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Il xxxiii canto del Paradiso si apre con la preghiera che san Ber-
nardo rivolge alla Vergine, perché sia concessa a Dante la grazia
di giungere alla visione di Dio, vertice della sua esperienza del-
l’aldilà. In queste terzine convergono alcune delle linee temati-
che fondamentali del poema. Tra queste mi pare eminente il
motivo dell’impresa di viaggio e visione, e poi di memoria e
scrittura, che è stata affidata a Dante. E la preghiera alla Vergine
è pronunciata da san Bernardo, che innalzando questa « santa
orazione » assolve il compito di “terza guida”. La funzione di
Bernardo trova in queste terzine il suo compimento e il perso-
naggio acquista quindi il suo significato definitivo. Ma soprat-
tutto la preghiera è rivolta alla Vergine, e in pochi versi si con-
centrano mirabilmente le formule vertiginose della teologia e
della devozione mariana. Può essere allora utile ripercorrere ra-
pidamente queste linee tematiche per prepararsi a cogliere non
solo la bellezza e il significato di questi versi, ma anche il loro
valore piú ampio e profondo nel contesto complessivo del poe-
ma, di cui costituiscono uno dei punti conclusivi e cruciali.
Il Paradiso di Dante è un grande teatro celeste. Il vero Para-
diso, sede di Dio, degli angeli e dei beati è posto nell’Empireo,
al di là dei nove cieli corporei. Esso è un luogo-non luogo, un
cielo puramente spirituale, il « ciel ch’è pura luce: // luce intel-
lettüal, piena d’amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / le-
tizia che trascende ogne dolzore » (Par., xxx 39-42).1 Ma Dante è
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2. Cfr. in proposito Par., iv 22-63. Per analisi di questo passo e dei princípi che
regolano la struttura del Paradiso, cfr. T. Barolini, The Undivine ‘Comedy’. Detheo-
logizing Dante, Princeton, Princeton University Press, 1992, pp. 183-89 (trad. ital.,
La ‘Commedia’ senza Dio. Dante e la creazione di una realtà virtuale, Milano, Feltrinel-
li, 2003, pp. 255-63); L. Pertile, Canto iv, in « Lectura Dantis », 16-17 1995, Special
Issue: Lectura Dantis Virginiana iii. Dante’s ‘Paradiso’: Introductory Readings, pp. 46-67;
G. Güntert, Canto iv, in Lectura Dantis Turicensis, iii. ‘Paradiso’, a cura di G. Gün-
tert e M. Picone, Firenze, Cesati, 2002, pp. 69-80.
3. Il racconto è ripetuto piú volte negli Atti degli Apostoli, sempre con l’uso del
verbo circumfulgere al perfetto. Cfr. Act., 9 3: « et subito circumfulsit eum lux de
caelo »; 22 6: « subito de caelo circumfulsit me lux copiosa »; 26 13: « vidi [ . . . ] de
caelo supra splendorem solis circumfulsisse me lumen, et eos qui mecum simul
erant ». Sulla ripresa dantesca del modello paolino relativamente alla dinamica
accecamento-visione, anche in relazione ai modelli negativi offerti dal mito e
dalla poesia classica, cfr. G. Ledda, Semele e Narciso: miti ovidiani della visione nella
‘Commedia’ di Dante, in Le ‘Metamorfosi’ di Ovidio nella letteratura tra Medioevo e Ri-
nascimento, a cura di G.M. Anselmi e M. Guerra, Bologna, Gedit, 2006, pp. 17-
40, alle pp. 25-27.
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« vergine madre, figlia del tuo figlio »
nulla luce è tanto mera, / che li occhi miei non si fosser difesi »
(58-60). Questa « novella vista », questa facoltà visiva rinnovata e
potenziata attraverso la « battaglia » sostenuta nel corso dell’a-
scesa paradisiaca, non teme piú cedimenti, ora che è stata sag-
giata e innalzata dalla « luce viva » dell’Empireo.4
Nell’Empireo siamo al di fuori dello spazio, qui non c’è piú la
possibilità di modulare la narrativa avventurosa del viaggio, che
ha agito ancora nell’ascesa attraverso i nove cieli corporei. L’e-
sperienza del viaggiatore è ormai solo visione, ma la visione ha
una sua speciale e nuova dinamica. Oltre al movimento dello
sguardo, espresso anche con metafore di moto, tra cui spicca
quella del volare con gli occhi, esiste infatti ancora una crescita
progressiva della visione, che permette la trasformazione di
quanto Dante vede, non perché muti la realtà visibile, ma per il
potenziarsi della vista del contemplante che riesce a cogliere
sempre nuovi e piú autentici aspetti della realtà. Cosí anche qui
ogni visione prepara alla successiva rendendo piú forte e pene-
trante la capacità visiva di Dante. Questo è particolarmente evi-
dente nella prima fase della visione dell’Empireo, e sarà poi de-
cisivo nell’ultima, la visione di Dio, che si sviluppa progressiva-
mente attraverso tre momenti. Ma anche la contemplazione
dell’Empireo svolge a sua volta una funzione preparatoria alla vi-
sione di Dio: « Lume è là sú che visibile face / lo creatore a quel-
la creatura / che solo in lui vedere ha la sua pace » (xxx 100-2).
