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Fabrizio Serra Editore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Dante:
Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri
Sulla poetica
Borges e la Commedia
Tuttavia vorrei parlare del Dante di Borges, campo assolutamente privile-
giato per mettere alla prova queste scarne idee che ho saputo trarre dalla
riflessione, assai più complessa quanto straordinariamente ricca, di Borges.
al citato volume : « […] Borges avanza la teoria della creazione letteraria come infinita e
anonima confluenza di creazioni preesistenti » (Borges, p. 75).
Cfr. infra p. 0, nota .
2
Borges, pp. 3-4. Con queste stesse citazioni dall’Odissea e di Mallarmé comincia
anche il saggio Del culto dei libri, stampato in Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 963
(Opere, i, p. 00) ; questa informazione si trova in Domenico Porzio, Introduzione a
Opere, i, p. xxii.
Borges, pp. 0-. Il brano è tratto dalla conferenza del giugno del ’77 che, come
tutte le conferenze, non si trova raccolta nelle Opere e che qui è pubblicata in Appendice,
2
col titolo La Divina Commedia (Borges, pp. 05-38). Terracini, p. 25.
Ugolino
Il volumetto è composto da nove saggi con un’Appendice, di cui s’è già
detto, 6 ed un Prologo. Quest’ultimo deriva, in parte, come annota il cura-
tore, 7 dall’Introduzione ad un’edizione argentina della Commedia, allestita
nel 949 e in cui confluirono anche tre brani già apparsi l’anno prima
sul quotidiano «La Nación» e dedicati ad Ugolino, a Ulisse e a Beatrice.
Proprio questi tre interventi, ritornati ad essere indipendenti in questa
2
Borges, p. 3. Ivi, p. 38.
3 4
Terracini, p. 29. Ivi, p. 32.
5
Ivi, p. 36. La medesima idea del nesso irrazionale fra l’autore e la sua fonte si trova
sviluppata a conclusione del saggio di Paoli (pp. 06-07) che ricorda quanto scriveva Bor-
ges circa la possibilità di percepire lo stesso sapore nei racconti di Hawthorne e di Kaf ka :
« un grande scrittore crea i suoi precursori » (Opere, i, p. 964).
6 7
Cfr. supra, p. 92, nota . Borges, pp. 43-44
Per l’espressione di questa identica idea cfr. supra, p. 89, nota 5.
2
Borges, p. 46. Qui è citato un ampio brano del commento di Pietrobono nella
edizione torinese del 923-926. Nell’edizione che ho consultato io, la bolognese del 954
(pp. 303-304), lo studioso esclude con sicurezza l’interpretazione di Ugolino antropofago
perché nel suo progetto di accrescere la colpa dell’arcivescovo, Ugolino avrebbe ottenuto
di oscurarla di fronte all’orrore del suo gesto bestiale.
Ulisse
Nella Nota al testo dei Nove saggi, Scarano cita un’affermazione contenuta in
La sfida (che fa parte della Storia del tango ), in cui, richiamandosi all’espe-
rienza dell’Ulisse dantesco, si afferma « l’oscura e tragica convinzione che
l’uomo è sempre l’artefice della propria sventura ». 2 Mi pare che come
introduzione alla lettura borgesiana dell’Ulisse di Dante questa citazione
presenti una chiave essenziale per comprendere l’esperienza narrata nel
canto xxvi dell’Inferno. Si tratta del riuso di un fortunato topos della latinità
che, fra le varie formulazioni, si legge con queste parole : « faber est suae
quisque fortunae », attribuite dallo Pseudo-Sallustio ad Appio Claudio
Cieco, 3 dove ‘fortuna’ ha evidentemente un significato anceps, dovendosi
intendere sia buona che cattiva sorte.
