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_IL CAMPO PSICOANALITICO

Maurizio Balsamo

Il negativo del trauma

Il progresso di Freud, la sua scoperta, stanno nel modo di cogliere un ca-


so nella sua singolarità. Coglierlo nella sua singolarità, cosa vuol dire? Vuol dire
essenzialmente che, per lui, l’interesse, l’essenza, il fondamento, la dimensione
propria dell’analisi stanno nella reintegrazione da parte del soggetto della propria
storia fino ai suoi ultimi limiti sensibili, cioè fino a una dimensione che oltrepassa
di molto i limiti individuali1.

Non si tratta, in questa affermazione di Lacan, solo di un arricchimento o


di una espansione del concetto di storia, che dai limiti individuali si dilaterebbe
a ciò che li oltrepassa, della presa d’atto delle vicende intergenerazionali o della
cultura di appartenenza, densa di imperativi, lasciti, lacune, la cui trasmissione
si apre ai destini più diversi. Se lo psichico è pensabile come un campo esteso e
la singolarità si apre alle molte storie che l’attraversano, allora in ogni analisi si
porrà l’ascolto dei desideri che hanno preceduto o segnato in maniera oscura la
nostra venuta al mondo, il tempo o i tempi in cui è organizzata la vita psichica,
i resti anacronici delle modalità di simbolizzazione che la caratterizzano e la
fissano in determinate posizioni identificatorie. Resti, a loro volta, “condannati”
al ritorno nelle forme più varie, e che ci interpellano in maniera enigmatica,
germinativa o effrattiva. Analiticamente, la dimensione del tempo psichico si
caratterizza come l’articolazione tra il tempo cronologico, proprio alla dimen-
sione del sistema Pc-Cs, che autoinforma il soggetto della direzionalità delle sue
operazioni, quello costituito dall’atemporalità del sistema inconscio ed infine
quello della ripresa trascrittiva data dall’après-coup, in cui ciò che accade e ciò
che assume un significato si svolgono in momenti differenti che retroagiscono fra

Maurizio Balsamo (Roma), psichiatra, psicoanalista con funzioni di training della Spi, già Maître de
conférences e Direttore di ricerca, Università di Parigi-VII, ha diretto la rivista «Psiche».

1
  J. Lacan, Il Seminario. Libro I. Einaudi, Torino, 1978, p. 15.

ISSN 2723-9624
© Società editrice il Mulino frontieredellapsicoanalisi 1/2020
12 Maurizio Balsamo

di loro per stabilire forme complesse di causalità psichica. Quando la vicenda


psichica si dispiega all’interno di una vicenda traumatica, le dimensioni appe-
na evocate cambiano però di segno: il tempo cronologico attesta, nel tentativo
di delimitare e di fissare lo spazio del traumatico mediante l’individuazione del
trauma2, l’attrazione regressiva verso di esso; l’atemporalità caratterizza piuttosto
l’incistamento delle tracce psichiche, sottratte a un lavoro di rielaborazione; i
processi di après-coup si dispiegano essenzialmente lungo due direzioni, una che
produce in maniera stringente sempre nuove (ra)ppresentazioni, nel tentativo
di dislocare e figurare l’effrazione, l’altra che ne attesta invece il loro fallimento,
nella impossibilità di costituire un’altra scena e di operare una reiscrizione.
Non diversamente si pone la dimensione storica, nel momento in cui Freud
ne evidenzia la sua stratificazione: avremo così, nella vicenda analitica, l’incontro
con la storia della vita3, quella della malattia, quella della cura stessa, della rimo-
zione, (si pensi al caso dell’Uomo dei lupi, dove Freud parla esplicitamente di
un estratto della storia – la storia di una nevrosi infantile – e dove, egli aggiunge,
non ha potuto scrivere la storia del proprio paziente né dal punto di vista storico
né quella del trattamento, né quella della malattia). Si tratterà inoltre, sempre
all’interno di questa scomposizione, di pensare le complesse operazioni che per-
metteranno di tracciare il filo tra le epoche dell’evento e quelle della sua rimo-
zione, ciò che è necessario per collegare fra di loro queste molteplici costruzioni.
Incontrando, al limite, la storia degli antecedenti, quella del passato preistorico,
in un crescendo di traiettorie che sfociano iperbolicamente nel concetto psicoa-
nalitico di posteriorità, in cui l’accadere storico si capovolge definendo un effetto
che modifica ed instaura la causa stessa, nel momento in cui ridà significazione
a ciò che era rimasto in giacenza. Correlativamente, che ne è della storia in una
vicenda traumatica? Se da una parte assistiamo alla sua depauperazione, a una
fossilizzazione, dall’altra la ripetizione incessante dell’identico4 rende conto delle
strategie più varie per farvi fronte e tentare di ideare delle modalità di tratta-
mento della sua desertificazione e di un ritorno sintomale. Nell’opera di Sebald,
ad esempio, queste appaiono nella creazione di costellazioni, cioè la ricerca di
un’aria di famiglia, di una prossimità fra eventi disparati che ne possa anticipare
o decifrare il senso perduto, del montaggio, l’organizzazione non cronologica di
eventi imbricati gli uni negli altri, a dispetto di ogni flusso direzionale del tempo,
e del sogno, postulando pertanto nella storia un sapere non ancora cosciente di

2
  Cfr. T. Bokanowski, Traumatisme, traumatique, trauma, in «Revue française de
psychanalyse», 66, 3, 2002.
3
  «Ciò che si produce fra l’analista e l’analizzante è un processo storico in cui si tratta
la maniera in cui la storia si costruisce in una persona: come questa lavora, come questa di-
viene efficace», A. Green, Jouer avec Winnicott, Puf, Paris, 2005, p. 68.
4
  Cfr. M. De M’Uzan, Lo stesso e l’identico, in «Psiche», 2, 2015.
Il negativo del trauma 13

