli umanisti utilizzavano una espressione generica per indicare che il manoscritto non
fosse leggibile “goticis litteris” che non significa necessariamente carattere gotico ma sinonimo di
illeggibile e quindi di rozzo.
QUINDI KONO COSA FA? Trovati con l’uso di alcuni capitoli trovati, con la sua fatica e il suo
studio fece si che cacciate le tenebre di cui la traduzione rozza era oppressa, il lavoro venì alla luce
più splendente più comprensibile. Dunque quel divinissimo padre (nissa) primo tra tutti filosofatur
(lo definisce a tutti gli effetti un filosofo) sviluppa una filosofia sul uomo e sull’ordine di criterio
della creazione (de hominis opificio) dove dimostra con quanto ingegno (nell’opera) l’artigiano
trascendente (dio) abbia creato principalmente l’uomo e le altre cose, considerazione che guidano
chi le legge (ducunt) a un tale livello di perfezione che guardando (suspeciens) quella ammirevole e
ornatissima creazione (conditio, da condere) delle cose sensibili viene sollevato all’ammirazione del
creatore.
p. 44 Renano spiega che parte ha avuto sui stesso in questo lavoro. Io, considerando tra di me
l’utilità di quest’opera, anche se prima il mio maestro (kono) l’aveva da ogni parte trafitta di
obelischi (termine tecnico, segno diacritico utilizzato dai grammatici alessadrini in poi. L’obelos
indicava o una lacuna nel testo o un punto corrotto. Di questi segni si era servito anche origene nella
sua opera di filologia (E’SAPRA) in cui confronta il testo biblico del antico testamento con le varie
versione greche che circolavano e utilizzava l’obelos per indicare lacune). kono quindi considera
quell’opera lacunosa.
E anche se ero occupato da altri impegni e soprattutto dallo studio delle lettere greche, tuttavia
ritenni di doverlo trascrivere.
Particolare interessante sui rapporti commerciali con i tipografi: il libro grazie alla stampa diventa
un business. Siamo lontani dalle tirature di oggi con i mezzi moderni di stampa ma in occasione di
ludi “mercato”; fiera, in ogni città c’era una sorta di esposizione in cui si potevano acquistare le
novità librarie e questo ci fa capire che a livello sociale erano cresciute le persone che erano
interessate all’acquisto.
Questo per me fu tanto più difficile quanto piu vicino era il momento del mercato mentre i tipografi
pretendevano (excoscentibilus) di esemplare la copia promessa (per darla alle stampe). Dunque
questo affare(negotium) risultò a tal punto piena di fatica che mi fu necessario secondo quello che
ha detto luciano a proposito di Demostene, unire le notti ai giorni faticosi. Ma mentre trascrivevo
quasi in ogni passo (ubique fere) ho innalzato lo stile della traduzione (renano fa un’opera di
revisione stilistico-lessicale non avendo egli avendo a disposizione manoscritti greci. Come questo
intervento lessicale ne avrebbe modificato il senso? Si potrebbe rispondere avendo a disposizione
l’esemplare greco) per evitare che i lettori, spaventati da una cultura cosi rozza come i cani che
bevono dal nilo (vecchio proverbio) bevessero questa ignoranza.
Ora critica burgundio: infatti burgundio traducendo PAROLA PER PAROLA IN NESSUN MODO
E’ RIUSCITO A RIPORTARE LE FIGURE DI STILE (SCHe’MATA, CHE CON I TROPI de
schematibus et tropi, trattato di beda) non è riuscito in nessuno modo a ricondurli alla proprietà
della lingua latina. Orazio scriveva nell’ars poetica “il fedele traduttore non si preoccuperà di
rendere ogni singola parola” la classica distinzione “non verbum de verbo ma sensum de senso”
concetto che rende un altro concetto” pur rispettando la proprietà linguistica di ogni lingua. Per cui
accadde sicuramente che anche chi esamina con maggiore curiosità nessun concetto mai risulti
chiaro.
Ma nella nostra correzione (nel correggere) certamente non abbiamo potuto estirpare
completamente ogni rozzezza: infatti ci sarebbe stato bisogno di una nuova traduzione ma come
quelli che levigano (lucidano) abbiamo raschiato via gli ostacoli più intollerabili, lasciando anche ad
altri una materia per una pulizia ed una correzione più ampia.
Quindi renano si cimenta in una revisione stilistica di un testo latino.
LETTERA PAG. 66 A MICHAL HUMMELBERGH del 1514
Lettera in cui Renano dà notizia dell’arrivo di Erasmo che è arrivato carico di opere da stampare,
lettera del 1514, siamo agli inizi della loro amicizia e si trovano a Basilea.
Erasmo da Rotterdam uomo di somma erudizione proprio da poco è venuto a Basilea carico di
buoni libri tra i quali ci sono questi: tutte le opere di san Girolamo corrette ed esaminate
criticamente, tutte le opere di Seneca (autore classico cui Erasmo la dedicato ampiamente il suo
studio lavorando ope ingenii. Se riprende l’edizione di oxford delle epistole ad lucilium curata da
Reinos si trovano spesso in apparato delle correzioni congetturali di Erasmo quando addirittura non
sono accolte nel testo. Erasmo cita le fonti manoscritte di cui si è servito ma spesso confida sulla
sua straordinaria conoscenza della lingua latina) le annotazioni ricchissime sul nuovo testamento
(che accompagnano l’edizione nuovo testamento per la versione latina che rifà ex novo, suscitando
anche polemiche per alcune scelte lessicali), il libro dei sinonimi, molte traduzioni da Plutarco
(autore greco che nell’umanesimo conosce una grande fortuna, per il carattere eclettico della sua
filosofia e anche per il grande interesse morale), gli adagia accresciuti in ogni punto (la sua raccolta
di massime che si pronta ad essere accresciuta progressivamente senza modificare l’impianto
dell’opera). Eramo ha ancora molte cose in abbozzo iniziate ma non ancora portate a termine.
Qui a (Basilea) frobel stamperà il testo greco del nuovo testamento con le sue annotazioni e anche
gli adagia corretti e accresciuti al massimo grado. Alcuni opuscoli di Plutarco in questi giorni
entreranno elegantemente stampate nell’officina, invece il libro dei sinonimi lo stamperà shubert
insieme al libro di erasmo (de copia verburum) (sulla ricchezza lessicale latina) libro che erasmo mi
ha dato dopo averlo corretto poiché a strasburgo era trattato da lui con grande umanità.
Per quanto riguarda le opere di seneca ho scritto a suber (erasmo si occupa di trovare i torchi liberi)
perché se erasmo non troverà chi possa stampare se le porterà in italia (le opere di seneca) con le
opere di san girolamo. Ecco l’intensa attività di curatore editoriale di beato renano per sé e per
l’amico erasmo.
LETTERA DI BEATO RENANO A THOMAS RAP PAG. 71
In questa lettera renano annuncia a thomas rap di aver scoperto quella che noi definiamo” ludus de
morte claudi” apokolokintosis, opera di Seneca pubblicata da renano nel 1515, anno di datazione
della lettera, in un volume che contiene altre opere con caratteri analoghi: c’è un opuscolo di
SINESIO DI CIRENE, figura di platonico cristiano vissuto fra IV e V secolo, nato e cresciuto a
cirene ma educato ad Alessandria e fu filosofo della neoplatonica ipazia (fine tragica, a causa del
patriarca di alessandria teofilo vedeva nella sopravvivente scuola neoplatonica una concorrente
pericolosa alla chiesa): l’opuscolo si chiama l’elogio della calvizie CALVITII ENCOMIUM (nel
gusto della seconda sofistica) in cui scherza sulla propria calvizie e la esalta come segno di nobilita,
gusto tipico del divertimento sofistico. Questo opuscolo è una risposta all’elogio della capigliatura
di Dione crisostomo, oratore e sofista di età imperiale, che nel suo corpus esaltava il valore DELLE
LETTERE E RETORICA.
Quindi se prima si era allenato rivedendo le traduzioni di altri, questa è la prima opera che a 30 anni
lo consacra a filologo scopritore di testi inediti.
Lucio annèo senenca che è non solo un profondissimo filosofo ma anche un oratore per niente
infelice che tacito scrive essere stato di ingegno piacevolissimo compose questa opera scherzosa
circa la morte di claudio cesare non tanto offeso dall’ingiustizia subita perché da lui era stato
mandato in esilio quanto piuttosto spinto dai delitti non sopportabili e dalla crudeltà. (quindi non per
risentimento personale ma perché era scandalizzato dal suo agire quindi compone questo opuscolo
satirico) nel quale colpisce con ammirevole (saves) facezie (motti di spirito) la sua crudeltà nei
confronti degli innocenti.
Quando leggerai questo opuscolo facilmente ti accorgerai che presso gli antichi era stato anche
lecito (inficere genuimum) dire nei confronti del principi quale fosse la vera natura cosa cosi come
non è sempre saggia, cosi riteniamo che non si debba criticare sempre. Spesso infatti quello che
ascoltiamo accusare negli altri da noi è solito essere evitato (non è saggio dire male dei principi ma
nemmeno da rimproverare. può essere utile per noi). Dunque questo frammento di seneca (lo
chiama frammento non perché l’opera sia incompleta ma perché è di ridotte dimensione) da poco ho
scoperto in Germania (non dà notizie precise) lo abbiamo illustrato come una gemma dell’antichità
dopo avere annotato in maniera frettolosa delle note di commento ricavate da svetonio e tacito (il
commento di renano è di carattere storico, l’edizione del 1515 si trova alla biblioteca statale di
monaco, e c’è il testo di seneca incorniciato dalle note di commento, una impaginazione davvero
singolare). (renano lo ha circondato di corredato di note marginali, perché inviti di più a seguire il
lettore come una sorta di adescamento).
Ammettiamo tuttavia candidamente (ingegue) che ci sono alcuni passi in cui abbiamo fatto uso
soltanto delle nostre congetture, senza aver seguito l’autorità degli storici. Interessante quello che
dice sul testo di tacito, sul quale interviene negli anni successivi introducendo numerose note
critiche e in questa operazione renano tiene presente l’opera di chi l’ha preceduto, in particolare di
un umanista bolognese, filippo beroaldo.
Infatti i primi libri di Cornelio (tacito, come come quintiliano lo chiamava fabio. Tipico degli
umanisti) che ci sarebbero potuti essere di aiuto non ci sono o tuttavia non si trovavano per noi
anche se questi libri ho saputo (os) che negli anni precedenti erano stati portati a roma dalla
germania.
Ora parla di una difficoltà canonica di manoscritti medievali. Autori colti come seneca inserivano
nelle loro opere il greco. I copisti medievali il greco non lo sapevano e quindi avvenivano macelli.
La famosa espressione “grecum est non legibur”” è greco non si legge” fa si che nei manoscritti
latini vi fossero delle parole incomprensibili.
Per quanto riguarda questo cosi come nelle parole greche (in grecis) abbiamo restituito alcune cose
divinando (carattere quasi oracolato, la congettura diviene quasi una facoltà sopra razionale,
abbiamo intuito quello che poteva essere il greco originale) così alcune cose che non potevano
essere ristabilite se non con l’aiuto di un archetipo non potevano essere più corretti di una migliore
copia originale perché il nostro esemplare non aveva nessuna per quanto esile traccia dei caratteri
greci (non conservava neppure una minima traccia di una lettera greca il manoscritto che aveva).
TERMINE ARCHETIPO PER RENANO= un originale migliore, ecco l’uso che renano fa di
archetipo. Non si intende la stessa cosa di quello stabilito da paul mas. In renano archetipus vuol
dire originale da cui si trascrive, invece oggi non diciamo questo codice è l’archetipo di un altro ma
parliamo di antigrafo. Però in questo caso renano usa l’archetipo non nel concetto di uno stemma
codicum, concetto estraneo, era chiaro solamente che l’idea della dipendenza di un manoscritto
dall’altro.
Renano è consapevole dei limiti che ha correzione congetturale quando non può affidarsi al
soccorso dei manoscritti. Renano non si è tirato indietro dalla emendatio ope ingeni quando però
era costretto a farlo dalla mancanza di manoscritti o quando i manoscritti dei quali disponeva (come
la prima edizione di tertulliano) poco utili ai fini del miglioramento del testo.
Dunque mio carissimo tommaso ricevi questa mia piccola fatica che è dedicata proprio al tuo nome,
alla quale auguriamo visto che vede la luce sotto gli auspici del tuo nome e confidiamo che sarà
cosi, che sia a tutti di non minore utilità e piacere di quanto non sia stata a me motivo di fatica
(quando io ci ho lavorato quanto mi auguro che sia per tutti piacevole).
Il testo delle edizioni a stampa, gli esemplari stampati leggono natum mentre un vecchio volume
manoscritto riporta natus. Dunque io congetturo che si debba leggere natos perché sia riferito alla
parola libro (questo natum potrebbe avere senso se si riferisce a opus, non è che mancherebbe di
senso però gli sembra più verosimile che natos si sia corrotto in natus che non ha senso nel
nominativo. In effetti le edizioni moderne hanno natos riferito a libros).
E così l’ordine del discorso è più piacevole, se metti i segni di interpunzione (i latini non avevano i
nostri stessi segni di interpunziones, abbiamo anche i codices indiscincti con la scriptio continua,
quindi è importante che l’editore distingua come interpungere il testo) su “i libri di storia naturale, i
quali sono un’opera insolita, (genere di opera che non aveva precedenti, anche il grande erudito
varrone non aveva composto un’opera che abbracciasse tutti i cambi dello scibile umano. Il saggio
Di conte parlava dell’”inventario del mondo”, nelle cinquecentine accanto al titolo historia naturale
c’era quello di “historia mundi”) nato presso di me è ciò che seguo”. Così che queste parole
“novitum caminis quiritum tuorum opus” vengono lette come se fossero aggiunte fra parentesi,
secondo quella che i grammatici parlano di apposizione (la paretetis in greco).
Perché il copista ha sbagliato? Ma fu facile lo sbaglio del copista (librarius, colui che trascrive)
tanto da scrivere natus invece di natos. E perché? A causa dell’ultima sillaba della parola che
precedeva (opus) che ancora aveva nella mente, quindi una sorta di OMOTELEUTO INCONSCIO.
OPUS L’HA SPINTO A SCRIVERE NATUS. (sulle cause che hanno portato i copisti a sbagliare si
è scritto molto, importante l’opera di SEBASTIAMO TIMPANARO “il lapsus froidiano,
psicanalisi e critica testuale” che indaga sui meccanismi inconsci che possono agire sui copisti).
2)Viene chiamato in causa Catullo. La prefazione di Plinio è una prefatio di dedica e viene
chiamato in causa il primo carme del catullo (carme nel quale vi era la dedica dell’opera a cornelio
nepote). Da un lato ci dice che catullo ai tempi di Plinio era letto. Anche Giovenale in una sua satira
si prende gioco del personaggio di lesbia.
“E infatti tu solevi credere che le mie inezie valessero qualcosa, affinché addolcisca leggermente
Catullo mio conterraneo (anche tu conosci questa parola militare): infatti quello, come sai, cambiate
le prime sillabe si fece più duro di quanto voleva essere stimato dai suoi Veranioli e Fabulli”
Cosi leggono tutti i dotti OBITER MOLLIAM CATULLUM (che NON HA SENSO) mentre un
antico codice manoscritto ha OBICERE MOLLIAM CATULLUM. E’ chiaro che da plinio fosse
stato scritto UT OBITER EMOLLIAM CATULLUM Quindi: probabilmente i dotti prima di lui,
che avevano curato edizioni di plinio, avevano operato per congettura, rendendosi contro che
obicere molliam non vuol dire nulla in questo cointesto. Quindi renano fa una correzione ulteriore
basandosi sulla osservazione del manoscritto che ha obicere molliam. Renano quindi per tappe
cerca di ricostruire l’origine dell’errore
Da qui è nata l’origine di un errore perché un copista primo di cultura come oggi presso di noi sono
gli operai dei tipografi (nelle tipografie c’era il capo, umanista, ma avevano uno stuolo di
collaboratori non necessariamente tutti letterati e che non erano in grado di comprendere il testo che
componevano) quindi questo scriba vedendo la E che è la prima sillaba di questa parola
EMOLLIAM e vedendola forse un po' separata dalle altre, pensò che dovesse essere unita alla
parola che precedeva cioè obiter e quindi ha scritto obitere.