Nella prima delle sette conferenze tenute a Buenos Aires, quella del giu-
gno del 977, pubblicata, come s’è detto, in Appendice al volume dantesco,
affrontando il tema del personaggio di Ulisse, Borges sottolinea, come
del resto la critica più accorta ha fatto di frequente, la sua vicinanza, fino
alla sovrapponibilità, con il personaggio storico di Dante. 4 In maniera più
precisa, Borges pensa che tale somiglianza consista nell’aver Dante osato
anticipare o comunque conoscere l’imperscrutabile giudizio finale di Dio.
Questo peccato di orgoglio, secondo lo scrittore, è simile a quello di chi ha
voluto superare le colonne d’Ercole per conoscere ciò che all’uomo non
è dato conoscere in vita. 5
Ma il contributo originale della lettura borgesiana del mito dantesco di
Ulisse, consiste nel richiamo, sia pure assai fugace, alla figura di Simbad de
Capitolo aggiunto nel 955, a Evaristo Carriego (Opere, i pp. 263-280. La citazione si
trova a p. 279 e, in questa nuova versione, suona con parole appena diverse : « […] oscura
e tragica convinzione che l’uomo è sempre l’artefice delle proprie sventure, come l’Ulisse
2
del canto xxvi dell’Inferno »). Borges, p. 48.
3
Epistola ad Caesarem senem de repubblica, ,,2.
4
« Dante sentì che Ulisse, in qualche modo, era lui stesso » (Borges, p. 37). « Dante,
novello Ulisse » (Ivi, p. 45). Del resto molti sono i segnali contenuti nella Commedia di que-
sta affinità speciale che accomuna il poeta e il suo personaggio. Paoli, dopo essere giunto
al punto di tentare di identificare l’Ulisse dantesco e quello omerico con Borges, scrive,
conclusivamente : « L’episodio dell’Inferno deve, a giudizio di Borges, la sua tremenda forza
al fatto che Ulisse è lo specchio di Dante » (Paoli, p. 05).
5
Per correttezza, devo dire che nella mia lettura del canto di Ulisse (L’Ulisse di Dante,
di prossima pubblicazione in « Studi petrarcheschi ») ho accolto, semplificandola, l’ampia
e ricca interpretazione di Fubini (Ulisse, in Enciclopedia dantesca, v, Roma, Istituto dell’En-
ciclopedia Italiana, 976, pp. 803-809) che, stando alla lettera del testo, non ritiene che la
morte, che Dio stesso commina ad Ulisse e ai suoi compagni, sia interpretabile come la
punizione di un peccato di superbia ma che essa sia piuttosto la naturale conseguenza di
una vita umana che ha voluto conoscere la morte prima della propria morte, il che, in
seguito al peccato di Adamo, non è concesso al genere umano.
Ahab di Melville, la cui sorte finale è vista come identica a quella narrata
da Ulisse nella bolgia dei consiglieri di frode. Quest’ultimo ritiene di dover
giustificare e nobilitare il proprio gesto con la virtù dell’intelligenza che
vuole conoscere l’ignoto e naufraga, per mano di Dio stesso, in un oceano
sconosciuto agli umani, mentre il mare si richiude sopra di lui. Ahab, dal
canto suo, spinto da spirito di vendetta, percorre i sette mari finché, uccisa
la balena bianca, suo mortale nemico, affonda con la nave, scomparendo
nello stesso modo e quasi con le stesse parole dell’Ulisse cantato nell’In-
ferno : « […] poi tutto ricadde, e il gran sudario del mare tornò a stendersi
come si stendeva cinquemila anni fa ». 2
Nel terzo saggio della raccolta, Borges esamina i luoghi della Commedia
in cui tornano le parole più importanti del canto di Ulisse (« folle volo »
di Inf. xxvi, 25 ; « varco folle » di Par. xxvii, 82-83 ; « venuta folle » di Inf.
ii, 35 ; « com’altrui piacque » di Inf. xxvi, 4 e di Purg. i, 33) per trarne la
conclusione delle affinità e delle differenze 3 che ci sono fra Dante e Ulisse.
