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COME FUNZIONANO
I ROMANZI
BREVE STORIA DELLE TECNICHE NARRATIVE
PER LETTORI E SCRITTORI
Uno dei primi a indagare i meccanismi uno scrittore? Che cosa significa imme-
del processo creativo fu, nel 1857. il cri- desimarsi? Perché alcune convenzioni
tico d'arte John Ruskin con un saggio letterarie diventano datate, mentre altre
dal titolo Gli elementi del disegno. una conservano la loro freschezza?
sorta di vademecum che voleva essere Cercando di fornire risposte da scrittore
d'aiuto al pittore. al comune amatore a quesiti certo non nuovi, Wood spazia
d'arte. all'osservatore curioso. Dopo dai poemi omerici alla letteratura infan-
aver invitato il lettore a guardare la na- tile, dalla Bibbia aJohn Le Carré, da Cu-
tura, per esempio una semplice foglia, e stave Flaubert a Henry James e a Cormac
a riprodurla in un disegno a matita, Ru- McCarthy, da Anton Cechov a Italo
skin esamina un 'opera del Tintoretro, e Svevo, da Jane Auscen a Virginia Woolf,
di qui si addentra pazientemente nei se- tracciando nel contempo una storia al-
greti della creazione artistica. ternativa del romanzo. La macchina del-
Non esistono saggi analoghi sulla nar- la narrazione viene smontata pezzo per
rativa. Importanti scrittori e critici let- pezzo, ma ogni aspetto rimanda sempre
terari si sono cimentati nell'analisi del a un insieme complesso e "precipita" di
romanzo. ma non hanno davvero esplo- volta in volta negli altri. Perché la casa
rato l'istinto creativo. limitandosi nella della narrativa ha Infinite stanze comu-
maggior parte dei casi alla forma e allo nicanti, oltre ad avere infinite fìnestre,
stile o rivolgendosi a un pubblico di soli tutte aperte verso il mondo.
specialisti.
James Wood, uno dei maggiori critici
letterari americani. si pone questo arduo
obiettivo e tenta un approccio diverso, James Wood lavora a "The New Yorker"
meno teorico. Forse più di ogni altra for- e insegna Letteratura inglese e america-
ma letteraria, la finzione narrativa vive na a Harvard. E autore di due raccolte
in osmosi con il reale: nei romanzi e nei di saggi, Tbe Broken Estate (1999) e Tbe
racconti, letteratura e vita creano un cir- Irresponsible Self(2004), e di un roman-
colo virtuoso, arricchendosi vicendevol- zo, Tbe BookAgainst God (2003).
mente. Sul piano dell 'esperienza indivi-
duale, chi legge, o scrive, affina il proprio
sguardo sulla realtà, e vivendo impara a
penetrare con maggior acume la pagina
scritta, in una continua evoluzione. In
tale prospettiva, analizzare gli elementi
costitutivi della narrazione - l'intrec-
cio, i personaggi, il dialogo, lo stile - e
approfondire le tecniche dell' artihcio
può rivelarsi un prezioso strumento di
conoscenza.
L'autore si interroga su alcune questioni
cruciali: perché un romanzo o un rac-
conto ci catturano? Esiste davvero il nar-
ratore onnisciente? Come si costruisce
un personaggio e come lo si fa muovere
e parlare? Quando i dettagli comunica- In copertina:
no l'essenziaTe e rivelano la genialità di © Isrockphoro
James Wood
Come funzionano
• •
I romanzi
Breve storia delle tecniche narrative
per lettori e scrittori
Titolo dell'opera originale
How Fiction Works
Traduzione di Massimo Parizzi
3 Introduzione
7 Avvertenza
9 Raccontare
31 Flaubert e la narrativa moderna
36 Flaubert e l'ascesa delfldneur
43 Dettagli
65 Il personaggio
91 Breve storia della coscienza
108 Immedesimazione e complessità
115 Lingu aggio
135 Dialogo
141 Verità, convenzione, realismo
157 Note
167 Bibliografia
173 Indice dei nomi e delle opere
Come funzionano i romanzi
2.
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Per Sebald, e per molti scrittori come lui, la classica narrazione
onnisciente in terza persona è una sorta di «falso antico».
Ma anche la contrapposizione dei due punti di vista è una
forzatura.
4
In effetti, la narrazione in prima persona è generalmente
più affidabile che inaffidabile; e la narrazione «onnisciente»
in terza persona è di norma più parziale che onnisciente.
Il narratore in prima persona è spesso affidabilissimo;
Jane Eyre, per esempio, affidabilissima narratrice in prima
persona, ci racconta la sua storia da una posizione di illu-
minata maturità (quando, anni dopo, sposata con Roche-
ster, rivede tutta la sua vita; un po' come Rochester, cui la
vista torna a poco a poco alla fine del romanzo). Anche il
narratore in apparenza inaffidabile è, il più delle volte, affi-
dabilmente inaffidabile. Pensate al maggiordomo di Kazuo
Ishiguro in Quel che resta del giorno, o a Bettie Wooster o per-
sino a Humbert Humbert. Noi sappiamo che il narratore
è inaffidabile perché sulla sua inaffidabilità ci allerta, tra-
mite un' affidabile manipolazione, l'autore. È in atto, qui,
un processo di segnalazione autoriale: il romanzo ci inse-
gna come leggere il suo narratore.
La narrazione inaffidabilmente inaffidabile è molto rara;
rara quasi come un personaggio davvero misterioso, dav-
Raccontare Il
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La narrazione onnisciente, dal canto suo, è di rado onni-
sciente come sembra. Per cominciare, lo stile autoriale ten-
de in genere a far apparire l'onniscienza della terza per-
sona parziale e modulata. Tende a indirizzare la nostra
attenzione verso chi scrive, verso l'artificio della costru-
zione d'autore, e quindi verso l'impronta dello scrittore.
Da qui il paradosso quasi comico del famoso ideale di
Flaubert che l'autore fosse «impersonale», remoto come un
Dio, in contrasto con il carattere estremamente personale
del suo stesso stile, quelle frasi e quei dettagli squisiti, che
non sono altro che vistose firme di Dio su ogni pagina: il
che la dice lunga sull' autore impersonale.
Tolstoj si avvicina moltissimo a un'idea canonica di on-
niscienza d'autore, e usa con grande naturalezza e autori-
tà una modalità di scrittura che Roland Barthes definì «co-
dice di riferimento» (o talvolta «codice culturale»), in base
alla quale lo scrittore fa fiducioso appello a una verità uni-
versale o consensuale o a un corpus di conoscenze cultu-
rali o scientifiche condìvìso.i
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La cosiddetta onniscienza è quasi impossibile. Non appena
qualcuno racconta una storia su un personaggio, la narra-
zione sembra volersi piegare per avvolgerlo, volersi fonde-
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a) «Lanciò uno sguardo a sua moglie. "Ha un' aria così infe-
lice," pensò quasi nauseata". Si domandò che cosa potesse
/I
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Lo stile indiretto libero è alla sua massima potenza quan-
do è quasi invisibile o impercettibile: «Ted fissava l'or-
chestra attraverso uno sciocco velo di lacrime». Qui la
parola «sciocco» segna la frase come scritta in stile in-
diretto libero. Toglietela, e avrete ilclassico pensiero ri-
portato: «Ted fissava l'orchestra attraverso un velo di
lacrime».
L'aggiunta di «sciocco» solleva un interrogativo: di chi
è il termine? È improbabile che io abbia voluto defini-
re il mio personaggio «sciocco» solo perché sta ascoltan-
do un concerto. No, in un meraviglioso transfert alchemi-
co, la parola ora appartiene in parte a Ted. Sta ascoltando
la musica e piange, ed è imbarazzato - possiamo imma-
ginarlo mentre si strofina rabbiosamente gli occhi - per
quelle «sciocche» lacrime. Mettiamo il tutto in prima per-
sona e abbiamo: «"Che sciocco" pensò. "Mettermi a pian-
gere ascoltando questo stupido pezzo di Brahms"». Qui,
però, la frase è più lunga di diverse parole e si è perduta
la complessa presenza dell' autore.
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Ciò che risulta di così grande utilità nello stile indiretto li-
bero è che, nel nostro esempio, una parola come «scioc-
co» appartiene in qualche modo all'autore e al personag-
gio e non si è del tutto sicuri chi sia a «possederla», Riflette
14 Come funzionano i romanzi
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Che cosa accade, però, quando uno scrittore più serio vuole
aprire una piccolissima breccia fra il personaggio e l'auto-
re? Che cosa succede quando un romanziere vuole che abi-
tiamo la confusione di un personaggio, ma non vuole «cor-
reggerla»; quando si rifiuta di chiarire come apparirebbe
uno stato di non-confusione? Succede che andiamo dritti
dritti da McCloskey a Henry James. C'è un nesso tecnico,
per esempio, fra Largo agli anatroccoli e il romanzo di [ames
Che cosa sapeva Maisie. Anche qui lo stile indiretto libero ci
aiuta ad abitare la confusione infantile, questa volta di una
bambina invece che di un anatroccolo.
[arnes racconta, in terza persona, la storia di Maisie Farange
dopo ilrissoso divorzio dei genitori. La bambina è sballot-
tata fra la madre e il padre e si vede imporre via via, ora
dall'una ora dall'altro, nuove governanti. [ames vuole ca-
larci nella sua confusione e, nello stesso tempo, descrivere
la corruzione degli adulti vista con gli occhi dell'innocen-
za infantile. A Maisie piace una delle governanti, la signo-
ra Wix, semplice e chiaramente di classe modesta, pettina-
ta in modo grottesco. La donna ha avuto una figlia, Clara
Matìlda, che, più o meno all' età di Maisie, è stata investita
in Harrow Road ed è sepolta nel cimitero di Kensal Green.
Maisie sa che la madre, elegante e insipida, non ha un gran-
de concetto della signora Wix, ma a lei piace lo stesso:
Era stato per tutte queste cose che mamma l'aveva avuta
per così poco, quasi per nulla: questo anche sentì la bambi-
na da una signora - una signora coi sopraccigli arcua ti come
le corde per saltare e grosse cuciture nere, simili a righe per
le note musicali, sui bei guanti bianchi - che lo diceva a
un' altra in salotto un giorno che la signora Wix ve l'aveva
16 Come funzionano; romanzi
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Lo stile indiretto libero di [ames ci consente di porci con-
temporaneamente in almeno tre diverse prospettive: il
giudizio ufficiale dei genitori e degli adulti sulla signora
Wix; la versione che ne dà Maisie; e la visione che la bam-
bina ha della signora Wix. Il giudizio ufficiale, orecchiato
da Maisie, che l'ha capito solo in parte, passa per il filtro
della sua voce: «Era stato per tutte queste cose che mam-
ma l'aveva avuta per così poco, quasi per nulla». La signo-
ra con i sopraccigli arcuati che s'è espressa con tanta cru-
deltà è parafrasata da Maisie, e non tanto con scetticismo
o senso di rivolta quanto con il rispetto - a occhi sgrana-
ti - per l'autorità proprio di una bambina.
[ames ci vuoI far sentire che lei sa molto, ma non abba-
stanza. Può darsi che la donna con i sopraccìglì arcuati che
Raccontare 17
1.4
Il genio di [ames è compendiato in un'espressione: «in
modo imbarazzante». È qui che tutta la tensione giunge a
un nodo. «Con la signora Wix si era sicuri, come con Clara
Matilda che era in cielo e anche, in modo imbarazzante, a
Kensal Green, dove erano andate insieme a vedere il tu-
mulo rigonfio.» Di chi è l'espressione «in modo imbaraz-
zante»? È di Maisie: è imbarazzante per una bambina es-
sere testimone del dolore di un adulto, e sappiamo che la
signora Wix ha preso a parlare di Clara Matilda come del-
la «sorellina morta» di Maisie.
Possiamo immaginare Maisie in piedi accanto alla signo-
ra Wix al cimitero; è caratteristico della prosa di James non
aver menzionato il nome del luogo, Kensal Green, fino a
questo momento, lasciando a noi il compito di capire. Pos-
siamo immaginare Maisie ritta accanto alla signora Wix,
18 Come funzionano i romanzi
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Se si elimina «in modo imbarazzante», a malapena si può
parlare di stile indiretto libero: «Con la signora Wix si era
sicuri, come con Clara Matilda che era in cielo e anche a
Kensal Green, dove erano andate insieme a vedere iltumu-
lo rigonfio». L'aggiunta di quelle sole parole ci fa penetrare
in profondità nella confusione di Maisie, e in quel momen-
to diveniamo lei: l'espressione passa da [arnes a Maisie, è
offerta a Maisie. Noi ci fondiamo con lei.
Tuttavia, nella stessa frase, dopo esserci per un momento
fusi con lei, veniamo riportati indietro: «il tumulo rigonfio».
«In modo imbarazzante» è un' espressione che Maisie po-
trebbe avere usato, «rigonfio» no. È una parola di Henry
[ames, La frase pulsa, si muove in dentro e in fuori, si av-
vicina al personaggio e se ne allontana: quando arriviamo
a «rigonfio», ci viene ricordato che è un autore ad averci
permesso di fonderci con il suo personaggio, che l'invo-
lucro in cui è veicolato questo generoso contratto è il suo
stile magniloquente.
16
li critico Hugh Kenner ha commentato un passaggio di
Dedalus in cui J oyce scrive che lo zio Charles «riparava»
(repaired) nel suo capanno. «Riparare» in questo significa-
Raccontare 19
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Anche se l'esempio di Kenner è un po' diverso, nemme-
no qui c'è niente di nuovo. La poesia eroicomica del XVIII
secolo suscita il riso applicando il linguaggio dell'epica
o della Bibbia a soggetti umani modesti. Nel Riccio rapi-
to di Alexander Pope gli oggetti da trucco e da toeletta di
Belinda sono visti come «tesori innumerevoli», «splenden-
ti gemme dell'India», «un'intera Arabia spirante dalla sca-
tola laggiù» e così via. Il ridicolo è dovuto in parte al fat-
to che questo è il tipo di linguaggio che il personage, come
Pope definisce Belinda (e personage è, appunto, una paro-
la eroicomica), potrebbe desiderare di usare riguardo a se
stesso; il resto della comicità sta nella reale pochezza di
Belinda. Ebbene, che cos'è questo, se non una forma pre-
coce di stile indiretto libero?
All'inizio del quinto capitolo di Orgoglio e pregiudizio,
[ane Austen ci presenta Sir William Lucas, un tempo sin-
daco di Longboum, che, fatto cavaliere dal re, pensa di es-
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18
Un ultimo affinamento dello stile indiretto libero - ora do-
vremmo chiamarlo semplicemente «ironia d'autore» - si
presenta quando il divario fra voce dello scrittore e voce
del personaggio sembra sparire del tutto; quando la voce
di un personaggio pare impossessarsi sediziosamente
dell'intera narrazione. «La cittadina era piccola, peggio
di un villaggio, e ci vivevano quasi soltanto dei vecchi, i
quali morivano così raramente che era addirittura un di-
spetto.» Un...,
incipit straordinario. È la prima frase del rac-
conto di Cechov Il violino di Rothschild. Le successive sono:
«All'ospedale e alla prigione, di bare ne richiedevan po-
chissime. In una parola, gli affari erano cattivi». Il resto
del paragrafo ci presenta un fabbricante di bare meschi-
no come pochi, e noi capiamo che il racconto è iniziato
nel bel mezzo dello stile indiretto libero: «e ci vivevano
quasi soltanto dei vecchi, i quali morivano così raramen-
te che era addirittura un dispetto». Siamo nella mente del
fabbricante di bare, per il quale la longevità è economica-
mente una seccatura.
