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Letteratura Italiana
36 ore, 6 CFU
a.a. 2021-2022
Maddalena Rasera
Bibliografia
Gino Tellini il romanzo italiano dell’800 e ‘900;
:Riflessi; (99 pg.)
Lettera di una novizia; (130 pg)
Caro Michele; (156 pg)
Struttura esame
Due domande aperte senza limiti di spazio: un’analisi testuale su uno dei romanzi letti in classe
(Le ultime lettere di Jacopo Ortis è molto importante perché è il primo vero e proprio romanzo italiano.)
Il romanzo è stato per molti secoli un genere messo e ritenuto in secondo piano (se si pensa al ‘600 e ‘700
sono secoli per lo più collegati alla poesia, al teatro… perché a quell’epoca il romanzo non è ancora
considerato un genere degno di nota). In quei secoli si diceva che il romanzo corresse il rischio di mettere
in testa ai lettori delle strane idee, di conoscere mondi/abitudini e desideri che non andavano conosciute.
Soprattutto nei confronti delle lettrici che potevano essere spinte ad avere delle ambizioni che non
dovevano avere.
Le cose cambiano radicalmente nella prima metà dell’Ottocento, quando si consolidano le innovazioni che
Richardson, Fielding, Rousseau e Goethe avevano fatto nel secolo precedente. Cosa avevano fatto questi
scrittori? Avevano iniziato a raccontare, in prosa, non le avventure fantastiche degli eroi, ma le vite di
esseri umani normali.
Dal punto di vista tecnico il romanzo essendo un genere che stava emergendo, non era costretto a regole
precise. Quindi c’era la possibilità di poter sperimentare e mescolare diversi stili.
◦ Il romanzo era un genere che non doveva aderire a norme codificate. Mentre poeti e drammaturghi
dovevano fare i conti con una lunga tradizione di teorie e regole compositive, i romanzieri potevano
sperimentare più liberamente, mescolando o modificando gli elementi della tradizione senza timore
di infrangere codici della convenienza e della «bella scrittura».
◦ Il romanzo ottocentesco nasce in gran parte dalla miscela di generi letterari preesistenti (come il
racconto picaresco o l’epopea cavalleresca) e dalla mescolanza degli stili: alto e basso, quotidiano e
sublime, si trovano fianco a fianco in un genere letterario che intende parlare non di un singolo
frammento della realtà (i sentimenti, la guerra, la natura), ma di tutto.
◦ Così, mentre alcuni scrittori privilegiano l’esplorazione dell’interiorità, analizzando i sentimenti e i
desideri più profondi dell’uomo, altri si volgono verso l’esterno, usando la narrazione per guardare
gli eventi storici e i problemi sociali.
Lezione 7/09/2021
I NUOVI TEMI
◦ I romanzi di questi anni non vanno alla ricerca di luoghi esotici, ma raccontano la realtà. La mobilità
sociale che caratterizza il nuovo secolo è già da sola motivo di suspense. L’ambizione, in particolare,
diventa una delle caratteristiche ricorrenti dei protagonisti dei romanzi. Si fa strada l’idea che
ognuno possa aspirare a cambiare la sua vita, che non è detto che se si nasca poveri si morirà
povero e che possa quindi esserci una mobilità sociale. E quindi l’ambizione di molte persone di
poter cambiare la propria vita.
◦ Nei romanzi di Balzac e Stendhal, di Dickens i personaggi cercano, con intelligenza o con l’astuzia di
affrancarsi dalla loro condizione di partenza, accrescendo la loro ricchezza o il loro prestigio.
◦ In questa società in fermento, dove i destini individuali non sono più decisi dalla nascita, ha
un’importanza particolare la fase della giovinezza: di qui la diffusione del Bildungsroman (il
romanzo di formazione) che mette al centro dell’azione romanzesca la costruzione della personalità
di un giovane uomo o di una giovane donna.
◦ La via per conoscere sé stessi e diventare adulti viene cercata nella conoscenza degli altri,
nell’esplorazione del mondo, nell’accettazione del conflitto e di tutto ciò che appare, almeno a
prima vista, diverso.
Ancora tra Settecento e Ottocento
(appunti tratti da Gino Tellini, Il romanzo italiano dell’Ottocento e Novecento, Milano, Mondadori, 1998)
Nel 700 italiano le condizioni politiche erano critiche da poter diventare migliorare
Mentre in Inghilterra e in Francia si istituzionalizzava la legalità artistica del romanzo, in quanto genere
anomalo che era energica espressione di una classe media e borghese, nel Settecento italiano le condizioni
politiche erano tali che l’alternativa ancora si poneva tra l’élite e il volgo, tra il rispetto dei canoni convenuti
e i passatempi del popolo.
Non esisteva la possibilità di un’ufficiale legittimazione del romanzo e di un suo autonomo sviluppo perché
non erano ancora affermate quelle forze sociali nuove che potevano essere capaci d’infrangere, con le loro
idee, la loro morale e la loro sensibilità, lo statuto dei generi codificati, sì da dare vita a un genere
eccentrico e fuorilegge, arditamente innovativo come il romanzo.
◦ 1724 Metastasio scrive il suo primo libretto Didone abbandonata (genere del melodramma,
riprende il mito e lo drammatizza)
◦ 1725 Vico pubblica la Scienza nuova (prosa scientifica)
◦ 1744 Ludovico Antonio Muratori pubblica Gli Annali d’Italia (storiografia moderna in cui narra le
vicende storiche dell’Italia)
◦ 1753 Goldoni scrive La locandiera (commedia, Goldoni per la commedia attua una sorta di
rivoluzione che è quella del passaggio della scrittura del Canovaggio che non è più una commedia
improvvisata secondo i tipi stereotipati della commedia ma diventa una commedia dove parte del
testo è scritta. Ciò facendo si è in grado di approfondire di più il personaggio evitando di diventare
ripetitivi come invece spesso accadeva con le improvvisazioni.)
◦ 1763 Parini pubblica la prima parte del Giorno (poema satirico-didascalico, poema significa che non
siamo nell’ambito della prosa ma nell’ambito della poesia, cioè in versi. Parini inscena la figura del
precettore d’amabil rito, quindi che lo deve guidare, educare, non deve fargli perdere le giornate
come invece essendo un nobile potrebbe fare. Tutto questo però viene raccontato in versi, quindi
l’idea è di riprendere la struttura dei poemi cavallereschi però cambiare il contenuto e sceglie una
forma didascalica che deve servire all’uomo per migliorarsi ma allo stesso tempo è satirica.)
◦ 1764-1766 Beccaria e i fratelli Verri pubblicano la rivista letteraria «Il Caffè» (riviste nell’ambito
dell’illuminismo milanese che iniziano ad avere un ruolo divulgativo molto importante)
◦ 1764 Cesare Beccaria pubblica Dei delitti e delle pene (saggio di “ambito giuridico”)
◦ 1782 Alfieri inizia a scrivere Saul (tragedia, estremamente scarna con pochissimi personaggi e
ambientazioni essenziali perché al centro della tragedia sostanzialmente sta il protagonista)
◦ 1789 Alfieri inizia a scrivere la prima parte della Vita (autobiografia, alla fine del ‘700 inizia a
scrivere la sua biografia in Francia, la finirà in Italia, verrà pubblicata postuma, in cui racconta tutte
le avventure da lui vissute)
◦ Anni Novanta del 1700 Casanova scrive le Memorie (autobiografia; Confessioni di Jean-Jacques
Rousseau; Mémoires di Goldoni). Il romanziere decide di vivere con la sua scrittura, il romanziere fa
la stessa cosa col teatro, decide di vivere con la sua attività da commediografo, nonostante non sia
affatto semplice. Ciò lo portò a scrivere commedie in maniera forsennata e firma un contratto con
uno dei teatri più importante di Venezia. E quando gli viene poi offerto di diventare commediografo
di corte in Francia lascia l’Italia.
Il genere dell’autobiografia è un genere importante nel ‘700 (Casanova, Rousseau, Goldoni, Alfieri), e
questo è un passaggio fondamentale verso la scrittura del romanzo epistolare.
Il genere dell’autobiografia è perfetto per l’approfondimento dei personaggi. Come si può notare il
romanzo fra questi generi non compare.
Questo passaggio fra autobiografia e genere del romanzo epistolare è importante perché quando ci si
sposta verso l’inizio dell’800, che per la sua prima parte si concentra sulle lotte di indipendenza quindi
l’affermarsi delle nazioni e degli stati, seleziona tutta la materia che è stata utilizzata nel ‘700. Quindi
quell’interesse per la realtà, le vicende di uomini comuni che siano simili all’esperienza del lettore, e
soprattutto uno dei temi che è privilegiato a partire dell’800 è quello dell’indagine interiore dell’io, e per
scavare dentro le vicende di un io l’autobiografia è il genere perfetto.
E quando l’800 guarda quello che c’è stato prima e decide cosa trattenere, quest’idea dell’indagine dell’io
risulta perfetta e si va a combinare con l’altra corrente che sta prendendo piede nell’800, ossia il
romanticismo tedesco.
- Con l’arrivo dell’Ottocento la materia narrativa del Settecento viene selezionata: all’affresco del
realismo di costume, fiorisce l’indagine interiore dell’io.
- La linea di congiunzione diretta si stabilisce tra memorialistica autobiografica settecentesca
(Confessioni di Rousseau) e romantica introspezione, sotto la specie in primis del foscoliano
romanzo epistolare, come conferma anche l’immediata contiguità cronologica tra la stesura della
Vita alfieriana (1790, 1798-1803) e l’elaborazione dell’Ortis (1798, 1802, 1816).
- Entro i territori dell’esplorazione del «cuore», la svolta introdotta dall’Ortis rispetto all’autobiografia
settecentesca è profonda e comporta il riuso consapevole di une genere come il romanzo epistolare.
La stesura di quest’opera ha tre date, una prima redazione avviene nel 1798, ma su quest’opera Foscolo
lavora tantissimo.
Foscolo nasce a Zante, Giacinto, l’isola greca che era sotto il dominio veneziano, poi da piccolo si trasferisce
molto presto a Venezia. Lui è molto legato a Napoleone e crede che sia la persona giusta per creare lo stato
italiano, e quando con il trattato di Campoformio (1797) Venezia viene ceduta agli Austriaci, tutte le sue
speranze in Napoleone finiscono. Lui è anche impegnato politicamente come ptriotta, quindi inizia ad
essere perseguitato. Il tema dell’esilio è un tema che lo coinvolge (i sonetti sull’esilio sono quelli che si
ricordano di più: a Zacinto; in morte del fratello Giovanni). Essendo che è un tema molto forte, come lo
vive a lui vive il personaggio di Jacopo Ortis.
- Si trattava di un modello imposto in Europa da esemplari illustri: da Pamela (1740) di Richardson,
alla Nuova Eloisa (1761) di Rousseau, dal Werther (1774) di Goethe alle Relazioni pericolose (1872)
di Laclos. Ma da noi era ancora poco frequentato.
Dall’Enciclopedia Treccani: epistolare agg. [dal lat. tardo epistolaris, der. di epistŏla «lettera»]. – Di lettera,
di lettere; che consiste di lettere o si svolge per mezzo di lettere: corrispondenza e. (o
semplicem. corrispondenza), scambio e.; tenere rapporti e., essere in relazione e.; stile e.; romanzo e., in cui
la narrazione dei fatti avviene attraverso una serie di lettere che s’immaginano scritte dal protagonista (per
es., Werther di Goethe e Iacopo Ortis di Foscolo), o anche da più personaggi (per es., Lettere di una novizia,
di G. Piovene). ◆ Avv. epistolarménte, in forma epistolare, per mezzo di lettere: i rapporti fra i due soci si
sono sempre svolti epistolarmente.
Il romanzo epistolare oggi, Ermanno Paccagnini, su «La Lettura» 21 luglio 2020
Da questo articolo sembra che il romanzo epistolare sia molto in voga, nella nostra contemporaneità
persiste come linea quella del romanzo epistolare.
Il romanzo epistolare, per definizione si fonda sullo scambio di lettera. Quindi che cos’è una lettera?
(le informazioni che seguono sono tratte da una studiosa che si è interessata di romanzo epistolare,
Christine Planté, in particolare queste considerazioni sono espresse in un suo saggio “deviazioni della
lettera” che è contenuta in un’opera molto corposa “il romanzo”).
◦ Scritto inviato a qualcuno per comunicargli quello che non si può o non si vuole comunicargli a
voce.
◦ È un messaggio in prosa indirizzato a un assente, che mira a produrre un certo effetto, che spesso
contiene o richiede una risposta.
◦ TEMI: nella comunicazione epistolare nessun tema è vietato. Anzi è lecito passare da un tema
all’altro: dal serio al faceto, dal concreto al sentimentale. Nelle Lettere persiane Montesquieu è
stato uno dei primi a mescolare intreccio amoroso e riflessione politica. Sebbene le lettere non
impongano nessuna tematica, certi argomenti sono più frequenti di altri. Con la lettera, la
normalità, la banalità, fanno irruzione nel romanzo.
◦ Sebbene non abbia un messaggio privilegiato, la lettera contiene un messaggio, una finalità:
dichiara un amore, annuncia una visita, chiede un servizio, richiede un’informazione.
◦ In un romanzo, il messaggio e la finalità della lettera si collocano evidentemente all’interno
dell’universo di finzione, ma la lettera partecipa anche alla costruzione psicologica del personaggio.
(Problematiche ricorrenti: scrivendo si entra inevitabilmente in un universo di finzione. Il primo
problema che si sono posti gli scrittori che hanno utilizzato il genere epistolare era di giustificare le
loro opere, scrivendo all’inizio del libro per esempio “passeggiavo, e mi è capitato di trovare un
fascio di lettere che qualcuno evidentemente ha perso, e le pubblico perché raccontano la storia
ecc…” quindi si vuole fare finta che quelle lettere siano state effettivamente scritte e che l’autore le
restituisce ad un pubblico. Quindi il pubblico crede che vengano effettivamente che vengano
pubblicate delle lettere che qualcuno realmente ha scritto per qualcuno).
L’effetto ricercato si sdoppia quindi in effetto sul personaggio ed effetto sul lettore, instaurando per
così dire uno status di «doppio destinatario». La funzione della lettera e il funzionamento della
comunicazione epistolare ne risultano radicalmente modificati, anche nel caso limite di un romanzo
che riprenda lettere «vere», poiché il testo impone loro un diverso regime di diffusione e di lettura,
diversi destinatari e le distacca dal loro fine pragmatico iniziale.
◦ Messaggio scritto, la «vera» lettera porta di solito una firma, e la sua scrittura è riconoscibile. È un
oggetto, non riducibile al messaggio che veicola o alla funzione che assolve, perché, nei romanzi
come nella vita, può essere strappata, conservata, rispedita. Oggetto che può costituire una traccia
o una prova, la lettera non impegna solo in amore, ma principalmente in amore. Quindi la lettera
non è importante solo per il messaggio che veicola ma anche per tutti il contorno legato alla sua
fisicità (al momento della stampa un po’ si perde, non possiamo vedere la grafia di chi l’ha scritta…
però alcune azioni legate alla sua fisicità rimangono).
◦ Il romanzo di seduzione trova nel genere epistolare una notevole risorsa, la cui portata drammatica
è acuita dalla coscienza che ne hanno i personaggi femminili: Pamela, nel romanzo che porta il suo
nome, si rende conto che accettando una corrispondenza si è infilata in un labirinto inestricabile;
Giulia, nella Nuova Eloisa, riconosce che la sua colpa è consistita nell’aprire la prima lettera. Con le
sue lettere Valmont finisce per sedurre la presidentessa Tourvel nelle Relazioni pericolose.
◦ La lettera è di solito scritta in prima persona. (richiama un po’ l’autobiografia)
In questo modo, il romanzo può aprirsi a una dimensione soggettiva, adottando un punto di vista
individuale, caratterizzato e diverso da quello dell’autore: c’è qualcuno che parla, sente, vive sotto
gli occhi del lettore.
◦ All’estremo, la lettera si rivolge a un tu, o a un voi, che la motiva e può strutturarla interamente. Si
scrive per l’altro e non per sé stessi, spiega la marchesa di Merteuil a Cécile Volanges nelle Relazioni
pericolose, ma la lezione di civiltà viene qui trasformata in arte della seduzione e della doppiezza:
«Dovete capire che quando scrivete a qualcuno, scrivete per lui, non per voi; cercate di dire meno
di quello che pensate e più quello che a lui può far piacere». Nel romanzo epistolare, con il suo
doppio destinatario (personaggio e lettore) gli effetti delle confidenze e della menzogna ne risultano
a volte modificati.
8 ottobre 2021
La lettera è un’interlocuzione, anche quando il romanzo ci presenta una sola voce, il che avviene peraltro di
rado, è comunque la sequenzialità delle lettere che permette lo sviluppo di un racconto.
Il caso limite di un romanzo costituito da una sola lettera, che ha origine nelle Eroidi di Ovidio, ha sì alcune
attestazioni ma la costruzione, assai più frequente, di una serie di lettere va comunque analizzata.
Es. Oriana Fallaci lettera ad un bambino mai nato: lunga lettera destinata ad un bambino mai nati
Il primo effetto che creano questi romanzi:
◦ Il suo primo effetto è la discontinuità: le sequenze che si susseguono non hanno l’unità narrativa dei
capitoli di un racconto in terza persona, e i vuoti possono ben corrispondere a importanti ellissi
narrative, ma anche una posticipazione o anticipazione di eventi che si scoprirà poi essersi svolti
prima. L’effetto di discontinuità insito nell’accumulazione di testi leggibili ciascuno in modo
autonomo è rafforzato nel romanzo polifonico dalla pluralità delle voci e dei punti di vista – con
tutti i malintesi e le contraddizioni che ne derivano.
