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RIASSUNTO SCHEDE LETTERATURA ITALIANA – 1

All’inizio del XIII secolo Jean Bodel di Arras (celebre elaboratore della prima tipologia della narrativa epico-
cavalleresca divisa tra materia francese, bretone e classica) scrive dei componimenti di congedo (in
francese Congés) in cui compare per la prima volta la definizione “matière de moi”, una poesia in lingua
volgare che propone come soggetto l’esperienza personale dell’autore stesso.

Costituiva una grande novità per il Medioevo: infatti in quel periodo la vita dell’uomo, l’autoriflessione non
erano ritenuti degni di assumere forma scritta o letteraria. Questo perché l’esistenza umana era
considerata ad esclusivo appannaggio della Divina Provvidenza, che determinava azioni, successi, fallimenti
facendo rientrare tutto in un grande disegno universale dove la particolarità del singolo veniva annullata
dalla comune condizione di sottoposto alla volontà di Dio e di peccatore.

Nel 390-410 d.C. Agostino d’Ippona, partendo da un semplice dato autobiografico, compone le Confessioni:
il testo ebbe un grande successo per tutto il medioevo, restando fino a Petrarca il più grande esempio di
scrittura autobiografica. Questo perché l’esperienza di Agostino risultava significativa, agendo da esempio
ad altri peccatori come lui, intenzionati ad entrare in comunione con Dio.

Le cause di una così scarsa propensione alla scrittura autobiografica nel Medioevo sono da rintracciarsi in
vari fattori: l’esercizio e l’educazione alla scrittura non concedevano spazio a temi personali; legate
all’ambiente ecclesiastico, si basavano sulla lettura dei classici latini e paleocristiani (gli auctores) che
dovevano servire da modelli da imitare  per qualsiasi scritto il compositore si rifaceva alla tradizione
consolidata degli auctores e agli scrittori che prima di lui si erano cimentati in opere simili; l’originalità del
compositore era determinata dal modo con cui quest’ultimo, nel proprio scritto, si poneva rispetto alla
tradizione.

Ogni aspetto quindi, anche quello apparentemente più autobiografico, veniva filtrato attraverso gli schemi
ricorrenti della tradizione raggiungendo valori universali. Essendo il dato personale in sé poco rilevante,
l’autore tende a scomparire dietro il proprio testo. Ecco spiegato perché gran parte della letteratura
medievale risulta di autore anonimo, soprattutto quella volgare delle origini. Gli autori medievali non
sentirono (almeno fino al XIII secolo) l’impulso a rivendicare uno scritto come proprio, l’unico interesse era
quello di identificarsi con la tradizione o con un preciso gruppo ad essa legato.

La comunità intellettuale nel Medioevo era essenzialmente divisa tra litterati (quanti conoscevano il latino e
si rifacevano alla tradizione dei classici) e illitterati (conoscevano il volgare e potevano rifarsi ai vari generi
profani sorti nel XI-XII secolo).  1) la lirica cortese, originaria delle regioni meridionali della Francia
(Linguadoca, Provenza, Aquitania ed Alvernia) sul finire dell’XI secolo; nasce da un gruppo di frequentatori
dell’ambiente della corte feudale che per raggiungere un pubblico più ampio scelgono la via della lingua
volgare; si tratta di poesia prevalentemente amorosa, in cui l’io del poeta si riferisce ancora ad un’intera
comunità (poesia sociale), in cui la composizione della poesia è staccata dalle vicende dell’autore, salvo per
l’occasione in cui esse rientrino nelle esperienze condivise dal pubblico.

L’ “io” della lirica cortese è piuttosto un soggetto grammaticale che fattuale, serve cioè ad introdurre
solamente il registro della canzone, mettendo poi in moto una serie di schemi ricorrenti e motivi
tradizionali per una poesia tutta giocata sul livello formale e musicale. Questa considerazione di Zumthor
sembra però essere maggiormente riconducibile alla lirica in lingua d’oil piuttosto che in lingua d’oc.

