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COMUNE DI RAVENNA

BIBLIOTECA CLASSENSE OPERA DI DANTE

Dante e la fabbrica
della Commedia
a cura di
ALFREDO COTTIGNOLI, DONATINO DOMINI,
GIORGIO GRUPPIONI

LONGO EDITORE RAVENNA


ISBN 978-88-8063-574-1

© Copyright 2008 A. Longo Editore snc


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Printed in Italy
GIUSEPPE LEDDA

LA COMMEDIA E IL BESTIARIO DELL’ALDILÀ:


OSSERVAZIONI SUGLI ANIMALI DEL PURGATORIO

Una tra le presenze più sorprendenti nel poema dantesco è quella degli animali.
Si tratta di una presenza continua e variatissima, che si apre nel primo canto con la
lonza, il leone e la lupa, e arriva sino alla metafora degli ultimi versi: «ma non eran
da ciò le proprie penne». Naturalmente si tratta di presenze molto diverse tra loro e
bisognerà sempre essere attenti alle differenze, distinguendo in particolare fra gli
animali incontrati e quelli chiamati in scena attraverso perifrasi, metafore, similitu-
dini. Ma anche in questo caso bisognerà prestare particolare attenzione all’oggetto
che esse intendono rappresentare1. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, la

1
Sugli animali nel poema dantesco non solo manca uno studio complessivo, ma mancano anche
quasi completamente i sondaggi particolari. Pochi saggi dedicati a una singola immagine animale, o a
un animale che compare più volte nel poema o a serie di similitudini animali in singoli canti, hanno fi-
nalmente iniziato ad apparire negli ultimi decenni. Mi limito a citare alcuni lavori che mi sembrano
particolarmente validi e significativi, ma sottolineo che resta molto da fare. Sull’allodola: L. LAZZERINI,
L’«allodetta» e il suo archetipo. La rielaborazione di temi mistici nella lirica trobadorica e nello stil
novo, in Sotto il segno di Dante. Scritti in onore di Francesco Mazzoni, a cura di L. Coglievina, D. De
Robertis, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 165-188. Sulle api e le vespe: N. MALDINA, Api e vespe nella
«Commedia». Osservazioni sul bestiario dantesco, «L’Alighieri», XLVIII, 29 N.S., 2007, pp. 121-142.
Sull’aquila: A. GAGLIARDI, L’aquila e il pipistrello, in Ulisse e Sigieri di Brabante, Catanzaro, Pullano,
1992; A. CARREGA, Immagini intessute di scrittura: aquile dantesche, «L’immagine riflessa», VII, 1998,
pp. 285-301. Sulla capra: G. NERI, Il bestiario contemplativo di Dante, «Intersezioni», X, 1990, pp. 15-
33. Sulla cicogna: C.S. NOBILI, Dante e il repertorio narrativo medievale, in «Per correr miglior
acque…». Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio, Roma, Salerno,
2001, tomo II, pp. 993-1006; E. CURTI, Un esempio di bestiario dantesco: la cicogna o dell’amor ma-
terno, «Studi Danteschi», LXVII, 2002, pp. 129-160. Su colombe e colombi: J. FRECCERO, Casella’s
Song, in «Dante Studies», XCI, 1973, pp. 73-80 (traduzione italiana in Dante. La poetica della conver-
sione, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 251-260); R.A. SHOAF, Dante’s “colombi” and the Figuralism of
Hope in the «Divine Comedy», «Dante Studies», XCIII, 1975, pp. 27-59; P. VALESIO, «Inferno» V: The
Fierce Dove, «Lectura Dantis», 14-15, 1994, pp. 3-25. Su falchi e sparvieri: L. PERTILE, Il nodo di Bo-
nagiunta, le penne di Dante e il Dolce Stil Novo, «Lettere Italiane», XLVI, 1994, pp. 44-75; L. LAZZE-
RINI, Bonagiunta, il nodo e la vista recuperata, in Operosa parva per Gianni Antonini, a cura di D. De
Robertis e F. Gavazzeni, Verona, Valdonega, 1996, pp. 47-54; D. BOCCASSINI, Il volo della mente. Fal-
coneria e Sofia nel mondo mediterraneo: Islam, Federico II, Dante, Ravenna, Longo, 2003. Sulle gru:
G. GORNI, “Gru” di Dante. Lettura di «Purgatorio» XXVI, «Rassegna europea di letteratura italiana»,
II, 1994, pp. 11-34; T. GUALTIERI, Le gru di Dante: pellegrinaggio attraverso la poesia, «L’Alighieri»,
XXXV, 3/4 N.S., 1994, pp. 95-110 (in traduzione inglese, Dante’s Cranes and the Pilgrimage of Poetic
140 Giuseppe Ledda

