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TRE PASSI
SULLA SCALA
DELLA SCRITTURA
'Ihiduzione e cura di Silvana Carotenuto
Postfazione di Nadia Setti
BULZONI EDITORE
ROMA
Titolo originale:
Tbree sfeps on thè fadder o f wntwg, Columbia Universin' Press, New York 1993-
Ί1 Π Τ ΪI DIRITTI RISERVATI
Ê vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica.
In riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Ì.‘illeato sarà penalmente perseguibile a norma deirart. 171
della Legge n. 633 del 22/04/1941
ISBN 88*8319-756*9
€> 2002 by Bulzoni Editore
00185 Roma, via dei Liburni, 14
http:/Avw\v.bulzoni.it
e-mail: bulzoni@bulzoni.it
Dedico questo libro a Marguerite Saudré, che
ba incarnato per così tanti anni la memoria
vivente e sempre presente dei miei seminari.
Hélène Ci.xous
INDICE
S il v a n a C a r o t e n u t o
... Io, già sottoposta nel corpo d'infante alla violenza della transco-
dificazione culturale; io, nel mio script corporeo dove la lingua del den
tro, per pormi sulla soglia di una soggettività “responsabile"., si era già
do vu la fare lingua dei fuori (per poi tradursi ancora in coscienza inter
na); io, già incessantemente in-ressuta di narrative e di rappresentazioni
appartenenti ad un sistema di segni codificabili, ora, nella scelta adulta
di una traduzione volontaria, consapevole e responsabile, mi trovavo a
voler-dover ripagare la lingua del dentro, la lingua madre, dalla colpa di
usarla come una lingua tra le altrei Io, s/oggetto in "separazione”, senti
vo adesso di dover-voler riparare la lingua madre, ripagarla del dono
della vita? Debito o desiderio impossibile. O soltanto aporeuco? Sì, ri
cordavo che, tra separazione e riparazione, esisteva uno spazio altro, ri-
scrizione del “tra” «...separazione/non separazione, |...| taglio/non ta
glio {...| il taglio che non si oppone più al non taglio, tra il “separare” e
il "riparare” separazione e riparazione, separazione come riparazio
ne. (...| tra separazione e riparazione, l'in-betiveen tra Separazione e Ri
parazione. Ognuna delle due parole, Riparazione e Separazione, rima
ne tutta sola. Ognuna da sola è una frase, ma quella frase è una doman*
da (Riparazione? Separazione?). Ognuna sta nella sua solitudine - e, tra
le due, c’è il tra. |...| tutte e due, “riparazione” e “separazione”, Cuna e
l’altra, la riparazione che non si separa dalla separazione, cioè dalla se
parazione irreparabile» (Derrida, 1994, 122-123). Frattura, infinita sepa
razione o interrotta distanza, differenza stessa? Nell'intimo temevo la re^
gressione ad un grido infantile, ancona pieno del vuoto della bocca pri
vala del seno materno (Abrahm-Torok, 1972)*; già, però, seguivo un so
gno: ‘«L'ideale, il sogno, sarebbe di arrivare ad una lingua che guarisce
mentre separa. Si potrebbe immaginare un linguaggio cosi trasparente,
sufficientemente flessibile, fedele, da permettere la riparazione e non
soltanto la separazione? Sto cercando di scrivere in questa direzione-
(Cixous, m Conley, 1991, 146).
* Jacques Derrida (1990, 68-69) afferma: “Cesi cornine une ruine qui ne vieni p
après l'oeuvre mais reste predirne, dès t'ongm ey par l'avènement ei la structure de
l’oeuvre. A l’origine il y cui fa ruine. A Cangine arrive la ruine, elle est ce qui lui arrive
d’abord, à l'angine. Sans promesse de re-scauranon". Sulla “passione per la traduzione”,
vedi Jacques Derrida, L'oreille de l ’autre, Vlb Editeur, Montreal 1982, clìtsstons San/
le nom. Kbara, Galilée, Paiis 1993.
‘ Le "lettere" potrebbero essere anche "note0 «do- pazzia, abisso; ë la noia du
nell’orecchio di Schumnnn” (On ne part pas, on ne revient pas) i re- ricordo dalla per
dita, il risveglio/ mi- dal centro, sempre già iniziato/ fa* le voci delle ninfe, il nuuvo an
no.... le ninfe parlano in fa, i moni sono perdonati e ci perdonano, la scrittura sorge
(.Beetboren à jamais) / sol: dove l'anima fa terra nella lingua: "il sol / dell'ani ma che è
la lingua”/la: dono, differenza/ti: ΓίηΠηκο:...» (Cixous, 199-i).
Silvana Carotenuto
Algeri ance
Vivre l'Otwige: Claricelispector. Clar. Ricelis. Celis. Lisp. Clasp. Clarisp. Clarilisp.
- Clar - Spec - Tor - Lis- Icelis - fsp - Lance - Ricepector - ciarispector - claror
- listor - rire - clanre - respect - rispect - clanspect - Ice - Cianci - O Clarice
s Vedi anche la bellissima “Lettera a Zohra Drif", Leggendaria, 1*1, aprile 1999.
* Vedi il mio “Una auto-biografìa m-directa: RootpnJils. Memoty and Life Wrìfin
di Hélène Cbious’\ in Angiolina Arru, Laura di Michele, Maria Stella (a cura di), Pro-
prietaiie, Liguon, Napoli 2001.
; 'Interview with Hélène Cixous”, in “Cixous Dossier” ed. trans. Cathenne Λ.
Franke, Qui Ritte: A jou rna l o f Litermy Studics 3, n. i, sprmg 1989,178. Importante e di
stinguere l’umano di cui parla Cixous dnll'umanesimo: l’umanitâ di Cixous e la progres
sione della capacità di leggere il mondo, di giocar con esso, d’essere più fedeli a ciò di cui
siamo fatti e vefso.ciò che possiamo creare - un “umano migliore”. Un esempio è il cuo
re, comune ai due sessi, ai sesso umano, l’amore per tiitYelè specie, ed anche l’apertura
ad un insieme che vale il viaggio, lo spiazzamento di tutte le idee stabilite.
8 Nel 1962-63, Cixous ottiene un assistenza all’Università di Bordeaux, poi si sp
sta per una permanenza a Buffalo, a Yale, U.S.A.; in Francia, incontra Lacan con cui con
divide la passione per Joyce; nel 1965, diviene Mnùre-Assisi ante alla Sorbonne. Nel
1967, Je viene chiesto dal Ministero deJl'Educazione eli costruire rUniversità sperimen
tale di Paris S, Vincennes - Saint-Denis, e soprattutto d’approntare l’organizzazione del
primo donorato interdisciplinare di Women’s Studies in Europa: DEA m Etudes
Ιό Silvana Carotenuto
Féminmes (il corso saia abolito nel 1980, quindi trasformato in Centre de Recherches
en Etudes Féminines).
*' A partire dal 196-i, l’anglista Cixous pubblica su William Gokiing, Ezra Pound,
Saul Bellow. Kipling, Swift, Iris Murdoch, Muriel Spark, tvy Coinpton Burneu, Lewis
Caroli, Burges, Chrisrhine Brooke-Rose, Beckeit, Henry jnmes, Poe, Patrick White. Il ri
ferimento al musicista é nell’opera successiva Beethoven à jamais^ des femmes, 1999.
10 In cuiesio periodo, scrive Le Prénom de Dieu, Grasset, 1967; Dedans, Gras
1969; le troisième corps, Grasset 1969; J-es commentements%Grasset, 1969; Un vrai ja r
din, L’Herne 1971, Neutre, Grasset, 1972, Tombe, lxj Seuil 1973; Portrait du Soleil, De*
noël 1973; Révolutions pour plus d'un Faust, Seuil, 1975; Souffles, des femmes, 1976.
" Vedi nota 13 al terzo capitolo del presente volume. La relazione Clxous-Derrida,
per il tramite di Joyce, si matcri lizzò nella connine partecipazione al convegno “Pour
James Joyce”, organizzato da The British Councìl, dal Centro Pompidou e daü’Amba*
sciata d’Irlanda, a dirigi il 15 novembre 1982.
u I L Cixous - G. Deleuze, "Littérasophie et Philosofiture", Emission Dialogues,
η.30, France Culture, 13 nov, 1973. L’anno prima, Deleuze le aveva dedicato “Hélène
Cixous ou l’écriture strabocco pique", le Monde, 11 aug. 1972, 27, indicando l'insor
genza di una nuova forma di lettura: l’opera della scrittrice andava letta velocemente,
poi riletta per permettere che le associazioni si combinassero a fare eco.
,3Setti (2000,101; ma già in 1992,9). Le considerazione sulla D.S., già pensate in La
jeune née (con Catherine Clément, Collection 10/18, 1977) e in Unire Técnture (des fem
mes, 1986), saranno pubblicate tempo dopo in Lectures de la Différence Sexuelle (1994).
"Le passioni secondo... U.C.” 17
ia scala, facendo solo sorgere il tratto cieirunione, era possibile ancor più
salire al cielo e veder cadere la Manna (come trascrivere quello che que
sta ietterà mediana, stessa e altra, riesce a tracciare nel cielo cixousiano?
Dedicato ai poeta Mandel’stam e all’uomo Mandela, Manne aitx Man-
detstams aux Mandelas scrive incessantemente le risonanze germoglia
te dall’incedere poetico-politico dei due nomi: nei primo, si ritrovano ie
parole francesi per mandorla e amante amande amante ma anche il te
desco per mandorla e per gemma Mandel e Stamm - che, come in in
glese, indica anche l’origine, la "tribu", Amande poi ricorda Amandla,
parola Xhosa che indica il potere, che Mandela avrebbe gridato alle sue
folle; in eSvSa c'c l’essere lì, Vêtre-là, le mandé-là, ma ancora una voltai la
mandorla o mandolinelt>, insieme al poema di Celan dedicato alla "Man
dorla" in più, se i plurali indicano costitutivamente anche Nadezda
Mandel’stam e Wìnnie Mandela, in inglese, “Manna" suona come ia ver
sione femminile di uomo: man\ ancora, si potrebbe evocare Mosè, il
bambino nel cesto, se m francese "manne” è la cesta di vimini, il baule
per viaggiare; e. forse da qui, già partire a pensare al Messia?JI)· Sulla sca
la era possibile guardare la “Notte miracolosa” 22; sulla scala, ancora, si
realizzava il più grande Passaggio {pas-sage: il passo, la negazionet un " ‘al
tra” saggezza: pas sage) 2\ fatto di rimbalzi e riprese, rovesciamenti e ri-
Umhewifich; ursache
Voile notre Voile Bianche fBlack Sail White Sai/: un'opera bilingue...
\X'iih ou l'art de Vinnocence ...
mento, la disseminazione, la ciecosiruzione di tutto ciò che è un ostacolo alla scrii tura:
il se, il pensiero organizzato, l’istanza critica, quella conscia; vanno, invece, recuperati i
momenti dì prossimità al corpo. Ciò non implica l'annullamento della saggezza, ma in
vece, come afferma MacGillivrav 1994, xviii: *La saggezza oggi può essere trovala altro
ve dai testi seminali delle tradition! filosofiche della modernità. In saggezza può essere
cercata nelle politiche e nella poesia delle relazioni, strane e a volte dai tram d'incubo,
dell'individuo con la storia».
24Vedi la bellissima interpretazione della 'V "moltiplicatrice, dividente, differen
ziale, seriale, spettrale" - del francese corps nei uioio Le troisième corps a cura dì Calle-
Gruber (2000).
Vedi ie pagine dedicate a Shakespeare m II (eatm del cuore, 1992. il mio Ellis
si di setiso. L'aifm corpo dalla tragedia shakespeareema, Bulzoni, Roma 1990, ha trat
to immenso giovamento dalla lettura appassionata di queste pagine, a lungo le uniche
nelle pubblicazioni italiane su Cixous.
i6 II teatro la vede impegnata con “La pupille·' (1972), “La prise de fècole d
Madhubai" (198-i); “L'histone terrible mais inachevée de Norodom Sihanouk, roi du
Cambodge" (di iniiusso shakespeareano, 1985), "Théâtre”, l'epica TIndiade, ou L’Inde
de leur rêves, et quelques écrits sur le théâtreM(1987), "On ne part pas, on ne revient
pas”(1991), la traduzione da Eschilo di "Les Euménidcs”(1992), “L’Histoire (quon ne
connaîtra jamais)” (1994). “La ville parjure ou le réveil des Erinves r(1994), "Tambours
sur la Digue” (1999).
20 Silvana Carotenuro
Effetti di stona
Nel 1990, Hélène Cixous è invitata a infine , per tre giorni di le
zioni, a raccontare una stona: ia stona dei suoi Tre Passi sulla Scala
della Scrittura. Il desidero è quello di testimoniare - con/dividere, far
passare, partager - un 'esperienza di scrittura-lettura. un apprender/
insegnare ad abitare diversamente il libro ed il mondo. Il prim o pas
so è verso i morti, verso la scena primitiva che, pur dinanzi a noi,
29 “Hélène Cixous: Croisées d'une oeuvre”. Giugno 1998. Vedi gli atti del collo*
quio: Hélène Cixous croisées d'une œuvre (a cura di Mireille Gl Ile-Gruber), Galilée,
Parrè, 1999.
3n"La lumière femmine, ne vient pas d'en-haut, ne tombe pas, ne frappe pas, ne
traverse pas. Elle irradie, cest une montée, lente, douce, di ilicile, asbolument inarretable,
douloureuse, e qui gagne, qui imprègne les terres, qui filtre, qui sourd, qui enfin déchire,
humecte, écarte les é p a is s e u r s , ics volumes...Cet te lumière ne plante pas, elle fraie. Et je
Silvana Carotenuto
gnarc un panorama di senso che era solo una promessa. C'è promessa:
essa si è materializzata in questo lavoro di traduzione, sostenuto clall’a-
morevole collaborazione di Nadia Sem e dall’amicizia di Monica Fiorini -
esse hanno sottolineato il senso di questo volume che non esiste in fran
cese. Per quanto mi riguarda, io ho solo tenuto il filo (cominuo-discon-
tinuo, conosciuto-sconosciuto) della promessa secondo fasi diverse: un
testo pubblicalo solo in inglese, ma già in traduzione, perché basato su
un manoscritto francese che è a sua volta già a tratti scritto ui inglese
dalla stessa H.C. Il tesro inglese portava le tracce di questo tessuto com
posito - la mia prima passione realizzava un versione letterale, che sem
brava arida, come se si fosse avverato il temuto “addomesncamemo’VÌeg-
gibilità della lingua inglese - dove era la poesia densa psichica della scnt-
* tura di H.C.? '1 Perche queste frasi brevi, tagliate, inscritte in un modo
che solo la lingua inglese può fare? Avevo desiderio del testo francese;
Nadia lo ha procuralo, ed il percorso si è arricchito: un secondo corpo,
questa volta ibrido, punteggiato da interrogativi, decisione da prendere,
frasi da portare in porto (eppure sempre senza ormeggi). Infine cosa re
stava? Restava la mia fedeltà alla lingua della mia propria alierità: l’ingle
se. Ci ritornavo allora - ed il miracolo accadde. L'italiano, passando nel*
le trame reali del francese, rincontrava l’inglese, si rincuorava adesso del·
la sua lucidità, vicino al senso deliberato - conscio, pedagogico, didatti
co - della passione iniziale delle Wellek Lectures52. Il miracolo sorto i
miei occhi nasceva alla scrittura, all'inchiostro del traduttore. Io stessa
vois qu'à cene lumière, clic regarde de tout près, et clic aperçoit les nervures de la
matière. Dont il n'a que faire. Son lever: ce n’est pas une érection. Mais diffusion. Pas le
irait. Le vaisseau. Qu’elle écrive?’ (Cixous, ù i jet ma née 1975, 163)
11 Π un umore assunto da Bettsy Wing (1991) nella sua "scelta immaginaria*’ di
traduzione. Vedi anche Nicole Ward Jouve, "Ίο fiv/to steak no more? Translatmg French
t'eminisms imo L'ngJîsh", in Ward Jouve, 1991.
■* Uso qui i tre aggettivi proposti da H.C. per descrivere lo sforzo di classificare, or*
ganizzare cene riflessioni, enfatizzare un “senso comune", presente nelle prime pubbli
cazioni “teoriche", come "La jeune née" o "Le Rire de la Meduse" (Cixous, 199-i). Bella la
sezione 'léaching after Cixous, con i saggi: “Learning to read thè Femmine" (Susan Sel-
lers); "Pour une lecture Fémmine?” (Sissel Lie); "The implications of Etudes Féminines
for teaching" () en ni fer Birkett), in Wilcox ci ah. (1990).
"Le passioni secondo... H.C." 25
Le note che ho aggiunto alla fine sono solo piccoli germogli che
quasi sempre cercano di vedere come queste lezioni, datate 1991, han
no prodotto altre scritture di H.C., spesso tradotte, a parure da quella
data, nel mondo anglosassone, e anche umidamente in Italia.
Un terzo corpo:, guardateci terzo capitolo dove H.C. scrive la sua pas-
jiione per la jradiizioiie.sLessa^^lQN^ Te^^^can^iienjrL^.irasibrn^i^eniencja
*le^rirdüzicîiiTinglesi'dei-.tesü. Io ho cercato di intrecciare le sue lingue: a
volte le scorgerete in nota, altre volte nei testo stesso. “Tre passi” ed una
sola regola: ritornare alla più grande incertezza, lasciare la lingua parlare,
fraseggiare la frase, far scorrere la lingua, senza la predestinazione di un
pensiero precedente, infinito displacemeni di significati - giocare la di
spersione, la diversione, la sorpresa, così che la scrittura possa tornare da
lontano, da niente, prima della stona di ogni stona, prima della narrativa
della società, al di là o al di qua di ogni separazione e riparazione...
LA SCUOLA DEI MORTI
Le note tra parentesi quadre, anche quantici non direttamente specificato, sono del·
la curatrice dell'edizione.
* (Vedi \X'7tb ou l ’art de rinuocettce (Cixous, 1981), lessino incorno alia lette
sospesa H(élène), bache - ascia e lettera muta - che, in posizione d’autore, e tonneiv
30 Hélène Cixous
tntn dalla colpa e sogna una liberazione, pur limitala dagli interdetti che le vengono dal
l’esterno c da sé, imcrnalizzau. Vedi anche Le Livre fie Promethea (Cixous, 1983). |
{ (Il respiro della lettera dona il titolo al saggio “Respiration de la hache":
Contretemps i. 1995· 1
Tre Passi sulla Scaia della Scrittura 31
; Tu nn dici che devo scendere ancora, ma sono già molto 111 basso, mi manca
già il respiro, sono già troppo in basso, comunque, se così dev essere, mi fer-
V merò qui. Che strano posto! Probabilmente è il punto più profondo. Ma vo-
glio fermarmi qui, e tu non forzarmi a scendere ancora (Kafka, 2000, 918).
(Forse sapete che· Kafka era due persone;· e-a-volte· si rivolge a sé-
dandosi- d e l “ tu^•"CdniëTàceva Leon^ rciò cla Vi nei).
.CLsono due morlLdijscalare^:ecso-il-basso —tuffarsi 4iel!a 4eiTar e—
sprofondare neLmare.^.nessi-ino dei- due-c facile.
(^VàlëmëTUp (vorceù&cukascoitaFe questa .parola dettn d^GvenrovH;
intende J ’eleiTientQc^Javjmatena^-,e-Xekc,n.
mejnto.^ J lS g rsO-pQGÌiCQ: Λa p a r lilo \ imso^T^nffic^T^nih'iTnïï^'lg cose):
'lte(emento-resisteija-tGm film a r e offrono- resistenza; come il linguag-
^gj^n?iÎ^ensiero^Ma-qaiiI1fl0'sœ7id&^ cÌie'ScàvisK’
T ^ i T ü r r f f T o m e ^ n i m a t o r r f * a n (W f W O i!| îîÙ ^ H t t ïï' ' c o n i ^ i e d i : ’ F o r s e lT S lT a ^
>gliato^forse-.bisognerebbe -ini mag ma rei una discesa nella terra xhe_ non,
-iSia^DJàwiwWJn-i-ptèdUQuando-Scenciete^nel-niare,-allora .potete immagi-
uw^tuUGLdà.cIm .^jetp; JéLtesta. prima^e^sieteun^DasiziGìnG-fetaie - for-.^.
seja,n asaja^M (^ 0 -il fondo.o,y oppure dritti fuori... Il corpo,
tSèSPad.oJa.sua.posiZione.e bisogno,, inscrive parte dello sforzo per scen-
dere^lavorare^concro^corrente, contro te im ·Inscrive- Γorientamento
delîe^uGtpulsioni^Che^èr^ifpçilç.vQuando saliamo verso ii foncio, proce
diamo portati nella direzione di - cerchiamo qualcosa: lo sconosciuto,.. ■
i
' ICixous ha ariicoteto questo ‘'andare nella direzione di*' in “Il libro personaggio
del libro” (relazione non pubblicata, tradotta da Monica Fiorini, che fautrice ha letto al-
ΓUniversità di Bologna, maggio 2001), col tramile della parola tedesca gegen. «L’"ogget-
to" ê ciò che si tiene in una regione che si definisce attraverso delle direzioni, orienta
menti, prossimità o allontanamenti che sono gegeîi* Il riferimento è a Thomas
Bernhard, L’ortgme, ma anche ad /\;//fe/crrii-Shakespeare: «Ricordate Γenigma del cimi
tero in Amieto: Amleto interroga il becchino: Per chi scavi? Per un uomo? No, non è per
un uomo - Per una donna? Non per una donna - E per una cosa, scavo per qualche co
sa che fu uomo o donna, che non è più uomo o donna, e che è una di quelle improv
vise apparizioni, che ci rasentano, uomo, donna, bambino, esser umano, simili e toral
mente dissimili, e che fanno entrare nella nostra esperienza la sensazione di alterazio
ne, di altro, di un altra specie d ie noi siamo. Questo ci accade Gegeti. Con Cegcn co
mincia a nascere la scrittura, nella regione torbida deUe connessioni, dei riconoscimen
ti, delle identificazioni, dei margini...». |
32 Hélène Cixous
Oggi, primo giorno, prima ora del viaggio, andremo alla Scuola dei
Morti. Vi avevo annunciato che saremmo andati alla Scuola del Peggio.