◦ Romanzo polifonico, costituito da tante voci diverse che si possono incastrare… Si avranno diversi
punti di vista, diversi modi di esprimersi. Ciò riesce a trasmettere un senso maggiore di veridicità.
Il romanzo epistolare presenta tipi di scrittura molto diversi fra loro.
Il romanzo epistolare nasce come tipo di scrittura privata, solo dal Settecento diventa un modello.
Secondo Christine Planté «all’apogeo del genere, tra il 1741 e il 1800, un romanzo su cinque pubblicato in
Inghilterra è un romanzo epistolare, e (...) tra il 1760 e il 1780 si pubblicano in Francia in media dieci
romanzi epistolari all’anno». In quest’arco di tempo, cioè, la forma epistolare è centrale se non egemone
nella scrittura romanzesca francese e inglese.
Tale fascino ha a che fare innanzi tutto con lo svelare a qualcuno che non è il destinatario il contenuto di
documenti epistolari finiti nelle mani dello scrittore/editore nei modi più disparati (sacchi postali dispersi,
armadi di case di campagna, giardini, e così via), documenti presentati come autentici e spesso creduti tali
dal lettore; poi con l’illusione del lettore medesimo di poter penetrare nell’animo individuale, nei
sentimenti di chi scrive; quindi con l’esotismo o la singolarità di quanto viene raccontato nelle lettere o, per
converso, con la loro quotidiana ordinarietà: tutti elementi che rafforzano, in modo opposto ma
complementare, l’impressione di verità dello scritto.
Secondo Laurent Versini, la Nuova Eloisa di Rousseau è una pietra angolare del genere, in quanto ha reso il
linguaggio dei sentimenti alla portata di tutti. Tale capacità di divulgare un linguaggio dei sentimenti
naturale e largamente comprensibile è forse l’acquisizione più rilevante del romanzo epistolare del
Settecento. Con ciò non significa abbassare il livello di scrittura, bensì aprire il romanzo epistolare ad un
pubblico più vasto a cui è accessibile tramite la semplicità.
Dalla Nuova Eloisa discende il Werther (1774) di Goethe, a sua volta divenuto modello per altri romanzi che
rendono esemplare l’eroe maschile, giovane non in sintonia col mondo che lo circonda e affascinato da
pulsioni autodistruttive (Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802).
Il tema amoroso è abbastanza frequentato nel romanzo epistolare, come ad esempio “relazioni pericolose”
di Laclos, si tratta di uno scambio epistolare fra due protagonisti che forse rischiano qualcosa scrivendosi, e
ciò diventa decisivo all’interno della narrazione.
Quando poi alle società di antico regime si andranno a sostituire gli stati che si stavano formando e che poi
si imporranno poi nell’800, l’elemento politico diventerà sempre più preponderante.
Già entro la metà dell’800 con l’arrivo del romanticismo, il romanzo epistolare inizia a svanire… Non è forse
un caso che la giovanissima Jane Austen si sia subito misurata con la scrittura epistolare (Love and
Friendship, 1790; Lesley Castle, 1792; Lady Susan, 1795), per poi decidere di lasciarla: e comunque Sense
and Sensibility (nella prima stesura, Elinor e Marianne) fu abbozzato in forma epistolare e Pride and
Prejudice (1813) pare sia stato pensato inizialmente come romanzo per lettere.
Anche Leopardi, conosciuto più per le operette morali e la raccolta di canti, anche lui pensa di scrivere in
forma epistolare… Lo si ritrova proprio in una nota dello Zibaldone.
Autori anche affermati quindi (Austen, Leopardi) si avvicinano al genere epistolare ma poi abbandonano. E’
un genere che viene preso in considerazione quando si pensa in quale forma scrivere.
Versini ha giustificato la fine dei tempi d’oro del romanzo epistolare per via del cambio di società.
Se la lettera è, infatti, una forma di conversazione scritta, lettera e conversazione non sono che due facce
della stessa medaglia, due forme di commercio tra gli individui che costituiscono la dignità dell’uomo.
Il roman par lettres si presenta così quasi come una naturale espressione artistico-letteraria di quella
civiltà̀. E quando quella civiltà viene meno, anche tale sua espressione perde vitalità.
In Italia c’è il romanzo pseudo epistolare di Gian Paolo Marana, L’esploratore turco (pubblicato a Parigi,
Barbin, 1684-1686, più volte ripubblicato, tradotto e rimaneggiato variamente, forse anche da altre mani):
secondo alcuni ha costituito un modello per le Lettere persiane di Montesquieu.
Ma, per la diffusione della conoscenza del genere, sono da registrare soprattutto le traduzioni,
specialmente dal francese: Lettere d’una peruviana della Graffigny (più volte pubblicate in volume
autonomo a partire dall’ed. Venezia 1754): vi si ispirò, tra gli altri, Goldoni nella tragicommedia del 1754-
1755 La peruviana; o alle Lettere di Milady Giulietta Catesby a Milady Enrichetta sua amica di M.me
Riccoboni (Venezia 1786).
Vanno considerate poi le traduzioni fatte passare per originali, com’è il caso della Corrispondenza tra Giulia
e Ovidio.
A volte è difficile capire se si ha davanti una pubblicazione originale o una traduzione, perché magari viene
modificato il titolo.
Tra i romanzieri italiani del Settecento il prolifico Chiari usa la forma epistolare nella Viaggiatrice, o sia le
avventure di Madamigella E.B. scritte da lei medesima in altrettante lettere all’abate Pietro Chiari e da lui
pubblicate (1760), ma anche altrove documenta conoscenza o memoria di romanzi epistolari, come
nell’Amore senza fortuna o sia memorie di una dama portoghese scritte da lei medesima (1763) o nel
pedagogico Lettere di un solitario a sua figlia (1772).
Per questi dilettosi monti di Carlo Botta (1796, lasciato inedito e pubblicato di recente); le Lettere solitarie
di Giovanni Battista Micheletti (1801); e il Platone in Italia (1804-1806) di Vincenzo Cuoco.
In ogni caso, con la diffusione dei romanzi inglesi (di Richardson in ispecie, in traduzione francese) e
francesi, il romanzo epistolare incontra fortuna anche in Italia, soprattutto nei formati – l’ottavo o il
dodicesimo – da letteratura di consumo. (secoli in cui escono molte puntate sui giornali)
Fin dal Settecento si avvertisse la mancanza di una produzione in italiano. Per esempio: Alfieri nella Vita
dice che in adolescenza ha letto molti romanzi francesi «ché degli italiani leggibili non ve n’è». Casanova,
per sedurre una sua conquista, sostiene d’aver acquistato molti romanzi tradotti perché italiani non ce ne
sono.
◦ Nel secondo Ottocento italiano registriamo Storia di una capinera di Giovanni Verga (1871), Prima
morire, della Marchesa Colombi (1896) e il rivisto :riflessi/Allegoria di Novembre, di Aldo
Palazzeschi (1908-1958).
◦ Nei decenni centrali del Novecento si assiste a una relativa ripresa della forma epistolare, con
modalità differenti da quelle settecentesche ma che comunque ribadiscono l’uso prevalentemente
sentimentale-introspettivo della forma epistolare: escono Lettere di una novizia di Guido Piovene
(1941) (in effetti un romanzo epistolare a più voci); il metaromanzesco Lettera all’Editore di Gianna
Manzini (1945); nel 1956 sono pubblicate in volume (già erano comparse su «Cinema nuovo») Le
lettere di Ottavia di Luigi Malerba, undici letterine, come un racconto a puntate, in cui la giovane
Ottavia, approdata nella Roma del cinema, scrive al fidanzato Filippo, rimasto in provincia.
◦ Del 1959 è il racconto epistolare di Alberto Arbasino Il ragazzo perduto poi rifuso nell’Anonimo
Lombardo (1966); hanno forma epistolare anche Caro Michele (1973) e La città e la casa (1984) di
Natalia Ginzburg; un carattere epistolare-monodico nell’andamento monologante con un
interlocutore inevitabilmente muto ha pure Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci (1975);
nel 2001 esce, di Antonio Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere,
dove le diciassette lettere di diciassette uomini ad altrettante figure femminili, cui infine risponde
una voce femminile lontana e pietosa, paiono presentare quasi un rovesciamento delle Heroides di
Ovidio.
D’altronde se «a Venezia le dame portavano i cappelli “alla Pamela e alla Clarissa”» e «le eroine dei
romanzi erano tenute a modelli di vita», ciò indica un fenomeno di moda significativo, di cui Venezia,
peraltro, pare costituire il polo editoriale centrale, con ogni probabilità anche in ragione di una censura più
tollerante.
◦ Janet Gurkin Altman, Epistolarity: Approaches to a Form, Ohio State University Press, Colombus,
1982. La sua definizione riguarda la nozione di epistolarità: «l'uso delle proprietà formali della
lettera per creare significato», così esamina l'implementazione del potenziale della lettera per
creare significato narrativo, figurativo o altro.
«Mi sto concentrando su quelle occasioni, ovunque si trovino, in cui la creazione di significato
deriva dalle strutture e dalle potenzialità proprie della forma della lettera».
Caratteristiche: l'uso particolare dei pronomi io e tu; relatività pronominale e temporale; versatilità
temporale; il rapporto confidenziale tra scrittori di lettere; il ruolo attivo del lettore; "La lettera
come unità (unit) e la lettera come uniformità (unity)».
Anche qui c’è l’idea che la lettera non possa essere una mera comunicazione vuota in cui c’è uno
sfogo e poi tutto finisce lì, ma è legato all’idea di una trama che deve proseguire e deve avere
significato narrativo. Ma non abbiamo definizioni tecniche su quanto debba essere lungo o corto
ecc.
Lezione 14/10/2021
Passaggio fra i libri di lettere e il romanzo epistolare= lettura in classe su scheda (file: lettere e libri di
lettere).
In questi due secoli 400 e 500 gli editori e i ristampatori sono interessati a pubblicare scambi epistolari
reali; quindi, le vere lettere conservate da questi autori.
“Si adattavano variamente lettere realmente scritte” quindi qui iniziava a modificarsi e si lavorava sul testo,
la lettera viene presa e viene in parte modificata.
Aldo Manuzio= stampatore più famoso di Venezia.
Qui siamo prima del romanzo epistolare, nel 400 si parla di alcune stampe ma si parla di pubblicazione di
carteggi; quindi, di lettere condivise fra persone ad uso personale, famigliare o di lavoro, e vengono
riadattate in vista della pubblicazione. Sono di singoli autori che all’epoca si ritenevano importanti o
possono contenere al loro interno più voci.
Per scrivere queste lettere ci si ispira a dei prontuari proprio perché deve imparare ad impostare una
lettera; quindi, si prendeva un modello dei grandi epistolari del passato e si vedeva come era scritta una
lettera.
Il testo è tratto da “storia della letteratura italiana – dal cinquecento al settecento” di Giulio Ferroni.
UGO FOSCOLO
Vita : Nasce a Zacinto nel 1778. Zante è un’isola greca, al momento sotto il dominio veneziano. Nel 1792 si
trasferisce a Venezia con la famiglia, il padre ha origini veneziane. Il suo nome di nascita è Nicolò. Compie i
suoi studi a Padova, dove ha anche occasione di frequentare alcuni salotti letterari, il più famoso dei quali è
quello di Isabella Teotochi Albrizzi e a Padova ha come insegnante all’università Melchiorre Cesarotti.
Nel 1804, Napoleone inizia a radunare il suo esercito per combattere contro gli inglesi e Foscolo decide di
partire; quindi passa due anni al nord della Francia, tra il 1804 e il 1806 a combattere contro gli inglesi, qui
conosce una ragazza di cui s’innamora e da cui avrà una figlia.
Quando le truppe vengono ritirate, Foscolo torna a Milano e conosce due personaggi molto importanti:
Parini e Vincenzo Monti (neoclassicista).
Nel 1807 pubblica “dei sepolcri” e la traduzione del primo libro dell’iliade.
Nel momento in cui gli austriaci prendono il potere, foscolo cerca di mascherare la sua posizione
filofrancese, e decide di iniziare la sua collaborazione con il giornale “la biblioteca italiana”, giornale filo
austriaco. Facendo così però, sembra quasi un traditore da parte dei francesi che fino a quel momento lo
avevano appunto visto tra le loro fila e lo avevano considerato uno dei loro. Quando poi nel 1515 viene
chiesto un giuramento agli austriaci, Foscolo decide di scappare perché anche se vuole mascherare questa
sua posizione, in realtà non si sente di giurare fedeltà all’Austria e quindi scappa via e va in Svizzera.
In Svizzera Foscolo è però un ricercato. Tra il 1815 e il 1816 riesce a stare fermo a Zurigo, ma nel 16 decide
di trasferirsi a Londra dove starà fino alla sua morte nel 1827.
In questi dieci anni a Londra scrive soprattutto dei saggi che riguardano in particolare le origini della nostra
letteratura e dei nostri grandi classici.
Continua a lavorare sul poema “delle grazie” iniziato già a firenze che però non porterà mai a termine e
lavora alla traduzione dell’iliade di cui abbozza i primi 3 volume ma non completa gli altri 7.
A Londra Foscolo conduce un tipo di vita un po’ sopra alle sue possibilità, si indebiterà , verrà messo in
carcere e quando morirà si troverà in assoluta povertà per questo suo modo di vivere.
Nel 1871 il suo corpo viene portato nella basilica di santa croce a Firenze dove ci sono altri corpi di grandi
autori italiani.
Altra opera molto importante di Foscolo e il suo “Saggio sulla letteratura italiana contemporanea”, in
questo saggio Foscolo metter nero su bianco un punto che divide la sua generazione dalla generazione di
quel momento (Parini, Alfieri, Monti ecc), e questo punto che fa da spartiacque fra le due generazioni è la
rivoluzione del 1795.
Collegato a questo individua anche alcune caratteristiche che lo hanno plasmato come scrittore:
- il totale rivolgimento nelle condizioni politiche del paese, cioè tutti gli scontri che si stanno avendo
nel paese, per l’emergere di una classe media, i principi della Rivoluzione francese (liberte, egalite,
fraternite)
- la sua educazione militare
- la parte che egli ebbe nella partecipazione pubblica, cioè la sua partecipazione in prima persona alla
politica.
Quindi quello che lui ci lascia scritto nel suo saggio sulla letteratura contemporanea è legato ad una
situazione politica, e questo sottolinea che il suo impegno della vita privata e pubblica, e il suo bisogno di
partecipazione e di prendere posizione, influenza ciò che lui scrive.
Il filologo lavora sui testi (quasi sempre sui manoscritti), studia la storia dei testi, va a cercare quel foglio
scritto a mano per capire quale versione si avvicini di più.
Ciò si fa per trovare la forma pensata dall’autore.
Nel 1798 Foscolo inizia la stesura di questo romanzo. Non riesce a completarlo come vorrebbe e cede il
manoscritto incompleto a Jacopo Marsigli, gli dice di iniziare la stampa. Marsigli investe tempo, inizia a
lavorarci. Ma Foscolo poi si arruola, quindi Marsigli si trova li con un testo incompleto su cui ha già lavorato
e investito mesi nella preparazione di questa stampa, quindi chiede a Angelo Sassoli (uno studioso letterato
bolognese) di completarlo. Questo lavoro fatto da Sassoli termina prima dell’arrivo degli austriaci. Marsigli
sapeva che avrebbe rischiato la censura, quindi Marsigli decide di modificare/ sistemare il lavoro già
toccato da Foscolo e Sassoli e cambia il titolo in “vera storia di due amanti infelici, ossia ultime lettere di
Jacopo Ortis” e la pubblica (1799). Questa versione viene poi ricordata come versione 1799a.
Viene pubblicata una ulteriore versione che verrà a quel punto intitolata 1799b (perché verrà pubblicata
nel 1800 ma su frontespizio avrà ancora la data del 1799) che ha le prime 45 lettere scritte da Foscolo e le
restanti da Sassoli.
Foscolo quando si rende conto, il 3 gennaio del 1801, sulla gazzetta universale, sconfessa tutte le edizioni in
circolazione fino a quel momento.
Nel 1802 pubblica le ultime lettere di Jacopo Ortis a Milano con le cure della stamperia del genio
tipografico (editore milanese).
Succede però che le ristampe a volte non sono pulite chiare e perfette ma scorrette perché la stampa non
funzionava ancora benissimo. Quindi quando si trova in Svizzera (editore Fussli) abbiamo questa edizione
del 1816 fatta a Zurigo, ma sempre per evitare il rischio censura viene intitolata Londra 1814.
Una terza e ultima edizione l’abbiamo quando Foscolo si trasferisce a Londra nel 1817 (edizione Murray) e
qui l’opera è divisa in due volumi; a seguire le ultime lettere Jacopo Ortis, la notizia, alla fine c’è anche un
pezzo di traduzione de “il viaggio sentimentale” di Sterne.
La seconda versione, rispetto alla prima, accentua di più il tema politico rispetto al tema amoroso.
Il lettore considera il 1802 come data di riferimento.
TRAMA
Il protagonista è Jacopo Ortis, Foscolo si ispira alla vicenda di uno studente padovano morto suicida di
nome Girolamo Ortis. Il protagonista ha 20 anni, quando l’esercito inglese nel maggio del 1797 sta
arrivando. Il maggior consiglio (organo più importante della repubblica di Venezia) dichiara lo scioglimento
e viene dichiarata la repubblica di Venezia. Si nasconde nei colli euganei, dove conosce Teresa e se ne
innamora, solo che essa è promessa sposa ad Odoardo, uomo facoltoso ma abbastanza rude. Jacopo non
sopporta il fatto di non poter amare questa ragazza e decide di spostarsi, prima a Firenze, poi a Milano, sta
per espatriare verso la Francia ma decide di tornare indietro, va a Ravenna a vedere la tomba di dante,
prima era stato a Milano dove aveva incontrato Parini, torna in veneto e decide di suicidarsi.