ciò che è già accaduto, «un sapere il cui avanzamento ha, nei fatti, la struttura
di un risveglio»5.
Il rapporto fra processi temporali e storicità non si limita d’altra parte alla
sola osservazione della poliedricità dei significati o della diversa organizzazione
dei livelli temporali che istituiscono autorappresentazioni storiche. Se, difatti, la
temporalità è al cuore dello psichismo, per l’esattezza il risultato dell’autoper-
cezione del lavoro psichico del sistema Pc-Cs, dobbiamo suppore che il legame,
la connessione fra diversi stati psichici, sia all’origine della storicità soggettiva.
È grazie al lavoro psichico che si istituisce la storicità-temporalità ed è ancora
grazie all’intricazione delle pulsioni di vita (che spingono verso la composizione
di nuove unità) e quelle di morte (che spingono verso l’autoconservazione e
il mantenimento di una continuità minimale) che si organizza una storicità né
immobile (caratterizzata dalla disintricazione pulsionale e dalla prevalenza della
pulsione di morte) né iperbolica (data dalla non operatività della dimensione
autoconservativa, come può osservarsi nella vicenda maniacale)6. A questo dob-
biamo aggiungere gli strati del tempo-mondo in cui viviamo e che definiscono
organizzatori storici a differente velocità di scorrimento, per cui ogni presente
è a sua volta attraversato da categorie mitiche, da schemi di intelligibilità e da
codici molteplici di registrazione e di rappresentazione, da dislivelli di senso.
Un esempio è ben illustrato nel lavoro di Clément Cheroux, Diplopia7. Qui, il
dato assolutamente catastrofico, imprevedibile, inaudito del crollo delle Torri
gemelle, l’11 settembre del 20018, assume nella visualizzazione mediatica ameri-
cana, nella rappresentazione iconica dell’evento, il carattere di una ripetizione,
di un dejà vu. In altri termini, la costruzione narrativa/iconica dell’attacco alle
Torri si è istituita – nel tentativo di addomesticare l’irruzione dell’evento – come
ripetizione dell’attacco di Pearl Harbor, nella rilettura di un evento inaspettato
all’interno di una logica di ripetizione, di un già vissuto. Le stesse immagini dei
pompieri che issano la bandiera americana sui resti delle Torri, nota Che-

5 
M. Pic, Fiction et lisibilité de l’histoire chez W.G. Sebald, in «European Review of
History», 12, 1920.
6
  B. Rosenberg, Le temps et l’histoire, in «Revue française de psychanalyse», LXI,
1997.
7
  Einaudi, Torino, 2010.
8
  La dimensione di imprevedibilità o di evento Maggiore dell’11 settembre è stata, co-
me è noto, contestata da Derrida, in ragione del fatto che l’11 settembre non rientra nell’or-
dine dell’imprevedibile in quanto apparteneva già, nella figura di una distruzione totale,
all’immaginario filmico, le torri erano già state oggetto di attacco, e perché eventi drammati-
ci di questo tipo fanno già parte della Storia mondiale. Inoltre, l’evento dovrebbe essere pen-
sato all’interno di una logica autoimmunitaria in cui gli agenti dell’attacco erano soggetti ori-
ginariamente “costruiti” da una logica di guerra americana, si svolge sul territorio america-
no e usa “armi” americane. Sulla questione cfr. Le concept du 11 septembre: Dialogues à New
York (octobre-décembre 2001) avec Giovanna Borradori, Galilée, Paris, 2004.
14 Maurizio Balsamo

roux, sono chiaramente tradotte in un modello iconico conosciuto, quello di


Iwo-Jima e della vittoria americana sui giapponesi.
La logica della ripetizione predispone così un quadro di riconoscibi-
lità, di paradossale familiarità, permettendo alla dimensione psichica collet-
tiva di approntare una risposta possibile alla novità dell’evento9. La ripeti-
zione realizza, nel trattamento a cui sottopone l’accaduto, il suo passaggio a
una diversa configurazione storico-rappresentativa, iscrivendolo nel ricordo
di una vittoria già avvenuta, fronteggiando lo sgomento e l’impotenza di ciò
che scardina le coordinate simboliche. Il ricorso al mito, il rileggere il tempo
presente alla luce di eventi e configurazioni del passato di cui si conosce già
l’esito, mostra ovviamente un difetto o una sofferenza nella storicità pensa-
bile, segnala l’incapacità simbolica di fare esperienza del nuovo e la necessità
di riassorbire il trauma attraverso una dislocazione temporale che censura
l’evento, privandolo della sua novità. Il che però ci fornisce una pista per
rintracciare alcune caratteristiche dei diversi trattamenti psichici delle vicen-
de traumatiche. Evidentemente, in primo piano si situa l’occasione data dai
processi in après-coup, la possibilità cioè di una reiscrizione, di un secondo
atto che possa creare le condizioni per rigiocare il colpo all’interno di nuovi
codici di senso e di pensabilità. Oppure si realizzano logiche ripetitive gioca-
te sull’identità di percezione, in cui nulla di trasformativo accade, ponendo-
si, come nell’esempio delle Torri gemelle, sul piano della pura similarità, del
trattamento magico dell’evento10.
Accanto a queste modalità, occorre reperire il fallimento di ogni ten-
tativo di cattura del trauma, che si ripresenterà allora come dimensione lacu-
nare della memoria e del pensiero, spettralità di un ritorno che attraversa ge-
nerazioni e continenti per incarnarsi in testimoni-interpreti, e che trova, per
fare un esempio ben noto, una straordinaria rappresentazione nell’opera di
Sebald. In tutti i casi, però, si tratta di un movimento che fa della ripetizione

9
  «La fotografia di Franklin è la traccia indiziaria di una situazione reale: tre pompie-
ri issano una bandiera tra le macerie del World Trade Center. Nello stesso tempo, essa rinvia
inevitabilmente a un’altra entità visiva: sei marines dispiegano la bandiera a stelle e strisce a
Iwo Jima. In questo modo, l’immagine di Ground Zero mette all’opera una forma di doppia
referenzialità: la prima è indiziaria (Barthes), la seconda è iconologica (Panofsky)», C. Che-
roux, op. cit., p. 82. Il limite di Chéroux tuttavia, a mio avviso, è quello di cogliere nella inte-
riconicità la sola dimensione citazionale, mentre, se avesse assunto l’importanza del model-
lo warburghiano, avrebbe potuto intravvedere non il semplice rimando a una iconicità pre-
gressa, ma a una struttura tensiva (verticalità della bandiera/orizzontalità delle rovine; vita/
morte; erezione/deposizione...), che pone il rapporto, ben più importante, col concetto di pa-
thosformel e di trasmissione delle rappresentazioni affettive. In fondo, la sua tesi rimanda al
rapporto costitutivo fra immagine presente e immagine pregressa, dove quest’ultima è la ve-
rità della prima, mentre, come è noto, la temporalità warburghiana scompone completamen-
te questa progressione storicistica.
10
  Al fondo, il concetto della magia omeopatica basata sull’idea che le cose che si so-
migliano siano le stesse. Cfr. J. Frazer, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.
Il negativo del trauma 15

lo strumento per eccellenza del ritorno su di sé dopo l’irruzione effrattiva, ne-


cessitante comunque di un’altra scena e di una dislocazione che permetterà
da una parte di creare una costanza nella storia, dall’altra la ricerca – a volte
inefficace – di trovare una iscrizione possibile. La storicità, osserva in manie-
ra analoga Green, non è pensabile, all’interno della logica freudiana, sempli-
cemente seguendo lo sviluppo libidico degli stadi, che assume più il valore
di un canovaccio, quanto «nell’elemento ritmico della ripetizione. L’essere
psichico si dispiega[..] essenzialmente lungo le vie della risorgenza dei segni
cancellati, rimossi e re-suscitati dalla riattivazione che gli imprime il reale»11.