Possiamo tranquillamente affermare che fino al XII secolo l’autobiografia è un genere scarsamente o per
nulla praticato, che la dimensione dell’io esiste solo in funzione di un gruppo retrostante che può
estendersi a valori universali, ma mai ridursi alla particolare esperienza del singolo. Esistono tuttavia delle
eccezioni:
a) Ghiberto di Nogent (seconda metà dell’XI secolo) scrive il De Vita Sua che prende effettivamente
spunto dai ricordi personali dell’autore. Ci fa intravedere parte dei suoi sentimenti, ma nella
maggior parte dei casi i ricordi sono del tutto spersonalizzati, concentrandosi sugli aspetti
cronachistici della sua contemporaneità: in questo modo l’autobiografia diventa storiografia e
cronaca; questo perché Ghiberto non distingue tra fatti che lo riguardano personalmente ed altri di
cui è stato semplice testimone. Il racconto non ebbe grandissimo successo, tuttavia aprì la strada ad
una nuova tendenza, quella all’introspezione, a rivedere con distacco la propria vita.

Dopo le riforme dogmatiche del Concilio Laterano del 1215, abbiamo un dilagare di movimenti riformisti,
volti a diffondere l’importanza della confessione, del libero arbitrio e della penitenza. Dal XIII secolo
sorgono gli ordini mendicanti. Come si è potuto arrivare a queste rivoluzioni? Assistiamo ad una
valorizzazione della vita del singolo sia in ambito religioso che filosofico-culturale in un’era comunemente
definita Rinascita del XII secolo: l’uomo incomincia ad essere posto al centro del creato, in qualità di essere
razionale e quindi pienamente responsabile delle sue azioni, secondo i principi del libero arbitrio. Tale
riforma del pensiero è portata avanti dai grandi poli scolastici di Chartres e San Vittore, modifiche che non
minano la solidità della fede, ma puntano ad una religione appoggiata dalla ragione (inizio della Scolastica).

Questa nuova visione della fede e della cultura viene rivendicata con forza dalla più celebre figura
intellettuale del XII secolo, Pietro Abelardo, la cui Historia calamitatum costituisce uno straordinario
esempio di scritto autobiografico, ma ancora dal respiro didattico-esemplare: sul modello del grande
classico De consolatione philosophiae di Boezio (524-525 d.C.), Abelardo ricorda le proprie disgrazie per
ammonire il lettore e per consolare un amico disperato.

Solo col XIII secolo però si assiste alla riscoperta della soggettività, anche se le cause di tale rivoluzione sono
da rintracciarsi, come abbiamo visto, nel secolo precedente. Il XII secolo infatti segna il passaggio dalla
prima alla seconda età feudale, portando alla nascita dei primi centri urbani totalmente dediti
all’artigianato e al commercio; l’aumento degli scambi commerciali unito all’incremento dell’attività
economica sono alla base dello sviluppo della borghesia. L’ambiente urbano-borghese costituisce un
sistema sociale meno monolitico e più sfaccettato rispetto alla corte feudale, e permette così l’emersione di
nuovi intellettuali eclettici.

Tornando a Jean Bodel, nacque ad Arras (Nord Ovest della Francia), area di grandi interessi mercantili e
letterari nel XII-XIII secolo. Anche lui sperimenta vari generi letterari (epica, teatro, fabliaux …). Nel prologo
ad un suo fabliau, “Le deus chevaus”, fa l’elenco delle sue opere (ricalcando il prologo al Cligès di Chrétien
de Troyes), dando l’impulso necessario alla creazione delle grandi antologie d’autore.

 Adam de la Halle è invece il primo intellettuale del Duecento la cui opera sia stata trattata in un unico
manoscritto, come un’organica raccolta d’autore. Per la prima volta un compositore incomincia ad uscire
dall’anonimato: l’autore è consapevole che l’io cantato nelle opere deve ora corrispondere all’io di chi
scrive; l’autore si “mette in scena”.

