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INDICE

- Introduzione sui romanzi di formazione 2


- Cenni sulla vita di Manzoni 3
- L’opera “I Promessi Sposi” 3
- “I Promessi Sposi” : un romanzo di formazione? Le posizioni dei 6
critici e la formazione di Renzo Tramaglino
- Lucia Mondella 13
- Cenni alla vita di James Joyce e all’opera “The Dubliners” 14
- Testo in inglese e traduzione in italiano del racconto “Eveline” 15
- Trama e analisi del testo di “Eveline” 23
- Analisi del libro “Il Giovane Golden” di Jerome D. Salinger 26
- Articoli sulla morte di Salinger ( 27 Gennaio 2010)
- Bibliografia 31

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INTRODUZIONE

Nel periodo tra Ottocento e Novecento con l’avvento del disagio


giovanile e della sempre più frequente “adolescenza difficile”, nasce il
romanzo di formazione. Questa tipologia di romanzo non è altro che un
genere letterario che si concentra sul giovane che cerca di realizzarsi
all’interno della società borghese, di inserirsi in questa società. La
caratteristica fondamentale del romanzo di formazione è il lieto fine,
dove il giovane, diventato adulto, riesce ad inserirsi completamente
nella società e , come avviene in diversi romanzi dell’epoca, egli
completa la sua realizzazione con il matrimonio. Nella prima metà dell’
Ottocento, il lieto fine dipinge la borghesia come una classe sociale in
ascesa, che riesce ad affermare gli ideali di libertà e uguaglianza; nella
seconda metà dell’ Ottocento, invece, il romanzo di formazione diventa
pessimistico e sancisce definitivamente la nascita del romanzo di
formazione negativo. In questo contesto i giovani vengono sottoposti a
prove dure che determinano il completo fallimento del protagonista e, in
alcuni casi, lo portano addirittura al suicidio. Nel romanzo di formazione
novecentesco il protagonista è uno studente o un artista : essi
manifestano una condizione di superiorità rispetto alla loro classe
sociale di appartenenza; questi personaggi sono molto sensibili e
tendono ad escludersi automaticamente dall’ambiente che li circonda.
Tale esclusione si manifesta spesso con il fallimento negli studi e nel
lavoro, per una malattia o, peggio ancora, con il suicidio.
Per la mia tesina ho scelto quindi di trattare la figura del giovane in
letteratura e osservare come essa è cambiata tra ‘800 e ‘900. Sono
partita da “I Promessi Sposi”, romanzo che Manzoni termina nel 1842. Il
protagonista, Renzo, è un operaio tessile e contadino che vive la sua
esperienza come un percorso di formazione e diventa sempre più
fiducioso nell’abbandono a Dio. Lucia, invece, la futura sposa di Renzo,
all’inizio appare prigioniera di una visione ingenua della vita, ma deve poi
far fronte a diverse sofferenze e arriva così a capire che la sua visione
idilliaca della vita non è reale e che non basta essere cauti per non
soffrire.
Diversa è invece la figura di Eveline, protagonista di un racconto di
James Joyce. La sua è la storia di una crescita rifiutata e ben
rappresenta le esitazioni e i timori di un adolescente di fronte alla realtà
della vita.
Infine ho preso in considerazione “Il Giovane Holden” di Salinger, un
romanzo ambientato alla fine degli anni ’50, in cui il protagonista diventa
il prototipo dell’adolescente ribelle e confuso in cerca della verità e
dell’innocenza al di fuori dell’artificiale mondo degli adulti.

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ALESSANDRO MANZONI

Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785 dal conte Pietro e da


Giulia Beccarla, figlia di Cesare Beccarla, autore di “Dei delitti e delle
pene”. Il padre legittimo fu il conte Pietro Manzoni, ma quello naturale
venne identificato in Giovanni Verri, fratello del fondatore del
“Caffè”.Compì i suoi primi studi in istituti religiosi e nel 1805 si recò a
Parigi per raggiungere la madre e consolarla della morte di Carlo
Imbonati. Qui conobbe Fauriel,storico e critico francese. Nel 1810
abbandonò Parigi per ristabilirsi nuovamente a Milano dove restò fino
alla morte. A Milano si dedicò al lavoro ed anche alla conduzione della
vita famigliare che venne segnata da numerosi lutti: la morte della prima
moglie (Enrichetta Blondel), della madre e della seconda moglie (Teresa
Borri vedova Stampa). Morì a Milano nel 1873 e l’anno successivo
Giuseppe Verdi gli dedicò la “Messa da requiem”.

I PROMESSI SPOSI

Nei primi decenni dell’Ottocento si affermò in tutte le letterature


europee il genere narrativo del romanzo. In particolare, il romanzo
storico incontrò grande fortuna presso i letterati romantici che
prediligevano la ricostruzione di ambienti e personaggi lontani nel
tempo. Quando Manzoni, nel 1821, concepì il progetto del suo romanzo,
in Italia il genere del romanzo storico era ancora pressoché
sconosciuto:di ritorno da Parigi, Manzoni lesse con attenzione il romanzo
“Ivanhoe” di Walter Scott e scrisse all’amico Fauriel una lettera dove
esprimeva le sue opinioni in proposito. Tuttavia Manzoni operò in
direzione antiscottiana, proponendosi di evitare in ogni modo quello che
egli chiamò “il romanzesco”, cioè il gusto per gli intrecci avventurosi e la
mescolanza della fantasia con la realtà. La passione per l’indagine
storica che nelle due tragedie si era concentrata sui protagonisti della
storia ufficiale, successivamente si orientò verso gli umili, le persone
anonime, i popolani. A favore degli umili si schierarono solo alcune figure
che rappresentavano la Chiesa, come fra Cristoforo e il cardinale
Borromeo. L’autore volle infatti sottolineare il ruolo storico della Chiesa
nel Seicento e mostrare che, quando essa non abbandona la propria
missione morale, è in grado di arginare o di combattere la prepotenza e
l’arroganza dei potenti. Al tempo stesso egli condannò quei religiosi che,
come don Abbondio trascurano la propria missione per paura o viltà.

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Inoltre Manzoni affidò alla sua opera lo scopo educativo di elevare il
livello culturale e morale della società. “I Promessi Sposi” recavano
anche un messaggio patriottico destinato ai lettori del tempo, insito nel
parallelismo fra l’oppressione spagnola sulla Lombardia del Seicento e
quella austriaca dell’ Ottocento.

L’ambientazione
Il romanzo è ambientato nella Lombardia della prima metà del Seicento,
al tempo della dominazione spagnola. Questo secolo si può considerare
il vero protagonista del romanzo. Esso è presentato nei suoi aspetti più
caratteristici e le vicende private di Renzo e Lucia si intrecciano agli
eventi realmente accaduti in quel periodo, come la carestia, la
sommossa popolare di Milano, la discesa dei lanzichenecchi e la peste.
Per spiegare questi eventi l’autore intervene spesso nella narrazione con
ampie digressioni.

La composizione del romanzo


Manzoni ha lasciato tre stesure del suo romanzo. La prima, del 1821-
1823, inedita fino all’inizio del Novecento, si intitola “Fermo e Lucia” ed
è da molti considerata un romanzo a sé stante; il manoscritto è
accompagnato da una “Appendice storica su la colonna infame” che
contiene la documentazione dei processi agli untori durante la peste del
1630. Sovrabbondano le digressioni che spesso costituiscono quasi un
racconto a sé e la lingua nasce da un compromesso fra il toscano
letterario, alcune forme del dialetto milanese con una fonetica italiana e
calchi di altre lingue europee, soprattutto del francese.
La seconda stesura del romanzo contenuta in un manoscritto al quale
dapprima fu dato il titolo provvisorio “Gli sposi promessi” e in seguito
quello definitivo “I Promessi Sposi”, con il sottotitolo “Storia milanese
scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni”. Si tratta dell’edizione
chiamata “ventisettana”. Dal punto di vista della struttura
narrativa,rispetto alla precedente stesura presenta alcune varianti
normative,le digressioni risultano ridotte ed è lasciato più spazio alla
citazione di “gride” ed “editti”. Anche personaggi subiscono significative
trasformazioni rispetto all’ edizione precedente e notevole e la
rielaborazione psicologica di alcuni di essi che erano stati delineati in
modo schematico. Per quanto riguarda la lingua nella ventisettana
l’autore scelse la forma toscana, anche se questa appariva ancora poco
spontanea.
La terza stesura, quella definitiva, nacque da una revisione linguistica
della precedente. Manzoni nel1827 effettuò un viaggio a Firenze per
“risciacquare i panni in Arno”, cioè per impratichirsi della lingua toscana

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ascoltando coloro che la parlavano correttamente. Il testo uscì tra il
1840 e il 1842 e si tratta dell’edizione chiamata “Quarantana”. In
appendice apparve la “Storia della colonna infame”.

