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Maurizio Balsamo
Maurizio Balsamo (Roma), psichiatra, psicoanalista con funzioni di training della Spi, già Maître de
conférences e Direttore di ricerca, Università di Parigi-VII, ha diretto la rivista «Psiche».
1
J. Lacan, Il Seminario. Libro I. Einaudi, Torino, 1978, p. 15.
ISSN 2723-9624
© Società editrice il Mulino frontieredellapsicoanalisi 1/2020
12 Maurizio Balsamo
2
Cfr. T. Bokanowski, Traumatisme, traumatique, trauma, in «Revue française de
psychanalyse», 66, 3, 2002.
3
«Ciò che si produce fra l’analista e l’analizzante è un processo storico in cui si tratta
la maniera in cui la storia si costruisce in una persona: come questa lavora, come questa di-
viene efficace», A. Green, Jouer avec Winnicott, Puf, Paris, 2005, p. 68.
4
Cfr. M. De M’Uzan, Lo stesso e l’identico, in «Psiche», 2, 2015.
Il negativo del trauma 13
ciò che è già accaduto, «un sapere il cui avanzamento ha, nei fatti, la struttura
di un risveglio»5.
Il rapporto fra processi temporali e storicità non si limita d’altra parte alla
sola osservazione della poliedricità dei significati o della diversa organizzazione
dei livelli temporali che istituiscono autorappresentazioni storiche. Se, difatti, la
temporalità è al cuore dello psichismo, per l’esattezza il risultato dell’autoper-
cezione del lavoro psichico del sistema Pc-Cs, dobbiamo suppore che il legame,
la connessione fra diversi stati psichici, sia all’origine della storicità soggettiva.
È grazie al lavoro psichico che si istituisce la storicità-temporalità ed è ancora
grazie all’intricazione delle pulsioni di vita (che spingono verso la composizione
di nuove unità) e quelle di morte (che spingono verso l’autoconservazione e
il mantenimento di una continuità minimale) che si organizza una storicità né
immobile (caratterizzata dalla disintricazione pulsionale e dalla prevalenza della
pulsione di morte) né iperbolica (data dalla non operatività della dimensione
autoconservativa, come può osservarsi nella vicenda maniacale)6. A questo dob-
biamo aggiungere gli strati del tempo-mondo in cui viviamo e che definiscono
organizzatori storici a differente velocità di scorrimento, per cui ogni presente
è a sua volta attraversato da categorie mitiche, da schemi di intelligibilità e da
codici molteplici di registrazione e di rappresentazione, da dislivelli di senso.
Un esempio è ben illustrato nel lavoro di Clément Cheroux, Diplopia7. Qui, il
dato assolutamente catastrofico, imprevedibile, inaudito del crollo delle Torri
gemelle, l’11 settembre del 20018, assume nella visualizzazione mediatica ameri-
cana, nella rappresentazione iconica dell’evento, il carattere di una ripetizione,
di un dejà vu. In altri termini, la costruzione narrativa/iconica dell’attacco alle
Torri si è istituita – nel tentativo di addomesticare l’irruzione dell’evento – come
ripetizione dell’attacco di Pearl Harbor, nella rilettura di un evento inaspettato
all’interno di una logica di ripetizione, di un già vissuto. Le stesse immagini dei
pompieri che issano la bandiera americana sui resti delle Torri, nota Che-
5
M. Pic, Fiction et lisibilité de l’histoire chez W.G. Sebald, in «European Review of
History», 12, 1920.
6
B. Rosenberg, Le temps et l’histoire, in «Revue française de psychanalyse», LXI,
1997.
7
Einaudi, Torino, 2010.
8
La dimensione di imprevedibilità o di evento Maggiore dell’11 settembre è stata, co-
me è noto, contestata da Derrida, in ragione del fatto che l’11 settembre non rientra nell’or-
dine dell’imprevedibile in quanto apparteneva già, nella figura di una distruzione totale,
all’immaginario filmico, le torri erano già state oggetto di attacco, e perché eventi drammati-
ci di questo tipo fanno già parte della Storia mondiale. Inoltre, l’evento dovrebbe essere pen-
sato all’interno di una logica autoimmunitaria in cui gli agenti dell’attacco erano soggetti ori-
ginariamente “costruiti” da una logica di guerra americana, si svolge sul territorio america-
no e usa “armi” americane. Sulla questione cfr. Le concept du 11 septembre: Dialogues à New
York (octobre-décembre 2001) avec Giovanna Borradori, Galilée, Paris, 2004.