***

Probabilmente, non tutti gli analisti si riconosceranno in questa for-


mulazione che pone la singolarità di una vicenda analitica nell’attraversa-
mento e nella riformulazione della storicità che l’ha costituita, prendendo
in considerazione, nello spazio della seduta, ciò che ha lambito, interrogato,
scosso, oppure è mancato al soggetto. Come osserva W. Bohleber in suo
lavoro, Remémoration, traumatisme et memoire collective. Le combat pour
la rememoration en psychanalyse12, l’attenzione al qui ed ora, il ruolo della
dinamica transfero-controtransferale nella vicenda analitica, lo spostamento
sulla dinamica processuale, hanno fatto sì che la rimemorazione della storia
personale abbia perso la sua importanza terapeutica centrale. E pur tuttavia,
prosegue, essa sembra riprendere il suo peso proprio dinanzi alla questione
del trauma, nella necessità di tener conto di una realtà storica che insiste per
essere rivissuta rappresentativamente, oppure, nel caso del fallimento dei
processi psichici, respinta ai margini del pensiero, negativizzata attraverso
manovre difensive che tentano di evitarne il ritorno nella scena presente.
Il che può paradossalmente determinare, ancora secondo Bohleber, che sia
proprio la psicoanalisi a divenire complice di una cancellazione della storia e
delle sue irruzioni nelle vicende psichiche, di fatto assumendo un indicibile
o un inconoscibile dell’evento, o leggendolo come una espressione narrativa
dell’incontro fra terapeuta e paziente13.

11
  A. Green, La psychanalyse devant l’opposition de l’histoire et de la structure, in
«Critique», Minuit, 194, 1963, p. 655. «La storia non è pensabile al di fuori della ripetizione
che rinvia, essa stessa, alla struttura», ivi, p. 661.
12
  In «Revue française de psychanalyse», 3, 2007.
13
  Si può sostenere, correlativamente, che nella versione narratologica della psicoa-
nalisi si ricade in una dimensione “strutturalista”, dove i contenuti, le tracce, le modalità di
simbolizzazione degli oggetti, il loro impatto sulla psiche e le manovre difensive che ne so-
no derivate sono sostanzialmente indifferenti, trattandosi alla fine – nel processo analitico –
della costruzione di narrazioni ben organizzate e capaci di riportare la quiete psichica nel-
la dimensione di un inconscio malfunzionante. Così, ruolo della struttura narrativa, della
buona forma, della cancellazione del disaccordo fondativo dell’essere umano, finiscono per
16 Maurizio Balsamo

Ne consegue, infine, che se è sempre una molteplicità di storie che si tratta


di reperire all’interno della relazione analitica, non è altrettanto agevole sape-
re a quali di esse facciamo davvero riferimento quando parliamo di «irruzione
della storia». Dovremmo allora porci il problema di ciò che all’interno di una
trama biografica si mostra nella sua estraneità, nella sua inappropriabilità, non
solo riducendola alla dimensione di realtà esterna che irrompe nella sua valenza
destruente, ma tenendo conto della natura diffusa del disaccordo fra le storie,
del dissidio fra le diverse voci14, e della valenza traumatica delle loro differenti
irruzioni come messa in scacco dell’integrazione soggettiva, più che dalla speci-
fica natura. In ogni momento della vita psichica, potremmo dire, fanno capolino
molteplici storie e dalla loro integrazione o, invece, riapparizione allucinatoria,
dipenderà il carattere enigmatico degli eventi, la sovrabbondanza affettiva che
li caratterizza, l’aspetto di impulsività e di passaggio all’atto che deriva dalla ne-
cessità di realizzare una scissione funzionale, tesa alla possibile distinzione delle
topiche collassate dalla coincidenza di realtà interna ed esterna. Freud, nelle
Cinque conferenze sulla psicoanalisi (1909)15, pone un chiaro esempio di collasso
topico: cosa penseremmo, egli scrive, di un paziente che davanti al Monumento
che ricorda l’incendio di Londra del 1666 si mettesse improvvisamente a pian-
gere, colto dallo sconforto per la distruzione della sua città natale? Freud illustra
con questo esempio l’anacronismo della reminiscenza isterica, ma, potremmo
aggiungere noi, quali e quante storie in realtà fanno irruzione in quel momento?
Sebbene la “riapparizione” di una perdita o di una distruzione psichica siano
in effetti prevalenti, la vista, o meglio l’irrompere del Monumento, obbliga alla
reiscrizione della memoria, impone una testimonianza, implica il rinvio a una
storicità comune e alle molteplici perdite racchiuse in esso. Il presente della
scena concerne certo la storia di un trauma, quello del paziente, ma possiamo
davvero non considerare, nel pianto incongruo dinanzi a un monumento stori-
co, l’associazione con altri pianti? Come non accostare ciò che Freud scriverà
nel 1930, in una lettera a Chaim Koffler, in cui esprimerà il proprio biasimo «nei
confronti di una religione che trasforma un pezzo di muro dell’epoca di Erode
in reliquia nazionale»? E ancora:

Se questo luogo fosse stato situato in Uganda, [Freud si riferisce alla co-
struzione della terra promessa. L’Uganda era stata proposta da Chamberlain a
Herzl che aveva rifiutato], non sarebbe potuta essere la stessa cosa: l’importanza
sentimentale della Palestina è immensa. Gli Ebrei si rappresentavano i loro vec-
chi compatrioti gementi e in orazione, come quelli dei tempi antichi, davanti

escludere la storia, intesa quasi come il racconto anamnestico del soggetto e non come qual-
cosa che insiste in ogni suo atto.
14
  Mi riferisco ovviamente, qui, al testo di Lyotard, Le voci di una voce, in «Aut-Aut»,
1991, p. 246.
15
  OSF, 6, Bollati Boringhieri, Torino, 1974, p. 135.
Il negativo del trauma 17

all’antico muro – che, di fatto, non è stato costruito da Salomone ma da Erode


– e sentivano rivivere lo spirito dei tempi andati16.