Eni inesatto: nella mia lettera non osavo dirvi che il primo giorno sa
remmo andati dai morti.
...questo cammino mi concluceva davanti alia casa d’un macellaio: porte aper
te, asce, coltelli, mannaie, allineati in ordine, gli uni sanguinanti, le aitre bril
lanti e pulite, pistole d'abbattimento, poi il rumore dei cavalli che cadevano,
quegli enormi ventri aperti che vomitavano ossa, pus, sangue... Passata ia ma
celleria, qualche passo verso iJcimitero, all’obitorio, alla tomba... durante que
sto primo giorno, mi ricordo ancora, in più, un pallido giovine esposto all’o*
buono, il figlio di un produttore di formaggio... e di là, il cuore ancora palpi
tante sui mio banco di classe, una giovane istitutrice...
Mia nonna mi portava sempre con lei, in più, - il mattino passavo solo davan
ti al cimiiero; nei pomeriggio, mi faceva visitare l’obitorio - mi nsollevava di
cendo: ‘'Guarda, ancora una donna stesa lì” Nient aitro che cadaveri...
(Bernhard, 1986, 57-58)’
tero Saint-Eugène di Algeri. A causa eli questa presenza impalpabile ma intensa, it luo
go, ovvero il cimitero, era diventato una scena della scena che non solo noi stavamo vi
vendo, ma anche incarnando in quanto personaggi/da un lato/a causa della presenza
immensa di un libro che ci prendeva m note e in ostaggio proprio qui tra le tombe/dai-
l’akro/a causa della presenza intensa di quella specie di assenza potente nella quale mio
padre si teneva in questo cimitero in cui era disteso fin dalPanno precedente/a causa
della presenza di questa assenza indeterminta di mio padre in quanto corpo che senti
vo ancora letteralmente non respirare e anche mio fratello,/a causa di questo terribile;
disordine umano ai confini dei regni della Vita e della Morte» (Cixous. 2001, 19-20). 11
luogo ritorna ovviamente nella pratica teatrale dell’autrice che, in "Apparizioni”, ricorda:
«Nella Ville patjure - tutto è cominciato con un cimitero che era una Citta in sé - un
cimitero enorme (Anane fMnouchkincj pensava alla citta dei Morti dove vivono al Cai
ro 150.000 "senza casa” tra le tombe) popolato di morti e di vivi e che si estende all'c-
sterno della cinta muraria di una citta. Si può far di tutto con un cimitero immenso, ge
mello nemico della Città nemica, Città al rovescio Città al diritto-» (Cixous* 2000, 11-i).
I/opera teatrale a cui si riferisce Cixous t La Ville parjure, ou te reveii des Entiyes,
Théâtre du Soleil, 199-i. Sullo spettacolo teatrale, vedi Quadri (1994) e Fort (1997).|
7 In Cixous (2001, 19), il “pubblico" è chiamato in scena come «emanazioni igno
te di noi stessi. “U puljblico^ che è allo stesso tempo seicentoi persone^diiTerenu.e una
sola |...j Il pubbfic^he dinieniiavii^ropriornomer-ja-propna professione, la pròpria
jdenìiCajper lasciarsi andare all’altro che gli giunge dalla scèna,
^iblicèmeme spcuaiore ma scclia elupgo eli una’strçorçliiiaria
36 Hélène Cixou.s
iità’di cui siamo portatori. Non sappiamo d’essere vivi se non quando ab
biamo incontrato la morte: banalità cancellate. Hd è un ano di grazia.
Dostoevskij ricevette il mondo nei perderlo (torniamo sempre al
l'esperienza d ’Àbramo e d ’Isacco), lo ricevette perchè, condannato a
morte, dinanzi al plotone d ’esecuzione, in extremis, fu graziato. La gra
zia: la mone data, e poi ripresa.
* Naturalmente, parlo della morte dell’essere amato; qui è solo que
stione d'amore. E di tutto ciò che ia perdita ci apporta, nei sottrarci. Per-
diamo e, nel perdere, vinciamo. Non accade insieme, può avvenire in
modo differito, prolungato, o continuo9. Per quanto riguarda Bernhard,
si potrebbe dire che perdere fosse diventato vincere in una folgorarne
continuità. Egli ci racconta come cominciò a scrivere: ricoverato in
ospedale a diciotto anni, fu dichiarato un caso disperato. Il nonno, che
adorava, era nello stesso ospedale, e stava abbastanza bene - ci dice -
quando, d’un tratto, morì. Bernhard: “Ho cominciato a scrivere centi
naia e centinaia di poesie” Cosa ammirevole, perché inscrive una so
vrabbondanza nell’apparente realismo, uno straordinario gettito vitale.
"Esistevo solo quando scrivevo” Capiamo quanto sia necessario scrive
re, non fermarsi più, perché non-monre e scrivere si sono scambiati. ‘Έ
poiché mio nonno il poeta era morto, ora avevo il diruto di scrivere e
usavo l’intero mondo, trasformandolo 111 poesie” Ecco la causa di que
sta sorgente di scrittura, che si produce come risposta, o erezione, co
me resistenza alla castrazione. Io preferisco parlarne m termini di ses
sualità femminile, come una sorgente vitale apportata e ordinata dalla
9 (Decido di tradurre i termini del succedere, dell’avcr luogo, ecc. .sempre con
verbo "accadere", grazie ad una poetica stessa deli'accade re, un lasciare che la cosa ac
cada anche prima di sapere cosa o chi; un'emergenza al posto del verbo; il rìiìuio di es
ser organizzati in categorie d'attribuzioni. Vedi Cixous (2001) e Locai dii (2000. 25).
-L’irriducibilità dell'universo interpretato ad un universo semantico e pragmatico è una
epifania cognitiva, che scaturisce dal “conflitto delle interpretazioni”, che Cixous sotto
linea f...{. È un conflitto preso in considerazione non canto nella prospettiva di una sin
tesi degli opposti, un'ennesima violenza «iella stona ciel pensiero occidentale, ma nella
prospettiva di poter (salvaguardare il) “lasciar accadere". Cosi, si potrebbe dire che con
la sua decisione di “lasciare accadere le cose”, in Cixous, la filosofia della riflessione non
può che diventare una riflessione (interminabile) sulla filosofia e/o sulla scnciunt-.]
Hélène Cixous
scomparsa di chi n’era la fonte. Il nonno non era una persona qualsiasi,
era il poeta, che io aveva sempre amato, che era tutto per lui.
In ‘Appartenere” Clarice Lispector ci ha raccontato in modo simile
d’essere stata concepita nelJa speranza che la madre malata sopravvivesse,
nella fantasia superstiziosa che se la madre avesse prodotto vita, sarebbe
guarita (2001, 101-103). Il che non successe, la madre mori. Clarice rive
la con voce secca come, dopo ia morte della madre, si sia sempre consi
derata il soldato che lia disertato. E ciò accadeva senza che lei potesse far
ci nulla. È quello che a volte troviamo difficile da ascoltare o da accettare:
non possiamo farci nulla. E tuttavia, la diserzione, (a fuga, l’impotenza, so
no impresse sul muro della classe. Legate, associate: c’è morte. La sfortu
na o fortuna - ciò che farà delle nostre vite una iotta incessante per esse
re giusti - ê che, nel perdere* c ’è da guadagnare, Perdita e guadagno
uniti: il nostro delitto. Di cui saremo sempre colpevoli, la colpa di non po
terci fare nulla, con questi benefìci inattesi e terribili.
Il primo libro che ho scritto è nato dalla tomba di mio padre 10
Non so perché, forse era la soia cosa che dovevo scrivere al tempo, nel
la mia povertà, neirinespenenza, il solo bene\ la soia cosa che m’aveva
fatto vivere, che avevo vissuto, che m’aveva messo alla prova, e che pro
vavo perché m aveva sconfìtta completamente, li mio tesoro strano e
mostruoso. Al tempo non ci pensavo affatto, altrimenti non avrei scritto.
Ho vissuto a lungo ia morte di mio padre con il sentimento di una per
dita immensa e di un rimpianto infantile, come in una fiaba all'incontra-
rio: ah, se mio padre fosse vissuto! Ingenuamente mi fabbricavo storie
magnifiche, fino al giorno in cui ie cose hanno cambiato colore e ho co
minciato a vedere altre scene - compreso tutto ciò che di meno conso
lante riuscissi a immaginare - senza sovramvestimento. Ero passata ad
una riflessione meno idealizzante, alla ricostruzione. Riuscivo ad imma
ginare scene varie senza mio padre; ia scena perfetta (ma quaie?), la sce
na imperfetta, la scena deil'interdetto, ia scena banale, quella classica:
non scrivere. E mi dicevo che non avrei scritto... Non avrei avuto la mor-
ce, se mio padre fosse vissuto. L’ho scritto molte volte: egli mi ha dato la
morte. Per cominciare.
Recentemente mia madre, un ani ma semplice e retta, ha letto uno
dei miei libri, e mi ha detto; "Cosi, quindi, la morte di tuo padre è stata
una cosa sena per te". “Sì, le ho risposto, te l'ho detto mille volte”. Sen
za dubbio il messaggio non era arrivato, e cosi, in modo calmo, le ho
spiegato ciò che dico a voi. Al che mia madre ha replicato: "Anche per
me”. So che mia madre ha sentito ia mancanza di mio padre per tutta la
vita, è stata senza lo sposo, il suo giovane sposo, una vera perdita, ia
perdita dell'uomo che amava. E mi ha detto: "Per fortuna è morto” . Se
non fosse morto, iei non sarebbe diventata quella che è. Quando mio
padre era vivo, mia madre non lavorava perché, secondo la dignità di un
giovane ebreo primitivo, era lui a dover provvedere alla famiglia. Dopo
la morte di mio padre, mia madre è diventata ostetrica. Ha portato avan
ti centinaia e centinaia di parti, avendo vagamente elaborato quello che
non può esser detto a parole. Ciò che si libera dal iutto di un'anima ret
ta e semplice può anche essere la vita.
Non sappiamo, universalmente ed individualmente, qual ê esatta
mente il nostro rapporto con i morti. Individualmente, esso costituisce
parte del nostro lavoro, dei nostro travaglio d’amore, non d’odio o di di
struzione; dobbiamo riflettere su tutte le relazioni. Possiamo farlo con
raiuto della scrittura, se sappiamo scrivere, se osiamo scrivere. Anche
con l’aiuto dei sogni: questi ci fanno il dono meraviglioso di riportare
costantemente 1 morti in vita, così che di notte possiamo parlar loro. In
dividualmente e liberamente, ognuno deve fare quel lavoro che consiste
nei ripensare cos’è la tua morte e la mia morte, che sono inseparabili. La
scrittura si origina in questa relazione. In ciò che é spesso inammissibi
le, contrario, pericoloso in modo terribile, e che rischia di trasformarsi
in compiacenza - il peggiore dei crimini; Ja scrittura si origina qui. Sia
mo noi che rendiamo ia morte mortale e negativa. Sì, è mortale, è catti
va, ma è anche buona: dipende da noi. Possiamo essere gli assassini dei
morti, il peggio di tutto, perché, uccidendo una persona morta, uccidia
mo noi stessi. Ma, al contrario, possiamo essere il guardiano, l’amico, il
rigeneratore dei morti.
Hélène Cixou.s
Nel corso del suo sviluppo e nell’ambiente che io ha circondato egli ha attin
to questi veleni e questi principi che gli erano entrati nel sangue [L'Idiota stes
so è ii criminale in questo momento|. Infinita e la generosità e il bisogno d'a
more di questo cuore offeso. Che però non è stato soddisfatto, e per questo
si vendica, per questo fa del male a quelli che vorrebbe amare infinitamente,
dando loro il suo sangue, a tutti quelli insomma che gli sono cari,
invece eli un attività utile - ii male.
U l·
- Oppure s’è messo a scrivere il suo testamento. Voleva uccidersi, non s’è uc
ciso, ha cominciato a tessere un intrigo,
- Hanno incendiato la casa.
M.
- Preziosa domanda e fisposta:
- Voi finirete con un grande delitto o con una grande azione - Gli dice il Figlio.
11 (In Cixous & Calie-Gruber (1997, 57), una “finestra” nei testo, dai taccuini del
la stessa Cixous, mostra: «Ciò che amo (lettura-scrittura): Taccuini. La terra prima del
libro. I Taccuini di Kajka, di Dostoevskij, di T.B.t di C.L, t respi n, le grida, / ciottoli.
Quando leggo, cerco i taccuini del libro. C'è taccuino in /Ζλ>·. j
12 (Sarebbe rincontro del *1utto“ e del “dono” «Lutto per l’esclusione, ma anche do
no senza desLinazione - ciò che non era voluto, creduto, posseduto. Dono di niente, se
non l'insaziabile desiderio di scrivere il libro che non era scritto-. Cfr. Calle-Gruber (1994). j
Ire Passi sulla Scaia della Scrittura 43
bile e anche noi leuon siamo spaventati: continuiamo a pensare che ac
cadrà qualcosa che non vorremmo, solo che non accade. Avanziamo pa
gina dopo pagina» pieni di presentimenti. Ed improvvisamente accade: il
testo colpisce, il libro é finito, Macabea è morta. Non solo Macabea, muo
re anche Clarice Lispector: mori subito dopo. Il libro ha raggiunto la
realtà nel modo più veritiero, il segreto della scrittura. Clance Lispector
era malata. Non sapeva di stare per morire; lo seppe nel momento in cui
finì questo libro. Non si sa in realtà chi abbia scruto il libro o chi ha ucci
so chi. Non si sa se Clance Lispector scrivesse il libro in fretta perché
pensava di star morendo, o se sia stato il libro a mettere (ine alla sua vi
ta. A causa di questa strana connessione tra scrittura e morte, gli scritto
ri provano uno strano desiderio di morte. Si sentono di morire. Ma è una
cosa che non possono dire. Non posso dire: “vorrei morire” , perché è
proibito; tuttavia, è la sola cosa che bisognerebbe invero dire.
Gli sene con cui mi sento vicina giocano col fuoco, giocano seria
mente con la propria mortalità, vanno oltre, vanno troppo lontano, a
volte fino a prendere fuoco, fino ad esser presi dal fuoco. È terribile sa
pere com’è morta Ingeborg Bachmann - bruciata dal fuoco, cioè, dalla
venta - nel 1971 a Roma, mentre, nello stesso periodo, Clance Lispector
era estratta dalle fiamme dal figlio: terribile e sconvolgente!
Non tutti praticano l’atto di leggere allo stesso modo, eppure c’è un
modo di leggere paragonabile aii’atto di scrivere - è un atto che sopprime
il mondo. Annientiamo il mondo con un tibro. Prendete il libro che avete
aperto, sapendolo o non sapendolo, spesso col presentimento che possa
essere uno strumento di separazione. Appena aprite il libro come una
porta, entrate m un altro mondo, chiudete la porta su questo mondo.
Leggere è evasione m pieno giorno, è il rifiuto dell’altro; il più delle voite
è un atto solitario, proprio come scrivere. Non ci pensiamo sempre, per
ché non leggiamo più; leggevamo quando eravamo piccoli e sapevamo
quanto possa essere violento leggere. Il libro assesta un colpo, ma voi, col
vostro libro, assestate un ugual coipo ai mondo esterno. Non si può scri
vere m nitro modo - senza sbattere ia porta, senza tagliare ì legami.
Lo scrittore è un criminale segreto. Come? Innanzitutto perché la
scrittura cerca di intraprendere quei viaggio verso strane fonti d’arte che
ci sono straniere. La “cosa” non accade qui, accade da qualche altra parte,
in una terra strana e straniera. Lo scrittore ha un'origine straniera; non co
nosciamo la particolare natura di questi stranieri, ma sentiamo che essi
sentono che c’è un appello, che qualcuno li sta chiamando indietro.
L’autore scrive come se lui/lei fossero m un paese straniero, stra
nieri nella propria famiglia. Non conosciamo gli autori, leggiamo libri e
Tbe Passi sulla Scala della Scrittura 47
,
mo e effeltivamente illuminante, parente come con nessun altro ( Bernhard,
1982 1 )17
già una sene di direzioni. Saranno seguite tutte, nessuna verrà abban
donata dai testo. Per quanto» per la maggior parte di questo testo, cor·
riamo e fuggiamo nell'oscurità: "mi rifugiai in un angolo della torre, e
senza iuce... avevo preso,., nell'oscurità assoluta della biblioteca un li
bro...” Una scelta cieca, scelgo precisamente Montaigne con cui “sono...
parente come con nessun altro” Scelgo fra tutti - senza averlo scelto,
quindi ciecamente - il mio parente.
... Montaigne, con il quaie sono, in modo cosi intimo e effettivamente illumi
nante, parente come con nessun altro.
Sui cammino che mi conduceva alla torre, sulla quaie non avevo, come ho già
detto, a causa delle zanzare, acceso ia iuce, mi ero sforzato, con la più grande
concentrazione, d’indovinare quale libro avessi tirato dallo scaffale, ma mi
passavano per la testa tutti i filosofi eccetto Montaigne... (ibid., 3).
• rato. Per la menie gii passano lutti i filosofi tranne Montaigne. Una sottile
scena di sovrinvestimento. Il cìestderio di Montaigne è cosi forte che egli
• non si aspetta Montaigne. E Montaigne arriva a condizione d’essere inat
teso. É Vassolutamente inatteso. Ci deve essere un'assenza di luce, più di
; luce nella frase per trovare Montaigne. Perché, ovviamente, la luce viene
jdairinterno e non st può dar conto dell’arnvo della luce nella vita e nella
testa attraverso i libri. Bernhard insiste:
Leggevo il mio Montaigne con le persiane chiuse, nei moclo più assurdo, per
ché era cosi faticoso senza luce artificiate (ibid., 22).
“Speriamo non gli sta successo n u l/ a (corsivo mio, H.C.]. La frase non era
di Montaigne, ma dei miei, che mi cercavano andando su e giù ai piedi della
torre (ibicL, 22).
"Speriamo non gli sia successo nulla”. Si può gustare tutto lo zuc
chero e il saie e l’amarezza di questa frase, dopo che si ê letto quanto la
precede. A un livello realistico, i genitori sembrano preoccupati (parlo
dei contenuti della frase, non deirintervento della frase nel testo). Con
senso d’ironia, sentiamo: speriamo che non abbia letto nulla, che non
sta successo nulla in quella torre terribile, soprattutto che non sia arri
vato Montaigne, ecc.. Si può svolgere la frase all’infinito. Un mondo è
ingoiato da un altro. Leggevo Montaigne fino all’arrivo della frase. Mera
vigliosa continuità. Bernhard non dice se questa frase é dentro o fuori.
La frase lo incontra per caso. È immaginata come un sogno. Siete den
tro il sogno, o già fuori dal sogno? La frase appena espressa: è ancora
nel sogno, oppure è già fuori? È nei libro o in voi? É delocalizzata. C’è
esitazione sull’origine della frase perché, dopo tutto, Montaigne non é
Montaigne: è la “mia famiglia” . Montaigne e Mi miei” passano attraverso
lo stesso iuogo parentale.
52 Hélène Cixous
Prima dicevano non devi bere quest'acqua, perché è avvelenata, poi hanno
detto non devi leggere questo libro, perché è avvelenato. Se bevi quest'acqua,
ri rovinerai, se leggi questo libro, u rovinerai. Ti hanno condotto nelle foreste,
ti hanno messo in buie stanze di bambini, per disturbarti, ti hanno presentato
a persone che hai riconosciuto immediatamente come quelli che dovevano
distruggerti (ibid., 12).
Torniamo alle prime parole dei testo; tutto è fatto solo “per scap
pare”. Il testo è stato scritto per fuggire, per scappare dalla famiglia, ecc.
Ecco l’ultimo paragrafo:
Leggevo il mio Montaigne con le persiane chiuse, nel modo più assurdo, per
ché era così faticoso senza luce artificiale (...[ “Speriamo non gli sui successo
nullaî'’. La frase non era di Montaigne, ma dei miei, che mi cercavano andan
do su e giù ai piedi della torre (ibid., 22).
Siamo ancora al buio. Senza luce artificiale: pure, non senza luce.
Se siamo raffinati quanto lui. tutto è, in un certo senso, chiaro.
Ritorno all’inizio del testo. Il testo parte a tutta velocità, per scap
pare. Li fuga non è portata avanti. Nonostante ciò, gli altri sono là in
basso.
C’è una relazione tra la lettura e ciò che ne produce il bisogno,
l'urgenza della lettura: non si può avere l’una senza l’altra. Per fuggire...
leggo. È il mistero della lettura. E senza realismo. Bisogna stare dalla
pane del testo. Accettando il fatto che la lettura sia portata avanti “con
le persiane chiuse" È vero, e non è vero. Bisogna avere costantemente
un piede in un mondo e un piede nell'altro. Non fa parte dei faunistico:
è disorientante alla maniera di Kafka. Credete d’essere su un cammino,
ma siete su un altro, su quello, ecc. Questa è la relazione tra lettura e
scrittura. Allo stesso modo, questo testo è scritto alla luce di un
Montaigne intenore, al buio. Scriviamo al bino, leggiamo al buio: lo stes
so processo.
Il castello eie! quaie il mio domestico, per non farmi passare la notte all’aper
to nelle mie condizioni penose di ferito, s era deciso a forzare l'ingresso [que
sto non é "Montaigne”, è “Il ritratto ovale”. H.C.], era uno di quegli edifìzi
frammisti di grandezza e di tetraggine che per secoli e secoli hanno torreg
giato sugli Appennini, anche nella realtà oltre che nella fantasia di mistress
Radcliffe (Poe, 1999, 204).
Mentre inizia, voi lettori entrate nei castello dei narratore ferito. Il
narratore arriva in una strana stanza piena di quadri, e la sua attenzione
è colpita da un particolare quadro ovale, cosi straordinario che egli non
crede ai propri occhi. A poco a poco la stona si svolge in modo taie che
vi ritrovate fìssati, concentrati sui ritratto ovale: ed il ritratto ovaie ha
una stona che sarà letta dai narratore. Passate nell'altra storia, che é la
storia dentro ia storia. La stona, delia vita e della morte di una giovane
donna, serve come modello della storia. Entrando nella storia dei ritrat
to ovale, dimenticate del tutto il narratore; non solo io dimenticate, ma
questi scompare completamente dalla scena, e quando il racconto fini
sce finisce dentro il ritratto ovaie - dietro il muro del ritratto ovale - e
voi lettori avete commesso una cosa assai strana: avete cancellalo il nar
ratore dalla vostra memoria, siete in un'altra scena. È il genio di Poe.