Cechov sovverte l'attesa neutralità dell'incipit di un rac-
conto o romanzo, che tradizionalmente sarebbe cominciato
con una panoramica, restringendo poi ilcampo (vl.a citta-
22 Come funzionano i romanzi
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Non stupisce, come logico sviluppo dello stile indiretto li-
bero, che Dickens, Thomas Hardy, Verga, Cechov, Faulk-
ner, Pavese, Henrv Green e altri tendano a produrre simi-
litudini e metafore che, pur di per sé felici e abbastanza
letterarie. sono anche similitudini e metafore che potreb-
bero produrre i loro personaggi.
Quando Robert Browning descrive il suono emesso da
un uccello «che canta e ricanta le sue canzoni» per «cattu-
rare / la prima bella spensiera ta ebbrezza», è un poeta alla
ricerca della migliore immagine poetica; ma quando Ce-
chov, nel racconto Nella bassura, dice che «un tarabuso gri-
Raccontare 23
2.0
21
...
E utile vedere i bravi scrittori fare errori. Molti, pur bravis-
simi, inciampano nello stile indiretto libero, uno stile che
ha parecchi vantaggi, ma aggrava un problema intrinseco
a tutta la narrativa: le parole usate da questo o quel perso-
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Uno scrittore contemporaneo come David Foster Wallace
porta deliberatamente questa tensione al limite. Egli scrive
da dentro le voci dei suoi personaggi e, contemporaneamen-
te, sopra di esse, annichilendole per indagare questioni dr
lingua più ampie, anche se più astratte. In questo brano
dal racconto Il canale del dolore, evoca il gergo sfatto dei me-
dia di Manhattan:
L'altro articolo per «Style» al quale il condirettore aveva
fatto riferimento riguardava Il canale del dolore, un' ambiziosa
impresa su una tv via cavo in cui Atwater aveva coinvolto
LaureI Manderley convincendola ad avviare una manovra
laterale che portasse direttamente alla capostagista del di-
rettore per inserirla in CHE SI DICE NEL MONDO. Atwater era
uno dei tre colletti bianchi che lavoravano a tempo pieno
per CSDNM, una rubrica che riceveva 3A di pagina di artico-
li alla settimana, il massimo per un settimanale del grup-
po BSG, scavalcato in questo solo dai giornali che si occupa-
vano di scandali o fenomeni da baraccone, e che costituiva
il pomo della discordia ai vertici di «Sty le». Le dimensioni
del personale e i grossi caratteri di stampa indicavano che
5kip Atwater era ufficialmente sotto contratto per un pez-
zo di 400 parole ogni tre settimane, se non si tiene conto del
Raccontare 27
24
Nel caso di Wallace il linguaggio del narratore non iden-
tificato è brutto e insopportabile per più di una o due pa-
gine. Nessun problema analogo si pose a Cechov e a Ver-
ga, che non avevano di fronte la saturazione linguistica
dovuta ai mezzi di comunicazione di massa. Ma in Ame-
rica le cose andavano diversamente: Theodore Dreiser in
Nostra sorella Carrie (pubblicato nel 1900) e Sinclair Lewis
in Babbitt (1922) si prodigarono per riprodurre fedelmente
gli annunci pubblicitari, le lettere d'affari e i volantini com-
merciali di cui volevano parlare nei loro romanzi.
Sono le prime manifestazioni del rischio tautologico in-
trinseco al progetto narrativo contemporaneo: per evocare
un linguaggio svilito (il linguaggio svilito che iltuo perso-
naggio potrebbe usare), devi essere disposto a rappresen-
tare quel linguaggio scempiato nel testo, con la possibilità
di svilire dall'inizio alla fine il tuo stesso linguaggio. Pyn-
chon, DeLillo e David Foster Wallace sono in qualche mi-
sura eredi di Lewis (probabilmente solo da questo punto
di vista)," e Wallace porta il suo metodo di full immersion
a estremi parodistici: non si fa nessuno scrupolo a narrare
per venti o trenta pagine nello stile citato sopra.
La sua narrativa è anche un'appassionata disputa sul de-
28 Come funzionano i romanzi
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C'è una tensione di fondo, insomma, nella narrativa: è pos-
sibile conciliare sensibilità e linguaggio dell'autore con sen-
sibilità e linguaggio del personaggio? Se autore e perso-
naggio sono assolutamente fusi, come nel brano di Wallace
che ho citato, abbiamo, per così dire, «tutta la noia»: illin-
guaggio corrotto dell' autore non fa che mimare un linguag-
gio corrotto effettivamente esistente che conosciamo tutti
fin troppo bene, e cui vorremmo disperatamente sfuggire.
Ma se autore e personaggio si allontanano troppo, come
nel brano di Updike, sentiamo aleggiare sul testo l'alito
freddo della presa di distanza, e iniziamo a provare fasti-
dio per gli sforzi eccessivamente «letterari» dello stilista.
Quello di Updike è un esempio di estetismo (l'autore
si mette di mezzo); quello di Wallace di antiestetismo (il
personaggio è tutto): ma entrambi sono in realtà varian-
ti dello stesso estetismo, che è in fondo una strenua esibi-
zione di stile.
Il romanziere, insomma, lavora sempre con almeno tre
linguaggi. C'è il linguaggio, lo stile, la dotazione percetti-
va ecc. dell'autore; c'è il presunto linguaggio, stile, dota-
zione percettiva ecc. del personaggio; e c'è quello che po-
tremmo chiamare il linguaggio del mondo: il linguaggio
che la narrativa si trova in eredità prima di giungere a tra-
sformarlo in stile romanzesco, il linguaggio del discorso
quotidiano, dei giornali, degli uffici, della pubblicità, del-
la blogosfera e degli sms.
In questo senso ilromanziere è uno scrittore triplice, e il
romanziere contemporaneo sente in modo speciale la pres-
sione di questa triplicità a causa dell'onnivora presenza del
terzo cavallo della troika, il linguaggio del mondo, che ha
invaso la nostra soggettività, la nostra intimità, l'intimi-
tà che [arnes pensava dovesse essere la cava da cui estrar-
re le pietre del romanzo, e che chiamò (in una sua propria
troika) «il tangibile presente-intimo»?
27
Un altro esempio di romanziere che scrive sopra ilsuo per-
sonaggio lo troviamo in un breve passo della Resa dei conti,
di Saul Bellow. Tommy Wilhelm, commerciante rimasto
senza lavoro e in cattive acque, né particolarmente esteta
né intellettuale, sta guardando con ansia il tabellone di una
borsa merci di Manhattan. Accanto a lui un veterano del
mestiere, il signor Rappaport, fuma un sigaro. «All' estremi-
tà del sigaro si era formata una bella cenere lunga, ilbian-
co fantasma della foglia con tutte le sue venature e un più
tenue afrore. Era ignorata, nella sua bellezza, dal vecchio.
Perché era bella. Anche Wilhelm era ignorato.»
È un fraseggio splendido, musicale, e caratteristico di Bel-
low e della narrativa moderna. La narrazione rallenta per
attirare la nostra attenzione su una superficie o una qualità
della materia che potrebbe passare inosservata, esempio di
«pausa descrittiva »8 cui ci hanno abituato i romanzi quan-
30 Come funzionano i romanzi
28
La tensione fra lo stile dell'autore e gli stili dei suoi per-
sonaggi si fa acuta allorché vengono a convergere tre ele-
menti: quando è al lavoro un grande stilista, come Bellow
o Joyce; quando questo stilista s'impegna a seguire la sen-
sibilità e i pensieri dei suoi personaggi (un impegno mes-
so solitamente in pratica tramite lo stile indiretto libero o
il flusso di coscienza, sua filiazione), e quando ha un par-
ticolare interesse per la resa dei dettagli.
Stilismo, stile indiretto libero e dettagli: ho descritto
Flaubert, la cui opera inaugura e cerca di sciogliere questa
tensione, della quale è ilvero fonda tore.
Flaubert e la narrativa moderna
29
I romanzieri dovrebbero ringraziare Flaubert come i poeti
ringraziano la primavera: con lui tutto rinasce. C'è davve-
ro un'epoca pre- e un'epoca post-Flaubert. Fu lui a fissa-
re una volta per tutte ciò che, per la maggior parte dei let-
tori e degli scrittori, è la narrazione realista moderna, e la
sua influenza è quasi troppo familiare per essere visibile.
A malapena notiamo, nella buona prosa, che essa cal-
deggia il dettaglio eloquente e brillante; che privilegia un
alto grado di osservazione visiva; che mantiene una com-
postezza asentimentale e sa indietreggiare, come un bra-
vo valletto, di fronte al commento superfluo; che giudica
ilbene e il male con neutralità; che cerca la verità, anche a
costo di disgustarci; e che le impronte dell'autore su tut-
to ciò sono, paradossalmente, rintracciabili ma non visi-
bili. Potete trovare l'uno o l'altro di questi caratteri in De-
foe o Austen o Balzac, ma in nessuno li troverete tutti fino
all' arrivo di Flaubert.
Prendete questa pagina in cui Frédéric Moreau, protago-
nista dell'Educazione sentimentale, vagabonda per il Quar-
tiere Latino, sensibile alle immagini e ai rumori di Parigi:
Risaliva a caso ilQuartiere Latino, così affollato di soli-
to, ma deserto in quella stagione, perché gli studenti erano
partiti per le loro case. Le grandi muraglie dei collegi, quasi
ingrandite dal silenzio, avevano un aspetto anche più tetro.
Si avvertiva ogni sorta di rumori tranquilli, battiti d'ali nel-
le gabbie, ilronzio di un tornio, il martello di un ciabatti-
32 Come funzionano i romanzi
3°
n motivo per cui, di primo acchito, non notiamo con quanta
cura Flaubert seleziona i dettagli è che egli lavora sodo per
nasconderei i suoi sforzi, e vuole a tutti i costi occultare la
domanda: chi nota tutte quelle cose, Flaubert o Frédéric?
Su questo lo scrittore era esplicito. Voleva che il lettore si
trovasse di fronte a quella che definiva una liscia parete di
prosa in apparenza impersonale, con i dettagli che sempli-
cemente si accumulano come la vita. «L'autore dev'essere
nella sua opera come Dio nell'universo; presente dovun-
que e non visibile in nessun luogo» scrisse in una famo-
sa lettera nel 1852. «Dato che l'arte è una seconda natura,
il creatore di questa natura deve operare in modo analo-
go al creatore della prima: bisogna che in tutti gli atomi,
in tutti gli aspetti di essa si senta un'impassibilità ascosa e
Flaubert e la narrativa moderna 33
31
Le indicazioni di tempi diversi non sono, naturalmente,
un'invenzione di Flaubert. Personaggi che fanno qualcosa
mentre avviene qualcos' altro sono sempre esistiti. Nel ven-
tiduesimo libro dell' Iliade la sposa di Ettore è a casa a prepa-
rargli un bagno caldo quando lui è morto qualche momen-
to prima; Auden, in Musée des Beaux Arts, elogia Bruegel
per la notazione, durante la caduta di Icaro, di una nave
che solca tranquilla le onde. Nella parte su Dunkerque di
Espiazione, di Ian McEwan, ilprotagonista, un soldato bri-
tannico che si ritira in mezzo al caos e alla morte verso la
città della Manica, vede passare una chiatta. «Alle sue spal-
34 Come funzionano i romanzi
32
Da qui, è breve il passo verso l'affermazione, consueta nel
moderno reportage di guerra, che il terribile e l'ordinario
sono notati nello stesso tempo dal personaggio e/o dal-
lo scrittore, e che in qualche modo fra le due esperienze non
vi sono differenze di rilievo: tutti i dettagli hanno un po' la
capacità di stordire, e colpiscono ilvoyeur traumatizzato
nello stesso modo. Ecco ancora L'educazione sentimentale:
Da tutte le finestre della piazza si sparava; i proiettili fi-
schiavano; l'acqua della fontana spaccata si mischiava col
sangue e formava delle pozzanghere in terra; si scivolava
nel fango sopra le giubbe, i képi, le armi; Frédéric sentì sotto
il piede qualcosa di soffice: era la mano di un sergente dal
cappotto grigio, disteso con la faccia nel rigagnolo. Sempre
nuove bande di popolo arrivavano, spingendo i combatten-
ti contro il posto di guardia. La fucileria diventava più fit-
Flaubert e la narrativa moderna 35
33
Flaubert può far convergere le sue indicazioni di tempo
perché l'imperfetto, in francese, può essere applicato sia
a eventi una tantum (sspazzava la strada»), sia a eventi ri-
correnti (<<spazzavala strada ogni settimana»), L'inglese,
in questo, è più impacciato: costringe a ricorrere, per even-
ti una tantum, a he was doing (<<stavafacendo») e, per eventi
ricorrenti, a he would do o he used to do. «Spazzava la stra-
da ogni settimana», quindi, diventa every week he would
sweep the road. Ma così si scopre il gioco, si tradisce la pre-
senza di tempi diversi. Proust, in Contro Sainte-Beuve, os-
serva giustamente che fu quest'impiego dell'imperfetto la
grande innovazione di Flaubert. E il nuovo stile realisti-
co si fondava, nello scrittore, sull'uso dell' occhio: l'occhio
dell' autore e l'occhio del personaggio.
Dicevo prima che l'Ahmad di Updike, solo per il fat-
to di camminare per la strada notando cose e formulando
pensieri, era impegnato nella classica attività romanzesca
postflaubertiana. Il Frédéric di Flaubert è un precurso-
re di quello che verrà più tardi chiamato flaneur: il perdi-
giorno, in genere maschio e giovane, che bighellona per
le strade senza nessuna urgenza, vedendo, guardando,
riflettendo. Conosciamo il tipo da Baudelaire, dall' onni-
sciente narratore del romanzo autobiografico di Rilke,
I quaderni di Malte Laurids Brigge, e dagli scritti su Baude-
laire di Walter Benjamin.
34
Questa figura fa essenzialmente le veci dell' autore, è il suo
permeabile esploratore, esposto inerme a ogni impressione.
Va nel mondo come la colomba di Noè, per tornarne con un
messaggio. L'ascesa di tale esploratore autoriale è strettamen-
te connessa all'urbanesimo, al fatto che enormi agglomera-
ti di uomini rovesciano stillo scrittore, o sul destinatario de-
signato, grandi quantità di dettagli di sconcertante varietà.