Quindi lo scrittore-lettore sottolinea la distanza esistente fra l’avventura
di Ulisse, che consiste nella scelta di intraprendere un viaggio impossibile,
e quella di Dante che non sta, come si potrebbe superficialmente pensare,
nell’esperienza dell’attraversamento dei tre regni ultraterreni, ma nella
straordinaria impresa della scrittura del libro. Ciò, tuttavia, non basta a
segnare la lontananza fra le due vicende, perché Ulisse supera la consape-
volezza della follia del suo volo con l’intraprenderlo senza esitazioni, men-
tre Dante, prima di mettersi nell’alto passo, espone a Virgilio, come più
tardi farà con Cacciaguida, i dubbi della propria coscienza religiosa, circa
l’opportunità di argomentare il giudizio sui morti e sui vivi. La medesima
angoscia, di ordine religioso, il poeta manifesta, secondo Borges, nell’in-
venzione eccezionale della nuovissima leggenda di Ulisse, attraverso la cui
disavventura si intravede la possibile condanna che merita chi presuma di
rivelare il misterioso giudizio di Dio.
Francesca
Non c’è uno studio preciso dedicato al personaggio di Francesca da Ri-
mini. Tuttavia molti sono i riferimenti che in questi Nove saggi danteschi
Molti sono gli interventi borgesiani su quest’opera. Fra questi non si dimentichino :
la sezione dedicata a I traduttori delle « Mille e una notte » in Storia dell’eternità (Opere, i, pp.
584-608) ; la poesia dal titolo Metafore delle Mille e una notte, compresa in Storia della notte, in
cui si legge : « I viaggi di Simbad, quell’Odisseo / sospinto dalla sete di avventura, / e non
dal castigo di un dio » (Opere, ii, pp. 038-043: p. 039).
2
Queste sono le parole con cui Cesare Pavese traduce l’explicit del grande romanzo di
Melville e che meriterebbero una loro interpretazione a parte.
3
« Questa azione [la visione del viaggio di Dante] sembra il rovescio di quella [l’impresa
di Ulisse] » (Borges, p. 46).
2 3
Inf. v, 35. Borges, p. 96. Inf. v, 3.
4 5
Inf. v, 9-92. Borges, p. 25
Borges, p. 28.
2
Si veda almeno il saggio del 957, intitolato Dante e i visionari anglosassoni, in Borges,
3
pp. 59-69. Par. xxv, 2
2
Inf. v, 42. Borges, p. 6.
3 4
Si tratta del verso « soli eravamo e senza alcun sospetto ». Opere, ii, p. 223.
Beatrice
Il saggio L’incontro in un sogno, pubblicato nel ’48, e quello intitolato L’ul-
timo sorriso di Beatrice, che deve risalire, secondo Scarano, allo stesso giro
d’anni, 2 sono due interventi che illustrano la visione borgesiana del perso-
naggio di Beatrice nella Commedia.
Nel primo di questi scritti Borges spiega, con la solita chiarezza, effi-
cacemente didascalica, il contesto in cui finalmente, dopo tanta doloro-
sa attesa, il poeta pellegrino incontra di nuovo Beatrice. Nel Paradiso
terrestre, fermata la processione, Dante personaggio avverte, nel suo
corpo, la vicinanza della donna per la quale, secondo Borges, egli aveva
« professato una religione idolatrica » ; 3 la quale donna, sempre secondo
lo scrittore, « si era burlata di lui e l’aveva respinto », 4 in quella situazione
sentimentale, di chi avverte in sé uno stato d’animo che lo riporta ad
un’altra epoca, ad un altro mondo, egli si gira e non trova più accanto
a sé Virgilio, 5 a cui poter dire quel verso bellissimo tradotto dall’Eneide :
« conosco i segni dell’antica fiamma ». 6 Invece è Beatrice che, in questa
circostanza di ulteriore abbandono, lo invita a piangere non per la rin-
Del rapporto fra sogno e letteratura Borges scrive, oltre che in tanti altri luoghi, anche
nella conferenza su Hawthorne, che si apre con un discorso sulla metafora del teatro
come sogno. Collocati in epigrafe, si trovano dei versi di Gongóra, quindi lo scrittore cita
Jung che « paragona le invenzioni letterarie alle invenzioni oniriche, la letteratura ai sogni »
2
(Opere, i p. 953). Borges, pp. 54-55.