In questo romanzo la vita dell’autore e quella del ragazzo continuano ad intrecciarsi, vita e arte continuano
a sovrapporsi, sembra che Foscolo stia facendo letteratura utilizzando molti dati autobiografici:
innanzitutto i dati storici; alcune lettere che ritroviamo all’interno dove si parla dell’amore verso Teresa
(personaggio inventato), corrispondono a vere lettere che Foscolo destinava ad amanti o anche amici;
alcune edizioni riportano anche delle immagini, non sono solo testo (i 4 rami in cui parla nella notizia. Rami
sta per disegni. L’edizione dell’Ortis aveva 4 illustrazioni iniziali, la prima è il ritratto dell’Ortis che in realtà è
il ritratto di Foscolo, e nel corso degli anni lo fa invecchiare come lui invecchia).
Foscolo nella notizia che mette davanti nell’edizione che ha mandato la prof, in questa edizione è stata
ristampata l’ultima edizione “Londra 1817”, perché il curatore decide di ristampare questa edizione perché
è l’ultima versione su cui Foscolo ha lavorato; quindi, è da ritenersi quella definitiva (nella filologia viene
chiamata “ultima volontà dell’autore”).
Lezione 15/10/2021
Edizione del 1817,pubblicata a Londra, alla cui edizione viene messa davanti questa nota di Ugo Foscolo:
(ecc. vedi scheda notizia)
In realtà lui sta come parlando di un’edizione precedenze che in realtà non è stata fatta, quindi sta
giocando sulla genesi compositiva dell’opera.
L’uno è il ritratto dell’Ortis: immagine di se stesso; l’altro è l’immagine di Teresa, la ragazza amata
all’interno della vicenda; l’ultima vignetta è un monumento sepolcrale con l’iscrizione in latino “somno”.
Ultima vignetta riporta i versi di Dante del purgatorio “libertà va cercando che è si cara, come sa chi per lei
vita rifiuta” riferendosi a Catone, il quale attua il suicidio come ricerca della libertà, per non sottomettersi
ad una dittatura che lui non condivide. Personaggio di Catone torna molto bene per riportare il destino di
Jacopo.
SOMNO = l’idea del sepolcro. Dopo che napoleone fa spostare i cimiteri fuori dalla città, c’è questa
riflessione di Foscolo che vede nell’elemento della tomba l’unico oggetto che rimane a colui che è in vita
per dialogare con/per la persona che non c’è più.
(Fino ad ora Foscolo utilizza la parola Editore, dopo la cambierà.)
Foscolo qui riassume la trama:
Ripercorre esattamente la vicenda politica che i lettori del tempo stanno vivendo e da un giudizio sui suoi
concittadini che non sanno organizzare una resistenza secondo lui
“Quando poscia poté col tempo considerare (…)”: prima riflessione sul ruolo del protagonista e ruolo
dell’autore.
Adesso non si parla più di editore, cioè di colui che aveva pubblicato il libro, ma parla dell’autore quindi è
Lui Foscolo e in quest’ultima frase sta parlando di ciò che ha scritto lui cioè i frammenti politici sulle
sciagure dell’Italia, le meditazioni sull’idea della morte, le tante lettere scritte alla giovane amata ecc che si
riversano sul personaggio, il giovane Jacopo.
Foscolo sta presentando la propria opera mettendo la materia sotto un’esperienza autobiografica, e che di
questa materia fatte da lettere scritte da lui sceglie una nova forma (epistolare sostanzialmente) e lo
pubblica sotto un nome che non è il suo ma quello di Jacopo Ortis.
Jacopo Ortis alter ego di Ugo Foscolo e giustifica la scelta del nome con questo studente padovano che in
realtà di nome fa Girolamo Ortis. Gli studiosi poi rimandano la scelta del nome Jacopo come omaggio a
Jean-Jacques Rousseau, considerato un po’ il padre del romanzo epistolare.
Una delle frasi più importante di questa notizia: “Così dal nome in fuori e dall’atto del suicidio (=al di fuori
del nome e dell’atto del suicidio consumato) lo scrittore rappresentò sé medesimo tale e qual era nei casi
della sua vita, nell’indole e nell’età che egli aveva (…)”. Qui c’è proprio la sovrapposizione fra il personaggio
di Jacopo e quella di Ugo Foscolo.
Lui sembra introdurre una riflessione sul fatto di prendere il dato storico e quello reale da inserire
all’interno del romanzo, come poi farà Manzoni.
La vicenda è vera nei fatti ma le passioni vengono esagerate perché chi le racconta ne è stato protagonista
e spettatore allo stesso tempo.
Foscolo ha pensato di riutilizzare quel materiale che lui ha realmente scritto senza pensare che un giorno
avrebbe pubblicato all’interno di un romanzo.
Poi la sua idea è cambiata perché prende come modello i dolori del giovane Werther di Goethe, in cui c’è
un solo mittente di lettere che scrive ad un solo amico che è muto e inoperoso e che quindi non produce
alcuna risposta, e ciò produce l’effetto che il lettore rimane ben concentrato sull’unico personaggio.
Foscolo ammette di essersi ispirato a quest’opera perché la reputa particolarmente efficace.
Differenze fra l’opera di Foscolo e quella di Goethe:
Differenze soprattutto sulla scena finale e i motivi per cui i due protagonisti decidono di suicidarsi.
Un’altra diversità oltre a quella del suicidio è la differenza di atteggiamento nei confronti dell’opera,
Goethe ci ha lavorato per molti anni, mentre Foscolo ribadisce per se stesso una scrittura giornaliera, come
se fossero effettivamente delle lettere scritte a mo’ di diario.
La differenza anche a livello tematico: in Werther unico tema è l’amore mentre in Ortis ci sono molteplici
sentimenti coinvolti.
Erano state mosse delle critiche alla vita di Foscolo su alcuni giornali e lui in due tre righe dichiara che ciò
che è stato scritto è falso e che non deve discolparsi di questo.
! Arrivato alla conclusione di tutta questa disertazione in cui lui si discolpa di alcune accuse a lui fatte dice
che forse avrebbe fatto meglio a tenersi per lui la sua opera e che in realtà la sua idea era quella di
inculcare nei giovani e nelle donne, cioè ai lettori di questo libro, per mezzo di un libro amoroso (tema
dell’amore dichiarato). Lui sta mettendo su due piani l’idea di libertà: la libertà di scegliere di non vivere,
per vivere secondo la propria libertà si può arrivare al gesto di darsi liberamente la morte.
La prima pagina che il lettore legge appena apre il libro trova una nota rivolta proprio a lui ed è firmata da
Lorenzo Alderani. Lorenzo Alderani è l’amico a cui Jacopo indirizza le lettere, alter ego dell’amico di Foscolo
Gianbattista Nicolini. Il nome Lorenzo non è casuale ma è ispirato a Lawrence Sterne, l’autore su cui
Foscolo ha lavorato per molti anni come traduttore.
La chiusura di questo sonetto, gli ultimi tre versi riportano lo stesso tema che c’è nel romanzo. Spesso
Foscolo attacca in maniera molto diretta con “Né più mai toccherò le sacre sponde” proprio per accentuare
l’impossibilità da parte del poeta di ritornare nella sua terra di origine. E chiude dicendo che essendo
lontani dalla patria loro non avranno una sepoltura su cui andare a piangere.)
Altro sonetto sempre degli stessi anni è quello del “ A mio fratello Giovanni”, scritto negli stessi anni, giorni
e mesi in cui lui ha scritto il romanzo, anche in questo sonetto, nella seconda quartina c’è l’immagine della
madre che parla sulla tomba con il fratello che non c’è più definito “cenere muto”. Poi anche alla fine
chiede alle straniere genti, quindi all’invasore, di rendere alla madre il suo corpo morto e di far si che lei
possa avere il suo corpo per piangerlo.
Altro aspetto importante lo ricaviamo dall’espressione “Noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue
degli italiani”: si riferisce alla situazione politica confusa, diversi regni che si alternano, nascono, stanno un
attimo in vita, ma poi arriva qualcuno che prende le città e le trasforma in altre nazioni. Quindi fra di loro
c’è una sorta di guerra civile visto che l’idea di italiani non è ben consolidata.
Qui il problema, ribadito poi anche nella lettera successiva è: l’idea della necessità di fuggire ma dove
cercherà rifugio? L’Italia è ormai considerata prostituita, e che non è in grado di rispondere all’avanzare del
nemico e di chi la vuole occupare. Questo è lo scenario su cui si apre il romanzo.
Tornerà il paesaggio dei colli euganei dopo tutta la peregrinazione che Jacopo farà nelle città italiane dove
avrà modo di vedere più da vicino la vita della città che all’inizio dell’800 era molto diversa dalla vita in
campagna. Quando parla dei colli euganei ci sono descrizioni della natura, e molto spesso nell’800 succede
che la natura è partecipe delle emozioni dell’uomo (romanticismo).
All’interno del testo c’è un salto temporale in cui Jacopo ammette di non aver scritto a Lorenzo per due
mesi. Quindi dopo due mesi si rifà vivo con i due temi sempre presenti cioè quello dell’amore verso la
patria e quello verso Teresa, e qui si aggiunge anche l’amore verso l’amico. Queste due emozioni vanno
sempre di pari passo.
“O strugge” = consuma lentamente.
C’è sempre l’amore per la patria legato ad una condanna verso quello che non fanno i suoi concittadini,
cioè il fatto che non si ribellino ai nemici. Sono degli illusi coloro che pensano che questi nemici vengano
per amore della patria. Anche l’idea che la libertà si possa comprare col denaro è da illusi, serve ben altro.
“Giovine Eroe nato di sangue italiano, dove si parla il nostro idioma”: Napoleone nato in Corsica (all’epoca
Italia), quindi italiano.
Poi c’è un paragone con personaggi che hanno a che fare con gli imperi turchi e persiani che hanno
svenduto i loro cittadini per la libertà ma napoleone ha fatto ben peggio. (Sta dipingendo Napoleone
peggio di un generale persiano, quindi ovviamente doveva essere censurato)
All’interno di questo testo ci sono accuse pesanti verso Napoleone e cerca di attenuare le accuse con la
frase “mi preoccupa il destino della mia patria” mettendo in risalto quanto lui sia preoccupato per la sua
patria.
Riferimento poi ad una classe sociale nascente in quel periodo, la borghesia (professori, dottori ecc):
se non abbiamo il controllo sul nostro territorio siamo plebe, il popolo quello più semplice e umile, meno
misero (classe borghese) però non meno sottomessa. Non può esistere un popolo se non c’è una patria in
cui si riconosce, il popolo deve abitare la sua patria. Esorta ancora l’Italia a cercare una sua libertà.
Lettera del 4 maggio: cambia lo stile, come il sole torna dopo la tempesta così lui vede Teresa dopo un
momento buio.
“alla fine s’imparadisa nella contemplazione della sua bellezza” quando vede Teresa gli sembra di essere in
paradiso.
Illusione dell’amore: paragone: come chi lavora la campagna alla sera si ubriaca, usa il vino per sopperire
alle fatiche della giornata così l’illusione dell’amore è per Jacopo.
Lettera del 12 maggio: pure le guance di lei sono associate ad un elemento naturale, la rugiada.
La scena: lui sta per baciarla, ma si tira indietro.
Due stili (quando parla della patria e quando parla di Teresa) sono diversi ma hanno qualcosa che li
accomuna è l’enfasi che lui ci mette. C’è lo stesso stile incalzante, la stessa emozione, nonostante parli di
due temi molto diversi.
◦ La parola romanticismo comincia a essere usata in Italia per definire una particolare tendenza
estetica e letteraria all’inizio dell’Ottocento: la prima attestazione sembra risalire al 1814, nel
periodico «Lo spettatore italiano».
◦ In inglese, l’aggettivo romantic aveva allora già due secoli di storia, e il suo significato non era molto
diverso dall’attuale: il termine deriva infatti da romance, quei racconti fantastici nei quali, a partire
dal Seicento, si raccontavano storie d’avventura e storie d’amore idealizzate. Romantico è dunque,
almeno in origine, qualsiasi atteggiamento o qualsiasi prodotto artistico nel quale sembri rivivere
l’atmosfera del romance, un’atmosfera diversa da quella della realtà di tutti i giorni. Dall’inglese,
l’aggettivo passa al francese (romantique), e a fine Settecento, in Germania (paese dove abbiamo il
romanticismo più puro), intellettuali come Friedrich Schlegel e Friedrich Schiller cominciano a
parlare esplicitamente di Romantik (sostantivo: die Romantik, “il Romanticismo”) in opposizione ai
canoni estetici del Classicismo.
Caratteristiche
◦ ll rifiuto dei valori estetici assoluti – I romantici rifiutano i valori estetici assoluti, cioè validi in ogni
tempo: questi valori, a loro avviso, devono sempre essere calati nella storia. Perciò non si possono
formulare delle regole valide in astratto né assumere come modelli determinati autori, come invece
facevano i classicisti, che guardavano come alle opere greche e latine da riproporre.
◦ La valorizzazione del patrimonio popolare - I romantici si interessano alla rivalutazione del
patrimonio popolare di ogni nazione. (Tema della patria, tradizioni, storia dei popoli, peculiarità e
caratteristiche di una nazione ecc)
◦ Il rifiuto dell’imitazione - L’esaltazione della spontaneità fa sì che vengano svalutati i sentimenti
simulati o privi di intima convinzione, come quelli che spesso si esprimevano nella poesia d’amore.
◦ La Sehnsucht: “smania di desiderio” - Nelle loro opere, i romantici danno ampio spazio alla
sensibilità, alle passioni, ai sentimenti: l’amore, la malinconia, la tristezza. La disposizione più tipica
dell’animo romantico è la Sehnsucht, che significa letteralmente “smania di desiderio”: una
profonda inquietudine causata dalla percezione che alla vita “manca qualcosa”, percezione che
rende la realtà sempre insoddisfacente e spinge l’animo a cercare sempre “altro”. Quindi sente
sempre che alla vita manca qualcosa e sente l’esigenza di spingersi più in la per colmare questa
sensazione di vuoto. (Es. il viandante sul mare di nebbia di C. D. Friedrich, la nebbia esclude la
visuale ma ci fa capire che lui sta cercando qualcosa oltre l’orizzonte. Il termine viandante fa capire
esattamente l’atmosfera perché il viandante è colui che erra, si perde, si ritrova, si riperde… questo
è il percorso del viandante.)
In Germania
◦ Almeno nelle sue origini, il Romanticismo è una tendenza soprattutto tedesca. Il movimento viene
chiamato Sturm und Drang (Tempesta e impeto), e si sviluppa tra il 1765 e il 1785.
◦ Grande interesse per: la natura, non modificata dall’intervento dell’uomo, per il genio, per le
passioni forti e per l’illuminazione come mezzo di conoscenza che può prendere il posto del
ragionamento razionale.
◦ Il primo romanzo più significativo di questa stagione è sicuramente I dolori del giovane Werther di
Goethe, 1774: a disagio nella società e innamorato senza speranza di una donna sposata, Werther
si uccide. Da questo capolavoro prendono le mosse le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo,
1802.
In Italia
◦ Il 1816 è l’anno inaugurale del Romanticismo italiano, un movimento che ha interessato in
particolare l’area settentrionale, specie lombarda. Parchè nel nord Italia, specie nella zona di
Milano, è stato più forte il pensiero illuminismo. Di qui è passata infatti la strada verso il
Romanticismo, in regioni dove è stata più concreta l’esperienza del riformismo illuminato.
◦ Il Romanticismo in Italia costituisce una tendenza moderata liberale d’ispirazione cattolica che
concilia continuità e innovazione. Tende a ricondurre l’esercizio letterario allo studio della storia e
delle questioni civili, riconoscendo alla letteratura una funzione educativa, in senso sociale e
morale, una possibilità di concreto intervento sul campo della pratica culturale e politica (con
politico si intende patriottico). Di qui la ricerca anche di un pubblico più ampio rispetto al passato.
◦ Così si spiega l’apertura verso il genere popolare del romanzo e verso il rinnovamento del teatro
tragico (sulla linea della riforma goldoniana). Rif. A Goldoni, la commedia deve essere fruibile ad un
grande pubblico.
IN ITALIA…
Molti studiosi ritengono Manzoni l’ideatore del romanzo moderno in Italia, di fatto i promessi sposi è
un’opera in cui sono contenuti tutti i suoi ideali: le diverse sfaccettature della sua personalità vengono
condensate in quest’opera. In più Manzoni non aveva modelli in Italia, quindi inizia a lavorare su un genere
per il quale non aveva modelli. Già nel 1825 l’opera è compiuta, con grande fatica visto che non aveva nulla
a cui ispirarsi se non il romanzo francese del 1700 Walter Scott, che è il suo grande punto di riferimento
come autore.
Si trova a dover inventarsi un genere e pensa di cercare il suo tema nella storia; quindi, decide di
raccontare la storia e le vicende della gente comune (di fatto Renzo e Lucia appartengono alla classe
sociale medio- bassa e si scontrano poi con l’alta classe sociale).
Scrive anche odi (5 maggio); il “saggio del romanzo storico” in cui lui ragiona su quello chè è il romanzo,
inizia a scriverlo negli anni ‘30 anche se lo concluderà solo verso gli anni ’50, e riflette proprio sui
“componimenti misti di storia e di invenzione” che diventa suo oggetto di riflessione, parallelamente alla
stesura della sua opera. Raramente chi scrive un romanzo si interroga sulla teorizzazione del genere e del
romanzo stesso. La conclusione a cui giunge in questo saggio è che il romanzo tenta una sorta di sintesi
impossibile tra l’invenzione della fantasia (da lui definito come “vero poetico”) e il documento storico (=
“vero positivo”). Nei promessi sposi, infatti, ci sono stati richiami a fatti storici realmente accaduti, come la
peste. Promessi sposi= punto saldo del romanzo italiano.