14 Maurizio Balsamo
9
«La fotografia di Franklin è la traccia indiziaria di una situazione reale: tre pompie-
ri issano una bandiera tra le macerie del World Trade Center. Nello stesso tempo, essa rinvia
inevitabilmente a un’altra entità visiva: sei marines dispiegano la bandiera a stelle e strisce a
Iwo Jima. In questo modo, l’immagine di Ground Zero mette all’opera una forma di doppia
referenzialità: la prima è indiziaria (Barthes), la seconda è iconologica (Panofsky)», C. Che-
roux, op. cit., p. 82. Il limite di Chéroux tuttavia, a mio avviso, è quello di cogliere nella inte-
riconicità la sola dimensione citazionale, mentre, se avesse assunto l’importanza del model-
lo warburghiano, avrebbe potuto intravvedere non il semplice rimando a una iconicità pre-
gressa, ma a una struttura tensiva (verticalità della bandiera/orizzontalità delle rovine; vita/
morte; erezione/deposizione...), che pone il rapporto, ben più importante, col concetto di pa-
thosformel e di trasmissione delle rappresentazioni affettive. In fondo, la sua tesi rimanda al
rapporto costitutivo fra immagine presente e immagine pregressa, dove quest’ultima è la ve-
rità della prima, mentre, come è noto, la temporalità warburghiana scompone completamen-
te questa progressione storicistica.
10
Al fondo, il concetto della magia omeopatica basata sull’idea che le cose che si so-
migliano siano le stesse. Cfr. J. Frazer, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.
Il negativo del trauma 15
***
11
A. Green, La psychanalyse devant l’opposition de l’histoire et de la structure, in
«Critique», Minuit, 194, 1963, p. 655. «La storia non è pensabile al di fuori della ripetizione
che rinvia, essa stessa, alla struttura», ivi, p. 661.
12
In «Revue française de psychanalyse», 3, 2007.
13
Si può sostenere, correlativamente, che nella versione narratologica della psicoa-
nalisi si ricade in una dimensione “strutturalista”, dove i contenuti, le tracce, le modalità di
simbolizzazione degli oggetti, il loro impatto sulla psiche e le manovre difensive che ne so-
no derivate sono sostanzialmente indifferenti, trattandosi alla fine – nel processo analitico –
della costruzione di narrazioni ben organizzate e capaci di riportare la quiete psichica nel-
la dimensione di un inconscio malfunzionante. Così, ruolo della struttura narrativa, della
buona forma, della cancellazione del disaccordo fondativo dell’essere umano, finiscono per
16 Maurizio Balsamo
Se questo luogo fosse stato situato in Uganda, [Freud si riferisce alla co-
struzione della terra promessa. L’Uganda era stata proposta da Chamberlain a
Herzl che aveva rifiutato], non sarebbe potuta essere la stessa cosa: l’importanza
sentimentale della Palestina è immensa. Gli Ebrei si rappresentavano i loro vec-
chi compatrioti gementi e in orazione, come quelli dei tempi antichi, davanti
escludere la storia, intesa quasi come il racconto anamnestico del soggetto e non come qual-
cosa che insiste in ogni suo atto.
14
Mi riferisco ovviamente, qui, al testo di Lyotard, Le voci di una voce, in «Aut-Aut»,
1991, p. 246.
15
OSF, 6, Bollati Boringhieri, Torino, 1974, p. 135.
Il negativo del trauma 17
16
J. Wortis, Psychanalyse à Vienne, 1934. Notes sur mon analyse avec Freud, Denoël,
Paris, 1974, p. 161. Cfr. J. Chemouni, Freud era sionista?, in «L’ospite ingrato», Quodlibet,
2, 2005.