La fissazione al passato e ai traumi patogeni che caratterizza la dimen-


sione nevrotica è certo esemplare, nel senso della manifestazione visibile di
una discordanza o della chiara sovrapposizione di vicende che nella discon-
nessione temporale richiamano la nostra attenzione. Eppure, la scena ap-
pare un palinsesto: l’evento del paziente nevrotico – l’irruzione del pianto
anacronico – reinvia ad altri gemiti, il paziente londinese diventa un vecchio
ebreo dinanzi al muro del pianto, e la distruzione di Londra reinvia a quel-
la del tempio di Gerusalemme. E infine, come non ricordare l’osservazione
freudiana, nel Mosè, secondo cui dopo la distruzione del tempio sotto Tito,
il popolo ebraico, nonostante la dispersione, sarà unito spiritualmente gra-
zie alla Sacra scrittura e all’impegno intellettuale su di essa versato? Come
rappresentare meglio l’articolazione fra fissazione al trauma, incistamento
melanconico e sublimazione?17
Allo stesso modo della molteplice temporalità rappresentativa, ci sarà
allora da cogliere la ricchezza di scene storiche in cui il trauma si dispiega,
evitando di dover scegliere fra la rappresentazione classica del sapere ana-
litico come un sapere aperto all’evento o, invece, chiuso in se stesso, nel
momento in cui legge l’evento in termini di riapparizione della logica fanta-
smatica. Accusa che trova però, come è noto, già nelle nevrosi traumatiche
e nelle nevrosi di guerra un limite alla logica della processualità nevrotica,
all’appropriazione soggettiva della psiche di un evento traumatico18. Tutta-

16
  J. Wortis, Psychanalyse à Vienne, 1934. Notes sur mon analyse avec Freud, Denoël,
Paris, 1974, p. 161. Cfr. J. Chemouni, Freud era sionista?, in «L’ospite ingrato», Quodlibet,
2, 2005.
17
  Ovviamente l’irruzione della storia è coglibile, nel suo senso complessivo che le
stiamo dando, solo in una operazione di détachement, di distacco dalla scena presente per
osservarla in filigrana. Se pensiamo a La nascita del Battista, del Ghirlandaio, il carattere di-
scordante, anacronico dell’ancella coi fiori, che mostra – nella sua identificazione con la nin-
fa – l’irruzione del tempo pagano nel tempo sacro della rappresentazione, è coglibile solo
mediante una dislocazione temporale/interpretativa che denuncia l’illusione e la cecità del
qui ed ora (del tempo unico) di una scena illusoriamente piegata al solo tempo biografico
dell’artista. Il qui ed ora analitico in sostanza, nella sua esasperazione teorica, in maniera si-
mile alla cecità dello sguardo che non coglie la molteplicità dei tempi e delle figure, la ricor-
renza o la sopravvivenza di altri strati di tempo, ripropone la cancellazione dell’anacronismo
costitutivo di ogni rappresentazione psichica. Sulla questione, i lavori di Didi-Huberman so-
no ovviamente centrali.
18
  Questa critica è stata posta, anche recentemente, da C. Malabou, che nel suo la-
voro sul danno cerebrale causato da malattie neurologiche, vede l’apparizione di una logi-
ca che si sottrae completamente al linguaggio della sessualità e sottolinea la difficoltà per la
psicoanalisi freudiana di cogliere la portata extrasoggettiva del trauma. «La cerebralità de-
termina il regime dell’evento disastroso che non gioca alcun ruolo in un conflitto affettivo
precedente», cfr. Les Nouveaux blessés. De Freud à la neurologie, Bayard, Paris, 2007, p. 33.
18 Maurizio Balsamo

via, proprio la stratificazione dei tempi psichici, la rottura fra evento, rap-
presentazione, significazione, il fatto che possa divenire evento traumatico
un sogno piuttosto che un evento o che questo, sottoposto alla logica della
rimozione, si carichi nella rete inconscia di altri significati e di altre proces-
sualità energetiche, fa sì che si passi da un presentismo assoluto (il trauma
si svolge unicamente al presente e taglia fuori le logiche rappresentative) a
una concezione della storicità psichica caratterizzata da ritorni, ossessioni,
fantasmi, da una spettralità su cui, come è noto, Derrida ha particolarmente
insistito19. Cioè a una concezione dell’evento traumatico che rimette in gioco
le categorie del familiare-estraneo e quelle dell’après-coup. È ciò che Derrida
esprime attraverso l’idea di una quota di evento non evento (nel senso del
familiare) che accompagna di fatto ogni accadimento. Ora però, la questione
che mi preme sostanzialmente indagare è quella di una logica del trauma che
si sottrae alla messa in opera della ripetizione, della riapparizione di una sce-
na indecidibile (nella sua commistione fra interno ed esterno) e dei processi
che tentano di realizzare un’iscrizione rappresentativa. Riprendiamo allora
rapidamente la teorizzazione di Freud sul trauma.
Come è noto, essa si dispiega in Freud secondo registri molto diversi,
andando dal traumatismo sessuale della seduzione al ruolo del ricordo della
scena come luogo germinativo del traumatico, procedendo poi lungo l’osser-
vazione delle nevrosi di guerra, la svolta degli anni ’20 e il ruolo del punto di
vista economico, del traumatismo cioè inteso come rottura della membrana
di para-eccitazione. Procede poi con l’oscillazione fra il fattore quantitativo
di Analisi terminabile e interminabile e il ruolo dell’evento e il grumo di ve-
rità storica in Costruzioni, per giungere, col Mosè, al ruolo delle impressioni
esperimentate nella prima infanzia, al raccordo fra insulti sessuali e ferite
narcisistiche. Sarà del resto proprio nei suoi ultimi scritti che Freud porrà il
problema di un trauma che tocca l’al di qua del linguaggio e il problema di
un corpo non rappresentato. Più recentemente, i Botella20, hanno posto un
approccio teorico diverso da quello inteso come rottura della barriera effrat-
tiva (legato dunque al quantitativo e alle capacità soggettive di farvi fronte):

Piuttosto che dall’evento rappresentato e dall’effrazione, il trauma sa-


rebbe da comprendere in una negatività: una brusca e violenta assenza della
topica e della dinamica con una messa fuori circuito dei processi primari e

19
  È, questo, anche l’oggetto della polemica di L. Khan in Ce que le nazisme a fait à
la psychanalyse, Puf, Paris, 2018.
20
  Cfr. ad esempio, C. Botella, S. Botella, Trauma et topique, in «Revue française
de psychanalyse», 6, 1988; Id., Le statut métapsychologique de la perception et l'irreprésen-
table, in «Revue française de psychanalyse», 1, 56, 1992; C. Botella, Sur la remémoration:
la notion de mémoire sans souvenirs, in «L’Année psychanalytique internationale», 2015/1;
C. Botella, S. Botella, Névrose traumatique et cohérence psychique, in «Revue française de
psychosomatique», 2, 1, 1992.
Il negativo del trauma 19

secondari; la rottura della coerenza psichica fa sì che il quantitativo si dispie-


ga allora su se stesso. È nel carattere “negativizzante”, nella perdita da parte
dell’Io dei suoi mezzi, sentita come terrorizzante, e non nella natura dell’e-
vento o quella del processo che noi comprendiamo la qualità traumatica della
nevrosi traumatica21.