Dopo Manzoni, che ottiene un successo incredibile anche fra i colleghi (es Baricco, ma tanti altri che però
non rimarranno nel canone dei classici italiani) oltre che al pubblico, tutti fanno i conti con quest’opera (i
promessi sposi) e, o qualcuno sceglie di imitarlo, oppure si scrivono libri di memorie.
Sia i libri di memorie che i romanzi storici hanno un unico fine, entrambi i generi vogliono diffondere idee
patriottiche e creare una sorta di educazione per il popolo italiano che sta nascendo. L’intento di chi scrive
romanzi in questo periodo degli anni ’30, anni ’40, anni ’50, è quello di far capire a tutto il pubblico che
questi romanzi appartengono ad una nazione importante, nascente ed emergente che ha una lunga
tradizione culturale alle spalle. Tuttavia, c’è un rovescio della medaglia, la situazione politica ci dice che
l’Italia non è ancora libera, perché c’è ancora qualcuno che è in Italia per governare, di conseguenza uno
strumento molto usato è la censura. Sotto Napoleone la censura è molto rigida, quindi è improbabile
inserire nei propri testi idee che criticano il potere.
La letteratura diventa uno strumento per dire ciò che non si può scrivere apertamente sui giornali. Questo
non avviene sempre con lo stesso genere, ad esempio Giovanni Berchet, Tommaso Grossi e Giuseppe
Giusti sono scrittori che scrivono narrativa in versi, che è un genere vecchissimo o la ballata che è un
genere sempre in versi, altri scelgono il teatro per esprimere le proprie idee patriottiche.
Sicuramente però predomina il romanzo storico, ricordiamo le traduzioni, iniziano a circolare tantissime
tradizioni di Walter Scott; Massimo D’Azeglio nel 1832 scrive Ettore Fieramosca, romanzo che tratta di un
cavaliere (Ettore appunto) che affronta e sconfigge dei cavalieri francesi nella disfida di Barletta (fatto
storico, il protagonista che da nome al romanzo è un personaggio che si batte per la patria); altro titolo da
ricordare è dello scritto Francesco Guerrazzi che nel 1836 pubblica “l’assedio di Firenze” in cui racconta la
vicenda che dura 6 mesi , durante i quali l’esercito di Carlo V stringe d’assedio la città di Firenze, in questo
caso il fatto storico viene ripreso da un fatto più vecchio alla quotidianità visto che l’assedio avviene nel
500.
Al contrario di quanto si possa pensare, questi romanzi risultano divertenti ai lettori, percorrono delle
vicende storiche ma i personaggi messi in scena sono tratteggiati nei loro aspetti più caricaturali e che
possono dare una sensazione di divertimento a chi li legge.
Ippolito Nievo, nasce a Padova nel 1831, poi si trasferisce subito a Udine e poi viene a vivere a Verona dove
studia al ginnasio. È molto interessato alla storia letteraria, quindi legge autori stranieri ma anche italiani
(Manzoni e Foscolo); si trasferisce a Pavia, poi di nuovo a Padova dove si laurea. Il pensiero che lo colpisce
di più è quello di Mazzini (anni 30 dell’800, quindi dei suoi stessi anni). Nievo diventa sostenitore della
causa unitaria dell’unificazione d’Italia.
Un aspetto molto importante per Manzoni è quello della lingua, perché lui già guarda al ’61, sta pensando
ad una lingua che faccia la nazione, che sia di tutti gli italiani. Il 61 è solo la data di fine di un processo che
dura tantissimo.
Nievo a soli 30 anni decide di imbarcarsi da Palermo su un piroscafo chiamato Ercole, ma durante un
naufragio il piroscafo affonda e quindi lui muore in mare nel 1861 (Luogo di morte: mar Tirreno, non si sa
dove).
Nievo scrive “le confessioni di un italiano” tra il 1857 e il 1858, ma viene pubblicato dopo la sua morte con
un titolo diverso “memorie di un ottuagenario”. La trama di questo romanzo è molto complicata, il
protagonista di questa vicenda si chiama Carlo Altoviti ed è molto sfortunato in quanto orfano di madre e
viene abbandonato dal padre. Cresce nel castello di Fratta che si trova nelle zone di porto Gruaro (tra
veneto e Friuli, al confine) e vive con la zia e il marito della zia che è il conte. All’interno di questo castello
vivono anche le figlie della zia e del conte. Carlo nel corso di queste pagine racconta la vita di tutti i
personaggi che frequentano il castello. E’ una vicenda che ha tantissimi personaggi e si estende per un arco
di tempo molto lungo (60 anni, dal 1775 al 1858). L’ambientazione non è solo il castello, ma anche luoghi in
cui l’autore andrà in esilio. All’interno si narra anche di una storia d’amore fra Carlo e una delle figlie.
Anche Carlo dopo il trattato di Campoformio si trova a doversi allontanare da Venezia perché ricercato
dagli Austriaci.
Anche Nievo, come Manzoni, si pone il problema del documento storico. Nievo non agisce però come nei
libri di memorie, in cui i fatti storici venivano riportati esattamente come ertano accaduti, ma lui
rimaneggia il dato storico anche in base alla trama e alla finzione narrativa che lui deve portare avanti.
Il fatto che lui modifichi questi fatti storici ci dà un’interpretazione sia sul fatto storico in sé, rimaneggiato
secondo la sua visione di romanziere anche magari per provocare una riflessione al lettore, sia a livello
della trama.
Nella seconda metà dell’Ottocento continua a rimanere un forte interesse per il realismo; quindi,
l’interesse a trattare vicende che il lettore può trovare intorno a lui. Ma la cosa che è più evidente è che se
prima lo scrittore si concentrava sullo studio e sull’analisi e quindi la restituzione della vicenda di un singolo
personaggio (es Fieramosca, Renzo e Lucia ecc), nel secondo ‘800 il romanzo assume un aspetto corale,
non è più il singolo personaggio/ il protagonista. Nel romanzo corale si deve pensare alla nascita di veri e
propri cicli di romanzi (es. Emile Zola scrive venti romanzi intorno alla vicenda di Rougon-Macquart e in
ogni romanzo punta l’attenzione su un personaggio/una famiglia/una situazione, ma tutti fanno parte di
un’unica vicenda umana; anche Verga progetta la sua serie “serie dei vinti”, progetta un ciclo di 5 romanzi,
sempre con questa dimensione corale, di cui però effettivamente ci rimangono solo due opere dei cinque
volumi pensati: i Malavoglia (1881) e Mastro Don Gesualdo (1889).).
In questa fase, fuori dall’Italia, tra gli anni ’40 e gli anni ’80:
- Delitti e castigo di Fëdor Dostoevskij (1866)
- La commedia umana di Honoré de Balzac
- Guerra e pace di Leo Tolstoj (1867)
- Anna Karenina di Leo Tolstoj (1877)
- Madame Bovary di Gustave Flaubert (1856)
In Italia invece nient’altro… dovremo aspettare Verga. L’unica esperienza che vale la pena di essere
ricordata che si inserisce in questo solco temporale e quella dei narratori scapigliati. Con la scapigliatura,
che, come generi in realtà, tocca dei romanzi brevi, novelle, reportage ecc. La scapigliatura è una corrente
che troviamo intorno alla città di Milano intorno agli anni ’60, sono sostanzialmente oppositori dell’ordine
e si presentano come una nuova classe di marginali che vogliono rimanere fuori dalle categorie (Iginio Ugo
Tarchetti che scrive “fosca”; Camillo Boito; un altro versante che frequentano molto è quello della poesia e
qui si possono fare i nomi oltre che di Tarchetti anche di Emilio Praga). I temi che interessano molto agli
scapigliati sono il tema del bizzarro, l’orrido, il macabro, il tema della malattia. Per esempio, fosca è un
romanzo incentrato sulla malattia di questa figura femminile e tutto quello che la malattia porta con se,
come la trasformazione del corpo, al contrario dell’esaltazione della bellezza femminile.
Intorno agli ’70 iniziano ad arrivare in Italia quelli che sono i romanzi naturalisti francesi. Una delle prime
recensioni arriva da un critico letterario italiano Luigi Capuana, che nel 1877 fa una recensione molto
positiva del testo di Zola “l’ammazzatoio”. Parallelamente de Sanctis, inizia a dedicare una serie di articoli
al romanzo irrealista e al romanzo naturalista.
Nel 1878 viene pubblicata la novella Rosso Malpelo di Verga, questa stagione verista si chiuderà poi con “I
Viceré” di De Roberto nel 1894 con la pubblicazione dell’opera.
Giovanni Verga
Nasce a Catania nel 1840, scrive un primo romanzo a 16 anni che però rimane inedito e viene pubblicato
molto dopo intitolato “amore e patria” (ci lavora tra il 1856 e il 1857).
La famiglia lo spinge a fare studi di giurisprudenza ma sente che la sua passione è la letteratura; quindi,
compie gli studi ma nel frattempo scrive. Negli anni dell’unificazione dell’Italia scrive un romanzo storico
intitolati “i carbonari della montagna” ambientano in campagna all’inizio dell’800, quindi retrocede di 60
anni sul romanzo storico.
Nel ’63 scrive “sulle lagune” che è una sorta di romeo e giulietta ma ambientata nell’Italia del risorgimento.
Nel 1869, anno molto importante per Verga, lascia la all’epoca molto arretrata Sicilia per trasferirsi a
Firenze, dove ci sono salotti di intellettuali ove vengono discusse idee intorno alla letteratura. Entra anche
in contatto con Luigi Capuana (suo connazionale), Mario Rapisardi ( sono intellettuali già attivi a Firenze che
lo inseriscono nel circolo degli intellettuali dell’epoca).
Nel 1869, Verga pubblica l’opera “storia di una capinera” che è il suo romanzo epistolare. La trama di
questo romanzo cambia completamente e non ha nulla a che vedere con il tema patriottico però riprende
il filone, che è già stato indagato per parte soprattutto francese, della monacazione forzata. Questo
romanzo tratta di una raccolta di lettere, lettere che scrive un’unica persona Maria, protagonista e le scrive
a Maria, una sua amica che però non risponde mai ma funge solo da destinatario. Maria è chiusa in
convento, sta per prendere i voti per diventare suora ma in Sicilia arriva un’epidemia di colera quindi i
monasteri vengono aperti e Maria ha occasione di tornare a vivere per qualche mese a casa del padre. Nei
mesi di libertà presso la casa del padre incontra un giovane di cui si innamora, ma essendo che lei dovrà
tornare in convento non piò esserci nessuna storia tra lei e Nino. Lei torna in convento, dove arriverà quasi
ad impazzire: il suo dissidio interiore fra questa idea di libertà che ha potuto assaporare a casa del padre e
il ritorno alla realtà del convento la fanno impazzire e quindi lei finirà la sua esistenza come una pazza. Alla
fine del romanzo lei muore chiusa in una cella dedicata alle pazze.
Dopo l’esperienza fiorentina, si trasferisce a Milano dove si lega al circolo degli intellettuali scapigliati.
Intellettuali che si sentono degli emarginati, diversi dalla società e si interessano a temi del macabro, della
morte ecc.
Continua a scrivere romanzi che vengono definiti mondani per il tema sostanzialmente amorosi: Eva, Tigre
Regale.
Il successo stenta ad arrivare, finché, nel 1778 aveva pubblicato un rapporto con il titolo Nedda che era
stato poi raccolto in un volume a parte con il sottotitolo di “bozzetto siciliano”. In realtà questo bozzetto
siciliano ebbe successo e Verga ebbe l’intuizione che forse scrivendo della sua terra potesse essere il primo
a dire qualcosa di nuovo. Ed effettivamente è difficile leggere Verga slegandolo dalla sua terra.
Da lì è il via alle pubblicazioni per cui tutt’ora è conosciuto, Malavoglia (1881), Le novelle rusticane del 1882
(altro genere che verga frequenta molto sono le novelle), Cavalleria Rusticane (riduzione teatrale tratta da
una sua novella) 1884. Da questi anni 80 verga ottiene il successo che egli spera che gli permette di
mantenersi e di viaggiare infatti va a Parigi, incontra alcuni intellettuali ma ha anche occasione di avere una
traduzione della sua opera. Negli anni ’90 torna a vivere in Sicilia dove si occupa della crescita delle nipoti
che sono rimaste orfane e gli sono state affidate. Trascorre questi ultimi 30anni della sua vita in Sicilia ma
dedicandosi per lo più alla sua vita personale.
Capuana dice che lo scrittore deve farsi piccino (…). Questo avviene attraverso la tecnica del “discorso
indiretto libero”, cioè viene riportato un discorso all’interno del quale c’è uno scambio di battute fra i
protagonisti.
Il verismo si ispira al naturalismo: secondo i francesi ci sono alcune differenze e analogie fra queste due
correnti che si sviluppano pressoché negli stessi anni:
ANALOGIE:
- Entrambe queste correnti si interessano alla vita quotidiana di persone comuni e la osservano nel
presente.
- La voce del narratore deve farsi sentire il meno possibile
- Creare vicende semplici e lineari senza troppi colpi di scena ma dove la trama si svolge in maniera
abbastanza regolare
- L’obbiettivo è quello di avere una rappresentazione della realtà oggettiva, indagabile, come se fosse
un metodo scientifico e quindi escludere fantasia, supposizione ecc
DIFFERENZE:
- Ambientazione, nel naturalismo francese lo sfondo dei racconti e quasi sempre la città e i
protagonisti sono per lo più borghesi al limite proletari (quindi una classe media) mentre nel verismo
il racconto ha come sfondo sempre la campagna e la campagna meridionale e i protagonisti non sono
le classi borghesi bensì i contadini, gli umili, le persone del popolo.
- Nel naturalismo può esserci un riscatto sociale mentre per il verismo non c’è nessuna fiducia
nell’idea di progresso; infatti, i personaggi ne “I Malavoglia” non cambiano la loro condizione
sociale.
- Visione della letteratura… Nel naturalismo la letteratura è vista come uno strumento che può dare
una possibilità di cambiare la società, mentre nel verismo no
- Il naturalismo francese vuole documentare, fare sapere al lettore la verità e sperano anche in una
reazione, la letteratura diventa un modo per fare sapere ai lettori ciò che avviene in determinate fasce
della popolazione sperando che qualcuno faccia qualcosa per migliorare. Nel verismo invece si dà
già per scontato che non servirà a smuovere gli animi.
La strada più importante che si apre nel 900 è quella che viene aperta da tre narratori in particolare: Svevo,
Pirandello e Tozzi.
Con Svevo (Trieste, quindi siamo molto decentrati verso quella che è la cultura italiana del momento e
Trieste rimane sotto gli austriaci per molto tempo) nasce nel 1861 e muore nel 1928;
Con Pirandello siamo in Sicilia, quindi anche qui una zona decentrata, nasce nel ’67 e muore nel ’36;
Con Tozzi invece siamo in Toscana, nasce nell’83 e muore molto giovane nel ’20.
Questi tre personaggi che segnano quella che sarà la strada del romanzo nel 900 vivono tutti in zone
decentrare e che vivono di scorcio l’esperienza italiana, però tutti e tre indagano la parte più nascosta
dell’uomo, la coscienza più profonda, ascoltando la loro solitudine interiore.
Non prendono né la strada di d’annunzio, né la strada di Verga. Verga fa una denuncia storico-sociale, la
presenta al lettore ma non pretende di andare oltre.
Loro invece fanno un passo successivo, rinunciando anche alla poetica estetizzante e superomistica di
d’annunzio che vedono poco autentica rispetto alla situazione storica che loro vedono in quel momento.
I romanzi e le poesie di D’Annunzio hanno uno stile estremamente alto e ricercato, con parole auliche. Lui
attraverso sia la corrente del decadentismo che del simbolismo; quindi, c’è un’attenzione molto forte
nell’uso della parola, deve essere evocativa, ricercata, elegante, perfetta, deve avere un senso allegorico e
deve rivolgersi ad un pubblico che sappia cogliere il valore più alto di quella parola. Svevo e Pirandello non
ricercano questo tipo di eleganze e non sono nemmeno interessati ad avere un pubblico che li segua e di
fatto, non ce l’hanno.
Svevo pubblica “una vita” nel 1892 e passa sotto il silenzio come anche la coscienza di Zeno. Il primo
personaggio a riconoscere la grandezza di Svevo è Montale. Nel 1925 (vent’anni dopo) scrive un omaggio a
Svevo sulla sua opera, mentre Guido Piovene ancora nel ’27 fa delle stroncature rispetto alla scrittura di
Svevo.
Alcune date…
1904 il fu mattia pascal
Con gli occhi chiusi di Tozzi. Tozzi ha una vita molto breve perché muore di spagnola a 37 anni e nessuno lo
conosceva dei suoi coetanei
Centri vitali letterariamente: Roma che è una Roma d’dannunziana, sontuosa, classica; Milano che è il
centro del futurismo; Firenze, dove c’è grande vitalità per la presenza della rivista “La voce” fondata a
Firenze nel 1908. Rivista che è contro il romanzo ed elogia il frammento.