 Rutebeuf, autore di una serie di dits (in italiano, “detto”), genere lirico non cortese e non musicato, in cui
il poeta si lamenta della sua povertà, delle sue malattie, di uno sciagurato matrimonio, ecc.; emerge la
dimensione dell’io. La novità è che il dit costituisce un genere non musicato e non strofico, quindi più
narrativo. Queste due tendenze, l’abbandono della musica e il maggior spazio concesso alla riflessione del
poeta, rappresentano un passo significativo verso l’autobiografia.

 si diffonde la storiografia in volgare che si presenta quasi sempre sotto forma di “memorie” d’autore in
prosa (forma della verità), non più in versi (forma della finzione).

 anche nell’ambito della poesia cortese si verificano dei cambiamenti; l’io che canta tenderà a spostarsi
verso un io narrante. È quanto avviene nel Roman de la Rose (1230-1270) di Guillaume de Lorris e Jean de
Meun. La prima parte è una raffinata espressione della civiltà cortese in cui si racconta attraverso la
finzione onirica ed allegorica la conquista della donna (la rosa) all’interno di uno splendido giardino
primaverile. La seconda parte invece si serve dell’allegoria per realizzare rimandi esterni di natura
filosofico-erudita che trasforma il Roman in un’opera dal respiro enciclopedico, una summa della cultura
scolastica del XIII secolo.

 si diffonde la pratica (anch’essa derivata dalla poesia cortese) delle vidas e razos, biografie e commenti a
singole liriche dei trovatori. Probabilmente già circolanti in ambiente provenzale, compaiono per la prima
volta nelle raccolte antologiche di lirica trobadorica realizzate in Italia settentrionale nel XIII secolo.
Raccoglitore ed autore del primo esemplare noto è Uc de Saint Circ (1220-1260) attivo in Veneto presso la
corte di Treviso. Scopo dei testi scritti in prosa è di presentare il poeta: le vidas precedono nei codici le
opere di un singolo trovatore, mentre le razos precedono determinate composizioni, spiegandone la genesi
ed il contenuto dottrinale; ambedue costituiscono anche un primo tentativo di commento letterario alle
liriche.

 A partire proprio dal XIII secolo vediamo sempre più i poeti stessi ordinare le loro poesie in modo da
creare un racconto. Sintomatico della crescente importanza della narrazione è la tendenza a comporre o
ordinare raccolte poetiche in modo che raccontino una storia. Si giunge quindi al raggruppamento del
lavoro di un dato poeta in uno stesso codice, ciò che in Italia è conosciuto come “canzoniere”. Il primo in
Europa a realizzare un testo di tale portata è il troviero Conon de Béthune (1219), il quale inserisce tra le
composizioni poetiche degli aneddoti personali (autobiografia implicita nelle canzoni). Più vicino al modello
petrarchesco di canzoniere è da attribuirsi al trovatore Guiraut Riquier (seconda metà del XIII secolo):
responsabile in prima persona dell’organizzazione delle sue poesie, disposte in ordine cronologico dalle
prime esperienze erotiche terrene fino alla conversione religiosa.

 Guillaume de Machaut compone il Voir dit (1365) in cui decide di raccontare una sua storia d’amore,
rendendo esplicita l’identità fra l’io della canzone e il poeta. Prosimetro in lingua francese, misto di versi
octosyllabes e lettere in prosa tra i protagonisti. Si rifà da un lato alla tradizione allegorico cortese del
Roman de la Rose, dall’altro alla commistione di poesia e prosa dei codici trobadorici o all’epistolario fra
Abelardo ed Eloisa. Il Voir dit raccoglie in sé tutte le tendenze autobiografiche o pseudo autobiografiche che
si erano imposte tra XII e XIII secolo.

Nelle grandi antologie trobadoriche al poeta volgare viene in sostanza riservato un trattamento da auctor
latino. La struttura segue il modello di commento aristotelico, diffusosi dal XIII secolo in ambito di esegesi
biblica. Il commento aristotelico spostava l’enfasi dal ruolo dell’autore divino a quello umano: l’autore
diventa diretto responsabile del testo, e questo varrà sempre più anche per gli autori volgari, che non solo
saranno riconosciuti come tali dai contemporanei, ma essi stessi cominceranno a curare la propria
immagine, occupandosi della sistemazione della loro opera.

LE MISTICHE  uno spazio particolare va riservato alle mistiche, le quali rappresentano una delle possibili
se non la principale forma di scrittura al femminile. La donna che scriveva nel Medioevo era legata alla
Chiesa: in un mondo dove il ruolo della donna era quello di madre e moglie, apprendere a leggere e scrivere
era un’impresa ardua. L’unico modo per evitare questo destino era entrare in convento. Tra il VII e il XII
secolo si assiste alla fondazione di conventi femminili, all’interno dei quali le monache erano libere di
coltivare le lettere. Ecco perché molte delle opere letterarie femminili nel medioevo rientrano nella
categoria del religioso, scritte molto spesso sotto la spinta dell’estasi mistica.