Il carattere traumatico dell’evento risiede così non in una rappresen-


tazione dello stesso, ma nello scacco dei legami fra i processi, nel fallimento
delle possibilità di legame e di figurabilità psichica, nella costituzione non di
una traccia mnestica, ma di una traccia percettiva. Al fondamento del trau-
ma, vi è qualcosa che doveva esserci e che non c’è stato: il fondo negativo del
trauma infantile risiederebbe pertanto nell’impossibilità di rappresentarsi
non investito dall’oggetto di desiderio, nella irrappresentabilità dell’assenza
di sé nello sguardo dell’altro, nel vuoto conseguente della propria esistenza e
nella mancanza radicale dell’aiuto da parte dell’oggetto. Qui, in questo tipo
di formulazione teorica, il punto centrale è dato dal fallimento del reciproco
processo di investimento desiderante fra soggetto e oggetto, fra un oggetto
che disinveste e un soggetto che non può rappresentare la non rappresenta-
zione della propria esistenza. Di fronte a tale esperienza, che però possiamo
generalizzare ad ogni incontro con una dimensione inappropriabile dell’og-
getto, il movimento regressivo-progrediente, il tendere verso l’oggetto e il
suo allontanamento simbolizzante, mediante l’allucinazione negativa dello
stesso (cfr. Green), si scioglie in una tendenza regressiva verso il percettivo
traumatico, espresso ad esempio nel difetto di metaforizzazione simbolica.
La presenza estesa dei materiali percettivi significherebbe dunque, nella
realtà del paziente, lo scacco della costituzione psichica dell’esperienza, fi-
nendo per assumere il valore di un elemento reale incistato nell’apparato
psichico, il confronto assoluto con la Cosa, a discapito dei processi di appro-
priazione e di ritaglio soggettivo. La dinamica fra Oggetto e Cosa22 permette
in tal modo di fare luce sulla possibilità rappresentativa o meno dell’incontro
col reale. Possiamo comprendere meglio tale questione facendo riferimento
alla doppia natura del trauma esposta da Freud nel Mosè.

Gli effetti del trauma sono di due tipi, positivi e negativi. I primi sono
sforzi di rimettere in vigore il trauma, cioè di ricordare l’esperienza dimenticata, o
meglio ancora di renderla reale, di viverne di nuovo una ripetizione, oppure, an-

21
  C. Botella, S. Botella, Trauma et topique, cit., p. 1466.
22
  La celebre espressione freudiana sulla melanconia, come di una situazione in cui
l’ombra dell’oggetto cade sull’io, implica che qualcosa è al medesimo tempo all’interno
dell’io ma non assimilabile da questi. Ciò che Freud delinea, è «lo statuto dell’oggetto co-
me risultato dalla morte immaginaria della Cosa. Per dirla semplicemente, la Cosa, è il reale
dell’oggetto, cioè ciò che di esso, resiste ad ogni rappresentazione. Per dirla in altro modo,
l’Oggetto è il risultato e il prodotto dell’allucinazione negativa della Cosa». Cfr. C. Janin, La
realité et son objet: propositions théoriques, in «Trans», 6, 1995, p. 154.
20 Maurizio Balsamo

che se si trattava solo di una relazione affettiva da lungo tempo trascorsa, di farla
rivivere in una relazione analoga con un’altra persona. Questi sforzi vengono cata-
logati insieme come fissazione al trauma e coazione a ripetere. Essi possono essere
assunti nel cosiddetto Io normale e, come tendenze stabili di questo, conferirgli
tratti di carattere immutabili, benché o meglio proprio perché il loro effettivo fon-
damento, la loro origine storica è dimenticata. [..] Le reazioni negative perseguo-
no lo scopo opposto, cioè che del trauma dimenticato nulla sia ricordato e nulla
ripetuto. Possiamo catalogarle insieme come reazioni di difesa. Loro principale
espressione sono le cosiddette elusioni, che possono accrescersi fino a diventare
inibizioni e fobie. Queste reazioni negative concorrono più di ogni altra cosa alla
determinazione del carattere. Fondamentalmente sono fissazioni al trauma, pro-
prio come il loro opposto, solo che sono fissazioni con un intento contrastante23.

In sostanza, da una parte abbiamo un traumatismo che tenta, attraverso


la ripetizione, di iscriversi psichicamente e un traumatismo che invece paralizza
il sistema psichico24. Il primo pone la questione di una temporalità che si snoda
lungo l’asse regrediente-progrediente («il rivivere in una relazione analoga»), il
secondo la questione di una cancellazione, di un vuoto che precipita come un
evento in procinto di realizzarsi e che allude alla negazione temporale dell’al-
tro e del valore positivo dell’assenza, che qui invece assurge a scomparsa del
soggetto medesimo. È ciò che sottolinea Winnicott col suo timore del crollo, o
Fédida, quando osserva il valore di una metapsicologia negativa che deve farsi
carico della distruzione della temporalità e che, soprattutto, deve fronteggiare
l’esigenza riparatrice di dover riempire in fretta il vuoto della traccia, l’assenza
rappresentativa, con un oggetto o con una teoria. Al contrario, scrive Fédida,
occorrerebbe in questi casi costruire una logica temporale paradossale:

Se l’analista cerca, ascoltando il paziente, di conferire un contenuto posi-


tivo al crollo o al vuoto, egli è di fatto portato a rappresentarsi un traumatismo
localizzato in una zona psichica determinata e temporalmente realizzato in un
passato antico della vita – il che non manca di condurre a un’impasse terapeuti-
ca. Se, invece, il suo ascolto è regolato sull’insistenza ripetitiva della minaccia in
istanza, come sospesa nella sua imminenza, egli intende il già accaduto-in nessun
luogo-mai ed è la minaccia di una imminenza a venire che dà positivamente potere
metaforico al crollo o al vuoto25.