Osservazioni IMPORTANTISSIME CHE SONO PRINCIPI GENERALI. Un altro librarius che
forse ha rivisto, revisionato il manoscritto (tante volte sui manoscritti abbiamo segni di correzioni di
piu mani. Come si riportano queste cose negli apparati critici? O si usa l’espressione ante
corretionem per indicare la lezione di prima mano e quale frutto dI correzione, a volte intervengono
più mani. Negli apparati critici gli autori più letti e conosciuto questa affermazione male, mentre per
quelli meno conosciuto è raro trovare manoscritti con molti interventi di correzioni. Poteva accadere
inoltre che le correzioni o si facessero per congettura, oppure che un librario successivo, più dotto
avesse a disposizione un altro manoscritto in cui trovava un testo diverso e quindi può succedere
che viene cassata la parola precedente o punteggiata sotto e nell’interlinea sopra si mette la lezione
che dovrebbe soppiantare, mentre riscrivere ex novo una pagina era fuori discussione).
Un altro librarius un pochino più istruito e per questo più DANNOSO perché PRETENDE DI
INTERVENIRE LUI PER CONGETTURA (MENTRE GLI ALTRI, come l’esempio precedente,
OPERAVANO L’ERRORE IN MANIERA MACCHINOSA) e vedendo che obitere non è una
parola latina, audacemente ma pericolosamente dopo aver cambiato la lettera T in C da obitere fece
obicere.
Ma l’errore sarebbe stato piu facilmente scoperto se obitere non fosse stato trasformato in obicere
con una diligenza DANNOSA.
Infine c’è da dire che in questo passo la lezione emolliam è molto più elegante e espressiva di
molliam. Infatti la preposizione è aggiunge non solo piacevolezza ma anche una certa forza
espressiva. EMOLLIAM SIGNIFICA ADDOLCIRE:
ADDOLCISCO CATULLO= rispetto al testo di catullo, il verso cui si riferisce è un endecasillabo
falecio “meas esse aliquid putere nugas”. In catullo la base del falecio presenta più possibilità, non
solo lo spondeo ma anche il giambo nel primo piede. Invece il verso citato da plinio che viene
inserito nella prosa diventa sempre un falecio “nugas esse aliquid meas putare” ma nel primo piede
quello che in catullo era un giambo è diventato uno spondeo. E’ chiaro che ai tempi di plinio nel
gusto metrico dei latini ormai si sente necessario nel primo piede del falecio lo spondeo. I FALECI
SCRITTI NELL’ETA’ PIU TARDA SONO SEMPRE UNIFORMI, IL PRIMO PIEDE E’
SEMPRE SPONDEO.
3)“Catullo, come sai, ponendo in un diverso ordine le prime due sillabe risultò un po' meno di
raffinato di quanto voleva essere stimato dai suoi Granietto e Fabullo” (messi al diminutivo
vezzeggiativo che Catullo ama molto, sono due cari amici).
In un vecchio codice si legge DAI TUOI VERANIOLI E FAMULIS. Di queste parole questo
ultimo (famulis) che è chiaramente sbagliato è stato depravato da un certo sconosciuto saputello
(prima aveva detto un libraio, qui lo chiama saputello, colui che si ritiene un filologo alessandrino
sapendo qualcosa in più). Che cosa ha fatto? Dopo aver scritto favullis con la v invece che b, alla
maniera degli antichi (da una labiale sonora a una spirante sonora) subito l’ha trasformata in
FANULIS pensando che la prima u (UU, la prima u è semivocalica) fosse INVECE UNA N, che
non è molto diversa, ma posto della quale bisognerebbe scrivere M, QUINDI FAMULIS.
Cosi dunque la parola fabulli a causa di un copista desidero di ricercare l’antichità dell’espressione
in maniera ambiziosa ma stolta in un primo momento è diventato FAVULLOS (che al di là della
grafia è pur sempre la stessa parola) poi in FANULOS e poi in FABULOUS. Questo errore poi fu la
causa per cui VERANIOLI venissero trasformati in VERNACULOS per la congruenza del
significato (diminutivo di verna, servo nato in casa e quindi già cera fabuli che vuol dire servi,
allora sarà vernaculi e quindi qualcuno indotto dallo sbaglio precedente ha corretto volontariamente
per dare coerenza di significato).
Ed è in questo modo che nascono gli errori.
-Per quell’altra parola TUIS forse si potrebbe leggere TALLIS e cosi leggere “AVERRANIOLIS
TALLIS ET FABULLIS”. TALLIS (plulare di tallus) è un personaggio nominato da Catullo nei
suoi epigrammi, cui indirizza un epigramma salace.
Infatti negli epigrammi di catullo C’è un carme sicuramete molliculo (molto spiritoso, parola usata
da catullo) rivolto a questo ragazzo e non ho trovato che cosa si potesse riporre nel testo in maniera
più adatta mentre scorrevo quel poeta a questo scopo (renano si è messo a scorrere il liber catullis
per cercare uno spunto per correggere quel testo, ha fatto come avrebbe fatto poliziano che per
correggere un passo di seneca aveva chiamato a confronto brani di altre opere. Qui, questa scelta di
renano, era giustificata dal fatto che plinio allude in maniera diretta a catullo, da un pinto di vista
metodologico è eccezionale).
Tuttavia a mio parere nessuno dovrà cambiare la lectio trasmesso che per dirla sinceramente mi
piace molto. Infatti vedo che è stato facile sbagliare cosi che invece di SUIS si scrivesse TUIS Anzi
quelle due parole come sai mi sembrano avere spinto un qualche semidotto (sciorus) a mettere tuis
al posto di suis. Per questo le parole vernacolis e fabulis nono sono debbono essere segnate con la
penna ma debbono essere raschiate via, da eradere, prendendo il coltellino e levarne ogni traccia.
Infatti sono delle pure sciocchezze dei copisti che temerariamente cambiano le parole rare e a loro
sconosciute in parole usuali e a loro note. (Da qui nasce anche quello che sarà formulato due secoli
dopo renano dal BENGHEL filologo tedesco che si occupava di critica neotestamentaria e parlava
di lection difficìlior, che presuppone che un copista che non capisce IL TESTO è più logico che
metta un termine più come, facilis al posto di una parola rara che non l’inverso. Quindi qui
scopiamo la radice del principio della LECTIOR FACILIOR).
O copisti saputelli e ignoranti che siete la causa della rovina dei buoni autori. Volesse il cielo che
oggi non si potesse dire la stessa cosa di alcuni tipografi (la stampa non elimina errori di
trasmissione testuale e chi si illudeva che passare dal manoscritto alla stampa eliminasse la
possibilità di errore si sbagliava).
4): “tu rappresenti tutto questo per lo stato ma tu per me SEI RIMASTO quello che eri durante il
nostro sodalizio militare nulla ha mutato in te la grandezza della tua fortuna non che ora ha la
possibilità di fare tutto il bene che vuoi(plinio e vespasiano ERANO COMMILITONI), In questo
modo si legge nei codici diffusi. Ma il codice murbacense cosi ha OMNIAQUE HEC REI PREEST
ET NOBIS QUIDEM QLAIS IN CASTENSI CONTUBERNIO. Tuttavia anche se vi sono errori
tenteremo di restituire questo passo (riportarlo all’originale) che è ancora compreso da pochi o
piuttosto da nessuno per quanto noi ne sappiamo (non ha trovato commenti soddisfacenti a questo
passo).
Cosa vuol dire codici diffusi? Sono edizioni a stampa perché i codici manoscritti non circolavano in
numeri di copie elevati. La parola codex di per se è ambivalente e non si aggiunge manus scriptus o
excudus non è chiaro. Quindi codices vulgati siano edizioni a stampa. A questi codici vulgati
contrappone il volume della biblioteca di murback, dove scopri il manoscritto dell’opera storia di
patercolo, storico romano di età tiberiana che renano diede allo stampe anche se il manoscritto era
ancora in parte mutilo.
In primo luogo non hanno capito quelli che concludono qui il discorso precedente, cioè mettono un
segno di interpunzione forte dopo hec reipublice e subito dopo iniziano un altro periodo con et
nobis quidem non considerando che il discorso precedente si chiude senza avere un senso, e infatti
non viene spiegato che cosa abbia fatto quello di ancora più nobile (nobilius cosa?). e la frase che
segue è pressoché estranea, non è coerente con quello che precede. E qui chiamo in causa il giudizio
dei dotti: infatti il semidotto penserà che sia sufficiente il fatto che non trova nulla che converga
apertamente con le regole grammaticali. Tuttavia se qualcuno valuta attentamente vedrà un difetto
grave perché non viene spesso cosa abbia fatto di piu nobile. Infatti questo periodo da et quod fino a
et rei publice è chiaramente ancora sospeso.
Deve essere aggiunto che cosa sia quello che ha fatto di piu nobile perché questo torna a onore del
padre. Dunque dopo una diligente e lunga valutazione delle tracce (della scrittura dell’antico
codice) per altro corrottissimo (renano fa capire che non basta che un manoscritto sia antico se si
trova in queste condizioni) penso che plinio abbia scritto cosi e questo è il motivo per cui io ritengo
che si debba leggere cosi.
Colui che trascrisse il codice di plinio del quale mi sono servito per la collazione per quanto ho
potuto fino a questo momento scoprire ha sempre questo uso, per cui invece dell’abbreviazione rei
publica (abbreviato )lui scrive RE PRE (o per la sua stoltezza) oppure perché ha seguito un altro
ignorante.
Pertanto essendo scritto OMIAQUE HEC REIPRE PREBES ha tolto PRE come se fosse di troppo
ed è rimasto rei prebes e poiché veniva dopo di questo te con le lettere un pochino diverse, in questo
modo qualcuno aggiunse a prebes una t cosi che divenne prebest e poiché un altro vide che non è
latino scrivere prebest scrisse preeest come anche il nostro antico esemplare. Poi poiché quella E da
sola non mi piaceva ho aggiunto la t cosi che si leggesse E A NOI .Fatte queste corruttele la parola
qualem che rimaneva urtava il copista che poiché non era coerente con la scrittura sintattica ne con
il significato.
In un primo momento fu cambiato IN QUALE IN CASTENSI CONTUBERNIO ma siccome non
era soddisfacente perché niente si accordava con quale di genere neutro fu cambiato in QUALI
perché potesse essere coordinato con gli altri ablativi. Vedi qui o mio lettore una feconda stirpe di
errori, come si propagano gli errori. Infatti cosi come sappiamo che la peste si diffonde per contatto
cosi anche nei codici un solo errore accolto ne genera molti. Poi spiega anche cosa gli fosse venuto
in mente prima di formulare questa congettura.
Interessante il ragionamento di renano, veniamo come nascono le sue congetture, mantenendo la
promessa nelle sue lettere, non vuole quindi solo fare la congettura ma anche ipotizzare la genesi
dell’errore. Fondamentale il ragionamento che fa renano.
5)
“Perciò mentre tutti quei titoli spingono gli altri a venerarti io, forte solo del mio ardire, oso trattati
con il rispetto che sa di familiarità. Questa audacia dovrei dunque imputarla a te e perdonando la
mia colpa per venerare te stesso Ho cancellato ogni rossore dal mio volto ma non ho risolto nulla
perché con la tua grandezza poiché per altra via tu vieni incontro grande e spingi più lontano con il
fascio dell’ingegno”. (Il contesto è Plinio che chiede scusa al princeps in un modo amichevole,
perché erano stati compagni di armi, ma sei tu stesso che con il tuo modo affabile umano non mi
incoraggi a essere cosi. Fasci del tuo ingegno= i littori, i fasci che precedevano il console. Tu mi
vieni incontro non tanto con la schiera dei littori, ma è il tuo spesso ingegno che mi ispira rispetto.
Io ti cedo il passo per la stima che ho della tua persona. Non è il fatto che sei princeps ma proprio la
tua persona mi ispira un atteggiamento di rispetto ed umiltà nei tuoi confronti).
Il manoscritto ha ingentis fascibus (NON HA SENSO NON CONCORDA doveva essere
ingentibus) cosi che forse qualcuno dovrebbe sospettare che si legga INGENITIS FASCIBUS per
renderlo ablativo. Plinio dice che gli resta una audacia che gli è stata procurata dall’amicizia cosi
che non rimane stupito per gli straordinari onori di tipo (tito era già acclamato princeps perché
associato all’autorità paterna) ma non rimane stupefatto ma è di animo sufficientemente saldo.
Ma ogni qual volta che considera le virtù dell’animo di cui quello è fornito (tito fu chiamato
primizia del genere umano, mozart musicò un’opera la clemenza di tito) e quando considera le sue
qualità umane ammette che gli viene ispirato dentro di nuovo invece della sicurezza un certo timore
con la quale si sente quasi distolto da dedicargli l’opera. intende dunque l’espressione
“INGENITOS FASCES COME LE QUALITA’ INSISTE PER NATURA (se uno volesse
correggere ingenitis fascibus potrbbe essere spiegato in questo modo: quando hai qualità naturali
dalla nascita io mi sento quasi inferiore a te). Se poi a qualcuno questa metafora sembra forzata,
stiracchiata sappia che se ne trovano simili presso le opere di plinio e altri scrittori dell’età di plinio.
A me tuttavia piace che legga INGENIIS FASCIBUS poiché vedo che si sarebbe potuto facilmente
DIVENIRE da ingenii o ingeni (CON UNA O DUE I) poteva facilmente venire INGENITIS con
una sola sillaba e dopo cancellata la lettera i INGENTIS.
Osservazione: renano si accorge che all’inzio del XIV secolo il copista anonimo è incorso in un
errore del genere e quindi l’unica correzione possibile è ingeniis. Quindi renano si basa una prova
paleografica: questo errore si ripete anche in un altro passo dell’opera. tutto i lrago.
6)
L’interesse sulla nota è che riguarda un passo in cui plinio sembra citare un’opera di cicerone, il de
repubblica. Si tratta di una testimonianza importante. Il de republica è un’opera che per molti secoli
è rimasta sconosciuta e riscoperta con numerose lacune nei primi decenni dell’800 dal cardinale
angelo mai, prefetto della biblioteca vaticana, il quale scopri la presenza di un testo ciceroniano in
un codice palinsesto, che aveva riportato sopra il testo di cicerone cancellato un testo dei salmi. La
prima scrittura, pur cancellata, ha lasciato dei segni nella pergamena. Mai diede alle stampe questo
testo e fu una scoperta clamorosa, scoperte non del tutto esaurite con l’umanesimo. I cardinale
scoprì invece un’opera lungamente cercata della quale si conosceva solo una parte, una sezione
autonoma estrapolata. Il cosiddetto somnium scipionis. Il de repubblica, in età tardo antica, pieno V
secolo, fu oggetto del commento di macrobio. Il medioevo ha quindi conosciuto essenzialmente
solo il sominium scipionis, si può credere che il resto dell’opera non sia stato trasmesso per una
perdita di interesse nei confronti di cicerone, la teoria politica di cicerone in un medioevo in cui le
forme politiche della roma repubblicana erano inattuali, lontane agli eruditi dell’alto medioevo. Già
il fatto che nell’età di macrobio ci si fisse concentrati sul somnium scipionis lo fa comprendere.
Nella prefazione del re repubblica sembra che cicerone manifestasse il suo debito verso platone,
anche se poi quella di cicerone è una impostazione eclettica con un occhio alla tradizione romana.
Anche un uomo greco, lo storico polibio, guardava con interesse la struttura romana nella quale
vedeva la contemperazione tra elementi propriamente monarchici ed elementi della costituzione
democratica. Probabilmente il sominum sicpionis appariva una sintesi di vari temi connessi a vari
branche delle arti liberali, è un testo filosofico con la riflessione sulla immortalità dell’anima in cui
vengono riprese e tradotte frasi del fedro platonico, dell’anima sempre in movimento. Quindi per la
spiiritualità e la cultura medievale questa di quuesto genere veniva sentita più fruibile da aprte della
tradizione ormai cristiana. inoltre si noti che il sominium fu anche uno dei non moltissimi testi che
furono tradotti dal latino al greco (mentre nella maggior parte dei casi avveniva il contrario). Fu nel
XIV secolo massimo planude, monaco, che conobbe il testo latino di scipione cosi come
consolazione di boezio, sempre da lui tradotto in greco, durante una missione diplomatica a venezia
(venezia in questi secoli per i rapporti commerciali era la porta di collegamento con l’oriente).