17
Ovviamente l’irruzione della storia è coglibile, nel suo senso complessivo che le
stiamo dando, solo in una operazione di détachement, di distacco dalla scena presente per
osservarla in filigrana. Se pensiamo a La nascita del Battista, del Ghirlandaio, il carattere di-
scordante, anacronico dell’ancella coi fiori, che mostra – nella sua identificazione con la nin-
fa – l’irruzione del tempo pagano nel tempo sacro della rappresentazione, è coglibile solo
mediante una dislocazione temporale/interpretativa che denuncia l’illusione e la cecità del
qui ed ora (del tempo unico) di una scena illusoriamente piegata al solo tempo biografico
dell’artista. Il qui ed ora analitico in sostanza, nella sua esasperazione teorica, in maniera si-
mile alla cecità dello sguardo che non coglie la molteplicità dei tempi e delle figure, la ricor-
renza o la sopravvivenza di altri strati di tempo, ripropone la cancellazione dell’anacronismo
costitutivo di ogni rappresentazione psichica. Sulla questione, i lavori di Didi-Huberman so-
no ovviamente centrali.
18
Questa critica è stata posta, anche recentemente, da C. Malabou, che nel suo la-
voro sul danno cerebrale causato da malattie neurologiche, vede l’apparizione di una logi-
ca che si sottrae completamente al linguaggio della sessualità e sottolinea la difficoltà per la
psicoanalisi freudiana di cogliere la portata extrasoggettiva del trauma. «La cerebralità de-
termina il regime dell’evento disastroso che non gioca alcun ruolo in un conflitto affettivo
precedente», cfr. Les Nouveaux blessés. De Freud à la neurologie, Bayard, Paris, 2007, p. 33.
18 Maurizio Balsamo
via, proprio la stratificazione dei tempi psichici, la rottura fra evento, rap-
presentazione, significazione, il fatto che possa divenire evento traumatico
un sogno piuttosto che un evento o che questo, sottoposto alla logica della
rimozione, si carichi nella rete inconscia di altri significati e di altre proces-
sualità energetiche, fa sì che si passi da un presentismo assoluto (il trauma
si svolge unicamente al presente e taglia fuori le logiche rappresentative) a
una concezione della storicità psichica caratterizzata da ritorni, ossessioni,
fantasmi, da una spettralità su cui, come è noto, Derrida ha particolarmente
insistito19. Cioè a una concezione dell’evento traumatico che rimette in gioco
le categorie del familiare-estraneo e quelle dell’après-coup. È ciò che Derrida
esprime attraverso l’idea di una quota di evento non evento (nel senso del
familiare) che accompagna di fatto ogni accadimento. Ora però, la questione
che mi preme sostanzialmente indagare è quella di una logica del trauma che
si sottrae alla messa in opera della ripetizione, della riapparizione di una sce-
na indecidibile (nella sua commistione fra interno ed esterno) e dei processi
che tentano di realizzare un’iscrizione rappresentativa. Riprendiamo allora
rapidamente la teorizzazione di Freud sul trauma.
Come è noto, essa si dispiega in Freud secondo registri molto diversi,
andando dal traumatismo sessuale della seduzione al ruolo del ricordo della
scena come luogo germinativo del traumatico, procedendo poi lungo l’osser-
vazione delle nevrosi di guerra, la svolta degli anni ’20 e il ruolo del punto di
vista economico, del traumatismo cioè inteso come rottura della membrana
di para-eccitazione. Procede poi con l’oscillazione fra il fattore quantitativo
di Analisi terminabile e interminabile e il ruolo dell’evento e il grumo di ve-
rità storica in Costruzioni, per giungere, col Mosè, al ruolo delle impressioni
esperimentate nella prima infanzia, al raccordo fra insulti sessuali e ferite
narcisistiche. Sarà del resto proprio nei suoi ultimi scritti che Freud porrà il
problema di un trauma che tocca l’al di qua del linguaggio e il problema di
un corpo non rappresentato. Più recentemente, i Botella20, hanno posto un
approccio teorico diverso da quello inteso come rottura della barriera effrat-
tiva (legato dunque al quantitativo e alle capacità soggettive di farvi fronte):
19
È, questo, anche l’oggetto della polemica di L. Khan in Ce que le nazisme a fait à
la psychanalyse, Puf, Paris, 2018.