La trama
Il romanzo racconta le travagliate vicende di due giovani popolani, Renzo
Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio viene impedito da un
prepotente signorotto locale invaghitosi di Lucia, don Rodrigo simbolo
dello strapotere della nobiltà sulla popolazione sottomessa. Dopo
innumerevoli peripezie, che vedono Lucia catturata dal potente
Innominato e Renzo coinvolto a Milano in una sommossa popolare, grazie
all’aiuto di vari personaggi che intervengono a favore dei due sfortunati, i
promessi sposi riusciranno alla fine a ricongiungersi e a celebrare le
nozze. Il lieto fine della vicenda dimostra, seconda l’autore, l’esistenza di
una “Provvidenza divina”, che aiuta coloro che hanno fede e interviene a
sostenere gli umili e gli indifesi.

La struttura e il narratore
Nella stesura definitiva il romanzo si compone di XXXVIII capitoli.
L’autore finge di aver ricavato la sua storia dal manoscritto di un
anonimo del Seicento: ma la finzione del manoscritto e solo un gioco di
simulazione con i lettori, perché lo scopo di Manzoni è quello di rendere
la storia “vera” e quindi più “interessante”. Questo espediente consente
all’autore di prendere le distanze dalla vicenda e dai protagonisti per
poter essere così un giudice imparziale. Il modello di narratore che si
delinea all’interno dei “Promessi Sposi” è quello del narratore
onnisciente che sa tutto dei personaggi e possiede la verità assoluta.

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I PROMESSI SPOSI : UN ROMANZO DI FORMAZIONE?

Non tutta la critica è d’accordo nel definire i “Promessi Sposi” come un


romanzo di formazione. Gino Tellini nel suo saggio “Il romanzo italiano
dell’Ottocento e Novecento” assegna il ruolo di formazione a Nievo e alle
sue “Le Confessioni di un Italiano”, in quanto hanno al loro centro una
duplice situazione sentimentale e politica (patria e amore), che
corrisponderebbe al vero romanzo di formazione italiano, anche perché
rappresentano il percorso biografico del protagonista e del narratore. Al
Manzoni, invece il critico lascia il compito di essere ancora un narratore
onnisciente, troppo lontano rispetto a quello che dovrebbe essere un
romanzo di formazione. Analogamente Franco Fido nel suo saggio “Le
metamorfosi del centauro” nega del tutto che ci sia la possibilità di
cogliere nel capolavoro manzoniano un romanzo di formazione. Sostiene
che Renzo che fa la spola tra città e campagna, tra Lombardia spagnola
e Terra di San Marco, dal punto di vista dello scioglimento della storia,
non fa mai un passo in avanti, ed è sempre fermo allo stesso punto. Il
suo ruolo, dunque, sarebbe trascurabile e le sue iniziative destinate a
naufragare una dopo l’altra.
La professoressa Marisa Ferrario Denna, riferendosi ad un saggio di
Franco Moretti (“Il romanzo di formazione”) , ha cercato di individuare
nel personaggio di Renzo tre percorsi di formazione, che vedono cioè una
crescita del protagonista da una certa condizione di partenza e un’altra
di “arrivo”. Il primo percorso è relativo al lavoro, il secondo alla presa di
coscienza del proprio nome, e quindi della propria identità da parte di
Renzo e, da ultimo, un percorso per così dire semiotico, alla conquista
della parola.
Un primo elemento che Moretti individua per dire se possiamo trovarci in
presenza di un romanzo di formazione è l’attenzione che di norma questo
genere letterario rivolge al quotidiano. Ciò che interessa il
“Bildungsroman” , infatti, è che la sfera privata dimostri la sua capacità
di sopravvivenza al mondo che appare come un orizzonte minaccioso.
Questo accade ne “I Promessi Sposi”: il privato del quotidiano è ciò che
pone Renzo e anche Lucia di fronte a uno ostacolo (“questo matrimonio
non s’ha da fare”) ed è poi ribadito da tutta una serie di personaggi
bassi, umili e modesti che mettono appunto in risalto questa presenza
del quotidiano.
Un secondo elemento che Moretti rintraccia e utilizza per definire il
“Bildungsroman” è il passaggio del romanzo di formazione che si svolge
tra due classi sociali, di solito dalla borghesia all’aristocrazia. Questo in
Manzoni non c’è: Renzo tende anzi alla piccola proprietà, tanto che

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Moretti sottolinea come il modello dell’operaio poco si addica al romanzo
di formazione, essendo questi in genere un individuo che tende più alla
disciplina, che non alla rivolta, ed è quindi meno carico di contraddizioni
rispetto al giovane intellettuale.

Percorso 1: il lavoro
Secondo la Prof.ssa Ferrario è proprio nell’essere operaio di Renzo,nel
suo modo di lavorare che si attua questa piccola formazione. C’è, infatti,
ne “ I Promessi Sposi” un piccolo romanzo industriale:viene addirittura
tracciata una via della seta e c’è anche un piccolo romanzo di
emigrazione, che ben collima con il romanzo industriale. Il luogo della
tentata seduzione di Lucia da parte di Don Rodrigo è proprio la strada
che dalla filanda conduce al paese ed è proprio la chiusura stagionale
della filanda a permettere le molestie di Don Rodrigo nei confronti della
fanciulla. Tuttavia questo luogo della tentata seduzione è lo stesso luogo
che consente di svolgere al meglio le vicende, aprendo ai protagonisti la
via d’uscita dal paese: apre cioè la strada verso un futuro migliore come
accade nel capitolo IV:

“maritati che fossimo…tutto il mondo è paese:e, a due passi di qui, sul


bergamasco, chi lavora seta è ricevuto a braccia aperte”

Renzo sta alludendo al cugino Bortolo,che più volte lo ha chiamato a


lavorare con sé. Quando Renzo arriva nel paese del cugino viene
presentata la descrizione di un filaio meccanizzato, azionato da un
mulino ad acqua: il filatoio è luogo di lavoro maschile, le donne erano
invece impiegate nella filanda. Erano per lo più occupazioni stagionali,
sia per gli uomini che per le donne, chiaramente legati al ciclo del baco
da seta. Ciò significa che il filatore, in genere, è un piccolo possidente di
terra, che lavora nell’industria serica solo quando è possibile, mentre per
gran parte dell’anno lavora come contadino nel proprio appezzamento di
terra. Anche Renzo, che si chiama non a caso Tramaglino(dal nome della
rete del filatoio) è un piccolo possessore di terra:

“Era , fin dall’adolescenza, rimasto privo de’ parenti, ed esercitava la


professione d filatore di seta, ereditaria, per dir così nella sua famiglia;
professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già in decadenza,
ma non però a segno che un abile operaio non potesse cavarne di che
vivere onestamente. Il lavoro andava di giorno in giorno scemando; ma
l’emigrazione continua de’ lavoranti, attirati negli stati vicini da
promesse, da privilegi e da grosse paghe, faceva sì che non ne
mancasse ancora a quelli che rimanevano in paese. Oltre di questo

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possedeva Renzo un poderetto che faceva lavorare e lavorava egli
stesso, quando il filatoio stava fermo.”
Renzo,dunque, viene presentato sia come operaio che come contadino.
Egli è capace di fare il suo lavoro e intuiamo questo sin dalle prime
definizioni che di lui ci vengono date: ad esempio quando Lucia parla del
futuro marito lo definisce “ uno che ha un mestiere” e quindi vuol dire
che lo sa fare. Il fatto di avere geneticamente dentro di sé questa
capacità è la premessa perché Renzo possa avanzare. Questo mestiere,
però, non può più farlo nel suo paese per le note vicende. Così Renzo si
sposta ma anche nel bergamasco è ricercato,dato che il bando mandato
dal governatore di Milano alla repubblica di San Marco lo definisce un
malandrino, un autore di saccheggi e di omicidi. Ciononostante le sue
capacità gli permetteranno di cavarsela:

“A Venezia avevan per massima di secondare e di coltivare l’inclinazione


degli operai di seta milanesi a trasportarsi nel territorio bergamasco, e
quindi di far che ci trovassero molti vantaggi..”