[ane Austen è, sostanzialmente, una romanziera rurale, e
Londra, com'è rappresentata in Emma, è in realtà solo ilvil-
laggio di Highgate. Le sue eroine non gironzolano mai oziose,
soltanto riflettendo e guardando: tutti i loro pensieri sono con-
centrati. sul problema morale che in quel momento le tocca.
Ma quando Wordsworth, più o meno nello stesso periodo in
cui la giovane Austen scriveva, visita Londra nel Preludio, as-
sume subito l'aria del flàneur, come un romanziere moderno:
Qui file di ballate pendono da muri ciechi,
avvisi di formato gigante frastornano
dall'alto in ogni colore la vista ...
un vagabondo sciancato, tronco senza gambe,
che pesta con le braccia ...
lo scapolo cui piace prendere il sole,
il militare a zonzo e la signora ...
l'italiano con la scatola di statuette
sulla testa, l'ebreo con la cesta appoggiata
alla vita, il turco imponente e lento
con un carico di pantofole sotto ilbraccio.
E prosegue dicendo che, se ci stanchiamo di «guarda-
re a caso», possiamo trovare in mezzo alla folla «ogni spe-
cie umana»:
tutti i colori che il sole largisce,
e ogni tipo di forma e di faccia:
lo svedese e il russo, dal sud piacevole
ilfrancese e lo spagnolo, dalla remota
America l'indiano cacciatore, mori,
malesi, orientali, tartari e cinesi,
e donne negre in bianche gonne di mussola.'
38 Come funzionano i romanzi
15
Wordsworth osserva questi aspetti di Londra in prima per-
sona. È un poeta e scrive di sé. Il romanziere vuole anch' egli
registrare dettagli del genere, ma comportarsi da poeta li-
rico nel romanzo è più difficile: si deve scrivere tramite al-
tre persone, e così si è riportati alla tensione romanzesca
di fondo. È il romanziere a notare quelle cose o il perso-
naggio? Nel primo brano dell'Educazione sentimentale che
ho citato, è Flaubert che dipinge un bello scenario parigi-
no, con il lettore a presumere che, se a vedere qualche det-
taglio è forse Frédéric, lo scrittore li vede tutti con l'occhio
della mente? Oppure l'intero brano è in sostanza scritto
in stile indiretto libero e ilpresupposto è che Frédéric noti
tutto ciò su cui Flaubert attira la nostra attenzione: i gior-
nali in ordine, le donne che sbadigliano ecc.? L'innova-
zione di Flaubert consiste nel rendere questo interrogati-
vo superfluo, nel confondere a tal punto autore e flàneur
che il lettore, senza rendersene conto, innalza il personag-
gio allivello stilistico dello scrittore: sono entrambi, ci di-
ciamo, piuttosto bravi a notare le cose, e chiudiamo sod-
disfatti la questione.
Flaubert non può che comportarsi così perché è al tem-
po stesso un realista e uno stilista, un reporter e un poeta
mancato. Il realista vuole registrare un sacco di cose, met-
tere in scena su Parigi uno sketch balzachiano. Ma l'ac-
cozzaglia e la verve balzachiane lasciano lo stilista insod-
disfatto; egli vuole disciplinare quella ridda di dettagli
Flaubert e l'ascesa del fLiineur 39
i6
Quando le innovazioni flaubertiane raggiunsero un ro-
manziere come Christopher Isherwood, che scriveva negli
anni Trenta, furono tirate tecnicamente a lucido. All'inizio
di Addio a Berlino, pubblicato nel 1939, si fa una famosa af-
fermazione: «lo sono una macchina fotografica con l'obiet-
tivo aperto; non penso, accumulo passivamente impres-
sioni. Registro l'uomo che si rade alla finestra di fronte e
la donna in chimono che si lava i capelli: un giorno tutto
ciò dovrà essere sviluppato, attentamente stampato, fissa-
to). Una promessa che Isherwood mantiene in un passo
di allestimento di scena come questo, all'inizio del capito-
lo intitolato I Nowak:
L'ingresso della Wassertorstrasse era un grande arco di
pietra, un pezzo della vecchia Berlino carico di falci e mar-
telli e croci naziste, coperto di avvisi laceri di vendite all'asta
e di descrizioni di criminali. La strada era stretta, profon-
da, misera; il suo rozzo selciato gremito di marmocchi in
lacrime. Giovanotti in maglioni di lana vi si aggiravano su
traballanti biciclette da corsa, apostrofando le ragazze che
.passavano con le bottiglie del latte. Sul marciapiede erano
tracciate col gesso le caselle del gioco «cielo e terra», che si fa
saltando su un piede. In fondo alla strada, come un grande
ordigno rosso pericolosamente aguzzo, sorgeva una chiesa.
40 Come fu nzionano i romanzi
37
Più si guarda a questo mirabile brano di prosa, meno esso
sembra una tranche de vie o una facile serie di scatti, e più
un balletto assai curato. Inizia con un ingresso: l'ingres-
so al capitolo.
n riferimento a falci e martelli e croci naziste introdu-
ce una nota di minaccia, completata dal sardonico riferi-
mento ad annunci che pubblicizzano «vendite all' asta» e
descrivono «criminali»: sarà anche commercio, ma sgra-
devolmente vicino al graffito politico; non è a vendite e
crimini, dopo tutto, che i politici, specie comunisti o fasci-
sti, si dedicano? Ci vendono merci e commettono delitti.
Flaubert e l'ascesa del flàneur 41
38
Il narratore, che ha promesso di essere una semplice mac-
china fotografica, del tutto passiva, che registra e non pen-
sa, ci sta insomma vendendo un falso? Solo nel senso in cui
è un falso l'affermazione di Robinson Crusoe di racconta-
re una storia vera. Illettore è ben contento di accantonare
la fatica dello scrittore per credere ad altri due parti della
fantasia: che il narratore era in qualche modo «davvero lì»
(e in effetti Isherwood visse a Berlino negli anni Trenta),
e che il narratore non è davvero uno scrittore. O meglio,
ciò che la tradizione flaubertiana del flàneur cerca di sta-
tuire è che il narratore (o l'esploratore autoriale designa-
to) è allo stesso tempo una specie di scrittore e non davvero uno
scrittore. Uno scrittore per temperamento, ma non di me-
stiere. Uno scrittore perché nota così tanto, così bene; non
davvero uno scrittore perché non suda per mettere tutto
ciò sulla pagina e, in fin dei conti, non nota in realtà nulla
di più di quanto noteremmo voi e io.
Questo scioglimento della tensione fra stile dell'autore e
stile del personaggio presenta un paradosso. Esso annun-
cia, in effetti: «Noi moderni siamo diventati tutti scritto-
ri e abbiamo tutti un occhio sofisticatissimo per i dettagli;
ma la vita non è in realtà così "letteraria" come ciò impli-
ca, perché non abbiamo da preoccuparci troppo su come
simili dettagli si affacciano sulla pagina». La tensione fra
42 Come funzionano i romanzi
39
Il realismo flaubertiano, come la maggior parte della nar-
rativa, è al tempo stesso verosimile e artificiale.' È vero-
simile perché nella realtà i dettagli ci vengono incontro,
specie nelle grandi città, in casuale parata. E la nostra esi-
stenza segue indicazioni di tempo diverse. Mettiamo che
stia camminando per una via. Sono consapevole di tanti
rumori, tante attività, una sirena della polizia, un edificio
in demolizione, ilcigolio della porta di un negozio. Accan-
to a me scorrono volti e corpi diversi. E, passando davanti
a un caffè, colgo lo sguardo di una donna, seduta da sola.
Lei mi guarda, io guardo lei. Un contatto urbano di un mo-
mento, futile, vagamente erotico, ma quel volto mi ricor-
da una conoscenza di tanto tempo fa, una ragazza con gli
stessi capelli scuri, e mette in moto una serie di pensieri.
Passo oltre, ma quel volto nel caffè riluce nella mia memo-
ria, resta lì, conservato nel tempo, mentre attorno a me ru-
mori e attività non si conservano allo stesso modo: entra-
no ed escono dalla mia coscienza. Quel volto, si potrebbe
dire, pulsa in 4/4, mentre il resto della città pulsa più ve-
locemente in 6/8.
L'artificio sta nella selezione dei dettagli. Nella vita pos-
siamo girare la testa e gli occhi da un'altra parte, ma, di fat-
to, siamo macchine fotografiche senza scampo. Il nostro è
un grandangolo, e non può evitare di cogliere qualunque
cosa gli si pari dinanzi. La memoria seleziona per noi, ma
non proprio come lo fa la narrazione. I nostri ricordi, dal
punto di vista estetico, non hanno nessun talento.
Dettagli
40
Nel 1985 l'alpinista [oe Simpson, a 6400 metri d'altezza sulle
Ande, cadde da una cengia ghiacciata e si ruppe una gam-
ba. Il suo compagno di scalata lo diede per morto. A Simp-
son, appeso impotente alla corda, risuonò non richiesta nel-
la mente la canzone dei Boney Brown Giri in the Ring. Non
gli era mai piaciuta e al pensiero di essere accompagna-
to nella morte proprio da quella colonna sonora s'infuriò.
In letteratura, come nella vita, la morte è spesso accom-
pagnata da apparente insignificanza: da Falstaff che bal-
betta di verdi pascoli a Lucien de Rubempré di Balzac che,
in Splendori e miserie delle cortigiane, nota dei dettagli archi-
tettonici appena prima di togliersi la vita; dal principe An-
drej che, in Guerra e pace, sogna sul letto di morte una bana-
le conversazione, a Giovanni Castorp che, nella Montagna
incantata, «passava e ripassava sulla coperta la mano de-
stra ... come se raccogliesse e tirasse a sé qualche cosa».
Proust suggerisce che una simile insignificanza accompa-
gnerà sempre la morte, perché a essa noi non siamo mai
44 Come funzionano i romanzi
41
n 28 marzo 1941 Virginia Woolf si riempì le tasche di pietre
ed entrò camminando nel fiume Ouse. Suo marito, Leonard
Woolf, era di una meticolosità ossessiva, e per tutta la sua
vita adulta, ogni giorno, tenne un diario, annotando che
cosa aveva mangiato e quanti chilometri aveva fatto in mac-
china. Il giorno in cui sua moglie si suicidò non fu, in ap-
Dettagli 45
42
Nel 1960, durante la campagna presidenziale americana,
Richard Nixon e [ohn Kennedy si sfidarono nel primo di-
battito televisivo mai trasmesso. Si è spesso detto che Ni-
xon, sudato, «perse» perché non s'era rasato subito prima
e gli si vedeva un'ombra di barba che lo faceva apparire
sinistro. La gente pensava di sapere che aspetto avesse Ri-
chard Nixon finché egli non fu posto accanto a Kennedy,
46 Come funzionano i romanzi
43
I Boney, una macchia, la barba di Nixon: nella vita, come
nella letteratura, ci orientiamo con le stelle dei dettagli.
Usiamo i dettagli per mettere a fuoco, per fissare un'im-
pressione, per ricordare. Ci incagliamo in essi. Nel raccon-
to di Isaak Babel' Il mio primo onorario un adolescente nar-
ra a una prostituta una storia inverosimile. Lei è scettica e
annoiata, fino a quando lui, immaginosamente, si mette a
parlare di «cambiali di comodo», Di colpo, lei si fa attenta.
44
La letteratura si differenzia dalla vita in questo: che la vita
è piena di dettagli in modo amorfo, e raramente ci guida
verso di essi, mentre la letteratura ci insegna a notare: a
notare, per esempio, come spesso mia madre si strofini le
labbra appena prima di darmi un bacio; che il diesel al mi-
nimo di un taxi londinese fa un rumore da trapano; che le
vecchie giacche di cuoio mostrano striature bianche simili
alle strisce di grasso delle fette di carne; come la neve fre-
sca «scricchioli» sotto i piedi; come le braccia di un neonato
siano così grasse da sembrare lega te con lo spago (be', gli
altri sono miei, ma quest'ultimo esempio viene da Tolstojl).'
45
Questo tutoraggio è dialettico. La letteratura ci rende mi-
gliori osservatori della vita; noi mettiamo in pratica l'in-
segnamento nella vita stessa; in tal modo diventiamo più
bravi a notare i dettagli quando leggiamo; così impariamo
a leggere sempre meglio la vita. E via di questo passo.
Basta insegnare letteratura per rendersi conto che la
maggior parte dei giovani lettori è costituita da osservato-
ri mediocri. I miei stessi vecchi libri, sfrenatamente anno-
tati vent'anni fa, da studente, mi dicono che allora usavo
sottolineare, in cerca di approvazione, dettagli e immagini
e metafore che oggi mi appaiono banalissimi, mentre pas-
savo tranquillamente sopra a cose che mi sembrano oggi
meravigliose. Noi cresciamo, come lettori, e a vent'anni si
è relativamente vergini. Non si è ancora letto abbastanza
perché la letteratura ci abbia insegnato a leggere davvero
la lettera tura.
46
Anche gli scrittori possono assomigliare a dei ventenni, bloc-
cati a piani diversi nell' ascensore del talento visivo. Come
in tutti gli ambiti dell' estetica, anche la bravura nell' osser-
vazione ha dei livelli. Alcuni scrittori sono poco dotati, altri
sono dei geni. E accade molto spesso, nella narrativa, che
uno scrittore paia trattenersi, tenere della potenza di riserva:
un' osservazione qualunque è seguita da un dettaglio note-
vole, da uno spettacolare arricchimento dell' osservazione,
come se lo scrittore, prima, non avesse fatto che riscaldar-
si, e ora la prosa si aprisse all'improvviso simile a un fiore.
47
Come sappiamo quando un dettaglio sembra proprio vero?
Cosa ci guida? Il teologo medievale Duns Scoto diede il
nome di «ecceità» (haecceitas) alla forma individuante. L'idea
è stata adattata da Gerard Manley Hopkins, la cui poesia
48 Come funzionano i romanzi
48
Poiché l'ecceità è tangibilità, tenderà alla materia: sterco bo-
vino, seta rossa, la cera del pavimento di una sala da ballo,
un calendario delIB08, sangue nelle scarpe. Ma anche a un
semplice nome o a un aneddoto; la tangibilità può essere
rappresentata nella forma di un aneddoto o di un evento
che eccita la curiosità.
In Dedalus Stephen nota che le dita del signor Casey
«non si potevano tendere: e il signor Casey gli aveva det-
to di essersi anchilosato quelle tre dita facendo un dono
alla regina Vittoria per ilsuo compleanno», Perché questo
dettaglio, sul regalo di compleanno alla regina Vittoria, è
così vivido? Partiamo dalla comica specificità, dall'accen-
no concreto: se [oyce avesse scritto solo «e il signor Casey
50 Come funzionano; romanzi
5°
Si possono leggere Don Chiscioite o Tom lonee o i romanzi
della Austen e trovare ben poco dei dettagli raccomandati
da Flaubert. [ane Austen non ci fornisce nulla dell'arredo
visivo che troviamo in Balzac o Joyce, e difficilmente indu-
gia a descrivere persino il volto di un personaggio. Abiti,
clima, interni, tutto è elegantemente compresso e dirada-
to. In Cervantes, Fielding e la Austen i personaggi mino-
ri sono teatrali, spesso stereotipati, e a malapena notati
in senso visivo. Fielding è più che soddisfatto di descrive-
re due diversi personaggi, in ioseph Andrews, dicendo che
hanno «nasi aquilini».