Questi tre autori vedono l’esperienza di Verga e del verismo più in profondità, per esempio Svevo è uno dei
primi ad accorgersi dell’importanza dell’esperienza di Verga e a circa 20 anni scrive su un quotidiano della
sua città (Firenze) un elogio del mastro don Gesualdo (cosa che nessuno aveva fatto a quell’epoca);
Pirandello nel 1920 scrive delle pagine su verga che compie 80 anni definendolo: “maestro dell’anti
retorica, maestro di una naturalezza prodigiosa e maestro dello stile necessario”. Con queste tre definizioni
si toccano tre punti:
1. L’idea dell’antiretorica ha a che fare con il narrare qualcosa di reale che non è idealizzato ma
corrisponde all’esperienza vera
2. La naturalezza prodigiosa è uno stile che sa restituire ciò che è naturale, e lo stile viene addirittura
definito necessario
Un’altra attestazione dell’importanza che Verga ricopre ci viene da alcune pagine del critico Renato Serra (il
suo testo di riferimento “le lettere”) già nel 1914 riconosce “I Malavoglia” come un classico da museo. A
questa lettura risponde pochi giorni dopo Tozzi auspicando che le novità introdotte da Verga siano anche
riprese dagli autori di inizio ‘900.
Il recupero di verga viene visto come un punto importante di svolta perché costituisce una base necessaria
a cui gli autori di inizio ‘900 guardano per approfondire il loro discorso che va in direzione di un
approfondimento soprattutto introspettivo del personaggio.
Il risultato delle indagini fatte sui personaggi in questo momento storico è che sono personaggi inetti,
spaesati, antieroi ed incerti e insicuri sia di loro stessi che delle relazioni che hanno con gli altri.
La struttura stessa del romanzo cambia molto: la struttura non è più un racconto che ha un inizio, uno
svolgimento e una fine ma molto spesso la fine rimane aperta e lasciare il lettore nel dubbio di ciò che
succede permettendo una pluralità di finali.
I romanzieri devono accrescere con lo strumento riflessivo del dubbio la comprensione della vita e quindi la
possibilità di moltiplicare all’infinito i punti di vista e le riflessioni tanto che magari alla fine si chiude il libro
e si rimane con più dubbi di prima.
Quindi i personaggi che troviamo sono gli inetti di Svevo, delle creature dissociate, o nel caso di Tozzi
abbiamo dei personaggi che sono degli allucinati e visionari con una percezione della realtà dissociata.
Lezione 8, 28 ottobre
Aldo Palazzeschi
BIOGRAFIA
Visione del video: https://youtu.be/C_5N3f7UUkM
È nato a Firenze nel 1885, il suo vero nome è Aldo Giurlani. Palazzeschi è il cognome della nonna a cui è
molto legato; quindi, sceglie di tenere il suo nome.
Ha studiato per breve tempo all’istituto commerciale Ca Foscari di Venezia e alla scuola di recitazione di
luigi Rasi a Firenze. In seguito, salvo brevi periodi di impiego ministeriale durante la Prima guerra mondiale,
è vissuto del suo lavoro di scrittore. Ha abitato a Firenze fino al 1941 e poi dal 41 a Roma fino ad oggi.
La sua attività letteraria si può distinguere in due periodi: quello giovanile in cui Palazzeschi ha
familiarizzato con il futurismo di Marinetti e della rivista Lacerba di Papini e Soffici; e quello maturo
successivo alla Prima guerra mondiale, improntato ad uno spirito più conciliante di fronte alla società e alla
cultura tradizionale. Il futurismo negli anni precedenti la grande guerra, reagiva alla letteratura verista e
crepuscolare dell’ultimo ‘800 e ricercava forme espressive più sintetiche e dinamiche, rifiutando il culto del
passato. Voleva portare l’arte al passo con il progresso della civiltà e sottolineava perciò, l’aspetto
inventivo e talvolta stravagante di un linguaggio svincolato sia dalla legge della verosimiglianza, sia da
quella della logica benpensante.
Con le poesie scritte tra il 1904 e il 1914 e il romanzo surreale “Il codice di Perelà” del 1911 Palazzeschi ha
rivissuto il futurismo a suo modo come liberazione dagli schemi della letteratura piccolo borghese e da
quelli della letteratura carducciana.
Dopo l'esperienza dolorosa della guerra, cui ha dedicato il libro pacifista “due interi mancati” del 1920,
Palazzeschi è sembrato approdare ad una intesa più accomodante con la realtà, accettandone i limiti con
uno spirito di sapiente e sorridente di stampa. Da questo momento assumono perciò un ruolo più
importante anche gli sfondi sociali le città in cui si è trovato a vivere: firenze, roma e venezia
Firenze, nella fase di passaggio fra otto e novecento è l'ispiratrice delle novelle “stampe dell'ottocento” e il
“paio dei buffi” e del romanzo “sorelle materassi” scritti fra il 1932 e il 1937.
Lo scrittore rievoca la sua infanzia alla fine del secolo scorso nello sfondo di una società toscana liberty e lo
fa con un tono patetico e umoristico. Accanto al contrasto tra i due secoli, egli rappresenta quello tra le
generazioni dei vecchi e dei giovani, toccando il tema della solitudine dei primi, di fronte alla provocante
sicurezza dei secondi e appunto il tema delle due anziane sorelle Materassi, vissute sempre di lavoro e di
rinunce il contrasto con la spensierata e sicura gioia di vivere del nipote Remo. È anche il tema di Celestino
Cuccoli, nel romanzo “I fratelli Cuccoli” del 1948.
A Roma Palazzeschi sta vivendo la fase dell'età avanzata ed ha espresso il momento più malinconico della
sua sensibilità nel romanzo “A Roma” del 1953 che ha allargato i presentimenti dei fratelli Cuccoli in un
panorama drammatico dell'egoismo nella società contemporanea in contrasto con lo spirito cristiano su cui
è fondata la storia della capitale, ma Palazzeschi apre uno spiraglio di fiducia guardando alla saggezza del
popolo romano come a un antidoto alla crisi delle coscienze.
Negli ultimi anni Palazzeschi pare aver ritrovato la vena spiritosa dei primi tempi, senza voler ripetere le
bizzarrie del Futurismo, ha ripreso il gusto della fantasia surreale con il romanzo “il doge” del 1967 in cui ha
attinto alla trasparente leggerezza del paesaggio veneziano, una favola aerea e impalpabile.
(Lettura in classe del manifesto futurista).
Nel 1914 lui ha un improvviso distacco dal futurismo per la visione della guerra da parte dei futuristi, in
contrasto con la sua.
Romanzo “riflessi” è il suo primo romanzo che nessuno voleva pubblicare, nel 1907 lo pubblica sotto la
casa editrice Cesare Blanch che lui presenta come un editore francese ma in realtà è il nome del suo gatto,
e l’indirizzo della casa editrice è l’indirizzo di casa sua. Più avanti definirà questo suo romanzo come
romanzo liberty e lo considererà un aborto di romanzo. L’ultima edizione definitiva è quella del 1958, in cui
il testo subisce dei cambiamenti importanti fra cui anche il titolo da “:riflessi” a “allegoria di novembre”.
Idea dell’allegria e del riso che non è vuota e sciocca basata sul niente, ma Palazzeschi arriva a
quest’allegria dopo un lungo percorso e consapevolmente della sua drammatica v9ita (probabile
orientamento omosessuale vissuta con molto dolore, omosessualità che oltretutto si pensa derivi da una
sua menomazione fisica che quindi lo ha spinto a sentirsi sbagliato per tutta la vita).
Questa sua incapacità di parlare con qualcuno delle sue debolezze e del suo dolore porta a sapere molto
poco della sua vita.
Palazzeschi sceglie per il suo romanzo di esordio il romanzo epistolare.
Lezione 9, 4 novembre
Due domande aperte all’esame non verteranno su nozioni, ma daranno modo di spiegare quello che è il
risultato di un percorso fatto a lezione.
Valentino dice fra le righe che scrive a Johnny che ci saranno 30 lettere, una per ogni giorno di novembre.
Novembre è il nome del mese che ritorna quando Palazzeschi cambierà il titolo. La prima lettere si chiude
elogiando due mesi in particolare: maggio e novembre.
Novembre è un mese che presenta svariate festività poi: il giorno di tutti i santi, il giorno di tutti i morti, il
giorno di San Martino ecc…
[Bemualda, Novembre 2]
Importante novità in questa seconda lettera: due nuovi personaggi vengono introdotti, due vecchie molto
particolari. Una ha 90 anni, l’altra 70, sono madre e figlia. La madre tutto sommato è ancora graziosa
nonostante sia più vecchia, mentre la figlia è descritta con termini dispregiativi. Le due vecchie sono le
custodi della Villa e Palazzeschi associa a queste due donne delle azioni che sono tipiche delle donne nella
tradizione della letteratura, come ad es. l’anziana che “fila” e la figlia che si dedica alla casa… È molto
comune una donna che tesse.
La loro è una vita molto tranquilla e ripetitiva (ce lo fa intendere l’immagine del rosario), Però Valentino
scrive “forse non mi hanno riconosciuto” il che ci fa pensare che lui sia già stato lì.
Il numero 15 (15 anni) viene già ripetuto due volte.
La villa non è una villa di famiglia (a otto righe dalla fine di pg. 14) lui parla di “mia villa”. Ciò fa pensare che
la villa sia di sua proprietà e che le due anziani siano rimaste lì a custodirle in accordo con Valentino. Le
donne si occuperanno di cucinare anche per lui un menù estremamente contadino e semplice che hanno
concordato.
Un colore che viene nominato più volte è il bianco, colore di impotenza. Il letto bianco, i capelli della
novantenne, il muro bianco, la sua fronte bianca al sole. Il sole è un sole che sembra mummificato avvolto
in bende sudice e pare cha abbia perso la sua funzione di scaldare.
Ambientazione di questa seconda lettera è serale, buia.
La parola riflessi (del titolo) a cosa viene legato? Riflesso dello specchio, il riflesso del sole, il riflesso
sull’acqua. Qui compare per la prima volta nel romanzo lo specchio, molto importante questa
comparizione dello specchio. Lo specchio è ovale, con la cornice tutta sudicia (sudicia come sono le bende
intorno al sole) e tutta bucherellata dalle tarme. Lui si è guardato in una luce scortecciata (qui c’è una
sinestesia). Quindi lui si specchia in una situazione molto particolare perché la luce che gli permette di
specchiarsi è della luce irriflessiva, che non gli permette bene di specchiarsi.
Avariato, altro aggettivo che ha un legame con il sudicio, qualcosa che è in decomposizione. In tutta questa
situazione lui comunque si vede bello, quasi quanto il suo amico Johnny, si sofferma molto sui capelli e
soprattutto specchiandosi lui si sente un poco nuovo (rif. All’oltrevita della prima lettera).
Specchiandosi in tutta questa situazione valentino comunque si vede bello, come nuovo e come nuovo
vede anche un sorriso che nasce sulle sue labbra, sorriso che rimanda ad una risata che viene interrotta
repentinamente 15 anni fa.
Quando qualcosa si interrompe repentinamente fa pensare a qualcosa di negativo.
APPARIZIONE DELLO SPECCHIO MOLTO IMPORTANTE.
Pg 12: descrizione del paesaggio: la campagna è rude, ci sono pochi casolari bassi e in lontananza compare
un castello nero merlato. Completa molto bene l’immagine perché è un’ambientazione gotica, uno
scenario fiabesco ma anche cupo e un po’ spaventoso.
Altro elemento importante: deve andare ad imbucare la lettera e la casetta della posta è vicina ad una
bettola, un’osteria, altro luogo chiuso oltre alla villa. La bettola si caratterizza per il giallo e per il rosso, in
contrasto al nero e il bianco.
Chiusura della lettera: sembra che voglia chiudersi con una sorta di profezia; tuttavia, la promessa che loro
si sono fatti per il lettore resta un mistero.
[Bemualda, Novembre 3]
Ambientazione sempre cupa e umida, piove anche.
Introduzione anche di suoni: 3 colpi secchi sulla porta, fanno presagire qualcosa legato alla morte. Se si
pensa alle due anziane, deboli, che magari bussano per dirgli che è pronto.
Torna ad essere più presente il destinatario, fino ad ora Valentino ha parlato e raccontato di se stesso ma
non si è preoccupato di fare domande su Johnny.
D’Annunzio quando parla di Roma e Venezia le descrive nella loro bellezza e sfarzosità, mentre qui di
Venezia vengono dette le cose più vere e legate alla vita deteriorata (la melma, il fango ecc).
Anche quel fiammifero che aveva usato per salire le scale non lo userà più perché salire lo ha inquetato. Il
rosso della bettola qui diventa un rosso inferno, ma in realtà solo perché all’interno ci sono delle persone
che bevono e urlano.
Metafora delle chiavi che chiudono le porte diventano le chiavi del suo cuore che è molto spugnoso.
Evidentemente queste due porte gli ricordano qualcosa visto che la sola idea di aprirle gli riporta vive
quelle emozioni.
I tre colpi effettivamente è scarnita (si riferisce alla vecchia, abbiamo conferma) ed è come se quella mano
scarnita che batte sulla sua porta battesse sul legno della sua tomba.
[Bemualda, Novembre 4]
A volte vengono inserite da Valentino delle piccole digressioni che sembrano non c’entrare nulla, ma prese
separatamente sembrano dei piccoli quadretti, delle piccole poesie incastonate.
Si ripete l’immagine della bettola rosso inferno con luce gialla che esce fuori e si addensa.
Introduzione anche degli odori: qui sentiamo aliti di ebbri sconci.
Valentino è letteralmente terrorizzato all’idea di essere visto, il fatto che non usi la punteggiatura rendono
molto bene l’idea del gesto del personaggio.
Cipresso: è l’albero dei cimiteri.
“Non l’aveva notata ancora” formula che accentua l’elemento che sta per introdurre.
Il cipresso è importante perché Valentino crede di vedere riflesso in quel cipresso la sua ombra.
Il rapporto tra Valentino e le anziane è complicato, Valentino che si presenta come colui che da ordini, si
definisce loro Signore e le anziane hanno paura di lui come se fosse l’ombra della morte. Lui invece
ammette che avrebbe voluto un rapporto con loro, non voleva questo distacco.
Queste due donne che abbiamo visto filare davanti al camino a loro viene avvicinato un verbo ripetuto più
volte “raccontare”. Ciò significa che probabilmente le anziane non sono solo custodi della villa ma anche
custodi di un segreto che Valentino vorrebbe gli venisse raccontato.
[Bemualda, Novembre 5]
Piombo, parola che ricorre in maniera ossessivo. Potrebbe essere spezzato in versi, più che in prosa.
Potrebbe essere una poesia. Poi l’attenzione torna sul cipresso e c’è una similitudine fra ciò che fa il
cipresso (assorbire l’acqua) e quello che fa lui (assorbire il sonno di piombo).
L’abito in cui lui si sente irrigidirsi è un abito nero “divenuto spugna pregno di nebbie”, come il cipresso
che, come una spugna, assorbe l’acqua.
Si era ripromesso di andare a parlare con le vecchie, ma al contrario lo ritroviamo ritratto in una situazione
di immobilità e pesantezza, sottolineata da quest’idea del piombo.
Frase in cui culmina tutta la simbiosi che lui sente col cipresso: “vorrei avere la mia casa dentro quel
cipresso”.
Candelabri che fanno gocciolare le lacrime, quasi come se gli oggetti venissero innalzati ad altezza
dell’essere umano. Ci sono sia degli oggetti deteriorati dal tempo (specchio), ma c’è anche una sorta di
eleganza data dai materiali (velluti, candelabri d’argento).
Ci sono aspetti che lo conducono ad un personaggio a cui piaccia avere un certo tenore di vita.
[Bemualda, Novembre 6]
Ad un certo punto il paesaggio è cambiato e compaiono tre cumuli di paglia caratterizzati dal colore gialle
come fiamme d’odio …
Questi pagliai che vede in lontananza gli danno anche una sensazione uditiva particolare che scricchiola e si
trasformano questi fili di paglia in aghi pronti a trafiggerlo anche solo a guardarli.
“le sue labbra sono serrate come quelle della morte” altra similitudine importante
Dopo lo specchio, un altro oggetto importantissimo è l’orologio che scandisce il passare del tempo,
strettamente connesso all’idea dell’inizio e della fine della vita e che cade come se ci fosse uno schianto di
un’anima dentro al corpo.
Vestito di foggia inglese, il suo abito si rifà ad una certa moda, di un tessuto pregiato (di damasco).
Questa lettera ha una chiusura importantissima con l’arrivo di questo secondo oggetto, che dopo lo
specchio è il più importante.
Lessico orientato sempre verso la sfera della morte: la fossa, sepolto, l’idea del sopravvivere ecc…
Orologio definito come misuratore del tempo che gli rimane, e lui non ha più nessuna intenzione di sentirlo
più.
[Bemualda, Novembre 8]
Torna l’immagine di lui che si specchia.
Obliato = dimenticato.
Lui si vede adolescente nello specchio, però un adolescente malato, bianco e vecchio.
Valentino corrisponde a quest’immagine di dandy, di poeta maledetto.
Area semantica che ruota intorno al ricordo: obliare, rievocare, dimenticare…
In questo romanzo, nascostissima, c’è molta poesia. Una cura delirante per questo personaggio.
Fine pg.37= “15 anni nulla hanno potuto” ritorna questo elemento che ci dice che 15 anni prima sia
successo qualcosa.
Riazione= parola che si riferisce ad una azione che si è ripetuta, quindi lui ha realmente suonato il
pianoforte e le vecchie si sono affacciate.
[Bemualda, Novembre 9]
Descrizione di un’atra sala
Valentino vuole perdere questa connotazione di Dandy e nell’immagine di questo personaggio rientra la
caratteristica di saper suonare uno strumento.
Solita prosa molto trascinante anche nella sala dei giochi. Legni lucidi, mogano ecc sempre linguaggio
molto ridondante. Poi descrive le pedine, quindi, sicuramente c’è una scacchiera e poi i dadi che fanno
pensare ai dadi della sorte, che fermano il numero tre, che solitamente indica la perfezione, religiosamente
parlando.