Renzo viene dunque subito accettato con il nome di Antonio Rivolta,


perché onesto e abile: possiede qualità che gli garantiscono un lavoro.
Renzo sa lavorare bene e questo saper lavorare bene gli consente un
cambiamento di ruolo, un miglioramento. Infatti quando la peste è
passata, Renzo torna dal cugino Bortolo e già si parla di ravviare i lavori
(cap. XXXVII) :

“Renzo, senza fare il lezioso, promise (salve però le debite approvazioni)


al cugino di rimettersi al lavoro, quando verrebbe accompagnato, a
stabilirsi in paese. S’ occupò intanto de’ preparativi più necessari: trovò
una casa più grande; cosa divenuta pur troppo facile e poco costosa; e
la fornì di mobili e di attrezzi…”

Il giovane sta pensando a un cambiamento: è tornato nel bergamasco e


la prima cosa che fa è quella di mettere a frutto il denaro di cui si trova
proprietario comprando una casa più grande. Egli sta pensando al
matrimonio e ha inoltre pensato di stabilirsi nel bergamasco in maniera
fissa. Renzo pur agendo in modo oculato fa qui un gesto coraggioso e
prende una decisione: è l’unico momento in cui fa una scelta. Sebbene
abbia due mestieri,quello del contadino e quello dell’operaio, egli sceglie
di proseguire nella sua seconda occupazione. Si trova quindi in una
situazione nuova e c’è ovviamente qualche incertezza, qualche ostacolo.
Infatti, arrivati nel bergamasco, tutti sparlano di Lucia e di Renzo,
descritti come due baggiani. Tramaglino coglie quindi un’occasione che

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gli si presenta. Poco distante da dove si trovano, un piccolo industriale
cui è morto il padre, vuole vendere la sua piccola azienda e il giovane ha
a disposizione i contanti che l’erede del padrone del filatoio vuole. Ciò fa
sì che Renzo si decida definitivamente per l’industria e diventi, in
comproprietà con il cugino, possessore di un filatoio: passa dunque dalla
condizione operaia a quella di piccolo imprenditore. Manzoni anticipa
quindi la formazione di una borghesia imprenditoriale, alla quale i
membri delle classi inferiori hanno accesso per virtù delle loro risorse di
intraprendenza e delle loro capacità. Questo miglioramento economico
delinea una piccola via della seta che si fa portatrice dell’ideale socio-
economico dell’autore. In tutto ciò si inserisce anche un piccolo
romanzo dell’emigrazione che riguarda l’abbandono del luogo natio, ma
anche la vita nuova nel bergamasco. Manzoni è preciso nel delineare
l’ambiente economico. Nel saggio “ Un libro per tutti: I Promessi Sposi”
lo studioso Vittorio Spinazzola sostiene che il tema economico è posto
dal Manzoni in funzione antiidillica. Renzo,infatti, nel finale è soddisfatto:

“Gli affari andavan d’incanto: sul principio ci fu un po’ d’incaglio per la


scarsezza de’ lavoranti e per lo sviamento e le pretensioni de’ pochi
ch’eran rimasti. Furon pubblicati editti che limitavano le paghe degli
operai; malgrado quest’aiuto le cose si rincamminarono, perché alla fine
bisogna che si rincamminino. Arrivò da Venezia un altro editto un po’ più
ragionevole: esenzione,per dieci anni, da ogni carico reale e personale ai
forestieri che venissero a abitare in quello stato. Per i nostri fu una
nuova cuccagna.”

Dalla condizione primitiva si arriva quindi alla “nuova cuccagna” del


lavoratore Renzo. Alla fine questi trae un sommario della propria vita:
sembra avere imparato tutto, ma sembra anche che Lucia ribalti questa
prospettiva di successo:

“ (…) cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i
guai: son loro che son venuti a cercar me. Quando non voleste dire, -
aggiunse soavemente sorridendo-, che il mio sproposito sia stato quello
di volervi bene, e di promettermi a voi. Renzo, alla prima, rimase
impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i
guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la
condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani (…)”

Nel momento del sì, dice Spinazzola, quello che cambia davvero è il fatto
che per la prima volta è una coppia che adesso prosegue il suo viaggio.
Le parole più importanti sono quelle di padre Cristoforo : “ vi lascio

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perché vi incamminiate in questo viaggio che è la vita”. Lucia diventa
qualche cosa di più forte: si rivela una figura più moderna rispetto ad
altre della letteratura sette-ottocentesca. Lucia e Renzo diventano
un’unità, costituita da reciproco affetto. Il loro matrimonio è:

“ una conquista faticata, come risultato di tutte le prove di maturità


offerte nel corso della vicenda. Renzo e Lucia hanno conosciuto il male,
ma non ne sono stati contaminati; hanno imparato quali siano le inique
norme di comportamento vigenti nella società, ma non vi si sono
adeguati; sono stati sottoposti alla legge dell’odio, ma si sono mantenuti
fedeli alla legge dell’amore.”

Renzo è cambiato non soltanto diventando piccolo imprenditore, ma è


cambiato anche dentro di sé: sarà poi l’episodio del perdono a sancire
questa maturazione.

Un altro elemento che Moretti individua nel romanzo di formazione è la


giovinezza del protagonista. Mentre per la letteratura classica,
sottolinea il critico, l’età preferenziale è quella di mezzo ( che
caratterizza,ad esempio Ettore o Achille), nel romanzo di formazione
l’età stabilita è la giovinezza, se non addirittura l’adolescenza. Renzo e
Lucia non vivono la gioventù in quanto età di irrequietezza e
insoddisfazione: diventano insoddisfatti perché le circostanze e gli
agenti esterni impediscono loro una realizzazione. Ci sono nel romanzo
diverse attestazioni della giovinezza di Renzo che fin dalle prime pagine
è definito “ giovanetto ignorante”, sul quale potrà giocare Don Abbondio
con il suo famoso latinorum per impedirgli il matrimonio. Sempre Don
Abbondio nel secondo capitolo lo definisce un “giovane che pensa alla
morosa,che si sente il bruciore addosso”.
Moretti sostiene che questa giovinezza rispecchia, nel romanzo di
formazione, l’eroe mobile, ma intellettualmente capace, che vive una
turbolenza forte che lo contraddistingue e può vedere il suo esito
secondo due possibili modalità: la prima è quello che lo studioso chiama
il “principio di classificazione”. Il giovane a un certo punto matura e
accetta di entrare nel mondo adulto: più o meno quanto fa Renzo.
Tuttavia c’è anche un esito di trasgressione (“principio di
trasformazione”) che è quello di chi non accetta che la giovinezza
finisca. Nei Promessi Sposi c’è un personaggio che non arriva alla
maturità ed è Gertrude. La sua storia può essere letta come un romanzo
di formazione al contrario: questa bambina è destinata ad essere
sventurata e tutti i segni che la circondano sono i segni di una non
formazione.

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Percorso 2 : la ricerca d’identità
Un altro percorso di formazione è legato alla ricerca del nome, alla
ricerca di una propria identità.
Nel capitolo XIV Renzo si trova all’osteria della Luna Piena, nome di
chiara connotazione antifrastica: il giovane sta entrando in una specie di
inferno perché in quell’osteria perderà il lume della ragione. Nel
momento in cui l’oste deve registrare nome,cognome e provenienza
dell’avventore Renzo ha paura: vede carta, penna e calamaio e tenta in
tutti i modi di non indicare le proprie generalità. Tuttavia,complice un
secondo fiasco di vino, il giovane è facile preda di un imbroglio. Infatti un
altro cliente dell’osteria, che il lettore sa essere uno sbirro, lo coinvolge
in una discussione, alla fine della quale Renzo dirà il proprio nome e
cognome. Anche quando arriva nel bergamasco la nomea di facinoroso lo
insegue tanto che dovrà cambiare nome e verrà ribattezzato Antonio
Rivolta. L’umorismo di Manzoni arriva ance a dire che Renzo sembrava
bravo al padrone ma un po’ tonto, perché quando lo chiamavano Antonio
nemmeno si girava, non essendo ancora abituato a quel nome nuovo.
Antonio-Renzo cerca poi di avere notizie dal paese ( ha uno scambio di
lettere con Agnese) e cerca non solo di cambiare identità, ma di
cambiare perfino mestiere. Non avendo infatti la capacità di scrivere non
potrà mai diventare padrone di un filatoio e tenta perciò di diventare un
soldato. In questo percorso di ricerca e di negazione del proprio nome il
giovane viene sempre frainteso, scambiato per un altro. Non è mai quello
che lui è: viene scambiato per un bravo, per un ladro, per un untore, per
un monatto. Assume o gli fanno assumere diverse identità. Tutti questi
aspetti culminano in un momento in cui davvero Renzo prende
consapevolezza del proprio nome. Quando si reca al lazzaretto per
cercare Lucia egli sente, prima ancora di vedere, la voce della futura
moglie. Renzo resta ammutolito, non ha neppure la forza di parlare, fino
a quando non esplode:

“- Lucia! V’ho trovata! (…)


-Il Signore m’ha voluto lasciare ancora quaggiù. Ah Renzo, perché siete
voi qui?
-Perché? Mi domandate perché? (…) Non mi chiamo più Renzo, io? Non
siete più Lucia, voi?”

In questa scena di evidente tensione Renzo prende consapevolezza del


proprio nome, della propria identità. Questa presa di consapevolezza
avviene con Lucia,mai in solitudine. Il matrimonio è il momento in cui la

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formazione finisce ed è tipico del romanzo di formazione, come nota
anche Moretti. Il matrimonio, infatti, arriva soltanto alla fine del
romanzo.