20
Cfr. ad esempio, C. Botella, S. Botella, Trauma et topique, in «Revue française
de psychanalyse», 6, 1988; Id., Le statut métapsychologique de la perception et l'irreprésen-
table, in «Revue française de psychanalyse», 1, 56, 1992; C. Botella, Sur la remémoration:
la notion de mémoire sans souvenirs, in «L’Année psychanalytique internationale», 2015/1;
C. Botella, S. Botella, Névrose traumatique et cohérence psychique, in «Revue française de
psychosomatique», 2, 1, 1992.
Il negativo del trauma 19
Gli effetti del trauma sono di due tipi, positivi e negativi. I primi sono
sforzi di rimettere in vigore il trauma, cioè di ricordare l’esperienza dimenticata, o
meglio ancora di renderla reale, di viverne di nuovo una ripetizione, oppure, an-
21
C. Botella, S. Botella, Trauma et topique, cit., p. 1466.
22
La celebre espressione freudiana sulla melanconia, come di una situazione in cui
l’ombra dell’oggetto cade sull’io, implica che qualcosa è al medesimo tempo all’interno
dell’io ma non assimilabile da questi. Ciò che Freud delinea, è «lo statuto dell’oggetto co-
me risultato dalla morte immaginaria della Cosa. Per dirla semplicemente, la Cosa, è il reale
dell’oggetto, cioè ciò che di esso, resiste ad ogni rappresentazione. Per dirla in altro modo,
l’Oggetto è il risultato e il prodotto dell’allucinazione negativa della Cosa». Cfr. C. Janin, La
realité et son objet: propositions théoriques, in «Trans», 6, 1995, p. 154.
20 Maurizio Balsamo
che se si trattava solo di una relazione affettiva da lungo tempo trascorsa, di farla
rivivere in una relazione analoga con un’altra persona. Questi sforzi vengono cata-
logati insieme come fissazione al trauma e coazione a ripetere. Essi possono essere
assunti nel cosiddetto Io normale e, come tendenze stabili di questo, conferirgli
tratti di carattere immutabili, benché o meglio proprio perché il loro effettivo fon-
damento, la loro origine storica è dimenticata. [..] Le reazioni negative perseguo-
no lo scopo opposto, cioè che del trauma dimenticato nulla sia ricordato e nulla
ripetuto. Possiamo catalogarle insieme come reazioni di difesa. Loro principale
espressione sono le cosiddette elusioni, che possono accrescersi fino a diventare
inibizioni e fobie. Queste reazioni negative concorrono più di ogni altra cosa alla
determinazione del carattere. Fondamentalmente sono fissazioni al trauma, pro-
prio come il loro opposto, solo che sono fissazioni con un intento contrastante23.
26
J. Press, La construction du sens, Puf, Paris, 2010, p. 199.
27
Ivi, p. 201.
28
Mi permetto di rinviare qui a M. Balsamo, André Green. Il potere creativo dell’in-
conscio, Feltrinelli, Milano, 2019.
22 Maurizio Balsamo
29
H. Bloom, L’angoscia dell’influenza, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 16. L’atto di paro-
la, scrive Recalcati, «è sempre mio, ma è sempre mio in quanto riprende in modo singola-
re l’esistenza dell’altro del linguaggio», cfr. M. Recalcati, Il complesso di Telemaco, Feltrinel-
li, Milano, 2014, p. 123.
30
La deformazione, l’Entstellung, non riguarda solo la censura, analizzata nell’Inter-
pretazione dei sogni, l’occultamento cioè del desiderio da parte del lavoro onirico. Ad essa,
come Freud scrive nel Mosè, si aggiunge un altro significato, quello relativo allo spostamen-
to, alla falsificazione (nella cancellazione delle tracce dell’evento, in tal caso l’assassinio di
Mosè): l’Entstellung «non dovrebbe significare solo cambiare apparenza, ma anche: portare
in altro luogo, spostare altrove». O, anche, come osserva Lyotard, indicare «una operazione
che si snoda non nel testo (per cui basterebbe il termine trasposizione), ma sopra il testo: il
desiderio sfigura la tavola della Legge. E nello stesso tempo, in un colpo solo, è illeggibile,
dunque nascosto», cfr. J.F. Lyotard, Discorso, figura, Mimesis, Milano, 2008, p. 295.