“non voglio che queste cose le legga il dottissimo perso, voglio che le legga lelio decimo. Così
riporta tipi excusa (l’esemplare a stampa) invece il vecchio manoscritto riporta in questo modo:
NEC DOCTISSIMIS MANIUM PERSIUM HEC LEGERE NOLO, IUNIUM CONGUM VOLO
(corruttela testuale, non voglio che magno persio legga queste cose per i più dotti, doctissimis è
dativo, è difficile da interpretare) sembrano essere parole di cicerone che fa la prefazione (prefantis)
ai suoi libri sulla repubblica. E dunque (distinguo) io interpungo così: (cicerone avrebbe scritto) non
scrivo queste cose per i più dotti, non voglio che queste cose le legga magno persio ma giunio
congio. Infatti può accadere che presso cicerone in quel passo (renano legge questa citazione in
plinio, ma renano prova a immaginare cosa ci fosse prima nel testo de de repubblica che non ha a
disposizione, si basa su congettura, siccome c’è un nec, si presuppone che ci sia un elemento prima,
RENANO CERCA DI INTERPRETARE QUEUSTA CITIAZIONE DIFFICILE DA
INTERPRETARE)
Queste cose le prepariamo né per chi è del tutto ignorante ma neppure per i più dotti (le scrivo per il
lettore di media cultura, quindi non è un trattato da specialisti, ma un carattere di alta divulgazione
del suo testo. Cicerone non si presenta mai come un pensatore originale, ma un dilettante di
filosofia che rinosce l’importanza di questa disciplina anche per l’oratore (come scrive nel de
oratore). Quando sallusitio descrive catilina dice “abbastanza sciolto nel parlare ma gli manca una
base filosofica” base che secondo cicerone l’oratore doveva avere).
Ma spero che questo passo anche se non ha niente di oscuro dopo il nostro restauro, una buona volta
tuttavia divenga più chiaro, una volta che sia dato alla luce (il su oasuspicio) quella nobilissima
opera di renano sulla repubblica.
VALUTAZIONE STORICA CHE HA FATTO DISCUTERE: di questa possibilità (di scoprire e
pubblicare il de repubblica) tu mi hai fatto nascere la speranza, o nobile lask, che tu ritieni di aver
visto questi libri in polonia. Questa nota di renano venne citata e sottoposta alla discussione da
giacomo leopardi che nella sua intensa attività di erudito che coltivava sin dalla tenera età, cita
questa notizia di renano (che conosce, aveva letto le sue castigaziones) in alcune note scritte in
latino al testo recentemente pubblicato dal mai nel de repubblica (al mai leopardi dedica una
canzone). Il mai, dei cinque volumi pubblicati inediti, fa anche lui delle note al testo di cicerone e
riporta questa notizia su renano che aveva lui stesso trovata nelle note di leopardi che pubblica
insieme ad altri testi con note di commento proprie. Ma il mai si dimostra scettico, mai non mette in
dubbio la fede di lask ma il buon giovane barone 26 enne che completava i suoi studi a padova, che
si sia sbagliato. Sembra strano, in effetti, che se uno ritiene di aver visto un testo in un manoscritto
della sua biblioteca regia, non sentisse l’esigenza di interpellare i dotti ma lasciar morire lì la cosa e
far confidenza verbale a renano. Notizia che prima di leopardi non suscitò eco tra gli umanisti,
semplicemente gli umanisti si erano rassegnati alla scomparsa del de republica. C’è poi tutta la
tradizione indiretta di frammenti del re repubblica che si recupera con le citazioni dei grammatici,
degli eruditi (anche plinio è un testimone indiretto).
I frammenti conosciuti e recuperati dell’opera, come faccio ad essere sicuro che il contesto in cui lo
colloco è quello originario? Problemi che si pongono non solo per il de repbblica (anche se qui è
macroscopico) ma anche il de ira di seneca, quasi dei tutto integro, ha una lacuna che l’editore delle
opere filosofiche si seneca rinols ma ritenuto di poter sanare con un frammento trasmesso con
citazione da un’opera di martino di braga, scrittore portoghese del VI secolo, hai inserito un suo
trattato nel testo del de ira come possibile integrazione.
Del resto per quanto riguarda i nomi di magno perso e giunio congio invece di lelio decimo prima di
noi ci ha istruito il grande ermolao barbaro, grande onore delle lettere, all’inizio delle sue seconde
castigazioni (correzioni) ma delle parole precedenti “hec doctissimus..” nessuno è mai intervenuto.
ORA RENANO SI SFORZA DI CAPIRE LA GENESI DELLA CORRUTTELA.
La causa della corruttela fu che qualcuno cambiò MANIUM IN OMNIUM (ci sarebbe stato un
errore causato dalla presenza delle medesime lettere UNA METATASI) per cui sarebbe stato
necessario cambiare in doctissimos perché non era coerente per il numero plurale e non
doctissimum, ci voleva un singolare, perché poi segue un genitivo.
7)
“Mentre presso quel famoso catone che era nemico dei brogli (ambitus tentativo di procacciarsi i
voti) e che godeva delle sconfitte elettrorali (repulsis) come se fossero onori (ineptis) inutili” (il
contesto tende ad elogiare ila mitica virtù di catone che a differenza di altri uomini politici romani
non praticava il voto di scambio, non prometteva favori in cambio del sostegno. Ma l’espressione
non è chiara. Renano è il primo a notare l’incongruità di ineptis).
Non c’è stato ancora nessuno che non abbia visto che qui si legge sensa senso (inepte) la parola
ineptis (fa un gioco di parole). Il barbaro nelle sue seconde correzioni scrive che alcuni erano del
parere che si dovesse leggere invece di INEPTIS, INDEPTIS, a significare godeva delle cariche
aveva conseguito. Questo parere non è assurdo (come se catone godesse delle sconfitte elettorali
come se avesse conseguito una vittoria, come se fossero anche queste degli onori).
Alcuni leggono INEMPTIS, che non mi piace per niente, perché non è coerente con il pensiero di
plinio (significa non comprati, non emptis, onori con comprati). Però il vecchio manoscritto riporta
INEPTIS. Cosa fare?
C’E BISOGNO DI OPERARE PER CONGETTURA DAL MOMENTO CHE NON CI VIENE UN
AIUTO DA NESSUN’ALTRA PARTE. Nelle note precedenti alla correzione congetturali, renano
partiva sempre dalle tracce del manoscritto.
Pertanto mentre esaminavo ripetutamente (etiam atque etiam) e ricambiavo le lettere di queste
parole, finalmente con l’aiuto di apollo (qui la congettura è presentata come una sorte di luce.
Illuminazione che si accende nella mente come se fosse stato ispirato da apollo) mi venne in mente
ciò che io non dubito che sia vero, cioò che sia stato scritto MERITIS e che credo che il copista non
dotto invece della lettera m abbia letto I E N (sembra che la m sia stata scomposta) cosi che
risutlava INERITIS, PAROLA CHE NON HA SENSO, e poiché quell’espressione non gli piaceva
perché era molto estranea (alienius) credo che abbia scritto INEPTIS e oserei affermare che qui si
debba leggere meritis e che così plinio abbia scritto. Che cosa si potrebbe escogitare di più adatto
attraverso le muse? Dunque ristabilisco i ltesto cosi:
non sto nemmeno a riferire che questo epiteto (meritis, epiteto di honores) presso gli autori si trova
dappertutto (e ne cita uno di virgilio, è una locuzione comune, quindi renano confrontando anche
altri autori, è una locuzione che ai latini era sicuramente familiare).
9) interessante su una riflessione di come le glosse laterali finiscano per essere recepite nel testo
perché il copista le ritiene delle lacune che integrano il testo
Renano cerca di capire come
mai da ceu vero nesciam mentre
il vecchio manoscritto. L’antico
codice ha CEU BERONIS
ETIAM ADVERSUS. cosi che
non si può leggere in maniera
diversa di come quel sacerdote
incomparabile delle buone
lettere ha corretto,
evidentemente come se io non
sapessi. Infatti nei libri antichi è
possibile trovare (reperire est)
piuttosto frequentemente la B
piuttosto che la V (come poteva
accadere in area spagnola, dove
si ha un suono intermedio tra la
b e la v, renano che di lingua
madre è tedesco, di dialetto
alsaziano immagina che questo
errore sia nato da un copista di
lingua madre tedesco. Perché
beronis in tedesco bear è un
nome di persona e quindi ha
considerato quasi che fosse una
specie di declinazione alla latina
di un nome tedesco. In tutti i
testi latini medievali i nomi
germanici sono latinizzati.
QUINDI UN COPISTA POTEVA SBAGLIARE PERCHE’ ERA INFLUENZATO DALLA
LINGUA MADRE.
Poi il copista inggnorante ha cambiato la prima sillaba di questa parola da nesciam in nis cosi che
risultasse BERONIS al genitivo, poiché è nome proprio barbarico (con barbaro si intendeva tutto
ciò che fosse estraneo alla latinità). In latino questa parola significa orso, è simile il vocabolo a
bernone (bernone di richenau è un grande esegeta della bibbia dell’abbazia di rechenau vicino al
lago di costanza). Mancavano da corrompere le due ultime sillabe della parola nesciam,
evidentemente sciam. Da queste aggiunta una e, ciam fece eziam (questo è paleograficamente
attendibile perché nella trascrizione latina medievale spesso la t e la c sono intercambiabili). LA
RICOSTRUZIONE DI RENANO HA FONDAMENTI PALEOGRAFICI INDISCUSSI.
Guarda la temerarietà dei copisti. Non notato queste cose perché la lezione di ermolao s ritrovava
anche in alcune edizioni. No avrei notato questo se non ci fissero stati alcuni che pensavano che
doveva leggersi CERNIMUS. Non voglio dire che cerminus sia una parola poco latina (dal verbo
latino cernere) ma sono d’accordo perché plinio non ha scritto cosi, per quanto ci è dato da
congetturare dalle tracce dell’antico testo che si legge nel manoscritto (non si può congetturare in
maniera che non abbia nulla a che fare, sia pure corrotto, che leggiamo nei manoscritti, la
congettura deve cercare di giustificare se stessa ricostruendo il rapporto genetico dell’errore.
Altrimenti saremmo liberi di congetturare qualsiasi altra parola che non si opponga in maniera
plateale al resto del testo).
Del resto se è lecito rimpiazzare il testo con quel che si vuole purchè il discorso non si opponga
apertamente, perché qui dovremmo leggere cerminus piuttosto che accepimus oppure consta o
scimus o qualunque altra cosa. QUESTO ‘ EVITABILE NEL CASO CI SIA UNA LACUNA DEL
TESTO IN CUI CERCHIAMO DI SOPPERIRE. NEL CARME 51 DI CATULLO IN CUI
MANCA IL VERSO FINALE, IN UNA UNA STROFA MANCA DEL VERSO ADONIO
FINALE, ma le possibilità di inventare un adonio coerente con il contesto sono tante.
Inoltre queste parole ceu beronie etiam alcune hanno cercato di cambiarle in gaio tuberone, come se
questa storia a proposito di teofrasto (in quel contesto plinio sta parlando di teosfrasto) plinio la
avesse ricavata da tuberone, anche se nel libro II della storia naturale cita non gaio ma quinto
tiberone. Ma non è ristabilire il testo lo scrivere quello che ti è venuto in mente se non le stesse
tracce del passo corrotto ti convincano a leggere così o così (bisogna basarsi su una verosimiglianza
attenta, bisogna). Da queste tracce, sia pur errato, per quanto può essere possibile non ci si deve
allontanare.
Infatti negli errori dei vecchi manoscritti la lezione autentica è sepolta in maniera non diversa di
come sono nascosti nella spazzatura delle officine, degli orafi o argentari, i metalli più nobili.
(anche la lezione genuina è sepolta sotto le corruttele). E gli artigiani non permettono che quella
spazzatura sia buttava via da quelli che spazzano ma le conservano con cura fino a che lavando
attraverso l’esperto d iquella arte vengano distinti gli elementi (come fanno i ricercatori). Se questo
fanno gli orafi con i metalli che certamente sono pochi preziosi se paragonati alla testimonianza
degli autori anche se ritenuti preziosi (oroglio dell’umanista, il vero tesro oè il patrimonio culturale,
quindi se si conserva con cura lo scarto della lavorazione della cultura) perché noi dovremmo
soportare che gli antichi codici, per il fatto che sono corrotti e pur tuttavia contengono molti errori
mescolati alla lezione genuita, perché dovremmo permettere che siano calpestati e buttati via?
Se nient’altro può stimolare gli occhi, considerino per lo meno quanti passi in questa prefazione che
prima sembrava a tutti correttissima io ho restituito aiutato da un manoscritto sicuramente vecchio
ma tuttavia pieno di errori (qui l’antichità non è accompagnata alla qualità, renano ne è
consapevole) passi a proposito dei quali neppure a me sarebbe venuto in mente di correggerli se non
fossi stato istruito da un antico codice seppur corrotto al massimo grado. In questa attività senza i
manoscritti non si può fare niente. Infatti le congetture che non sono ricavate dai resti della antica
scrittura, spesso ingannano. Lo renderemo chiaro con un esempio (cita umanisti contemporanei che
si erano cimentati nell’opera di plinio):
-cristoforo longorio, giovane filologo belga naturalizzato francese vissuto e morto in italia. Giovane
coltissimo e nato per l’eloquenza, per la quale si esercitava in maniera elegantissima tentò di
correggere non pochi passi in plinio ma per quanto io ho potuto constatare in alcuni passi in cui mi
sono imbattuto quando sfogliavo l’edizione di parigi l’ho fatto per lo più per sue proprie congetture
oppure in ragione dello stile oppure perché in un’altra fonte l’ho letto diversamente (in un’altra
edizione). In questo modo il procedere è ingannevole.
Ora contrappone al metodo di Longorio (che correggeva spesso in base allo stile) quello di ghillon
gudè. Mi piace di più il metodo di gudè, uomo celebratissimo che onora il nostro secolo e che è
destinato giovare anche i posteri con gli scritti. Infatti mai trascura di rivolgersi a consultare i
manoscritti antichi.
ULTIMA NOTA PLINIANA p.36
MULTOS FORE QUI VITILITIGENT Cosi legge ermolao su suggerimento di fabrizio da
camerino come lui stesso testimonia. Alcuni credono che il testo sia QUI ITA REPROBENT, UT
ELEGANT come se fosse un ossimoro, come sullo stesso passo ci informa ermolao. Ma
l’esemplare manoscritto contiene soltanto qui ut elegant. Appare quindi facilmente chiaro che
queste due parole ITA REPROVENT sono state aggiunte da un qualche dotto che ha voluto in
questo modo integrare e rendere più chiara il concetto di plinio che era incompleto. Così si
insinuano negli scritti degli antichi gli errori. Un dotto nota nel margine del suo libro una congettura
che forse gli è venuta in mente, non perché la ritenga sicuramente vera ma perché cosi sembra che
si possa leggere. Poi succede che un qualche studioso si impadronisce come se fosse un oracolo del
suo precettore o di colui che in un’altra circostanza ha frequentato, dopo che ha guardato il libro fa
propria quella congettura (fa sua la congettura che il dotto aveva fatto con poco impegno) e
agitando con orgoglio questa congettura ed esultando dice “così legge berolado, cosi marco antonio
sabellico e senza dubbio non si deve leggere in un altro modo”. (l’allievo è fedele al principio di
autorità, se l’ha congetturato beroaldo bisogna leggere così, SI RIMANE FEDELI AL PRINCIPIO
DI AUTORITA’).
Questo modo di procedere ci ha corroto plinio non meno dei copisti (in una nota letta renano diceva
che lo scriba semidotto è molto pericoloso, questo pensa di sapere qualcosa e apporta delle
correzioni errate). Infatti abbiamo interpolati al massimo grado i manoscritti di plinio, i quali non
sono quindi attendibili.