Percorso 3 : la conquista della parola


L’ultimo processo di formazione riguarda il rapporto con i segni e con la
parola. Renzo ha un rapporto difficile con i segni: in un certo senso egli
contrappone al linguaggio artificiale dei correnti quello dei segni
naturali,decodificati tramite le abitudini. Sono tutti segni che rimandano
a una competenza primitiva, ancestrale: essi non sono basati su una
sintassi logica, ma su quadri e spunti di riferimento visivi e ci dicono che
tra segno linguistico e segno visivo c’è una distanza,uno iato. Renzo
deve completare questo iato e tenta qualche volta di farlo.
Umberto Eco ha posto attenzione a tutti i momenti in cui Renzo si deve
confrontare con la parola e di come si rivelino momenti di valore
formativo e pedagogico che delineano una piccola formazione
semiologia del protagonista: a partire dal primo incontro con il famoso
latinorum di Don Abbondio, con il latino dell’ Azzeccagarbugli o la lingua
delle leggi. Renzo è sempre in soggezione perché non ha studiato: sa di
non saper parlare. Manzoni usa qui una delle sue metafore più belle e
riuscite: al nastro di parole che l’Azzeccagarbugli va dipanando davanti a
Renzo, il nostro perentoriamente “tagliò quel nastro”.
Renzo però intuisce che c’è un potere di abuso delle parole. La parola è
un rischio che ogni volta il giovane deve correre, perché fa grandi
discorsi da contadino e da “montanaro” (come lo definisce l’oste) :
pretende di diventare oratore e solo dopo si accorge del rischio insito
nelle sue parole, rispetto agli altri.
C’è un episodio straordinario in questa direzione semiologia della
formazione del protagonista: lo scambio delle lettere con Agnese. Renzo
è ormai diventato cosciente della propria in cultura. Nel capitolo XXXVII
il giovane illetterato deve mandare una lettera ad Agnese e, come
accade a tutti quelli che non sanno né leggere né scrivere, deve recarsi
da uno scrivano. Renzo prende coscienza del suo essere analfabeta: ha
bisogno di farsi capire, ha bisogno di trovare la strada del processo
comunicativo. Tuttavia stanco di tutte le intromissioni dello scrivano dà
un ordine perentorio: non spiega un concetto che va elaborato, ma dice
esattamente quello che vuole venga trascritto. Il protagonista
comprende che “ le parole fanno un effetto in bocca e un altro negli
orecchi”: non parla più a vanvera. Egli ha maturato un processo
semplice, infantile delle parole e inoltre vuole che anche i suoi figli
imparino a leggere e a scrivere.

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LUCIA MONDELLA

Lucia Mondella è una giovane tessitrice che, orfana di padre, vive con la
madre Agnese e si appresta a sposare Renzo Tramaglino. Viene vista
come la guida morale del giovane sposo ed è fedele a Renzo ma anche
alla religione. Infatti una volta compiuto il voto ella sarà disposta anche
a sacrificare il suo rapporto con il giovane. Lucia simboleggia
l’innocenza e i valori puri del cattolicesimo e non possiede
caratteristiche fisiche e morali appariscenti. È timorata di Dio, dotata di
una morale solida, ma anche capace di sottili astuzie come quando dà a
fra Galdino una gran quantità di noci perché concluda prima la questua e
torni presto al convento per chiamare Fra Cristoforo o come quando,
vedendo che l’Innominato comincia a commuoversi esplode in accenti
ancora più accorati che lo inducono a capitolare. Lucia ha un
comportamento umile, riservato, pudico e ingenuo. La ragazza non è
passiva ma anzi si oppone a tutto ciò che la sua coscienza non può
approvare in modo attivo, agendo in una direzione sola, quella del bene,
e usando le armi della fede, della preghiera e del lavoro. Appare quindi
più equilibrata e coerente di Renzo e Agnese, anche se talvolta cede alle
loro pressioni e si lascia convincere ad agire contro i propri principi,
come quando accetta di partecipare al matrimonio a sorpresa (“ la notte
degli imbrogli”). Sensibile al richiamo degli affetti e alla voce della
nostalgia, preda della paura nei momenti più drammatici, non si
abbandona mai alla disperazione, ma istintivamente trova dentro di sé le
risorse per riacquistare l’equilibrio e la pace dello spirito. Alla fine del
romanzo capirà comunque che nemmeno la condotta più cauta serve a
tenere lontano i guai.

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JAMES JOYCE

La vita

James Joyce nacque a Dublino nel1882 da una famiglia benestante. Fu


educato ad un rigido cattolicesimo da cui si distaccò presto. Nel 1904
decise di abbandonare l’Irlanda, in quanto riteneva che la vita in quello
Stato, che considerava chiuso e provinciale, ostacolasse la sua crescita
artistica. Si autoimpose quindi l’esilio e viaggiò per l’Europa, entrando in
contatto con alcuni tra i più significativi autori del tempo. A Parigi egli
venne considerato come uno dei profeti del Modernismo. La relazione tra
Joyce e l’Irlanda rimase complessa, ma l’autore scelse comunque di
incentrare la maggior parte dei suoi lavori su questa nazione. Tra le sue
opere si annoverano i “Dubliners” (“Gente di Dublino”), una raccolta di
quindici brevi racconti che egli ultimò nel 1914 a Trieste. Celebre è
anche il romanzo “Ulysses” (“Ulisse”), la cui struttura si basa su quella
dell’ “Odissea” di Omero. Joyce rivoluzionò le tecniche narrative, in
quanto riportò sulla pagina scritta i pensieri dei personaggi attraverso la
tecnica dello “stream-of-consciousness”, il “flusso di coscienza”, che
rifiutava i nessi logici e cronologici sostituendoli con le libere
associazioni tipiche dei processi mentali spontanei.

Dubliners(“Gente di Dublino”,1914)

“Dubliners” è una raccolta di 15 brevi storie, in ognuna delle quali è


esaminato nel dettaglio il fallimento personale di un abitante di Dublino.
Le prime 14 storie vennero scritte entro il 1905, ma il libro venne
rifiutato dagli editori che lo ritennero “ immorale” per il suo ritratto
crudele della vita di città e si dimostrarono contrari alla menzione dei
luoghi e popolazioni reali. L’ ultima storia, la più lunga, era “The Dead”
(“La morte”) e venne terminata nel 1907. L’intera raccolta venne
pubblicata solo nel 1914. Il primo grandioso ritratto della vita di Dublino
che Joyce fece, emerse con i “Dubliners”. Joyce affermò che la sua
intenzione era di scrivere un libro sulla storia morale della sua nazione e
scelse Dublino come sfondo perché quella città gli sembrava il centro
della paralisi. Questa “paralysis” è la paralisi della volontà, la
conoscenza di sé che conduce uomini e donne comuni ad accettare i
limiti imposti dal contesto sociale in cui devono vivere. Il senso della
paralisi, della “stagnation”, attraversa tutte le quindici storie ed è

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presentato in quattro fasi: infanzia,adolescenza,maturità e vita pubblica
(childhood,adolescence,maturity and public life). Lo stile dei “Dubliners”
è complesso. Apparentemente è realistico in accordo con la perfetta
ricostruzione di personaggi luoghi e strade della Dublino contemporanea.
Dall’altro lato Joyce fa uso di un sottile effetto simbolico che dà ad un
oggetto comune un’inaspettata profondità e diventa la chiave per una
nuova visione della realtà. Joyce conia il termine “epifania” che significa
“manifestazione” e indica il momento in cui un semplice oggetto o un
accadimento fa realizzare a una persona la sua condizione.

EVELINE

Testo in inglese

She sat at the window watching the evening invade the avenue. Her
head was leaned against the window curtains and in her nostrils was the
odour of dusty cretonne. She was tired.

Few people passed. The man out of the last house passed on his way
home; she heard his footsteps clacking along the concrete pavement
and afterwards crunching on the cinder path before the new red houses.
One time there used to be a field there in which they used to play every
evening with other people's children. Then a man from Belfast bought
the field and built houses in it -- not like their little brown houses but
bright brick houses with shining roofs. The children of the avenue used
to play together in that field -- the Devines, the Waters, the Dunns, little
Keogh the cripple, she and her brothers and sisters. Ernest, however,
never played: he was too grown up. Her father used often to hunt them in
out of the field with his blackthorn stick; but usually little Keogh used to
keep nix and call out when he saw her father coming. Still they seemed
to have been rather happy then. Her father was not so bad then; and
besides, her mother was alive. That was a long time ago; she and her
brothers and sisters were all grown up her mother was dead. Tizzie Dunn
was dead, too, and the Waters had gone back to England. Everything
changes. Now she was going to go away like the others, to leave her
home.

Home! She looked round the room, reviewing all its familiar objects
which she had dusted once a week for so many years, wondering where
on earth all the dust came from. Perhaps she would never see again

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those familiar objects from which she had never dreamed of being
divided. And yet during all those years she had never found out the name
of the priest whose yellowing photograph hung on the wall above the
broken harmonium beside the coloured print of the promises made to
Blessed Margaret Mary Alacoque. He had been a school friend of her
father. Whenever he showed the photograph to a visitor her father used
to pass it with a casual word:

"He is in Melbourne now."

She had consented to go away, to leave her home. Was that wise? She
tried to weigh each side of the question. In her home anyway she had
shelter and food; she had those whom she had known all her life about
her. O course she had to work hard, both in the house and at business.
What would they say of her in the Stores when they found out that she
had run away with a fellow? Say she was a fool, perhaps; and her place
would be filled up by advertisement. Miss Gavan would be glad. She had
always had an edge on her, especially whenever there were people
listening.