Dopo aver osservato, sotto la guida di Beatrice, « la forma ge-
neral di paradiso » (xxxi 52), Dante si volge verso di lei, ma al
posto della beata vede invece « un sene / vestito con le genti
glorïose » (59-60). Questo solenne vegliardo dall’atteggiamento
teneramente paterno tranquillizza subito Dante, turbato per la
4. L’espressione « la battaglia de’ debili cigli » è usata da Dante per riferirsi al-
la lotta tra le proprie deboli facoltà visive umane e le luci paradisiache: cfr Par.,
xxiii 78.
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5. Cfr. Par., xv 54; xxv 50. Sul tema del volo nel Paradiso si veda il saggio di L.
Pertile, Le penne e il volo, nel volume La punta del disio. Semantica del desiderio nel-
la ‘Commedia’, Fiesole (Firenze), Cadmo, 2005, pp. 115-35.
6. Della vasta bibliografia sui temi del viaggio, della peregrinatio, dell’esilio nel-
la Commedia mi limito a indicare pochi lavori che mi paiono fondamentali: B.
Basile, Il viaggio come archetipo. Note sul tema della “peregrinatio” in Dante, in « Lettu-
re Classensi », xv 1986, pp. 9-26; A.M. Chiavacci Leonardi, Il tema biblico dell’e-
silio nella ‘Divina Commedia’, in La scrittura infinita. Bibbia e poesia in età medievale e
umanistica, a cura di F. Stella, Tavarnuzze (Firenze), Sismel-Edizioni del Gal-
luzzo, 2001, pp. 177-85; P.S. Hawkins, Crossing over: Dante and Pilgrimage, in Id.,
Dante’s Testaments. Essays in Scriptural Imagination, Stanford, Stanford University
Press, 1999, pp. 247-64 e 333-36; C. Delcorno, « Ma noi siam peregrin come voi sie-
te ». Aspetti penitenziali del ‘Purgatorio’, in Da Dante a Montale. Studi di filologia e criti-
ca letteraria in onore di Emilio Pasquini, a cura di G.M. Anselmi et al., Bologna, Ge-
dit, 2005, pp. 11-30.
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7. Su Bernardo e sulla sua presenza nella Commedia, oltre alla voce dell’Enciclo-
pedia Dantesca, curata da R. Manselli, risulta preziosa soprattutto la monografia
di S. Botterill, Dante and the Mystical Tradition. Bernard of Clairvaux in the ‘Com-
media’, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, in particolare pp. 64-115.
8. Ep., xiii 29. E cfr. in proposito G. Padoan, La « mirabile visione » di Dante e
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l’ ‘Epistola a Cangrande’, in Id., Il pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendi-
mento medievale in Dante, Ravenna, Longo, 1977, pp. 30-63.
9. Par., xxxi 103-11. Sul grande interesse di Dante per la reliquia della Veroni-
ca cfr. J. Barclay Lloyd, « Chiamansi romei in quanto vanno a Roma » (‘Vita Nuova’
xl, 7): Pilgrimage to Rome in the Late Duecento, in « La gloriosa donna de la mente ». A
Commentary of the ‘Vita Nuova’, a cura di V. Moleta, Firenze, Olschki, 1994, pp.
225-48; G. Wolf, « Pinta de la nostra effige ». La Veronica come richiamo dei romei, in
Romei e Giubilei. Il pellegrinaggio medievale a San Pietro (350-1350), a cura di M. D’O-
nofrio, Milano, Electa, 1999, pp. 211-18.
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10. Par., xxxi 118-38. Cfr. in particolare i vv. 124-29. La luminosità fiammeg-
giante è sottolineata dal lessico igneo e dalla serie delle rime derivative: s’infiam-
ma : oriafiamma : fiamma.
11. Si tratta di una perifrasi per indicare Eva, centrata però sulla figura e sul
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ruolo di Maria nella storia della Redenzione: « “La piaga che Maria richiuse e
unse, / quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi / è colei che l’aperse e che la pun-
se” » (Par., xxxii 4-6).
12. Cfr. Par., xxxii 88-96: « “Io vidi sopra lei tanta allegrezza / piover, portata
ne le menti sante / create a trasvolar per quella altezza // che quantunque io
avea visto davante, / di tanta ammirazion non mi sospese, / né mi mostrò di
Dio tanto sembiante; // e quello amor che primo lí discese, / cantando ‘Ave,
Maria, gratïa plena’, / dinanzi a lei le sue ali distese” ».
13. Anche in questo caso Maria è citata in una perifrasi, qui definitoria dell’ar-
cangelo Gabriele: « “perch’elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria, quan-
do ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma” » (Par., xxxii 112-14).
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14. Oltre alla voce Maria Vergine nell’Enciclopedia Dantesca, vol. iii pp. 835-39, re-
datta da M. Apollonio, mi limito a rinviare ad alcuni lavori recenti che ho tro-
vato di particolare utilità: P. Boitani, « Sua disianza vuol volar sanz’ali »: Maria e l’a-
more nella poesia del Trecento, in Id., Il tragico e il sublime nella letteratura medievale, Bo-
logna, il Mulino, 1992, pp. 251-314, in particolare pp. 251-68; S. Botterill, Dante
and the Mystical Tradition, cit., pp. 148-93. A.M. Chiavacci Leonardi, « In te mise-
ricordia, in te pietate ». Maria nella ‘Divina Commedia’, in Gli studi di mariologia medie-
vale. Bilancio storiografico, a cura di C.M. Piastra, Tavarnuzze (Firenze), Sismel-
Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 321-34.