Il negativo del trauma 23
riferirsi per pensare l’eccesso che la trasmissione pone già in se stessa31. In tal
modo, la riconquista della memoria di ciò che ci è tramandato, della storici-
tà che ci è consegnata, si realizza secondo differenti modalità di deformazione
all’interno di una processualità ricorsiva, in una successione di après coup, di ri-
prese e di ritagli, di inserzioni, amputazioni, processi di occultamento che nella
loro complessità conservano/istituiscono l’atto medesimo della trasmissione e la
costituzione di una singolarità psichica. Come si può facilmente intuire è questa
ricorsività, questa oscillazione fra processi regredienti e progredienti che fallisce
nell’iscrizione traumatica, votata alla ripetizione cieca o al diniego della sua oc-
correnza. Il ritorno ai padri, la dinamica che Freud descrive, è l’esatto opposto
della ripetizione dell’assassinio di Mosè, che ripete il parricidio delle origini,
assassinio censurato e che impone il lavoro di storicizzazione di un trauma ori-
ginario che istituisce la trasmissione come un double bind: censura e racconto
dell’atto. Certo, anche in tal caso la trasmissione si realizza attraverso una tem-
poralità che procede a ritroso, tentando di reiscrivere l’evento originario dopo
il tempo morto della censura, ma lo fa attraverso la secretazione/conservazione
dello stesso, attraverso una memoria amnesica.
La riconquista dell’origine ha però anche un altro significato, non solo
quello fin qui tracciato, di difesa/traduzione, ma di immissione di senso, rivita-
lizzazione, riscoperta. Se infatti, in una prima accezione, la citazione freudiana
sembra presupporre una forza originaria che deve essere metabolizzata per esse-
re fatta propria, da un altro punto di vista essa sembra alludere alla dimensione
ben più significativa, dal punto di vista teorico-clinico, di una storia che si svolge
sempre in due tempi, dove è solo nell’ atto secondo della sua reiscrizione/resi-
gnificazione che essa può trovare il suo avverarsi. In tal modo, il primo colpo,
la prima traccia, appare sempre non avere quel senso che solo il secondo gesto,
nel ritorno su di essa, permette di acquisire. Questa rappresentazione si disten-
de del resto in molti punti dell’opera freudiana in cui è posto il problema della
scrittura della storia come l’operazione di un presente che nella sua grandezza,
o ricchezza attuale, torna sul suo passato fragile, miserevole, senza gloria32, nella
speranza che il passato guarisca dal presente e al medesimo tempo lo guarisca.
È del tutto evidente, inoltre, che la riappropriazione, la ripresa, la reminiscenza,
31
Il che situa la deformazione come oggetto principale della riflessione freudiana
sulla storia e, al medesimo tempo, il valore della traccia traumatica come traccia in difetto di
deformazione storicizzante. Al contrario, Ludin ha osservato che «la costruzione della sto-
ria, dopo Freud, è necessariamente deformata e ciò non perché ci mancano i dati necessa-
ri per costruirla obiettivamente, ciò che è anche certamente vero, ma perché vi è un bisogno
più o meno inconscio di deformarla; il nostro desiderio di costruire la storia passa sempre
per una deformazione», cfr. J. Ludin, Die Entstellung, la déformation, in «Libres cahiers de
psychanalyse», 20, 2009, p. 56.
32
L’opposizione fra exiguis (piccolezza, povertà) e magnitudine è un tema centrale
dell’opera di Tito Livio e Freud sembra aver derivato da questi alcune concezioni della sto-
ria. Cfr. B. Vichyn, L’histoire et la chose même, in «Psychanalyse à l’Université», 52, 1988.