L’osservazione di Fédida integra inoltre nello psichico il dato primario


di un non avvenuto nella storia del paziente: la negativizzazione è il risultato
conseguente di un negativo, di un non avvenuto ambientale, storico. Ciò che
mancherebbe in questi pazienti, scrive J. Press, «sarebbe il nucleo di attualità

 Freud, Mosè, OSF.,11, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pp. 398-399.


23

  Sugli effetti orgnizzatori e disorganizzatori del traumatismo, cfr. R. Asseo, Le trau-


24

matisme dans ses fonctions organisatrices et désorganisatrices, in «Le traumatisme psychique,


Monographies de la revue française de psychanalyse», Puf, Paris, 2005.
25
  P. Fédida, L’absence, Gallimard, Paris, 1978, pp. 213-214.
Il negativo del trauma 21

necessario [l’esperienza di soddisfazione, rimemorabile, rintracciabile] per


formare il grano di sabbia sul quale potrà identificarsi una sovrastruttura
nevrotica che, precisamente, non sia costruita sulla sabbia»26. Il che impone
sia la fissazione al nucleo di verità storica, sia il fatto che il trauma sia pul-
sionalmente investito per divenire il cuore del funzionamento psichico del
soggetto. La non realtà sarà sempre più importante, come hanno osservato
Winnicott e Green di ciò che accade o può accadere. Ma il punto importan-
te, per il filo che sto seguendo, è che in tal modo la coazione a ripetere cam-
bia nuovamente di senso (dopo la sua positivizzazione in Ricordare, ripetere
e rielaborare, e dopo la sua assunzione demoniaca in Al di là del principio di
piacere), e cioè che la reazione al trauma può sia procedere nella direzione di
un tentativo di reiscrizione attraverso la logica della ripetizione, sia, al con-
trario, come scrive Freud sempre nel Mosè, fare in modo che nulla dell’even-
to «venga ricordato né ripetuto». Evidentemente, osserva ancora Press, se la
coazione non è più solo coazione a ripetere una esperienza traumatica, ma
soprattutto coazione a cancellarla, questo non indica un semplice cambio di
segno del valore della ripetizione. Lo scopo profondo «è quello di giungere
a una distruzione della realtà dell’esperienza vissuta e della rete di pensieri
e di rappresentazioni che vi sono correlate. Bisognerebbe pensare, in tali
casi, a un al di là della coazione a ripetere, dove non si tratta più di ripetere
l’esperienza traumatica, quanto di circoscriverla in tutti i modi possibili e la
cui sola traccia consisterebbe in una eccitazione senza forma»27.
La dimensione del trauma negativo apre, come è evidente, agli sviluppi
successivi di Bion sulla distruzione dell’esperienza e l’inversione della funzio-
ne alfa, oltre a quelli di Winnicott e di Green, (in particolare a proposito del
lavoro sul negativo e la posizione fobica centrale)28. Tuttavia, vorrei cercare
di tracciare ancora un altro percorso, relativo al testo freudiano, evidenzian-
do una dialettica simile a quella che abbiamo delineato per il Mosè ma che
interroga il ruolo del trauma e della presenza del negativo nella trasmissione.
Dal punto di vista che propongo, vi è difatti un esempio particolarmente
chiaro dell’oscillazione (o del suo fallimento) fra processi regredienti e pro-
gredienti nel rapporto fra traccia e storicizzazione, ed è dato dalla questione
posta da Freud allorché cita il celebre verso di Goethe («ciò che hai ereditato
dai padri riconquistalo se vuoi possederlo per davvero»). La formulazione freudia-
na pone con evidenza la trasmissione della storicità nei termini di un rapporto
fra una operazione appropriativa, traduttiva e una consegna caratterizzata, in
questa disponibilità alla riconquista, dall’accoglimento anticipatorio di una di-

26
  J. Press, La construction du sens, Puf, Paris, 2010, p. 199.
27
  Ivi, p. 201.
28
  Mi permetto di rinviare qui a M. Balsamo, André Green. Il potere creativo dell’in-
conscio, Feltrinelli, Milano, 2019.
22 Maurizio Balsamo

slettura, dalla possibilità di iscrivere differenze e ritagli nell’ascolto di ciò che è


trasmesso. In questa dinamica i desideri sono almeno due: quello del ricevente
che si dispone a ritornare su ciò che lo definisce all’interno di una catena sim-
bolica, per potersi pensare nella sua singolarità, e la funzione trasmissiva che
istituisce, nell’atto medesimo, una pulsazione temporale: l’anticipazione di ciò
che verrà ad interrompere il suo scorrere lineare, l’esito incerto della sua rice-
zione. Ogni riconquista definisce un complesso lavoro di apertura e chiusura
espresso nel tragitto identificatorio: ogni identificazione è difatti accoglimento,
integrazione, e al medesimo tempo «difesa», nel senso di operare un taglio nella
totalità dell’oggetto per porre quel frammento, quel tratto, quell’aspetto, come
l’oggetto di investimento, il che evidentemente pone alla base di ogni identifica-
zione un desiderio di morte, un atto «omicida» dal valore però fondativo. Para-
frasando Harold Bloom e la sua concezione della creazione poetica, («i poeti in
quanto poeti non possono accettare sostituzioni, e combattono fino allo stremo
per avere unica la loro possibilità iniziale»29), si può dire che ogni essere umano,
per non ripetere ciecamente, e per non tradire la stessa domanda della trasmis-
sione, deve potersi pensare come il poeta che cerca, nel combattimento con il
già là, una sua dimensione singolare, una firma personale. Ciò spiega perché
questa riconquista non è mai un processo indolore e ci appare caratterizzata da
complesse operazioni difensive/traduttive che realizzano la consegna della sto-
ria nella sua necessaria deformazione, permettendo così di iscrivere una propria
traccia nel cumulo di ricezioni, di introdurre uno scarto nella forza centrifuga,
di alterarne il senso originario30.
Questa alterazione si delinea nello scavo della trasmissione, aprendo la
stessa ai suoi segreti, ai suoi resti, ai non detti, al fatto, come osserva Derrida,
che in ogni eredità vi sono sempre più eredità, aprendoci così alla scomposizio-
ne e alla riformulazione della stessa e, al medesimo tempo, al riconoscimento
che ogni eredità propone surrettiziamente delle vie o delle forme per interpre-
tarla, dei modi o delle procedure di simbolizzazione a cui occorre comunque