Quando leggiamo “Il ritratto ovaie", pensiamo di leggere la stona di "Il
ritratto ovaie": la storia di un pittore che era un genio, che sposò una
bellezza che era ia vita stessa e iniziò a dipingerla. Lo dice Poe, oppure
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 55
Lui, il pittore, trovava gloria nei suo lavoro, che dì ora in ora progrediva
sempre più. Ed era un uomo appassionato e strano, d’animo trasognato, che
si perdeva in fantasticherie,- tanto che non sapeva vedere come la luce che
cadeva così lugubre dentro quella torre solitaria consumava la salute e ìe
forze spirituali della sua sposa, che tutti vedevano languire, tranne lui. Ep
pure essa sorrideva e continuava a sorrìdere {...][- sino a quando, a lungo
andare, tutta la vita della sposa va nel ritratto, H.C.|. Ma a lungo andare, co
me l’opera si avvicinava al suo adempimento, nessuno fu più ammesso nel
la torre; perché il pittore era tutto preso dalla foga dei lavoro, e non disto
glieva che di rado gli occhi dalla tela, anche per osservare il viso della sua
donna. E non vedeva come i colon che riversava sulla tela venivano tolti dal
le gote di colei che gli sedeva dinanzi. E quando settimane e settimane fu
rono passate, e più non restava quasi nulla da fare, null’altro che dare un
tocco di pennello alle labbra ed uno agli occhi, lo spirito della giovine don
na palpitò ancora come una fiamma al bocciolo della lampada. Allora il toc
co fu dato, alle iabbra e agli occhi; e il pittore rimase per un attimo in esta
si dinanzi alfopera civegli aveva compiuto; ma continuando a contemplarla,
subito tremò e si fece pallido, e atterrito, scoppiando in un urlo: “Ma questa
é la vita, che ho creato!” si voise a guardare ia sua beneamata, la quale era
morta! (ibid., 207-208).
Ed è la fine.
É una specie d'allegoria eli cosa accade nella creazione. Ê mitico,
potrebbe anche essere un cliché. Non lo é, perché nel corso della lettu
ra noi stessi siamo diventati ii pittore. Anche noi abbiamo seguito e ini
ziato a dipingere e a dimenticare e a cancellare in particolare il narrato
re, che è molto strano. Sospetto addirittura che potremmo uscire dalla
torretta o dal racconto senza aver capito ciò che abbiamo fatto. È il de
litto dello scrittore, descritto da Poe. Ê parossistico, ma Poe io fa spesso,
come se avesse un’inclinazione femminista: di solito affida la parte dei-
l’assassino agii uomini, e la parte della vittima alle donne.
Conosco un tipo di pittore che faceva esattamente la stessa cosa:
dipingeva i suoi poemi con il rossore delle guance delle donne che
amava. Parlo di Rilke. Negli ultimi anni della sua vita, quando era profon-
56 Hélène Cixous
10 fVedi "Wriiing btind. Conversation with thè donkev" (Cixous, 1996). Vedi, inol
il capitolo “Autoportraits d'une aveugle", inJours de Van (1990), scritto - sens se donner
te mot - nello stesso periodo in cui Derrida, come lui stesso nota (1994), scnveva Mé
moires d'avcugìes. Vautoportrait et attires ruines (1990V In continuità - o forse proprio
in forza di discontinuità - con ia casuale coincidenza, bellissimo è il saggio “Savoir", nel
volume scritto con Jacques Derrida, Voites (1998), sul lutto, in seguito all'operazione la
ser, della propria miopia. Il legame della cecità con Yopera daU’autrice é commentato nel
l'intervista "Cixous Pocil nu” (1998), quando Cixous racconta: «Derrida décrit merveilleu
sement l’engendrement de l'oevre (l'opus) par Γopération (acuvc/passivc) de l’oeil. Il γ a
cu miracle. D’autant que je n avais ïamais imagine qu'il m arriverait un jour de "voir le
jour”. Je pensais toujours aux guerriers au siège de Troie: aucun mvopc ne pouvait survi
vre, on ne voi pas l’ennemi arriver. Ça prend un peu de temps pour arriver au "voir”
après l'opération: cette progressivité fait que vous êtes vous-même ie lieu et le tcmom de
la dissipation du voile et de la venure du monde vers Y oeil nu. J'étais si bouleversée que
le me suis accompagnée de notes: or, tandis que j'allais traversant avec joie cette zone
d'opacité, se levait un deuil - je perde ma ro/e, mon étrangère. Encore une trace de mon
enfance à langues: ma mère a un léger accent allemand, iirsciue je lui ai announcé: "On
va opérer ma myopie”, ella nva répondu: “Was? Qui est ma mie Opi?”. Alors j’ai entendu
que toute ma vie ('avais dit, comme ma mere: ma mie opie: Et fa t pensé: cest ma moi,
mon étrangère la plus intime que s en va, â jamais» (loret, 1998). A seguire, commenta la
recensione di Robert Maggiori: «Quelle chirurgie pourra jamais ôter le voilement des yeax<
sans, “deuil inattendu", provoquer l'hémorragie des secrets cle l'enfance, ébranler le soi
natal,1blesser ia langue mère, l’identité, la vérité enfouie au plus profond de soi? "Adieu
ma mie ma mère", dit elle*· (Maggiori, 1998). in precedenza (Cixous, 1988), l’autrice ave
va creduto che la propria disabilita abilitante (capace cioè di produrre sostituzioni, me-
taforizzaziom, metonimizznzioni del inondo e degli esseri, una visione ipenutenta al det
taglio, Γimmaginazione notturnale di un cieco) fosse incorreggibilej.
60 Hélène Cixous
La morte esiste. Forse il mio ultimo destino sarà come un oboe... (Borrellì,
1981, 49-50).
po', ma non molto, per ritrovare uno stato della mente - al di là» fuori
dal tempo. Appariva cosi grande e forte nel suo testo che non la pensa·
vo al di fuori di esso. La leggevo oltre e ai di là di Clance Lispector La
potenza dei suo pensiero mi trasportava, mi tratteneva. Ho trascorso un
anno ascoltando ciò che diceva, senza pensare a lei. Tutto era in un eter
no futuro. E, improvvisamente, mi dicono che era morta. Non credo che
mi abbia fatto alcun effetto, perché non avevo pensato a lei da viva o da
morta. La vita e la morte di Clance Lispector erano restate in un altro
mondo. Ero nel futuro dei testi di Clarice Lispector.
Quando ho letto Kafka, l’ho letto morto, ancor più morto perché
mono nello stesso modo e alla stessa età di mio padre. Quindi mi era
ovvio: neanche mi chiedevo le ragioni. L'ho sempre letto da morto. Era
morto. L'uomo morto.
Un giorno, una cara amica m’ha fatto leggere Thomas Bernhard.
All’inizio ho provato un'antipatia profonda (la sua). Poi mi sono diverti
ta. Non avevo mai letto testi che mi facessero ridere, la cosa più miste
riosa fra tutte. Mi dicevo: "Come si può scrivere cosi impudentemente
senza doverlo scontare?”.
Ero estasiata che egli esistesse. Un giorno mia madre é entrata nel
la stanza e ha detto: "Hai sentito, l’uomo che stai leggendo (al tempo
leggevo Un bambino , 1999), beh, è appena morto”. Anche la sua era
una morte prematura. E io stavo ridendo mentre lui moriva. Mi direte
che tutti muoiono, ma non tutu muoiono di scrittura.
Ecco due scrittori morti di scrittura perché sono andati così lontano
neirawicmarsi al proibito, cosi vicino a ciò che Kafka chiamava il fuoco,
da prendere effettivamente fuoco. In effetti Clance Lispector sfuggi a sten
to alla morte per arsura dieci anni prima di monre definitivamente. Si bru
ciò gravemente, il letto prese fuoco, e fu salvata all’uitimo momento dal fi
glio, con le mani così bruciate da non poterie più usare per scrivere.
Ingeborg Bachmann, la grande scrittrice austriaca, mori misterio
samente nei 1971. Ancora oggi non si sa cosa sia successo. La stanza da
letto, il bagno, si dice, presero fuoco improvvisamente, e lei mori. Non
si sa se si sia tolta la vita, come sembrerebbe dalle note bibliografiche,
oppure se sia stato un incidente. C’era morte per arsura nei suoi libri.
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 63
È strano che io, così lenta a ragionare e così incapace d ’indovinare da piccola,
e anche nella vua, io, cosi facile da imbrogliare, indovinai giusto m questo ca
so e subito, non appena n ell'oscu ro vortice della torm en ta si potette vedere
una cosa nera. Subito mi misi in guardia, sapendo, sapendo, sapendo, che
non era “ un tronco d'albero né un lupo”, ma quella cosa.
E quando l'oggetto sconosciuto iniziò a muoversi verso di noi ed m due mi
nuti divenne un uomo, sapevo già che non era “un buon uomo'V com e lo
chiamò il cocchiere, ma un uomo cattivo, un babau, quell'uomo.
ìaì cosa sconosciuta era - quella m eglio conosciuta.
Avevo aspettato la Guida per tutta la vita* la mia intera, enorme vita di sette anni.
Era la cosa che ci aspetta ad ogni curva della strada e del corridoio, che esce
da dietro ogni gruppo d'alberi nella foresta e ad ogni angolo di stradai il mi
racolo nel quale cani minano il bambino e il poeta, senza pensare, com e se
tornassero a casa, la sola e unica passeggiata verso casa che facciamo, per la
quale abbandoniamo - tutte le nostre case familiari (Cvetaeva, 1993, 3/2 ) 19
Prima di entrare nel Sancta Sanctorum devi toglierti le scarpe, ma non le scarpe
soltanto, bensì tutto, abito da viaggio e bagagli, e, sotto, la nudità e tutto quan
to c'è sotto la nudità, e tutto quanto si nasconde sotto di questo, e poi il mi
dollo e il midollo del midollo, e poi il rimanente e poi il resto e poi ancora il ri
flesso del fuoco eterno. Solo il fuoco stesso verrà risucchiato dal Santissimo e si
lascia da lui risucchiare, nessuno dei due vi può resistere (Kafka» 2000, 735).
A POSS1VEJS LEJTORES
Este livro é conio um livro qualquer. Mas eu ficana contente se fosse lido
apenas por pessoas de ai ma jâ formada. Aqueias que sabem que a aproxj-
maçao, do que quer que seia, se faz gradualemente e penosamente - attra-
vessando inclusive o oposto daquilo de que se vai aproximan Aqueias pessoas
que, so eias, entenderao bem devagar que este livro nada tini de ninguèm. A
mini, por exemplo, o personagem G.H. foi dando pouco apouco urna alegna
dificil; mas chama-se alegria.
CL. (Lispector, 1979, 5)
Questo libro ê un libro come un altro, ma avrei piacere fosse letto solo da per*
sone dall’anima già formata. Quelle persone sanno come l'avvicinamento a
ogni cosa avvenga per gradi e con sofferenza - e passando talvolta attraverso
l’opposto di ciò che é la meta. Quelle persone e solo loro capiranno passo per
passo che questo libro non toglie nulla a nessuno. A me, per esempio, il per
sonaggio di G.H. ha dato a poco a poco una gioia diffìcile, eppure il suo no
me è gioia (Lispector, 1991, 3)31
Una donna che un uomo non ha voluto amare, andò in uno zoo a
cercare ciò che non era riuscita a trovare in se stessa: la fonte, il segreto
dell’odio. Questo incidente accade in un racconto intitolato “Il bufalo”
(Lispector, 1989), C’è una sostanza amara e sconosciuta che circola in
noi e che si chiama "odio". Per la donna nella stona si tratta di “ far cri-
stallizzarc" eli coagulare questa sostanza. Riconoscerla, afferrarla, pro
varne la natura, goderne. Di cosa ê fatta questa sostanza che inebria e
che avvelena? “Il bufalo" ce lo dice in modo mortale. Il desiderio di con·
fessione è in un certo senso il bisogno di sputare Tosso, il rospo, vomi
tare, rigettare una certa sostanza - che ê parte di me.
Qui, una donna domanda silenziosamente alla brutalità di un bufa
lo il segreto eli tutta la brutalità.
In un altra stona, un “uomo” chiede ad un cane il segreto seppelli
to più profondamente, il segreto che si fonde con ia natura umana stes
sa. Si tratta dell'amore, che non è quello che pensiamo, noi che pensia
mo che l’amore ami e che amiamo “amare” . Noi che crediamo di sape
re, che calcoliamo, che siamo una specie di “professori di matematica”
La stona è intitolata “Il delitto del professore di matematica” (Lispector,
19S9). Pur se nel racconto non c’è nessun “ Professore” intitolato. C’è
solo “l’uomo” Senza nome, senza professione. L’uomo-umanità, colui
che prende le decisioni in famiglia, ecco “l’uomo”. Ln,uomoMarriva in ci
ma ad una montagna, spinto da un misterioso disegno. Porta gli occhia
li. Gli occhiali sono più che semplici occhiali. Per "vedere” meglio, l’uo
mo si toglie gli occhiali. Il testo non smette di togliere e rimettere gli oc
chiali, sempre in un sottile contrappunto o contrattempo. È cosi che re*
goliamo il nostro modo di non vedere, o di vedere ciò che non voglia
mo vedere. Vedere, non vedere, rendere visibile, nascondere/esporre,
cosa? Cosa c'è in quella borsa pesante che l’uomo trasporta?
L’uomo apre la borsa e ne tira fuon un cane morto e sconosciuto:
molto sconosciuto, molto m orto22. “Il cane morto” . Ora io seppellire*
” (Un recente riferimento molto Dello al “cane” è m “Il libro personaggio del li
bro” (Cixous, 2001, IV II riferimento e a un dipinto di Goya: -«Questo Cane non lo ave
vo mai visto prima, questo mczzo-Cnnc, a metà strada tra la vita e la morte la terra e il
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 71
mo. Si tratta della sepoltura del cane? L’uomo pensa e calcola. Calcola i
dettagli precisi della sepoltura, lì in alto, sotto il cieio - che vede o non
vede? - pensa "al cane vero”. Improvvisamente apprendiamo che il cane
vero vive in un'altra città mentre qui l'uomo lo seppellisce, nelle sem
bianze di un altro cane, quello morto. Doppia sepoltura, dei vivo e dei
morto. Sembra che l’urgenza sia di seppellire...
Abbiamo bisogno di cani. Ecco perché nei nostri libri preferiti ci
sono tanti cani che siamo noi: i cani di Kafka; o \gatti: i gatti di Edgar
Alìan Poe.
... L'uomo vuole seppellire il cane esattamente dove vorrebbe es
sere seppellito, lui, l'uomo, se fosse morto. Deve/dobbiamo seppellire
lui/noi. Ogni giorno crediamo di dover reprimere, dimenticare e sep
pellire. Ma non è così. Il desiderio di seppellire nasconde un desiderio
più contorto: l’uomo vuole essere visto seppellire - vuole essere sco
perto mentre nasconde. (Chi lo vedrà là m aito a seppellire? Nessuno...)
L’uomo seppellisce il cane solo a metà. In effetti, il seppellimento é esi
bito in modo taie da sembrare un dissotterramento.
L’uomo deve disseppellire ia sepoltura, che equivale a far ritornare
il represso alia superfìcie della coscienza. Clarice Lispector non parla
mai pstcoanaliticamente, ma nei termini della propria etica. Uuomo de-
ve farlo perché si è sentito costretto ad abbondare il cane vivo. Che é un
delitto. Ma ê un delitto, sfortunatamente, invisibile. L’uomo è preoccu
pato dal delitto che, sebbene esista, non è accaduto, rendendolo colpe
vole sebbene non sia colpevole. L’uomo non può sopportare d’aver
commesso ciò che chiamerei im delitto perfetto, poiché nessuno ne sa
ciclo in un uragano dt ocra rovesciali eia Goya nei vano di un niente, a Madrid, da ciuaiv
do l’ho visto, dal giorno in cui l’ho visto, ero io, quel giorno, senza esitazione, ho visto
il ritratto della mia anima, una dissotterrala anche lei, io m quanto il mio cane dal mu
so giallo mezzo vivo malgrado ia stretta della morte. Era cone se avessi trovato la prova
del l’origine»* Vedi anche Lejo u r où je n*etais pas là (Cixous 2000, 149-150). in "Wriung
Blind” (Cixous, 1996,150), dopo aver giocato con le moi Dieu: le mot dyeux (la paro
la (degli) occhi|; te mot-dieu. Le mot dit ettx Ila parola dice !oro|; te mode veaux,
Cixous ricorda che "God is dog in thè English mirnor". Vedi, infine, “Stigmata, or job thè
dog” (Cixous, 1997).|
72 Hélène Cixous
Era questa nostalgia misteriosa dello spinto di “[otturarsi”, di far violenza alla
propria natura, di fare il male per l’amore del male, che mi spingeva a conti
nuare e finalmente a portare n compimento il supplizio che avevo inflitto a
quella povera bestia inoffensiva.
Una mattina, a sangue freddo, gli feci scivolare un nodo scorsoio al collo e l’ap-
piccai al ramo di un albero; e avevo gli occhi pieni di lagrime e ii rimorso più
amaro nel cuore, lo appiccai perché sapevo che mi aveva amato tanto, e perché
sentivo che non mi aveva mai dato ragione di offesa; lo appiccai perché sapevo
die facendolo commettevo un peccato mortale che avrebbe compromesso la
mia anima immortale tanto da ridurla se una tal cosa fosse possibile, fuori dalla
misericordia dei mio misericordioso e più terribile Iddio (Poe, 1999, 2-16).
25 (Nel passo, già citato, la frase non é in corsivo, il testo inglese, inoltre, rimanda
a Mll mio Puskin" (ò'etaeva 1991), pur l’indicazione precisa è a Cvetaeva 1993; una pos
sibile spiegazione è nel fatto che Cixous si rifa al testo francese che pubblica insieme 1
due saggi: Manna Cvetaeva, Mon Po 11ebbine-Poh chhine et Pougaichov, irad. André
Markowicz & Clémence Hiver, Paris 1997.}
74 Hélène Cixous
•dui. Non faccio mia l'affermazione di Bachmann, che pur ascolto con te
nerezza, simpatia e dolore. Non sono al punto in cui chiamerei fascista
a giusto titolo la relazione tra uomo e donna. Eni vero per lei: la rela
zione tra uomo e donna al suo tempo, m Austria, era vestita, si presen
tava col vestito del fascismo.
Solo alia fine - tutti i libri di Ingeborg Bachmann sono libri della fi
ne - ogni volta scrive m agonia - si dira tutto ciò che non si è pcnuto di
re. Non solo che c’è guerra tra gli esseri, ma anche che questa guerra è
prodotta dalla differenza sessuale, E non solo dalla differenza sessuale.
Dai sotterfugi, dai paradossi, dalle sorprese che ci riserva la differenza
sessuale, È la ragione per cui il conflitto uomo-donna non è sufficiente,
a me, nel mio tempo, nel mio luogo, È una questione di differenza ses
suale; ma la differenza sessuale non ê quella che pensiamo. È allo stes
so tempo tortuosa e complicata. C ’è la differenza sessuale, e c'è ciò che
essa diviene nelle sue distribuzioni e nelle sue manifestazioni m ognuno
di noi. Lo sapevamo giù con Shakespeare: noi stessi non apparteniamo,
e non sappiamo chi amiamo34. Prima dell'ultima ora non saremo mai ca-
u [Ringrazio Monica Fiorini per avermi formio la traduzione della frase, insieme ai
commento deM*autnce: “Ho sempre amato - lo annoio perché sra insculto in me come
una divisa sui muro di Montaigne -, ho sempre amato la frase di Shakespeare·.
“Ourselves we do noi owe". Noi stessi non ci possediamo. Non ci conosciamo. Non sia
mo padroni di noi stessi. Bisognerebbe meditare il mistero di questa espressione dell’io
che insiste, nella lingua, su di me, per sdoppiarsi, (dunque dividersi), approssimarsi, ap
propriarsi del suo proprio, come se sentissi che allorquando sono/dico "io” non sono an
cora io, non abbastanza io, non molto io, sono allietiamo tu che io; bisognerebbe ascol
tare questa accolta di me die cerai di abbracciarsi, di coniugarsi, di constatarsi: me stes
so. E più strettamente m inglese: myselj\ ma l'inglese slitta verso l'aggettivo possessivo,
"mio-io", dice la lingua inglese, il mio-propricwo, io stesso mi possiedo. “Non possedia
mo il “nostro pror>rio,,‘\ suggensce Shakespeare in un possente paradosso. C'è del pro
prio ma chi può dire: io sono il proprietario del mio proprio? “C ’esi du propre#' (Bella
roba!!), eccone un'altra! E questa forma idiomatica è “propria” solo della-lingua france
se. Shakespeare la illustra, a qual punto siamo fuorviati, o al contrario illuminali. É una
dichiarazione forte: non possiamo neppure affermare la nostra stabilità sessuale perché
• si scontra con esperienze deiraltro tali da farci vacillare. Shakespeare questo lo sostiene
nelle commedie passando attraverso metamorfosi, come nel Sogno di una notte di mez
za estate, travestitismo, travisamenti pure. Significa spingere alla visibili!;) estrema un
certo tipo di constatazione delle nostre instabilità», 8-9. (Cixous, 2001; una versione leg
germente diversa del saggio appare, col titolo “Aux commencements, il y cui pluriel...”,
7S Hélène Cixous
paa di dire che quella taie donna è in realtà un uomo. Perché non pos
siamo dirlo? Perché sarebbe dire ciò che il mondo non è ancora pronto
a sentire. Inoltre, è oltremodo pericoloso, perché siamo già sui cammi
no verso ciò che potrebbe essere ripreso e distorto dalla misoginia. Im
maginiamo di amare una donna che dentro é un uomo. Ciò significa che
amiamo non un uomo esattamente, ma una donna che è un uomo, che
non è affatto ia stessa cosa: ê una donna che è anche un uomo, un'altra
specie. Queste complessità non sono ancora udibili. Anche se é vero,
stranamente, ancora oggi ci atteniamo ad una differenza netta, conci
nniamo a dire uomo e donna, pur se non funziona. Non siamo fatti per
rivelare il grado della nostra complessità. Non siamo abbastanza forti,
non abbastanza agili; solo ia scrittura è capace di fario. A volte siamo
sposati con un uomo perché è una donna, anche se abbiamo creduto di
sposare un uomo. Chi abbiamo sposato? La nostra nonna, forse- Una
donna che era la replica di un uomo divoratore di donne, che si faceva
passare nel mondo per una donna per eccellenza. Sotto tali spoglie, el
la faceva ecatombe di donne, mentre veniva ceJebrata dagli uomini per
il fascino materno. E un racconto vero. Dovremmo scrivere "Le Favole
della Differenza Sessuale”, sarebbero i racconti dei nostro tempo; verti
ginosi. I greci io facevano. Nelle tragedie greche Eschilo ci dice fin dal·
l'inizio che Clitennestra è di forza virile. Ma allora chi uccide Agamen
none? Mi piacerebbe saperlo. È un uomo o una donna che uccide Aga
mennone? Vuol dire che una donna che uccide un uomo è un uomo»
ecc.? In altre parole, che solo un uomo uccide un uomo. Ma allora per
ché accusare Clìmennestra d’essere una donna? Non c'è fine...