Ma per Flaubert, per Dickens e per centinaia di roman-
zieri dopo di loro, il personaggio minore è un'affascinante
sfida stilistica: come far sì che lo si veda, come dargli vita-
lità, come conferirgli una patina brillante? (Un esempio è
il cugino di Dora, in David Copperfield, che è «nella Guar-
dia del Corpo, con gambe così lunghe da sembrare l'ombra
pomeridiana di qualche altro-.) Ecco lo sguardo en passant
di Flaubert, in Madame Bovary, su un personaggio minore
che non vedremo più, a un ballo:
Intanto, a capotavola, solo uomo fra tutte quelle donne,
chino sul suo piatto pieno, con iltovagliolo annodato al col-
lo come un bambino, un vecchio mangiava, lasciandosi ca-
der di bocca grosse gocce di salsa. Aveva gli occhi sbiaditi
e portava il codino legato con un nastro nero. Era il suoce-
Dettagli 53
52
C'è una convenzionale passione moderna per il dettaglio
sobrio ma «eloquente»: «Il detective notò che la fascia per
capelli di Carla era singolarmente sporca», Se esiste qualco-
sa come un dettaglio eloquente dev' esserci qualcosa come
un dettaglio insignificante, no? Una migliore distinzione
è forse tra quelli che chiamerei dettagli «fuori servizio» e
«in servizio»; ildettaglio «fuori servizio» fa parte, per così
dire, dei riservisti della vita: è sempre pronto a essere mo-
bilitato. La letteratura ne è piena (la punta rossa del siga-
ro di [ames ne è un esempio).
Ma forse «fuori servizio» e «in servizio» non fanno che
mettere in altre parole lo stesso problema? Il dettaglio «fuori
servizio» non è in sostanza un dettaglio meno eloquente dei
56 Come funzionano i romanzi
53
Ma questo strato di dettagli gratuiti è davvero «come la
vita» o è solo un trucco? Nel saggio L'effetto di reale15 Roland
Barthes sostiene in sostanza che il dettaglio «insignifican-
te» è un codice che non rileviamo più, e che ha poco a che
fare con la vita come realmente è. Egli prende in esame un
brano dello storico J ules Michelet in cui si descrivono le
ultime ore di Charlotte Corday in carcere: un pittore va a
trovarla e dipinge il suo ritratto, e «dopo un' ora e mezzo
qualcuno bussò dolcemente a una porticina che si trova-
va dietro di lei».
A questo punto lo studioso si volge alla descrizione di
Flaubert, in Un cuore semplice, della sala di Madame Aubain:
«Un vecchio pianoforte sosteneva, sotto un barometro, una pi-
ramide di scatole e di cartoni». Il pianoforte, afferma Barthes,
è lìa suggerire lo status borghese della sua proprietaria, le
scatole e i cartoni forse a suggerire disordine. Ma perché il
barometro? Il barometro non denota nulla; è un oggetto «né
incongruo né significativo»; è in apparenza «insignifican-
te». Suo compito è denotare la realtà, è lìper creare l'effetto,
l'atmosfera del reale. Esso dice semplicemente: «lo sono il
reale». (O, se si preferisce, «io sono il realismo-.)
Dettagli 57
54
Ma Barthes fa troppo in fretta a decidere che cosa è det-
taglio significante e che cosa dettaglio insignificante. Per-
ché il barometro è insignificante? Se è lì solo per procla-
mare arbitrariamente il reale, non si può dire lo stesso del
pianoforte e delle scatole? Come sostiene A.D. Nuttall in
A New Mimesis, il barometro non dice «io sono il reale»,
bensì: «Non sono proprio il tipo di oggetto che trovereste
in una casa così?». Esso non è né incongruo né particolar-
mente significativo: è tediosamente tipico.
Inmolte case si trovano tuttora barometri del genere, ed
essi ci dicono qualcosa su quelle case: appartengono alla
58 Come funzionano i romanzi
55
Nel saggio Un'impiccagione Orwell vede ilcondannato diret-
to al patibolo spostarsi di lato per evitare una pozzanghe-
ra. Per lo scrittore ciò rappresenta quello che egli chiama il
«mistero» della vita che sta per essere tolta: pur non aven-
done più alcuna buona ragione, ilcondannato pensa anco-
ra a non sporcarsi le scarpe. È un atto «insignificante» (e un
meraviglioso esempio di capacità di osservazione da par-
te di Orwell). Supponiamo ora che l'episodio non si trovi
in un saggio, ma in un racconto. Tanto più che si è alma-
naccato parecchio su quanto, in simili saggi di Orwell, vi
sia di realtà e quanto di fantasia.
Quella pozzanghera evitata è proprio il genere di super-
bo dettaglio che, diciamo, avrebbe potuto esibire Tolstoj; in
Guerra e pace c'è la scena di un'esecuzione molto vicina nel-
lo spirito al saggio orwelliano, e può anche darsi che, per
quel particolare, Orwell abbia scopiazzato Tolstoj. La sce-
na è quella in cui Pierre vede i francesi fucilare un uomo e
nota che, appena prima di morire, egli si sistema la benda
sulla nuca, perché era troppo stretta e gli dava fastidio.'?
Dettagli 59
56
Il barometro, la pozzanghera, la benda allentata non sono
«insignificanti»;sono significativamente insignificanti. Nella
Signora col cagnolino di Cechov un uomo e una donna van-
no a letto insieme. Dopo avere fatto l'amore, l'uomo man-
gia con calma un'anguria: «Cùrov tagliò una fetta d'an-
guria che stava sul tavolo ... Mezz' ora passò in silenzio».
Questo è tutto ciò che Cechov scrive. Avrebbe potuto scri-
vere: «Passarono trenta minuti. Fuori, un cane iniziò ad
abbaiare, e dei bambini corsero per la strada. Il direttore
dell'albergo gridò qualcosa. Una porta sbatté»,
Si tratta, naturalmente, di dettagli sostituibili con altri si-
mili; non sono essenziali a niente. Sarebbero nel testo per
farci sentire che, lì; è «come la vita». La loro insignificanza è
esattamente il loro significato. E, come nel passo di Miche-
let di cui Barthes diffida tanto, una delle evidenti ragioni
dell' emergere di questo tipo di dettagli significativamente
60 Come funzionano i romanzi
57
Nei Morti [oyce scrive che Gabriel è il nipote preferito del-
le sue vecchie zie: «Era il loro nipote prediletto, il figlio
di Ellen, la sorella maggiore defunta, che aveva sposato
T.J. Conroy, della capitaneria di porto». Niente di che, si
potrebbe pensare a prima vista; per apprezzare il dettaglio
Dettagli 61
civili che, per una ragione o per l'altra, non erano stati mo-
bilitati. Spesso tale squadra si dimostra ben poco esperta
e un giorno, chiamata a spegnere un incendio in una casa,
entra nel palazzo sbagliato, quello accanto.
Il vergognoso errore è ricordato ilgiorno dopo dall'uffi-
ciale del dipartimento (pompiere professionista), un uomo
di nome Trant: «Su al numero Quindici la moglie di Trant,
mentre lui usciva, gli promise per cena pasticcio di maiale.
Questo fece venire in mente a Trant ilsuo ufficiale subalter-
no che, ilgiorno prima, liaveva resi lo zimbello di tutti cor-
rendo di qua e di là come un pollo dalla testa tagliata, con
i suoi ausiliari che sembravano un branco di fottute oche».
Perché il pasticcio di maiale ha fatto «venire in mente» a
Trant l'incidente del giorno prima? Green non sente alcun
bisogno di dircelo. Tutto ciò che possiamo fare è suppor-
re che Trant abbia pensato più o meno: «Pasticcio di maia-
le... uccisione del maiale ... una cascina ... polli che corrono
di qua e di là dopo essere sta ti uccisi. .. che pasticcio ieri,
quando i miei uomini correvano di qua e di là come polli
senza testa». Ma ciò che, formulato in questi termini, alla
Joyce, è macchinoso, diviene, compresso nel rapido e reti-
cente stile indiretto libero di Green, di una frizzante opa-
cità. Dà l'impressione di qualcosa di molto vicino a come
funziona effettivamente la nostra mente.
Tuttavia, può darsi benissimo che la mente di Trant non
abbia funzionato cOSÌ.Forse egli ha pensato: «Pasticcio di
maiale ... il casino di ieri. .. come un pollo senza testa»; in
quest' ordine?
Il personaggio
59
Non c'è nulla di più difficile, nella narrativa, della creazione
di un personaggio. A permettermi di dirlo è la quantità di
romanzi di principianti da me letti che iniziano descriven-
do una fotografia. Conoscerete lo stile: «Mia madre soc-
chiude gli occhi all'abbagliante luce del sole e, ...per qualche
ragione, stringe fra le mani un fagiano morto. E vestita alla
vecchia maniera: stiva letti con le stringhe e guanti bian-
chi. Ha un' aria disperata. Mio padre, invece, è nel suo ele-
mento, pieno di vita come sempre. In testa porta il cappel-
lo a lobbia di velluto grigio di Praga che ricordo così bene
dall' infanzia».
Il romanziere alle prime armi si aggrappa allo statico,
molto più facile da descrivere del mobile: è tirar fuori le
persone dalla gelatina e farle agire che è difficile. Quando
incontro una prolungata ecfrasi come nella parodia prece-
dente mi inquieto, sospetto che il romanziere si stringa a
un corrimano e abbia paura di spingersi in fuori.
60
Ma come spingersi in fuori? Come animare ilritratto stati-
co? Ford Madox Ford, in Joseph Conrad: un ricordo personale,
descrive benissimo come far alzare e camminare un perso-
naggio, come «introdurlo», per usare le sue parole. Con-
rad, dice, «non fu mai soddisfatto di aver introdotto a suf-
ficienza i suoi personaggi e non fu mai persuaso di aver
convinto il lettore; questo spiega la lunghezza enorme di
alcuni dei suoi libri».
Mi piace quest'idea, che alcuni romanzi di Conrad siano
lunghi perché egli non riusciva a smettere di armeggiare,
una pagina dopo l'altra, con la verosimiglianza dei suoi
personaggi: è un'idea che evoca il fantasma del roman-
zo infinito. Lo scrittore principiante, allora, con tutto il
suo fascio di nervi, è almeno in buona compagnia. Ford e
Conrad amavano una frase di un racconto di Maupassant,
La regina Hortense: «Era un gentiluomo con i favoriti ros-
si che entrava sempre per primo». Ford commenta: «Quel
gentiluomo è sufficientemente reso, cosicché non avete bi-
sogno di sapere niente altro su di lui per capire come agi-
rà. È stato "introdotto" e può subito mettersi all'opera-P
Ha ragione. Per far camminare un ritratto, per dir così, e,
suo corollario, perché il lettore ottenga da personaggi pic-
coli, di breve vita, addirittura un po' piatti, non meno di
quanto ottiene da eroi ed eroine grandi, tondi, torreggian-
ti, occorrono ben poche pennellate. A mio avviso Gùrov,
l'adultero della Signora col cagnolino, è vivido, è intenso e
regge quanto Gatsby e l'Hurstwood di Theodore Dreiser e
persino [ane Eyre.
62
Possiamo capire molto di un personaggio da come e a chi
parla, dall'approccio che ha con ilmondo. Le persone, dis-
se Edith Wharton, sono come il giardino del vicino: le co-
nosciamo solo per ciò che confina con noi. Supponiamo
che il tizio dai pantaloni spiegazzati entri in una stanza
dove si trovano un uomo e una donna. Si rivolge prima
a lei, ignorando lui. Ah, ci diciamo, è quel tipo di uomo.
Ma poi il romanziere ci rivela che la donna cui ha rivolto
la parola è di singolare bruttezza. E, di colpo, entra in sce-
na la straordinaria capacità del romanzo: a differenza, per
esempio, del film, ilromanzo può dirci che cosa un perso-
naggio sta pensando.
A questo punto ilromanziere decide di aggiungere, in sti-
le indiretto libero, niente di meno che: «Sua madre, donna
molto tradizionale, gli aveva insegnato che un gentiluomo,
entrando in una stanza, deve rivolgere la parola anzitutto
alla donna meno attraente, per farla sentire a proprio agio.
Semplice cavalleria».
Quanto sopra non prenderebbe più di un paragrafo.
63
Nel film di Antoniani L'eclisse, la radiosa Monica Vitti si reca
alla Borsa di Roma dove lavora il suo fidanzato, interpre-
tato da Alain Delon. Lui le indica un grassone che ha ap-
pena perso cinquanta milioni di lire. Incuriosita, lei lo se-
gue. L'uomo entra in un bar, ordina da bere, ma quasi non
tocca il bicchiere, poi entra in un altro bar, ordina un'ac-
qua minerale e, di nuovo, ne beve a malapena un sorso.
Intanto scrive qualcosa su un pezzo di carta che lascia sul
tavolino. Deve trattarsi, immaginiamo noi, di una serie di
meste cifre buttate giù con furia. La Vitti si avvicina al ta-
volo e vede che è il disegno di un fiore...
Chi può non amare una scena così? È talmente delica-
ta, tenera, indiretta, di uno humour tanto lieve, e ride così
piacevolmente alle nostre spalle. Avevamo un'idea di re-
pertorio di come chi ha subito un crack finanziario reagi-
sca alla catastrofe: con il crollo emotivo, con disperazione,
gettandosi da una finestra. E Antoniani ha confuso le no-
stre aspettative. Il personaggio scivola attraverso le no-
stre mutanti interpretazioni come una barca attraverso le
chiuse di un canale. Passiamo da una certezza senza fon-
damento a un mistero senza fondamenta.
La scena solleva l'interrogativo di che cosa costituisca
davvero un personaggio. Di questo giocatore di Borsa
non sappiamo nulla di più di quanto ci dice l'episodio ci-
tato; egli non avrà altro ruolo nel film. Si può chiamarlo
un «personaggio»? Eppure nessuno metterebbe in dubbio
che Antonioni ha rivelato qualcosa di sottile e profondo
sul suo carattere e, per estensione, su una certa spensiera-
tezza che prende gli esseri umani sotto pressione o, forse,
su una certa difensiva voglia di spensieratezza che pren-
de gli uomini sotto pressione. Qualcosa di vivo, di umano
è stato portato alla luce. Perciò questa scena dimostra che
la narrazione può darci, e spesso ci dà, il vivido senso di
un personaggio senza darci il vivido senso di un indivi-
duo. Quello specifico uomo non lo conosciamo; ma cono-
sciamo il suo specifico comportamento in quel momento.
64
Sui personaggi letterari si seri vono ogni giorno una quanti-
tà di sciocchezze da parte sia di quanti credono troppo nei
personaggi sia di quanti vi credono troppo poco. Coloro
che vi credono troppo hanno una serie di ferrei pregiudizi
su che cos'è un personaggio: dobbiamo giungere a «cono-
scerlo»; non dev'essere uno «stereotipo»: deve avere «in-
teriorità» oltre che esteriorità, profondità oltre che superfi-
cie; deve «crescere» e «svilupparsi»; e dev' essere simpatico.