"Miss Hill, don't you see these ladies are waiting?"

"Look lively, Miss Hill, please."

She would not cry many tears at leaving the Stores.

But in her new home, in a distant unknown country, it would not be like
that. Then she would be married -- she, Eveline. People would treat her
with respect then. She would not be treated as her mother had been.
Even now, though she was over nineteen, she sometimes felt herself in
danger of her father's violence. She knew it was that that had given her
the palpitations. When they were growing up he had never gone for her
like he used to go for Harry and Ernest, because she was a girl but
latterly he had begun to threaten her and say what he would do to her
only for her dead mother's sake. And no she had nobody to protect her.
Ernest was dead and Harry, who was in the church decorating business,
was nearly always down somewhere in the country. Besides, the
invariable squabble for money on Saturday nights had begun to weary
her unspeakably. She always gave her entire wages -- seven shillings --
and Harry always sent up what he could but the trouble was to get any
money from her father. He said she used to squander the money, that
she had no head, that he wasn't going to give her his hard-earned money

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to throw about the streets, and much more, for he was usually fairly bad
on Saturday night. In the end he would give her the money and ask her
had she any intention of buying Sunday's dinner. Then she had to rush
out as quickly as she could and do her marketing, holding her black
leather purse tightly in her hand as she elbowed her way through the
crowds and returning home late under her load of provisions. She had
hard work to keep the house together and to see that the two young
children who had been left to hr charge went to school regularly and got
their meals regularly. It was hard work -- a hard life -- but now that she
was about to leave it she did not find it a wholly undesirable life.

She was about to explore another life with Frank. Frank was very kind,
manly, open-hearted. She was to go away with him by the night-boat to
be his wife and to live with him in Buenos Ayres where he had a home
waiting for her. How well she remembered the first time she had seen
him; he was lodging in a house on the main road where she used to visit.
It seemed a few weeks ago. He was standing at the gate, his peaked cap
pushed back on his head and his hair tumbled forward over a face of
bronze. Then they had come to know each other. He used to meet her
outside the Stores every evening and see her home. He took her to see
The Bohemian Girl and she felt elated as she sat in an unaccustomed
part of the theatre with him. He was awfully fond of music and sang a
little. People knew that they were courting and, when he sang about the
lass that loves a sailor, she always felt pleasantly confused. He used to
call her Poppens out of fun. First of all it had been an excitement for her
to have a fellow and then she had begun to like him. He had tales of
distant countries. He had started as a deck boy at a pound a month on a
ship of the Allan Line going out to Canada. He told her the names of the
ships he had been on and the names of the different services. He had
sailed through the Straits of Magellan and he told her stories of the
terrible Patagonians. He had fallen on his feet in Buenos Ayres, he said,
and had come over to the old country just for a holiday. Of course, her
father had found out the affair and had forbidden her to have anything to
say to him.

"I know these sailor chaps," he said.

One day he had quarrelled with Frank and after that she had to meet her
lover secretly.

The evening deepened in the avenue. The white of two letters in her lap
grew indistinct. One was to Harry; the other was to her father. Ernest

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had been her favourite but she liked Harry too. Her father was becoming
old lately, she noticed; he would miss her. Sometimes he could be very
nice. Not long before, when she had been laid up for a day, he had read
her out a ghost story and made toast for her at the fire. Another day,
when their mother was alive, they had all gone for a picnic to the Hill of
Howth. She remembered her father putting on her mothers bonnet to
make the children laugh.

Her time was running out but she continued to sit by the window, leaning
her head against the window curtain, inhaling the odour of dusty
cretonne. Down far in the avenue she could hear a street organ playing.
She knew the air Strange that it should come that very night to remind
her of the promise to her mother, her promise to keep the home together
as long as she could. She remembered the last night of her mother's
illness; she was again in the close dark room at the other side of the hall
and outside she heard a melancholy air of Italy. The organ-player had
been ordered to go away and given sixpence. She remembered her father
strutting back into the sickroom saying:

"Damned Italians! coming over here!"

As she mused the pitiful vision of her mother's life laid its spell on the
very quick of her being -- that life of commonplace sacrifices closing in
final craziness. She trembled as she heard again her mother's voice
saying constantly with foolish insistence:

"Derevaun Seraun! Derevaun Seraun!"

She stood up in a sudden impulse of terror. Escape! She must escape!


Frank would save her. He would give her life, perhaps love, too. But she
wanted to live. Why should she be unhappy? She had a right to
happiness. Frank would take her in his arms, fold her in his arms. He
would save her.

She stood among the swaying crowd in the station at the North Wall. He
held her hand and she knew that he was speaking to her, saying
something about the passage over and over again. The station was full
of soldiers with brown baggages. Through the wide doors of the sheds
she caught a glimpse of the black mass of the boat, lying in beside the
quay wall, with illumined portholes. She answered nothing. She felt her
cheek pale and cold and, out of a maze of distress, she prayed to God to
direct her, to show her what was her duty. The boat blew a long

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mournful whistle into the mist. If she went, tomorrow she would be on
the sea with Frank, steaming towards Buenos Ayres. Their passage had
been booked. Could she still draw back after all he had done for her? Her
distress awoke a nausea in her body and she kept moving her lips in
silent fervent prayer.

A bell clanged upon her heart. She felt him seize her hand:

"Come!"

All the seas of the world tumbled about her heart. He was drawing her
into them: he would drown her. She gripped with both hands at the iron
railing.

"Come!"

No! No! No! It was impossible. Her hands clutched the iron in frenzy.
Amid the seas she sent a cry of anguish.

"Eveline! Evvy!"

He rushed beyond the barrier and called to her to follow. He was shouted
at to go on but he still called to her. She set her white face to him,
passive, like a helpless animal. Her eyes gave him no sign of love or
farewell or recognition.

Traduzione del racconto “Eveline” in italiano

Stava seduta alla finestra osservando la sera che scendeva sul viale,
con la testa appoggiata alle tendine e nelle narici l'odore del "crètonne"
polveroso; si sentiva stanca.
C'era poca gente per la strada. L'uomo che abitava nell'ultima casa
passò rincasando; ne sentì i passi che risuonavano sul cemento del
marciapiede e poi scricchiolavano più in là sul sentiero, davanti alle
nuove case rosse. Una volta in quel punto c'era un terreno, sul quale loro
andavano a giocare con i bambini del quartiere. Poi arrivò un tale da
Belfast, che comprò il terreno e ci costruì delle case; non come le loro
case piccole e scure: luminose case di mattoni con i tetti scintillanti. I
ragazzi del viale erano soliti giocare insieme su quel terreno: i Devine, i
Water, i Dunn, Keogh lo zoppetto, lei e i suoi fratelli e sorelle. Ernest
però non giocava mai: era troppo grande. Spesso suo padre li scacciava
di lì col bastone di pruno; ma in genere il piccolo Keogh restava a fare il

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palo, dando l'allarme non appena lo vedeva arrivare. Tuttavia,
ripensandoci, le sembrava che, a quei tempi, erano stati abbastanza
felici; il padre non era ancora così cattivo, e poi la mamma era viva. Ma
tutto questo apparteneva ad un tempo molto lontano; lei, i suoi fratelli e
le sue sorelle erano cresciuti, e la mamma era morta. Tizzie Dunn era
morto pure lui, e i Water erano ritornati in Inghilterra. Tutto cambia; e lei
ora stava per andarsene come gli altri, stava per lasciare la casa. La
casa! Si guardò intorno per la stanza, passando in rivista tutti quegli
oggetti familiari che per tanti anni aveva spolverato una volta la
settimana, chiedendosi da dove mai venisse tutta quella polvere. Forse
non le avrebbe più riviste quelle cose, dalle quali non avrebbe mai
immaginato di doversi separare. In tutti quegli anni non aveva ancora
scoperto il nome del prete la cui fotografia ingiallita era appesa alla
parete sopra l'armonium scordato, vicino alla stampa a colori che
raffigurava le promesse fatte a santa Maria Margherita Alacoque. Era
stato compagno di scuola di suo padre che, ogni volta che ne mostrava
la fotografia a un visitatore, era solito accennarvi con una parola buttata
là:
"E' a Melbourne adesso".
Lei aveva acconsentito ad andarsene, a lasciare la sua casa. Era saggio
quello che faceva? Cercava di esaminare la questione da ogni lato.
Dopotutto a casa sua aveva un tetto e di che nutrirsi; era circondata da
quelli con i quali aveva vissuto fin dalla nascita. Certo doveva lavorare
sodo, sia a casa che in negozio. Che cosa
avrebbero detto di lei ai Magazzini una volta scoperto che se ne era
scappata via con uno sconosciuto? Probabilmente che era impazzita e al
suo posto avrebbero assunto qualcun altro tramite un'inserzione. La
signorina Gavan ne sarebbe stata contenta; era sempre stata aspra
verso di lei, soprattutto in presenza di gente. "Signorina Hill, non vedete
che le signore aspettano?"
"Per favore, signorina Hill, un po' di vivacità!"
Non avrebbe versato molte lacrime nel lasciare i Magazzini. Nella sua
nuova casa, in un posto lontano e sconosciuto, non sarebbe stato così.
Allora sarebbe stata sposata, lei, Eveline, e la gente l'avrebbe trattata
con rispetto. Non si sarebbe lasciata sopraffare come sua madre. Perfino
ora, anche se aveva diciannove anni compiuti, qualche volta si sentiva in
balìa della violenza di suo padre. Per questo le erano venute le
palpitazioni, lo sapeva. Negli anni della loro infanzia suo padre non le
aveva mai messo le mani addosso, come faceva con Harry ed Ernest,
perché lei era una ragazza; ma più tardi aveva cominciato a minacciarla,
dicendole che poteva ringraziare la memoria di sua madre, se lui si
tratteneva. E ora non c'era più nessuno a proteggerla. Ernest era morto e