15. Cfr. A.M. Chiavacci Leonardi, Le beatitudini e la struttura poetica del ‘Purga-
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torio’, in « Giornale storico della letteratura italiana », clxi 1984, pp. 1-29, alle pp.
26-29; M. Semola, Maria e gli altri « exempla » biblici nei canti x-xxvi del ‘Purgatorio’
dantesco, in Memoria biblica e letteratura italiana, a cura di V. Placella, Napoli, Isti-
tuto Universitario Orientale, 1998, pp. 9-32; C. Crevenna, Strategie ricorsive negli
« exempla » del ‘Purgatorio’ dantesco, in « ACME. Annali della Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università di Milano », lvii 2004, pp. 33-54.
16. Tra le lecturae del canto piú attente a questo aspetto si possono vedere: G.
Varanini, Il trionfo di Cristo e di Maria nel ‘Paradiso’ dantesco (Par. xxiii), in Scritti in
onore di Antonio Scolari, Verona, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, 1976, pp.
277-99, in particolare alle pp. 290-97; P. Sabbatino, L’Eden della nuova poesia. Sag-
gi sulla ‘Divina Commedia’, Firenze, Olschki, 1991, pp. 187-212, in particolare alle
pp. 200-7; L. Pertile, La forma del desiderio (1984), ora in Id., La punta del disio, cit.,
pp. 181-211, in particolare alle pp. 203-7; M. Pazzaglia, Canto xxiii, in Lectura
Dantis Neapolitana. Paradiso, dir. P. Giannantonio, Napoli, Loffredo, 2000, pp.
441-56.
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17. Cfr. in proposito E. Raimondi, Rito e storia nel i canto del ‘Purgatorio’, in Id.,
Metafora e storia, Torino, Einaudi, 1970, pp. 65-94, alle pp. 69-70; B. Basile, Lo zaf-
firo d’oriente: da Dante a Buti, in « Rivista di studi danteschi », v 2005, pp. 155-60.
18. Marbodo di Rennes, De lapidibus, cap. v. De sapphiro, vv. 116-18: « educit
carcere vinctos, / obstructasque fores, et vincula tacta resolvit, / placatumque
deum reddit, precibusque faventem » (in Lapidari. La magia delle pietre preziose, a
cura di B. Basile, Roma, Carocci, 2006, p. 46).
19. Cfr. Marbodo di Rennes, De lapidum naturis, xiv: « In sapphiro spei cele-
stis altitudo » (in Lapidari, cit., p. 122); Lapidum pretiosorum mystica seu moralis appli-
catio, II: « Sapphirus celi colorem habet. Significat illos qui adhuc in terra positi
celestibus intendunt, et cuncta terrena despiciunt, quasi non sint in terra iuxta
illud: Nostra autem conversatio in celis est [Phil., 3 20] » (in Lapidari, cit., p. 128).
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20. Cfr. R. Stefanini, Le tre mariofanie del ‘Paradiso’: xxiii 88-129; xxxi 115-142;
xxxii 85-114, in « Italica », lxviii 1991, pp. 297-309.
21. Cfr. Par., xxxi 118-39.
22. Per le prime tre occorrenze cfr. Par., xii 70-75; xiv 103-8; xx 103-8. Le raffi-
nate analisi matematiche di T.E. Hart hanno messo in luce che la distribuzione
numerica di questi quattro gruppi di rime in Cristo nel Paradiso è regolata da rap-
porti di proporzionalità geometrica. Cfr. The « Cristo »-Rhymes and Polyvalence as a
Principle of Structure in Dante’s ‘Commedia’, in « Dante Studies », cv 1987, pp. 1-42;
The « Cristo »-Rhymes, the Greek Cross, and Cruciform Geometry in Dante’s ‘Commedia’:
« giunture di quadranti in tondo », in « Zeitschrift für romanische Philologie », cvi
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« ma poi che ’l tempo de la grazia venne,
sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza là giú si ritenne.
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
piú si somiglia, ché la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo ».
(Par., xxxii 82-87).
1990, pp. 106-34. Per alcune considerazioni sulla funzione di questa struttura ri-
mica nel Paradiso, cfr. inoltre G. Ledda, Osservazioni sul panegirico di San Domenico
(Par. xii, 31-114), in « L’Alighieri », n.s., 27 2006, pp. 105-25, alle pp. 117, 124-25.
23. Cfr. Purg., x 28-45.
24. Cfr. Par., xxxii 85-114.
25. Sull’interpretazione di questa terzina e sul ruolo di Maria fra le « tre don-
ne benedette » cfr. A.M. Chiavacci Leonardi, Le tre donne benedette (‘Inferno’ ii),
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cere la dura giustizia divina, che si lascia vincere dalle sue amo-
rose preghiere. Dunque Maria è il motore dell’intera avventura
di Dante, soccorso da Lucia, Beatrice e Virgilio grazie alla sua
premurosa iniziativa di misericordia. E, come ha mosso tutta
l’avventura, ora è colei che può ottenere per grazia che essa tro-
vi il suo supremo compimento.