Potremmo riflettere su questi misteri ma non lo facciamo. Siamo
incapaci di inscriverli o di scriverli perché non sappiamo chi siamo, una
cosa che non consideriamo mai perché ci prendiamo sempre per noi
stessi; e, da questo punto in poi, non sappiamo più nulla. Voglio dire
sinceramente che io non ho ia più vaga idea di chi sono, ma che alme-
nel dialogo con Mireille Calle-Gruber, pubblicato su Genesis, 1997). la citazione già inti
tolava una sezione di “Tancrède con li nuè” (Cixous, 1986; Bono, 2000, 63).]
'Tre Passi sulla Scala della Scrittura 79
no so di non sapere. Non sono l’aitro che può percepirmi. So delle co-
: se su di me. So chi non sono, credo.
Per quanto riguarda te, che sei l'altro, sono là dove penso tu non
sia chi credi d’essere, chi sembri essere, chi il mondo crede tu sia - uti
lizzo ia seconda persona per evitare la difficoltà di parlare ai maschile o
al femminile - d'altro canto, dato che la definizione dì me o di te è la co*
sa più vulnerabile in noi, ciò mi impedisce di pensare ciò che penso.
Quando diciamo ad una donna che è un uomo o ad un uomo che è una
donna, è un insulto terribile. È la ragione per cui ci si scanna.
Abbiamo identificazioni estremamente forti, che fondano ia nostra
dimora. Una carta d’identità non permette confusione, tormento, o
smarrimento. Essa afferma ie immagini semplificate e nette delle comu-
galità. Se si rivelasse la venta delle scelte amorose o deil'odio, questa fen
derebbe la crosta terrestre. Ecco perchè viviamo in un'illusione legalizza
ta e generalizzata: la finzione prende il posto della realtà. È la ragione per
cui il solo nominare una di queste svolte deirinconscio che fanno parte
delia nostra strana avventura umana, provoca tali capovolgimenti (che
sono allo stesso tempo intimi, individuali e politici); ê la ragione per cui
noi, coscientemente o no, cerchiamo di salvarci da tale nominazione. Chi
è chiamato "sposo” da una donna, è il padre, il figlio, oppure egli-madre?
Chi governa il paese, è ii padre o il figlio? La guerra che divide il mondo
m due metà ê una guerra tra il. padre ed il figlio, oppure é una guerra tra
il padre arcaico = una specie di madre, e il figlio geloso. E ie donne?
Nei nostri tempi appassionanti su tutti i fronti politici, dove indubr
blamente c'è una lotta aperta e coperta con i misteri delia differenza ses
suale, in quanto donne siamo alla mercé obbligatoria delle semplifica
zioni. Per difendere ie donne siamo obbligate a parlare nei termini fem
ministi di “uomo” e di “donna" Se cominciamo a dire che quella tale
donna non ê interamente o per niente donna, che questo “padre” non
è un padre, non possiamo più batterci perché non sappiamo più chi ci
Sta di fronte, È cosi distruttivo, talmente destabilizzante, che chi è con
sapevole della posta in gioco, si trova spesso spinto verso una forma
d’interdetto. Solo postumi possiamo permetterci di mettere in dubbio
la terra, di far tremare ia terra.
80 Hélène Cixous
iS (Dì nuovo, ii riferimento bibliografico del testo inglese è a ‘il mio Pushkin"
(Cvetaeva, 1991). Crediamo di poter emendare la possibile confusione - vedi nota 23-]
Tre Passi sulla Scnla della Scrittura 81
Un sogno di Kafka
Chi (cosa) non ci riguarda/ Non è affar nostro
Fissando a lungo il viso di Dio
La Scuoia dei Sogni è situata sotto il Ietto
Sognando nel 1990
Sogni, Produzione, Creazione
I
Il gusto dei segreto
II sogno ci insegna “it puro elemento della paura"
Come possiamo finire un libro, un sogno?
Mi piacciono gli scrittori da sogno
Li stona dei miei sogni
Viaggio ai sogni più vicini
Cosa dobbiamo fare per andare alla Scuola dei Sogni?
j Riprendo In mia ascia. Apriremo un senuero attraverso ia foresta.
Avanzando alla luce dell’ascia.
Riscrivo la mia FI. La mia scala dì scrittura.
La Scuola dei Sogni? Come arrivarci? Non a sj può andare per la
strada della città, né a piacere, e neanche con l’autobus.
È sempre temibile domandarsi se si può andare alla Scuola dei So
gni. C’è qualcosa nel utolo “La Scuola dei Sogni" che ci gioca: una spe
eie di gioco spiazzato del gatto e del topot con il topo che ha un gran
desiderio d’essere mangiato. L’andare alla scuoia dei sogni si prende
gioco di noi.
I Sogni cj attendono in un paese per il quale non si possono com
prare biglietti. Se dico: "Voglio andare alla Scuoia dei Sogni”, ci sono tin
te le possibilità che i sogni nn dicano: "Puoi sempre correre", senza che
io raggiunga mai i sogni.
Oggi ho fatto due atti mancati: ho dimenticato di portare due testi.
Uno è L'interpretazione dei sogni di Freud l’altro è Mandel'sumi: L'o
pera critica completa di prosa e lettere (1979), un testo che "non leg
go ” Forse alla Scuola dei Sogni si lavora anche con la mancanza, l’as
senza, l'omissione. Non ho dimenticato, però, // segreto di Clarice
Lispector (1999). Ecco un libro che “leggo’', ma che non ho mai Unito di
leggere. Non faccio sforzi né per leggerlo né per non leggerlo. Lo lascio
essere, è nella stanza, ê là, spesso non lo leggo e, nel frattempo, oscu-
Hélène Cixous
ramente irradia. È una forma di lettura (cosi si va alla Scuoia dei Sogni,
facendo un'enorme deviazione). C'è qualcosa di straordinario nel rap
porto che abbiamo con i libri. Il libro é ia Porta, il Sogno fatto dall’altro
che non ci scappa, che ci sogna e ci aspetta. La cosa magnifica con i li
bri è che possono aspettarci. È cosi che il segreto nn aspetta, ed io non
ho fretta. Mi dà tempo- E un mistero della scrittura. Non tutu i libri ci
danno tempo. Il segreto dà tempo perché è esso stesso scavato nei tem
po, talmente ricco e folto, tanto sfogliato da essere sostanza pura di
scrittura. Non ci racconta una stona, ci fa sentire, gustare, toccare una
vita, la vita. È là come una persona immobile, eterna, piena, Ja cui infal
libile caratteristica produce qualcosa di perennemente strano: la pa
zienza , con o nonostante il desiderio. Non ho finito di leggere il segre
to, io sto leggendo, e in questo wsto" esistono passaggi di non-iettura nei
quali il libro continua ad emettere i suoi raggi.
Lo stesso vaie per il libro Mandel’stam: L'opera critica completa
di prosa e lettere, questi due libri rappresentano per me i due poli dei
la scrittura.
Non c’è lettore più grande di Mandel’stam. La maggior parte dei
poeti legge in segreto, dandosi di rado alla lettura; Mandel’stam é inve
ce un lettore sublime ai quale si deve il fatto d'elevare ia lettura all'al
tezza della poesia, facendone un’arte equivalente.
Riferiamoci di nuovo alle prime frasi della lettera di Kafka. Ecco il
segreto:
Erba sulle strade di Pietroburgo - i primi germogli di una foresta vergine che
copriranno il sito di città moderne. Questo intenso, tenero verde, straordinario
nella sua freschezza, appartiene ad una nuova natura ispirata (Mandei'statn,
1979, 112).
Non ê dato a tutti d’aver accesso a questo altro mondo in cui vivo
no i morti ed i morenti. Non tutti siamo invitati dai morti, la più saggia
delle compagnie. Se non possiamo arrivarci morendo, allora andiamoci
sognando.
Sono stato ospite presso i morti. Era un gran sepolcro lindo, dove c erano già
alcune bare, ma c era ancora molto spazio. Due bare erano aperte e facevano
pensare a due letti sfatti da cui qualcuno fosse appena uscito. C’era poi uno
scrittoio, ma un po’ in disparte, talché non mi accorsi subito che c era seduto
dietro un uomo dalla corporatura gigantesca. Nella destra teneva una penna,
pareva che stesse scrivendo e sì fosse interrotto proprio allora; la sinistra gio
cava, sui suo panciotto, con una catena d'orologio scintillante, e la testa ie
s’inchinava profondamente incontro. Una serva stava scopando, ma non c era
niente da scopare (Kafka, 2000, 855).
lare, quella comune. Più o meno lo stesso accade a tutti coloro che hanno vis
suto un’esperienza particolare. Mosè, ad esempio, sul monte Sinai ha certo
vissuto un'“esperienza particolare” , ma invece di abbandonatasi, come po
trebbe fare un morto apparente, che non dà segni di vita e resta disteso nella
cassa, egli è scappato giù di corsa dalla montagna e aveva certo da raccontare
cose inestimabili e amava gli uomini, presso i quali si era rifugiato, ancora
molto di più di prima, e in seguito ha loro sacrificato (a sua vua, si potrebbe
quasi dire per ringraziamento. Da entrambi, però, dal morto apparente che
torna come da Muse che ritorna, si può imparare molto, ma non la cosa deci
siva, perché non ci sono arrivati nemmeno loro. Se ci fossero arrivati, infatti,
non sarebbero tornati più. Del resto non vogliamo arrivarci nemmeno noi. E
ce lo prova il fatto che, ad esempio, potrebbe anche venirci il desiderio di vi
vere l’esperienza del morto apparente o quella di Mosè (avendo però il ritor
no assicurato, quasi un "salvacondotto”), che ci avviene persino di desiderare
ia morte: ma neppur coi pensiero vorremmo restare vivi dentro la bara senza
possibilità di ritorno, oppure sul Sinai... (ibid., 1010).
1(Il senso tPusduT coinvolge, in pnmo luogo, il “sapere" "Il movimento princi
pale e generale è uscire: uscire dalla logica dei due campi, uno di fronte all'altro, dalle
fortezze, dalle cittadelle dei .sapere teorico, per intravedere il campo aperto dove gli in
contri possibili sono incalcolabili" (Sein, 2000, 81). I
Tre Passi sulla Scala delia Scrimini 89
Fu a quel punto che vide l’uom o immobile alla fermata. La differenza tra lui e
gli ahn consisteva nella sua assoluta immobilità. Stava rn piedi, ninni protese
in avanti. Era un cieco.
Cosa fu mai che suscito m Ann tanta inquietudine? Stava accadendo qualcosa
di inquietante. Allora vide che il cieco masticava gomma... Un uomo cieco ma
sticava gomma.
90 Hélène Cixous
Per la frazione di un secondo Ana ebbe ancora il tempo di ricordare che i fra
telli sarebbero venuti a cena - il cuore (e batteva violento, cadenzato. Protesa
m avanti, guardava profondamente il cieco, cosi come si guarda ciò che non si
vede. Lui stava masticando gomma nell'oscurità. Senza sofferenza, con gli oc
chi aperti, i movimenti della bocca, mentre masticava, disegnavano sulle sue
labbra una specie di sorriso, poi di colpo smetteva di sorridere, sorrideva di
nuovo e nuovamente smetteva di sorridere - Ana lo guardava come se iui l’a
vesse insultata. Se qualcuno l'avesse osservata in queiristante, avrebbe avuto
l’impressione di una donna carica di odio (Lispector, 1999, 18).
Ciò che possiamo sperare alla Scuoia dei Sogni è d’avere la forza
sia di gestire che di ricevere il colpo d’ascia, di guardare dritto il viso di
Dio, che non è nitro che il mio proprio viso, ma nudo, ii viso della mia
anima. Il viso di "Dio” ê lo svelamento» la visione vertiginosa della co-
struzione d ie siamo, le piccole e grandi bugìe, le piccole noivventà che
dobbiamo tessere incessantemente per preparare la cena dei nostri fra
telli, cucinare per i nostri bambini... Svelamento che si produce solo a
sorpresa, per caso, e con una brutalità fracassante: sotto ii colpo della
venta, il guscio d'uovo che siamo si rompe. Proprio nei mezzo dei cam
mino della vita: l’apocalisse; noi perdiamo una vita.
Con mia sincera sorpresa, che non è altro che il prodotto di una
forma di cecità, ho capito in tempo che gli scrittori che amavo sono tut
ti del tipo morenti-veggenti. Ciò che anche unisce questi scrittori é d ’a
ver scritto, come amo dire, alia luce dell'ascia : tutti hanno osato seri
Tre Passi sulla Scala delhi Scmturn 91
vere il peggio, osato “frangere il mare gelato”, come dice Kafka, rompe*
• re i gusci (coquilles) delle uova, gli scafi (coques) delle barche; tutti
: hanno osato schiantare i crani, i propri crani, e far ritorno nella foresta.
: .Queste cose si compiono per mezzo di separazioni violente, perdite, ed
! una buona fortuna - senza la quale saremmo molto limitati; siamo ca-
; paci di far ciò alla Scuola dei Sogni. DovTè situata?
La Scuoia dei Morti è dietro il muro.
■[L’immagine è in Manne (Cixous, 1988): «Pour bien courir lous les sentiers de
. TEnfer de ce siècle, combien de souliers me foudni-t-il user, se domandali Osip,
avançant juste derrière Alighieri, ne lâchant pas le maître d’une semelle, maintenant
92 Hélène Cixous
ciu'il avait un pa&sporc pour h Cité Dolerne-. Per le scelte stilistiche della traduzione in
glese di questo passo, vedi MacGillivniy, 199-i, L1V.]
' |Casi la metafora, la relazione di transferenza, la transe (MacGillivray, 1994,
XVI), ma anche la pmura e In musica. Nadia Setti commenta: *«ùi pittura o la musica non
sono tanto considerate come metafore della scrittura ma come mezzi di trasporto, for»
me di passaggi, poiché la domanda soggiacente e talvolta dolorosa è come trasportare
e trasportarsi da una realtà corporea a un'altra, da un essere concreto ad un altro di-
vm im em e cosmiuto (Sem, 2000, 81). Per fornire solo due esempi della capacità di
lettura del passaggio "pittorico", si veda “Sans Arrêt, non, Bat de Dessi nation, non,
plutôt: Le Décollage du Bourreau’* (Cixous, 1991) e “Bethsabée ou la Bible intérieure’*
(Cixous, 1993). Per l'attenzione alla musica, rimando ad uno dei possibili infinii ì mie*
ressi di Cixous: Le nom ci'O edipus : Chant du corps interdit, libretto, des femmes, con
musica di Antiré Boucourechliev, direno da Claude Régv, ai Festival d'Avignon, 1978.|
“* (Impossibile tentare di seguire le risonanze della presenza ilei ‘■giardino” nel*
l'opera di Cixous; rimandiamo al breve ma splendido testo Un vraijardin (1971/1998),
e a Le troisième corps (1970/99) nel commento di Mireille Calle-Gruber, "Corpo/corpi
della differenza sessuale” (2000, -19-50): «Perché è innanzitutto un modo di abitare “il
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 93
giardino", vale a dire la terra, che viene qui evocato: un abitare plurale a due o più di
due, di una “umanità corrente” altrimenti detta mortale, luMci, nella loro umilia di
"vermi0, destinati a ritornare polvere. Scena paradisiaca deli'Eden...». In Cixous & Calle-
Gruber (199-0. *1giardino m cui avviene rincontro tra le due studiose diviene il "luogo
delle relazioni, relazioni di colon, di specie diverse insieme, tra il vegetale e rumano, la
relazione al fenomeno della crescita, della preservazione" Vorrei indicale una possibile
fioritura del giardino d'Essais, come indicata da Conley (1991, 116): «essais: esse, et c ’e-
st, et sait, die sais, (Hjél.C».\
Hélène Cixous
s {Il riferimento alla "larva*’ ritorna ne “Il libro personaggio del libro” (Cixous,
2001, 2): *i.e larve provocano in noi una leggera ingiusta repulsione come tuue le re*
pulsioni leggermente giustificate: c il nostro difetto d’anima, ìi nostro gusio acquisito
per il definito, il situato. Una larva - una larva di insetto non é questo, non ê quello, è
una forma embrionale tipica degli insetti che appunto non sono questo e non sono
ciucilo, come la blatta nmnemonale sulla quale l’intera vita di G.H. finisce coJ fracassare
la sua chiglia. Quelle cose, blatte, larve, le temiamo, affascinati. Ma prima che la lingua
francese designasse con larva uno stadio intermedio nella genetica degli insetti, abba
stanza tardi, nel IR* secolo, poma dì pos?rsi su queste cose-esseri, mezzi sepolti, per
meta immersi, abbastanza tardi, fa parola larva si aggirava per le case. Le larve erano al
lora gli spirili dei morti, che perseguitavano i vivi, gli spiriti in latino. L'origme di larva è
tur. Se fossi Edgar Poe direi: è l ’arte (t'arf). Li si chiamava dei, questi lari, tutelari dei
focolari tIella vita romana, incaricati della protezione dei vivi che avevano dapprima, in
quanto spiriti dei morti, perseguitato. Un, larve, antichi spiriti infernali, trasformati nel
loro contrarlo da queirambi valenza descritta da Freud. Ma non si dimentica mai la mi*
nnccia. Si chiede proprio a chi si teme dì proteggere il delicato foro interiore. Si prega*
no i morti rii custodire la vita, si tutto ciò che è larva è sia buono che cattivo vivente e
morente attira perché respinge, spaventa perché seduce inesplicabilmente. In questi
tempi larvali non conoscevo ancora il concetto di UnhefttilicO ma ne facevo molto spes
so l'esperienza. Per le larve mio malgrado, a dispetto della mia repulsione, avevo in me
un Faible (debole) come si dice in tedesco (si noti che un “Faible’’ ù sempre una os*
sessione, uno spirito/corpo estraneo che non si riesce a rifiutare nel focolare mentale,
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 95
io si accusa e lo si accetta). Avevo dunque mio malgrado e a causa dei miei morti in me
- mio padre e il seguito innominabile - un "Faible" (pronunciato Febettl in tedesco; per
le larve, genia di larve, cose-esseri il cui stato transita tra due stati. Perchè le larve non
sono embrioni all'interno dei corpo materno, conducono una vita libera, néquestone-
quello, fuori dall'uovo, e questo che mi inquieta, non sono ancora ma già». Vedi l'inter
pretazione, all’interno della problematica del “dono'1e della “differenza sessuale’*, del
sogno di H.C. di una "formica*’ da parte di Jacques Derrida (199;i).f
96 Hélène Cixous
abbiamo trofico ien nella polvere, eccolo nel capitolo seguente, vec
chio, barcollante e cieco. Chi sognerà cjuesto famoso sogno è il figlio
speciale di un padre cieco, un uomo assai particolare. C’è l’ascensione,
quel movimento che ci procura il senso che gli esseri maturano e cre
scono. Ma sono uomini» così deperiscono. Non sono buoni: a volte so
no buoni, altre volte sono cattivi. Non esitano davanti alle gesta più in
classificabili, e sono accessibili a tutto ciò che, nel gelo della nostra im
maginazione, farebbe cadere un personaggio fuori da una scena "nobi
le” La storia della gioventù di Mosè, ad esempio, è stupefacente. Non
c'è uomo più ordinario di Mosè; dentro di sé attraversato da tutti i tipi
di passioni inaspettate, il nostro Mosè è stato per secoli il Mosè di Mi
chelangelo, e non il Mosè della Bibbia. Il Mosé della Bibbia si taglia ra
dendosi. Ha paura, e un bugiardo. Combina una varietà di cose sotto la
tavola prima d’essere Lassù con le altre Tavole. È ciò che il mondo oni
rico della Bibbia ci rende evidente. La luce che bagna la Bibbia ha il co
lore crudo e senza vergogna della luce che regna sull'inconscio. Siamo
noi che, in seguito, trasformiamo, spostiamo e canonizziamo la Bibbia,
la dipingiamo e la scolpiamo diversamente.
Per iniziare, Giacobbe parte. Troviamo sempre la partenza connes
sa ai sogni decisivi: il ietto è spostato. La natura del sogno, in cui o da
cui sogniamo, è importante. Potremmo dover lasciare il nostro letto
proprio come un fiume fuoriesce dal suo. Forse lasciare il letto legittimo
è una condizione del sogno. Giacobbe parte, dopo un episodio in cui
deruba il fratello maggiore Esau del diritto di nascita, ingannando il vec
chio cieco Isacco con l’aiuto della madre. Al che, il vecchio Isacco scac
cia Giacobbe fuori dal paese, verso un altro ramo della famiglia. Lo al
lontana e, allo stesso tempo, lo spedisce a vivere la sua vita d’uomo or
dinano, che si sposerà, ecc.. Cade la notte, Giacobbe è all’estero.
Nella mia versione, inscritta per sempre nella stanza dei sogni, vedo
sempre la stessa cosa: la scala e il movimento degli angeli in ascesa e di
scesa. Ero particolarmente deliziata da questa folla di angeli discendenti.