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Harry, che si occupava di decorazioni di chiese, era quasi sempre
lontano da casa. Per di più la vivace discussione per i soldi, che si
ripeteva immutabilmente ogni sabato sera, aveva incominciato a
indebolirla oltre ogni dire. Lei dava sempre tutto il suo salario, sette
scellini, e Harry contribuiva per quanto poteva, ma il difficile consisteva
nel tirar fuori denaro al padre. Lui sosteneva che lei scialacquava il
denaro, che non le avrebbe dato quello che guadagnava col sudore della
fronte perché lo buttasse dalla finestra, le diceva anche di peggio perché
il sabato sera in genere era particolarmente intrattabile. Finiva però col
darglielo e le chiedeva se aveva o no intenzione di comprare qualcosa
per il pranzo della domenica. E lei doveva precipitarsi fuori in fretta e
furia per la spesa, tenendo ben stretta in mano la borsa di cuoio nero,
mentre si faceva strada a gomitate tra la folla e rientrava sul tardi carica
di provviste. Era un duro lavoro per lei quello di badare alla casa e di
stare attenta che i due fratellini che erano stati affidati alle sue cure
andassero a scuola regolarmente e avessero di che mangiare. Era un
duro lavoro, una vita dura, ma ora che stava per lasciarla non le pareva
poi del tutto insopportabile. Stava per sperimentare una nuova vita con
Frank. Frank era molto gentile, risoluto, di animo aperto. Stava per
scappare con lui col vapore della sera per diventare sua moglie e vivere
con lui a Buenos Aires, dove una casa tutta per lei l'aspettava. Con
quanta chiarezza ricordava la prima volta che lo aveva visto! Lui abitava
nella via principale, in una casa che lei era solita frequentare. Sembrava
che fossero passate poche settimane da allora. Lui era vicino al
cancello, il berretto a visiera cacciato indietro sulla testa e i capelli
scomposti che scendevano in avanti sul viso abbronzato. La aspettava
ogni sera davanti ai Magazzini e l'accompagnava a casa. L'aveva portata
a vedere "La ragazza di Boemia", e lei si era sentita fiera di essere
seduta vicino a lui a teatro, in posti che non le erano abituali. Lui amava
molto la musica e cantava anche un po'. Tutti li sapevano innamorati, e
ogni volta che lui cantava la canzone della ragazza che ama un marinaio,
lei sentiva un piacevole imbarazzo. Frank, per gioco, la chiamava
Papavero. All'inizio l'avere un corteggiatore le aveva dato un senso di
eccitazione, poi aveva cominciato a volergli bene sul serio. Parlava di
paesi lontani; aveva cominciato come mozzo per una sterlina al mese su
una nave della Allan Lines che faceva servizio con il Canadà. Le elencò i
nomi di tutte le navi sulle quali era stato imbarcato e i diversi compiti ai
quali era stato adibito. Aveva passato lo stretto di Magellano e le
raccontò delle leggende sui terribili Patagoni. Aveva trovato la sua
fortuna a Buenos Aires ed era tornato alla vecchia terra natìa solo per
una vacanza. Naturalmente il padre aveva scoperto tutto e le aveva
proibito di avere a che fare con lui.

21
"Li conosco, questi marinai!"
Un giorno era arrivato al punto di litigare con Frank, e da allora lei aveva
dovuto incontrare il suo innamorato di nascosto. Si era fatto più buio sul
viale, e il bianco delle due lettere che teneva in grembo diventava
sempre più indistinto; una era per Harry, l'altra per suo padre. Ernest era
stato il suo beniamino, ma voleva bene anche a Harry. Negli ultimi tempi
suo padre aveva cominciato a invecchiare, lei se ne rendeva conto;
avrebbe sentito la sua mancanza. Anche lui qualche volta riusciva a
essere gentile. Non molto tempo prima, un giorno che era indisposta, le
aveva letto una storia di spettri e aveva abbrustolito del pane per lei.
Un'altra volta, quando c'era ancora la mamma, erano andati tutti insieme
alla collina di Howth per un picnic, e ricordava che suo padre si era
messo in testa il cappellino della mamma per far ridere loro ragazzi. Il
tempo passava velocemente, ma lei restava lì seduta accanto alla
finestra con la testa appoggiata alle tendine, respirando l'odore del
"crètonne" polveroso. Le arrivava all'orecchio il suono di un organetto
ambulante che suonava lontano sul viale. Conosceva quel motivo. Strano
che fosse capitato proprio quella sera a ricordarle la promessa fatta alla
mamma di tenere la casa unita il più a lungo possibile. Ricordava l'ultima
notte della malattia della mamma; si rivide ancora nella stanza buia e
chiusa dall'altra parte dell'anticamera, mentre da fuori le arrivava il
suono di una melanconica aria italiana. Al suonatore dell'organetto
erano stati dati sei pence ed era stato ordinato di allontanarsi. Risentiva
suo padre, che rientrando nella camera dell'ammalata, imprecava:
"Maledetti italiani! Arrivano fin qui!".
Mentre rifletteva, la pietosa visione della vita di sua madre, di quella vita
di continui piccoli sacrifici quotidiani, spentasi in un ultimo vaneggiare,
raggiunse l'intimo del suo essere. Tremava, e le sembrava ancora di
riascoltare la voce della mamma ripetere continuamente e con
insistenza maniaca:
"Derevaum Seraun! Derevaum Seraun!"
Balzò in piedi presa da un improvviso impulso di terrore. Fuggire! Doveva
fuggire. Frank l'avrebbe salvata, le avrebbe dato la vita, forse anche
l'amore. Soprattutto voleva vivere. Perché avrebbe dovuto essere
infelice? Aveva pur diritto alla felicità, e Frank l'avrebbe presa, stretta
tra le braccia, l'avrebbe salvata.
Era in piedi tra la folla ondeggiante alla stazione di North Wall. Lui le
teneva la mano, e lei sapeva che le stava parlando, ripetendole di
continuo qualcosa sulla prossima traversata. La stazione brulicava di
soldati coi loro scuri bagagli. Improvvisamente, attraverso le porte
aperte delle tettoie, le apparve a tratti la massa immobile e nera della
nave accostata alla banchina, con gli oblò illuminati. Non rispose; si

22
sentiva le guance pallide e fredde e, in un'angosciosa incertezza,
pregava Dio che la guidasse, che le indicasse qual era il suo dovere. La
nave lanciò un lungo, lugubre sibilo nella nebbia. Se se ne fosse andata,
domani si sarebbe trovata in mare aperto con Frank, diretta a Buenos
Aires. I loro posti erano già stati prenotati. Poteva ancora tirarsi indietro
dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei? L'angoscia le dava un senso
di nausea, e le sue labbra si muovevano in una silenziosa e fervida
preghiera. Il suo cuore fu colpito dal suono di un campanello. Sentì che
lui le prendeva la mano.
"Vieni!"
Tutte le acque del mondo le precipitarono sul cuore. Lui la tirava verso
quei marosi; l'avrebbe annegata. Si aggrappò con tutte e due le mani al
parapetto di ferro.
"Vieni!"
No! no! no! Era impossibile. Le sue mani stringevano spasmodicamente il
parapetto. Tra le onde lanciò un grido di angoscia.
"Eveline! Evvy!"

Lui fu sospinto al di là dei cancelli e le gridò di seguirlo. Gli urlarono di


andare avanti, ma Frank continuava a chiamarla. Lei rivolse verso di lui il
suo volto impallidito, passivo, come quello di un animale smarrito. I suoi
occhi non diedero un segno, né di amore né di addio; non sembravano
nemmeno riconoscerlo.