La preghiera che san Bernardo rivolge alla Vergine si apre
con le parole « Vergine Madre, figlia del tuo figlio ».26 L’ultimo
canto inizia richiamando i misteri inaccessibili e incomprensibi-
li dell’Incarnazione, e nello stesso modo si chiuderà, in quanto
dei tre momenti della visione di Dio, è culminante proprio
quello della divinità e umanità del Figlio, che Dante cercherà
vanamente di comprendere con le forze del proprio intelletto, e
che potrà infine cogliere solo grazie a un fulgore divino che col-
pisce la sua mente e ne soddisfa misteriosamente il desiderio di
conoscenza.27
Grazie agli studi di Erich Auerbach è possibile individuare
in Realtà e simbolo della « donna » nella ‘Commedia’. Lectura Dantis Pompeiana, a cura
di P. Sabbatino, Pompei, Biblioteca « L. Pepe », 1987, pp. 61-83, specialmente pp.
66-69.
26. Tra le lecturae di Par., xxxiii, oltre quelle che saranno citate su punti speci-
fici, sono state di utile consultazione: M. Casella, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’
(1925), in Letture Dantesche, a cura di G. Getto, Firenze, Sansoni, 1963, pp. 673-
92, in particolare pp. 675-81; S. Chimenz, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’, Roma, Si-
gnorelli, 1951, in particolare pp. 3-14; M. Fubini, L’ultimo canto del ‘Paradiso’, in Id.,
Il peccato di Ulisse e altri scritti danteschi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966, pp. 101-36,
in particolare pp. 105-23; A. Sacchetto, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’, in Casa di
Dante in Roma. Nuove letture dantesche. Volume settimo, Anno di studi 1971-1972, Fi-
renze, Le Monnier, 1974, pp. 265-87, in particolare pp. 266-73; E. Esposito, Il can-
to dell’ultima visione (‘Paradiso’ xxxiii), in « Letture Classensi », vii 1979, pp. 11-26, in
particolare pp. 14-20; P. Giannantonio, Canto xxxiii, in Lectura Dantis Neapolita-
na, cit., pp. 679-705, in particolare pp. 679-91; G. Güntert, Canto xxxiii, in Lec-
tura Dantis Turicensis, iii. ‘Paradiso’, cit., pp. 505-18.
27. Cfr. Par., xxxiii 127-41. Sul rapporto fra l’inizio e la conclusione del canto si
vedano le osservazioni di A. Jacomuzzi, « L’imago al cerchio ». Nota sul canto xxxiii
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del ‘Paradiso’, in Id., L’imago al cerchio e altri studi danteschi, Milano, Franco Angeli,
1995, pp. 11-24, a p. 11.
28. E. Auerbach, La preghiera di Dante alla Vergine (Par., xxxiii) ed antecedenti elo-
gi (1949), in Id., Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 1984, pp. 273-308.
29. Oltre a E. Auerbach, Studi su Dante, cit., pp. 273-74, cfr. anche E. Norden,
Agnostos Theos. Untersuchungen zur Formengeschichte religiöser Rede, Leipzig-Berlin,
Teubner, 1913, pp. 143-63.
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32. Cfr. Purg., x 34-45. Cfr. in proposito A.M. Chiavacci Leonardi, Le beatitu-
dini e la struttura poetica del ‘Purgatorio’, cit., pp. 26-29; M. Semola, Maria e gli altri
“exempla” biblici nei canti x-xxvi del ‘Purgatorio’ dantesco, cit., pp. 16-17.
33. Cfr. Purg., xii 25-63.
34. Naturalmente il rimando è a Inf., xxvi 90-142, con citazioni dai vv. 125 e
141. Piú in generale sulle dinamiche e le opposizioni paradossali alto/basso nel-
la riflessione morale e teologica medievale intorno alla superbia e all’umiltà, cfr.
C. Casagrande e S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, To-
rino, Einaudi, 2000, pp. 3-35.
35. Si veda ancora Purg., x 34-45.
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36. Fra i riscontri solitamente citati si possono ricordare le formule simili nella
Laus Christi, dove Cristo è chiamato « matris parens », e poi « Ipse opifex, opus ipse
tui » (cfr. E. Auerbach, Studi su Dante, cit., pp. 282-83; P. Dronke, The Conclusion of
Dante’s ‘Commedia’, in « Italian Studies », xlix 1994, pp. 21-39, alle pp. 25-26), e del De
Beata Maria Virgine Hymnus (O genetrix aeterni) di Pier Damiano: « fit factor ex factu-
ra » (cfr. Analecta Hymnica, xlviii 52).
37. Per un’analisi delle figure retoriche presenti nel canto, con particolare at-
tenzione alla parte oggetto anche della presente lettura, cfr. A. Pennacini, Reto-
rica e teologia nel canto xxxiii del ‘Paradiso’, in La parola al testo. Scritti per Bice Mortara
Garavelli, a cura di G.L. Beccaria e C. Marello, Alessandria, Edizioni dell’Or-
so, 2002, to. ii pp. 933-42.