Così VELLICENT FU CORROTTO IN UT ELIGANT come io congetturo. Questa parola era
scritta con la prima lettera un pochino più separata dalle altre (V ELLICET) Ma poiché dagli antichi
era solito essere posta la G invece la C da ELLICENT E’ RISULTATO ELLIGENT. La V rimasta
sola non significava nulla e quindi pensò di aggiungervi la T per farla diventare UT. Fatto questo fu
necessario mutare èlligent in elegant perché questo lo richiedeva la particella UT CHE DEVE
ESSERE SEGUITA DAL CONGIUNTIVO. QUINDI INIZIO’ A SCRIVERSI UT ELEGANT.
Forse ti chiederai perché non mi è piaciuto il termine vitilitigent. In primo luogo questa parola non è
cosi insolita soprattutto per quanto riguardo la seconda parte, cosi che dovesse turbare il copista che
avrebbe scritto litigent trascurando la prima parte del composto. Questo è l’argomento principale.
Orazio si riferisce ad una citazione di catone che avrebbe usato il termine “vitiligator” ma non mi
risulta che catone abbia usato il verbo vitilitigare e non l’ho trovato nemmeno presso autori
autorevoli. Lo hanno usato autori piu recenti forse spinti da questo passo di plinio che però è
corrotto. Vellicare è una parola di uso più antico ed è migliore da usare.
FATICA FILOLOGICA DEL RENANO DEDICATA AL TESTO DI TACITO. L’autore viene
riscoperto nel 400 con fortunate scoperte degli umanisti sia opere minori (la vita di giulio agricola,
la germania, il dialogus de oratoribus su cui si è accesa la discussione circa l’autenticità) mentre in
altri manoscritti scoperti sempre in germania nell’abazia di corvy fu scoperto il testo mutilo degli
ANNALES (1-6 e 11-16 libri) E DELLE HISTORIE(si arrestano al v libro icompleto) ed è
interessante vedere la lingua discussione sul titolo stesso dell’opera degli annales perché il
manoscritto da me consultato era anepigraphone, senza titolo. Stando alla testimoniaza di girolamo
nel de viris illustribus tacito avrbebe scritto 30 libri, di cui forse 18 degli annali e 12 delle historie.
Nell’umanesimo tedesco sicuramente un’opera che iniziò ad esercitare interesse fu la GERMANI,
testo singolare e vicino al genere DESCRITTIVO-ETNOGRAFICO che toccava anche un
argomento di attualità, il confronto dei romani con la germania descrivendo anche la disfatta di
teutoburgo. Umanisti di winfeling, concittano di renano trovavano nella germania di tacito una
esaltazione della rettitudine morale e del valore bellico dei germani, questo lo diceva nella sua
“epithome rerum germanicarum”. Anche renano aveva dedicato un’opera storica alla sua nazione.
Nella lettera dedicatoria (che spesso è un piccolo trattato e grande miniera di informazioni) è
indirizzata al principe e vescovo di trento, bernardo, AL CARDINALE DELLA SANTA
ROMANA CHIESA (trento per secoli era stato un principato vescovile, e proprio a trento fu
convocato il famoso concilio, trento sembra un luogo geograficamente equidistante da roma e dalla
patria della riforma).
Nella lettera si esalta il valore delle lettere che renano considera uno dei doni più grandi della vita,
le lettere che CONSERVANO IL DONO DELLA SAPIENZA. LA SAPIENZA E’ STATA
DONATA DA DIO, MA SE LA SAPIENZA NON VIENE CONSERVATA NELLE LETTERE
ESSA E’ DESTINATA A MORIRE. E’ molto simile all’incipit del policraticus (8 libri) di giovanni
di salsbury. L’opera, frutto di moltissime letture, la goduto per molto tempo di buona fama anche
come trattato politico: tocca il rapporto di potestà politica e religiosa, riflette sulla liceità del
tirannicidio.
Non sembra un caso perché spesso il solsbury viene spesso considerato un pre-umanista.
Nella prefazione dice renano che ha voluto offrire al cardinale non un dono materiale ma un piccolo
opuscolo. Infatti essendo io venuto a sapere che gli annali di cornelio tacito sarebbero stati stampati
di nuovo in primo luogo mi piacque verificare se valesse la pena di confrontare/collazionare
l’edizione già stampata con un codice manoscritto di cui ero entrato in possesso proveniente dalla
citta di buda il cui autore il cui autore era il re di ungheria mattia corvino e ne sono entrato in
possesso grazie al mio amico e concittadino scfighel.
Il risultato della collazione tra il manoscritto di buda e dell’edizione a stampa lo ha convito ad
insistere perché in questo modo molti passi venivano corretti. Poiché infiniti passi vergognosamente
corrotti venivano restituiti con questo lavoro non mi ritirai dalla fatica iniziale e i risultati ottenuti lo
presenterà in correzioni premesse ai singoli libri (interessante, indica ci fossero problemi di
organizzazione/composizione della pagina non si mettevano note a margine e quindi renano
premette ad ogni singolo libro del testo di tacito le sue correzioni. Anche nell’edizione di tertulliano
nella seconda renano dice “ho fatto delle note troppo lunghe perché possano stare nei margini”
Renano non aveva la composizione elettronica della pagina).
Nei cinque volumi ritrovati tra i sassoni e stampati a roma, e ugualmente nell’opuscolo sulla
germania, nella vita di agricola, mancano a renano manoscritti con cui potesse fare la collazione ma
tuttavia io ho esaminato in maniera accurata l’edizione a stampa e ho discusso con maggiore cura
alcuni passi: SI CONFERMA CHE ALCUNI MANOSCRITTI ERANO STATI TROVATI IN
NOVA CORVEIA. NEL MEDIOEVO CORVY (CORBEIA) NELLA REGIONE DELLA
PICARDIA DOVE IN ETA’ CAROLINGIA ERA UNA FAMOSA ABBAZIA, CORVY CHE
CONSERVAVA OPERE DI TERTULLIANO NEL CORPUS CORBEIENSE I CUI
MANOSCRITTI SONO ANDATI PERDUTI MA DI CUI ABBIAMO NOTIZIA CON IL
CATALOGO PERVENUTO DELLA BIBLIOTECA. Nel IX secolo ci fu una migraizone di
monaci che fondarono una nuova abazia in germania dal nome nova corbeia.
QUINDI: Renano non ha potuto fare la collazione dei cinque libri degli annali e del tacito minore
ma l’ha fatto ma l’ha fatta per le historie. Dove mi mancavano gli altri manoscritti ho cercato di fare
quello che potevo ragionando sulle correzioni precedenti di beroaldo.
ELOGIO TACITO: Io per vari motivi ho sempre giudicato tacito come il più degno di essere
sempre tenuto in mano tra gli scrittori di cose romane perché non si è limitato a mettere insieme la
storia continua delle guerre come fanno livio ed altri ma di volta in volta inserisce cose importanti
degne di conoscere. Per questo è importante, anche perché questi fatti in altre opere non vengono
mai trasmesse. Fu inevitabile sotto il regno dei cesari mentre tutte le cose obbediscono al comando,
per non dire all’arbitrio di uno solo, che capitassero gli esili e le punizioni di molti più di quanto si
conservasse intatta la maestà del popolo romano per il senato: RENANO E’ SENSIBILE ALLA
LEZIONE STORIOGRAFICA DI TACITO. TACITO E’ ESPONENTE DELLA CLASSE
SENATORIA MAGGIORMENTE ESAUTORATA DALL’AUTORITA’ DI AUGUSTO.
TACITO ERA RASSEGNATO, RITENEVA CHE IL NUOVO ASSETTO ISTITUZIONALE
FOSSE IRREVERSIBILE E LO FA DIRE AL VECCHIO GALBA, MENTRE DAVANTI AI
PRETORIANI FA IL DISCORSO CON CUI ASSOCIA AL POTERE IL GIOVANE PISONE: “se
l’impero potesse stare in piedi senza uno che la governa io sarei stato degno di iniziare di nuovo la
res publica” ma siamo al punto per cui tu dovrai comandare a uomini che non possono tollerare né
libertà né schiavitù”. (non è un caso che tacito viene letto nel 500, a proposito dell’atteggiamento da
tenere nei confronti del tiranno).
Per cui è accaduto che a giudizio degli uomini più eminenti della letteratura tacito non sia da porre
dopo livio (non è inferiore) ma piuttosto da anteporre, non perché lo stile di tacito che sa di pensieri,
di meditazione e partecipazione che piacque sotto vespasiano piacque e nel tempo sfociò in una
sorta di retorica forzata, mentre si andava perdendo la purezza della lingua latina, non perché debba
essere uguagliato o preferito allo stile liviano che scorre con naturalezza e gradevolezza MA
PERCHE’ LA NARRAZIONE DEI SINGOLI AVVENIMENTI (come questo abbia affrontato una
morte, che cosa un altro abbia detto o fatto per essere condannato a giudizio o come ci si debba
comportare con gli imperatori e fidarsi con cautela) MOLTO SONO UTILI PER ISTRUIRE
L’ANIMO DI CHI LEGGE CON TESTIMONIANZE DI SAGGEZZA.
QUINDI TACITO E’ DA PREFERIRE A LIVIO NON PER LO STILE MA PER GLI EXEMPLA,
PER GLI AVVIMENTI: qui si inaugura il secolo del tacitismo.
Volesse il cielo che quello che noi abbiamo offerto di tacito altri lo facciano per cicerone, plinio,
florio, il cui testo è molto corrotto. Questo lavoro deve essere atteso da eruditi e coloro che si sono
dedicati con cura alla lettura degli autori. Ma molti sono tenuti lontani non dalla mancanza di
esperienza ma da una fatica priva di gloria e esposta anche alle critiche degli indotti. Aluni ridono,
altri insultano. E tuttavia non c’è un’altra via per venire in aiuto agli scritti degli antichi, se non
questa: che VENGANO COLLAZIONATI ATTENTAMENTE GLI ESEMPLARI
MANOSCRITTI E POI SI RICORRA ALLA VALUTAZIONE.
Renano aggiunge una raccolta, TESAURUS LOCUTIONUM delle espressioni sintattiche di cui
tacito si serve frequentemente. In questa raccolta ci sono sia cose comune sia altre che debbono
essere conosciute dai giovani studiosi: RENANO COMPRENDE L’IMPORTANZA DELL’USUS
SCRIBENDI E QUINDI FA L’INDICE DELLE COSTRUZIONI SINTATTICHE E PAROLE
CARE A TACITO, CRITERIO FONDAMENTALE, stessa cosa che fa a proposito di tertulliano.
Sono elementi importanti anche per comprendere questioni filologiche cui spesso si deve rinviare
ad elementi extratestuali.
“tacito solennium” tacito ricorre generalmente: PROMPTUS SERVIZIO: INCLINE AD ESSERE
SCHIAVO INVECE AD SERVITIUM.
VITA CONCEDERE: ritirarsi dalla vita OPPURE CONCEDERE LO USA IN SENSO
ASSOLUTO (nel senso di morire) mentre generalmente è molto più comune decedere.
2) LIBER GENERATIONIS: la prima titolazione che si trova nel testo greco) questo
nominativo è posto in modo assoluto (cosi come esiste un ablativo assoluto questo è un
nominativo assoluto messo come titolo. Infatti matteo e marco hanno iniziato il racconto
evangelico secondo lo stile dei profeti, se è vero che essi sono soliti iniziare dal titolo:
visione di esaia, figlio di amos e parole di Geremia figlio di eleia. Cosi inizia anche marco
inizio del vangelo secondo cristo.
Ora cita anche omero e luciano di samòsata. Anche se è vero che erodo ha iniziato la sua storia in
modo simile e luciano nello stesso modo ha iniziato il suo opuscolo sull’astrologia, cosichè è chiaro
che iniziare in questo modo era un abitudine dei pagani (gentis utilizzato in senso biblico). Anche se
bisogna dire che questo titolo non riguarda tutto il libro della generazione, non comprende il
riassunto della storia evangelica ma l’inizio e l’origine.
FIGLIO DI DAVIDE FIGLIO DI ABRAMO Il discorso greco (la lingua) ha un qualcosa di
ambiguo infatti il significato può essere: figlio di davide, il quale dasvide era figlio di adamo e può
essere interpretato il modo tale che cristo sia figlio dell’uno e dell’altro. Dunque chiama figlio in
realtò il nipote come gli ebrei chiamato fratelli non solo quelli nati dagli stessi genitori ma anche
quelli che sono stati originati dalla medesima stirpe (elemento che su altri passi ha un valore
teologico: “ecco tua madre e i tuoi fratelli”. Nel IV secolo elvinio sulla base di questo negò la
perpetua virginitas di maria e girolamo che aveva scritto adversus elvidium ribatteva nell’uso della
lingua ebraica che fratelloi ha una accezione generica). Già che ci siamo bisogna osservare che
matteo ha adattato l’esame della genealogia a coloro per i quali ha scritto questo vangelo (si pone il
problema del destinatario del vangelo). Infatti scrisse per gli ebrei convertiti al cristianesimo e
scrisse in lingua ebraica (girolamo dice che esiste un vangelo di matteo in ebraico) ai cui sentimenti
sapeva che sarebbe stato gradito che cristo era figlio di abrano e davide, il ricordo dei quali presso
di loro era sacrosanto. Luca al contrario poiché aveva scritto il vangelo per i pagani (genti) ci
presenta la successione della genealogia da abramo fino a dio perché capissero che la grazia di
cristo riguardasse non solo i giudei ma tutto il genere umano. Anche crisostmo ha indicato questo
(prima autorità patristica che erasmo cita). Dunque nomina per primo davide (non seguen l’ordine
cronologico) non solo perché la serie della generazione venisse costruita più comodamente e senza
ripetizioni, ma anche perché di davide presso gli ebrei il ricordi di davide era piu recente e diffuso
come adduce in argomento crisostomo
GENUI ISAAC: abramo genera isacco. Infatti secondo girolamo era noto che un tempo questo
vangelo era stato scritto d amatteo i ebraci ocosa che crisostmo non afferma con certezza ma riporta
“per quanto sia diffusa questa convizione, io preferirei che ci fosse piuttosto che si sapesse” (erasmo
esprime cosi la sua posizione dubitativa). Tuttavia ci sono alcuni che pensano che sia stato tradotto
in greco da giovanni. Per quanto posso ricordare mai girolmamo indica di aver visto con i propri
occhi il vangelo di matteo in ebraico, sorpattutto quando dichiara di aver corretto il testo dei vangeli
seocndo la fonte greca e anche perché ha scritto commenti solo su questo vangelo 8di matteo).
Inoltre perché in questo vangelo si vedevono non poche cose citate dall’antico testamento che
sembrano divergere con le stesse fonti (citazioni profetiche che contengono addirittura errori, anche
l’autore del vangelo di matteo quando cita un profeta può sbagliare). In questo modo almeno questa
discordanza avrebbe dovuto spingere girolamo a ricorrere all’originale di matteo (archetipum) alla
copia originale ebraica se fosse esistita (se il vangelo di matteo greco diverge ds quello ebraico dei
profetti, è spontaneo per girolamo andare a controllare il testo ebraico del vangelo di matteo) anche
perché per altri passi lo fa volentieri. Inoltre non è in nessun modo conosciuto chi dalla lingua
ebraica abbia tradotto in greco poiché quel tempo era privo di ogni ambizione (molte opere giunte
dall’antichità con falsa attribuzione. Ma chiunque sia stato il traduttore ha aggiunto diligentemente
ai nomi ebraici i loro articoli affinchè il lettore in questo modo potesse distinguere il sesso e il caso
della flessione dal momento che sono parole estranee alle lingue greche (si apre la questione sulla
declinazione dei nomi biblici. A volte i padri della chiesa li declinavano e a volte li lasciavano
indeclinabili, si sentivano autorizzati a fare quello che volevano non essendo una parola latina
anche dal punto di vista delle sillabe). Questo poteva sembrare troppo poco importante per essere
indicato se ora non ci stessimo occupando del fatto che i codici greci sono discordi e in alcuni viene
aggiunto l’efelcistico (Termine della grammatica greca per indicare il ni finale ( -n ) facoltativo di
certe desinenze: légūsi(n) ‘dicono' mentre in altri casi no.