Dev'essere, insomma, un po' come noi. Una giornalista del
«New York Times» ha lamentato che il «decrepito donnaio-
lo» interpretato dal settuagenario Peter O'Toole nel film
Venus (sceneggiato da Hanif Kureishi) e Hector, l'anziano
insegnante «che palpeggia i suoi studenti» in The History
Boys (sceneggiata da Alan Bennett), sono presentati come
relativamente «buoni», mentre il loro comportamento li fa
apparire «venali e ipocriti».
Nel vedere questi vecchi «insidiare» le loro giovani vit-
time emerge con forza quello che la giornalista chiama il
fattore «che-schifo». Tuttavia, prosegue, invece di ritrar-
re questi personaggi come gli avvoltoi che effettivamente
sono, i registi sembrano volerei comprensivi verso la loro
condotta, addirittura plaudenti. Il problema di The History
Boys sarebbe che «parte dal presupposto che il pubblico as-
sentirà senza riserve al suo lascivo protagonista come han-
no fatto il regista e lo sceneggiatorc-.'
In altre parole, gli artisti non dovrebbero chiederci di
cercare di capire i personaggi che non approviamo, alme-
no non prima di avere pronunciato contro di essi una fer-
ma e inequivocabile condanna. L'idea che si possa prova-
re il fattore «che-schifo» e, contemporaneamente, vedere
la vita attraverso gli occhi di quei due vecchi bavosi, e che
questo uscire da noi stessi per entrare in regni estranei alla
nostra esperienza di tutti i giorni possa essere una sorta di
educazione morale alla comprensione del prossimo sembra
andare al di là della giornalista, di cui tutto ciò che si può
dire è che è improbabile che sarà così inflessibile quando
70 Come funzionano; romanzi
65
Quanto a coloro che credono troppo poco nei personag-
gi, da essi si sente dire che non esistono affatto. Il roman-
ziere e critico William Gass ha commentato questo brano
dell'Età ingrata di Henry James: «Il signor Cashmore, che
avrebbe avuto i capelli rossi se non fosse stato calvo, esibi-
va un monocolo e un lungo labbro superiore; era grande e
scattante, con piccoli movimenti petulanti e fervide escla-
mazioni, che non erano in armonia col suo tipo».' Ecco che
cosa ne dice Gass:
Possiamo immaginare aggiunte a queste un numero qual-
siasi di altre frasi sul signor Cashmore. Ora la domanda è:
che cos'è ilsignor Cashmore? Ecco la mia risposta: ilsignor
Cashmore è 1) un rumore, 2) un nome proprio, 3) un com-
plesso sistema di idee, 4) una percezione dominante, 5) uno
strumento di organizzazione verbale, 6) un finto modo di
fare riferimento, e 7) una fonte di energia verbale. Egli non
è oggetto di percezione, e di lui non si può legittimamente
dire nulla di appropriato a delle persone.'
Ritengo tutto ciò profondamente, incorreggibilmente sba-
gliato. I personaggi sono assemblaggi di parole, certo, visto
che la letteratura è un assemblaggio di parole: ma questo
non ci dice proprio nulla, ed è come informarci in termi-
ni sofisticati che un romanzo non può creare realmente un
«mondo» immaginato, visto che è solo un insieme di fogli
di carta rilegati. Non c'è dubbio che il signor Cashmore,
così introdotto da [ames, sia subito divenuto, di fatto, «og-
getto di percezione»: proprio perché siamo di fronte a una
sua descrizione. Gass sostiene che «di lui non si può le-
gittimamente dire nulla di appropriato a delle persone»,
Il personaggio 71
66
Ma, per ripeterei, che cosa è un personaggio? Qui mi tro-
vo aggrovigliato fra i «ma»: potrei dire che un personag-
gio sembra avere a che fare con la coscienza, con l'uso del-
la mente, ma subito mi balzano davanti molti esempi di
personaggi che paiono pensare ben poco, che raramente
sono visti riflettere (il Gatsby di Scott Fitzgerald, il capi-
tano Achab di Moby Dick, la Becky Sharp della Fiera delle
vanità, lo Widmerpool dei romanzi di Anthony Powell, la
[ean Brodie di Muriel Spark). Potrei affinare la risposta e
affermare che un personaggio richiede almeno una qual-
che vita interiore, un'interiorità, esige di essere visto «dal
di dentro», ma ecco venirmi incontro gli esempi opposti
delle due adultere, Anna Karenina ed Effi Briest, la pri-
ma delle quali riflette moltissimo ed è vista dal di dentro
72 Comefunzionano i romanzi
67
Il romanzo è il grande virtuoso dell' eccezione: si svincola
sempre dalle regole che gli si tendono attorno come trap-
pole. E il personaggio romanzesco è l'Houdini dell' ecce-
zione. Non esiste qualcosa come un «personaggio roman-
zesco». Esistono solo migliaia di tipi diversi di persone,
alcune tonde, altre piatte, alcune profonde, altre caricatu-
rali, alcune evocate realisticamente, altre accennate a leg-
gerissimi colpi di pennello. Alcune sono abbastanza so-
lide da permetterei di avanzare ipotesi sui loro moventi:
perché Hurstwood ruba i soldi? Perché Isabel Archer tor-
na da Gilbert Osmond? Qual è la reale ambizione di Julien
Sorel? Perché Kirilov vuole suicidarsi? Che cosa vuole il
signor Biswas? Ma sono tanti i personaggi nella narrativa
che, non evocati pienamente né convenzionalmente, sono
tuttavia vivi e vividi.
TIsolido, ottocentesco personaggio narrativo (compagnia
di cui, per me, fa parte anche Biswas), che ci pone di fron-
te a profondi misteri, non è il «migliore» o ideale o unico
modo di creare un personaggio (benché non meriti la gran-
de condiscendenza con cui lo guarda il postmodernismo). Il
mio gusto tende a personaggi più sommari, le cui lacune e
omissioni ci provocano, ci sfidano a procedere a fatica sul-
le loro profonde superfici: perché Onegin rifiuta Tatiana e
Il personaggio 73
68
Forse perché non so bene che cosa sia un personaggio, trovo
particolarmente toccanti quei romanzi postmodemi, come
Pnin, o Gli anni fulgenti di Miss Brodie di Muriel Spark, o L'anno
della morte di Ricardo Reis di Iosé Saramago, o I detective sel-
vaggi di Roberto Bolano, in cui ci troviamo di fronte a per-
sonaggi allo stesso tempo reali e irreali. In ognuno di essi
l'autore ci chiede di riflettere sul carattere di fantasia degli
eroi e delle eroine da cui i romanzi prendono iltitolo. E, bel
paradosso, è proprio una simile riflessione che suscita nel
lettore il desiderio di rendere questi personaggi di fantasia
«reali», per dire all'autore: «Lo so, sono soltanto un parto
della tua immaginazione: non fai che suggerirlo. Ma io pos-
so conoscerli solo trattandoli da personaggi veri».
È così che funziona, per esempio, Pnin. Un narratore
inaffidabile pretende che il professor Pnin sia un «perso-
naggio» in due sensi del termine: un tipo (un pagliacce-
sco ed eccentrico emigrato) e un personaggio di fantasia,
la fantasia del narratore. Ma, proprio perché la condiscen-
denza del narratore verso la sua affezionata e sciocca pro-
prietà ci infastidisce, insistiamo che dietro al «tipo» deb-
ba esserci un vero Pnin, che vale la pena di «conoscere» in
tutta la sua pienezza e complessità. E ilromanzo di Nabo-
kov è costruito in modo da stimolare in noi il desiderio di
un vero professor Pnin, di una «vera fantasia» con cui op-
porsi alle false fantasie del dispotico e sinistro narratore.
69
Il grande romanzo di [osé Saramago, L'anno della morte di
Ricardo Reis, funziona un po' diversamente, ma ha lo stes-
so effetto e, come Pnin, si trasforma in una commovente
74 Come funzionano i romanzi
72
Che cosa significa «amare» un personaggio di fantasia, ave-
re la sensazione di conoscerlo? Di che tipo di conoscenza
si tratta? Miss [ean Brodie è uno dei personaggi più ama-
ti della narrativa britannica del dopoguerra, e uno dei po-
chissimi a essere un nome familiare.
Ma se andate con un microfono giù per Princes Street,
a Edimburgo, chiedendo alla gente che cosa «sa» di Miss
Brodie, quelli che hanno letto il romanzo di Muriel Spark
vi reciteranno probabilmente un certonumero di suoi afo-
rismi: «Questi sono gli anni del mio fulgore», «ora sareste
la crème de la crèrne», «la grettezza impera, Mr Lloyd- e
così via. Sono famosi detti di [ean Brodie. Miss Brodie, in
altre parole, non è «conosciuta» affatto. La conosciamo solo
come la conoscono le sue giovani allieve: come una raccol-
ta di frasi fatte, un'esibizione retorica, uno show da «prof».
Alla Scuola femminile Marcia Blaine ogni membro del grup-
po della Brodie è «famoso» per qualcosa: Mary Macgregor
per la stupidità, Rose per il sesso e così via. Miss Brodie,
a quanto pare, è famosa per i suoi motti. Attorno alla sua
estrema esilità di personaggio noi tendiamo a costruire un
più spesso involucro interpretativo.
Quasi tutti i romanzi di Muriel Spark sono eccessivi nella
composizione, ma muoiono ferventemente di farne, Il suo
stile vivace e sobrio, «non scusarsi mai, non spiegare mai»,
sembra una deliberata provocazione: ci sentiamo obbliga-
ti a trasformare le mere falci dei suoi personaggi in lune
piene. Ma se il suo rifiuto di farsi esplicativa o sentimen-
tale era in parte, forse, una questione di carattere, era an-
che un rifiuto morale. La Spark nutriva un intenso interes-
Il personaggio 77
73
Questa autocoscienza narrativa, e la sua dedizione a for-
me sobrie, fanno a volte assomigliare Muriel Spark a un
romanziere del nouoeau roman come Alain Robbe-Grillet o
allo scrittore d'avanguardia britannico Brian Stanley [ohn-
son, che pubblicò un romanzo, The Unfortunates, fatto di fo-
gli mobili in un contenitore, da mettere in sequenza come
pareva meglio al lettore. Christie Malry's Own Double Entry,
sempre di Johnson ma un po' più convenzionale, è un ro-
Il personaggio 79
75
Anche i personaggi che ci paiono «solidamente realizza-
ti» in senso tradizionale, realistico, si fanno, più li guar-
diamo, meno solidi. Credo sia necessario tracciare una di-
stinzione di base fra, da un lato, romanzieri come Tolstoj o
Trollope o Balzac o Dickens, o drammaturghi come Shake-
speare, ricchi di «capacità negativa» (per usare le parole
di Keats), che sembrano creare, senza indulgere a nessu-
na autocoscienza, gallerie di persone varie che di loro non
hanno niente; e, dall' altro, scrittori cui quella capacità im-
porta meno, o forse ne sono meno naturalmente dotati, ma
che nutrono comunque un grande interesse per l'io: Henry
James, Flaubert, D.H. Lawrence, forse la Woolf, Musil, Saul
Bellow, Michel Houellebecq, Philip Roth.
I vibranti individui di Bellow sono dickensianamente
vividi, e per loro Bellow nutriva un interesse estetico e
filosofico; ma nessuno lo definirebbe un grande creato-
re di individui. Non ci viene da chiederci: «Che cosa fa-
rebbero Augie March o Charlie Citrine?»." La scrittrice
Iris Murdoch è il membro di questa seconda categoria
che più colpisce, proprio perché ha passato l'intera vita
a cercare di entrare nella prima. Nei suoi scritti di criti-
ca letteraria e filosofica non si stanca di ripetere che mar-
chio del grande romanziere è la creazione di personag-
gi liberi e indipendenti; ma i suoi non hanno mai questa
libertà. E lei, per di più, lo sapeva: «Si scopre molto pre-
sto che, per quanto si sia "interessati alla gente", questo
interesse normalmente ci lascia ben lontani dal posse-
dere la conoscenza necessaria per creare un personag-
82 Come funzionano i romanzi
76
Ma Iris Murdoch era troppo dura con se stessa. Ci sono
una quantità di romanzieri i cui personaggi fondamen-
talmente si assomigliano, o piuttosto assomigliano ai loro
creatori, e grondano tuttavia di una vitalità che sarebbe
difficile non chiamare libera. C'è un qualche personaggio,
nell' Arcobaleno, che non ricordi gli altri e, in ultima anali-
si, D.H. Lawrence stesso? Tom Brangwen, Will, Anna, Ur-
sula, persino Lydia sono tutte variazioni su un tema law-
renciano e, nonostante le differenze di eloquio e cultura,
vibrano interiormente in modo molto simile. Quando par-
lano, ilche avviene di rado, si potrebbe quasi confonderli.
E tuttavia hanno rma vivacissima vita interiore, e si sente
sempre quanto questa indagine sullo stato dell' anima sia
importante per il romanziere stesso.
In un certo senso hanno più individualità le scene, gli
scontri fra marito e moglie, fra due io opposti e vicini, che i
personaggi: Will e Anna che raccolgono mazzi di spighe in
covoni al chiaro di luna; il capitolo intitolato Anna Victrix,
in cui si descrivono i primi inebrianti mesi di matrimo-
nio, quando Will e Anna scoprono quanto la loro unione
sessuale sia sublime e ilmondo, a paragone, insignifican-
te; Anna, incinta, che balla nuda nella sua camera da letto
come una volta Davide aveva danzato davanti al Signore,
mentre Wilila guarda con invidia; il capitolo sulla visita
alla cattedrale di Lincoln; la grande alluvione che uccide
Tom Brangwen; Ursula e Skrebensky che si baciano sotto la
luna; Ursula all'oppressiva scuola di Ilkeston; Skrebensky
e Ursula che vanno a Londra e a Parigi e lei che, in una ca-
mera d'albergo a Londra, lo guarda fare il bagno: «Quel
corpo snello, asciutto, ben formato, senza un grammo su-
perfluo, le appariva perfetto».
Allo stesso modo i personaggi di J ames sembrano spesso
Il personaggio 83
78
In Aspetti del romanzo Forster ricorse al termine ormai ce-
lebre di «piatto» per definire il tipo di personaggio cui, in
un romanzo, è assegnato un unico attributo essenziale che
si ripresenta immutato a ogni sua comparsa. Spesso simi-
li personaggi sono provvisti di un motto o una battuta o
una parola chiave; come la signora Micawber, in David
Il personaggio 85
80
L'onnipresenza nel romanzo inglese di personaggi piatti,
dal signor Collins al padre di Charles Ryder, rivela qualco-
sa di profondo sulla dialettica fra riservatezza britannica e
socievolezza, e qualcosa anche sulla teatralità britannica.