3
Borges, p. 94. A tale idolatria Borges è forse condotto, come sospetta Paoli (p. 0, n.
59 ; il capitolo indicato da lui è, erroneamente, il xxxii), dalla lettura di Giovanni Papini,
Dante vivo, cap. xxxiii, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 933, pp. 288-296.
4
Ibidem.
5
Anche in questo caso s’innesca un procedimento di compianto funebre per l’abban-
dono : « ma Virgilio n’avea lasciati scemi / di sé, Virgilio dolcissimo patre, / Virgilio a cui
6
per mia salute die’mi » (Purg. xxx, 49-5). Purg. xxx, 48.
Poesia congetturale
Nelle pagine del secondo dei due volumi delle Opere, si legge la poesia dal
titolo Poesia congetturale, che Borges ha scritto nel 943 e che fa parte della
raccolta L’altro, lo stesso. Qui il poeta racconta la storia della tragica fine
di un suo avo materno, Francisco Narciso Laprida, 2 morto nel 829 nella
guerra civile contro i gauchos ribelli. Ecco un brano del testo in cui, oltre
ad una citazione esplicita dal canto v del Purgatorio, si manifesta un chiaro
riuso dei materiali di quel medesimo canto.
Come quel capitano in Purgatorio
fuggendo a piedi e insanguinando il piano 3
fu accecato e abbattuto dalla morte
dove un oscuro fiume perde il nome, 4
così dovrò cadere. Oggi è la fine.
La notte laterale dei pantani
m’insidia e m’imprigiona. 5 Odo gli zoccoli
della mia calda morte che mi cerca
con cavalieri, con musi e con lance.
Io che sognai d’essere un altro, un uomo
di sentenze, di libri, di verdetti,
a ciel sereno giacerò tra il fango ;
ma mi delizia il cuore, inesplicabile
un giubilo segreto. 6
Forse anche sulla scorta di Raimondi (Ezio Raimondi, Rito e storia nel i canto del Purgato-
rio, Lectura Dantis Scaligera, Firenze, Le Monnier, 967, pp. -42; ora in Idem, Metafora e storia.
Studi su Dante e Petrarca, Torino, Einaudi, 9772, pp. 65-94: p. 70), Chiavacci Leonardi, molto
opportunamente, cita un brano del De lapidibus (P. L. 7, 757-780) del vescovo di Rennes,
Marbodo (xi-xii sec.), in cui si riferiscono le virtù attribuite allo zaffiro : « hic lapis […] educit
carcere victos […] vincula tacta resolvit, placatumque Deum reddit […] ardorem refrigerat
interiorem […] tollit et ex oculis sordes » (cito da Marbode, De lapidibus preciosis enchiridion,
excudebat Christianus Wechelus, Parisiis, 53, pp. 92-93) ; [« libera i prigionieri dal carcere […]
al suo tocco scioglie i legami e placa l’ira di Dio […] raffredda gli ardori interni […] leva dagli
occhi ogni sporcizia »] (trad. it in Anna Maria Chiavacci Leonardi, commento al v. 3).
2
Per il quale vd. Opere, i, p. xxvii.
3
« Como aquel capitán del Purgatorio / que, huyendo a pie y ensangrentando el llano,
/ […] ». Il secondo, di questi due versi, ricalca perfettamente il testo dantesco che dice :
« fuggendo a piede e sanguinando il piano » (Purg. v, 99).
4
« Donde un oscuro río pierde el nombre » : anche in questo caso il richiamo dantesco è
quasi letterale. Dante, per indicare il punto in cui il fiume Archiano si immette nell’Arno, lì
dove Buonconte, ferito a morte, spira, dice : « Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano » (Purg. v, 97).