Infatti chi scrive in dialetto attico lo aggiunge sempre, chi scrive in dialetto ionico fa diversamente
(l’attico, ionico, eolico, dorico dialetti greci). Come prova c’è quel passo di aristofane nella
commedia il pluto (commedia che nel primo 500 era stata tradotta in latino). Oppure un esempio in
cui non vi è un passo di omero. Non c’è motivo che questa cosa turbi il lettore, sia che trovi il ni
aggiunto che no. E’ una questione ortografica ma noi abbiamo seguito in questo la lingua comune
dei greci, la koinè, forma della grecità tarda in cui le differenze tra e forme dialettali si sono
attenutate, aggiungento il ni quanto segue e la vocale e trascurato quando segue la consonante
DE TAMAR. E’ sorprendente il motivo per cui al traduttore altino sia piaciuto de piuttosto che ex.
Chi infatti è detto aver generato DE ILLA PIUTTOSTO CHE EX ILLA? (ex non ha un
corrispondente italiano, non si rende questa differenza) non perché io non sappia che in alcuni passi
si trova de messo al posto di ex presso autori autorevoli. Io però credo che sia da evitare ciò che non
è confermato dall’uso comune (atteggiamento conservatore) e risulterà stolto se qualcuno pensasse
che questo può essere lecito ovunque ci pare perché in pochi passi un qualche scrittore ha fatto così.
In greco
Ebraico lingue semitica RAH’AB prima consonante è resh (testo masoletico) e le lingue semitiche
individuano il campo semantico con la radice. In greco solo all’inizio (spirito aspro) aspira la vocale
e nello stesso modo oggi pronunciano quella lettera gli ebrei di spagna (sefarditi).
Erasmo dice che ha trovato scritto rachhab lo ha trovato scritto nella biblioteca della illustrissima
signora margherita zia di carlo V, donna sopra i limiti del suo sesso, (donna cosniderata per il suo
tempo un eccezione), la chiama virago.
p.70 codex auratus. Queesta volta erasmo non si limita a descrivere il codice usato ma dice dove è e
di consultarlo se non gli crediamo. E’ un codice famoso scritto in lettere d’oro, si conserva a
Malines[1][2] /ma'lin/ (in olandese Mechelen[3] /'mɛxələ(n)/, in fiammingo Mecheln,
in italiano storico Mellina[4][5], in inglese storico Mechlin) è una città belga di 80.940 abitanti situata
nella provincia di Anversa, nella regione delle Fiandre.se qualcuno volesse mettere alla prova la mia
buona fede. Ha parlato di questo anche girolamo. Teofilanto sembra dubitare se sia questa la rahab
che ospitò gli esploratori ebrei a gerico, cosi infatti si esprime “alcuni credono”. Questa rahab
accolse esporatori ebrei prima della presa di gerico.
p.72 lemma commentato VIRUM MARIE. In latino l’idea di marito viene indicata con maritus ma
anche vir. Avrebbe potuto dire in modo ugualmente latino e non so se sarebbe stata anche più pulita
ossia “il marito di maria”, anche se non ignoro che presso i latinni si trova virum in luogo di marito
con lo stesso significato. Se qualcuno evita il termine marito ascolti agostino che parla cosi nel 23
libro contro fauso (adversum faustum manicheum, della setta manichea cui agostino aveva aderito
per qualche anno e ci racconta nelle confessiones di essersene liberato anche grazie alla filosofia
platonica. La setta presentava una cocnezione materialistica della vita e il platonismo lo ha aiutato a
capire dell’esistenza di un solo principio del bene. La dottrina manichea, dualista, rifiutava l’antico
testamento e professava una concezione cristologica docetista, cristo non avrebbe avusto una vera
carne). In primo luogo poiché giuseppe era stato marito di maria è da onorare la sua persona per
onorare tutto il sesso maschile, infatti per il fatto che non si era unito a lei con un rapporto carnale
non per questo non era marito (le nozze per agostino sono valide per via del consenso).
Erasmo discute se sia corretta la forma di maria o mariam (nome che esiste nella bibbia, sorella di
mosè che intona il cantico di vittoria e che colpita dalla lebbra perché nn si era opposta alla
costruzione del vitello d’oro) e su questa storia del nome avrebbe perso tempo valla e dice di non
volerne discutere ma di andare a vedere le sue pagine di cui ha curato la pubblicazione. Valla fa
distinzione su maria e mariam ma se qualcuno vuole cercare queste osservazioni le può ricercare nei
suoi commenti, ma sono osservazioni troppo sottili.
DE QUA NATUS EST JESUS (dalla quale fu generato gesù). infatti è il passivo di quel verbo che
traduce con genuit. Non c’è motivo per cui qualcuno sia turbato dallo scrupolo che si dica
impropriamente che una donna genera, mentre valla ha chiarito con argomenti valici che presso
greci e latini i termini gignere et gigni, generare ed essere generato, spettano tanto all’uomo quanto
alla donna. Valla se ne ride dell’ignoranza di alcuni i quali affermano come se fosse un oracolo che
c’è una differenza tra queste due preposizioni de e ex come se si doffesse sermpre parlare così
“concepito di spirito santo nato da maria vergine” (c’è l’influsso del testo latino del credo in cui si
dice ex incarnatus est de spiritu santo ex maria vergine) mentre presso i greci c’è la preposizione ex
che il traduttore può tradurre liberamente o con de o con ex cosi come gli sembra opportuno. Di
sicuro questo passo confuta la loro distinzione assolutamente frivola e artificiosa.
QUI VOCATUR CRISTO poiché presso gli ebrei molti portavano questo nome come gesù figlio di
naue (giosuè è la italianizzazione di gesù, non se ne accorge erasmo ma questa identità di nome era
interpretata come una prefigurazione tipologica del cristo, che conosce anche tertulliano: è giusuè e
non mosè che introduce il popolo ebraico nella terra promessa mentre il vero gesù introduce tutti i
credenti nella terra della salvezza eterna, infatti è chiamato jesus verior, il gesù più autentico) e gesù
sacerdote per questo aggiunto l’appellativo lo ha distinto dagli altri. Anche se vedo che alcuni dotti
sono di questo parere: ritengono che il nome del nostro salvatore differisca in parte da quello del
gesù condottiero e del gesu sacerdote e ritengono che il nome del nostro gesu sia scritto con le
medesime lettere con le quali veniva espresso il nome di dio essendo stata interposta l’unica
consonante sin. (il nome di dio cui si allude è il TETAGRAMMA SACRO CHE SI ESPRIME CON
YOD EH WAU EH ed è i nome che abbiamo traslitterato con jave, nonme che gli ebrei evitavano
di pronuniciare con adonai. Nella preghierà dello scemà, invocazione del nome al divino, il signore
adonai è l’unico e non pronunciano javè. Poi nelle lingue moderne c’è stata la traslitterazione per
cui nei testi di tradizione protestante e anglosassone viene fuori jeova QUINDI ALCUNI
RITENEVANO CHE IL NOME DI GESU AVESSE LE STELLE LETTERE DEL
TETRAGRAMMA SACRO TRANNE CHE PER L’INSERZIONE DELLA LETTERA SIN.
Erasmo da un lato dice: sarebbe gradito che questo si potrebbe veramente dimostrare, sarebbe quasi
un segno mistico della natura umana e divina. Volesse qui il cielo che si potesse insegnare con
solidi argomenti di quanto è piacevole a dirsi e gradito. Io infatti desidereri che ci fosse conservato
il vangelo di matteo in ebraico (se ci fosse questo vangelo, non ci sarebbe nessuna fatiga nel
respingere o affermare questa opinione circa il nome di gesù, erasmo non vuole prendere una
posizione netta, consapevole che la sua rpeparaizone in ebraico non è pari a quella in latino e
greco).
Dunque il termine cristo in greco significa unto, con la quale parola gli ebrei indicano il re perché
presso di loro coloro che ottenevano la carica del regno sono soliti essere unti e con questo nome
chiamano il loro aspettato messia MESCIA’ SI PRONUNCIA, espimendo con una sola parola la
dignità di re e sacerdote. Infatti l’unzione è comune all’uno e all’altro e l’una e l’altra dignità
competono al solo cristo. (figura di re sacerdote è individuata anche nella figura di melchisede,
nella genesi, che offre pane e vino ad abrano che aveva sconfitto i nemici). Poi erasmo parla di
alcune storpiature di pronuncia sul nome di cristo e spiega che è necessario pronunciare
correttamente il suo nome per rispetto.
OMNES GENERATIONES: spiega che la parola greca pas, aggettivo è equivoca perché significa
ciascuno, qualunque e tutto interno (universum) per cui cui sarebbe stato piu coerente il termine
latino universo poiché è indicato il complesso della cosa.
GENERATIONES QUATUORDECIM (14 generaizoni) il succedersi delle generazioni da adamo
a cristo nel vangelo di matteo è ordinato a gruppi di 14 e qui erasmo chiama in causa l’autorità dei
padri della chiesa. Origene nei commenti sulla lettera ai romani (giunti non in greco ma nella
traduzione latina di aretino poi recuperato negli anni 40 nel secolo scorso in un papiro scoperto in
egitto a tura buone parti del testo greco da confrontare con la versione latina) e sant’ilario indicano
che da davide fino al tempo in cui gli ebrei sono stati portati schiavi a babilonia si contano non 14
ma 17 generazioni e questo non è stato fatto per una menzogna o per difetto ma di proposito cosi
che tre generazioni in mezzo sono state omesse. Infatti secondo matteo ioras generà oziam mentre
quello è quarto dopo di lui (matteo ne avrebbe saltati tre). Origine trascura il senso letterale e lo fa
mirando al significato allegorico, ilario invece crede che siano state trascurate per i lfatto che ioras
aveva avuto ozochia da una donna pagana. Inoltre poiché era stato predetto dal profeta che non si
sarebbe saduto sul treno del regno di israele fino alla 4 generazione, allora l’evangelista ha voluto
cancellare con il silenzio la macchia di una stirpe pagana.
In erasmo prevale il filologo: queste cose non sono pertinenti al nostro scopo, tanto piu che i
manoscritti dei greci e latini sono in consenso unanime. Infatti quello che ilario scrive che si trova
in alcuni codici lo dice, io credo, intendendo i libri dei re (e non nei manoscritti del vangelo) ma di
questo argomento tratta diligentemente san girolamo che spiega questoi passo.
Christi autem generatio: a mio pararer sarebbe stata piu esatta la parola nativitas piuttosto che
generazione, almeno perché si evitasse l’ambiguità della espressione (anche se noi cristiani siamo
abituati a questo termine)(. La parola generazio infatti riguarda non solo chi nasce ma anche chi
genera. Sarebbe stata piu latina sic habebat piuttosto che sic erat senza che ci fosse alcun
cambiamento nel significato. Di poco peso è che nei codici greci si trova scritto “la generazione di
gesù cristo”. Io sospetto che sia stato aggiunto jesus o da un copista o dall’uso della recitazione
ecclesiastica. Infatti nemmeno crisostomo ha nessun cenno al nome gesù.
Cum esset desponsata (essendo promessa sposa). Nel testo latino manca la congiunzione enim
anche se quella non ha nessuna importanza se non perché unisce la narrazione con la precedente
promessa. Presso i greci invece quella parola (gar, espresisone greca fraseologica che spesso
nemmeno si traduce) adatta meglio ed è propria riferita alla cosa che chiarisce. Infatti i greci
chiamano MNESSERAS quelli che ambiscono a sposare una ragazza (pretendenti) che in latino
vengono detti proci.
Mater lesu Maria (madre di gesù maria), in greco c’è “la madre di lui” poco prima il testo ricorda
cristo perché non sembrasse che il discorso si riferisse a qualcun altro e quindi dice “la madre di
lui”. 8ritornano i manoscritti citati nella prefatio): cosi si legge nei manoscritti antichi, e
precisamente nei due che avevo a disposazione nella seconda collazione (quello della chiesa di san
paolo, paolino e quello Corsendoncensi e cosi si trova scritto anche nel codice aureo di margherita
cosi come negli altri 4 antichi offerti dal collegio di sant’orazione.
Nota di aspetto dogmatico della virginità di maria. Priusquam convenirent (prima che andassero a
convivere) sappiamo che presso gli ebrei il matrimonio era preceduto da una promessa, gli
sponsalia, e rompere quel patto significava per la donna un’onta incancellabile.
Verecunde significa in maniera pudica l’unione della moglie e del marito. Del resto di solito il
termine convergo si adatta a quelli che si mettono d’accordo per qualcosa o riuniscono nel
medesimo luogo. Tuttavia si leggono còngredi e congressum lo leggiamo con il significato di
unione di marito e moglie anche se si può usare anche il verbo coìre che un tempo era una parola
vereconda e che dopo con l’uso è diventata una parola poco casta. Ma quelli che da questo passo
prendono l’appiglio per delirare cosi da dire che maria in seguito secondo il modo comune di
generare abbia partorito dei figli, abbondamentemente li confuta girolamo contro HELVIDIUM e
anche crisostomo (non è un caso che erasmo insista. Nel mondo protestante l’unico dogma mariano
che si è conservato è la virginitas ante partum). Inoltre porta delle prove anche valla adducendo
alcuni esempi anche dai libri dei pagani. Infatti questa parentesi priusquam convenirent è stata
inserita dall’evangelista non per indicare quello che è accaduto dopo (qualcuno potrebbe dire maria
ha concepito gesu prima di unirsi con giuseppe e pensare allora dopo si sono uniti nel modo comune
nel marito e della moglie) ma per esporre il miracolo di un fatto inusuale. E’ come se un odicesse
che il giudice ha pronunciato la sentenza prima di aver esaminato la causa mentre secondo il
costume solito prima i giudici ascoltano (udienza) e poi pronunciano la sentenza (altrimenti quello
sarebbe inauditus). Siccome l’espressione “prima di avere esaminato la causa” non vuol dire altro
che “senza averla esaminata” cosi in questo caso prima che si unissero non vuol dire altro che
“senza unione coniugale” o senza “rapporto carnale”. Del resto l’evangelista racconta come è
andata la cosa non come lui stesso l’aveva conosciuta. Giuseppe vede lei gravida, sa che non c’è
stato un rapporto e per questo l’evangelista non afferma che è stata una concezione verginale fino a
quando non introduce l’angelo che l orivela. Che infatti degli uomini potrebbe sospettare che una
donna abbia concepito dal feto divino una creatura umana? (l’evangelista non è un narratore
onniscente e si comporta dal punto di vista di giuseppe).
Ma il discorso avrebbe provocato meno scrupoli se l’interprete avesse tradotto al tempo passato
“prima di essersi uniti” o “prima che fossero andati a vivere insieme”.
lnuenta est in vtero h abe n s (fu trovata incinta). Perché non dice piuttosto trovata (reperta) o fu scoperta
(deprensa)? Infatti noi scopriamo quello che era nascosto soprattto quando si tratta di cattive azioni.
Reperio si riferisce alle cose che per casualità incontriamo o che ci si presentano al di la delle aspettative. Il
participio è stato usato al verbo infinito, 'deprehensa est habens', invece di 'deprehensa est habere'. Su
questa parola ha fatto osservazioni anche crisostomo “venne trovato quello che è stato scoperto come
nuovo che non ci si aspettava in nessun modo”
c’è da stupirsi per quale motivo sia piaciuta al trasduttore l’espressione perifrastica in utore habens e quindi
non utilizza pregnante o gravida dal momento che è più rispettosa, senza riferimento all’utero. Infatti i latini
dicono ferre uterum, avere utero anche se da parte dei greci in utero habere viene usata in maniera
elegante per i latini non è lo stesso modo.
Presenta ora un testo greco, dell’opera del sofista ateneo, esponente della seconda sofistica,
chiamata opera il Dipnosophistarum, discussione conviviale e erasmo cita la sua traduzione latina
“poiché a una povera donna doleva l’utero e il medico le chiese se fosse incinta le disse ‘come è
possibile visto che da tre giorni non ho mangiato? Mentre il medico si chiedeva questo il mimo
coglie il pretesto di scherzare.
La stessa espressione viene utilizzata da erodoto. Erasmo quindi cita un autore imperiale e poi
addirittura erodoto per indicare che fosse una espressione comune in greco.