Non sorprende che, nella narrativa inglese, l'io sia tanto
spesso teatrale, considerato che il suo grande progenitore
è Shakespeare. Ma molti personaggi di Shakespeare non
sono solo personaggi di teatro, fanno del teatro. Si porta-
no dietro un'immagine fantastica, spesso illusoria, della
propria prodezza e reputazione.
Questo è vero di Lear, di Antonio, di Cleopatra, di Ric-
cardo II, di Falstaff, di Otello (che sta morendo, e ancora dà
istruzioni al suo pubblico perché si scriva di lui: «Scrivete
e dite inoltre che una volta, / ad Aleppo ... / io presi per
la gola / il cane circonciso e lo finii, cOSÌ»).14 Ed è vero an-
che di personaggi minori come Launce (nei Due gentiluomi-
ni di Verona), Bottom (in Sogno di una notte di mezza estate) e
Mistress Quickly (nell'Enrico IV), che così facilmente esplo-
dono in una comica, istrionica irrilevanza.
Da Shakespeare deriva un tipo un po' solipsistico, ecces-
sivo, che fa anch'egli del teatro ma forse è in fondo un timi-
do, che si può trovare in Fielding, Austen, Dickens, Hardy,
Thackeray, Meredith, Wells, Henry Green, Evelyn Waugh,
V.S. Pritchett, Muriel Spark, Angus Wilson, Martin Amis,
Zadie Smith e via di seguito fino alle superbe pantomime
90 Come funzionano i romanzi
81
Una ragione per cui Cervantes ha bisogno di fare accom-
pagnare Don Chisciotte, nei suoi viaggi, da Sancio Pan-
cia è che il cavaliere deve avere qualcuno con cui parla-
re. Quando egli spedisce Sancio alla ricerca di Dulcinea, e
per la prima volta nel romanzo rimane solo a lungo, non
pensa, nel senso che diamo oggi al termine. Parla ad alta
voce, fa dei soliloqui.
Il romanzo ha il suo inizio nel teatro e la creazione del
personaggio romanzesco comincia quando il soliloquio si
fa interiore. Il soliloquio, a sua volta, ha origine nella pre-
ghiera, come vediamo dalla tragedia greca, dal quinto li-
bro dell'Odissea, dai Salmi o dai canti di Davide al Signore
in Samuele 1 e 2. Gli eroi e le eroine di Shakespeare ricor-
rono ancora al soliloquio per invocare gli dei, se non per
rivolgere loro preghiere: «Venite spiriti / Che presiedete
a pensieri di morte, Toglietemi / il sesso», «Soffiate, ven-
ti, squarciatevi le guancel- ecc. L'attore avanza sul palco-
scenico e dice ciò che pensa a un pubblico, costituito sia
da Dio sia da noi spettatori seduti ai nostri posti. Roman-
zieri dell'Ottocento come Charlotte Bronte e Thomas Har-
dy hanno continuato a descrivere iloro personaggi, quan-
do parlano con se stessi, nell'atto di fare dei «soliloqui).
Il romanzo ha cambiato l'arte della caratterizzazione
anche cambiando il «chi» da cui il personaggio è visto. Pren-
diamo tre uomini, tutti e tre sotto l'influenza di un even-
to casuale: re Davide nell' Antico Testamento, Macbeth, e
92 Come funzionano i romanzi
82
Malgrado le tante rivelazioni e sottigliezze della narrazione
dell' Antico Testamento - l'accortezza politica di Davide,
la sua sofferenza per come Saullo tratta, la passione per
Betsabea, il suo dolore per la morte del figlio Assalonne -
Davide resta un personaggio pubblico. Non ha vita pri-
vata nel senso moderno del termine. Non esprime quasi
mai i suoi pensieri interiori a se stesso; è con Dio che par-
la, e i suoi soliloqui sono preghiere. Ci è esterno perché,
in qualche modo, non esiste per 110i, ma per ilSignore. È vi-
sto dal Signore, è trasparente per il Signore, ma per noi ri-
mane opaco.
Tale opacità rende conto di un bel margine di sorpre-
sa, per usare il termine di Forster. Davide, per esempio, è
maledetto da Dio il quale, attraverso Natan il profeta, gli
annuncia che la sua casa sarà punita, a cominciare dal fi-
glio. E in effetti suo figlio muore subito dopo la nascita.
La reazione di Davide è curiosa. Finché il bambino è ma-
lato digiuna e piange, ma, allorché muore, si lava, si cam-
Breve storia della coscienza 93
83
Macbeth non viene visto tanto da Dio quanto da noi, il pub-
blico. Le sue preghiere, si può dire, sono soliloqui e, quan-
do si tormenta al nostro cospetto sul dilemma in cui si tro-
va, esse si avvicinano molto al pensiero mentale. Una delle
ragioni del potere della tragedia ha a che vedere con la sua
intimità domestica, per cui ci sembra di origliare la spa-
ventosa privacy dei Macbeth, per non parlare delle ester-
nazioni cariche di senso di colpa dei loro monologhi. In
certi momenti ildramma sembra volere uscire da se stesso
e svilupparsi in una nuova forma, la forma del romanzo.
Al banchetto per esempio, atto terzo, scena quarta, quan-
do Macbeth vede lo spettro di Banquo, Lady Macbeth si
china due volte verso di lui, e cerca di rafforzame la de-
terminazione. Dobbiamo immaginare i personaggi quasi
sussurrare fra loro alla presenza degli ospiti. «Non sei più
uomo per questa pazzia?» dice Lady Macbeth. «Com'è
vero che sono qui, l'ho veduto!» risponde Macbeth. «Ver-
gogna!» è la violenta risposta di lei. È sempre qualcosa di
un po' goffo a teatro, perché i nobili presenti devono par-
lare sommessamente sullo sfondo, in modo ben poco con-
vincente, «teatrale», come se non udissero ciò che viene det-
to.Il problema è il carattere privato del dialogo fra marito
e moglie: dove può realisticamente svolgersi, sulla scena?
In simili momenti Shakespeare mi sembra di fatto un ro-
manziere. Sulla pagina, ovviamente, tali momenti godono
di tutto lo spazio che al romanziere piace destinare loro; è
Breve storia della coscienza 95
84
Se la storia di Macbeth è una storia privata resa pubblica,
quella di Raskòl'nikov è una storia privata offerta allo scru-
tinio dei nostri occhi. Dio continua a esistere, ma non guar-
da Raskòl'nikov, almeno sino alla fine del romanzo, quan-
do egli accetta Cristo. Fino a quel momento Raskòl'nikov
è guardato da noi, i lettori.
La differenza fondamentale con il teatro è che qui noi
siamo invisibili. Nella storia di Davide il pubblico è, fat-
to importante, irrilevante; in quella di Macbeth è visibile
96 Come [unzionano i romanzi
85
Quali sono le implicazioni di questa radicale svolta? La più
evidente è che il soliloquio non deve necessariamente es-
sere esternato, e può avvicinarsi al vero e proprio discorso
mentale. L'eroe è liberato dalla tirannia dell'eloquenza ob-
bligata; è un uomo comune. (E proprio questo Raskòl'nikov
non sopporta.) Il soliloquio interiore può indulgere alla ri-
petizione, all'ellissi, all'isteria, alla vaghezza, al balbettio
mentale insomma. Se i personaggi di Shakespeare sem-
brano spesso, nei loro soliloqui, «auto-origliarsi-r' ora noi
origliamo Raskòl'nikov. Non vi è alcun aspetto della sua
anima non rivolto verso di noi. Un' altra cosa che vale la
pena di notare è che, mentre Davide non ha una mente,
per dir così, e la mente di Macbeth è punita, la mente di
Raskòl'nikov è l'autrice del suo dolore; quella di uccidere
la donna è stata una sua libera idea.
Sotto ilnuovo ministero del pubblico invisibile ilroman-
zo, con il personaggio liberato dall'obbligo di esplicitare
le sue motivazioni, diviene il grande analista della moti-
vazione inconscia; e il lettore l'ermeneu ta che cerca fra le
righe la motivazione vera. D'altro canto, l'assenza di un
pubblico visibile sembra far sì che l'uomo comune cerchi
un pubblico, in modi che sarebbero parsi grotteschi a fi-
gure di nobiluomini e nobildonne come i Macbeth. Molti
personaggi di Delitto e castigo sembrano costretti a recitare
orride pantomime e melodrammi in cui mettono in scena,
a effetto, una versione di se stessi.
Davide e Macbeth erano uomini d'azione, si potrebbe
dire che erano naturalmente drammatici (sapevano qual
era illoro pubblico); Raskòl'nikov è innaturalmente teatra-
Breve storia della coscienza 97
86
Nella capacità di rendere la trama e attirare la nostra at-
tenzione sulla motivazione psicologica, il romanzo ha co-
nosciuto uno sbalorditivo progresso tecnico.
Nel saggio La fine del romanzo Osip Mandel'stam soste-
neva che «il romanzo è stato rafforzato e perfezionato nel
corso di un periodo di tempo estremamente lungo come
la forma d'arte intesa a interessare il lettore al destino del
singolo», e metteva in evidenza due perfezionamenti tec-
nici: 1) la trasformazione della biografia (la vita del santo,
lo schizzo moraleggiante teofrastiano ecc.) in una narra-
zione o trama significativa; 2) la «motivazione psicologica».
87
Adam Smith, nelle sue Lezioni di retorica e belle lettere,lanciò
alla forma relativamente giovane del romanzo un'accusa:
«Dal momento che la novità è l'unico merito di un roman-
zo e la curiosità il solo motivo che ci spinge a leggerlo, gli
seri ttori sono necessi ta ti a fare uso di questo metodo [la su-
spense] per mantenerla viva-.! È, a metà del XVIII seco-
lo, una delle prime denunce della fatuità della suspense, il
tipo di attacco oggi di routine contro thriller e pulp fiction.
Ma il romanzo si dimostrò ben presto disposto a rinun-
ciare alla sostanziale puerilità della trama a favore di quelle
che Viktor Sklovskij chiama trame «incompiute» con «false
chiuse» (si riferiva rispettivamente a Flaubert e Cechov)."
Per tornare al caso di Iris Murdoch, che desiderava tan-
to creare personaggi liberi e così spesso falliva, il suo fal-
~M Come junztonano l romanzi
88
Come suggeriva Mandel'starn, il romanzo ha probabilmen-
te origine in una risposta secolare alle vite religiose e alle
biografie di santi e beati, e nella tradizione inaugurata dal-
lo scrittore greco Teofrasto, che offriva una serie di schiz-
zi di tipi: il taccagno, l'ipocrita, il devoto e folle amante e
così via. (Se Don Chisciotte appartiene al romanzo moder-
no è anche perché Cervantes è ben determinato a scredi-
tare le «sacre», cavalleresche storie di Arturo e Amadigi di
Gaula.) Trattandosi di ritratti discreti, non si poteva met-
terli a confronto.
La tendenza teofrastiana e religiosa rimase forte nel ro-
manzo per tutto il XVIII e XIX secolo, ed è ancora visibile
nel cinema e in vari tipi di pulp fiction: i cattivi sono catti-
vi, gli eroi eroi, e il bene e il male ben separati e chiaramen-
te delineati. Si pensi a Fielding, Goldsmi th, Scott, Dickens,
Waugh. In simili scrittori il personaggio è sostanzialmente
stabile, ha attributi fissi.
Ma, nello stesso tempo, stava evolvendo un altro tipo
di romanzo, in cui ilbene e ilmale si scontrano all'interno
di un singolo personaggio, e l'io rifiuta di stare fermo. Ciò
che il romanzo iniziò a fare con forza fu esplorare la rela-
tività del carattere. Questa tradizione avrebbe a sua volta
influenzato, specie quando Dostoevskij iniziò a essere tra-
dotto in inglese, ilromanzo inglese e americano dei primi
decenni del XX secolo (i principali beneficiari ne furono
Lawrence, Conrad, Ford Madox Ford e la Woolf). E tutto
ciò può essere fatto risalire senza molti timori a un unico
Breve storia della coscienza 99
89
Andiamo a vedere che cosa fa di questa eredità Stendhal nel
Rosso e il nero, pubblicato nel 1830: Julien Sorel è di una im-
prevedibilità impressionante. Come ilRameau di Diderot,
ribolle di satirico menefreghismo, interessata sconvenien-
za e risentimenti gratuiti. È deciso a conquistare l'amore
della signora de Rènal non per qualche naturale impulso,
ma nell' orgogliosa convinzione che è così che si conquista
la società, ed è così che potrà ripagare gli affronti che pen-
sa di avere subito dalla donna: «[julien] si disse: "Che ne
so io del suo carattere? Solo questo: prima del mio viag-
gio, le prendevo la mano e lei la ritirava, oggi io ritiro la
mano, e lei me la prende e la stringe. Che bella occasione
per restituirle tutto il disprezzo che mi ha dimostrato! Dio
sa quanti amanti avrà avuto. Forse si decide in mio favo-
re soltanto per la facilità di incontrarci" »,6
La superba aggiunta di Stendhal a questa complessa
creatura sta nel rivelare con sottigliezza che, qualupque
cosa Julien si dica, egli è in realtà inconsciamente innamo-
rato della signora de Rènal (tipo di sottigliezza psicologi-
Breve storia della coscienza 101
9°
A Parigi [ulien s'innamora dell'aristocratica Mathilde, fi-
glia del suo datore di lavoro. Ognuno dei due innamorati
vuoI essere lo schiavo d'amore dell' altro, ma sono entrambi
troppo orgogliosi, e ognuno vuoI essere, nello stesso tem-
po, il padrone dell' altro. Mathilde è romanticamente inna-
mora ta della fiera eccezionalità di Julien, ma capisce che
sposare un dipendente non si addice al suo rango; Julien
la ama, ma teme di essere trattato da lei dall'alto in basso.
Dostoevskij, che scrisse fra il 1846 e il 1881 ed era un appas-
sionato lettore del francese, sarebbe divenuto un narratore
ancora più grande di questo tipo di orgoglio e umiliazione.
Da Rousseau a Diderot a Dostoevskij c'è un filo diretto.
In una famosa scena di Memorie dal sottosuolo, romanzo
pubblicato nel 1864, ilnarratore, un derelitto insignificante
ma orgogliosamente ribelle, ha un incontro in una taverna
102 Come [unzionano i romanzi
91
Il personaggio dostoevskijano ha almeno tre strati. Nel-
lo strato superiore c'è il motivo dichiarato: Raskòl'nikov,
per esempio, offre diverse giustificazioni dell' assassinio
della vecchia.
Il secondo strato riguarda la motivazione inconscia, quel-
le strane inversioni per cui l'amore si trasforma in odio e
la colpa si esprime in un amore velenoso, malato. Il dis-
sennato bisogno di Raskòl'nikov di confessare il proprio
crimine alla polizia e alla prostituta Sonia anticipa un' os-
servazione di Freud sull'azione del super-io: in molti de-
linquenti, specie giovani, scrisse, si osserva «un oppri-
mente senso di colpa ... preesistente all' atto illecito» e che,
quindi, non trae origine da esso; è «al contrario il misfat-
to medesimo» che deriva dal senso di colpa. Nel caso di
Fédor Pàvlovié e del suo desiderio di punire il «tale» ver-
so cui una volta s'è comportato male, si potrebbe dire che
è ilsenso di colpa a indurlo, inconsciamente, a odiar lo; un
comportamento che ricorda la battuta, divertente e insieme
agghiacciante, di uno psicoanalista israeliano, il quale os-
servò che i tedeschi non avrebbero mai perdonato gli ebrei
per l'Olocausto.