29
  H. Bloom, L’angoscia dell’influenza, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 16. L’atto di paro-
la, scrive Recalcati, «è sempre mio, ma è sempre mio in quanto riprende in modo singola-
re l’esistenza dell’altro del linguaggio», cfr. M. Recalcati, Il complesso di Telemaco, Feltrinel-
li, Milano, 2014, p. 123.
30
  La deformazione, l’Entstellung, non riguarda solo la censura, analizzata nell’Inter-
pretazione dei sogni, l’occultamento cioè del desiderio da parte del lavoro onirico. Ad essa,
come Freud scrive nel Mosè, si aggiunge un altro significato, quello relativo allo spostamen-
to, alla falsificazione (nella cancellazione delle tracce dell’evento, in tal caso l’assassinio di
Mosè): l’Entstellung «non dovrebbe significare solo cambiare apparenza, ma anche: portare
in altro luogo, spostare altrove». O, anche, come osserva Lyotard, indicare «una operazione
che si snoda non nel testo (per cui basterebbe il termine trasposizione), ma sopra il testo: il
desiderio sfigura la tavola della Legge. E nello stesso tempo, in un colpo solo, è illeggibile,
dunque nascosto», cfr. J.F. Lyotard, Discorso, figura, Mimesis, Milano, 2008, p. 295.
Il negativo del trauma 23

riferirsi per pensare l’eccesso che la trasmissione pone già in se stessa31. In tal
modo, la riconquista della memoria di ciò che ci è tramandato, della storici-
tà che ci è consegnata, si realizza secondo differenti modalità di deformazione
all’interno di una processualità ricorsiva, in una successione di après coup, di ri-
prese e di ritagli, di inserzioni, amputazioni, processi di occultamento che nella
loro complessità conservano/istituiscono l’atto medesimo della trasmissione e la
costituzione di una singolarità psichica. Come si può facilmente intuire è questa
ricorsività, questa oscillazione fra processi regredienti e progredienti che fallisce
nell’iscrizione traumatica, votata alla ripetizione cieca o al diniego della sua oc-
correnza. Il ritorno ai padri, la dinamica che Freud descrive, è l’esatto opposto
della ripetizione dell’assassinio di Mosè, che ripete il parricidio delle origini,
assassinio censurato e che impone il lavoro di storicizzazione di un trauma ori-
ginario che istituisce la trasmissione come un double bind: censura e racconto
dell’atto. Certo, anche in tal caso la trasmissione si realizza attraverso una tem-
poralità che procede a ritroso, tentando di reiscrivere l’evento originario dopo
il tempo morto della censura, ma lo fa attraverso la secretazione/conservazione
dello stesso, attraverso una memoria amnesica.
La riconquista dell’origine ha però anche un altro significato, non solo
quello fin qui tracciato, di difesa/traduzione, ma di immissione di senso, rivita-
lizzazione, riscoperta. Se infatti, in una prima accezione, la citazione freudiana
sembra presupporre una forza originaria che deve essere metabolizzata per esse-
re fatta propria, da un altro punto di vista essa sembra alludere alla dimensione
ben più significativa, dal punto di vista teorico-clinico, di una storia che si svolge
sempre in due tempi, dove è solo nell’ atto secondo della sua reiscrizione/resi-
gnificazione che essa può trovare il suo avverarsi. In tal modo, il primo colpo,
la prima traccia, appare sempre non avere quel senso che solo il secondo gesto,
nel ritorno su di essa, permette di acquisire. Questa rappresentazione si disten-
de del resto in molti punti dell’opera freudiana in cui è posto il problema della
scrittura della storia come l’operazione di un presente che nella sua grandezza,
o ricchezza attuale, torna sul suo passato fragile, miserevole, senza gloria32, nella
speranza che il passato guarisca dal presente e al medesimo tempo lo guarisca.
È del tutto evidente, inoltre, che la riappropriazione, la ripresa, la reminiscenza,

31
  Il che situa la deformazione come oggetto principale della riflessione freudiana
sulla storia e, al medesimo tempo, il valore della traccia traumatica come traccia in difetto di
deformazione storicizzante. Al contrario, Ludin ha osservato che «la costruzione della sto-
ria, dopo Freud, è necessariamente deformata e ciò non perché ci mancano i dati necessa-
ri per costruirla obiettivamente, ciò che è anche certamente vero, ma perché vi è un bisogno
più o meno inconscio di deformarla; il nostro desiderio di costruire la storia passa sempre
per una deformazione», cfr. J. Ludin, Die Entstellung, la déformation, in «Libres cahiers de
psychanalyse», 20, 2009, p. 56.
32
  L’opposizione fra exiguis (piccolezza, povertà) e magnitudine è un tema centrale
dell’opera di Tito Livio e Freud sembra aver derivato da questi alcune concezioni della sto-
ria. Cfr. B. Vichyn, L’histoire et la chose même, in «Psychanalyse à l’Université», 52, 1988.
24 Maurizio Balsamo

pone la possibilità di riportare alla luce il possibile, il non pensato che si era
deposto nella scrittura della storia ma che non era giunto ad essa nella sua for-
ma visibile o utilizzabile. Da questo punto di vista, se la storicità può compiersi
solo nella nostra ricezione, se il senso di ciò che ci è stato inviato si configura
nell’assunzione soggettivante, esprimendo la sua ricchezza nel gesto della ri-
conquista, essa può essere pensata, sulla scia di Benjamin, come caratterizzata
da una «debole forza messianica». Una debolezza che permette di sfuggire alla
totalità del senso, alla credenza di una realizzazione completa, di una fine della
processualità, che domanda pertanto l’altro, l’erede, il testimone, il discendente,
per portarla davvero a compimento. Il celebre verso di Hölderlin, «la mancanza
di Dio aiuta», implica che è solo grazie a questa consegna debole che la storia
continua ad aprirsi alla sua alterità, sfuggendo al sogno o all’incubo di una de-
stinazione finale e predeterminata.
Era stato già Blanchot, ne Lo spazio letterario33, a mostrare il significato
del rivolgimento operato da Hölderlin, nel momento in cui aveva modificato la
fine del poema Vocazione del poeta, dove aveva inizialmente scritto: «Ma, quan-
do occorre l’uomo rimane senza paura davanti a Dio, la semplicità lo protegge,
e non ha bisogno né di armi, né di astuzia, per tutto il tempo che il Dio non gli
viene meno». Ora, al posto dell’ultimo verso, Hölderlin corregge così: «Fino a
quando la mancanza di Dio lo aiuta». Blanchot osserva che «più Hölderlin è
sotto la prova del “fuoco del cielo” della sua potenza distruttrice, più egli cerca
una mediazione, più esprime la necessità di non abbandonarvisi senza misu-
ra. Ma non denuncia soltanto l’esperienza come pericolosa, la denuncia come
falsa»34 nella misura in cui presupporrebbe un rapporto immediato col fuoco.
Il capovolgimento di Hölderlin, continua Blanchot, implica che il poeta è colui
nel quale, essenzialmente, il tempo si rivolge indietro, e per il quale, sempre, in
questo tempo, il dio si volta e si ritrae. Ma questa distanza permette di istituire
un rapporto fra gli dei del giorno, le forme benevole e misurate, e quelli della
notte, l’esperienza del sacro stesso o della sua forma pervertita, ma comunque
insostenibile. La mancanza di Dio, o la sua assenza35, il suo voltarsi indietro, è
la condizione necessaria perché l’essere umano possa, nel riandare a questa im-
provvisa mancanza, iscrivere una seconda possibilità, istituendo, scrive ancora
Hölderlin, quell’«infedeltà in cui vi è oblio di tutto, poiché l’infedeltà divina è
ciò che meglio si può contenere». L’infedeltà presuppone il processo di stori-
cizzazione umana, il passaggio dalla cieca ripetizione del tramandato alla sua
ricomposizione singolare. Allo stesso tempo però, come ho osservato, questa