Trama

Difficoltà economiche, un lavoro faticoso, un padre brutale: la vita di


Eveline scorre grigia e pensosa fino a che l’amore di un giovane marinaio
le offre la possibilità di un esistenza nuova e diversa in un paese
straniero. Eveline sembra pronta alla fuga, ma la paralisi interiore le
impedisce di salire sulla nave che la porterebbe in Argentina; Eveline si
nega così l’esperienza dell’amore, rifiutando l’avventura del
cambiamento e dunque la vita stessa, scegliendo un’immobilità che la
rassicura ma al tempo stesso la imprigiona senza scampo. Si può
vedere, nella storia di Eveline, un efficace rappresentazione di quel
momento cruciale in cui l’adolescente si affaccia alla realtà della vita e
deve scegliere se affrontarla con i rischi e i problemi che ne deriveranno,
oppure regredire in una rassicurante ma sterile immobilità. Tutto giocato
sull’indagine interiore, il racconto lo “stream-of-consciousness”, il flusso
dei pensieri e dei ricordi di Eveline, tanto da lasciare l’impressione, a
lettura conclusa, che sia il personaggio stesso a parlare in un lungo

23
monologo(“interior monologue”), mentre in realtà la narrazione procede
in terza persona, attraverso una voce esterna alla vicenda.

Analisi del testo

Nel racconto sono pochi i momenti che colgono direttamente le azione di


Eveline. La ragazza è dolorosamente inerte di fronte alle scelte della vita
e le sue esperienze vengono riferite attraverso il filtro dei suoi pensieri e
della sua memoria. I ricordi e i pensieri si affollano nella mente della
giovane in un fluire disordinato, per cui episodi lontani nel tempo si
accavallano a ricordi più recenti oppure a fatti che si riferiscono al
presente stesso della ragazza. Essi quindi non si susseguono secondo un
ordine logico-cronologico bensì per libere associazioni mentali. Stando
seduta alla finestra Eveline si ricorda del campo in cui era solita giocare

con i suoi fratelli e gli altri ragazzi del quartiere. Inoltre le tornano alla
mente anche le eterne discussioni del sabato sera con il padre per i soldi
e i momenti trascorsi insieme a Frank. I luoghi della vicenda sono due: lo
spazio chiuso della casa, dove Eveline si abbandona ai suoi pensieri
prima della fuga e lo spazio aperto della stazione di North Wall, davanti
alla quale si apre la distesa del mare. I due spazi presentano caratteri
antitetici e assumono un chiaro valore simbolico. La casa rappresenta la
vita passata della giovane e tutti i momenti in cui la madre era viva e lei
era felice. La ragazza si sofferma sugli oggetti familiari che in tutti
quegli anni aveva spolverato regolarmente e dai quali non aveva mai
immaginato di doversi separare un giorno. Tuttavia realizza che,
nonostante debba lavorare sodo e nonostante a volte tema la violenza
del padre, nella sua casa non le sono mai mancati cibo e alloggio. Inoltre
anche suo padre a volte sapeva essere gentile. Infatti un giorno in cui
Eveline si era ammalata le aveva letto una storia di fantasmi e le aveva
abbrustolito il pane sul fuoco. La stazione di North Wall rappresenta
invece per la giovane la possibilità di cambiare vita, ma Eveline prova
quasi un senso di nausea. Nel testo si afferma che “ tutti i mari del
mondo le s’infrangevano sul cuore”.

Joyce era inoltre uno dei maggiori esponenti del Modernismo,termine


che indica la letteratura e l’arte del ventesimo secolo. Con il Modernismo
si ebbero la rottura dei tradizionali generi letterari, l’abbandono delle
tradizionali idee del tempo e dello spazio, il collasso della trama
tradizionale e l’uso di un linguaggio complesso. I filosofi cominciarono a
concepire il tempo come un flusso continuo e il pensatore che ebbe
maggior influenza fu Bergson. La soluzione tecnica adottata dai

24
Modernisti fu quella dello “stream-of-consciouness”, così chiamato
perché cercava di riprodurre il continuo fluire del pensiero umano. La
definizione fu coniata dal filosofo americano William James, autore di
“Principles of psychology”. Questa tecnica è anche chiamata “interior
monologue” ed è molto usata nel romanzo moderno. Il discorso indiretto
libero consiste nel riportare le parole dette o pensate da un personaggio
con le stesse costruzioni grammaticali e sintattiche del discorso
indiretto, ma senza farle precedere da verbi introduttivi e da
congiunzioni subordinanti(per esempio: disse che…/penso di…). Il
discorso risulta così “libero”, fluido, non agganciato alla costruzione da
cui dovrebbe sintatticamente dipendere. In questo racconto l’espediente
dell’ “interior monologue” è utilizzato largamente, ad esempio quando
Eveline si domanda cosa avrebbero detto di lei ai Magazzini quando si
fosse risaputo che era scappata con un giovanotto.

Il suono di un organo per strada funge poi da “epiphany” per la giovane la


quale si ricorda di aver promesso alla madre di mantenere unita la
famiglia.

La paralisi della ragazza è comunque evidente in tutto in testo a partire


da quando sta seduta di fronte alla finestra fino al momento in cui si
ritrova alla stazione di North Wall ed è indecisa sul da farsi. Anche la
polvere che è presente sugli oggetti a lei familiari è una metafora di
questa paralisi.

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IL GIOVANE HOLDEN

Senza dubbio Salinger ha sconvolto il corso della letteratura


contemporanea influenzando l’immaginario collettivo e stilistico del
Novecento. La trama è narrata dalla voce spiccia e senza fronzoli di
Holden, un giovane dall’aria scocciata, insofferente alle ipocrisie e al
conformismo. Ma sono soprattutto i suoi pensieri e il suo umore rabbioso
ad andare in scena. Holden è un giovane arrabbiato, antisistema e
pervaso da umori anti-istituzionali. Odia il denaro, la borghesia, la
stupidità dei coetanei, ma perché arrabbiato nel romanzo non è detto.
Forse la rottura con il mondo è decisa da una ragione privata: la morte di
un fratello amato. Holden è un “ Pinocchio rovesciato” (“io sono il più
fenomenale bugiardo che abbiate mai incontrato in vita vostra”,Capitolo
terzo) che in una sorta di diario pubblico racconta le avventure
conseguenti alla fuga notturna dal college, in realtà motivata dalla
bocciatura e dall’ennesima espulsione dalla scuola, ma messa in atto
anche come simbolo di un utopistico rifiuto dei modelli borghesi, per
ritrovarsi poi, fra improbabili iniziazioni sensuali e sbornie più esibite che
praticate, agli antipodi della ribellione, in una situazione rovesciata nella
quale finisce per essere la sorellina Phoebe a prendersi cura di lui,
riportandolo a casa.

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Lo stile del libro è volutamente trasandato. Se Holden deve fare un tema,
è un “maledetto” tema e se parla della “vecchia” Phoebe non è che la
sorellina. Sicuramente nel ’51,quando uscì, il romanzo era davvero nuovo
ed eversivo. Ed anche la sciattezza stilistica era una forma di rifiuto del
perbenismo borghese e letterario. L’immenso successo del libro è stato
decretato dal fatto che ciascuno vi ha letto la propria rabbia e ha
assunto il protagonista a “exemplum vitae”. Holden è il prototipo
dell’adolescente ribelle e confuso in cerca della verità e dell’innocenza
al di fuori dell’artificiale mondo degli adulti. Egli la pensa ancora come
Shakespeare secondo cui “ Ripeness is all” (la maturità è tutto). Infatti il
professor Antolini al termine del romanzo dice al confuso Holden in
cerca di un dialogo con gli adulti intelligenti che “Ciò che distingue
l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre
ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa.
Holden ha poi un ripensamento finale e racconta la sua storia negando la
volontà di farlo. Infatti afferma “Mi dispiace di averla raccontata a tanta
gente” ; frase che sembra riecheggiare l’espressione “ Credete che non
si è fatto apposta” usata da Manzoni al termine dei Promessi Sposi.

Titolo originale

L’ opera viene pubblicata negli Stati Uniti con il titolo di “ The catcher in
the Rye” ed allude ad una strofa di una nota poesia attribuita a Robert
Burns, “ Comin’ trough the Rye”.
Il titolo nasce dalla storpiatura del primo verso che il protagonista opera
involontariamente in uno dei passaggi più importanti del romanzo
quando, interrogato dalla sorella Phoebe su cosa voglia veramente fare
da grande, risponde ispirandosi alla scena evocata dalla poesia di Burns,
“ Colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel
burrone, mentre giocano in un campo di segale”. In inglese l’espressione
suona bizzarra per l’immagine che evoca ma è formata da termini
comuni: “Catcher” indica anche un ruolo nelle squadre di baseball,
mentre “Rye” è popolare quanto il “Rye whiskey”, un distillato che
secondo le leggi degli Stati Uniti deve essere prodotto impiegando
almeno il 51% di segale. In italiano con una traduzione letterale il titolo
sarebbe risultato “Il cacciatore nel campo di segale”.

Periodo storico e ambientazione

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Le vicende narrate in prima persona dal giovane Holden Caulfield si
verificano, con ogni probabilità, nelle settimane immediatamente
precedenti il Natale del 1949. Pur non essendo esplicitamente indicato,
è possibile dedurre l'anno da alcuni riferimenti temporali che l'autore
introduce nel romanzo, quali ad esempio l'età del ragazzo al momento in
cui scrive (16 anni), la data della morte di Allie, suo fratello minore
(morto il 18 luglio 1946 a 11 anni), e la differenza di età tra i due (Holden
è maggiore di tre anni).