Fra tutte le mistiche medievali va ricordata Ildegarda di Bingen (1098-1179) capace con la propria autorità
di sfidare apertamente anche i livelli ecclesiastici più potenti ed uscirne indenne. Tale potere fu il risultato
della sua fama di mistica. La visione mistica presuppone un tipo di soggettività particolare, costituita dal
ricordo e dall’annotazione delle proprie visioni in cui si costituisce un rapporto privilegiato con la divinità.
L’opera più celebre di Ildegarda è la Vita scritta in parte da lei.
Le sue visioni divine conferiscono ad esse un’autorità che mancherebbe a semplici ricordi personali, poiché
possono essere rivestite di senso teologico e dottrinale. Ad Ildegarda e a molte altre donne nella sua
condizione si apriva la possibilità di avere una maggiore incidenza universale, filtrando il proprio pensiero
attraverso le visioni mistiche, presentate come parole del Signore.

Dal XIII secolo la stagione delle grandi badesse era pressoché finito. Tuttavia nell’Europa settentrionale
assistiamo ad un rifiorire della mistica cristiana. La crisi spirituale che investe il continente porta alla nascita
di comunità religiose indipendenti formate da donne di estrazione borghese, che rifiutavano il modello di
vita conventuale. Le più attive sono le Beghine del Nord Europa, le quali adotteranno le cifre della lirica
erotica profana per descrivere il loro amore per Dio. Le composizioni di queste mistiche non si riferiscono
più a temi strettamente teologici, ma insistono nella descrizione della vita interiore delle scrittrici, le loro
passioni, i loro turbamenti, i momenti culminanti dell’esperienza estatica, rivelando una maggiore
dimensione soggettiva. Molte di queste visioni appaiono perciò poco ortodosse, per l’eccesso di carica
erotica con cui è descritta la simbiosi con Dio, tanto che molte di queste mistiche verranno perseguitate
come eretiche. Ricorrente è l’immagine del matrimonio con Dio, l’unione amorosa con il divino tratto dal
biblico Cantico dei cantici. Si tende a descrivere il rapporto amoroso in termini molto più erotici e
provocatori, spesso con immagini care alla lirica profana e al romanzo cortese.

Per scongiurare l’intervento della repressione ecclesiastica, le mistiche dovettero rientrare per quanto
possibile negli schemi dell’ortodossia. Tra le più grandi mistiche italiane di questo periodo si ricordano
Angela da Foligno (1248-1309) e Caterina da Siena (1347-1380) ambedue legate agli ordini mendicanti sorti
nella prima metà del XIII secolo (i Francescani mantenevano la povertà, i Domenicani invece si dedicavano
agli studi). La chiesa utilizzava tali ordini per combattere sul campo le eresie e le novità ideologiche più
rivoluzionarie. Allo stesso scopo viene fondato il terzo ordine domenicano e francescano, un’organizzazione
parallela alle istituzioni religiose al quale potevano aderire uomini e donne laiche senza essere vincolati ad
assumere alcun voto, ma mantenendo una vita casta e dedita ad opere di carità. A queste realtà
appartenevano entrambe le mistiche italiane.

Angela da Foligno entrò a far parte dei terziari francescani nel 1290, e due anni dopo dettò al segretario
padre Arnaldo il Memoriale, registrazione delle sue esperienze estatiche, in cui immaginandosi sposa di
Cristo arriva a berne il sangue al momento della crocifissione. Non cercò mai di trovare delle interpretazioni
innovative alle proprie visioni, ricevendo così il benestare della Chiesa.

Caterina da Siena fu riconosciuta dalla Chiesa come Santa e Dottore di fede. Le sue visioni, raccolte nelle
Lettere e nel Dialogo della divina provvidenza, sono ugualmente estatiche ed affini a quelle precedenti. Ad
esse corrisponde un’azione politica: appartenendo alle terziarie domenicane, ordine politicamente
schierato in difesa della Cristianità, Caterina si lanciò in una critica contro la cattività avignonese (1308 -
1377) e le corrotte gerarchie ecclesiastiche. Caterina mandava così lettere ai personaggi di spicco della
politica europea, non solo a esponenti della Chiesa. Giudicata non eretica dagli organi ecclesiastici, le venne
affiancato come confessore Raimondo da Capua, che rimase con lei fino alla morte, raccogliendo le sue
visioni e garantendone la correttezza dottrinale.