24 Maurizio Balsamo
pone la possibilità di riportare alla luce il possibile, il non pensato che si era
deposto nella scrittura della storia ma che non era giunto ad essa nella sua for-
ma visibile o utilizzabile. Da questo punto di vista, se la storicità può compiersi
solo nella nostra ricezione, se il senso di ciò che ci è stato inviato si configura
nell’assunzione soggettivante, esprimendo la sua ricchezza nel gesto della ri-
conquista, essa può essere pensata, sulla scia di Benjamin, come caratterizzata
da una «debole forza messianica». Una debolezza che permette di sfuggire alla
totalità del senso, alla credenza di una realizzazione completa, di una fine della
processualità, che domanda pertanto l’altro, l’erede, il testimone, il discendente,
per portarla davvero a compimento. Il celebre verso di Hölderlin, «la mancanza
di Dio aiuta», implica che è solo grazie a questa consegna debole che la storia
continua ad aprirsi alla sua alterità, sfuggendo al sogno o all’incubo di una de-
stinazione finale e predeterminata.
Era stato già Blanchot, ne Lo spazio letterario33, a mostrare il significato
del rivolgimento operato da Hölderlin, nel momento in cui aveva modificato la
fine del poema Vocazione del poeta, dove aveva inizialmente scritto: «Ma, quan-
do occorre l’uomo rimane senza paura davanti a Dio, la semplicità lo protegge,
e non ha bisogno né di armi, né di astuzia, per tutto il tempo che il Dio non gli
viene meno». Ora, al posto dell’ultimo verso, Hölderlin corregge così: «Fino a
quando la mancanza di Dio lo aiuta». Blanchot osserva che «più Hölderlin è
sotto la prova del “fuoco del cielo” della sua potenza distruttrice, più egli cerca
una mediazione, più esprime la necessità di non abbandonarvisi senza misu-
ra. Ma non denuncia soltanto l’esperienza come pericolosa, la denuncia come
falsa»34 nella misura in cui presupporrebbe un rapporto immediato col fuoco.
Il capovolgimento di Hölderlin, continua Blanchot, implica che il poeta è colui
nel quale, essenzialmente, il tempo si rivolge indietro, e per il quale, sempre, in
questo tempo, il dio si volta e si ritrae. Ma questa distanza permette di istituire
un rapporto fra gli dei del giorno, le forme benevole e misurate, e quelli della
notte, l’esperienza del sacro stesso o della sua forma pervertita, ma comunque
insostenibile. La mancanza di Dio, o la sua assenza35, il suo voltarsi indietro, è
la condizione necessaria perché l’essere umano possa, nel riandare a questa im-
provvisa mancanza, iscrivere una seconda possibilità, istituendo, scrive ancora
Hölderlin, quell’«infedeltà in cui vi è oblio di tutto, poiché l’infedeltà divina è
ciò che meglio si può contenere». L’infedeltà presuppone il processo di stori-
cizzazione umana, il passaggio dalla cieca ripetizione del tramandato alla sua
ricomposizione singolare. Allo stesso tempo però, come ho osservato, questa
33
Einaudi, Torino, 1967.
34
Ivi, p. 240.
35
Questi versi, come è noto, svolgono un ruolo cruciale nella poetica di Zanzotto
che sceglie però di tradurre «mancanza» con «assenza». Cfr. sul rapporto Hölderlin-Zan-
zotto, S. Bubola, Dietro il paesaggio. F. Hölderlin nell’opera di A. Zanzotto, Forum editore,
Udine, 2018.
Il negativo del trauma 25
assenza/scomparsa di Dio, dopo la sua presenza, allude a ciò che per Freud
costituisce la dimensione traumatica di ogni trasmissione culturale: l’oblio del
parricidio. «È infatti sulla sepoltura del padre morto che si costituisce l’Origina-
rio stesso della trasmissione»36.
***
36
P.L. Assoun, La transmission et son envers inconscient, in «Ethnologie française»,
30, 2000.
37
J. Altounian, La survivance. Traduire le trauma collectif, Dunod, Paris, 2000.
38
Ivi, p. 6.
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