Passa per questa sala rossa dei giochi e arriva a questa sala rossa del sangue
Fino ad ora l’atmosfera è scura, ci sono i pagliai che sono gialli, la bettola caratterizzata dal rosso in cui lui
non vuole nemmeno entrare. Qui abbiamo una sala molto colorata, di un rosso acceso, fuoco.
E’ lei, è lei, è lei --> E’ la madre, e lo si capisce dal fatto che lui in quegli occhi rivede i suoi, rivede nel
dipinto come in uno specchio il suo riflesso. La descrizione di questo quadro: faccia bianca, tela sanguigna,
chioma nera, crocetta bianca, mano lattea ecc… C’è tanto bianco in questo dipinto.
La crocetta bianca, piccolo martirio muto indistinto: MARTIRIO= morte per una causa in cui si crede.
In realtà Valentino usa un pronome personale “lei” perché non vuole fino in fondo svelarci chi sia lei, quindi
possiamo solo fare un’ipotesi.
In contrasto, paragrafo dopo, molto rosso, forte idea del sangue: fiumi di sangue e ruscelli sanguigni.
Concatenazione di stanze: stanza della musica, poi i giochi, poi la stanza rossa che è quella del ricevimento,
e adesso un’altra caratterizzata da un altro colore, che è il giallo. In questa stanza ci sono delle tende che
lui tiene fortemente a descrivere, e in ogni stanza c’è un bel lampadario.
Lui fa tutto un percorso a ritroso per queste stanze, notiamo gli ossimori: danza ferma, ma anche le fiamme
gelate.
Immagine della luna come una falce nel cielo: quindi uno spicchio di luna.
Tornato nella stanza Valentino ha come la sensazione che questa donna gli stia vicino, proprio fisicamente.
Bocca dall’alito pestifero = bettola
Condensate nelle ultime righe di questa lettera, un sacco di elementi importantissimi: l’immagine di
maggio interrotto ma rimasto infinito, l’immagine di novembre, e l’immagine dello specchio ripetuto nelle
ultime tre righe.
Immagine dello specchio molto poetico: “in uno specchio ovale polveroso e scortecciato nell’amalgama
interna formante delle lacune riflessive”.
Cerca su Google la leggenda di san martino e l’estate di san martino.
Il romanzo è diviso in due parti. La prima parte è appunto costituita da lettere. La tematica principale della
prima parte: da un lato c’è questo rapporto di amicizia e di amore che esattamente non abbiamo colto con
Johnny, dall’altro c’è la ricerca del fantasma della madre e di ciò che è successo 15 anni prima nella villa.
All’interno della trama in realtà succedono poche cose, sono per lo più riflessioni del personaggio sulla
propria esperienza e sulla propria vita, su come si sente e il suo modo di porsi difronte a determinati
avvenimenti che sono capitati nella sua vita. Quindi questa parte scritta in forma epistolare permette al
narratore proprio di entrare nella personalità del personaggio e di esprimere le sue emozioni e i suoi
sentimenti; anche perché appunto, il personaggio di Johnny è prettamente fittizio. C’è una lettera, la sola in
cui Valentino stesso si rende conto di aver messo in secondo piano la figura dell’amico e gli chiede anche
scusa per averlo “dimenticato” e di aver pensato e parlato solo di sé stesso. (nella lettera del 26
novembre).
Anche a pagina 90 della venticinquesima lettera nella sesta riga, torna l’elemento dello specchio.
SECONDA PARTE
Cronologicamente è la continuazione del giorno dopo.
L’ambientazione cambia, siamo a Roma ed è il primo dicembre. Abbiamo delle notizie flash, sembra
un’agenzia di stampa, come se uscissero delle brevi notizie, aggiornamenti in tempo reale.
Stilisticamente non è più un romanzo epistolare, ma in questa parte ci saranno diverse forme.
Forse questa notizia ci chiarisce meglio vari quesiti: il motivo per cui Valentino si sia ritirato in questa villa,
ci dicono che la madre si è suicidata 15 anni prima, ci dicono che è un principe perché fino ad ora Valentino
si è sempre firmato come Valentino, in una notizia ci dice che non ama frequentare i salotti e questo un po’
corrisponde a ciò che abbiamo letto nelle lettere e che ama gli ambienti ricercati.
Vengono fatte delle ipotesi sulla sua fine. Una fine di cui non si sapeva nulla perché lo si era lasciato
nell’ultima lettera ad una festa. Inizia una sorta di indagine poliziesca sulla sua morte (morte per asfissia,
suicidio ecc).
Sempre nella stessa giornata ci spostiamo a Bemualda, qui è come se avessimo tante prospettive diverse
sulla stessa giornata, sempre il primo dicembre eravamo a Roma, adesso parallelamente vediamo cosa
succede a Bemualda. Vediamo inscenata una veglia funebre a cui sembra partecipino anche le due vecchie
e vediamo qualcuno disteso su questo letto cosparso di grisantemi.
C’è un continuo spostamento fra Roma e Bemualda, sempre 1° dicembre.
Questa nuova descrizione pone centrale il ruolo delle due vecchie che sembra debbano rivelare qualcosa,
ma per la loro età e la loro alienazione non sono in grado di svelare cosa sia successo. Nemmeno loro
contribuiscono a svelare il mistero e ripercorrono ciò che abbiamo effettivamente visto nelle lettere fino al
30 novembre.
Bemualda, dicembre 2.
Le due vecchie sembra che stiano vegliando su qualcuno, non vogliono lasciare la salma.
Roma, dicembre 3.
Il mese di maggio aveva tanta importanza perché nel mese di maggio c’era stata una festa, l’ultima festa in
cui la villa è stata viva ed è stata aperta agli ospiti, in cui la mamma di Valentino si è sparata un colpo in
testa (descrizione del proiettile che passa da una parte all’altra delle tempie e crea due fori che sembrano
aprire/svogliare le rose che le stanno intorno).
Da Londra, dicembre 3.
Qui abbiamo un po’ di affermazioni contrastanti.
Da Bemualda, dicembre 5.
Questo è un po’ in discordanza con il fatto che si fosse tolto il mantello, ma può essere che se lo sia tolto e
che lo abbia tenuto su un braccio.
Le due vecchie sono custodi di un segreto perché erano al servizio della madre ancora da prima che tutto
accadesse.
Dicembre 7.
John Mare, possibile sospettato.
Camilla Tornino: prima vera morta effettiva.
Dicembre 11
John Mare non ha mai ricevuto nessuna lettera
È stato considerato un preromanzo giallo/poliziesco nel 1808, quando ancora il romanzo giallo non aveva la
configurazione che conosciamo noi oggi.
Anche nella seconda parte. Fra l’edizione originale e la revisione del ’58 ci sono delle differenze: procede
sempre nello stesso modo, sempre a dicembre e fra Bemualda, Roma, Venezia, Londra, però qui la ricerca
di questo corpo è ancora più esasperato, con molte più supposizioni folli; riprende l’elemento
importantissimo dell’orologio della prima parte che era stato tralasciato ad esempio nella versione del ’58
c’è una frase nella parte seconda 18 dicembre “è giunta a Bemualda, a disposizione delle autorità, il
cameriere privano del principe Valentino. Egli assicura che l’abito esistente nella camera è quello
medesimo che indossava il principe la mattina del 1° novembre (…)” in questa ipotesi della revisione viene
ripresa l’elemento dell’orologio ma legato all’idea di un assassinio e di qualcuno che si vuole sbarazzare di
qualche prova e inserisce l’orologio in una poltrona.
In queste due parti troviamo due atteggiamenti completamente diversi di Palazzeschi che sono anche
espressione delle due fasi che lui vive a cavallo fra correnti letterarie diverse: una prima parte
crepuscolare, dove abbiamo visto la prosa molto vicina alla versificazione e alla poesia, un lessico
estremamente ricercato, i suoni, i versi, i rumori come sono orchestrati, c’è molta attenzione al suono che
si vuole restituire; la seconda parte invece, in cui si apre quella che sarà poi tutta la carriera di Palazzeschi,
la sua adesione al futurismo, già in questa seconda parte c’è in lui l’idea dell’ironia che poi sarà la cifra
caratteristica della sua scrittura. Le due parti pur così diverse, non possono esistere senza l’altra.
Il romanzo che viene poco dopo, nel 1911, e che gli darà notorietà, intitolato “il codice di Perelà”, il cui
sottotitolo è “romanzo futurista” inizia declamando delle parole: pena, rete, lama, pena, rete, lama, pe, re,
la”. È un dialogo fra un uomo e una vecchia…
Riflessi è un romanzo semi-epistolare: la prima parte è completamente epistolare, mentre la seconda non è
epistolare. Mette in gioco una questione su cui il genere del romanzo epistolare lavora, ovvero la questione
del riconoscere l’identità, quella questione che Pirandello prende come fondamentale, ovvero il fatto che
ognuno di noi porti una maschera, io vedo una cosa e qualcuno vede qualcos’altro, chi ha ragione in
fondo?
La scrittura epistolare serve a Palazzeschi per lavorare su un personaggio, dargli la possibilità di scoprire il
suo profondo (John Mare potrebbe di fatto essere un alter ego di Valentino, ipotesi plausibile, perché
come funzione narrativa è un personaggio completamente inesistente). Attraverso la struttura del romanzo
epistolare si indaga sulla realtà, molte volte si narra una vicenda ma senza proporre al lettore una realtà
preconfezionata; quindi, probabilmente l’effetto che il narratore vuole ottenere e fare capire al lettore che
non sempre c’è una fine da “e vissero per sempre felici e contenti”.
Guido Piovene: Nasce a Vicenza nel 1907 (negli anni della pubblicazione di riflessi, quindi ci spostiamo
avanti di almeno 20 anni). Piovene nasce giornalista, non è romanziere da subito ma sin interessa di
scrittura giornalistica e già dai suoi primi ‘20anni inizia a collaborare con alcuni giornali in Italia e lavora
come inviato. È un giornalista a cui piace viaggiare, viene per esempio inviato in Germania e scrive per il
pubblico italiano ciò che avviene in quel paese. La collaborazione che gli da più successo è quella che inizia
nel 1935 con il Corriere della Sera (non ha neanche trent’anni) ma lavora tra Londra e Parigi. Durante
questa collaborazione ha modo di entrare in contatto con altri scrittori che hanno questa doppia
formazione: Dino Buzzati e Indro Montanelli.
Piovene inizia presto a scrivere romanzi, però viene conosciuto più per le sue opere giornalistiche.
L’opera che gli da più successo è “Il viaggio in Italia” del 1957, opera letteraria che scaturisce da un
programma radiofonico che gli viene commissionato dalla Rai e che lui tiene tra il 1953 e il 1956 girando
per l’Italia e raccontando l’Italia del boom economico, in questo libro viene espressa la volontà di
raccontare le “cose” viste; quindi, c’è questa idea di reportage su ciò che si vede, visita o fa.
Parallelamente a tutti gli scritti giornalistici che lui invia da Parigi e da Londra, Piovene coltiva questa sua
vena da romanziere, tant’è che nel 1931 scrive il suo primo romanzo che s’intitola “la vedova allegra”. A
questa primissima opera segue dieci anni dopo “lettere di una novizia” (1941).
Coronamento della vena narrativa di Piovene avverrà nel 1970 quando pubblicherà “le stelle fredde”,
romanzo che vincerà il Premio Strega.
Muore nel 1974, proprio come Palazzeschi, a nemmeno 70 anni a Londra per una sclerosi.
Tra il 74 e il 77 esce postuma la sua opera “lettere tra fidanzati” scritta secondo il genere epistolare; quindi,
per il suo primo romanzo famoso e l’ultimo che esce addirittura postumo, sceglie la forma epistolare.
[volume di Tellini su Piovene: pagine 380 e 381]
Tema che Piovene vuole privilegiare nella sua scrittura e che gli riesce facile attraverso il genere epistolare
è la ricerca della verità.
Questo romanzo riguarda è molto diverso da ciò che abbiamo letto in Palazzeschi, la storia è molto più
complicata perché qui non avremo una scrittura univoca, cioè non ci sarà una persona che scrive ad
un’altra persona muta. Qui il romanzo è interamente costituito da lettere, non è diviso in parti narrative
raccontate da altri, ci sono tanti personaggi che scrivono a tanti personaggi. Quindi bisognerà stare attenti
a capire cosa scrive un mittente ad un destinatario e come quella notizia/sensazione possa essere descritta
fra altri personaggi che si scrivono.
LETTERA I
Dal punto di vista stilistico è molto attuale, alcuni concetti non sono sempre semplicissimi ma il lessico e la
sintassi sono molto vicini a noi, anche se sono passati molti anni da quando è stato pubblicato.
Abbastanza improbabile pensare a questa prima lettera scritta a mano vista la sua lunghezza, è quasi un
racconto. La scelta del genere epistolare sconfina, nessuno può prendere per vera questa lettera perché è
estremamente lunga.
Un elemento importante è l’uso della scrittura all’interno della lettera: ci sono vari esempi di scrittura nella
scrittura. Noi stiamo leggendo una lettera che se anche ci sembra irreale data la sua lunghezza, dobbiamo
prendere per vera, un pezzo di carta che Margherita Passi (Rita) sta scrivendo a Don Giuseppe Scarpa.
All’interno di questa lettera troviamo altre diverse narrazioni:
- Le lettere scritte da Gesù, ossia le scrive la nonna ma le fa passare per scritte da Gesù e Margherita
dichiara di rispondere a queste lettere parlando di altre lettere che lei scrive pur essendo
consapevole che lettere non siano descritte da Gesù ma dalla Nonna;
- La grande scatola della lettera, all’interno un’altra scatola con le lettere che lei scrive a Gesù da
bambina che in realtà sono scritte dalla nonna;
- Le pagine di diario che lei scrive per sé stessa, per dare sfogo e analizzare la sua situazione.
Sono tante scritture all’interno di una scrittura.
Paesaggio: anche qui abbiamo come in Palazzeschi un dentro alla villa, dentro al monastero e fuori un
paesaggio.
Racconto molto lungo che vuole ricostruire quella che è la vicenda famigliare di Margherita: lei scrive a
questo frate partendo dalle origini, da lei fanciulla, parla di una bambina di 9/10 anni. Le tre figure
famigliari fondamentali sono il nonno, la nonna e la madre e le due governanti.
La nonna molto più attenta a capire i sentimenti della bambina, il nonno più rude (si arrabbia a scoprire che
lei sta mentendo sul fatto di essere stata picchiata da Margherita). La madre invece è presente solo per
mandarla via ma per il resto è assente, è molto gelosa infatti allontana tutti quelli che si avvicinano a
Margherita. L’unico punto di contatto è nel momento della lettura delle fiabe (altro momento letterario)
ma in quel momento la bambina si distrae la mamma si arrabbia perché non riesce a riassumere la storia e
chiude il libro di colpo. Quindi anche quell’unico momento di empatia fra le due non ha successo.
LETTERA II
La seconda lettera è scritta da Don Giuseppe Scarpa, quindi il don a cui scrive la nonna di Margherita a
madre Giulietta Noventa, superiora del convento delle **a** (= c’è una certa privacy, non si vuole
dichiarare il luogo da cui vengono spedite queste lettere).
Grazie alla prefazione invece conosciamo il paesaggio, non sappiamo esattamente dove si trova ma
sappiamo che è da qualche parte nel Veneto.
La seconda lettera risale a 5 giorni dopo quella spedita da Margherita, e come credibilità della temporale
potrebbe essere credibile.
Differenze stilistiche fra le due lettere: la seconda è più formale e più diplomatica. Il lessico, tuttavia,
rimane su uno stile medio, quotidiano.
Questo Don che si palesa per la prima volta attraverso questa seconda lettera, fa capire di essere molto
attento nei confronti della sua carica come rettore del Seminario, quindi la massima carica all’interno del
Seminario. Sostanzialmente dice che il dubbio che ha avuto la giovane è un dubbio che hanno un po’ tutte
e quindi non c’è da stupirsi, e in più aggiunge che davvero ci fosse stati dei problemi gravi, la madre
superiora del convento se ne sarebbe accorta e sarebbe già intervenuta.
LETTERA III
Qui abbiamo un terzo personaggio che si palesa con una terza scrittura, la madre superiora.
Inizia scusandosi con il suo superiore = chiaro è l’ordine gerarchico preciso da rispettare all’interno della
chiesa.
“Come ho apprezzato la grande bontà̀ con la quale avete voluto non solo perdonarle, ma interessarvi del
suo caso!” questa frase risulta sproporzionata in quanto Don Giuseppe non è che si sia dato chissà quanto
da fare per rispondere a questa lettera, ma lei si sente di ringraziarlo abbondantemente anche per il ruolo
che lui riveste.
La madre superiore giudica la vocazione di Rita “provvidenziale” e che fra 20 giorni diventerà
effettivamente una suora. Poi dice che la madre è l’unica parente rimasta, quindi evidentemente i nonni
sono morti e racconta del giorno del sedicesimo compleanno di Rita in cui si sarebbe presentata in
convento e l’avrebbe supplicata di tenerla sempre con lei perché sono successi dei fatti che non si possono
raccontare ma dai quali evidentemente Rita in qualche modo deve scappare.
LETTERA IV
Padre Giuseppe ribadisce tutta la sua partecipazione al caso di Margherita e avverte la Madre superiore di
aver inviato due libri da consegnare alla ragazza.
LETTERA V
Qui troviamo la risposta alla prima lettera che fino ad ora è rimasta sospesa e qui effettivamente Padre
Giuseppe si dilunga di più.