I fatti si sviluppano nell'arco di un solo fine settimana e prendono via al


sabato, giorno in cui Holden decide di abbandonare l'istituto dove
studiava, per concludersi il lunedì mattina successivo quando il ragazzo
si reca allo zoo con sua sorella. Il momento della narrazione deve essere
riferito invece a qualche mese successivo, probabilmente in estate.

Il racconto ha inizio in una ipotetica cittadina della Pennsylvania,


Agerstown, dove ha sede la scuola di preparazione al college alla quale
Holden è stato iscritto dai suoi genitori, la Pencey. Salinger, che in
gioventù aveva frequentato un college militare a Wayne (Pennsylvania),

fa certamente riferimento, in questa fase del romanzo, a delle esperienze


autobiografiche.

La narrazione si trasferisce poi definitivamente a New York, dove, hanno


luogo tutte le vicende successive.

Trama

Holden Caulfield è un adolescente figlio di una famiglia benestante di


New York, composta dal padre e dalla madre di Holden, dal figlio
maggiore e dalla sorellina Phoebe, a cui Holden è molto affezionato. Il
fratello minore di Holden, Allie, poco più piccolo di lui, è morto circa 3
anni prima di leucemia. Il romanzo si apre con il protagonista che
comincia a raccontare di questa sua esperienza avvenuta circa un anno
prima. Holden si trova a Pencey, un college in Pennsylvania; la sua
situazione scolastica è alquanto disastrosa: Pencey è la quarta scuola
che cambia e anche qui non ha ottenuto risultati soddisfacenti; sulle
cinque materie presentate è riuscito ad ottenere la sufficienza solo in
inglese. Il ragazzo non sembra affatto preoccupato del suo rendimento
scolastico e lo dimostra anche durante un colloquio informale con il suo
professore di storia, Spencer. Il compagno di stanza di Holden è

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Stradlater, un ragazzo che a volte irrita il giovane protagonista. Il
giovane viene a sapere che il suo compagno di stanza esce con Jane,
una ragazza a cui tiene molto, e per lei i due si mettono a litigare in
modo violento: quello che ha la peggio è Holden. Il mattino seguente
Holden scappa alla volta di New York, la sua città natale. Tuttavia non
avrebbe dovuto far sapere a nessuno della sua famiglia che era stato
cacciato per l’ennesima volta da scuola. Arrivato in città Holden trova
alloggio presso un hotel di bassa categoria. Qui, dopo essersi rifiutato di
dare dei soldi a una prostituta, viene malmenato da Maurice, l’addetto
all’ascensore. Dopo aver incontrato Sally e Carl Luce, sue vecchie
conoscenze, Holden decide di tornare a casa per far visita alla sorellina
Phoebe, senza però farsi scoprire dai genitori. Holden viene poi ospitato
a casa del professor Antolini ma in seguito ad un tentativo di approccio
sessuale da parte di quest’ultimo, sceglie di andarsene e di partire per
l’Ovest degli stati uniti. Prima da partire sente il bisogno di salutare un
ultima volta la sorellina e le da appuntamento ma la bambina si presenta
con una valigia e il desiderio di partire con il fratello a cui è molto
affezionata. Questo tipo di comportamento provoca in Holden molti
turbamenti che fanno sì che il suo desiderio di lasciare la città svanisca;
così passa un pomeriggio in compagnia della sorella allo zoo.

Personaggi principali

- Holden Caulfield è il protagonista degli eventi. È un ragazzo di


diciassette anni dotato di un particolare senso critico e
sensibilità. Eccezion fatta per la letteratura inglese, non
ama studiare. Ha il vizio di fumare e di bere e per questo
nel corso della vicenda gli capita di ubriacarsi. Si dichiara
ateo come i genitori, ma in vari punti del romanzo mostra
curiosità verso il cattolicesimo. Trascorre molto tempo a
pensare e a ricordare le esperienze passate cercando di
dare una risposta alle sue domande esistenziali. È dotato di
una fervida fantasia, che lo porta facilmente a inventarsi
personaggi e false identità. Ama la musica, soprattutto i
vecchi brani jazz, ma gli piace molto anche ballare e
leggere; al contrario disprezza il cinema e le persone che lo
frequentano.

- Phoebe Caulfield è la sorella di Holden. È una bambina di dieci anni,


particolarmente magra e molto loquace. È molto attaccata al fratello e lo
ammira, anche se qualche volta lui la delude. Phoebe è un punto di
riferimento per Holden, e ogni volta che lui si trova in difficoltà cerca di

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comunicarlo alla sorella per sentire il suo parere o semplicemente il suo
affetto e la sua "saggezza" infantile.

- Allie Caulfield è il fratello minore di Holden. È morto di leucemia circa


tre anni prima, all'età di 10 anni, quando il protagonista ne aveva 13. Lui
ne parla molto; a volte è come se fosse lì con lui, e conserva
gelosamente il suo guantone da baseball sul quale Allie aveva scritto
con inchiostro verde alcune poesie, da leggere nei tempi morti delle
partite. Anch'egli non agisce mai direttamente, ma risulta una proiezione
di Holden. Lo vedeva come un punto di riferimento e quando questo è
venuto a mancare le cose sono peggiorate.

- D.B. è il fratello maggiore di Holden. Ha una trentina d'anni, dato che si


ricava dal fatto che ha combattuto per quattro anni nella seconda guerra
mondiale e fa lo scrittore. Altro punto di riferimento del giovane,
soprattutto in quanto ha gusti letterari e atteggiamenti da adulto; Holden
non condivide la sua scelta di scrivere per il cinema. Come Allie e Jane
Gallagher questo personaggio non appare mai direttamente, ma "vive"
attraverso i ricordi e i pensieri del protagonista.

- Sally Hayes è una vecchia compagna di scuola di Holden. È una ragazza


particolarmente carina ma smorfiosa e snob. In fondo vuole bene a
Holden e quando lui torna a New York gli offre disponibilità e amicizia,
anche se ciò che Holden cerca è una condivisione maggiore di quella
che la superficiale Hayes può offrirgli.

- Il professor Antolini insegna inglese a New York; è amico del


protagonista dai tempi in cui insegnava in un college dal quale Holden è
stato cacciato. Persona colta e saggia, si dimostra molto disponibile nei
confronti del giovane ascoltandolo e ospitandolo a casa sua. Antolini
tuttavia non riesce a nascondere una certa ambiguità al giovane. È
sposato con una donna molto più vecchia di lui con la quale si bacia
spesso in pubblico; beve molto e tiene feste. Holden, quando una notte
l'uomo gli accarezza la testa mentre dorme, spaventandolo e
inducendolo alla fuga, sospetta che sia un pederasta.

- Jane Gallagher è una amica d'infanzia di Holden. È una ragazza molto


carina e dolce a cui Holden tiene particolarmente. Il personaggio rimane
sempre sullo sfondo, evocato da Holden nei suoi ricordi, ma non agisce
direttamente negli eventi; è quindi un personaggio cruciale, ma con uno
statuto affatto particolare (è una sorta di proiezione di Holden,
rappresenta al meglio il suo lato sensibile e contemporaneamente la sua

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costante rinuncia ad esso). Holden vorrebbe contattarla, ma continua a
rimandare.

Riferimenti in altre opere

Francesco De Gregori ha intitolato un suo album dal vivo del 1990


Catcher in the Sky. In un'intervista al periodico Chitarre del dicembre
1990, il cantautore dichiarò di aver scelto il titolo perché il disco
raccoglieva sue "canzoni che in qualche modo riguardano il mondo
dell'adolescenza, così come nel romanzo di Salinger." Anche Francesco
Guccini fa ampie citazioni del "Prenditore" ne La collina dall'album del
1970 L'isola non trovata.

Who Wrote Holden Caulfield? è il titolo di una canzone dei Green Day
presente sull'album Kerplunk. Gli Screeching Weasel hanno invece
cantato I Wrote Holden Caulfield. Nell'album Chinese Democracy dei
Guns n Roses è presente una traccia dal titolo The Catcher in the Rye.

BIBLIOGRAFIA

- Marta Sambugar- Gabriella Salà, “GAOT- generi autori opere temi”:


Vol.2, “dal Seicento all’Ottocento”,La Nuova Italia,(2007)
Vol.3, “dalla fine dell’Ottocento alla letteratura contemporanea”, La
Nuova Italia,(2007)
- Alessandro Manzoni, “I Promessi Sposi”,La biblioteca di
Repubblica,(2004)
- Mirella Zocchi, “I giovani nella letteratura del 900”,Arnoldo
Mondadori,(1994)
- Cattaneo Arturo-De Flaviis Donatella, “Cakes and Ale from
Modernism to now”, vol.3,C.Signorelli scuola,(2007)

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- J.D. Salinger, “Il Giovane Holden”, Einaudi,(1961)

SITOGRAFIA

- www. Wikipedia. It

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