5
« La noche lateral de los pantanos / me acecha y me demora », verso che corrisponde
ai seguenti versi danteschi : « Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco / m’impigliar sì ch’i’
caddi » (Purg. v, 82-83).
6
Opere, ii, pp. 26-27. A questo componimento è dedicata un’ampia analisi di Paoli (Gli
spunti danteschi del « Poema conjetural » di Borges, in Paoli, pp. 09-8).
L’ Aleph
Di questa raccolta, il cui titolo rinvia a quello di uno dei suoi racconti, qui,
per i possibili o evidenti richiami all’opera dantesca, ci interessano i se-
guenti brani : L’altra morte, Lo Zahir, La scrittura del Dio, L’attesa, L’Aleph.
Nel primo di questi, L’altra morte, scritto nel 949, si trova l’idea che la
letteratura sia uno straordinario gioco arbitrario in cui è possibile ogni
cosa e il suo contrario. Per sostenere l’assurdità della doppia morte del
suo personaggio, lo scrittore ricorda i versi controversi 2 del canto xxi del
Paradiso (2-23) che, secondo alcuni critici, nasconderebbero l’identità di
due Pietro (Pier Damiani e Pietro Peccatore) :
In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu’ ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.
Ormai la critica sembra abbastanza concorde nel ritenere che qui Dante
si riferisca sempre allo stesso Pier Damiani. Proprio quel teologo nelle cui
parole il narratore trova una possibile spiegazione della misteriosa esi-
stenza e morte di Pedro Damián. Il personaggio del racconto borgesiano
(« ultrapirandelliano », lo definisce Paoli 3) che si chiama pour cause Pedro
Damián, e chi lo narra dichiara di averlo conosciuto nel 942, 4 è il risul-
tato di un vero e proprio sdoppiamento che solo la letteratura è in grado
di operare. In una prima ipotesi, infatti, lo scrittore sostiene che esistano
due Damián, il vile che morì ad Entre Ríos intorno al 946 e il coraggio-
so che morì nella battaglia di Masoller nel 904. Ma se è vero, appunto,
quanto sostiene Pier Damiani, in contrasto con Aristotele e con Tommaso
d’Aquino, che Dio può, nella sua onnipotenza, modificare il passato (« fare
Da questo punto di vista e ricordando che secondo Borges, come s’è già avuto occa-
sione di notare, « ogni grande scrittore crea i suoi precursori » (cfr. supra, p. 93, nota 5), ha
perfettamente ragione Paoli quando afferma che « se Borges s’è nutrito di Dante, anche
Dante, dopo Borges, è più ricco, più vicino a una sensibilità moderna, più rispondente alle
esigenze di un lettore attuale » (Paoli, p. 07).
2
Versi controversi è il titolo del seminario dantesco che si è svolto presso l’Università di
Foggia nel corso dell’Anno Accademico 2005-2006, i cui atti sono in corso di stampa.
3
Paoli, p. 94.
4
È una caratteristica della scrittura borgesiana il rinvio a tempi precisi della storia che
narra, quanto più essa ha contenuti fantastici e del tutto inverosimili. La precisione del
tempo ne avvalorerebbe l’autenticità letteraria. Sulla dimensione speciale che il tempo
assume nell’universo elaborato dallo scrittore – se sia rettilineo o circolare o abbia altra
forma imprecisata o variabile – si è a lungo soffermata la critica.
2 3
Opere, i, p. 894. Ivi, i, p. 887. Ibidem.
4
Ivi, p. 893. Si ricordi « l’irrecuperabile Beatrice » (cfr. supra, p. 03, nota 4).
5 6
Opere, i, p. 895. Cfr. supra p. 03, nota 8.
7
« Comincia, qui, la mia disperazione di scrittore […] come trasmettere agli altri l’infi-
nito di Aleph che la mia timorosa memoria a stento abbraccia ? » Opere, i, p. 895.
2
Opere, i, p. 67. Ibidem.