“Nulla mi si è rivelato che modificasse l’immagine che mi ero fatta di voi, quella di una creatura semplice e
facile, e conturbata solo da un’intelligenza eccezionale per l’età.” Qui il padre ha già cambiato l’oggetto
della sua narrazione perché ha iniziato a parlare della sua esperienza, e l’immagine che lui si è fatto di lei
risulta un po’ eccessivo rispetto a ciò che la madre pensa di lei.
Il messaggio che sottintende il Don è che avete scelto la strada di diventare suora perché sentite un
pericolo nel mondo che volete evitare scegliendo questo.
Parlando con Margherita fa riferimento a cose che gli sono state dette dalla madre superiore (asilo).
Padre Giuseppe è un personaggio a cui piacere parlare anche delle sue vicende, di commentare la
situazione di Margherita soprattutto in relazione alla sua esperienza. Anche qui c’è un esempio di scrittura
nella scrittura, ovvero i due libri che vengono inviati.
Chiude la lettera dicendo a Margherita di mostrare alla madre superiore la lettera ricevuta in modo tale da
poterla commentare insieme = elemento di fisicità della lettera elemento volto a sottolinearne la
concretezza e la veridicità della lettera.
LETTERA VI
Altro personaggio, anonimo.
Sono passati quindici giorni fra le due lettere e la monacazione sta per avvenire, la monacazione è tutto
l’oggetto della discussione, mancano tre giorni, la lettera rimane anonima, è probabilmente da una novizia
compagna/amica con cui Margherita si confronta e sembra quasi come se fosse la voce del narratore che
tenta di fare un punto della situazione, come se analizzasse ciò che il lettore ha avuto sotto gli occhi fino a
quel momento.
È una lettera ancora più controllata perché si rivolge ad una figura ancora più alta nella scala gerarchica
ecclesiastica perché si rivolge al vescovo, c’è un’aderenza coerente alla carica a cui si sta rivolgendo, quindi
c’è coerenza.
LETTERA VII
Nuovo personaggio in scena: Don Paolo Conti, Segretario del Vescovo (a madre Giulietta Noventa).
È il giorno dopo la lettera anonima, quindi si perde un po’ la veridicità postale, però essendo che i tempi
sono brevi forse si cerca di essere più rapidi; infatti, si blocca la monacazione e ci sarà un’inchiesta che
poggia sulla risposta di Don Giuseppe alla lettera della Novizia.
LETTERA VIII
Il Vescovo vuole mettere insieme il botta e risposta fra la novizia e il Don; quindi, ha il compito di mettere
insieme cronologicamente il botta e risposta fra i personaggi.
LETTERA IX
Abbiamo una sorta di relazione che unisce al suo interno i documenti di scambio epistolare.
Il punto di vista di Don Paolo Conti è in linea con il pensiero di Don Giuseppe e la madre superiora, cioè che
questi dubbi della novizia non necessitano di grandi discussioni, probabilmente ha esagerato la novizia
anonima che è stata traviata dalla sua immaginazione o da altri motivi.
Qui l’inchiesta è stata compiuta, c’è stato un interrogatorio alla madre superiore, alla stessa Margherita e
alle compagne. Secondo l’interrogatorio, Margherita non nutre alcun dubbio in merito alla propria
vocazione.
Il lettore resta in balìa dei punti di vista che vengono narrati all’interno della vicenda.
LETTERA X
Due giorni dopo questa relazione leggiamo completamente il contrario attraverso le parole di Margherita
che scrive di nascosto al segretario del vescovo, ovvero lei vede la vita religiosa come la morte, vuole
fuggire a questo destino, il fatto di essere monaca la manda in questo stato di agitazione, le viene negata la
scrittura; quindi, l’unico mezzo che aveva per chiedere un aiuto con l’esterno le viene negata e quindi si
serve di un’educanda.
LETTERA XI
La prima preoccupazione del segretario è di dover tornare dal suo superiore a dirgli che ciò che aveva
appena scritto era tutto sbagliato.
Qui il messaggio di Don Paolo sembra il più deciso, usa parole molto precise, le accuse a Margherita sono
molto forti (gusto di esibirsi, ostentazione, riprovevoli, infidi, vanteria, azioni peccaminose, pretesto
ipocrita, confusione utilitaria, cerchio di cattiveria che si è tracciata intorno ecc).
Sostanzialmente dice che non c’è niente di vero in quella lunga lettera che lei ha scritto a Don Giuseppe,
che lei prova piacere nel mettere al centro della scrittura le proprie vicende, ma tutto quello che lei fa (la
scelta del convento) lo fa per liberarsi del rapporto con la madre e così vuole anche servirsi di Don Paolo
per liberarsi della propria vocazione. Lui spera che tutto sia dovuto ad una confusione che sta nel suo cuore
e non perché lei abbia azioni cattive.
LETTERA XII
Rita qui si comporta da vittima, affermando di dire la verità.
Riflessioni da lettore: si concorda con il fatto che Rita sia una vittima o che abbia mentito?
La causa scatenante della sua monacazione comunque è una bugia: lei si ritrova in convento a seguito di
una bugia (quando dice che Maria la picchia), quindi che la bugia sia un elemento che ha a che fare con la
figura di Margherita non è strano da credere.
LETTERA XIII
Da Don Giuseppe Scarpa a don Paolo Conti (due personaggi che non si erano mai scritti prima).
Da questa lettera capiamo che si nasconde qualcosa di non detto o che non si vuole del tutto comunicare.
LETTERA XIV
In questa lettera viene data un’ultima occasione a Rita per dire come stanno effettivamente le cose.
La lettera di Don Giuseppe Scarpa a Don Paolo Conti rimane sospesa, il lettore non trova subito quello che
si aspetta.
Parallelamente alla necessità di capire quale sia la storia della ragazza, corre anche il fatto che
bisognerebbe tenere il tutto segreto per evitare scandali.
LETTERA XV
In questa lettera ritroviamo lo stesso stile della prima a livello di narrazione, anche qui c’è un ritorno al
passato.
Qui le due donne sembrano essere in totale sintonia e la madre consiglia delle letture a Rita.
In questa lettera siamo ai 16 anni compiuti di Rita, aveva già trascorso un periodo in collegio e ritorna come
una quasi vacanza nella casa della madre.
La madre cerca di ristabilire con la figlia un rapporto alla pari e di quasi amicizia, quindi non da madre a
figlia.
Cambiamenti importanti riguardo ai luoghi: la camera che viene assegnata a Rita che non è più la camera
dell’infanzia (capitolo da ritenere chiuso) ma le viene assegnata la camera della nonna; quindi, viene
ritenuta degna di una camera da grande e dove possa sentirsi vicina ai ricordi, ma soprattutto viene capita
dalla madre con una delicatezza totale.
Si viene a creare una sorta di contrasto tra la vita della campagna e la vita della città, la madre continua a
vivere la vita della campagna però si sposta in città a cercare delle amicizie e la attività prediletta diventa
quella del pettegolezzo, di parlare di queste persone insieme alla figlia.
“tu sei della mia natura, ti piace l’indagare, il sottilizzare su tutto; ma tu sei anche un carattere forte, che
potrà aiutarmi” questo si può legare al concetto di malafede che qui è declinato sul pettegolezzo e
soprattutto sui rapporti passionali verso le persone.
Passaggio fondamentale: Rita capisce di essere nata non per sé stessa ma con il ruolo preciso di guidare e
medicare le anime, soprattutto l’anima della madre (come se Rita debba sentirsi un medico nei confronti
della madre).
Entra in scena un nuovo personaggio: lo zio Clemente.
Da una parte Rita si sente attratta da certi tipi di discorsi, fantasie e passioni, dall’altra sente il giudizio della
madre.
Entra un’altra figura di servo che collabora nella famiglia, Zaira, una vecchia definita intrigante e propone
aiuto a Rita.
Rita a casa dell’amica non ha trovato nulla a casa dell’amica, se non uno stato di normalità per quella che è
la sua età.
LETTERA XVII
Torna centrale il tema di verità/bugia. Già don Paolo aveva accusato Rita di aver orchestrato una
narrazione intessuta sulle bugie.
Non viene narrato da Rita della sua visita al Signor X, questo viene aggiunto solo ora nel racconto della
madre.
Coincidenze tra la madre che si sente ammalata per la passione amorosa come Rita si sente l’infermiera
che deve curare questi mali.
Elemento letterario: La madre vede in un personaggio la figura della figlia come se ci fosse una
impersonificazione. Molto spesso, la madre parlando di Rita insiste sulla moralità della figlia.
Difficoltà a seguire la trama perché ognuno cerca di fare prevalere il proprio punto di vista
LETTERA XVIII (non letta in classe) è un’altra lunga lettera di Rita a Don Paolo.
LETTERA XIX verrà introdotto un nuovo personaggio, Don Carlo Rivello che scriverà anche lui a Don Paolo.
LETTERA XX
Anche qui elemento di scrittura nella scrittura: una lettera che non riesce ad essere consegnata.
Zaira, la donna di servizio, vuol comunicare a Don Paolo che nella morte di Giuliano forse Margherita ha
una responsabilità. Margherita in quel caso dice che non c’entra niente, e può darsi che sia stato un
incidente come appunto era stato detto nella prima versione. Ma la lettera lascia intendere che Margherita
possa avere delle responsabilità con questa morte. La cosa che più ci lascia in confusione è che questa
lettera che noi leggiamo è una lettera che viene scritta dopo che Zaira ha stracciato un’altra che le è stata
dettata dalla signora.
LETTERA XXI
Don Paolo mantiene la sua posizione, lui crede che Margherita sia una bugiarda e lo ribadirà anche in
questa lettera.
LETTERA XXII
Per l’ennesima volta Rita vuole dare la sua versione e dice che farà una confessione totale.
Interessante è come vengono descritti questi due personaggi, le persone di servizio hanno un ruolo loro
all’interno del romanzo, non sono marginali, il narratore li presenta come quasi maschere di una sorta di
teatro, come due buffoni che recitano la parte.
I due servitori vogliono aiutare Rita a proseguire questo amore con Giuliano e le suggeriscono di scrivere
questo biglietto (che evidentemente è il biglietto che Zaira non riesce a portare).
I due si sono baciati, unico elemento che potrebbe testimoniare il fidanzamento fra i due, Giuliano prende
atto della situazione in cui vive la ragazza, quindi, insieme stanno pensando di andare via per crearsi una
vita tutta loro.
PAZZIA: termine usato dalla madre in poche lettere prima per dire che la figlia è pazza.
Margherita è effettivamente coinvolta nell’incidente però quello che è successo non è una sua colpa, una
sua volontà. La governante le suggerisce di scappare perché nessuno avrebbe creduto a questa versione
ma tutti avrebbero creduto che Rita avesse volontariamente ucciso Giuliano.
Una volta narrato l’accaduto, tutto il suo pensiero si sposta sulla sua colpa involontaria infinitamente
minore di quella che temeva di venire accusata. Quindi non si concentra sul dolore per la morte del
fidanzato ma sulle conseguenze che potrebbe avere quel gesto.
Rita rappresenta un romanzo (una storia/un’avventura) per la madre, che considera come un’anima
piccola, di poco conto e innamorata dell’intrigo.
LETTERA XXIII
Risposta di Don Paolo a Rita.
Don Paolo è forse il personaggio più positivo all’interno del romanzo. Lui è convinto della malafede di Rita
però dall’altra parte si mette nei panni di quello che è il suo ruolo di sacerdote; quindi, non può tollerare
che lei continui sulla strada della monacazione se la sua vocazione non è vera. A questo punto organizza
una vera e propria fuga dal convento, incarica Zaira di aspettarla all’alba del giorno 18.
LETTERA XXIV
Rita capisce che sarà in breve tempo libera, quindi è contenta ma anche agitata.
Succederà che Rita verrà portata fuori dal convento ma verrà intravista da alcuni personaggi.
LETTERA XXVI
Don Paolo dice a Rita ciò che sta succedendo nel paesino.
Diventerà il fulcro della narrazione il fatto che Rita viene portata fuori dal convento, ma ciò scatenerà
appunto la curiosità di alcuni personaggi, tra cui anche la madre. Anche qui viene architettato un ulteriore
piano per nascondere questa verità. Tutte le azioni che danno vita allo svolgimento della trama del
romanzo vengono sempre occultate o vengono date delle versioni diverse in modo di distogliere
l’attenzione di chi legge da quelle che è la verità. Da questa mancanza di conoscenza della verità si crea una
situazione di sicurezza.
Due cose interessanti: la prima è che Don Paolo riprende l’idea della guarigione, il fatto che lui tenti di
guarire Rita però è una guarigione molto diversa rispetto a quella che Rita voleva fare nei confronti della
madre; la seconda è che viene insistentemente ripetuta la parola carità, ciò va legato alla prefazione e al
concetto di malafede, al non voler conoscere fino in fondo se stessi e alla carità che comunque bisogna
portare nei confronti di sé stessi, anche per perdonarsi ciò che non si vuole fino in fondo vedere.
Don Paolo rivive questa esperienza come religioso per riflettere su quello che è il concetto di carità.
La carità si esprime nel riuscire ad accettare e perdonare anche le persone che sappiamo sono nell’errore e
Don Paolo ammette, grazie alla vicenda di Margherita, di sapere adesso guardare con occhi diversi anche le
persone che gli si presentano in questa situazione.
Questa lettera è molto importante per questo sentimento di carità che grazie alla vicenda di Margherita lui
ha sentito nascere in sé, questa lettera è quasi un esame di coscienza.
LETTERA XXVII
Lagnanza, termine che sembra stonare perché Don Paolo non ha fatto una lagnanza.
LETTERA XXVIII
Due personaggi, Cesare Colla chimico imbalsamatore e Luigi Semin, commerciante.
Rita è stata vista, la madre che non ne sapeva nulla decide di mettere in giro la voce per cui Rita era
effettivamente in convento, quindi, viene tirata in ballo la polizia e Don Paolo consiglia a Rita di spostarsi.
LETTERA XL
Natalia Ginzburg
[Guarda video]
Pavese definisce la sua scrittura “una lagna” nel senso di una cantilena che ti entra nelle orecchie e non ti
esce più, ma non nel senso di noiosa bensì diventa proprio un sottofondo riconoscibile.
Natalia Ginzburg è stata una donna anche politicamente impegnata nella nostra storia in quanto è stata
deputata, quindi è un personaggio poliedrico.
Pochissimi anni fa era uscita una biografia scritta dalla giornalista Sandra Petrignani intitolata “La corsara”.
I luoghi in Natalia Ginzburg sono molto importanti.
Ginzburg non è realmente il suo cognome ma lo prende dal marito quando si sposa e lo mantiene
nonostante lui muoia molto presto e lei si risposerà. Il suo cognome è Levi, un cognome di origini ebraiche
e il fatto di avere questo cognome ebraico la spingerà durante la pubblicazione del suo primo romanzo a
scegliere uno pseudonimo.
Natalia nasce nel 1916 a Palermo, la famiglia da cui nasce è particolare: suo papà si chiama Giuseppe Levi
mentre la madre si chiama Lidia Tanzi. Lei è l’ultima di cinque fratelli.
Nasce per caso a Palermo perché in quel periodo il padre insegnava anatomia all’università di Palermo, la
madre invece è di origine lombarda e figlia di un avvocato, socialista, amico di Turati.
Dopo circa tre/quattro anni si trasferisce a Torino con la famiglia, ambientazione che rimarrà più vicina a
Natalia nonostante lei vivrà gran parte della sua vita a Roma.
I suoi genitori decidono di darle un’educazione particolare: non viene mandata a scuola, ma verrà educata
a casa fino a frequentare il liceo pubblico. Si iscrive alla facoltà di lettere ma non concluderà mai questo
percorso perché inizierà a scrivere da molto giovane e già a 20 anni inizierà a collaborare con delle riviste.
Sposa giovane Leone Ginzburg, che viene mandato al confino in Abruzzo (anni della Seconda guerra
mondiale). Si trasferiscono in un piccolo villaggio con lui e ai due figli e nel periodo in cui sono all’Aquila
nascerà la terza figlia.
La prima sua pubblicazione è un romanzo intitolato “la strada che va in città” che pubblica appunto con lo
pseudonimo di Alessandra Tornimparte.
Nel 1943 il marito lascia il confino e decide di tornare a Torino con la famiglia e inizia una lotta dura e
clandestina, devono nascondersi, ma ciò non evita che Leone venga trovato in una tipografia clandestina
che sta stampando fogli non ritenuti corretto dal regime e imprigionato. Nel 1944, l’anno successivo, lui si
trova nel carcere di Regina Cedi viene malmenato dalle guardie e in seguito a queste torture lui muore.
Inizia a spostarsi per proteggersi, gira un po’ fino all’anno successivo in cui la situazione sembra essersi
calmata e lei torna a Torino, dove inizia la collaborazione più importante della sua vita con la casa editrice
Einaudi.
Il nome di Natalia Ginzburg è indissolubilmente legato alla nascita della casa editrice Einaudi e all’amico
Cesare Pavese. In un primo momento fondano la casa editrice assieme a Giulio Einaudi e lei ha un ruolo
importante (selezione e giudica i testi che devono essere pubblicati ecc). Il 1945 è un periodo molto
fiorente nella storia della cultura italiana. Cesare Pavese è la persona a cui è stata più legata come amico,
l’altro grande nome a cui si lega molto è quello di Felice Balbo e in seguito con Italo Calvino.
Lei decide di risposarsi con un anglista, un professore di inglese all’università Gabriele Baldini, ma manterrà
sempre il cognome del primo marito. Con lui si trasferiscono a Roma, per un periodo poi vivranno a Londra,
ma torneranno a Roma e trascorreranno lì gran parte della loro vita. Nel frattempo, lei pubblica tanti
romanzi tra cui: “È stato così” (1947); “Tutti i nostri ieri” (1952); “Le voci della sera” (1961). L’anno
successivo, nel 1962 pubblica invece una raccolta di saggi, ciò ci permette di dire che il genere del saggio
pensato come articolo di giornale, oltre a quello del romanzo, le appartiene.