Permettetemi di ritornarci, È il ritratto del primo sogno della mia vi
ta: é figurativo, per me è una scala con uno scalino. Gli altri sarebbero in
ventati da quelli che salgono e scendono la scala. Avrete probabilmente
indovinato che è Ja figura delia scaia di Giacobbe. Da piccola sono stata
introdotta ai sogni dalla scala di Giacobbe. Il passo arriva presto nella
Bibbia, nel libro della Genesi. Mi sono sempre rallegrata, quando m se
guito sono cresciuta fuori dal Giardino, che questo sogno arrivi presto
nella Bibbia, che la Bibbia inizi a sognare in fretta; mi sono appropriata di
questo sogno. Ne ho conservato una versione tutta mia, e solo in segui
to ho capito, rileggendo il libro, controllando e cercando ia scoria, che
avevo lasciato cadere alcuni elementi che non mi interessavano. Mante
nevo solo Giacobbe, la scala, e la pietra - un elemento era scomparso
completamente dalla mia memoria: Dio. Lasciate che rilegga il passo:
Ecco il Signore gli stava davanti e disse: "Io sono il Signore, il Dio di Àbramo
tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e
alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e u
estenderai a Occidente e ad Oriente, a settentrione e a mezzogiorno, li saran
no benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terni. Ecco
io sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in que
sto paese, perché non u abbandonerò senza aver fatto tutto cjuello che t’ho
detto” . Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: "Certo, il Signore: è in
questo luogo e io non lo sapevo" Ebbe umore e disse: “Quanto ë tenibile
9B Hélène Cixous
questo luogo! Questa è proprio ia casa di Dio, questa e ia porta del cieio" (Gn,
28, 13- 17).
Si guardava alio specchio, il viso bianco e delicato perduto nella penombra, gli
occhi aperti, le labbra inespressive... disse... "... Ma voglio che nn comprino,
sennò... sennò... mi ammazzo!" esclamava scrutandosi il volto spaventato da
quella frase, e orgogliosa dei proprio ardore usci in una risata falsa, bassa e
brillante. Sì, sì, per poter esistere lei aveva bisogno di una vita segreta. Subito
dopo eccola nuovamente seria, stanca - il suo cuore batteva neU’ombra lento
e rosso. Un nuovo elemento fino ad allora estraneo le era penetrato nel cor
po dopo che era nata (a Società delle Ombre. Oggi sapeva di essere buona ma
quella bontà non escludeva la sua cattiveria. Era una sensazione già un po;
vecchia, l’aveva scoperta giorni prima. E di nuovo un desiderio ìe pungolava il
cuore: quello di liberarsi ancora di più. Uscire dai lìmiti della sua vita - questa
frase ie girava nel corpo tacita, semplicemente come una forza (Lispector,
1999, 72-73).
"Uscire dai limiti della mia vita”. Virginia ignorava il senso di quelle sue paro
le mentre si guardava allo specchio nella stanza degli ospiti. Potrei ammazzar
li tutu, pensava con un sorriso e una libertà nuova fissando infantilmente la
propria immagine. ... E da dove le era venuta quelfidea? Dopo quel mattino
passato in cantina, le domande le sorgevano facili: lei progrediva sempre eli
più, ma in quale direzione? Andava avanti imparando cose delle quali m tutta
ia sua vita non aveva nemmeno avvertito l’inizio. Da dov era venuta quell’idea,
dal suo corpo? E se il suo corpo fosse stata la sua destinazione?... (ibid., 72).
“Eccomi nello specchio!”, gridava, rozza e felice. Ma cosa poteva? Cosa non
poteva? No, non voleva aspettare un occasione per ammazzare, se doveva am
mazzare desiderava farlo liberamente senza un occasione... questo sarebbe
stato uscire dai limiti della sua vita.
100 Hélène Cixous
Stava camminando quando vide un cane e con uno sforzo ansimante simile a
duello che si fa per uscire da acque chiuse, a ciucilo che si fa per uscire da ciò
che si può, decise di ammazzarlo mentre camminava. Il cane scodinzolava in
difeso - pensò di ammazzarlo e l’idea era fredda, ma lei temeva di ingannare se
stessa, dicendosi che l’idea era fredda per sfuggirne. A quel punto, a gesti
guidò il cane fino ad un dato punto sul fiume e col piede lo spinse risoluta
mente nelle acque verso la morte. Lo senti guaire, lo vide dibattersi trascinato
dalla corrente e morire - non ne rimase nulla, neanche un cappello. Virginia
prosegui serenamente. Serenamente continuava ad andare alla ricerca. Vide un
uomo, un uomo, un uomo. Per effetto del vento i suoi pantaloni ampi gli si in*
coliavano al corpo, quelle gambe, quelle gambe magre. Era un mulatto, l’uo
mo, l'uomo. I suoi capelli, mio Dio, i capelli ingngivano. Tremando dal disgu
sto lei gli andò incontro tra l'ana e lo spazio - e si fermò. Anche lui si fermò, i
vecchi occhi in attesa. Niente sul volto di Virginia lasciava supporre ciò che lei
aspettava che accadesse. Lei doveva parlare e non sapeva come. Disse:
"Prendimi" (ibid., 74-75)-
Pruno sogno
glese Questa bambina era un gei no. Provavo una gioia, una fierez
za. Lo gridavo ai quattro venti. Mia figlia, che parla a dieci mesi, mi
ha detto “quando vorrai”. A questo punto, mentre avanzavo verso ìa
città e verso le spiagge col mio trionfo , notai da lontano, non così lon
tano, le prime strisce di fuoco. Che cos'è? L'incendio. Divorava già le
campagne, lefattone vicine, leforeste. Sarà presto su di noi. E non c'è
via d'usata. Con la bimba in bracciot pensavo a fuggire. Ma dove?
Dappertutto il fuoco ha già preso, siamo al centro: è su di noi. Ho pen
sato alla pisci) ia. Un'idea debole. Restare nell'acqua, sotto il fuoco? Ci
proverò. Mi sono precipitata. Aila piscina c'erano già delle persone
che avevano avuto la stessa idea. Sul bordo, ad un tavolo, la Signora
U scriveva rapidamente una lista di persone da informare in caso di
incidente. Lo faceva in modo ordinato. Ha ragione. Anch'io dovrei al
meno lasciare qualche segno scruto su di me, m caso di morte. L'ho
fatto subito, mal preparata, un pezzo di carta, scrivo il nome della
bambina: None. Se muoio e la trovano, bisogna che sappiano chi è.
Mi dico allora che None non è sufficiente. Bisogna mettere di chi èf i
glia. Scarabocchio, faccio scivolare il pezzetto di carta nel vestitino di
None. Ero per strada con None ; tutto in fiamme. D'improvviso ho pen
sato a mio figlio, mio figlio. Ah! Ecco quando il cuore ni 'ha preso fu o
co. Sono pronta a morire con mia figlia t ma non separata da mio f i
glio. L'idea che gli possa accadere qualcosa - a lui, solo - separato da
noi, mi è intollerabile. Correvo nelle strade, cercando mio figlio, sin*
ghiozzando, come se fosse già morto, sicura che fosse già morto. Lo
piangevo a morie. Non era al fronte all'inizio della guerra? Non ave
vo notizie, senza dubbio era morto lì senza di noi, oppure era disper
so, avremmo avuto morti separate. Singhiozzavo da spaccarmi le co-
stole, correvo attraverso l'incendio, avendo vinto tutto e perso tutto
nella stessa ora.
Te)*zo sogno
Pittura a mano o M
la scrittura eli una donna”
uomini cbe vedevo darsi da fare qui e là nella stanza. Inoltre, avvici
nandomi al lavandino, ho visto "il pittore” in azione. Era là. vicino al
lavandino, con la scatola di colon. Aveva appena disegnato un largo
punto verde, lì, nel quadro, col pennello. Avevo dipinto io? "Dipinto”?
Che cosa vuol dire? No: avevo fatto appello con le mani. Il ferro ed io,
avevamo fatto sorgere. Era successo a due corpi stranieri Pano all'al-
irò. Fuori, nel frattempo, era in arrivo una tempesta, gli alben oscilla-
vano, avanzava una colonna di polvere...1
Ciò che viene fuori quando si inizia a scrivere, sono tutte le scene
di impotenza, di terrore, o di grande potere. L’inconscio racconta un
racconto della possibilità supernaturale (è sempre supernaturale) di
portare alla luce un bambino, ma il miracolo nei sogno è che si può ave
re un bambino anche quando non si può avere un bambino. Anche se
siete troppo giovani o troppo vecchie per avere un bambino, anche se
avete ottant anni, potete ancora restare incinte d ’un bambino, e dargli
nascita, e allattarlo. E a volte il latte è nero.
Nella sua rappresentazione dei bambini, il sogno porta tutte le specie
di bambini e tutte le specie di libri. I bambini che arrivano nei sogni sono
lutti gii elementi di un libro. Non sappiamo nulla del libro: sono il sogno e
il bambino che ci insegnano tutto. Questi bambini sono i bambini di una
sognatnce e, allo stesso tempo, sono stranieri. È egualmente interessante
se sono bambini o bambine; a volte è un feto, a voite un uccello...
Il bambino straniero ha un'altra forma. Ne La morte di Virgilio
Herman Broch c’è sempre un bambino che va e viene, un compagno,
r Poiché questi sogni sono stati sognati e scruti in francese, il lavoro del signi fi-
carne si perde nella traduzione. "Reste le reste”: solo i resti restano. \Maima (Cixous,
1988) fa un uso dichiaratamente “polìttco-poetico” di questi resti - il dolce matrimo
niale per Nelson e Winnic Mandela, i dolci d’addio per Mandel*stam, l’uno nel senso
dell'unione differita che risulta in unione, attraverso ia separazione, della differenza; gli
altri quali simboli di una solidarietà anonima per il poeta esiliato (cfr. MacGillivray 199Ί,
XXII). in un'intervista (Cixous, 1989, 176), Cixous ricorda che «We must go to
Mischivi ts or io wnat remains of thè Cambodìam charnel-houses and wrap ourselves up
in méditation on these remains-.j
Tre Passi sulla Scala della Scrmu ra 107
po del fino. In effetti ho letto L'ora della stella la prima volta dieci anni
fa, e ho appena finirò II segreto, che è il più giovane dei due libri. En
trambi i libri finiscono nello stesso modo brutale - con un incidente di
macchina e ia morte del personaggio. É come se stessero imitando qual
cosa connesso alla vita e alla mone di un libro. Scrivere è questo, esser
giocati dalla vita e dalla morte.
Senza Transizione
Velocità
Questo è il modo in cui Jean Genet apre il Diano del ladro : “Le
vêtement des forçats est ravé rose et blanc". Nel momento in cui leggia
'Ire Passi sulla Scala della Seni tura 109
Rifiutate il libro, oppure siete già a righe bianche e rosa. È cosi im
mediato e potente; racconta all'istante cose a cui non siete abituati, i se
greti più profondi di un certo mondo. Sapete come si pensa nascano i
romanzi, con le circostanze; “nei 18.., avreste potuto vedere un gentiluo
mo, ecc. nella città di Nestfes, ecc../’ Qui inizia con: “L’abito dei forzati"
- che è il soggetto, l’eroe di questo libro formidabile. Inoltre, “a righe”
entra come qualcosa che attraverserà effettivamente la scrittura, righerà
la scrittimi, taglierà la scrittura; la strada sarà “tagliata" attraverso tulio il
testo. Quando leggete in francese: "si, commandé par mon couer
Γunivers où [e me complais, je l’élus", siete immediatamente trasportati,
senza capirlo, non solo in un altro mondo ma anche in un altro secolo; è
scritto nelPimpaginazione, con la scansione ed il vocabolario del grande
secolo della scrittura francese. Oltre ciò, gioca immediatamente con i si
gnificanti, cosi quando leggete "je l’élus” (tradotto in inglese “l chose",
che ê insoddisfacente; dovrebbe essere "i elected him”) st in francese
sentiamo anche un'altra cosa, per esempio “lo leggevo”, “je fai lu” Lina
tipica scrittura da sogno.
Attraversare le frontiere verso l’altro mondo senza transizione, ai
colpo di un significante, ecco cosa ci permettono di fare i sogni, ed è la
ragione per cui, se siamo sognatori, amiamo i sogni cosi tanto. È la can
cellazione dell'opposizione tra interno ed esterno, senza spiegazione: la
spiegazione distruggerebbe la magia. Non c'è suspense: la scena è im
mediatamente nell'altro mondo. I sogni sono come “I deserti dell’amo
re” (Rimbaud, 2000, 189-194), sono poemi. Ci garantiscono ciò che non
sempre abbiamo nella vita: {a velocita. Il passaggio é alla velocità di un
fulmine: non c!è passaggio, introduzione o entrata. Forse è quello che
mi piace di più nello scrivere narrativa, paragonato al tormento che pro
vo quando scrivo per ii teatro. A teatro ci sono ie entrate: non sì può ca
dere dal cielo, bisogna camminare tutto il tratto - una “entrata” a teatro
è il tempo di cui hanno bisogno gli altri personaggi per unirsi a noi sui
palcoscenico.
Nel testo, come nei sogni, non c’è entrata. Lo offro come test per
tutti gli apprendisti-scrittori: se marcate ii tempo, non ci siete ancora.
Nel testo, come nei sogno, siete già là. Inoltre, è la ragione per cui i te
sti possono provocare resistenza in un certo numero di lettori. Molti
non riescono a sopportare d’aver lo straniero proprio lì. Se voi, lettori,
non avete bruciato la casa, se siete ancora a casa, allora non volete spo
starvi aU’estero. Le persone a cui non piace ciò che chiamo “testo” sono
fobiche, persone a cui, in altre situazioni, non piace essere dislocati.
Fluida lei lo sarebbe stata tutta la vita. Ma ciò che aveva dominato i suoi con
torni e li aveva attratti veiso un centro, ciò che l’aveva illuminata contro il mon
do e le aveva conferito un intimo potere, era i! segreto (Lispector, 1999, 5).
lì per una moltitudine di segni; pur tuttavia non capiamo nulla. É così
che entriamo in un libro. Siamo ciechi e ignoranti, e a poco a poco ie
cose si fanno più chiare. Nei testo di Genet c’è ia divisa; ia divisa sarà in
gioco dall'inizio alla fine, come i forzati, come le strisce deireterna divi
sa - ancor più violento e magnifico perché, in questo testo, scritto pri
ma della distruzione dei bagni penali, Genet ne piange ja soppressio
ne 9 Genet ci parla al tempo presente della natura eterna dei bagni pe-
nalL Per tutta l'eternità, la divisa dei forzati sarà a strisce rosa e bianche.
Tutto è immediatamente sbarrato, a strisce, tagliato...
Entra il soggetto “L’abito dei forzati”
“Fluida iei lo sarebbe stata tutta ia vita". li soggetto “lei” entra.
"Fluida lei io sarebbe stata tutta la vita” Pintero libro sarà portato
da questa fluidità che troviamo anche in Acqua viva - che non vuol di
re che sia senza forma. Clarice sa cos‘è ia fluidità:
Ma ciò che aveva dominato i suoi contorni e li aveva attratti verso un centro*
ciò che Paveva illuminata contro il mondo e le aveva conferito un intimo po
tere, era ii segreto. Segreto al quale lei non avrebbe mai saputo pensare in ter
mini ciliari, temendo di invaderne e dissolverne l'immagine. Segreto che ave
va tuttavia formato nei suo intimo un nucleo lontano e vivo senza mai perde
re la propria magia - sostenendola nella sua insolubile vaghezza come la sola
realtà che per lei avrebbe sempre dovuto essere perduta (ibidem).
I due si sporgevano sui fragile ponte e, inquieta, Virginia sentiva 1 piedi nudi
vacillare come se si librassero sopra il calmo gorgo delle acque. Era un giorno
asciutto e violento dagli estesi colori immobili; gli alberi scricchiolavano ai tie
pido vento increspato dai bruschi raffreddamenti. Il suo vestito sottile e strap-
91 bagnes erano penitenziari dove gli ergastolani erano condannati ai lavori for
zati. Queste istituzioni oggi non esistono più.
112 Hélène Cixous
paio cia bambina era attraversato da brividi d'aria fresca. La bocca sena pre
muta contro it ramo morto dei ponte, Virginia immergeva gli occhi distratti
nelle acque. A un tratto, tesa e lieve lei si immobilizzo.
“Guardai"
Daniel aveva rapidamente girato la resta - trattenuto da un sasso, c’era un
cappello fradicio, pesante e scuro di acqua. Nella sua corsa, il fiume lo trasci
nava con brutalità e ii cappello resisteva. Fino a quando, perdendo le ultime
forze, fu portato dalla corrente veloce e scomparve saltellando quasi allegro
ira le schiume. 1due esitavano sorpresi,
“Non possiamo parlarne a nessuno”, sussurrò infine Virginia, con una voce di
starne e vertiginosa.
“Sì...". Anche Daniel si era spaventato e concordava... le acque continuavano
la loro corsa. “Neanche se ci domandano deH’aifog...”
“Mai!", per poco non gridò Virginia... E (acquerò con tutte Ìe loro forze, gli oc
chi sgranati e feroci (ìbid., 5-6).
Segreto al quale lei non avrebbe mai saputo pensare in termini chiari... che
aveva tuttavia formato nel suo inumo un nucleo lontano e vivo senza mai per
dere ia propria magia - sostenendola nella sua insolubile vaghezza come la so
la realtà che per lei avrebbe sempre dovuto essere perduta (ibid., 5).
Potreste mai immaginare che queste frasi siano state scritte da una
donna di ventanni? Continua più profondamente dentro il romanzo.
e, l...|, Virginia sentiva i piedi nudi vacillare come se si librassero sopra il cal
mo gorgo delle acque. Era un giorno asciutto e violento dagli estesi colori im
mobili; gli alberi scricchiolavano al tiepido vento increspato dai bruschi raf
freddamenti. il suo vestito sottile e strappato da bambina era areni versato da
brividi d’aria fresca, la bocca sena premuta contro il ramo morto del ponte,
Virginia immergeva gli occhi distratti nelle acque. A un tratto, tesa e lieve lei si
immobilizzo.
“Guarda!” (ìbidem).
E cosa vediamo?
E, come una porta che si chiucie m fretta senza rumore, rapidamente Virginia
si addormentò. E rapidamente sognò.
Sognò che la sua fora diceva ad alta voce dirigendosi ai confine del mondo:
voglio uscire dai limiti della mia vita, senza parole solo con l'oscura forza che
dirige se stessa (ibid., 74).
dai limiti della sua vita calma e vigorosa gli schiacciò col piede il volto rugo
so e gli sputò addosso mentre lui muto hi guardava non capendo e il cielo si
dilatava in un unico azzurro. In quel momento lei si svegliò di colpo c quan
do aprì gli occhi era quasi in piedi, il viso limpido e ansioso, immobile, Virgi
nia sentiva tutto il suo corpo fino all'ultimo nervo, grande, i muscoli rilassati
e contenti (ibid., 74-76).
i misteri persi
La parola magica
Ciò che troviamo nei sogni ê “il puro elemento della paura”
Quando Cvetaeva usa la parola elementor questa evoca qualcosa di ma
teriale, come se lei ci stesse indicando la pura sostanzat qualcosa di chi
mico, qualcosa di concreto, che si trova, si teme, si prova, si percepisce
nel sogno. In “Puskm e Pugachev”, Cvetaeva scrive:
Ci sono parole magiche, magiche oltre ì loro significati (siamo già nell’ele
mento, H.C.l, fisicamente magiche, con una magia inerente ai suono stesso,
parole che prima di esprimere un messaggio hanno già un significato, parole
che sono segni e significati in se stesse, che non richiedono comprensione ma
solo ascolto, parole dei linguaggio onirico delfanimaie, del bambino*
È possibile che ognuno abbia nella vita le proprie parole magiche.
Nella mia vita, la parola magica era e rimane - la Guida (Cvetaeva, 1993, 242).
Mi trovavo in quello stato dei sensi e dell’animo in cui i! mondo materiale, ce»
dendo alle fantasia, vi si confonde nelle sfumate visioni del primo sonno. Mi
sembrava che la bufera imperversasse ancora e che noi vagassimo ancora per
il deserto di neve... D’un tratto vidi delle porte ed entrai nel cortile padrona
le della nostra casa. 11mio primo pensiero fu il timore che papà si adirasse con
me per l'involontario ritorno sotto il tei lo paterno e lo considerasse un atto dì
intenzionale disobbedienza. Con inquietudine saltai giù dalla kibìtka e vedo:
la mamma mi viene incontro sul terrazzino d’ingresso con uncina di profon
do abbattimento.
■‘Fa piano” mi dice "papa è malato, sta per morire e desidera dirti addio”
Terrorizzato, ìa seguo in camera da letto: vedo che la camera è fiocamente il
luminata: accanto al letto stanno persone con il viso triste. Piano piano mi av
vicino al letto; la mamma solleva il velo e dice;
■‘Andrej Petróvic, Pei ni sa è arrivato; è tornato indietro quando ha saputo della
tua malattia; dagli la benedizione”
Mi misi in ginocchio e rivolsi i miei occhi verso il malato.
Ma come...? Al posto di mio padre, nel letto vedo sdraiato un muzik con la
barba nera che mi guarda allegramente. Sconcertato, mi voltai verso la mam
ma dicendole:
“Che cosa vuol dire? Questo non è papà. E per quale motivo dovrei chiedere
la benedizione ad un muzik?',
“È lo stesso, Petrùsa” mi ripose la mamma “questo è il tuo padrino; baciagli fa
mano, che ti benedica...”
Non volli farlo. Allora il muzik saltò giù dal letto, uro fuori una scure da die-
irò la schiena e si mise ad agitarla in tutte le direzioni. Volevo scappare,,, ma
non ci riuscivo; la cameni si riempiva di corpi morti; io inciampavo nei corpi
e scivolavo sulle pozze di sangue,.. Il terribile contadino mi chiamava dolce
‘mente, dicendo:
"Non avere paura, vieni sotto la mia benedizione...”
II terrore e rincredulìcà si impadronirono di me... E in quel momento mi sve
gliai. I cavalli erano fermi; Savél’ic mi tirava un braccio dicendo:
■‘Scendi, signore: siamo arrivati" (Puskin, 2000, 17-18).