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nel Paradiso è una rosa perché una rosa è colei grazie alla quale
la salvezza è resa possibile, colei dalla quale è nato Cristo e at-
traverso Cristo la stessa umanità salvata, come con vertiginosa
sintesi dichiara questa terzina.40
E dopo le prime tre terzine dedicate al ruolo storico di Maria
nella vicenda della Redenzione, Bernardo passa a esaltare la Ma-
donna per le sue prerogative attuali, di regina del cielo e punto
di riferimento per gli uomini nella vita terrena. Anche qui il di-
scorso si impernia sulle antitesi fra « qui », cioè in Paradiso, e
« giuso intra’ mortali ». In quanto regina del cielo, ella risplende
di carità ai beati come una fiaccola meridiana, cioè come il sole a
mezzogiorno,41 mentre per gli uomini ancora nella vita terrena e
mortale è una fonte viva e inesauribile di speranza (10-12):
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
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ductu (In Nativ. B. Mariae Virg. Sermo, par. 2-4, Patr. lat., clxxxiii 439-40). Nel ser-
mone di Bernardo Cristo è “fons indeficiens, fons hortorum, fons vitae”, ma Ma-
ria è l’acquedotto che conduce le acque verso di noi: “Descendit per aquaeduc-
tum vena illa coelestis, non tamen fontis exhibens copiam, sed stillicidia gratiae
arentibus cordibus nostris infundens, aliis quidem plus, aliis minus. Plenus equi-
dem aquaeductus, ut accipiant caeteri de plenitudine, sed non plenitudinem ip-
sam. Advertistis iam, ni fallor, quem velim dicere aquaeductum, qui plenitudi-
nem fontis ipsius de corde Patris excipiens, nobis edidit illum, si non prout est,
saltem prout capere poteramus” ». Cfr. inoltre G. Petrocchi, Dante e la mistica di
San Bernardo, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, a cura di W.
Binni et al., Roma, Bulzoni, 1974-77, vol. i pp. 213-29, a p. 229. Una critica persua-
siva a un troppo stretto accostamento fra i due testi avanza però S. Botterill,
Dante and the Mystical Tradition, pp. 186-88, che osserva come la metafora della
fonte fosse comune nella letteratura medievale, mente quella dell’acquedotto
sembra esclusiva di Bernardo. E di questa immagine squisitamente bernardiana
non si hanno in realtà, come osserva Botterill, tracce precise nel testo dantesco.
43. Mi riferisco ovviamente a Inf., ii 28-30: « “Andovvi poi lo Vas d’elezïone, /
per recarne conforto a quella fede / ch’è principio a la via di salvazione” ». Mi
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pare degna di nota la designazione delle due missioni attraverso elementi lessi-
cali e strutture sintattiche simili, a sottolineare una relazione molto stretta.
44. Cfr. Par., xxv 70-78: « “Da molte stelle mi vien questa luce; / ma quei la
distillò nel mio cor pria / che fu sommo cantor del sommo duce. // ‘Sperino
in te’, ne la sua tëodia / dice, ‘color che sanno il nome tuo’: / e chi nol sa, s’el-
li ha la fede mia? // Tu mi stillasti, con lo stillar suo, / ne la pistola poi: sí ch’io
son pieno, / e in altrui vostra pioggia repluo” ». Si osservi in questo brano il
passaggio da una prima immagine di luce astrale a quelle successive apparte-
nenti all’area semantica dell’acqua, analogamente a quanto avviene in Par.,
xxxiii 10-12.
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45. Naturalmente mi riferisco al verso « “de’ remi facemmo ali al folle volo” »
(Inf., xxvi 125). Per un’analisi retorica e intertestuale di questo verso, cfr. E. Rai-
mondi, Per una immagine della ‘Commedia’, in Id., Metafora e storia, cit., pp. 31-37.
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« In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate ».
46. Cfr. Inf., I 112-29. Una rievocazione analettica del viaggio compiuto fino a
quel punto è fatta pronunciare allo stesso Dante personaggio nel dialogo con
Cacciaguida: « “Giú per lo mondo sanza fine amaro, / e per lo monte del cui
bel cacume / li occhi de la mia donna mi levaro, // e poscia per lo ciel, di lume
in lume, / ho io appreso quel che s’io ridico, / a molti fia sapor di forte agru-
me” » (Par., xvii 112-17). Su questo argomento cfr. G. Mezzadroli, Enigmi del rac-
conto e strategia comunicativa nei riassunti autotestuali della ‘Commedia’ dantesca, in
« Lettere Italiane », xli 1989, pp. 481-531.
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47. Sul tema del corpo di Dante in Paradiso cfr. M. Picone, Canto ii, in Lec-
tura Dantis Turicensis. Paradiso, cit., pp. 35-52, alle pp. 35-39. Una nuova inter-
pretazione della progressiva trasformazione del corpo di Dante, a partire dal
« trasumanar » di Par., I 64-75 sino al soddisfacimento della preghiera di Ber-
nardo che il suo corpo sia liberato da ogni « nube [ . . . ] di sua mortalità », offre
ora M. Gragnolati, Experiencing the Afterlife. Soul and Body in Dante and Medie-
val Culture, Notre Dame (Indiana), University of Notre Dame Press, 2005, pp.