Il romanzo con cui verrà conosciuta però arriverà nel 1963 con “lessico famigliare”.
Lessico famigliare è un romanzo quasi autobiografico, quasi perché in questo romanzo lei racconta in prima
persona l’esperienza della sua vita ma mettendosi negli occhi di lei bambina. Descrive molto bene le figure
che ha attorno e le vicende che stanno attorno alla famiglia, però l’io di lei bambina, poi ragazza e poi
adulta è messo in secondo piano. Il titolo nasce da un modo particolare di parlare della famiglia, talmente
legata che avevano un modo di parlare, delle espressioni lessicali che si usavano all’interno della famiglia e
che questa caratteristica le avrebbe permesso di distinguersi velocissimamente anche se si fossero ritrovati
al buio chiusi in una grotta solo sentendo dire quella parola ognuno di loro avrebbe ricostruito l’atmosfera
cui erano soliti vivere nella loro casa.
Fra il 63 (pubblicazione di lessico famigliare) e il 73 (pubblicazione di caro Michele) Natalia si è dedicata ad
altri generi come alla commedia teatrale (chi ho sposato per allegria) e alla saggistica.
A distanza di atri dieci anni pubblica l’opera “la famiglia Manzoni”, in cui Natalia fa una sorta di ricerca
storica e letteraria sulla storia di Alessandro Manzoni e la sua famiglia e ne restituisce un ritratto
utilizzando anche pezzi di lettere che lei recupera dalle ricerche storiche che lei fa. È una sorta di biografia
romanzata/ricostruzione storica/ indagine del personaggio di Manzoni.
Infine, nell’84 pubblica il romanzo epistolare “La città e la casa”, in cui abbiamo un susseguirsi di lettere sul
modello di Piovene, ma con altri temi.
Muore a Roma nel 1991.
La lettera è un elemento che affascina molto Natalia, e diventerà l’elemento su cui poggeranno i suoi
romanzi.
[visione video su youtube: https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2018/12/Natalia-Ginzburg-di-
Giulio-Ferroni-53764898-03ae-4194-899f-1cb6db842fef.html ]
Capitolo terzo.
Elemento del telefono a pg 23.
Altro elemento: Adriana conosce Osvaldo, che impressione ha di lui? Parla della sua gentilezza ma anche lei
in effetti non capisce quale sia il rapporto tra Osvaldo e Michele.
Sia Mara che Adriana sono d’accordo sulla gentilezza di Osvaldo che per Adriana è quasi eccessiva (parlare
con lui è come aver mangiato della marmellata).
Ada, la ex moglie di Osvaldo, da un punto di vista narrativo è importante. Ada ha aiutato Michele con i soldi
per partire, per il passaporto scaduto e forse ha un conoscente nella società dei telefoni, quindi, forse
potrà procurare un telefono ad Adriana.
Michele è partito improvvisamente e la madre ipotizza che possa avere una situazione politica difficile.,
infatti la lettera è datata ad anni in cui in Italia avere un certo orientamento politico può avere degli effetti
positivi o negativi. Tant’è che la madre teme possa essere finito nei tupamaros.
Tupamaros: sono dei gruppi politici di guerriglia in Uruguay, che proprio intorno agli anni 70 71 avevano
destato interesse perché c’erano stati dei movimenti.
Ultimo personaggio su cui dire qualcosa è il padre che ci viene nuovamente ripresentato sempre dalla
scrittura di Adriana e capiamo che effettivamente è un uomo malato a cui probabilmente non resta molto
da vivere e ci viene presentato nell’atto frenetico di fumare e parlare al telefono continuamente con
questo architetto di acquisto e ristrutturazione di questa Torre abbandonata all’Isola del Giglio.
Anche in questo romanzo ci sono delle scritture nelle scritture: Osvaldo che secondo i desideri di Ada
doveva diventare uno scrittore; Matilde, la sorella del padre, che ha scritto questo romanzo che si intitola
“polenta e veleno” titolo che subirà delle storpiature, manoscritto che però lei lo da al padre e viene perso.
Capitolo quarto.
Michele ha due sorelle maggiori Angelica e Viola e in questo capitolo scrive ad Angelica. Si trova a Londra e
ci fa anche capire quale sia l’ambientazione da cui è partito, il ragazzo che porterà a mano questa lettera si
chiama Rei, lo ha conosciuto a Londra e che chiede ad Angelica di ospitare, se ha modo, per qualche
giorno. La famiglia di Michele gravita intorno a Roma.
Efficace nella strutturazione del romanzo il gesto di anticipare degli elementi che poi vengono ripresi
successivamente. In questo caso, l’elemento della stufa, che doveva essere smontata per darla a Mara di
modo che non avesse freddo però è difficile smontare una stufa. Ecco che attraverso la narrazione di un
altro personaggio si ritorno su quello stesso elemento, capiamo il suo punto di vista.
L’ipotesi della madre Adriana non è così lontano dalla realtà, Michele scappa perché effettivamente ha
qualcosa da cui deve scappare legato a questo mira smontato.
Anche qui c’è una descrizione dell’appartamento.
Questa lettera è molto breve che contiene delle istruzioni per la sorella (non le chiede nemmeno come
sta).
Capitolo sesto.
Risale allo stesso giorno della lettera precedente, il che porta il romanzo ad un livello di credibilità molto
più alto.
Capitolo settimo.
Si vede molo bene nei saggi o negli articoli di giornale scritti dalla Ginzburg che parte da un fatto di cronaca
o da un’esperienza successa veramente con dei dettagli molto concreti e arriva a dare sempre una visione
molto più allargata e universale delle cose. La stessa cosa in certi tratti la si può dire di Adriana.
L’idea della memoria e del ricordo è molto legata al concetto di felicità, che è un momento sfuggente
(pagina 43).
I rapporti nella famiglia sono molto polarizzati: il padre ha una predilezione per il figlio, la madre invece per
le figlie. Il madre probabilmente è molto affezionato a Michele proprio per la passione che li accomuna, il
padre è un pittore e artista lo è anche Michele che fa questi quadri dipingendo gufi e quadri notturni.
La notizia della morte viene data in maniera molto telegrafica, con frasi molto brevi come se fosse un
resoconto giornalistico e come se Adriana riportasse dei dati senza alcun trasporto, anche se come ha
narrato prima, la morte del padre l’ha sconvolta.
Anche in un personaggio come Cloti, la cameriera che viene sempre dipinta in maniera comica, c’è
un’incapacità di conversare.
Sia Michele che Mara vengono definiti dalla madre “balordi” in quanto entrambi non hanno degli obbiettivi
ben precisi, si spostano senza difficoltà, vivono alla giornata. Ed è in generale l’idea che gli adulti degli anni
’70 hanno dei più giovani.
Capitolo ottavo.
Questo capitolo è costituito dal dialogo fra Ada e Osvaldo che parlano di Mara.
L’ipotesi che Michele sia in pericolo per le sue idee politiche prende nel romanzo sempre più piede.
Capitolo nono.
Ansaplasto = cerotto
Angelica dice molte così qui che ha già detto Adriana, il fatto di sentirsi sola, l’essersi pentita di avere lì
Matilde.
Ancora una volta il personaggio di Ada, per quanto secondario è motore perché succeda qualcosa ad altri
personaggi.
Capitolo decimo.
Dialogo fra Mara e Osvaldo incentrato su Ada. Questo fa sempre parte della tecnica di incrociare i punti di
vista per arricchire sempre di più ciò che sappiamo su un personaggio o su un avvenimento.
Capitolo undicesimo.
Questa è la prima lettera di Mara a Michele.
Lei fa tutto un discorso come per giustificarsi sul perché non voglia sposare Michele, ma in realtà Michele
non le ha neanche mai chiesto di sposarla. Conclude dicendo che lei non vuole sposarsi con una persona
che le faccia pena, ma vuole sposarsi con una persona che le faccia invidia e che quindi la stimoli a qualcosa
di più alto. Tutto sommato in queste ultime frasi Mara stupisce perché in tanta confusione e in tanti
discorsi un po’ comici che fa c’è un piccolo risvolto positivo nel suo personaggio.
Capitolo dodicesimo.
Lettera di Adriana a Michele
Capitolo tredicesimo.
Sostanzialmente la madre scrive a Michele per dirgli del testamento, il padre lascia a Michele la casa in via
San Sebastianello e la Torre al mare oltre ai vari quadri di sua proprietà.
Capitolo quattordicesimo.
Michele ringrazia la madre per le lettere ma di fretta perché non ha tempo. Si sta spostando di nuovo, dal
Sussex a Leeds che riconferma la sua propensione al viaggio. Abbastanza comica è anche la presentazione
di questa ragazza che lui dichiara di trovare abbastanza noiosa ma la segue perché “qui ne ho abbastanza
di tutto”, quindi è un pretesto per muoversi.
Le sue lettere contengono sempre delle richieste, nella loro brevità Michele finge di interessarsi ma alla
fine di sé non dice mai nulla nè dei suoi sentimenti e ha sempre delle richieste da fare.
Capitolo quindicesimo.
Lettera di Mara a Michele in cui racconta di avere iniziato una storia d’amore con l’editore Colarosa
inimicandosi Ada.
Capitolo sedicesimo.
Questo capitolo è una narrazione e dal punto di vista narrativo abbiamo un incastro di discorso indiretto e
discorso diretto.
Anche nella coppia Angelica-Oreste scopriamo esserci dell’infelicità e le cose non funzionano.
Qui si ha una narrazione con più personaggi che interagiscono fra loro. Vediamo le due sorelle di Michele
descritte in maniera molto precisa e capiamo che sono molte diverse sia a livello di sensibilità che di
aspetto esteriore. Viola è molto più elegante e curata rispetto ad Angelica.
Le due sorelle parlano del fratello Michele e vediamo le diverse opinioni che hanno su di lui: viola è
convinta che il fratello sia omosessuale o ambidestro (bisessuale). Entrambe le sorelle hanno questa
sensazione che fra Michele e Osvaldo ci sia stata una storia.
Viola con questo compagno/marito Elio di cui non sappiamo nulla e che vuole diventare madre.
Abbiamo diversi tipi di madri in questo racconto: Adriana che è madre di tanti figli e con cui ha rapporti
diversi; Ada che è madre della bambina che ha avuto con Osvaldo; c’è Mara che è una madre sola; Angelica
è madre con un marito che non ama forse più e forse anche lei non è più amata; e poi c’è Viola che ha il
desiderio di essere madre ma perde il bambino. Quindi anche l’idea della maternità è declinata in maniera
diversa all’interno del romanzo, così come la paternità che attualmente è incentrata sulla figura del padre
che però muore, oppure la paternità di Michele che è con un punto di domanda perché non si sa se sia
effettivamente il padre del bambino.
Dei capitoli diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo abbiamo saltato la lettura in classe: sono delle
brevi lettere di Michele scritte lo stesso giorno e indirizzate ad Angelica, Mara e Osvaldo per dare la notizia
che si sposa con la ragazza di Leeds.
Capitolo ventesimo.
È la prima lettera che Osvaldo scrive a Michele. In totale in tutto il romanzo Osvaldo scrive due lettere, ciò
per dire che il numero di lettere non indica l’importanza di un personaggio all’interno della narrazione
essendo che comunque Osvaldo è un personaggio centrale all’interno della narrazione, pur avendo scritto
poche lettere.
Osvaldo manda come regalo a Michele un certo libro di poesie (scrittura nella scrittura) “I fiori del male” di
Baudelaire.
Capitolo ventunesimo.
Ritornano sul fatto che Michele conosce poco la madre e viceversa.
Che Ada è riuscita a farle mettere un telefono.
La questione della torre e i dettagli, quindi torna l’elemento chiame della casa.
Mara cambia cognome ancora da Castorelli a Pastorelli a Martorelli.
Capitolo ventiduesimo.
Mara ha deciso di trasferirsi dal Pellicano.
Capitolo ventitreesimo.
Lettera di Michele ad Angelica e chiede un altro favore.
Capitolo ventiquattresimo.
Capitolo ventottesimo.
In questa lettera il tono di Michele è cambiato. Non scrive per chiedere piaceri o soldi, è una lettera di
riflessione. Ad un certo punto Michele afferma che è un periodo in cui si metterebbe a parlare anche con
una sedia, ciò non ce lo saremmo mai aspettati da Michele, qui c’è un riscatto dell’incomunicabilità che ha
dominato il romanzo in precedenza.
Capitolo ventinovesimo.
Angelica si rende conto che il fratello è molto infelice.
Da notare sempre la triade limpidi, misericordiosi e severi / duro, salutare e benefico/ la chiarezza, la
severità, la misericordia tipico della scrittura di Natalia.
Capitolo trentesimo.
Michele liquida la proposta di Angelica di andarlo a trovare, perché è un momento in cui non vuole essere
in contatto con le persone che lo conoscono ma soprattutto è in procinto di spostarsi per l’ennesima volta.
Capitolo trentaduesimo.
Importantissimo il finale sul concetto di felicità/ricordo e memoria e soprattutto nell’ultima frase lo
scambio di parole che Adriana giudica non mai parole chiare e necessarie ma parole grigie e bonarie,
fluttuanti e inutili. Se è vera la regola dei tre aggettivi, qui vengono usati due aggettivi per qualcosa di
positivo e quattro per qualcosa di negativo quindi il totale degli aggettivi è sempre sei.
Capitolo trentatreesimo.
Questa è una lettera da Ermanno Giustiniani, un amico di Michele e della moglie, indirizzata ad Angelica
per avvisarla del matrimonio di Michele andato per aria. E’ partito senza lasciare il nuovo indirizzo e
lasciando trecento sterline di debiti che la moglie chiede alla famiglia di pagare. Eileen sta male di spirito,
per questo è Ermanno ad avvisare la famiglia non sapendo se fossero già stati avvisati o meno.
Capitolo trentaquattresimo.
Angelica risponde dicendo che invierà i soldi tramite Lillino. Chiede se per caso avessero avuto notizie su
dove si trova Michele e dice che è addolorata per quello che è accaduto ad Eileen.
Capitolo trentacinquesimo.
È una lettera di Mara a Michele. Mara si è trasferita a Trapani a casa della riccioluta da dove scrive.
Capitolo trentottesimo.
La riccioluta scrive ad Angelica da Trapani perché Mara a questo punto è troppo sconvolta per rispondere
alle due lettere precedenti. Qui bisogna prestare attenzione alla scrittura della riccioluta perché questa
lettera contiene pochissima punteggiatura ed è scritta in uno stile colloquiale che ci fa capire che questa
ragazza è in una condizione molto umile ma si fa portavoce della condizione di Mara che non riesce
nemmeno a prendere la penna in mano. Trova però il modo di scrivere più avanti.
Capitolo trentanovesimo.
Mara lascia Trapani per trasferirsi a Varese presso uno zio di Osvaldo. Quindi abbiamo qui l’ennesima
peregrinazione di Mara dopo essere sostanzialmente stata messa fuori casa dalla riccioluta. Ringrazia per i
soldi che ovviamente le sono arrivati. A fine pagina 141 dice una cosa molto bella ad Angelica che fa capire
quanto il personaggio di Angelica sia ben organizzato dal narratore, è un personaggio su cui tutti fanno
affidamento: la madre si confida con lei, Michele scrive a lei più di tutti e lei si carica più di tutti delle
fatiche, tant’è che la madre si rende conto che Angelica non si confida con nessuno su quali siano i suoi
reali problemi, se il lettore è a conoscenza delle sue difficoltà famigliari è solo perché un narratore
onnisciente gli ha fatto vedere quel quadro. La stessa Mara, nella sua ambiguità, capisce che Angelica è un
personaggio estremamente positivo.
Capitolo quarantesimo.
È una lettera a Filippo, la prima e unica, scritta da Adriana che lo ha visto in Piazza di Spagna e gli racconta
quali siano state le sue sensazioni nel vederlo.
Capitolo quarantunesimo.
In questo capitolo c’è una situazione di dialogo fortemente teatrale. E’ arrivata l’estate e stanno tutti
partendo, non rimane nessuno, rimane solo Viola perché deve occuparsi della madre.
Per la seconda volta Viola pensa di essere incinta, quindi di nuovo il desiderio di una donna di essere madre
anche se non sappiamo se il suo desiderio si avvererà. Il telefono c’è, che la salva dallo stare da sola. Viola
ricordando della sua infanzia quando lei Michele e angelica erano bambini torna ancora sul discorso
dell’omosessualità di Michele, mentre ad Angelica non sembra interessare di trovare la verità sulla sua
omosessualità.
Capitolo quarantaduesimo.
Qui siamo agli inizi di settembre, l’estate è passata ed è quasi trascorso un anno da quando la vicenda è
iniziata.
Osvaldo non ha conferito parola in tutto il romanzo e alla fine commuove. Anche se è poco presente in
tutto il romanzo, a lui viene dato il compito di chiudere la vicenda e la chiude situendo l’interno dell’ultima
casa in cui ha vissuto Michele (a conferma della centralità dell’elemento delle case in cui i personaggi
vivono e si muovono). Lui fa la sua ultima riflessione sull’importanza della memoria e dice appunto che
Michele non coltivava la memoria però si consola che in quell’ultimo attimo di lucidità Michele abbia
potuto percorrere quelle che Osvaldo chiama “tutte le strade della memoria” e questo pensiero è per lui
consolante, gli restituisce quello che non ha potuto trovare in quella casa se non quella maglietta cenciosa
appesa su una scopa.