DE SPIRITU SANCTO quello greco hec, si doveva tradurre e spirito santo. Non c’è motivo per cui
ci turbi la differenza fittizia che alcuni stabiliscono. Anche in questo passo lo spirito santo è stato
posto al posto di marito. Il lettore sentendo che quella non si era unita con il maeito ma era incinta
avrebbe pensato “dunque incinta di quale altro uomo”? pertanto esclude questo pensiero non da un
uomo ma dallo spirito santo. Vorrei che il saggio e attento dottore valutasse se per caso in questo
passo ci può essere spazio per la distinzione di sant’agostino che ci è trasmessa nel libro che ha
scritto sulla natura del bene contro i manichei e cioò che si può dire che viene sa qualcosa tutto ciò
che viene da illo ma non il contrario. Infatti tutte le cose sono ex dio in quanto autore ma non de deo
perché le cose create non partecipano alla sostanza divina. Quindi ex indica un rapporto di casualità
mentre de indica una cosa che proviene dall’altra come dal suo proprio interno (sulle controverie
teologiche proprio si dibatteva su queste preposizioni). Ma quel feto umano (gesù) in quanto era
umano io credo che secondo la predetta distinzione tra de e ex si dirà più convenientemente che
viene e spiritu santo piuttosto che de altrimenti verrebbe meno la natura umana si gesù. Di sicuro
presso i greci è la stessa la preposizione che noi ora traduciamo de o ex.
NOTA QUINDI CHE SFOCIA IN CONSIDERAZIONI ANCHE LINGUISTICHE.
19) Cum esset vir iustus (Giuseppe essendo uomo giusto): nota che si riferisce a giuseppe. Poiché il greco ha
espresso il concetto usando il participio ci ha lasciato la libertà di aggiungere la congiunzione cum (il cum
piu congiuntivo) che faceva comodo per il significato (anche il latino ha il participio ma in greco il participio
on vuol dire essere del verbo essere che in latino è stato introdotto proprio in analogia con il greco. Il
participio in latino infatti rimane come genere neutro per indicare l’idea astratta di essere. Ne discute
seneca in cui parlava sulle varie dottrine filosofiche sui principi dell’essere. Quindi il participio nel latino
arcaico non esisteva, invece la lingua greca da sempre aveva i vocaboli per esprimere concetti astratti,
anche la parola essenza è entrata in latino tardi, per senenca era un neologismo e poi si è diffusa grazie al
cristianesimo).
Ma questa parola cum alcune volte significa qualche cosa che si oppone, sarebbe il cum con valore
avversativo, come ad esempio: anche se tu sei povero sei rigonfio di sfarzo. Ma nel passo del vangelo la
traduzione latina ha valore causale (poiché era un uomo giusto si traduce) e adduce il motivo per cui non ha
voluto esporre maria perché era un uomo giusto (giuseppe trova la sua sposa prima della convivenza,
incinta. Si comporta da uomo giusto perché se l’avesse ripudiata l’avrebbe esposta alla diffamazione). Come
se avesse detto “giuseppe per il fatto che era un uomo giusto non la volle infamare”. Lo chiama giusto in
una maniera che può suscitare stupore, giusto nel senso che non ha voluto punire ciò che la gente avrebbe
voluto punuire. L’aggettivo iustus ha la stessa radice di ius, diritto quindi giuseppe giusto non in relazione al
concetto di legge, quindi non per una delle quattro virtù morale (erasmo parla delle quattro virtù morali
della filosofia aristotelica e stoica e in cristianesimo erano le quattro virtù cardinali ossia giustizia, fortezza,
prudenza e temperanza) ma per la probità che è del tutto perfetta da ogni punto di vista. Anche nella bibbia
il termine ingiusto ha un significato più ampio (in ebraico sedèk, melkisedek significa re di giustizia). Così
aristotele dice nei libri sull’etica (etica nicomachea) dice “la giustizia abbraccia in se ogni virtù” e la bibbia
impiega il termine “ingiustizia” (adikìa) per significare qualunque genere di peccato. Ha annotato questo
crisostomo. Ora erasmo spiega ancora: infatti era veramente segno di una rara e addirittura prodigiosa
integrità, mentre vedeva l’utero rigonfio della sposa e l’indubbio concepimento, ma non chiese spiegazioni
alla moglie né si lamentò con i parenti né si tormentò dalla gelosia né accusarla di adulterio e trascinarla
alla condanna, ma invece reprimere il proprio ribollire (probabilmente giuseppe soffre) e si limita a pensare
fra di sé un segreto divorzio (non voleva esporla alla colpa ma licenziarla in segreto perché non riusciva a
capire la verità). La vedeva gravida e non ancora conosceva il mistero che subito dopo apprende dall’angelo
che gl iapapre in sogno.
Nollet earn traducere: pur non volendola esporre. TRADUCERE (greco paradermathithai) è una parola che
dà a esrasmo una discussione di tipo lessicale e mette in luce i fraintendimenti in cui erano caduti molti
esegeti prima di lui. Erasmo è piuttosto critico con la versione latina del nuovo testamento che trova poco
elegante e lontano dall’antichità classica ma questa volta si meraviglia per aver usato un temrine cosi
elegante.
In questo passo di quello mi meraviglio, in che modo è accaduto che al traduttore latino che in altre
circostanze è solito trascurare l’eleganza del discorso, sia venuta in mente una parola così elegante. Perché
in questa circostanza ha utilizzato proprio il verbo traducere? Infatti in senso letterale si doveva tradurre
“esemplificare” o con una espressione perifrastica facere exemplum, ossia fare esempio. E’ vero che l’uso di
questa parola molto elegante è stata la causa che alcuni celebri teologici in questo passo si siano sbagliati e
caduti in errore. C’è una sottile perfidia da parte di erasmo, contro uno dei massimi esponenti della teologia
scolastica che erasmo detestava e alla quale contrapponeva una teologia basata sulla filologia del testo
sacero. Erasmo chiama in causa PIETRO LOMBARDO, teologo italiano che aveva insegnato a parigi e aveva
scritto u ntesto cardine per la scolastica, la sua raccolta di sentenze, pareri su vari problemi teologici e con
questo testo si misurarono tutti i maggiori esponenti della scolastica e commentato anche da tommaso
d’acquino, vertice della filosofia scolastica.
Tra questi teologi illustri c’è il teologo non disprezzabile (elogio cauto con figura della litòte), pietro
lombardo, RAPSODO’S (cantori antichi detti perché avrebbero cucito insieme, raptei, canti vari per fare una
composizione unitaria, non è che sia un termine elogiativo, ridimensiona l’originalità di lombardo) quindi
raccoglitore, colui che ha messo insieme quell’opera che chiamano DELLE SENTENZE. Lombardo ritengo che
sia stato un uomo virtuoso e per quanto consentiva quel tempo, erudito. (i termini positivi sono sempre
accompagnati da una riserva, per erasmo il medioevo non è l’età della piena erudizione, si vede l’orgolio
dell’umanista che era nato nell’epoca che aveva recueprato la piena latinità e quindi c’è una eredità del
valla che aveva avuto parole di fuoco contro il linguaggio teologico usato dalla scolastica, ricco di
neologismi che a valla apparivano abnormi e lontani dalla vera latinità). Volesse il cielo che la sua fatica
(delle sentenze) avesse prodotto risultati felici per il mondo cristiano in proporzione all’impegno devoto che
ebbe. Lui ha fatto questo per porre fine a tutte le questioni una volta raccolte le cose che riguardavano
l’argomento trattato (lombardo aveva l’ambizione di dire una parola definitiva sulle questioni affrontate)
ma quell’impresa sfociò in un esito diverso. Da quel’opera sono scaturiti fuori (prorumpo) non degli sciami
ma addirittura dei mari di questioni che mai arrivano alla fine (secondo erasmo la scolastica si perdeva in
questioni futili, che nulla contribuivano a formare la coscienza cristiana, ma sono delle esercitazioni
intellettuali che non rendono i cristiani migliori). Nel 4 libro delle sentenze più di una volta usa questa
parola traducere come se lo sposo allora traducat la sposa quando ha avuto un rapporto con lei. Cosi si
legge nella 27 distinzione (le questiones sono articolate in distinctiones): “alcuni affermano che il vero
matrimonio non viene contratto prima del transferimento (traductio) e della congiunzione carnale e che
non ci sono dei coniugi se non interviene il rapporto sessuale” (è vero che il matrimonio non consumato è
uno dei casi di annullamento nel diritto canonico). E ancora dice “ma poiché ancor non era stata trasferita e
non c’era stato il rapporto coniugale”.
Credo che sia abbastanza chiaro che lombardo intenda la congiunzione et come un chiarimento di quello
che precede: nella prima citazione ha detto che la parola traductio equivale a carnalis copulam (egli intende
la congiunzione et in senso esplicativo) altrimenti se ha usato il verbo traducere nel senso di trasferire la
sposa in casa dello sposo il rapporto ciutus può esserci anche senza questo trasferimento e la donna che è
stata trasferita non viene subito immediatamente conosciuta (in senso biblico, la donna che non è più
vergine è virum expecta): ne è un esempio la madre del signore (che pur essendo nella casa dove avrebbe
vissuta non era stata ancora conosciuta ossia non vi era stato il rapporto e non c’erano stati gli sponsalia). E
oggi quando la sposa è molto giovane c’è il costume che lo sposo per un anno abiti in un’unica casa insieme
ai genitori della sposa. (ora erasmo si confronta con la latinità classica e parte dalla commedia di terenzio,
quindi un umanista a tutto campo, per conoscere le divine littere bisogna conoscere le umane littere). Del
resto non ingoro che i lsignificato originario di traducere è quello di trasferire da una parte all’altra come il
personaggio di terenzio demea che ordine che siano trasferite la madre e la famiglia ma in quel caso
terenzio non usa una parola che si riferisce al matrimonio. E non è verosimile che lombardo abbia imitato
terenzio ma poiché sapeva solo il latino e neppure in modo preciso poiché nel vangelo lesse “noluit eam
traducere” ha inteso “non volle avere rapporti con lei perché pensava al divorzio”. E non mi sfugge che
alcuni vogliono sfuggire da questa difficoltà così da dire che la parola traductio intenda il consenso alla
coabitazione, che è alcuanto più assurdo, come se uno confutando chi dicesse che la parola cucurbitam
(cocomero) SIGIFNICA SCHIENA DELL’ASINO dicesse che non significa la schian in sé ma le ceste poste sulla
schiena. Se quindi la parola traductio significa il consenso per coabitare perché viene separato dagli altri
doveri dei coniugi o che cosa sarà il matrimonio senza il consenso alla coabitazione?
Infine, poiché qui il consenso deve essere reciproco il termine traductio deve essere attribuito sia alla sposa
che allo sposo. Ma chi ma hai letto traduci sposum, che lo sposo viene trasferito? E poi dove nei testi dei
giureconsulti sul matrimonio si fa menzione della traductio. Se qualcuno insiste che la sposta viene trasfeita
quando è condotta nella casa dello sposo, giuseppe e maria vivevano insieme nella casa, anzi era maria che
abitava nella casa di giuseppe. Questo lo testimonia crisostomo nella quarta omelia su matteo aggiungendo
che era stato recepito in base alla vecchia consuetudine che le spose fossero tenute nelle case degli sposi. E
un po' oltre nella medesima omelia “non volle cacciarla da casa sua ma la voleva licenziare sciogliere
dall’impegno tacitamente”. Egli chiama “cacciare di casa” il verbo traducere perché non poteva accadere
senza l’infamia e la diffamazione della sposa soprattutto perché era gravida. Dunque la cosa indica che
pietro lombardo o un altro che lui ha seguito come autorità (ipotizza che lombardo si sia accordato ad un
parere già espresso) da questo passa abbia ricavato l’occasione dell’errore, errore che ha inteso che
Giuseppe per il sospetto di adulterio non avesse voluto confermare il matrimonio con il rapporto carnale.
Erasmo in quegli anni si era difeso da molte polemiche teologiche ed era stato attaccato dagli eredi della
scolastica e dice: e’ un errore di cui vergognarsi! Soprattutto nel caso di coloro che si proclamano maestri di
tutto il mondo, ma è un errore da imputare più al periodo che alla persona (ha sbagliato per il periodo in cui
è nato perché non si conosceva il greco). Che cosa poteva fare lombardo in quel secolo in cui era del tutto
estinta la lingua greca e anche quella altina in massima parte e quelle ebraiche più che sepolte essendo
stati fatti sparire gli antichi scritturi, un secolo in cui per spiegare qualcosa ci si rifugiava presso isidorio di
siviglia come un’ancora di salvezza (le sue etymologiarum libri di isidoro) e pietro lombardo seguendo
isidoro interpreta la parola metropolis come derivata metron (misura) e polis (città) e “acolithos” come i
servi chiamano i servi che si prendono cura della persona lo intende come portatore di cieli, se non che
queste cose sono state prese dagli autori più recenti come è costume in questi scritti teologici. Anzi io mi
meraviglio anche di chi possa aver indicato a niccolò di lira (autore del tardo medioevo, siamo nel 300 e
aveva lasciato una glossa un commento alla scrittura ed era un autore non disprettabile e autorità in
termini di esegesi biblica) che il verbo traducere è sinonimo di propalare (diffondere). Nella glossa che
chiamano ordinaria (glossa ordinaria, raccolta di spiegazioni del testo biblico), non so chi ha aggiunto “i
greci al posto di traducere hanno propalare” come se propalare fosse una parola greca.
Il cardinale ugo interpreta traducere come se fosse “condurre a proprio danno”. In ogni caso con molti
argomenti si può concludere (colligere) che molti scrittori di quei tempi erano stati aiutati da commenti de
igreci che allora erano stati tradotti in lingua latina come indicheremo nei luoghi opportuni (giuzio analogo
nelle lettera di beato renano sulle cattive traduzioni latine, egli parlava delle traduzioni di burgundio pisano
delle opere di gregorio di nissa e burgundio era stato criticato, la cui traduzione avrebbe reso
incomprensibile il testo di nissa). Anche erasmo: ammettiamo che queste affermazioni sul greco siano state
fornite dalle traduzioni latine che i medievali avevano, lo sappiamo che queste traduzioni erano fatte male.
Altrimenti in che modo tommaso aveva congetturato che cosa pensasse aristotele sulla base di quella
traduzione che neppure aristolele sarebbe riuscito a riprendere: quelle traduzioni che aveva usato che se
fossero state lette tra aristolere, aristotele non avrebbe ritrovato il suo pensiero in quelle traduzioni.
Non condanno che siano stati aiutati dai testi di altri. Di quello mi meraviglio perché, come se lo avessero
fatto di proposito, tengono nascosti i nomi grazie ai quali avevavano fatto progressi e mi meraviglio anche
perché si era taciuto sui libri da cui avevano attinto.
Quasi Ioseph ideo noluerit Mariam traducere - hoc est 'coniungi cum ea' -, quod adulteram iudicaret, ne
fieret vnum corpus cum ea
Ma girolamo in quel passo non sta trattando dell’unione coniugale ma chiarisce il motivo per cui giuseppe
uomo giusto non l’ha voluta accusare e renderla oggetto di chiacchiera del popolo, cosa che testimonia
perfettamente da quello che dice dopo (le parole fanno sembre riferimento al contesto) e cita ancora
girolamo: “ma questo è una trstimonianza in favore di maria perché giuseppe conoscendo la sua castità e
rimanendo stupito da ciò che era accaduto nasconde con il silenzio ciò che ignorava con il mistero” (altro
che contaminazione della colpa!) c’è presso i latini un uso vario del verbo traducere e a dire il vero così
come non ce n’è nessuno più elegante così non ce n’è ul altro piu raro di quando significa “mettere
qualcuno in mostra promulgare quentiam” e parlare indirizzandosi a tutti. Così infatti marziale:
Rideris multoque magis traduceris Afer, quam nudus medio si spatiere foro: tu afro sei oggetto di derisione
e sei messo alla berlina di quanto non saresti se camminnassi nudo in mezzo al foro.
E ancora petronio “non vogliate svelare (nel senso non vogliare divulgare) i pensieri segreti di amici che
quasi mille uomini conoscono”. Anche senenca si è servito di questa parola nella centesima epistola ad
lucilium (di cui fu editore erasmo) “voglio che sia rimproverato l’eccesso di lusso che la libidine sia resa
pubblica e la sfrenatezza sia domata”. Infatti poiché la libidine è solita fuggire dal cospetto degli uomini,
seneca si augura che questo vizio sia svelato affinchè sia sanato con la cura della vergogna.