Il terzo e ultimo strato di motivazione va al di là di una
spiegazione e può essere inteso solo religiosamente. Questi
personaggi si comportano così perché vogliono essere
conosciuti; anche se non ne sono consapevoli, vogliono rive-
104 Come [unzionano i romanzi
92
Nell' analisi dostoevskijana del comportamento umano c'è
qualcosa di profondamente filosofico, e Nietzsche e Freud
furono attratti dall' opera dello scrittore russo. (Un capitolo
del suo romanzo L'eterno marito è intitolato Analisi.) Proust,
il quale disse che tutti i romanzi di Dostoevskij avrebbe-
ro potuto portare lo stesso titolo, Delitto e castigo, lo studiò
forse con maggiore attenzione di quanto avrebbe ammes-
so. Fu lui ad approfondire e sviluppare l'analisi filosofica
della motivazione psicologica. In lui si possono vedere tut-
ti gli elementi della caratterizzazione dei personaggi, anzi
della costruzione narrativa stessa, convivere felicemente,
quasi si stessero osservando banchi di pesci dal fondo tra-
sparente di un battello.
I suoi personaggi sono, in un certo senso, visti all'ester-
no e insieme, profondamente, all'interno; sono «piatti»
ma diffusamente analizzati dallo scrittore come se fossero
«tondi»; e il suo romanzo è così imponente che con l'an-
dare delle pagine la loro piattezza si dilata fino a non sem-
brare pi ù pia ttezza. Proust non teme la carica tura e ind ub-
biamente ama «etichettare» i personaggi con leitmotiv o
«caratteristiche» ripetitive alla Dickens: per esempio, al
nonno di Marcel piace ripetere «In guardia, in guardia!»,
e Madame Verdurin lamenta un'emicrania ogni volta che
viene suonata della musica. Egli ricorre a questo metodo
per «fissare» i personaggi esattamente come facevano i pri-
mi romanzieri o, più vicini al suo tempo, Dickens, Tolstoj
e Thomas Mann.
Ma la sua narrativa è anche in rivolta contro la tirannia
delle «caratteristiche» fisse, teofrastiane. Combray è presen-
tata come un mondo chiuso in cui tutti conoscono tutti, e la
Breve storia della coscienza 105
95
Nel 2006 il sindaco della municipalità di Neza, una zona
violenta abitata da due milioni di persone ai margini orien-
tali di Città del Messico, decise che i suoi poliziotti doves-
sero diventare «cittadini migliori». Si doveva dar loro un
elenco di libri da leggere, fra cui Don Chisciotte, lo splendi-
do romanzo di Juan Rulfo Pedro Pàramo, il saggio di Octa-
via Paz sulla cultura messicana Il labirinto della solitudine,
Cent'anni di solitudine di Garcia Marquez e opere di Car-
los Fuentes, Antoine de Saint-Exupéry, Agatha Christie e
Edgar Allan Poe.1
Il capo della polizia di Neza, Jorge Amador, era convin-
to che leggere narrativa avrebbe arricchito i suoi agenti in
almeno tre modi:
In primo luogo, consentendo loro di acquisire un più am-
pio vocabolario ... Poi offrendo agli agenti la possibilità di
fare esperienza per delega. «Un agente di polizia dev'es-
sere esperto della vita, e i libri arricchiscono l'esperienza
indirettamente.» Infine, sostiene Amador, c'è un beneficio
etico. «Rischiare la propria vita per salvare la vita e la pro-
prietà altrui richiede convinzioni profonde. E la letteratu-
ra può dare a esse maggior vigore facendo scoprire ai let-
tori vite vissute con analogo impegno. Noi speriamo che
il contatto con la letteratura renderà i nostri agenti più re-
sponsabili verso i valori che si sono impegnati a difendere.»
Come suona d'altri tempi! Oggi il culto dell'autenticità
afferma che nessuno è più esperto della vita, più dentro la
Immedesimazione e complessità 109
96
Espiazione di Ian McEwan ha per oggetto esplicito i perico-
li insiti nel non riuscire a mettersi nei panni degli altri. La
giovane protagonista, Briony, non vi riesce, nella prima par-
te del romanzo, quando si convince, sbagliando, che Rabbie
Tumer è uno stupratore. Ma mettersi nei panni altrui è ciò
che McEwan tenta significativamente di fare come roman-
ziere, in questa stessa parte dell' opera, assumendo con scru-
polo il punto di vista di un personaggio dopo l'altro.
La madre di Briony, Emily Tallis, colpita da emicrania,
è a letto e pensa con ansia ai figli, ma il lettore non può
non accorgersi che, nella sua immaginazione, è del tutto
incapace di immedesimarsi con loro, perché è ostacolata
dall'ansia e dalla collera. Riflettendo sul periodo passato
dalla figlia Cecilia a Cambridge, pensa come, al confronto,
lei abbia fatto pochi studi, e poi, rapidamente ma inconsa-
pevolmente, è presa da risentimento:
Quando Cecilia era tornata a casa in luglio con gli esi-
ti degli esami finali - che sfacciataggine da parte sua mo-
strarsi perfino delusa! - non aveva un mestiere e nemme-
no una competenza, e ancora doveva trovarsi un marito e
affrontare l'idea della maternità, e allora? Che cosa avreb-
bero avuto da dire al riguardo quelle intellettualoidi delle
sue insegnanti dai soprannomi ridicoli e dalle «spavento-
se» reputazioni? Simili presuntuose si guadagnavano uno
straccio di gloria locale in virtù delle più insignificanti e ba-
nali stravaganze, tipo portare a passeggio un gatto al guin-
lmmedesimazionc e complessità 111
97
Il filosofo Bernard Williams era angustiato dalla inade-
guatezza della filosofia morale," Gli sembrava che gran par-
te di essa, derivando da Kant, avesse di fatto estromesso
ilcaos dell'io dal dibattito filosofico. La filosofia, secondo
lui, tendeva a vedere i conflitti come conflitti di credenze
facili da risolvere, invece che come conflitti di desideri, la
cui soluzione non è così facile. In Sorte morale fa un esem-
pio: un uomo ha promesso al padre che, dopo la sua mor-
te, continuerà a finanziare con l'eredità ricevuta un'ope-
ra di beneficenza. Ma, con il passare del tempo, constata
di non disporre di abbastanza denaro per adempiere alla
promessa e, insieme, provvedere al mantenimento dei figli.
Un certo tipo di filosofo morale, scrive Williarns, soster-
rebbe che un modo per risolvere il conflitto è dire che il
figlio ha buone ragioni per presumere nella promessa al
padre una tacita condizione: che egli è in obbligo di finan-
ziare l'opera di beneficenza dopo avere adempiuto a neces-
sità più immediate e urgenti, come il mantenimento dei fi-
gli. Il conflitto si risolve cancellandone uno degli elementi.
Secondo Williams i kantiani avevano la tendenza a trat-
Immedesimazione e complessità 113
98
Il poeta Glyn Maxwell ama sottoporre gli allievi dei suoi
corsi di scrittura a un esperimento che, sembra, faceva an-
che Auden: dà loro la poesia di Philip Larkin Le nozze di
Pentecoste con qualche parola cancellata. Poi rivela che spe-
cie di parole, sostantivi, verbi, aggettivi, sono state omes-
se, e come esse completano il metro del verso. Gli aspiranti
poeti devono cercare di riempire gli spazi bianchi. Larkin
è in viaggio in treno dal Nord dell'Inghilterra a Londra e,
guardando dal finestrino, registra fugaci vedute. Una è di
una serra, e la rende dicendo: «Una serra brillò singolar-
mente». Maxwell cancella «singolarmente» e informa gli
allievi che a mancare è un avverbio di tot sillabe. Mai, nem-
meno una volta, qualcuno di essi ha proposto «singolar-
mente». «Singolarmente» è singolarissimo.
99
In Al di là del bene e del male Nietzsche lamenta: «Che tortu-
ra sono i libri scritti in tedesco per colui che ha il terzo orec-
chio'». Se la prosa deve risultare ben scritta come la poesia,
vecchia aspirazione modernista, bisogna che romanzieri e
lettori sviluppino il loro terzo orecchio. Bisogna che leg-
giamo musicalmente, mettendo alla prova la precisione e il
ritmo di una frase, tendendo l'orecchio al brusio quasi im-
percettibile delle associazioni storiche aggrappate ai bor-
di di parole moderne, prestando attenzione a modelli, ri-
116 Comefunzionano i romanzi
100
101
102
1°4
Ma anche se l'ombra del flaubertismo non ha mai cessa-
to di gravare sullo sviluppo dello stile nella narrativa, il
nostro senso di ciò che è musicale nello stile è in costante
mutamento, Flaubert temeva la ripetizione, mentre, com'è
noto, Hemingway e Lawrence avrebbero costruito sulla ri-
petizione i loro migliori effetti. Ecco Lawrence, ancora una
volta, in Mare e Sardegna:
Linguaggio 121
106
1°7
La metafora è qualcosa di analogo alla narrativa: anch'es-
sa suggerisce una realtà alternativa. È l'intero processo
immaginativo in un'unica mossa. Quando paragono le te-
gole di un tetto alla corazza di un armadillo o la calvizie
al centro della mia testa a un cerchio di spighe appiattite
(o, in giornate di pessimo umore, all'anello d'erba piegata
prodotto dalle pale di un elicottero quando atterra su un
prato), vi chiedo di fare ciò che Conrad diceva che la nar-
rativa deve far fare allettare: vedere. Vi chiedo di immagi-
nare un' altra dimensione, di raffigurarvi una somiglian-
za. Ogni metafora o similitudine è una piccola esplosione
narrativa all'interno della più grande narrazione di un ro-
manzo o di un racconto.
Verso la fine dell'Arcobaleno Ursula guarda Londra dal
balcone del suo albergo. È l'alba e «i lampioni di Piccadil-
ly, in lunga fila, a fianco degli alberi, diventavano pallidi
e simili a falene». Pallidi e simili a falene! Capiamo esatta-
mente, in un lampo, che cosa Lawrence vuol dire, ma fino-
ra non avevamo mai visto quelle luci come falene.
E questa esplosione di narrativa-nella-narrativa non è,
ovviamente, soltanto visiva, non più di quanto siano soltan-
to visivi, nella narrativa, i dettagli. «Frattanto continuava a
lisciarsi con entrambe le mani le fedine bionde filate di gri-
gio, era quasi come se volesse accarezzare le due metà del-
la monarchìa.» È dalla Cripta dei cappuccini di [oseph Roth,
romanzo che racconta la fine dell'impero austroungarico.
Le due metà della monarchia, quindi, sono l'austriaca e
l'ungarica. È un'immagine favolosa, trascinante per quan-
Linguaggio 129
108
1.°9
A New York i netturbini chiamano i mozziconi di sigaret-
ta «riso da discoteca», 9 Non è una metafora meno bella di
quelle di cui abbiamo parlato, e in effetti c'è un nesso fra
questo tipo di creazione metaforica e la manciata di fuoco
di Thomas Hardy, o la nonna della Mansfield che dice le
preghiere come qualcuno che rovisti fra la carta velina, o il
«fazzoletto di mortalità ricoperto d'erbacce» di Marilynne
Robinson. Il che ci riporta a un interrogativo posto dall' ini-
zio: come fa lo stilista a essere uno stilista senza scrivere
sopra la testa dei suoi personaggi?
La metafora «riuscita» in senso poetico ma al tempo stes-
so appropriata al personaggio, il tipo di metafora che quello
specifico personaggio o quella specifica comunità potreb-
bero produrre, è anche uno dei modi per risolvere la ten-
sione fra autore e personaggio; l'abbiamo visto a proposi-
to dello schiaccianoci «cosa tutta gambe» in Pnin.
Il pescatore di Shakespeare paragona un pesce preso in
una rete a «un poveraccio nelle grinfie della legge». Si può
presumere, per estensione, che a volte paragoni la legge a
134 Come funzionano i romanzi
110
1.1.1.
112
113
114
116
117
1.1.8
una frase tipo: «La marchesa uscì alle cinque». Ai suoi oc-
chi, come agli occhi di William Gass nel parlare del signor
Cashmore di Henry James, una frase del genere era inter-
cambiabile con un numero infinito di altre possibili frasi e
questo tipo di revocabilità toglieva alla finzione narrativa
la sua necessità e la sua pretesa alla probabilità. Ma non
appena metto sulla pagina una seconda frase, per esempio
«la lettera ricevuta in mattinata l'aveva irritata ed era de-
cisa a reagire», la prima non appare più tanto arbitraria o
perentoria o puramente formale. Inizia a mettersi in moto
un sistema di relazioni e affiliazioni. Inoltre, come fa nota-
re Julien Gracq," le parole «marchesa» e «alle cinque» non
sono affatto arbitrarie, anzi, sono piene di limiti e indica-
zioni: una marchesa non è un cittadino qualunque, inter-
cambiabile, e «alle cinque» è ancora tardo pomeriggio, l'ora
del tè è le sei. Perché, quindi, la marchesa esce?
1.1.9
1.20
121
per uno dei suoi pontefici»." Da un lato egli non vuole ave-
re nulla a che fare con il movimento del «realismo»: dall'al-
tro giudica che certi libri «difettano di verità» perché non
rappresentano le cose come vanno nella vita. (Di fronte a un
dramma di Ibsen, Cechov si espresse in modo analogo: «Ma
Ibsen non è un drammaturgo ... Ibsen non conosce la vita.
Nella vita non è cosl».) Thomas Hardy sosteneva che l'arte
non è realistica perché è «uno sproporzionare [cioè un di-
storcere, un rendere sproporzionate] le realtà, per mostrare
più chiaramente gli aspetti che contano in quelle realtà che,
se meramente copiati o riportati come in un inventario, po-
trebbero forse essere nota ti, ma più probabilmente passereb-
bero inosservati. Pertanto ìl vrealìsmo" non è arte». Eppure,
come sappiamo, Hardy, non meno di Flaubert, si sforzava
di scrivere romanzi e poesie che mostrassero come vanno
«le cose nella vita». Chi ha scritto meglio o in modo più ve-
ritiero delle comunità rurali o del dolore?