161-78 e 249-50. Particolarmente incisiva l’osservazione di Gragnolati che
mette in relazione la richiesta di Bernardo con il passo ovidiano riferito a
Glauco, in particolare con le preghiere, poi esaudite, perché l’uomo sia libe-
rato da ogni residuo mortale (« quaecumque mortalia ») nel processo di deifi-
catio: « Di maris exceptum socio dignantur honore, / utque mihi, quaecum-
que feram mortalia, demant, / Oceanum Tethynque rogant » (Ovidio, Met.,
xiii 949-951). In particolare osserva Gragnolati: « At the end of the pilgrim’s
journey in heaven, the text makes a reference to the Glaucus passage that
marks the beginning: Bernard prays that Mary free the pilgrim from any re-
maining mortality (“ogni nube . . . di sua mortalità”) so that the transforma-
tion that began with the “trasumanar” of canto I can be completed, and his
body can fully attain the “non posse mori” of resurrection. It is only now that
the pilgrim’s body is as strong as the resurrected body that Solomon first de-
scribed, finally able to enjoy the beatific vision in its fullness » (p. 177). Sebbe-
ne trovi persuasivo il richiamo al passo di Glauco, non seguo tuttavia l’inter-
pretazione che ne propone Gragnolati, secondo cui lo stesso Dante personag-
gio, come già i beati nell’Empireo, sarebbe infine dotato del corpo risorto co-
sí da poter sostenere la visione di Dio.
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50. Sono numerosi i luoghi biblici, specialmente dell’Esodo, relativi alla visio-
ne di Dio da parte di Mosè, che presentano i motivi del pericolo di annienta-
mento del contemplante per l’insostenibile luce divina. In piú passi biblici si
parla esplicitamente del pericolo mortale insito nel vedere Dio, dell’impossibi-
lità di vedere la luce divina senza morire: Ex., 19 21; 33 18-23; Num., 4 20; Idc., 6
22-23; 13 22-23. Il rischio di un contatto potenzialmente devastante con il divino
è ben presente anche nella cultura classica, per esempio nel mito di Semele,
evocato anche da Dante in un momento cruciale del Paradiso (xxi 1-12). Cfr. in
proposito, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, G. Ledda, Semele e Narci-
so: miti ovidiani della visione nella ‘Commedia’ di Dante, cit., pp. 21-27.
51. Cfr. G. Ledda, La guerra della lingua, cit., pp. 309-10. Su una linea per certi
aspetti simile si muove anche l’interpretazione di G. Bàrberi Squarotti, La
preghiera alla Vergine: Dante e Petrarca, in « Filologia e critica », xx 1995, pp. 365-74,
alle pp. 367-70. A sua volta R. Pinto, Il viaggio di ritorno: Pd. xxxiii, 142-145, in
« Tenzone », 4 2003, pp. 199-226, alle pp. 210-11, propone, seguendo in parte Bàr-
beri Squarotti, un « lettura “fisiologica” degli affetti e dei movimenti del prota-
gonista ». Infatti, sostiene Pinto, « il rischio a cui Dante si espone, nella perce-
zione visiva di Dio, è che la excellentia (cioè l’eccesso) dell’oggetto sensibile cor-
rompa l’organo della sua sensibilità. [ . . . ] Dante deve essere aiutato non solo
nella fase dell’innalzamento della sua sensibilità al cospetto di Dio, ma anche
nella fase del ritorno alla normalità esistenziale, che l’eccesso di potenza del
sensibile potrebbe compromettere distruggendo le sue facoltà psicofisiche pri-
ma che questo ritorno si produca ». Sembra andare in questa direzione anche la
lettura di P.A. Perotti, La preghiera alla Vergine (Par. xxxiii, 1-39), in « L’Alighieri »
n.s. 6, anno xxxvi, 1995, pp. 75-83, alle pp. 80-81, il quale ritiene che l’aggettivo
sano indichi qui la salute fisica e mentale del poeta e la richiesta concerna dun-
que « la conservazione della sanità mentale, dell’equilibrio psichico del poeta
[ . . . ] dopo l’abbacinante visione di Dio ». L’intepretazione di Perotti è accolta
anche nel nuovo commento alla Commedia a cura di R. Merlante e S. Prandi,
Brescia, La Scuola, 2005. A questa linea si poteva forse già ascrivere anche l’in-
terpretazione di M. Aversano che intende la richiesta come invocazione della
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« tutela celeste per la preservazione delle facoltà interiori » (La conclusione della
‘Commedia’, in Id., La quinta ruota. Studi sulla ‘Commedia’, Torino, Tirrenia Stam-
patori, 1988, pp. 189-221, a p. 215), e cita a riscontro il passo di Gregorio Magno
su Daniele: « Sic Daniel sublimem visionem videns, per plurimos dies elanguit
et aegrotavit » (PL, 76 1242).