Feci un sogno, che non ho mai potuto dimenticare e nel quale tuttora, quan
do io metto a confronto con le strane circostanze della mia vita, vedo un che
di profetico. Il lettore mi scuserà; poiché probabilmente sa per esperienza
quanto sia umano, per quanto si dispreizino i pregiudizi, abbandonarsi alla
superstizione (ibid.» 16-17).
scusiamo per il sogno. Spazio, allo stesso tempo, totalmente libero e to
talmente limitato. Genet dice la stessa cosa.
Ricordate il sogno che chiude iJMiracolo della Rosa. Genet scrive
di lunghi amori in prigione con una sene di personaggi che hanno tutu
in comune una cosa: d’essere condannati a morte - che è la ragione per
cui Genet li ama.
Arriviamo alla (Ine del testo:
Si apri la porta di Arcamone. Dormiva, coricato sui dorso. Quattro uomini pe
netrarono nel suo sogno, poi (ui si svegliò. Senza alzarsi, senza neanche alza
re il torso, girò la testa verso la porta. Vide gli uomini nen e capi subito, ma si
rese anche conto molto velocemente che, per morire addormentato, non do
veva disturbare o distruggere lo stato di sogno in cui era ancora impigliato.
Decise di trattenere il sogno (Genet, 1966, 282).
Non so più se la scena è nei sogno o fuori dai sogno, oppure se lui
si sveglia nei sogno. Ci sono sogni in cui sognamo di sognare, e sogni in
cui sognamo di svegliarci. Ma qui è soprattutto una struttura di scrittu
ra. Nella sua indecisione e potere, questa scrittura si origina totalmente
dal sogno.
Non si passò cosi la mano tra i capelli intricati. Disse “sì" a se stesso, e sentì ia
necessità di sorridere - ma il sorriso era appena percettibile agli altri - di sor*
ridere in se stesso così che la virtù del sorriso si trasmettesse ai suo essere in
teriore, per essere più forte di quell'istante, perché il sornso avrebbe parato,
malgrado l'immensa tristezza, la tremenda pesantezza dell'abbandono che mi
nacciava dì condurlo alia disperazione, con tutte ie pene che comporta. Egli
quindi sorrideva, di quei leggero sornso che avrebbe conservato fino alla mor
te. Soprattutto non si pensi che egli rissasse altro che In ghigliottina, aveva gli
occhi concentrati su di essa, ma decise di vivere dieci minuti eroici, cioè gioio
si... Senza crescere di una pulce, divenne enorme, sovrastando e dividendo la
cella, riempiendo l’universo, e i quattro uomini si ridussero fin che non erano
più grandi di quattro punesse. Il lettore avrà capito che Arcamone era investi
to di una maestà tale che i suoi stessi vestiti si mnobilirono Πηο a divenire se
ta e broccato... Forse a causa del miracolo di cui egli era il luogo e l’oggetto,
o per qualche altra ragione - rendere grazia a Dio suo padre - posò per terra
il ginocchio destro. Velocemente \quattro uomini ne approfittarono per sca
lare ia gamba e la coscia piegata. La salita però era diffìcile, la seta scivolava. A
metà coscia, precedendo la sua finta inaccessibile e tumultuosa, inconcrarono
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 123
non erano al cuore dei cuore, una porta si apri, e ci trovammo dinanzi una ro
sa rossa, mostruosa di caglia e di bellezza.
“Ut Uosa Mistica'*, mormorò il cappellano.
1 quattro uomini furono atterriti dallo splendore. I raggi della rosa li abbaglia
rono all'inizio, ma si ncompattarono velocemente, perché persone simili non
sj per men ono mai di mostrare segni di rispetto,.. Riprendendosi dalla agita*
zione, si precipitarono, scartando e spiegazzando « petali con le mani ubria
che, come un satiro privato d'amore spinge indietro la gonna di una puttana.
L’ubriachezza della profanazione li teneva m pugno. Arrivarono, con le tempie
che battevano, il sudore sulla fronte, ai cuore della rosa: era una specie di poz
zo tenebroso. Tutt’intorno a questo buco nero e profondo come un occhio, si
protesero e non si sa quale vertigine ii prese. Fecero tutti e quattro il gesto di
persone che perdono l’equilibno, e caddero in questo sguardo profondo.
Sentii il galoppo dei cavalli che tiravano il furgone per condurre la vittima nel
piccolo cimitero (ibid., 282-286).
mito per poter sognare, avevo nostalgia del sogno» (Lispector, 1997,
28). Con l’aiuto dalla potenza dei sogno, ella riesce a fare le sue spedi
zioni nel reale. Bisogna attraversare il sogno per percepire la dimensio
ne supernaturale del naturale.
Ne La mela al buio c’è un passo che mi fa pensare alla scena di
Genet, un passo che improvvisamente ci trasporta sulla scala, e che ar
riva proprio alla fine (Lispector, 1988). I quattro personaggi di Genet so
no lì: il cappellano, il boia, il giudice, e l’avvocato, che hanno regolato,
governato e padroneggiato la vita dell'individuo nella società. Ed ecco,
alla fine, la venta. Genet lo fa sempre. Da una parte ci svela \propri fan
tasmi ma, a volte, attacca x veli degli altri, solleva le gonne ai giudici e
agli avvocati, soprattutto nelle opere di teatro. Ne II Miracolo della ro
sa attacca ia Legge dicendo che, di contro alla loro astrattezza, \giudici
non hanno sognato altro che di sodomizzare i condannati a morte. An
che i giudici desiderano infrangere gli interdetti, ma possono passare al
l’atto solo in questo modo terribile.
Stranamente, ne La mela ai bino , Martini, che è sospettato d’aver
commesso un delitto - che non ha veramente commesso - è nella stes
sa posizione di Arcamone, e cerca di legittimarsi immite \ridicoli perso
naggi marionette di cui si circonda. Non funziona, e alla fine del testo,
egli arriva veramente dall’altro lato.
snelliva, si ascolti anche de lu tte à l ’mttre - “dalla luna aU’ahra*’; il secondo termine
della relazione si offrirebbe al potenziale, tutto da scoprire, del rallenta della luna, la
stessa terra, in Le troisième cotps (1970/99, 31), nelhnversione-trasformazione della
scrimini, Cixous enfatizza l'emergenza dello “scivolamento” «... tra Γυηο (maschile,
unico indefinito, eletto, singolare, inconoscibile) e l’akroA (mascliile-feinminiie-neuiro,
dipendente, attraente, inquietante, desiderabile)»*.f
120 HeJene Cixous
nel libro come noi siamo nella barca del sogno. Crediamo e ci illudiamo
sempre d’essere quelli che scrivono o che sognano. Ovviamente non è
vero. Non siamo noi ad avere il sogno, è il sogno che ci ha, ci porta, e,
ad un daio momento, ci lascia cadere, anche se il sogno ê nell’autore
nel modo in cui si pensa vi sia il testo. Quelli che chiamiamo testi ci
sfuggono come ci sfugge il sogno al risveglio, o come il sogno ci evade
nei sogni. Lo seguiamo, ie cose vanno a velocità massima, e noi siamo
costantemente - che sensazione deliziosa e vertiginosa - sorpresi. Nel
sogno come nel testo, passiamo da una meraviglia ad un'altra. Immagi
no che molti testi siano scritti in modo del tutto diverso, ma io mi inte
resso solo ai testi che evadono. Come autrice posso dire che se per ca
so si é attanagliati dall'inquietudine della fine, beh, è una esperienza del
tutto singolare, non necessariamente piacevole, inquietante. Solo se sia
mo totalmente perduti, ci chiediamo: “Come andrà a finire? Finirà? E se
non finisse?” La domanda può impossessarsi di voi. É di gran lunga più
sconvolgente della domanda sull'inizio. Da una parte, un testo può aver
avuto inizio prima di noi, ed ê la cosa migliore. Dall’altra, bloccarsi all'i
nizio - un’esperienza che non ho mai avuto - non è così grave perché
non c’è aitro da fare che attendere. 11 testo Finirà cominciando. Un testo
che si presenta e che non finisce mette in dubbio l'identità delia cosa
che si sta facendo. Ma finisce un sogno? Forse non ci pensiamo molto
perché è un momento difficile. Che la fine ci sfugga è forse ia sensazio
ne con cui é più difficile riconciliarsi. Se ia fine ci sfugge, dove siamo?
Un sentimento simile all’abbandono, o allo sradicamento violento che si
prova ad un brutto risveglio. Il sogno si ê volatilizzato, e ci infligge una
sensazione più o meno intensa di lutto. I libri che non vogliono finire
mettono in questione l’intera economia della relazione con ia scrittura e
con ia vita. Ci sono libri che finiscono all'improvviso. Stavate scrivendo
e, d’un tratto, è finito.
L'esempio che mi viene in mente è quello di un libro di Thomas
Bernhard, che m’ha fatto molto ridere, sebbene non sia affatto diver
tente. È così che Bernhard scrive, tra le righe: inscrivendo la libertà as
soluta del testo rispetto ai suoi padroni e alla sua popolazione. Il titolo
del testo è Alte Mester - Komodie (1985/ È talmente performativo che
Tre Passi sulla Scala della Seraiura 127
non ci rendiamo conto degli elementi che sono in gioco nel testo, se
non quando ci ritroviamo messi fuori dalla porta del testo. Il narratore
ha un appuntamento con un vecchio amico in un museo. È sorpreso
perché non ê nello stile delPamico, un critico d’arte. Il testo è estrema
mence denso e compatto, come tutti i testi di Thomas Bernhard, sebbe
ne giri su se stesso in quanto - contrariamente aJa (197φ, dove c’è nar
rativa, c’è tempo - qut non c’è narrativa o tempo. Andiamo all’appunta
mento, guardiamo l’ora, c’è l’iscrizione di spirali di ricordi che riguarda
no il rapporto tra i due amici, ma tutto è sospeso dall’enigma iniziale: è
strano che m abbia dato un appuntamento in questo luogo. Cosa deve
dirmi? Perchè m’ha dato fretta ad incontrario oggi? La domanda ricorre
incessantemente. E noi, cosa facciamo noi? Leggiamo con un solo oc
chio, aspettando l’ora del libro, quando i due amici si incontreranno.
Cosi, proprio come se aspettassimo, et lasciamo distrarre, e distratta-
mente leggiamo cosa accade nell’attesa del tempo fissato. Poi guardia
mo l’orologio ed ê pagina 200. Alla fine l’appuntamento accade. Ad un
certo momento, il vecchio critico d’arte dice al narratore: “Vi starete do
mandando perché v’ho fatto venire oggi, a quest'ora? Ve io dirò, ma non
adesso". Siamo a pagina 220, nella stanza del museo. Quindi il vecchio
critico chiede ai narratore se non voglia andare a teaLro con lui quella
sera, perché ha un posto. Cosi il narratore si dice: "Ecco perché mi ha
fatto venire!” lì noi diciamo: Allora abbiamo letto l’intero libro per an
dare a teatro! Ma che ora è? L’altro dice: “Bene, é tempo, bisogna anda
re a teatro velocemente, danno La brocca rotta di Kleist”. Si affrettano.
Non restano che due pagine. Hanno appena il tempo di vedere l’opera,
che è un fiasco. Ed è finito.
Ho adorato questo libro. I libri genuini sono sempre cosi: il luogo,
il ietto, la speranza di un altro libro. Tutto il tempo che aspettavate di
leggere il libro, ne avete letto un altro. Il libro al posto dei libro.,Qual è
il libro che si scrive mentre vi preparate a scrivere un libro? Non c'è al
tro appuntamento con ia scrittura se non l’appuntamento a cui ci re-
chiamo domandandoci cosa facciamo qui e dove andiamo. Durante
questo tempo l'intera vita ci attraversa e, all’improvviso, ne siamo fu oa
Una volta non c era l'abitudine di scrivere questo tipo di libri. Scrivere il
128 Hélène Cixous
La mia notte vasta si svolge nel primario di una pulsazione. La mano·si posa
sulla terra e ascolta calda pesare un cuore. Vedo il grande verme bianco con
seni di donna: è ente umano? Lo brucio m rogo inquisitoriale. Ho ii mistici
smo delle tenebre di un passato remoto. Ed esco da quelle torture da vittima
coi marchio indescrivibile che simbolizza la vita. Mi circondano creature ele
mentari, nani, gnomi, folletti e geni. Sacrifico animali per raccoglierne il san
gue di cui ho bisogno per le mie cerimonie di sortilegio. Nei mio accanimen-
132 Hélène Cixous
La notte del cosmo, dove soffiano i venti dei misteri, quelli che, in se
guito, quando verra l’era della scrittura, prenderanno la forma delle odi e
delle tragedie. Vado, viva, lì dove andrò postuma, ai tempi prima del tenv
po e al mondo dopo il tempo. Io stessa, là, non sono più che un sogno.
Da qualche parte, vicino a un fiume, incontro i Sogni di Kafka. Non
ci conosciamo, ma ci riconosciamo.
1 sogni di Kafka sono di straordinaria bellezza, ma lo sono mera
gliosamente in quanto scrittura di sogni. Eccone due o tre. Uno che ho
sempre amato è un’inezia che dice tuuo del rapporto di Kafka con \sogni:
Avvolgi il tuo mantello, alto sogno, intorno al bambino (Kafka, 2000, 835).
Chi è? Chi cammina sotto gli alberi, sul lungofiume? Chi è irrimediabilmente
perduto? Chi non può più essere salvato? Sulla tomba di chi sta crescendo
l'erba? Sono arrivati dei sogni, risalendo la corrente del fiume, stanno salendo
per una scala sulla banchina. Ci si ferma, si conversa con loro, essi sanno mol
te cose, quello che non sanno è di dove vengono. Molto tiepida, questa seni
d'aurunno. I sogni si volgono verso il fiume e atenno ie braccia. Perché alzate
le braccia, invece di stringerci in esse? (Kafka, 2000, 851).
Essa correva lungo la via maestra, io non la vedevo, notavo solo il movimento
sussuhorio della sua corsa, il suo velo svolazzante, il suo piede che s’alzava. Io
stavo sedino al margine dei campi e guardavo ne N’acqua del ruscelletto. Essa
Tre Passi sulla Scaia della Scrittura 133
Ci sono pochi sogni nei libri. Come se avessero una brutta reputa
zione. Ce ne sono sempre di meno. Una volta i sogni ricorrevano in tut-
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 135
ri i grandi libri - nella Bibbia, nei poemi epici; nella letteratura greca, nei
poemi epici babilonesi, in Shakespeare - in una modalità arcaica, poi si
sono allontanati. Associo questo crescente distanziarsi, questo dissecca
mento, con ia diminuzione di altri segni. Allo stesso modo troviamo:
sempre meno poesia
sempre meno angeli
sempre meno uccelli
sempre meno donne
sempre meno coraggio
Giacobbe si sveglia, si aiza. Che ne è della scaia?
Dovete prendere una pietra, porla sotto la testa, e lasciar che la
scala dei sogni cresca. Cresce alFingiu - verso le profondità.
LA SCUOLA DELLE RADICI
Fra i volatili terrete in abominio questi, che non dovrete mangiare, perché ri-
pugnanti: l'aquila, l'ossifraga e l'aquila di mare, il nibbio e ogni specie di falco,
ogni specie di corvo, io struzzo, ia civetta, il gabbiano e ogni specie di spar-
viere, il gufo, l'alcione, ribis, il cigno, il pellicano, la foiaga, ia cicogna, ogni
specie di airone, l’upupa e il pipistrello.
Sarà per voi in abominio anche ogni insetto alato, che cammina, su quattro
piedi (Lv, li, 13-20) 1
la barata, che è senza meno immortale, fuoriesce della pasta bianca. G.H.
entra m concatto con questa pasta: inizia a riflettere su cosa possa essere»
e come relazionarvi. È quanto dice, ad un ceno punto:
I had comnmted thè forbiddcn act of touch ing so met hmg impure (Lispector,
1988, 64) '
They proclami, die Bible does» but if I undersrand what thev proclami, they
will cali me crazy People like me had proclauned tlvat understanding them
would be my destruction. “But you shai! noi eat thè impure, thè eagle, thè
griffon, and thè hawk'\ Nor ihe owl, nor thè swan, nor thè bat, nor thè stork,
nor thè en Lire tribe of crows (ibidem)5
E tao imunda estava eu, naqueie meu subito conhecimento mdirecto de mini,
que afon a boca pani pedìr socorro. Eles dizem ludo, a Bibita, eles clizeni ludo
- mas se cu encender o que eles di2em, eles mesmos me chamarao de cnlou-
quecida [miei corsivi, H.CJ. Pessoas iguais a mini haviam dito, no enianto en*
tende - ias seria a mmha derrocadn.
"Mas nao cornere is clas impuras: quais sao a aguia, e o grifo, e o esmerilhao”
E nem a coruja, e nem o cisne, e nem o mercego, nem a cegonha, e rodo o
genero eie corvos (Lispector, 1979, 68).
Accade la stessa cosa con la scrittura eli Clarice Lispector e eli quegli
scrittori con i quali ho una relazione d ’amore profonda e durevole: Anna
Akhmatova, Manna Cvetaeva, Ingeborg Bachmann, Ossip Mandel’stam.
Tutti - senza averlo deciso, senza essersi incontrati, senza essersi leni Tun
l'altro - abitano ciò che Genet chiama tn francese: "Ses domaines
inférieurs”. Abitano da qualche parte, senza indirizzo preciso, nella più
evasiva delie terre, la più diffìcile da trovare e con cui lavorare, dove é
addirittura diffìcile vivere senza sforzo, pericolo o rischio. Questa terra
rischiosa è situata da qualche parte vicino all’inconscio: per raggiunger»
fa. bisogna che attraversiate la retroporta del pensiero.
Se metto insieme questi esseri per parlarne allo stesso modo, se
mi preoccupo del destino degli uccelli e delle donne, è perché ho im
parato che non molte persone - sfortunatamente - o forse fortunata
mente - riescono realmente ad amare, tollerare o capire un certo tipo
di scrittura; uso donne e uccelli come sinonimi.
È quanto dice Clarice Lispector con saggezza all'inizio de La Pas
sione secondo G.H. La traduzione dice “To poteniial readers” (A lettori
potenziali) (Lispector, 1988, 3); dovrebbe dire “Ai lettori possibili”
La traduzione dice: "This is a book like any other book” (Questo è un
libro come un qualsiasi altro libro) (ibidem), quindi siate tranquilli. Ciò che
invece dice Clance Lispector é: “Questo libro è come ogni altro libro” *
La traduzione continua: “But Ï would be happy if it were read only
bv people whose outiook is fullv formecl” (Ma sarei contenta se fosse
letto solo da quelle persone il cui outiook è pienamente formato) (ibi
dem). Non so cosa sia un “outiook” * quindi lasciatemi indicarvi ciò che
dice Clance: “Ma sarei compiaciuta se fosse letto solo da persone le cui
anime sono già mature” 7. E cosi continuo:
Those who know that thè approach to anything is done progressive^' and
painfuüy - and indudes as well passing through thè opposite of what is being
npproadied These peopie and thev alone will understand very slowly that
this book takes noLhing from anyone. To me, for example, che character G.H.
graduaUy gave me a diffìcili* joy; but it is calJed jov (ib id em )a
Cosi venite accolti ad apertura del libro. Vi viene detto che questo
libro è un libro come altri. Cosi che vi dobbiate chiedere se siete una di
quelle persone le cui anime sono già mature. È minaccioso, inquietante.
Chiedervi: “'La mia anima é già matura?” può suonare proibitivo, ma non
lo è. Il tempo di leggere la fra.se successiva, e siete già dentro o fuori ciò
che si avvicina. Vi sarà capitato una volta nella \'ita di star andando in di
rezione opposta a ciò che arrivava. Penso che questo sia il caso, ma se
non è ancora accaduto, accadrà.
Il seguito è importantissimo: dopo essere stata severa Clarice dic
“Ma questo libro non toglie nulla a nessuno. A me, per esempio, il per
sonaggio di G.H. ha dato poco a poco una gioia diffìcile”. Nello scriverlo,
Clance Lispector saggiamente e con enfasi parteggia con noi letton: non
è Pautnce, è simile a noi dinanzi al libro. Anche lei Io sta leggendo, deve
affrontare il personaggio che Je arriva nel libro e che le dà ogni tipo d’e
mozioni. Eppure é un avvertimento che questo libro et procurerà dolore,
che è ovviamente una gioia. Cosa dire del libro che non toglie nulla a
nessuno: la scrittura si muove veloce, potreste anche non notare il com
mento, anche se credo sia una delle chiavi delle nostre vite insieme.
Ognuno di noi - l'intera umanità, senza considerare ia differenza sessua
le - deve confrontarsi con il sentimento delle cose che ci sono state sot
tratte. La cosa interessante è che gli uccelli, la scrittura, e molte donne
sono considerati abominevoli, minacciosi, e vengono rifiutati, perché al
tri, coloro che rifiutano, sentono che gli viene sottratto qualcosa. Ma per-
mettetemi di lasciare le donne da parte oggi, visto che e una questione
controversa, per attenermi solo agli uccelli e alla scrittura. Né gli uccelli
né la scrittura sottraggono nulla, ma ia gente sente che alcune forme di
s {«Quelle persone sanno come l'avvicinamento a ogni cosa avvenga per gradi e
con sofferenza - e passando talvolta attraverso l'opposto di ciò che è la meta. Quelle
persone e solo loro capiranno passo per passo che quesio libro non toglie nulla a nes
suno. A me, per esempio, il personaggio di G.H. ha dato a poco a poco una gioia diffì·
C ile , eppure il suo nome è gioia·· (ibidem).]
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 1-Ì5
I was knowing that thè Bible’s impure animais are forbidden because thè
imund is thè rootJ> For there are ihings creared that have never made
themselves beautiful, and have stayed just as thev were when createci, and
only they continue to be thè enurely compiete root, they are not io he eaten.
The fruit of good and evil, thè eating of living matter, woukl expel me from
thè paradise of adornment and require me to walk forever tiirough (he desert
wich a sheperd’s staff. Many have been those who have waiked in ihe desert
with a staff To build a possible soul, a soul whose head will not devour il s
? La (Riduzione legge: “So" perché la traduzione pensa che “Stavo sapendo1' suo
ni "sporco”, scorreiro. Lasciamo intana la “scorrettezza'’ del testo di Clarice Lispector.
ibi forma progressiva al passato del testo brasiliano è cambiata in inglese nel presente
’Ί know”, invece che "! \v;is knowing".]