Questa parola appare trasferita nell’uso dal caso d iquelle persone che affinchè siano viste da tutte vengono
fatte avanzare per i luoghi più freqeuntati delle città, cosa che viene fatta per svergognarli ai vinti (i vinti
sono trascinati nel trionfo del vincitore, cleopatria preferisce infatti uccidersi) o a coloro che sono stati
condannati per qualche delitto. Così livio nel libro secondo degli ad urbe condita “ si sa che voi siete stati di
spettacolo a tutti i cittadini e popoli stranieri e che i vostri figli e mogli sono sulla bocca di tutti gli uomini”. e
anche svetonio si serve di questa parola parlando di vespasiano. Crisostomo illustrando questo passo indica
il valore di questa parola quando dice “non solo non volle condannarla ma neppure renderla oggetto di
scherno” (Prima erasmo critica i commentatori che citavano il greco in latino, ma lui non sta facendo la
stessa cosa?).
Infatti si è servito di questa parola il traduttore del crisostomo che al posto di dannare c’è il termine greco
punizione.
Erasmo continua a discutere sul termine traducere essendo un passo che tocca un aspetto tutt’altro
che secondario nella dottrina cattolica, che comunque agisce sempre con metodo filologico
basandosi sulla comparazione del termine classico e cristiano del termine.
Il medesimo verbo traducere è interpretato in “trascinare in giudizio” e “rendere noto a tutti”. Non
si discosta da questo senso ilario (di potie, autore di un commento sul vangelo di matteo, grande
autore latino del Iv secolodo) che ritiene che il verbo greco paradermatisai significihi “dare un
esempio secondo la legge contro qualcuno”, così infatti afferma nel commento a matteo “poiché
giuseppe essendo giusto non voleva pronunciare contro di lei una sentenza contro la legge
(dell’antico testamento).
Erasmo poi confronta una citazione biblica di agostino che lui ritiene faccia parte di una vetus latina
(prima della revisione della vulgata gironimiana esistevano veteres latinae delle quali agostino
rimane sconvolto per la sua rozzezza e si distinguevano due versioni: itala e afra ed erasmo
sembrava conoscerla): anzi nel libro dei numeri al capitolo 24 quello che la nostra edizione (e
riporta il testo della vulgata del suo tempo ha “prendi tutti i capi del popolo e appendili verso
oriente nei patiboli) agostino secondo il testo che circolava in quella regione agostino vescovo di
ippona, provincia romana africana) agostino legge il testo “metti in mostra al signore i capi del
popolo verso oriente”. QUINDI QUELLO CHE AGOSTINO HA TRADOTTO CON IL VERBO
OSTENTA, l’autore greco lo traduce con l’imperativo aoristo del verbo paradermatisai come se
avesse voluto dire “mostrarlo come esempio affinchè gli altri ne siano spaventati” (come dire fai
vedere che fine fa chi non è fedele al signore). Il medesimo citando questo passo nella lettera 54
invece di traducere legge divulgare.
E anche sant’ambrogio esponendo il salmo “beati immacolati” nel sermone settimo sta dalla nostra
parte e scrive “perché i lgiusto preferirebbe accusare se stesso piuttosto che disonorare un altro.
Infatti a proposito di giuseppe con cui era sposato la madre del signore è scritto che avevdola vista
incinta, essendo giusto, non voleva traducere, esporla alla condanna e per giunta non aveva ancora
ascoltato nessuna profezia. Pertanto la persona del giusto (giuseppe come paradigma del giusto,
quello che fa giuseppe lo fanno tutti i giusti) rifugge non solo dall’atrocità della punuizione ma
anche dalla severità dell’accusa e ritiene preferibile che venga accusata la sua remissività piuttosto
che accusare un altro di crimine”.
In accordo con questi il vescovo bulgaro teofilanto (impero bizantino) che è un esegeta greco dice
“palam facere rendere evidente e punire”.certamente bisogna riconoscere che la parola latina è di
significato dubbio se è vero che talvolta si può dire che traducit è colui che porta verso un’altra
parte, così come hanno usato questa parola sia cicerone che svetonio. Invece la parola greca non ha
questa gamma semantica così vasta. Ma è a causa di alcuni mororos, coloro che suscitano obiezioni,
sto indugiando a spiegare queste cose di quanto un lettore colto potrebbe sopportare.
Il significato dunque è: ESSENDO GIUSEPPE UN UOMO BUONO E VEDENDO LA SPOSA
INCINTA E POICHE’ I COSTUMI DI LEI NON PERMETTEVANO DI CREDERE
L’ADULTERIO PENSO’ DI NASCONDERE CIO’ PER CUI PROVAVA STUPORE (NON
CAPISCO MA NON E’ POSSIBILE CHE MI ABBIA TRADITO).
Anche se trovo che teofilanto sia di questo parere, cioè dice che giuseppe avrebbe voluto separarsi
di nascosto perché si giudicava indegno della convivenza con una moglie che aveva già concepito
dallo spirito celeste (quindi giuseppe secondo teofilando avrebbe detto, io essendo peccatore non
posso stare con una donna che ha concepito per spirito divino). Ma erasmo non condivide perché
erasmo ancora non sapeva del concepimento divino. MA QUESTA INTERPRETAZIONE E’
PIUTTOSTO FORZATA.
Infatti s eleggi il passo in maniera da collegare “fu trovata” e “incinta per opera dello spirito santo”
così che il significato sia che già allora fosse stato conosciuto da giuseppe che la sposa avesse
concepito non da uomo ma da spirito perché l’angelo lo avrebbe dovuto istruire in sogno? Infatti
quando l’angelo aggiunge questo motivo per cui giuseppe non deve temere “infatti quello che nasce
da lei è nato da spirito santo” il fatto che gli dia questa spiegazione indica che il timore di giuseppe
aveva presso le mosse non dalla reverentia ma dal sospetto (cosa che non ha detto crisostomo)
oppure dallo stupore. Del resto avrebbe dovuto maggiormente provare timore dalle parole
dell’angelo essendo stato informato dal mistero celeste (il brivido di timore nei confronti del divino
non deve stupire, il divino provoca quasi sgomento, infatti il termine horror non ha in latino sempre
una valenza negativa ma esiste l’horror sacer, uomo nudo nei confronti della grandezza
dell’onnipotente).
Se a qualcuno sembra che sia una affermazione troppo dura che giuseppe abbia dubitato della
castità di maria, chi ha questo dubbio ascolti agostino che parla ancora più duro nella lettera 54 a
macedonio:
“per cui giuseppe a cui la madre del signore è sposata, avendo trovato incinta colei alla quale non si
era unito e avendola creduta nient’altro che adultera, tuttavia non volle che fosse punita né ha
provato ad incolparla”. Ugualmente ambrogio nel suo trattato L’ISTITUZIONE DELLA
VERGINE: “che cosa pregiudica a maria se giuseppe non capì il mistero della decisione celeste e
pensò che non fosse vergine quella che vedeva incinta?” (Del resto nell’educazione retorica unno
degli esempi frequenti di argomentazione necessaria era “se ha partorito si è unita ad un uomo”. Su
questa argomentazione nel IV secolo mario vittorino, celebre retore africano conterraneo di
agostino la cui conversione al cristianesimo fece grande scalpore, nel suo commento al de
inventione di cicerone cita questo esempio di argomentazione dice “ su questo punto i cristiani non
sono d’accordo e citano il caso di maria che partorì senza essersi unita ad un uomo”: discussione
che coinvolgeva anche uomini non cristiani).
Si è servito del verbo traducere in due passi l’apostolo paolo, nella lettera ai colossesi “spogliando i
principati e potestà le espose con fiducia” e si è espresso cosiì perché i vinti di solito vengono
portato in giro nei trionfi e mostrati al popolo; ancora usa questo termine nella lettera agli ebrei (di
dubbia attribuzione) il traduttore qui ha reso traduxit, qui invece ostentui habentes (avendolo come
segno di disonore). (in questo passo della lettera agli ebrei l’atore dice che difficilmente gli apostati
possono pentirsi e tornare alla situazione precedente perché è come se dovessero di nuovo
crocefiggere cristo per la loro salvezza).
Anche se a me sembra ci sia differenza tra i due: il primo mostrare per esempio (dermatizein)
mentre paradermatizein per la preposizione para suoni in senso negativo. Entrambi derivano dalla
parola che vuol dire esempio che a sua volta dal verbo mostro, ostendo.
OCCULTE DIMITTERE (giuseppe voleva sciogliere il vincolo di nascosto). Infatti congediamo un
esercito schierato, viene sciolto il senato, sciolta l’assemblea, quando è data a ciascuno la potestà di
andare dove vuole. Congediamo anche un amico che può ripartire. Ma in questo passo sarebbe stato
contemporanemente più latino e più chiaro usare amittere a se (mandar via) oppure ripudiare oppure
divorziare da lei, questo infatti pensava l’evangelista e fare di nascosto ciò che non poteva essere
fatto apertamente senza insieme il pericolo e la diffamazione della moglie. Anche se non mi sfugge
che in svetonio viene detta dimissam quella che è stata ripudiata. E non è motivato che qualcuno
venga offeso dalla parola ripudiare come se fosse troppo duro, dal momento che Ilario, un autore
che è insieme erudito e devoto, non ha avuto ritegno ad usare una parola ancora più dura. Così si
esprime esponendo un passo di matteo: “a lui che voleva cacciarla” (viene usato abicere).
IN SOMNIS (gli antichi lasciano molti trattati sui sogni, non si pensi che gli antichi attribuissero
sempre un valore di rivelazione superiore; ma questa creazione di immagini da parte della mente, o
anima umana era per loro un problema di dibattito filosofico. In età imperiale sinesio di cirene,
figura interessante del neoplatonismo alessandrino ci ha lasciato DE SOMNIS, u ntrattato, che ebbe
successo anche nell’umanesimo italiano e riscoperto nella cerca del neoplatonismo fiorentino).
Il traduttore esprime elegamentente il significato: non per somnium ma in somnis. Infatti ciò che
accade nei sogni è inevitabile che appaia per mezzo del sogno. Nel testo greco non c’è apparve a
giuseppe ma apparve a quello. Certamente si legge nei nostri codi più corretti, in particolare nel
codice aureo si legge “ei” pronome equivalente di illi. Mi sia lecito in questa nota indicare il libro
che abbiamo detto trovarsi nella biblioteca regia a MECHELEN.
Accipere Mariam coniugem (l’angelo dice, non aver paura giuseppe di prendere maria come tua sposa). Nel
greco paralabein (corrispondente accipere) vuol dire unirtela nella convivenza: infatti l’aveva già accettata
ma meditava il divorzio. Di nuovo il traduttore si è tenuto lontano dal termine di uxor, moglie, mentre
l’evangelista non dubita a chiamare giuseppe padre di gesù. Certamente san girolamo legge moglie e non
coniuge, questo lo dimostra anche la sua traduzione. E lo scusa il fatto che nel testo biblico qualche volta
sono dette uxores quelle che sono solo promesse spose e del resto i greci chiamano quella che si chiama
sposa, ninfe (il termine è riferito a maria in un famoso testo liturgico della chiesa greca, INNO ACASTO, inno
che si canta in piedi. Esso ha un ritornello dopo ogni strofa e nel ritornello c’è un saluto a maria e ci si
rivolge con il termine ninfa). Per i greci poi il termine donna (nel vangelo di giovanni cristo si rivolge alla
madre e la chiama donna) ora per i greci significa ora moglie ora qualsiasi donna.
Crisostomo nella omelia V su matteo indica che questo nome si addice poco ad una vergine ma spesso le
viene attribuito agli evangelisti perché nascondessero il mistero e tenessero lontano il sospetto di stuprum
(il latino è una relazione extra coniugale).
Quod enim in ea narum (ciò che è nato da lei, concepito da lei e non è ancora venuto alla luce) . viene detto
nato tutto ciò che in qualunque modo ha iniziato ad esistere. Noi (erasmo fa riferimento alla sua
traduzione) abbiamo preferito tradurre “quello che è stato concepito in lei” affinchè nessuno fosse messo
in difficoltà con una espressione poco usata. Agostino nel primo libro delle questioni sulla genesi, afferma
che in questo passo nato è stato messo al posto di concepito e anche tertulliano sull’opera “sulla carne di
cristo”. Infatti sulla base di questo passo il folle valentino scrive che cristo nacque attraverso la verso e non
dalla vergine (cristo sarebbe passato nel corpo di matia come l’acqua passa in un tubo). Chi era il valentino?
(era un esponente della corrente agnostica che nel II III secolo dietre filo da torcere agli apologisti cristiani.
Egli combinava i fondamenti della dottrina cristiana con una cocnezione dualistica della realtà. Si discute
molto sull’origine dell’agnosticismo: alcuni elementi comuni sono la svalutaizone della realtà materiale, i
lconcepire la salvezza come una illuminazione degli eletti da parte del principio superiore e negare la carne
umana di cristo. Tertulliano diceva che se cristo non avesse la carne umana tutto il mistero della passione
sarebbe stata una commedia e l’umanità non sarebbe stata redenta. Egli ha scritto infatti l’adversus
valetinianum).
Invece poco prima matteo aveva evitato la preposizione ex: “Joseph genuit Jacob virum Mariae, ex qua
natus est Jesus”.
DE SPIRITU SANCTO (a Spiritu Saneto profectum est come noi traduciamo deriva dallo spirito santo).
Abbiamo detto che alcuni teologi recenti (gli scolastici e lui li chiama recentes, altre volt eerasmo imitando
cicerone li chiama nèoteroi. Cicerone infatti usava questo termine verso i poeti della generazione di catullo
ed erasmo lo applica ai teologi dei suoi tempi, ultimi baluardi della scolastica, ormai ridotta allaripetizione
degli stessi motivi) pretendono che soggiaccia il grande mistero delle preposizioni ex et de mentre invece
presso i greci la preposizione è la medesima mentre presso di noi è diversa ma solo per i lfatto che così è
piaciuto al traduttore, il quale ricerca la varietà dove non ce n’è bisogno.
Pariet autem filium. (partorirà un figlio) annota crisostomo che non è stato detto “ti partorità un figlio”
come è solito essere detto ai padri ma tuttavia è stato detto “lo chiamerai gesù” perché l’autorità di
imporre il nome è solita essere attribuita al marito. Queste considerazioni anche se sembrano abbastanza
strane dal compito che abbiamo assunto, mi è sembrato opportuno perché mi sembrava che fosse
pertinente a difendere l’integrità del testo.
Et vocabis nomen eius Iesum (c’è una polemica con l’interpretazione ebraica). Anche solo da questo può
essere confutata la stoltezza dei giudei del nostro tempo che vogliono che cristo abbia avuto un nome
diverso da quello del giosuè condottiero e giosuè sacerdote. Infatti è sicuro che IESCIA’ o anche nella forma
EISCIUACH, per gli ebrei significa salvezza. E l’angelo spiegando il significato della parola dice “lui salverà il
suo popolo” (“lo chiamerà gesù e salverà il popolo dai peccati”), cosa che ha annotato anche girolamo. E
crisostomo nella prima omelia afferma che subito nello stesso frontespizio nel vangelo (cioè Liber
generationis Iesu Christi filii Dauid) volontariamente è stato aggiunto dall’evangelista l’appellativo di cristo
perché con quello fosse distinto dal giosuè condottiero. E poi è stato aggiunto anche figlio di davide perché
quel giosuè non era della tribù di davide. Se dunque il nome era diverso a che cosa tendono queste
attribuzioni che distinguono un nome dall’altro? (se i nomi già erano diversi, a cosa serve indicare la tribù di
davide e dire anche l’appellativo cristo). Del resto sarebbe stato più corretto secondo il latino usare
l’espressione “dai loro peccati” (a suis ipsius peccatis piuttosto che a peccatis ipsorum).
Per prophetam dicentem (per bocca del profeta) l’espressione greca si intende in un duplice modo: uno
“che si compisse quello che era stato detto dal signore, che ha parlato attraverso il profeta” e l’altro
“perché si compisse quello che era stato detto dal signore per bocca del profeta di cui sono queste parole”.
Questa anfibologia per i greci nasce dal fatto che l’una e a l’altra preposizione cioè A e Per (le due
preposizioni in latino) reggono lo stesso caso del nome, ossia il genitivo. Ma il secondo significato mi piace
di più perché vedo che questa locuzione è abituale nel testo sacro ogni qual volta viene citato il testo sacro.