La sorte di Angela e Caterina è comune a molte altre mistiche del tempo: esse vennero appunto affiancate
da collaboratori di sesso maschile. Per questioni sociali la donna si sentiva in obbligo di dichiarare la sua
ignoranza e l’incapacità nello scrivere e dunque il suo bisogno di aiuto. Angela da Foligno e Caterina da
Siena non avevano dietro di sé un’educazione conventuale e si dichiaravano analfabete.  con questo
stratagemma la loro opera acquista i tratti del miracolo, facendo credere di essere state ispirate dal divino.
Così il Memoriale è stato dettato e tradotto in latino da Arnaldo da Foligno, le Lettere e il Dialogo furono
redatti dai molteplici segretari di Caterina. In questo modo l’esperienza delle mistiche è filtrata in parte
dalla presunta origine divina dei contenuti, in parte dalla mediazione maschile dei vari redattori, pronti a
rivedere, correggere le visioni.
LA VITA NOVA

Nel 1292-1293 Dante Alighieri concepisce un’opera dotata di maggiore spessore allegorico e filosofico,
un’autobiografia insieme reale e fittizia. Il testo comprende 31 liriche inserite in una narrazione (cornice) in
prosa divisa in 42 capitoli (nell’edizione critica proposta dal Barbi) che scandiscono la storia dell’amore di
Dante per Beatrice. La prosa fornisce pertanto l’impianto romanzesco del libello, e insieme puntualizza,
divide, commenta e illustra i componimenti presentati. La Vita nova raccoglie in sé tutta la tradizione
autobiografica precedente.

Nella Vita Nova Dante si professa ancora legato all’idea, tipicamente medioevale che il parlare di sé non è
accettabile tranne che in casi di necessità. Come afferma in un celebre passo del Convivio ( I, II, 3-12-15) ci
sono solo due termini d’azione: per rispondere ad un’accusa ingiusta (Boezio) e per usare la propria vita a
titolo esemplare (Agostino). Nella Vita Nova si sente la presenza del modello agostiniano e boeziano di
derivazione scolastica, oltre a tutta la tradizione della letteratura erotica romanza. Il modello con cui
Alighieri dialoga maggiormente sono le vidas e le razos provenzali: nel prosimetro dantesco infatti troviamo
le liriche inserite in una cornice narrativa, che incorpora anche un commento letterario.

La Vita Nova è concepita in chiave allegorica secondo lo schema il modello del Roman de la Rose, con la
novità che i personaggi allegorici non sono più figure astratte, ma si tratta di una figura realmente vissuta,
Beatrice che diventa poi estensione dell’Altissimo e porta il suo amante a traguardi conoscitivi ben oltre
l’esperienza terrena. In questo modo l’esperienza personale del poeta si universalizza e diventa esempio
per tutti, o almeno per quel gruppo elitario a cui fa riferimento (i Fedeli d’Amore). Sceglie come lingua il
volgare illustre del De vulgari eloquentia, trattando argomenti dottrinalmente elevati con un linguaggio
solitamente utilizzato per temi più bassi.

I ricordi di Dante all’inizio della Vita Nova sono paragonati ad un libro corredato di rubriche, nei confronti
l’autore attua una selezione degli elementi da inserire nel libello. Le liriche presenti nella Vita nova erano in
gran parte scritte prima di essere riordinate per formare un’autobiografia poetica: l’autore dopo la
selezione, ordina le liriche e scrive intorno e partendo da esse la propria vita, fornendone anche il
commento. Dante concepisce la Vita Nova come il punto d’accesso alla sua intera opera, come accadeva
per i grandi classici. Pertanto il testo in questione non è solo il resoconto della formazione autobiografica
dell’io, ma soprattutto il manifesto incaricato di diffondere la nuova condizione d’autore del protagonista
Dante, ben consapevole del proprio straordinario valore intellettuale. Questo progresso segna la definita
conquista autoriale anche per i compositori volgari, aprendo così la strada alla stagione di Petrarca e
dell’Umanesimo.

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