146 Hélcnc Cixous
own [ail, che law commande that one uses oniy what is patently alive. And tlie
law commande that whoever partakes of thè imund, must do so without
knowing; for, he who partakes of ihe imund knowing that u is imund, musc
also come to know that the imund îs not imund. Is chat it? (ibid., 64-65)10
“And everything that crawls on thè ground and has wings shall be imund, and
shall not be eaten”
1 opened mv mouth in fright to ask for help. Why? Bccause I did not want to
hecome imund like thè cockroach. What idéal held me from the sensing of an
idea? \\7hy should l not make myself imund? Exactly as I was reveaiing my
whole self, what was ï afraid of? Betng imund? Wîth what?
Being imund wîth jov (ibid., 65)n
■" («io ero in procinto di sapere che l’anmiaie immondo della Bibbia è proibito
poiché l’immondo e l'origine - esistono infatti cose create che non si sono mai aitera
te e si sono conservate identiche a quando sono state create, e soltanto quelle hanno
seguitato a essere l'origine, tuttora completa. E siccome sono l’origine noti se nc pote
va mangiare, il frutto del bene e del male - mangiare la materia viva mi scaccerebbe da
un paradiso di orpelli e mi porterebbe per sempre a camminare con un bastone per il
deserto. E parecchi erano stati coloro che avevano camminato con un bastone per il de
serto... Per costruire un anima possibile - un'anima la cui testa non si divori la coda -
la legge comanda di tenere per sé appena d ò che 6 larvatamente vivo. E ia legge co
manda inoltre che colui che mangerà dell'immondo, sapendo che è immondo - saprà
pure che l'immondo non è immondo. È dunque così?» (lispector, 1991, Ó4).|
,l (“"E tutto ciò che striscia e possiede ali sarà impuro, e non se ne mangerà” Ho
aperto spaventata ia bocca: era per chiedere aiuto. Perché? perché non volevo diventa
re immonda quanto ia blatta? Quaie ideale mi legava al sentimento di un’idea? Perché
non sarei diventata immonda, esattamente come io tutta mi scoprivo/ Che cosa teme
vo? Di rimanere immonda di che? Rimanere immonda di gioia» (ibid, 75).|
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 147
del mio cuore, che é più profondo di quanto io pensi. Da qualche par
te nel mio stomaco, nel ventre, e se non avete un ventre - beh, allora, ò
da qualche “altra” parte. Bisogna scendere all Ingiù per andare nella di
rezione di quei luogo, Ma, come ho detto ieri, questa specie di discesa
è mollo più difficile, molto più stancante, più gravosa fisicamente (fisi
camente, perché l’anima é if corpo) di quanto non sia risalire la scala. È
un salire, ma richiede la forza intera di unto ciò che siete - non voglio
chiamarlo “corpo”, perché é più complesso del corpo - per attraversare
le varie porte, gli ostacoli e le distanze che abbiamo forgiato per vivere.
So inoltre che ciò che ci impedisce nella nostra società d'andarvi non è
l'inabilità - tutti starno capaci - ma la paura, la nostra codardia. La nostra
paura, poiché sappiamo benissimo che raggiungeremo il punto perico
loso dove vivono coloro che sono esclusi - e noi odiamo l’esclusione. Il
nostro problema emozionale, personale e politico, è di non sopportare
l'esclusione. Ne siamo spaventati, odiamo essere separati, la ragione per
la quale siamo disposti a commettere tutu i possibili piccoli crimini, gli
auto-rifiuti, ed il tradimento.
Ma bisogna scegliere tra perdere ciò che è “mondo” e perdere la
parte migliore di noi chiamata “immonda” . Formati per anni ed anni da
tutte le possibili esperienze ed educazioni, dobbiamo viaggiare per tutti
quei luoghi non necessariamente piacevoli da raggiungere: le nostre pa
ludi, il nostro proprio fango. E in realtà vaie la pena farlo. Il problema é
che nessuno ci ha insegnato che paga, che è benefico. Non ci viene in
segnato il dolore, e neppure che nel dolore si nasconde la gioia. Non
sappiamo di poter lottare contro noi stessi, contro l’accumulo di cliché
mentali, emozionali e biografici. La tendenza generale della scrittura è
un enorme concatenazione di cliché, una lotta contro nemici subdoli. I
nemici personali in questa lotta sono quelli che Kafka denunciò come
quelli che ci sbarrano il ritorno al paradiso. Kafka insiste d ie il paradiso
non è perduto, è lì. Ma noi siamo pigri e impazienti. Se non fossimo pi
gri o impazienti, torneremmo nel paradiso. Dobbiamo affrontare questa
pigrizia ed impazienza. E naturalmente tutti i rappresentanti di “Quelli
Bibbia” C'è un’intera lista d ’istituzioni, di media e di macchine che san
ciscono il bando degli uccelli, delle donne, e della scrittura. Sbaglierem
Tre Passi sulla Scala della Samum U9
a) Certificati di nascita
Ho già sottolineato che Cenci chiamava un certo luogo "i reami in
feriori” ; che è ovviamente un equivalente. Allo stesso tempo noto che
Genet parla in termini di "domini” (domaines), in altre parole introdu
ce il ctommus, il maestro. Lo fa più o meno consapevolmente; pur se io
propendo a pensare che sia coscientemente, perché Genet lavora su
ogni parola come un forzato; nei testi di Genet siamo nei penitenziario
del linguaggio (è una buona prigione, perche ia prigione è buona per
lui). Quando Genet dice “1 reami inferiori” (les domaines inférieurs),
sento il maestro che passa.
Oggi lavoreremo in un area simile, l’incontro tra le economie di
Genet e di Clarice, economie simili e differenti, che considero esempla
ri. Genet e Clance sono abitanti di quei paesi che Genet chiama, delibe*
ratamente e magnificamente, ì “reami inferiori" e che Clance chiama "in-
ferno". É la parola che appare in tutti i suoi testi: in Acqua Viva, ne La
passione secondo G.H,. Non c’è un solo testo di Clance in cui non sor
ga l'inferno e sorga in modo giubilatono. L’inferno ê un luogo di
jouissance, un luogo di felicità; potremmo immaginare che l'inferno,
nonostante il nome, sia situato celestialmente, pur se é situato nei rea
mi più bassi.
E se spesso dipingo grotte è perché queste sono il mio tuffo nella terra, buie
ma nimbate di chiarore, e io, sangue della natura - grotte stravaganti e peri
colose, talismano della Terra, dove si uniscono stalattiti, fossili e pietre, e do
ve le bestie che impazziscono per la loro stessa natura malefica cercano rifu
gio. Legrolle sono il mio inferno (miei corsivi. H.C.]. Grotta sempre sognan
te con le sue nebbie, ricordo o nostalgia? Spaventosa, spaventosa, esoterica,
inverdita dal fango del tempo. Dentro la caverna buia scintillano appesi i topi
dalle ali a forma di croce dei pipistrelli. Vedo ragni pelosi e neri. Topi e ratti
corrono spaventati sui suolo e sulle pareti. Fra le pietre lo scorpione. Granchi,
uguali a se stessi fin dalla preistoria, attraverso morti e nascite, sembrerebbe-
ro bestie minacciose se avessero la grandezza di un uomo. Blatte vecchie stri
sciano nella penombra. E tutto questo son io. Tutto è pesante di sogno quan
do dipingo una grotta o te ne scrivo - da fuori arriva il tumulto di decine di
cavalli in libertà che pestano le tenebre con zoccoli secchi, e dall'attrito degli
zoccoli il giubilo si libera in scintille: eccomi, io e la grotta, nei tempo che ci
imputridirà (Lispector, 1997, 15*16).
152 Hélène Cixous
ìornai in albergo. Avvertii Stilitano, il quale mi disse che avrebbe pensato lui a
sistemar la faccenda, e usci.
Sono nato a Parigi il 19 dicembre 1910 (Genet. 1992, 43).
Mia madre si chiamava Gabrielle Genet. Mio padre rimane cuu'ora ignoto. Ero
venuto al mondo al n. 22 di rue d’Assas (ibidem).
Quando, nella brughiera specie al crepuscolo, di ritorno da una delie mie so
lite visite alle rovine eli Tiffauges dove vme Gilles de Rais, incontro dei fiori di
ginestra (genêt), provo per loro una profonda simpatia. Li osservo serio, con
tenerezza. Il mio turbamento par provenire da un comando delfiniera natura.
Sono solo al mondot e non sono affatto sicuro di non essere il re - la fata for
se - di questi fiori. Mentre passo, essi mi rendono omaggio, s’inchinano sen
za inchinarsi ma mi riconoscono. Sanno che sono il loro rappresentante vivo,
mobile, agile, vittorioso dei vento. Sono il mio emblema naturale, e io affon
do radici, grazie a loro, in questo suolo di Francia nutrico delle ossa polveriz
zate dei bambini, degli adolescenti infilati, trucidati, bruciati da Gilles de Rais
(ibidem).
Li osservo seno, con tenerezza. Il mio turbamento Qnon trouble) par prove
nire da un comando delfintera natura (ibidem).
e non sono affatto sicuro di non essere il re - la fata forse - di quei Ποπ (ibi
dem).
Egli mette giù tutte ie carte, anche se, con il doppio negativo, en
triamo nel mondo della retorica. Stiamo per indossare taccili alti e guan
ti, per parlare elegantemente. Il re, o la fata? Lui o lei? Non si sa, rima
niamo sulla frontiera, pur se in fata conta più del re.
256 Hélène Cixous
Sanno che sono il loro rappresentante vivo, mobile, agile, vittorioso del vento
(ibidem).
Proprio m virtù di questa spinosa pianta delle Cevenne, partecipo alle avven
ture di Vacher. Infine, per lei di cui porto il nome, il mondo vegetale é mio fa
miliare. Posso considerare senza pietà tutti i fiori, fanno parte della mia fami
glia. Se grazie a loro fin congiungo coi reami inferiori - ma è fino alle felci ar
borescenti e alle loro paludi, è fino alle alghe che \'orrei scendere - ancora più
m’allontano dagli uomini (ibid, 43-14).
Posso considerare senza pietà tutti * fiori, fanno parte della mia famiglia. Se
grazie a loro mi congiungo coi reami inferiori - ma è fino alle felci arbore
scenti e alle loro paludi, e fino alle alghe che vorrei scendere - ancora più
m'allontano dagli uomini (ibid., 44).
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 157
De! pianeta Urano, sembra, l'atmosfera è cosi pesante che le felci si fanno ter
ragne; Je bestie si trascinano schiacciate dal peso dei gas (ibidem ).
Sono passata senza accorgermene dall’altro lato? L’altro lato e una vita che
palpita infernale- Ma c’è una trasfigurazione del m io terrore: allora mi abban
dono a una pesante vita tutta simboli pesanti com e frutti maturi. Scelgo so
miglianze errate ma che mi trascinano neiraggomitolato. Una parte minima di
ricordo del buon senso del m io passato nn fa ancora sfiorare il huo di qua.
Aiutami perché qualcosa si avvicina e ride di me. In fretta, salvami.
Ma nessuno può darmi la mano per farmi uscire: devo usare la grande forza -
e nell’incubo con un improvviso slancio cado infine dal lato di qua. Rimango
distesa sul suolo agreste, esausta, il cuore pulsa ancora impazzito, il respiro a
Ποαι. Sono in salvo? Mi asciugo fa fronte bagnata. Mi alzo lentamente, cerco di
fare i primi passi di una convalescenza debole. Riesco a equilibrarmi.
15 [Noia delle traduttrici del manoscritto francese su cette homme; "Nel testo
francese la forma femminile del l'aggettivo dimostrativo cette é accorciato con il sostan
tivo maschile homme, giocando cosi sulla soglia ira le forme maschili c femminili". |
Hélène Cixous
No, lutto questo non accade in fatti reali nei dom inio di - di un'arte? Sì, di un
artifìcio per m ezzo del quale em erge una realtà delicatissima che comincia a
esistere in me: la trasfigurazione mi è accaduta.
Ma l’altro lato, da cui sono appena scappata, è divenuto sacro e a nessuno rac
conto il mio segreto (Lispector, 1997, 19-20).
b) La due nature
LA PAROLA NATURA
L'abito dei forzati è a righe bianche e rosa., ebbene; u n o stretto ra pporto esi
ste ira i fio r i e g li ergastolani. La fragilità, la delicatezza dei primi sono della
medesima natura della brutale insensibilità dei secondi.
Oltre che con le sue tinte, con la sua ruvidezza ia stoffa evoca certi fiori dai pe
tali leggermente villosi, particolare sufficiente perché all’idea di forza e d ’onta
io associ quanto s’ha di più naturalmente prezioso e fragile (Genet, 1992J3).
I MIEI CONFINI
Abbiamo una relazione semplice con 1 cani. Siamo cani? Sì, secon
do Kafka. Forse conoscete gli animaletti di Kafka, i portatori della sua fi
losofia e della sua sofferenza. Ad esempio, in “Giuseppina la Cantante
ossia II popolo dei Topi”, il canto di Giuseppina è cosi commovente, co
si incredibile, che l'intero popolo di topolini sviene nell’ascoltarla canta
re (Kafka, 1986). Ma nessuno ha mai ascoltato cantare Giuseppina per
ché Giuseppina non ha voce. In questo magnifico racconto, tutto è le-
gato al mistero della voce. A volte una voce è una non-voce. Questo me
raviglioso topolino è allo stesso tempo terrorizzante poiché è l'ultima
opera di Kafka, la Psiche di Kafka morente, che aveva effettivamente
perso la voce.
Leggendo Le Favole di La Fontaine ricordo le metamorfosi di un
topo in donna e di una donna in topo. Tremavo, perché nel nostro im
maginano non è così ovvio desiderare oppure sentirsi simili ai topi. For
se perché temiamo d’essere mangiati dai gatti? Siamo, piuttosto, cani.
162 Hélène Cixous
c ) It sexto ( C i . ) d e ll'a u to r e
non riuscire ad essere Puomo "proprio” che voleva suo padre. Per Clan
ce, la domanda è ia stessa, se non per il fatto che lei non ne soffriva af
fatto - non separò mai la sua vita in due colonne distinte ed opposte, ma
godette costantemente dei passaggio. "Naturalmente”, aggiungo io.
IL SESSO DI UN TESTO
Cosa dice questo jazz che viene improvvisato? Dice braccia intrecciate a gam
be e le fiamme che si alzano e io passiva come una carne divorata dal becco
aguzzo di un'aquila che interrompe il suo volo cieco. Esprimo a me e a te r
miei desideri più occulti e raggiungo con le parole un orgiastica bellezza con
fusa. Rabbrividisco di piacere nella novità di usare parole che formano inten
sa boscaglia. Lotto per conquistare più profondamente la mia libertà di sensa
zione e pensieri, senza alcun senso utilitaristico. Sono sola, io e la mia libertà.
É cosi grande la libertà che può scandalizzare un primitivo ma so che tu non
ti scandalizzi della pienezza che raggiungo e che è senza frontiere percepibili.
164 Hélène Cixous
sesso deirakroP Non ê ovvio : Pau tore non è soltanto colui il quale firma,
ma anche una persona completamente sconosciuta, apparentata con - e
mantengo qui ia parola “leggendaria” - una consanguineità mitica, com
plessa e variabile.
d) La frontiera di Genet
La tapisserie intitulée "La Dame à ia Licorne” m'a bouleversé pour des raisons
que ie n’entreprendrai pas ici d’énumérer. Mais, quand je passai, de
Tchécoslovaquie en Pologne, la frontière, c'était un midi, l’été. La ligne idéale
traversait un champs de seigle mûr, dont la blondeur était celle de la cheve
lure des leunes Polonais; il avait ia douceur un peu beurrée de la Pologne
dont ie savais qu'au cours de l’histoire elle fut toujours blessée et plainte.
J’étais avec un autre garçon expulsé comme moi par ia police tchèque, mais je
me perdis très vice, peut-être s’égara-t-il derrière un bosquet ou vouiut-il
m abandonner: il disparut. Ce champ de seigle était bordé du côté polonais
par un bois dont l’orée n’était que de bouleaux immobiles. Du côté tchèque
d’un autre bois, mais de sapins. Longtemps ie restai accroupi au bord, attentif
à me demander ce que recélait ce champ, si je traversais quels douaniers invi
sibles les seigles dissimulaient. Des lièvres invisibles devaient* ie parcourir.
J’étais inquiet. Λ midi, sous un ciel pur, la nature entière me proposait une
énigme, et me la proposait avec suavité.
-S'il se produit quelque chose, me disais-je, c csi l’apparition d'une licorne.
Un tel instant et un tel endroit ne peuvent accoucher que d’une licorne.
La peur, et la sorte d’émotion que j’éprouve toujours quand je passe une
frontière, suscitaient à midi, sous un soleil de plomb la première féerie. Je me
hasardai dans cette mer dorée comme on entre dans l'eau. Debout je
traversai les seigles. Je m'avançai lentement, sûrement, avec ia certitude d’être
le (personnage héraldique pour qui s’est formé ie blason naturel: azur, champ
d’or, soleil, forêts. Cette imagerie où je tenais ma place se compliquait de
{'imagerie polonaise.
- “Dans ce ciei de midi doit planer, invisible, Paigie bianc!”
lin arrivant aux bouleaux, pétais en Pologne. Un enchantement d’un autre
ordre m allai être proposé. La “Dame à ia Licorne’' m’est l’expression hautaine
de ce passage de ia linge à midi. Je viens de connaître, grâce à la peur, un
trouble en face du mystère de la nature diurne (Genet, 1949, 52-53).
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 167
L’arazzo detto “La Dama del Liocorno” m’ha scombussolalo per dei motivi che
non maccingero a enumerare. Ma quando passai, dalla Cecoslovacchia in Po
lonia, il confine, era un mezzogiorno, d’estate. La linea di frontiera, ideale, at
traversava un campo di segala matura d’un biondo come quello della chioma
dei giovani polacchi: un biondo che riassumeva la dolcezza un poco butirrosa
di tutta ia Polonia, ch’io sapevo, nel corso della storia, eternamente ferita e
commiscrata 5-\ Ero con un altro ragazzo, come me espulso dalla polizia ceca,
ma prestissimo lo persi di vista, smarritosi forse dentro un boschetto, o forse
perché aveva deciso eli lasciarmi: scomparve. Quei campo di segala confinava
dalla parte polacca con un bosco il cui limitare era formato eia immobili be
tulle. Dalla parte ceca, con un altro bosco, ma d’abeti. Λ lungo rimasi acco
vacciato sul margine intento a chiedermi che cosa nascondesse quel campo,
quali guardie di finanza, se lo avessi attraversato, avrebbe celato la segala. For
se invisibili lepri io percorrevano. Ero inquieto. Λ mezzogiorno, sotto un cie
lo terso, l'intera natura mi proponeva un enigma, e me lo proponeva con soa
vità. “Se qualcosa deve accadere - mi dicevo - sarà l'apparizione di un liocor
no. Un momento e un iuogo come questi possono partorire soltanto un lio
corno”. La paura, e quella sorta d’emozione che sempre provo quando passo
una frontiera, suscitavano a mezzogiorno, sotto un sole di piombo* ia prima
féerie. M’azzardai in quel mare dorato come s'entra nell'acqua. In piedi attra
versai la segala. Procedevo lento, sicuro, con la certezza d'essere l'araldico
personaggio per il quale s'è formato un naturale blasone: azzurro, campo d’o
ro, soie, foreste. Queste immagini, dove avevo anch'io il mio posto, si com
plicavano delficonografìa polacca.
“In questo cieio meridiano deve pianare, invisibile, l’aquila bianca!”
Raggiunte le betulle, ero m Polonia. Un incantesimo d’ordine diverso stava
per essermi offerto, “La Dama del Liocorno” è per me l’altera espressione di
quel mio passaggio delia linea a mezzogiorno. Avevo or ora conosciuto, grazie ,
alla paura, il turbamento di fronte ai mistero della natura diurna (Genet, 1992,ì
46-47).
Lit ligne ideale traversait un champs de seigle mûr, donc la blondeur étau celle
de la chevelure des jeunes Polonais; il avait la douceur un peu beurrée de la
Pologne d o n t‘ je savais qu’au cours d e l'histoire elle fut toujours blessée et
plainte. J’étais avec un autre garçon.
J’étaic avec un autre garçon expulsé com m e moi par la police tchèque, mais je
me perdis très vue, puet-étre s'égara-t-il derrière un bosquet ou voulut-il
m ‘abandonner; il disparut.
Ero con un altro ragazzo, com e me espulso dalla polizia ceca, ma prestissime
lo persi di vista, smarritosi forse dentro un boschetto, o forse perché aveva
deciso di lasciarmi: scomparve.
Ce champ cle siegie était bordé du côté polonais par un bois dont l’orée
n’étaii que de bouleaux immobiles.
Quel campo di segala confinava dalla parte polacca con un bosco il cui limita*
re era formato da immobili betulle.
Di nuovo, questo modo dì torcere ciò che viene detto. Lorée (ii li
mite) rievoca ie beurée (il butirroso), ci teniamo saldi alla fantasia ses
suale. De bouleaux immobiles (immobili betulle) potrebbe giocare su
di una immobilità ed una ansia, ma gioca anche con de bout (in piedi):
“Debout je traversai ies seigles’Y'In piedi attraversai la segala", e vedia
mo bouleau (betulla) di nuovo decomporsi in eau (acqua). "In piedi”
mentre lui sta "accovacciato" “Longtemps ie restât accroupi au bord’/A
lungo rimasi accovacciato sui margine” . È Proust ad insegnarci a iniziare
una frase con longtemps (a lungo); “Longtemps je me suis couché de
bonne heure’/A lungo, mi sono coricato di buonora” (Proust, 1983, 5).
Ora il testo ci paria proustiano.
A lungo rimasi accovacciato sui margine intento a chiedermi che cosa na
scondesse quei campo, quali guardie di finanza, se lo avessi attraversato,
avrebbe celato la segala.
Tutto è contorto. Dalla messa in scena della fantasia. “Des lièvres in
visibles devaient le parcourir" /”Forse invisibili lepri lo percorrevano”: sia
mo portati a pensare che le guardie siano lepri: quels douaniers? (che
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 171
17 fin Cixous (1988), Montaigne è richiamato come “il più antico e necessario ter
zo partito” dcirautricel·
172 Hélène Cixous
Je me hasardai dans cette mer dorée com e on entre dans l'eau. Debout je
traversais les seigles.