Ecce virgo. Termine virgo molto discusso nei dibattiti teologici, sin dal II secolo, nella discussione fra
giustino, apologeta cristiano e l’ebreo trifone. Che sia un personaggio vero o inventato non lo sappiamo ma
il dialogo è interessante: c’è una discussione biblica tra un cristiano ed un ebreo su l’antico testamento ed
uno dei testi più diffusi è quello della profezia di isaia (la vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà
chiamato Emanuele, cioè dio con noi).
Nel testo del profeta ebreo non è BETULA’H, che significa vergine e non toccata da uomo ma HALMA’ che
significa fanciulla, ragazzina ed è un nome che indica l’età mentre l’altro l’integrità. Del resto girolamo nega
che in alcun luogo dell’antio testamento si trovi il vocabolo halma se non riferito ad una vergine: nella
genesi al capitolo 24 rebecca (moglie di isacco) è ancora vergine e viene chiamata halmà e nel capitolo 22
del deuteronomio la legge punisce il rapitore di una halmà, cioè di una fanciulla e vergine e questo passo lo
cita anche origene contro il pagano celso (nel contro celsum, opera antipagana). Ugualmente i 70 hanno
tradotto questa parola EPARTENOS, cioè con la vergine mentre tutti gli altri traducono con fanciulla. Anche
se presso gli ebrei la parola è ambigua in quanto significa sia fanciulla sia nascosta perché halam significa
nascondere. Quindi ciò che è stato posso come titolo del nono salmo HALEMU’T che significa per
l’adolescenza, i settanta hanno tradotto per le nascoste così che halma significa non solo vergine ma per
estensione anche vergine nascosta e tenuta lontana dallo sguardo degli uomini, il qual costume ancora oggi
si conserva presso gli italiani. Anzi anche nella lingua punica (lingua che si parlava a cartagine ai tempi di
agostino da parte delle masse popolari) che alcuni vogliono sia sorta dall’ebraico (in realtà sono due lingue
semitiche) halmà viene detta vergine.
Infatti quello che girolamo ha aggiunto e quello che i latini chiamano almum mi sembra lo abbia detto più
per scherzo che seriamente. (Girolamo gioca fra una assonanza tra halmà in ebraico e alma in latino). Infatti
se in tante migliaia di parole una o un’altra per caso coincidono non si deve di conseguenza pensare che ci
sia stato uno scambio fra le due lingue.
Attività di erasmo nel campo degli autori classici, dialogo di luciano, traduzioni delle tragedie di euripide, la
conoscenza dei classici che giunge al culmine con seneca,Come primo lavoro di respiro europeo, suo
capolavoro per avere accesso alle principali corti europee. 2 La prima edizione di Erasmo degli Opera omnia
di Seneca risale al 1515, mentre la seconda è del 1529, entrambe pubblicate a Basilea per i tipi di Frobenio.
Una terza edizione vide la luce nel 1555 per i tipi di Plantin, l'amico tipografo dalla cui stamperia usciranno
tutte le opere di Lipsio. Per un confronto con l'edizione lipsia
Quella di seneca non è una scelta casuale, ma è un autore che godeva di un buon nome presso gli autori
cristiani per il carattere non dogmatico ma eclettico del suo atteggiamento filosofico. Seneca piaceva ai
cristiani per la sua franca affermazione della provvidenza, il suo atteggiamento di intransigenza morale.
Seneca ha un atteggiamento eclettico e nei confronti dello stesso epicuro si dimostra un giudice molto
equanime ed obiettivo di cicerone. Dopo lucrezio, epicureo ex professo, una via intermedia fra l’esaltazione
di lcurezio e la critica calunniosa di cicerone (che nelle tusculanee definisce epicuro e i suoi seguaci come
voluptares) c’è proprio seneca. Tertulliano notava che seneca si accorda con noi cristiani, si accorda con noi
anche per il dominio delle passioni e questo spiega l’ampio uso di estratti dalle opere di seneca di lattanzio
(nelle sue divine istitutiones, che garantisce la fortuna di seneca nel medioevo). Seneca nel medioevo era
stato sdoppiato e l’autore delle tragedie era considerato diverso dalle lettere a lucilio e dei trattati morali (i
dialogi). Nell’epistolario a lucilio e dialogi ci sono riflessioni sulla caducità della vita,riflessioni sul tempo.
La lettera (LETTERA SENECA) è indirizzata al vescovo inglese THOMAS RUTAL ed era segretario di re
d’inghilterra. Come tutte le lettere di dedica c’è una captatio benevolentie nel confronti del destinatario ma
erasmo in questo caso riesce abilmente a stabilire un rapporto di parità quanto meno al livello di
importanza dei rispettivi impegni: cioè che il suo lavoro di umanista e di editore di seneca ha dovuto
affrontare difficoltà tali da poter essere paragonati agli impegni politici del suo interlucure. Scrive che i
nemici non sono soldati sul campo come per il re di inghilterra ed il suo segretario (scozzesi e francesi) ma i
nemici sono le corruttele del testo ed è interessante vedere una consonanza tra i principi teorici di renano e
le dichiarazioni d ierasmo.
Nella lettera segue una valutazione anche letteraria di seneca e ci fa capire perché senenca meriti di essere
messo a disposizione, con la stampa, di numerosi lettori.
Lettera del 1515. Sembra che sia avvenuto in maniera mirabile, o eccellentissimo, che entrambi, nel
medesimo tempo, abbiamo sicuramente con genere diverso, combattuto una milizia, un impegno non così
dissimile (entrambi siamo stati soldati di una milizia). Infatti mentre tu in un primo momento metti in fuga i
galli con i felici auspici di quel re veramente mai sconfitto (re d’inghilterra) e poi tornato da un
accampamento all’altro sbaragli, respingi e fai quasi a pezzi il re di scozia che stava irrompendo nei confini
del tuo dominio con numerosissime e armatissime truppe (la diocesi di darlam era al confine fra inghilterra
e scozia non lontana dal vallo di adriano), mentre tu facevi questo io ho liberato con grande impegno i due
igliori autori fra tutti ma anche i più corrotti nel testo, san girolamo e seneca, dalle corruttele (amentis) che
sono evidentemente i più temebili nemici delle lettere, dalle quali fino a ora erano stati non contaminati ma
del tutto cancellati (erasmo una un linguaggio iperbolico, quanto più esalta la difficoltà dell’impresa
maggiore sarà il suo metodo di filologo). E io ho avuto a che fare con due nemici insieme e credo non ci sia
stato nel vostro accampamento maggiore difficoltà o maggior sudore di quanto ve ne sia stato per me in
questa impresa. Anche se si può dire che io risulto anche vincitore per questo motivo: perché essendo io
stesso da sol contemporaneamente condottiero e soldato (dux e miles) ho ingaggiato il duello con così tanti
nemici e in questo conflitto nessuna strage è stata minore delle vostre battaglie. Infatti nello scontro contro
i francesi perché la battaglia risultasse meno sanguinosa ne fu il motivo la moderazione dei nemici: infatti
con quale nomi dovrei chiamarli dal momento che al primo scontro subito cedettero il campo ai migliori?
Così che appariva che erano venuti proprio per consentirvi di fare un buon bottino di guerra. (Con gli
scozzesi invece, la battaglia è stata più cruenta) invece vi tocco sugli scozzesi una grande vittoria,
certamente perché il re stesso è stato ucciso insieme a numerevoli nobili (optimates) e quel re che con
animo di gladiatore preparava la più grande rovina per tutta l’inghilterra. Ma a dir la verità quella vittoria vi
è toccata comprata con molto sangue dei vostri (l’avete pagata a caro prezzo).
Ma io con un unico scontro, ho sgozzato più di 4000 nemici, anzi mostruosità, trafitti e cancellati. Ritengon
infatti di aver eliminato un così numero di errori anche dal solo seneca. Aggiungi il fatto che i soldati
scozzesi erano entrati appena nei primi confini del territorio britannico e avevano almeno occupato una
sola fortezza da cui immediatamente sono stati cacciati. Invece tutto girolamo e seneca li aveva occupati
ormai da molti secoli uno sterminato numero di errori (questi testi, considerandoli come territori, sono stati
invasi da errori) cosi che in nessuna parte era rimasta qualcosa che non fosse sotto il potere dei nemici. In
questa impresa la mia spada è stata la penna, il mio dio della guerra sono state le muse e invece delle
truppe ho avuto l’ingegno. Del resto in così grandi difficoltà non avevo nessun altro ausilio tranne due
vecchi codici: (vetustus ma sempre preso con le pinze, gli umanisti non erano in grado di datare certamente
un manoscritto, quindi indicavano termini per usare la scrittura molto generici) dei quali uno me lo ha
fornito dalla sua biblioteca quel sommo patrono e onore incomparabile del nostro tempo, gugliemo
arcivescovo di canterbury, l’altro me lo mandò in aiuto il collegio regio di cambridge (un codice
cantabrigensis). Ma l’uno e l’altro in primo luogo erano mutili e poi entrambi erano pieni di errori rispetto
addirittura delle edizioni che circolano, così che dovetti avere meno fiducia nelle mie truppe ausiliarie che
negli istessi nemici. Quella cosa però fu d’aiuto: che gli errori non si accordassero (gli errori non erano gli
stessi, quindi se in un punto uno aveva la lezione corrotta l’altro non lo aveva ed era quello che non era
successo a beato renano nella prima edizione di tertulliano), cosa che invece è inevitabile che capiti in
questi libri che vengono impressi con i caratteri precostituiti dal medesimo esemplare (se da un unico
manoscritto ricaviamo copie a stampa, esse veicolano tutte lo stesso errore).
Quello che è successo a lui, dover lavorare con due codici diversi è ciò che capita al giudice quando
interroga vari testimoni: nessuno dice la verità ma dal confronto delle menzogne il giudice ricava in qualche
modo una opinione più vicina al vero: per cui come qualche volta capita che un giudice attento arrivi a
formare il suo parare dalla testimonianza di molti testimoni dei quali nessuno dice i lvero, così noi sulla base
di errori diversi abbiamo CONGETTURATO la lezione autentica. Oltre a questo molte cose le abbiamo quasi
subodorate (seguito il nostro fiuto) seguendo le tracce delle lettere e dei segni (stesso procedimento di
renano, quando cerca di risalire la lezione originaria dalle parole e dalle lettere corrotte) anche se questo lo
abbiamo fatto molto moderatamente (cioè pochissime volte) non ignari che sono una cosa sacra le
testimonianze di uomini così grandi e che trattando di queste ci si deve comportare non solo con cautela
ma anche con grande rispetto (concetti espressi nelle note della seconda edizione di tertulliano di renano).
Per questo abbiamo lasciato molte cose ancora da esaminare ad altri (erasmo non ha detto la parola su
tutto, non è convinto in alcuni passi dell’autenticità della lezione ma non si è avventurato in congetture che
non convincevano nemmeno lui). Quelle opere che falsamente si erano attribuite a seneca (le opere spurie
cioè) non le abbiamo tagliate via perché il lettore non sentisse la mancanza di nulla ma le abbiamo relegate
in appendice (così si procede in edizioni della patristica greca e latina come alcune oepre di tertulliano),
invece le altre le abbiamo disposte in un ordine più comodo per la consultazione.
Erasmo non ruba il merito a renano: abbiamo aggiunto anche lo spiritosissimo e insieme eruditissimo
opuscolo sulla morte di claudio (apokolokintosis) da poco scoperto nella nostra germania e reso chiaro
dalle eruditissime note di beato renano. E volesse il cielo che fosse sopravvissuto anche un libro sul
terremoto, di cui seneca fa menzione nelle naturales questiones e un altro libro che tratta del matrimonio
(il perduto de matrimonium senecam, i cui frammenti furono pubblicati nel secolo scorso) la cui
testimonianza adduce girolamo scrivendo contro gioviniano (adversum iovinianium cita testimonianze della
letteratura classica sul matrimonio) e magari ci fosse anche quel famoso terzo libro perduto sulla
superstizione, dalla quale agostino cita alcuni passi letteralmente nell’opera del DE CIVITATE DEI. (l’opera
de superstitioso deorum cultu la cita anche lattanzio perché è un’opera in cui senenca critica una religiosità
in cui le persone vanno nei templi e sussurrano alle orecchie degli dei “turpissima vota” delle turpi
preghiere/richieste. Questo tema era comune negli uomini di cultura: anche plutarco ha uno dei suoi
opuscoli morali intitolato sulla superstizione” in cui dice “è più tollerabile negare gli dei piuttosto che fare
richieste di questo tipo”). E non mi era affatto nascosto che non c’è nessun genere di fatica che porti
maggior molestia all’autore e meno gloria: così ogni frutto torna all’utilità del lettore il quale neppure si
accorge del beneficio ricevuto da cui ha corretto.
Tuttavia anche se niente è più sprecato di ciò che viene regalato ad un ingrato, tuttavia va ancora più
perduto un lavoro che viene indirizzato a chi non capisce e anche s enon eravamo ingnari di questo, tuttavia
abbiamo pensato di dover tributare questo onore a questi due scrittori: seneca e girolamo. Infatti è vero
che abbiamo solo girolamo da poter contrapporre anche alla grecia per quanto riguarda le sacre scritture
(erasmo nell’edizione degli opera omnia di girolamo aveva premesso una sua biografia di girolamo molto
diversa dall’immagine di girolamo tramandata dal medioevo ed insistendo molto sul monaco e l’asceta, anzi
possiamo dire che girolamo viene descritto ad immagine di erasmo stesso). Se fissimo privi di lui non vedo
chi potremmo presentare degno del nome di teologo.
Mi sia lecito ora dire la verità. E san girolamo ebbe tanta stima di seneca che tra tutti i pagani lo ha
esaminato nel catalogo degli scrittori illustri (nel de viris illustribus di girolamo che nelle sue intenzioni
doveva essere un catalogo di letteratura cristiana, c’è anche seneca e quindi viene inserito per il fatto che
seneca e san paolo sarebbero stati in corrispondenza, ma girolamo si è servito d iquesto pretesto per
parlare di seneca) non tanto per quelle lettere di seneca a paolo e paolo a senenca – le quali sapeva bene
che lui, essendo uomo raffinatissimo, che fossero spurie – quanto perché ha giudicato seneca di essere
letto dai cristiani pur non essendo cristiano. Non c’è niente di più santo dei suoi precetti morali. E con tanto
calore ci esorta all’onestà che sembra che lui abbia messo in pratica quello che insegna. Solo questo autore
richiama l’animo alle cose celesti, lo innalza al disprezzo delle cose volgari e inserisce l’odio della
turpitudine e ci infiamma all’amore di ciò che è onesto. Infine fa andar via migliore chiunque lo abbia preso
in mano per leggerlo con l’intenzione di diventare migliore. Infatti non mi turbano più di tanto le vechcie
calunnie di alcuni, i quali non hanno accusato la vita di seneca ma solo riguardo lo stile sentono la
mancanza di qualcosa. Caligola definì lo stile di seneca come una sabbia senza calcina ma caligola disprezzò
anche virgilio e livio al punto che mancò poco che cancellasse da tutte le biblioteche i loro ritratti.
Quintiliano invece definisce lo stile di seneca “fractus” spezzato, ma tuttavia lo critica in un modo che
manca poco che gli attribuisca una grande lode. Lo critica in maniera energia aulo gellio ma a causa di un
amore eccessivo per cicerone e si dimostra più ostile a seneca di quanto sia ragionevole e tuttavia vi sono
alcune cose nello stile di seneca che venissero cambiate: mi urtano alcune parole troppo prosaiche e in
qualche caso delle spiritosaggini un po' sfacciate ed esclamazioni che non scaldano l’animo (sono forzate) e
lo slancio del discorso che a volte si interrompe. Inoltre urta che si sia autostimato parecchio ed è stato
invece un giudice poco obiettivo dell’ingegno di altri. Inoltre nelle controversie, cosa stupefacente a dirsi,
sembra non dare giudizi positivi a nessuno (probabilmente erasmo confonde le controversie di seneca
padre e di seneca figlio). Ma tuttavia quale autore vi è stato così completo che non si trovasse in lui la
mancanza di nulla?
C’è in questo autore così tanta autorevolezza spirituale che anche se fosse del tutto privo di eloquenza,
tuttavia sarebbe da leggere da parte di tutti quelli che amano la ricerca di una vita ispirata ai principi morali
(vivere bene secondo la filosofia).