52. Tale interpretazione è stata avanzata da L. Pertile in un saggio del 1981,
‘Paradiso’, xxxiii: l’estremo oltraggio, in « Filologia e critica », vi 1981, pp. 1-21, ora ri-
preso nel volume La punta del disio, cit., pp. 247-63 (da cui si cita). Pertile avanza
la proposta che la supplicatio si articoli nei seguenti tre momenti e tre richieste:
« che venga concesso a Dante il supplemento di potere necessario perché arrivi
a vedere Dio »; « che Dante venga liberato dalle limitazioni della sua condizio-
ne mortale perché possa godere appieno del “sommo piacer” »; « che in conse-
guenza della visione l’anima, i sentimenti, gli “affetti” di Dante non siano ine-
briati o sconvolti, ma rimangano “sani”, sicché egli possa portare impresso in es-
si, per narrarlo dopo, qualcosa di ciò che ha provato se non tutto ciò che ha vi-
sto » (p. 250). Infatti, « Beatrice ha sanato l’anima del pellegrino [ . . . ]. Ma il suo
corpo è ancora quello mortale anche qui nel piú alto Paradiso, e i suoi “affetti”,
come i suoi “occhi”, sono tuttora instabili, non solo capaci di errare ancora, una
volta ritornato in terra, ma incapaci ora, a questo punto estremo del viaggio — ed
è questo che conta nella rappresentazione sensibile dell’esperienza del viator — di
subire l’effetto della visione senza esserne travolti. Solo garantendo a Dante la
sanità durante la visione, se ne conservano sani gli affetti per ciò che l’attende
dopo. I “movimenti umani” si riferiscono insomma al vedere, al sentire, al ri-
cordare » (p. 251). « Non è quindi per il futuro spirituale di Dante uomo che pre-
ga il coro dei santi, ma per il Dante personaggio » (p. 263). L’interpretazione di
Pertile è accolta in alcuni commenti e letture recenti: cfr. La Divina Commedia.
Paradiso, a cura di E. Pasquini e A.E. Quaglio, Milano, Garzanti, 1987, p. 478; S.
Sarteschi, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’, in Ead., Il percorso del poeta cristiano. Rifles-
sioni su Dante, Ravenna, Longo, 2006, pp. 173-92, a p. 179.
53. Per una rassegna del significato del termine nel corpus dantesco si veda la
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« vergine madre, figlia del tuo figlio »
56. Un’interpretazione simile degli ultimi versi del poema è stata recente-
mente proposta da R. Pinto, Il viaggio di ritorno: ‘Pd.’ xxxiii, 142-145, cit., p. 207:
« Se ammettiamo che qui i verbi “muovere” (mossa, move) e “volgere” (volgeva)
alludono da una parte ad un desiderio (disio) e a una volontà (velle) non estinti
dall’appagamento, già realizzato, e invece ben attivi nella loro tensione vitale
verso oggetti non posseduti, e dall’altra ad un ritorno verso luoghi già propri del
poeta [ . . . ], otterremo una interpretazione che chiama in causa non l’esperienza
dell’unione dell’anima di Dante con Dio, ma bensí l’esperienza, successiva a ta-
le unione, del suo reinserimento nelle procedure naturali della normalità esi-
stenziale, e quindi del ritorno ideale alla sfera dei rapporti affettivi propri della
normalità dell’esistenza intramondana ». E Pinto interpreta tale passo come l’in-
dicazione della concessione a Dante della grazia richiesta da Bernardo nei vv.
34-39, « quella relativa alla conservazione delle facoltà psicofisiche di Dante, che
non sono in grado di sostenere una esperienza cosí eccessiva rispetto alla loro,
pur alta, materiale potenza ricettiva (“A l’alta fantasia qui mancò possa”), e quin-
di sarebbero state definitivamente annichilite, se Dio stesso non avesse reinseri-
to immediatamente (Ma già . . .) Dante nelle normali procedure psicofisiche del-
l’esistenza. [ . . . ]. Il tema del ritorno, cioè del rientro del protagonista nella nor-
malità quotidiana dell’esistenza (dall’eterno al tempo), è poi necessario alla logi-
ca narrativa e romanzesca del testo poiché ci informa e rassicura su uno snodo
essenziale della sua trama, e cioè sulla trasformazione del protagonista in poeta,
una volta terminato il viaggio e perché il racconto di esso possa essere iniziato e
portato a termine » (ivi, p. 212). E opportunamente Pinto cita Benvenuto da
Imola il quale « intende appunto che la concessione della seconda grazia è ne-
cessaria perché possa essere portata a termine la redazione del poema ». Spiega
infatti benvenuto a proposito dei vv. 34-36: « Hic Bernardus facit secundam pe-
titionem, et petit quod post talem visionem conservet conceptus suos. Dicit er-
go: Ancor ti prego, Regina, che puoi ciò che tu vuoi, sicut probatum est paullo ante, che
tu conservi sani gli affetti suoi, idest bonas affectiones suas, dopo tanto veder, idest,
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post visionem summi boni: et hoc ut possit scribere in suo opere ad removen-
dum mortales a vitiis et revocandum ad virtutes » (Benvenuti de Rambaldis
de Imola Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, a cura di J.Ph. Lacaita,
Firenze, Barbera, 1887, 5 voll., vol. v pp. 512-13).