Questi scrittori rifiutavano la mera fedeltà fotografica,
perché l'arte seleziona e modella. Ma onoravano la verità e
la veridicità. Credevano, come scrisse George Eliot nel sag-
gio The Natural History DJ German Life, che «l'arte è la cosa
più vicina alla vita, è un modo per ampliare l'esperienza
ed estendere il contatto con i nostri simili oltre i confini del
nostro personale destino». Qui il grande realista vittoriano
è preciso: l'arte non è la vita, è sempre artificio, è sempre
mimesi; ma l'arte è la cosa più vicina alla vita. Eppure Eliot
dà inizio al suo romanzo, Adam Bede, dicendo:
Con una semplice goccia d'inchiostro per specchio, un
mago egiziano era in grado di rievocare a qualunque casuale
cliente lontane immagini del passato. È quanto ho inten-
zione di fare io per te, lettore. Con questa goccia di inchiostro
sulla punta della mia penna ti farò vedere l'ampia bottega
di [onathan Burge, falegname e costruttore, al villaggio di
Hayslope, come essa appariva il 18 giugno dell'anno 1799.
n romanziere
vi mostra la vita com'è, ma è anche un
mago egiziano, felice di riconoscere che la fa apparire dal
nulla, come d'incanto, di fronte a voi (la definizione di
Verità, convenzione, realismo 153
1.22
le. Ben presto egli l'avrebbe fatta finita col calendario e, del
resto, già aveva cessato di contare i giorni secondo la sua
regola. Egli si trovava al centro della propria coscienza, e
nessuno dei suoi precedenti stati d'animo era perduto o di-
leguato. Li aveva tutti a portata di mano, e li capiva tutti.
Talora, quando entravano Magdalena o Bernard a porgli
qualche domanda, ci volevano parecchi secondi prima che
egli potesse ricondursi al presente. Essi - oh, come lo capi-
va! - credevano che la mente gli si indebolisse; quella men-
te che, invece, era tutta presa da un' attività straordinaria in
qualche altro settore del grande affresco che era stata la sua
vita, un settore di cui essi ignoravano persino l'esistenza.
123
Avvertenza
1 Pur cercando di rispettare la scelta di «leggerezza» dell'autore, abbiamo
indicato in nota e in bibliografia le traduzioni italiane cui abbiamo fatto rife-
rimento, anche se in qualche caso le abbiamo modificate in conformità alle
osservazioni di Wood. (NdD
Raccontare
1 L'intervista si trova nel numero lO della rivista «Brick». L'accento tede-
sco di Sebald rafforzava in qualche modo il piacere alla Bernhard, già comi-
co e sconsolato, con cui sottolineava parole come «molto» e «inaccettabile».
2 Barthes impiega questa espressione in S/Z del 1970 (trad. it di Lidia Lon-
zi, Torino, Einaudi, 1981). Egli intende il modo in cui gli scrittori del XIX se-
colo fanno riferimento a un sapere culturale o scientifico comunemente accet-
tato, per esempio a presupposti ideologici condivisi riguardo alle «donne».
lo estendo la portata del termine sino a fargli abbracciare qualsiasi tipo di
generalizzazione d'autore. Un esempio da Tolstoj: nelle prime pagine della
Morte di lvan ll'ii, un amico del defunto si reca a rendergli l'estremo omag-
gio e la vedova gli parla delle «terribili sofferenze» patite da Ivan prima di
morire. Egli, scrive Tolstoj, «provò un attimo di terrore», ma subito «gli ven-
ne in aiuto la solita idea che tutto questo era successo a Ivan Il'ié e non a
lui», La solita idea: l'autore fa riferimento con saggia naturalezza a una veri-
tà umana di fondo, scrutando serenamente nel cuore del suo personaggio.
3 Mi piace l'espressione per «stile indiretto libero» usata da D.A. Miller
(in lane Austen, or The Secret ofStyle, 2003): dose umting, scrittura ravvicinata.
4 Nabokov era un grande creatore di eccentriche metafore del tipo che
i formalisti russi chiamavano «stranianti» o defamiliarizzanti (uno schiac-
cianoci ha le gambe, un ombrello nero mezzo chiuso sembra un' anatra in
lutto stretto ecc.). A essi piaceva come Tolstoj, per esempio, insistesse nel ve-
dere cose da adulti, la guerra o l'opera lirica, dal punto di vista di un bam-
bino per farle apparire strane. Ma mentre per i formalisti russi tale prati-
ca metaforica era emblematica di come la narrativa non facesse riferimento
alla realtà, fosse una macchina chiusa in sé (quelle metafore erano i gioielli
158 Come funzionano i romanzi
questi motivi è Flaubert e non Balzac, a mio parere, il vero fondatore del-
la narrativa moderna.
1 Tornerò sulla questione verosimiglianza e artificio nel capitolo Verità,
convenzione, realismo, sezioni 112-122.
Dettagli
l Sandor Marai, Le braci, a cura di Marinella D'Alessandro, Milano, Adel-
phi, 1999.
2 Marcel Proust, La parte di Guermantes, Il, cap. I.
~ Da Alina Karcnina; ed è un bell'esempio di autoplagio. Che uno spago
sembri avvolto attorno alle loro paffute braccine si dice, in questo roman-
zo, non di uno ma di due bambini, quello di Levin e quello di Anna. Così
Dickens, in Darid Copperfield, paragona la bocca aperta di Uriah Heep a un
ufficio postale e, in Grandi speranze, paragona a un ufficio postale la bocca
aperta di Wemmick. Stendhal, nel Rosso e il nero, scrive che la politica è in
un romanzo come «un colpo di pistola in mezzo a un concerto», e ripren-
de l'immagine nella Certosa di Parma. Henry [arnes scrisse che Balzac, nella
sua monacale devozione alla propria arte, era «un benedettino del presen-
te», espressione che gli piacque tanto che la utilizzò più tardi a proposito
di Flaubert. Cormac McCarthy scrive, in Meridiano di sangue, che «le cordi-
gliere azzurre si ergevano dalla loro stessa immagine sbiadita sulla sabbia»,
bell'espressione cui ritorna sette anni dopo in Cavalli selvaggi scrivendo che
«due aironi si ergevano dalle loro lunghe ombre». Perché no? Raramente
queste cose tradiscono una qualche fretta; più spesso testimoniano che uno
stile è pervenuto a un'intrinseca coerenza. E che è stato raggiunto una sor-
ta di ideale platonico: sono queste le parole migliori, e quindi ìnsuperabì-
li, per quei contenuti.
4 Gerard Manley Hopkins, La freschezza più cara: poesie scelte, trad. it. di
Viola Papetti, Milano, Rizzoli, 2008. (Ndn
5 A questa immagine ha pesantemente attinto Cormac McCarthy in Non
è un paese per vecchi (2005), i cui personaggi hanno sempre le scarpe piene
di sangue; di solito, però, del loro.
6 William Shakespeare, Enrico IV, trad. it. di Antonio Meo, Milano, Gar-
zanti, 1981. (Ndn
7 Nella Morte di Ivan ll'ii Tolstoj paragona a «un uomo che puzza entra-
to in un salotto) chi parla della morte, che la buona società deve ignorare.
H Il racconto di D.H. Lawrence Sentore di crisantemi inizia così: «La pic-
cola locomotiva numero 4 scendeva sobbalzando fragorosa da Selston con
un seguito di sette vagoni» (in Racconti, trad. it. di Carlo Izzo, Milano, Mon-
dadori, 1996). Ford Madox Ford, che lo pubblicò nella «English Revìew-
nel 1911, osservò che la precisione del «numero 4), e anche dei «sette vago-
ni) annunciava un vero scrittore. «Lo scrittore ordinario, trascurato» scrisse
«avrebbe detto "alcuni piccoli vagoni". Quest'uomo sa ciò che vuole. Vede
la scena del suo racconto con precisione.» Cfr. la biografia di [ohn Worthen
D.H. Lauirence: Tl:e Early Years. 1885-1912 (1991).
9 Si può trovame un bel segno nelle Lezioni di retorica e belle lettere di Adam
Smith (1762-63; trad. it. di Roberto Salvucci, Urbino, Quattro venti, 1985), in
cui si afferma che la descrizione retorica e poetica dovrebbe essere breve,
160 Come fu nzionano i romanzi
11 personaggio
1 Beckett Remembering, Remcmbering Beckett, a cura di [arnes ed Elizabeth
Knowlson (2006).
2 Ford Madox Ford, loseph Conrad: un ricordo personale, a cura di Vita For-
tunati, Ferrara, Gallio, 1990. (NdD
3 Caryn [ames, December and May: Desire vs. lck Factor, in «The New York
Times». 15 gennaio 2007.
4 Henry ]ames, L'età ingrata, trad. il. di Silvana Colognesi, Firenze, San-
soni, 1967. (Ndn
5 William Gass, Fiction and the Figures of Life (1970).
6 Sandy Stranger [vestranea, forestiera»]: è sorprendente come la conven-
zione di dare ai personaggi nomi allegorici sia resistente. È che non si tratta
di mera convenzione. C'è un senso reale in cui noi siamo il nome che ci viene
dato, almeno a partire dall'Antico Testamento, quando Dio diede a Giacob-
be un nuovo nome, Israele, che significa «colui che ha lottato con Dio). Tol-
stoj, con il suo solito senso pratico, scrisse una prima bozza di Guerra e pace
in cui il conte Rostov si chiamava semplicemente conte Prostoy: prostoy, in
russo, significa «semplice, onesto». Poi abbiamo, nella Fiera delle vanità, Becky
Sharp [vacuta, sottile»], in lane Eyre la signorina Tempie [vtempio»]. in Un
cuore semplice di Flaubert «Félicité», in Dickens un gran numero di perso-
naggi come Krook [da crooked, «deforme, storto, caotico»] e Pecksniff [da
peck, «beccare come una gallina», e sniff, «tirare su con il naso»], in Ritorno
Q Bndesheud. di Evelyn Waugh, Charles Ryder e Sebastian Flyte (il voyeuri-
stico narratore si limita a ride, «cavalcare», mentre l'eroe condannato flees,
«fugge», e cade), e così via. Le opere di fantasia non fanno granché correre
la fantasia, ricorrendo a simili trucchi. Ma nella vita, dopo tutto, le perso-
ne sembrano misteriosamente divenire i nomi che portano, o i loro contrari
Note 161
Immedesimazione e complessità
1 Cfr. Angel Gurria-Quintana, Words on the Street, in «Financial Tirnes»,
3 marzo 2006. Ringrazio Norman Rush per avere attirato la mia attenzione
su questo articolo.
2 Noi non leggiamo per trarre simili benefici. Leggiamo narrativa per-
ché la narrativa ci piace, ci tocca emotivamente, è bella ecc.: perché è viva e
noi siamo vivi. È divertente vedere la biologia evoluzionistica cadere in cir-
coli chiusi nel cercare di rispondere alla domanda: «Perché gli esseri uma-
ni passano tanto tempo a leggere narrativa quando questo non dà nessun
evidente vantaggio evoluzionistico?», Le risposte tendono a essere o utili-
taristiche - si legge per scoprire qualcosa di più sui nostri simili, il che è
darwinianamente utile - o circolari: si legge perché la narrativa preme cer-
ti «pulsanti del piacere).
3 George Eliot, The Natural History of German Life (1856).
4 Lev Tolstoj, Guerra e pace, libro IV, parte IV, capitolo XIV.
5 Thomas Nagel, Questioni mortali (1974), trad. it. di Antonella Besussi, Mi-
lano, il Saggiatore, 1986.
164 Come funzionano i romanzi
ti Cfr. in particolare i suoi Problemi dell'io (1973), Sorte morale (1981) e Com-
prendere l'umanità (1995).
7 Lev Tolstoj. Guerra e pace, libro IV, parte IV, capitolo XlV.
Linguaggio
1 Stephen C. Heath, Madame Bovary, Cambridge-New York, Cambridge
University Press, 1998.
2 Anche se c'è da chiedersi se molto tempo non lo passasse a dormire e a
masturbarsi (Flaubert paragonava le frasi a eiaculazioni). Spesso il tormen-
to dello stilista sembra una facciata dietro la quale c'è il blocco dello scritto-
re. Era il caso, per esempio, dello stupendo scrittore americano J.E Powers,
su cui Sean O'Faolain ironizzava, alla maniera di Oscar Wilde, dicendo che
«passava la mattina a mettere una virgola e il pomeriggio a chiedersi se
non dovesse metterei invece un punto e virgola». Più spesso, credo, si trat-
ta del tipo di routine letteraria attribuita allo scrittore minore inglese A.C.
Benson, che non faceva niente per tutta la mattina e passava il pomeriggio
a scrivere quello che aveva fatto la mattina.
3ln Saul Bellow, Addio alla casa gialla, trad. it. di Paola Ojetti, Milano, Fel-
trinelli, 1970. (NdD
4 Lukacs, in Scritti sul realismo, distingue fra il dettaglio congelato di
Flaubert e Zola e il dettaglio più dinamico di Tolsto], Shakespeare e Balzac.
È un concetto che attinse dall.Jlocoonte di Lessing, in cui si loda Omero per
il modo in cui descrive lo scudo di Achille, «non come perfetto e compiuto,
ma come uno scudo in divenire».
5 Sono in parte i cambiamenti di registro a darci la sensazione di stare
ascoltando una voce umana, quella di [ane Austen, Muriel Spark o Philip
Roth. Così, volteggiando fra i registri, un personaggio ci dà l'impressione
di essere vero, si tratti di Amleto o Leopold Bloom. I movimenti nel modo
di esprimersi colgono qualcosa del capriccio e dell'apertura che caratte-
rizzano il movimento reale del pensiero, cosa che David Foster Wallace e
Nonnan Rush sfruttano con notevoli effetti. I due romanzi di Rush, Accop-
piamenti e Mortals, abbondano di cambiamenti di registro fra i più bizzar-
ri, e l'effetto è la creazione di una reale ma stranissima voce americana, in-
sieme ipercolta e colloquiale: «Questo jeu conservò un aspetto faceto, ma
a un certo punto cominciai a provare fastidio perché pensavo che fosse un
modo velato di bypassare il mio episodio di depressione, dal momento che
lui naturalmente mi preferiva allegra». Oppure: «Ero maniacale e totaliz-
zante. Qualsiasi cosa era un'ultima goccia. Salii su per il pendio della pas-
sività e giù di nuovo».
6 In Pensieri diversi, a cura di Georg Henrik von Wright e Heikki Nyman,
trad. il. di Michele Ranchetti, Milano: Adelphi, 1988.Il corsivo è di Wittgenstein.
7 Lettera a Grace Norton, marzo 1876, in Hertry [ames: A Life in Letters, a
cura di Philip Home (1999).
8 Quando vuole, James sa benissimo stringere il vento con le similitudi-
ni, smentendo così la calunniosa accusa rivoltagli da Nabokov nella discus-
sione con Edmund Wilson. Nella Scena americana, scritto nel 1907, paragona
l'affollato skyline di Manhattan a «fantastici spilli conficcati in un cuscinet-
to già troppo pieno, come se vi fossero stati infilati al buio, per ogni dove e
Note 165
in ogni guisa». E più avanti, nello stesso libro, lo paragona a un pettine ro-
vesciato mancante di qua1che dente.
9 Cfr. Elizabeth Royte, Carbage Land: On the Secret Trai! oj Trash (2005)
Dialogo
l Suroioing: The Uncollecied Writings oj Henry Green, a cura di Matthew
Yorke (1992)