L'arazzo detto “La Dama del Liocorno" m'ha scombussolalo per dei motivi che
non m’accingerò a enumerare.
Ciò che era rimasto oscuro in questa frase diviene chiaro nello svi
luppo di questo immaginario magnifico. Scopriamo perché questo araz
zo lo eccita. Lui che non riusciva a trovare traccia della sua nascita una
volta recatosi al 22 rue d'Assas, la trova nell’arazzo di “La Dama del Li-
corno”. Allo stesso tempo, c'è questo tocco d'humor: ma non ve lo dirò,
e questo “ma" prende in giro il lettore.
L'apparizione deil’“aquì!a bianca” opera in modo doppio: e sullo
stemma polacco e nella mitologia, e in quanto personaggio mitologico,
ci ricorda di molti giovani uomini.
J'avais réussi à aimer le corps malingre, le visage gris, la barbe rare et ridiculmcnt
plantée. Salvador prenait soin de moi, mais la nuit, à ia bougie, ie recherchais
dans les coutures de son pantalon les poux, nos familiers. Les poux nous habi
taient (Genet, 1949, 27-28).
Ero riuscito a amare quei c o rp o gradiino, quel viso grigio, quella barba rada e
piantata in m odo ridicolo. Salvador aveva cura di me, ma la notte, presso la
candela, cercavo nelle cuciture dei suoi pantaloni i pidocchi, nostri intimi di
casa. Ci abitavano, i pidocchi (Genet, 1992, 27).
A nos vêtements ils donnaient une animation, une présence qui, disparues,
font qu’ils sont morts.,,
IJ était bien que je fusse l'amant du plus pauvre et du plus laid ou fond de tant
de misères. Pour cela je connus un étar privilégié. J‘eus du mal, mais chaque
victoire obtenue - mes mains crasseuses orgueilleusement exposées m’aidaient
à exposer orgueillesuemem ma barbe et mes chevoux longs - me donnaient de
la force - ou da Ja faiblesse, eL c'est ici la même chose - pour la victoire suivante
qui dans voire langage prendrait naturallement le nom de déchéance (Genet,
19-19, 28-29).
Ai nostri vestiti davano un’animazione, una presenza che, una volta scompar
se, li rendevano morti...
lira giusto ch’io fossi l'amante del più povero e del più brutto m fondo a tan
ta miseria. Grazie a ciò conobbi uno stato di privilegio. Faticai, ma ogni vitto
ria ottenuta - le mie mani lerce orgogliosamente esposte m’aiutavano a espor
re orgogliosamente la barba e \capelli lunghi - mi dava la fora - o la debo
lezza, che qui é la stessa cosa - per la vittoria successiva, che naturalmente nel
vostro linguaggio prenderebbe il nome di scadimento (Genet, 1992, 27-28).
Ce m’aura été une très utile discipline, et qui me permet de tendrement sou
rire encore au plus humble parmi les détritus, qu’ils soient humains ou
matériels, et jusqu'aux vomissures jusqu’à la salive que je laisse baver sur le
visage de ma mére, jusqu'à vos excréments. Je conserverai en moi-même
l'iclée de moi-même mendiant.
Je me voulais semblable à cette femme qui, à l’abri des gens, chez elle
conserva sa fille, une sorte de monstre hideux, difforme, grognant et
marchant a quatre pattes stupide et blanc. En accouchant son désespoir fut
tel sans doute qu’il devint l'essence même de sa vie. Ella décida d’aimer ce
monstre, d'aimer la laideur sortie de son ventre ou elle s’était élaborée et de
Ténger dévotieusement. C’esL en elle-même qu’elle ordonna un reposoir ou
elle conservait l’idée du monstre. Acev des soins dévots, des mains douces
malgré le cal des besognes quotidiennes, avec l’acharnement volontaire des
désespérés ella s'opposa au monde, au monde elle opposa le monstre qui prit
les proportions du monde et sa poissance. C'est à partir de lui que
s’ordonnèrent de nouveaux principes, sans cesse combattus par les forces du
Tre Passi sulla Scala della Scrittura 177
Sarà per me una disciplina molto utile, che ancor oggi mi permette di sorri
dere teneramente ai fondacci più umili, siano essi umani o materiali, e persi
no al vomito, alla bava che lascio colar sul viso di mia madre, persino ai vostri
escrementi. Conserverò m me l’idea di me accattone.
Volli esser simile a quella tale che, al riparo dalla gente, serbò in casa la figlia,
una sorta di mostro orribile, deforme, che camminava a quattro zampe gru
gnendo, stupido e slavato. Quando partorì, la sua disperazione dovette esser
tale da diventar l'essenza stessa della sua vita. Decise d’amare quel mostro,
d’amare la bruttezza uscita dal suo ventre dove s'era elaborata, e d’innalzaria
piamente. In tal modo l’idea di mostro la conservava nel propno intimo dove
le aveva ordinato un altarino. Con devote attenzioni, con mani morbide no
nostante i calli delle quotidiane fatiche, col caparbio accanimento dei dispera
ti s’oppose al mondo, al mondo oppose il mostro che del mondo assunse Je
dimensioni e la potenza. Nuovi principi s'ordinarono muovendo da quello,
senza posa combattuti dalle forze del mondo che cozzavano contro di lei ma
che venivano fermate dai muri della dimora dove sua figlia era rinchiusa (1).
(1) Dai giornali appresi che dopo quarantanni di piena dedizione quella ma
dre annaffiò di benzina - o di petrolio - la figlia addormentata e l'intera casa,
appiccandovi il fuoco. Il mostro (la figlia) soccombette. Li vecchia (75 anni) fu
tratta dalle fiamme e salvata, cioè comparve davanti alla Corte d'Assise (Genet,
1992, 28-29).
Je me voulus semblable à cette femme qui à l’abri des gens chez elle conserva
sa fille une sorte de monstre.
Volli esser simile a quella tale che, ai riparo dalla gente, serbò in casa la figlia,
una sorta di mostro.
mondo. La madre arriva solo alla fine, nella nota, quando é condannata.
Nella nota, in stile giornalistico, c’è il mostro/figlia, sebbene potrebbe
essere la madre, e ancora l’ultima metamorfosi: “la vecchia (75 anni)*’
Cht è il mostro? Cosa è un mostro?
Con Clance la discesa verso la vita è egualmente feroce e trucu
lenta. In Acqua Viva la discesa porta Clance a trasformarsi tn un essere
violento: è metamorfìzzata m tigre.
per lei non è astratta ma intelligente, vira, e potente. Per andare alla mate
ria c’è un cammino da percorrere, con stadi, gradi che sono i gradi natu
rali di reami e specie differenti. Clance compie un viaggio interiore, di ri
torno, poiché noi cominciammo come materia prima di allontanarci da do
ve venivamo. Compie un viaggio di ritorno alle nostre origini concrete, pur
se é un viaggio spintuale. Il viaggio è spirituale perché non è sufficiente
metter ì piedi sul terreno per ritornare alla terra. È un esercizio spirituale
estremamente difficile, che reintegra il terrestre, la terra, la composizione
della terra nei corpo, nell'immaginazione, nei pensiero. Clance non lo fa in
modo semplice, procede a tentoni, desiderando: si muove alla cieca, poi
ché è un'esploratrice nel dominio, metodicamente, commettendo errori.
A volte apre la porta sbagliata, fa le manovre sbagliate; a volte va molto vi
cino alla materia, alla terra - vi è quasi - e poi fa un passo di troppo e at
traversa ia terra, passa dall’altro lato, e ritorna sul iato dell’astrazione, del
pensiero idealizzante, che pur critica costantemente. Rendendosene con
to, ci ritorna ancora, ma, diversamente da Genet, non c’è provocazione in
questo processo. Per Genet, tutto è sfida. In Clance non c’è sfida, se non
verso se stessa, attacca solo un nemico: la distorsione e l'allontanamento,
che esistono in lei come in ogni essere umano. Non ha bisogno di agire
come se fosse fenta, come fa Genet, né ha bisogno d’esaltare e di cercare
l’ignobile. Cercare l'ignobile, lo troverebbe ignobile. iMa ancora una volta,
Lispector non è nella situazione di Genet. Lei non è Genet. Qualsiasi sia la
sua inclinazione alla mutazione, al cambiamento, e al travestitismo, Genet
è un uomo. Clance é marcata, marca se stessa, sente, m quanto donna.
biamo qui due esempi d'afferm azion e di un tipo di identità sessuale che
produce effetti etici. Cosi quando Clance fa qualcosa che ci sembra del
l’ordine dello sforzo o della violenza, che potremmo avvertire come ec
cessivo, in effetti io fa senza eccesso e senza esaltazione.
Nel viaggio verso le origini, nel ritorno alle radici, ci sono scadi
analoghi a quello che abbiamo imparato riguardo la costituzione del
mondo nelle .scienze naturali. C ’è il passaggio attraverso ìo stadio ani
male, quindi attraverso Io stadio vegetale, e cosi ci allontaniamo dall'u
manità: dal vegetale discendiamo nella terra, per il fusto, alla radice, fi
no a raggiungere ciò che non ci riguarda, pur se esiste e si inscrive, ciò
che è debordine minerale, che non si tiene insieme, però, perché sia
mo diretti verso il disassemblaggio, la decomposizione. Forse j fiori so
no l’ultimo stadio umano. Nei testi e nelle biografìe di Kafka, di Genet,
di Clance Lispector, tutto finisce con i fiori. Secondo me, non è un caso.
Gli ultimi pensieri di Kafka sono stati per j fiori. È ancor più note
vole m quanto non ci sono moki fiori nei suoi testi. Morendo, perdeva
Pabilità di parlare a causa della tubercolosi che gli aveva affetto la larin
ge, non poteva nemmeno bere. In questo momento d’estinzione, Kafka
annotava ciò che doveva dire su piccoli pezzetti di carta, che sono stati
conservati e sono magnifici. Spero abbiate letto questi resti delle opere
di Kafka pubblicati con il molo “Fogli di conversazione" (Kafka, 1978).
Ho amato Kafka a partire da questi pezzetti dì carta: appartengono ad
una economia del morire, ma in questa economia, m questa rapidità e
condensazione, c’è qualcosa di straordinariamente tenero e preciso. Si
potrebbe dire “telegrafico", poiché Kafka è esausto, ma, anche se c'è
economia di pronomi personali, la poesia e la delicatezza sono lì.
Da qualche parte nei giornali d'oggi c'è un eccellente articolo sul trattamento
dei fiori recisi: hanno cosi tanta sete...
Di fianco, quella era quasi la mia idea cosi che possano bere di più. Allarga le
foglie.
Hai un momento, per favore? fVedete, era educato anche su questi pezzetti di
carta, H. C.| Allora, per favore, annaffia le poenie (ibid., 417).
Tre Passi sulla Scala della Scrimini 181
Un giorno dopo:
Non potrebbero i dolori fermarsi di tanto in tanto, voglio dire per un po’? (ibi
dem).
Uuitima;
Una improvvisa mancanza d’aria. Molto tempo prima della metamorfosi del
mio mai-essere, avevo già notato in uno dei dipinti nella mia casa, un inizio.
Me, me, se la memoria non mi inganna, morirò (Borrelli, 1981, 61).
Sono un oggetto caro di Dio. Ed è ciò a dare nascita ai fiori nei mio petto. Mi
ha creato uguale a ciò die scrivo adesso: "Sono un oggetto caro di Dio" e gli
piace dovermi creato come a me è piaciuto creare ia frase. E più l'oggetto
umano ha spirito, più Dìo è soddisfatto.
Bianchi gigli pressavano contro la nudità dei mio petto. Offro gigli bianchi a
ciò che mi ferisce in voi: perché siamo esseri che mancano. Questo perché
certe cose - se non sono date - appassiscono. Per esempio, i petali dei gigli si
brucerebbero contro il calore del mio corpo. Chiamo Ja leggera brezza per ia
mia morte futura. Dovrò morire, altrimenti i miei petali si bruceranno. Ecco
perché mi concedo alla morte ogni giorno. Muoio e rinasco,
inoltre, sono già morta dalla morte di altri. Ma adesso muoio dal fu briachezza
della vita. E benedico il calore del corpo vivente che farà appassire i bianchi gì*
gli (ibidem).
Mi ha creato uguale a quello che scrivo ora: "sono l’oggetto caro di D io” e gli
é piaciuto avermi creato com e a me ê piaciuto creare la frase.
Sono una frase di Dio: è una trasposizione. Lei ê trasposta. Voi non
potete trasporre. Pur se sempre così attenta alla grammatica, ella rima
ne nel luogo che ha designato, ai maschile: “gii é piaciuto avermi crea
to" (eiegostou. de me ter c n a d ó )y resta l’oggetto di Dio. È veramente
in metamorfosi. Avrebbe potuto fare l’accordo e dire me ter c r i a d a,
ma lei é già un oggetto. È in transizione verso qualcosa che non è né
maschile né femminile.
Ecco i fiori, che sono dentro e non dentro. Dentro o forse solo
dentro. Dapprima ci viene detto wcosa ha dato nascita ai fiori nei mio
petto’\ quindi: “i bianchi gigli premevano contro la nudità dei mio pet
to” . È una nudità interiore: siamo in uno spazio generalizzato dell’esse-
re dentro. L’intera relazione con i fiori, con i petali, é naturale e sempli
ce, ma anche più complicata da immaginare: non é realistica, ma di una
Hélène Cixous
Dobbiamo star morendo per andare alla Scuola delle Radici? Non
so se dire sì o no. N o , se è preso letteralmente per intendere che do
mani non apparterremo più a questo mondo. Sebbene ciò sia una cosa
per cui sperare. Sì, se lo comprendiamo come un esercizio »n quella for
ma di vita, delicata e piena di rispetto, che chiamiamo morire. É un dif
ficile apprendistato, ma deve essere esperito. Per esempio, se siamo in
gioia e in amore con la scrittura, dovremmo cercare dì scrivere il libro
immondo. Il libro immondo tratta di cose, uccelli e parole che sono
proibite da Quelli Egli.
Il libro immondo è il libro senza autore. È il libro scritto con n
bordo, ma non con noi al \'olante. È il libro che vi fa fare l’esperienza di
un tipo di morie, che fa cadere il sé, il sè speculante, il furbo “Io” spe
culante.
È il libro deli'Atto della Scrittura. Il libro che prende la vita e il lin
guaggio per ie radici. Non ha nulla a che fare con i libri pazzi - o por*
nografici. È il libro più forte dell'autore: il testo apocalittico, il cui splen
dore sconvolge gli angeli scrivani. Come scriverlo? Con la mano che cor
re. Seguendo la mano che scrive, come il pittore che dipinge: in lampi.
La mano conduce ai fiori. Dal cuore dove s'agitano le passioni fino alle
sommità delle dica che sentono il corpo pensare: è da dove sorge il Li
bro (Vivo)-da- vivere (le livre Vivre)...
turazione. Perché, anche se c’è, nella persona che scrive, “una disposi
zione al mondo delle fiabe” , una relazione con la leggenda, uno stato eli
creazione - ciò non è abbastanza.
Bisogna lavorare. La terra della scrittura. Al punto di divenire la
terni. Lavoro umile. Senza ricompensa. Eccetto la gioia.
La scuola è interm inabile.
Sto cercando di concludere. Improvvisamente, a pagina 185 quan
do Ja terza ora stava finendo, ho capito che forse ci sarebbero dovute es
sere delle conclusioni ai miei viaggi, perché questi fogli su cui cammino
con la mano sono "lezioni” Ma la “conclusione” non è nella scrittura...
N a d ia S e t t i
* Faccio allusione a "L’approccio (li Clarice Lispector" (1988), l i teatro del cuo
(1992); “lì riso della Medusa” (1997); "La venuta alla scrittura” (1998); “La mia AJgeriance"
(1999); “tetterà a Zohra Drìf" (1999), “Apparizioni'’ e "Tancredi continua” (2000).
188 Nadia Sem
' Sul crinale, troverebbe come compagno di strada Jacques Derrida di au dice, in
un saggio-dialogo con Mireille Calle-Gmber (1994, 89): «Perché lo vedo sul cnnale: per-,
che si situa nel punto di contatto tra i due fianchi, versanti, inclinazioni, lati al punto di
rovesciamento della salita in discesa, dei desiderio in iutto, del lutto in slancio di vita,
dì te tn me, lui in lei...»·
'‘Le strade maestre deJla scrmunT 191
Lispector ed altri hanno trasportato net loro scritti per indicare da vici
no o da lontano l’estremità che ie attrae al punto da guidare ι loro iti
nerari poetici e perfino i loro destini di vita.
Le lezioni letture (Lectures in inglese) di Cixous sono ugualmente
corsi di iniziazione: danno gli inizi, guidano verso <segreti dello scrive
re. Il gesto, diciamolo, non è frequente. In genere il segreto è fatto per
essere tenuto per sé. Ma ia scrittura, ci confida Cixous, é il dono dei se
greti nella vertigine della perdita. E quindi dono estremo di ciò che
nondimeno resta segreto. Spartire e nel contempo mantenere (in sé,
nell'altro da sé) il segreto prezioso che origina lo scrivere; ecco un altro
formidabile squilibrio.
Per fortuna che m questi luoghi, in cui i poeti si recano da soli o da
soie, Cixous ci va con noi: nel momento stesso in cui la scrittrice ci av
verte che i luoghi che l’attraggono sono quelli in cui non si va da soli, lei
accompagna ed ê accompagnala. Talvolta mi dico che se Hélène Cixous
non facesse questo lavoro intenso e fedele di accompagnamento loro
continuerebbero da soli e lei stessa si allontanerebbe in solitario cam
mino. Invece questa scrittura, la sua, nasce da una solitudine condivisa
con gli altri, amici, amanti e amiche in scrittura. In questo senso, il libro,
come queste lezioni, ê atto di condivisane, di spartizione di visioni.
Le parole di Cixous ci interpellano nei momento m cui ella tra
smette a sua volta ie chiamate delle sue Guide, i suoi auctores, sapienti
nella scienza della vita, della morte, della lingua. Sono parole che vanno
diritto al cuore della domanda, verso il paese in cui ci sono più doman
de che risposte. Sono sagge e implacabili, ritrovano i cammini o li sol
cano di nuovo. Ci trattengono il tempo di riflettere sull’umano, sull’es-
serci, sulla paura e la gioia, insieme ad altri. Cixous richiama intorno a
sé, verso di noi, 1 testi beneamati (e soltanto quelli) come altrettanti
speccin che devono servire da riscontro e supporto alle nostre interro
gazioni, altrettanti inviti a porci ie domande, a osare i cammini.
I testi/autori (donne e uomini) verso i quali la scrittrice ci porta,
sono testi abbondanti, generosi, così com’è sovrabbondante la sua scrit
tura. Perciò se si dovesse cercare altri significati di "leggere secondo
H.C.” si dovrebbero cercare nel lessico del dare, dei dono, dei donare:
192 Nadia Setti
‘ Mi riferisco a Jacques Derrida (1978) che è a sua volta lettura e rilcttura sia del rac
conto di Π. A. Poe e de **U seminario su La lettera rubata di Jacques Lacan negli Scritti.
“Le strade maestre della scrittura” 195
CI:LAN PAUL
1999 - Poesie, Mondadon, Milano.
CIXOUS HELENE
1967 - Le Prénom de D ie u , Grasset, Pans,
1069 - Dedans, Grasset, Pans.
Les connnentements, Grasset, Paris.
1970 - Le troisième corps Grasset, Pans (riedizione, des femmes, Pans 1999).
1971 - Un vrai ja r d in , LTlerne, Paris (riedizione, des femmes, Paris 1998).
1972 - N eutre, Grasset, Paris.
1973 - Tombe, Le Seuil, Paris.
- Portrait du Soleil’ Denoel, Paris.
1975 - Portrait de D o ra , des femmes, Pans.
- Un K incompréhensible: Pierre G oldm an, Chnstian Bourgots, Paris.
- La je u n e née, (con Catherine Clément ), Collection 10/18.
- Révolutions p o u r plus d'un Faust, Seuil, Pans.
1976 - La, Gallimard, Paris.
Partie, des femmes, Parts.
Souffles, des femmes, Pans.
1978 - Le nom dOedipus: Chant du corps interdit, libretto. Des femmes (con
musica di André Boucourechliev, diretto da Claude Régy, al Festival
d'Avignon)
1979 - Vivre L'Orange, des femmes, Paris (incluso in L’heure de C lance
Lispector, précédé de Vivre POrange, des femmes, Pans 1989).
1980 - Ilia, des femmes, Paris.
1981 - With ou a rt de l'innocence, des femmes, Paris.
1982 - Lim onade tout était si infini, des femmes, Pans.
1983 - Le Livre de Protnethca, Gallimard, Pans.
1986 - “làncrêde conunue", »n Entre l'écriture, des femmes, Pans (traduzione
‘“làncredi Continua” di Nadia Serti, m Bono, 2000).
- L'heure de C lance Lispector, des femmes, Pans.
- La bataille d 'A rcachon , Laval Quebec.
- "1λ Séparation du gâteau", in Jacques Derrida et a i, P o u r Nelson M an
dela, Gallimard, Paris.
Tre Passi sulla Scala della Seme uni 201
CVETAEVA MARINA
1984 - "L’arte alla luce della coscienza", in II poeta e il tempo, Adelphi* Milano.
1987 - M on Poitchknie-Pouchknie et Pougatchov, iracl. André Markowicz et
Clémence Hiver, Pans.
1991 - "Il mio Puskin”, in L'arm adio segreto, Marcos y Marcos, Milano.
1993 - "Puskin and Pugachev”, m /I Capti ve Spirit: Selected Pi-ose, Virago.
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1994 - Poesie , Feltrinelli, Milano.
DERRIDA JACQUES
1978 - fi fa ttore della verità , Adeiphi, Milano.
1982 - Voreille de Vautre , Vlb Editeur, Montreal.
1986 - et al., P ou r Nelson M andela , Gallimard, Paris.
1990 - Mémoires d'aveugles. L'autoportrait et autres ruines, Réunion des
musées nationaux, Paris.
1993 “ Passions. S au f le nom. Khora, Galilée, Paris.
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