57. Mi riferisco al passo dell’Epistola a Cangrande relativo al fine dell’opera:
« Finis totius et partis esse posset et multiplex, scilicet propinquus et remotus;
sed, omissa subtili investigatione, dicendum est breviter quod finis totius et par-
tis est removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum fe-
licitatis » (Ep., xiii 15 [39]). Ma molte delle investiture sopra citate contengono
un riferimento esplicito al fine che il poema dovrà ottenere nei suoi lettori nel
mondo terreno, fin dalla prima investitura: « in pro del mondo che mal vive »
(Purg., xxxii 105); « a’ vivi / del viver ch’è un correre a la morte » (xxxiii 53-54);
« la voce tua [ . . . ] / vital nodrimento / lascerà poi, quando sarà digesta ». (Par.,
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xvii 130-32); « sí che, veduto il ver di questa corte, / la spene, che là giú bene in-
namora, / in te e in altrui di ciò conforte » (xxv 43-45).
58. Il riferimento a Ulisse è naturalmente a Inf., xxvi 97-99: « l’ardore / ch’i’
ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore ».
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59. Cfr. Conv., iv xii 13-19 (in particolare 17, per l’espressione « dell’ultimo de-
siderabile, che è Dio »). Il passo è richiamato solitamente dai commentatori, in-
sieme ad altri, altrettanto pertinenti, come Purg., xxxi 22-24 (dove parla Beatri-
ce: « “Per entro i mie’ disiri, / che ti menavano ad amar lo bene / di là dal qual
non è a che s’aspiri” »); Ep., xiii 33: (« Et quia, invento principio seu primo, vide-
licet Deo, nichil est quod ulterius queratur, cum sit Alfa et O, idest principium
et finis, ut visio Iohannis designat, in ipso Deo terminatur tractatus, qui est be-
nedictus in secula seculorum »). Tra i testi della tradizione teologica i piú citati
dai commentatori sono invece Agostino, Conf., i i 1: « fecisti nos ad te, et in-
quietum est cor nostrum, donec requiescat in te », e Tommaso d’Aquino, Sum-
ma Thelogiae, iia xiiae q. 122 a. 2, dove Dio è definito « ultimus finis humane vi-
tae » (una serie di ulteriori riferimenti tomistici offre D. Fasolini, « E io ch’al fine
di tutt’i disii appropinquava »: Un’interpretazione teologica del « desiderium » nel xxxiii
canto del ‘Paradiso’, in « Forum Italicum », xxxvii 2003, pp. 297-328, a p. 321). Sulla
concezione scalare del bene che culmina nella fruizione di Dio cfr. anche le os-
servazioni di C. Delcorno, Lettura di ‘Purgatorio’ xxxi, in « Studi Danteschi »,
lxxi 2006, pp. 87-120, alle pp. 92-94, a cui si rimanda anche per ulteriori riferi-
menti bibliografici.
60. Sul tema del desiderio, che trova in questa terzina il momento culminan-
te nel poema, prima dell’ultima occorrenza nei versi finali (143), sono ora dispo-
nibili alcuni lavori notevoli: A.M. Chiavacci Leonardi, Il ‘Paradiso » di Dante:
l’ardore del desiderio, in « Letture Classensi », xxvii 1998, pp. 101-12; L. Pertile, La
punta del disio, cit., specialmente pp. 19-38 e 115-79; G. Rossi, « Disio » nella ‘Com-
media’, in « La parola del testo », ix 2005, pp. 99-124.
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61. Cfr. Par., i 43-66. Un episodio analogo avviene ancora nel Primo mobile,
dove guardando negli occhi di Beatrice, Dante personaggio vede che in essi si
riflette uno splendore di eccezionale intensità, e quindi si volge indietro per
vedere direttamente la fonte di questo fulgore. Ma si tratta della prima mani-
festazione diretta di Dio, sotto forma di un punto luminosissimo, il cui acuto
splendore provoca lo scacco delle facoltà visive del pellegrino, gli occhi del
quale devono chiudersi per evitare l’accecamento (xxviii 16-21). Lo scacco del-
la vista del pellegrino per l’acume del punto luminosissimo della luce divina
sarà poi richiamato all’inizio dei due canti successivi, tramite l’iterazione, con
variazione lieve nel tempo verbale, del sintagma « il punto che mi avea vinto
(che mi vinse) ». In particolare nel passo di Par., xxix 7-9, si sottolinea nuova-
mente il successo visivo di Beatrice in contrasto con la sconfitta di Dante per-
sonaggio: « tanto, col volto di riso dipinto, / si tacque Bëatrice, riguardando /
fiso nel punto che m’avëa vinto » (e cfr. inoltre xxx 10-11). Sul rapporto fra i
due episodi (Par., i e xxviii-xxix) si vedano le osservazioni di M. Mocan, La
trasparenza e il riflesso. Sull’« alta fantasia » in Dante e nel pensiero medievale, Milano,
Bruno Mondadori, 2007, pp. 101-8.
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e piú e piú intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera.
62. Cfr. Par., xxxiii 67-75. È questa l’ultima delle nove invocazioni presenti nel
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poema, su cui cfr. R. Hollander, The Invocations of the ‘Commedia’, in Id., Studies
in Dante, Ravenna, Longo, 1980, pp. 31-38; G. Ledda, La guerra della lingua, cit.,
pp. 30-55.
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