33
  Einaudi, Torino, 1967.
34
  Ivi, p. 240.
35
  Questi versi, come è noto, svolgono un ruolo cruciale nella poetica di Zanzotto
che sceglie però di tradurre «mancanza» con «assenza». Cfr. sul rapporto Hölderlin-Zan-
zotto, S. Bubola, Dietro il paesaggio. F. Hölderlin nell’opera di A. Zanzotto, Forum editore,
Udine, 2018.
Il negativo del trauma 25

assenza/scomparsa di Dio, dopo la sua presenza, allude a ciò che per Freud
costituisce la dimensione traumatica di ogni trasmissione culturale: l’oblio del
parricidio. «È infatti sulla sepoltura del padre morto che si costituisce l’Origina-
rio stesso della trasmissione»36.

***

La citazione goethiana da cui siamo partiti è tuttavia incompleta perché


Freud omette il seguito del verso che in effetti recita così: «Ciò che hai ereditato
dai padri riconquistalo se vuoi possederlo per davvero, quel che non giova è
un carico pesante». Si danno cioè due diversi destini della tradizione, il primo
già indicato, e un secondo che riguarda la dimensione del non trasmissibile, la
quota di realtà traumatica inerente al lascito generazionale. In particolare, era
stata Janine Altounian, riflettendo sulle conseguenze dei genocidi occultati a
commentare, ne La Survivance37, questa parte lasciata in ombra dalla citazione
freudiana, ponendo la necessità di un lavoro psichico affinché questo «materiale
bruto, sedimentazione del trauma parentale nello psichismo dell’infans» possa
essere davvero utilizzato. Si tratta, qui, di una condizione di trasmissione senza
trasformazione assumibile dal soggetto, anche se, ovviamente, processi di tra-
sformazione come operazioni di decontestualizzazione, designificazione, fram-
mentazione sono sempre all’opera per tentare di incapsulare la realtà traumati-
ca. Nel caso posto dalla Altounian, la trasformazione si pone allora nell’esercizio
di una scrittura che tenta di sfuggire a ciò che lei definisce il deserto dell’incon-
scio, rappresentazione di ciò che del paterno sfugge alla trasmissione possibile
e al lavoro riappropriativo perché c’è un buco nella trasmissione. Per questo,
occorre prima di tutto reinventare il padre, o il luogo dei padri: nel definire la
sopravvivenza, questa si iscrive «nella necessità di una vita a ritroso, che mira
non a riparare gli antenati, ma a fare loro dono in sé, d’una parentalità psichica
di après-coup»38. Dono che realizza un vero e proprio imperativo vitale, quello
di ricreare, attraverso la propria discendenza, le illusioni protettrici dei primi
tempi, di istituire, attraverso il gioco delle traduzioni, la possibilità di rimettere
in vita e in circolazione trasformatrice i resti traumatici del genocidio, in un pro-
cesso per cui la scrittura di sé passa per l’iscrizione dell’altro, in un transfert fra
le lingue. Potremmo chiamare questo transfert fra le lingue, fra le trascrizioni,
il luogo di costituzione del paterno mancante, la cui realizzazione potrà creare
le condizioni di una trasmissione di una parentalità psichica. Ritroviamo, qui,
come è evidente, tutto il valore delle costruzioni freudiane e la convinzione di

36
  P.L. Assoun, La transmission et son envers inconscient, in «Ethnologie française»,
30, 2000.
37
  J. Altounian, La survivance. Traduire le trauma collectif, Dunod, Paris, 2000.
38
  Ivi, p. 6.
26 Maurizio Balsamo

qualcosa che è indimenticabile per la necessità di porre, attraverso la sua per-


sistenza, il problema della verità storica di ciò che è accaduto, insistendo sulla
scena psichica del soggetto e di fatto colonizzandolo. «Quel che non giova è un
carico pesante», scrive Goethe. A questo aspetto problematico Freud risponde-
rà ponendo, come soluzione possibile, la dinamica del transfert. Nella lettera a
Ferenczi del 10 gennaio 1910, egli ricorda la favola di Gianni il fortunato che
trascina nel viaggio verso casa un oggetto pesante (un pezzo d’oro grande come
la sua testa) che gli è stato dato in eredità dal suo padrone e che scambierà pro-
gressivamente con oggetti sempre diversi per infine liberarsene, facendo cadere
in un fiume l’ultima sostituzione. Questa traiettoria esprime nella lettura freu-
diana il baratto che si svolge nel processo analitico, baratto che cercherà di dare
al paziente una nuova pelle, una nuova percezione di sé, liberando il soggetto,
grazie alla condivisione affettiva, dal peso che si trascina:

Quando qualcuno svela i suoi complessi infantili ne salvaguarda una par-


te (l’affetto) in una forma attuale (il transfert). Ha compiuto una sorta di muta,
lasciando all’analista la pelle che si è strappata di dosso. Voglia Iddio che non
rimanga nudo, senza pelle! Nella fontana l’ultimo elemento di scambio cade solo
quando si muore39.

  S. Freud, S. Ferenczi, Lettere, Raffaello Cortina, Milano, 1993, p. 133.


39

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