presenza degli animali è una grande novità dell’oltremondo dantesco. Nella lettera-
tura medievale di viaggi e visioni dell’aldilà esiste un ricco bestiario infernale, co-
stituito da animali che svolgono la funzione demoniaca di tormentare i peccatori,
soprattutto vermi, serpenti, scorpioni, draghi2, mentre sono invece quasi assenti gli
animali nelle rappresentazioni del Paradiso. Ma soprattutto sono molto rare le simi-
litudini animali, e rarissime poi quelle riferite alle anime dell’aldilà, che invece co-
stituiscono una delle modalità retoriche più rilevanti del bestiario dantesco. Vorrei
qui proporre alcune osservazioni proprio su un gruppo di similitudini animali riferite
alle anime, in particolare agli spiriti delle cornici purgatoriali.
Mi è capitato recentemente di indagare alcuni aspetti del bestiario della cecità e
della visione, che presenta in posizione rilevata due forti emblemi animali: nel fondo
dell’Inferno Lucifero dalle ali di pipistrello e all’inizio del Paradiso Beatrice che
fissa gli occhi nel sole più intensamente di qualsiasi aquila. Ma tra il pipistrello e
l’aquila ci sono gli animali del Purgatorio, alcuni dei quali sono in una condizione
di cecità, ma destinati a recuperare la vista, assimilabili a chi, pur attualmente ac-

Inspiration, «Rivista di Studi Italiani», XIII, 1995, pp. 1-13); U. DI RAIMO, Domande sul simbolismo
delle gru nella «Divina Commedia», in Mappe della letteratura europea e mediterranea. I. Dalle origini
al «Don Chisciotte», a cura di G. M. Anselmi, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp. 135-154; C. LÓPEZ
CORTEZO, Metapoetica della lussuria: le gru di «Purgatorio» XXVI, «Tenzone», VI, 2005, pp. 121-141.
Sulle rane e sulle formiche: A. ROSSINI, Rane e formiche nella «Commedia»: la leggenda di due antichi
popoli fra tradizione ovidiana, mediazione patristica ed intertestualità dantesca, «Rivista di Cultura
Classica e Medioevale», 2002, pp. 81-88. Sull’«augello» di Par. XXIII 1-9: M. PERUGI, Canto XXIII,
in Lectura Dantis Turicensis. Paradiso, a cura di G. Güntert e M. Picone, Firenze, Cesati, 2002, pp. 363-
371. Inoltre, sulle similitudine ornitologiche di Inf. V: L.V. RYAN, “Stornei”, “Gru”, “Colombe”: The
Bird Images in «Inferno» V, «Dante Studies», XCIV, 1976, pp. 25-45. Una rassegna degli animali in-
fernali offre S.M. BARILLARI, L’animalità come segno del demoniaco nell’«Inferno» dantesco, «Giornale
Storico della Letteratura Italiana», CXI, 1997, pp. 98-119. Sui mostri infernali sono preziosi gli inter-
venti raccolti nel volume I “monstra” nell’Inferno dantesco: tradizione e simbologie, Spoleto, Centro
Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1997. Su Gerione e sulle molte immagini animali che lo riguar-
dano, si veda ora anche C. CARMINA, “Ecco la fiera con la coda aguzza”. La bestialità nel canto XVII
dell’«Inferno», «Dante», II, 2005, pp. 99-111. Passa in rassegna le similitudini «naturalistiche» della
Commedia, e quindi anche quelle animali, il saggio di G. BÁRBERI SQUAROTTI, “Quale ne’ plenilunii se-
reni”: la natura in similitudine, «Letture Classensi», 21, 1992, pp. 107-139.
2
Qualche osservazione sul bestiario infernale nella cultura medievale, con particolare attenzione
all’iconografia, offre M. PASTOUREAU, Bestiaire du Christ, bestiaire du diable, in Couleurs, images,
symboles. Études d’histoire et d’anthropologie, Paris, Le Léopard d’or, 1989, pp. 85-110, in particolare
a pp. 86-97. Più in generale, alcuni importanti lavori recenti sugli animali nella cultura medievale sono:
Beasts and Birds of the Middle Ages. The Bestiary and its Legacy, a cura di W.B. Clark e M.T. McMunn,
Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1989; J. VOISENET, Bestiare chrétien. L’imagerie ani-
male des auteurs du Haut Moyen Âge (Ve-XIe s.), Toulouse, Presses Universitaires du Mirail, 1994; ID.,
Bêtes et Hommes dans le monde médiéval. Le bestiaire des clercs du Ve au XIIe siècle, Turnhout, Brepols,
2000; Bestiari medievali, a cura di L. Morini, Torino, Einaudi, 1996; L’animal exemplaire au Moyen
Âge (Ve-XVe siècle), a cura di J. Berlioz e M.A. Polo de Beaulieu, Rennes, Presses Universitaires de
Rennes, 1999; F. ZAMBON, L’alfabeto simbolico degli animali. I bestiari del medioevo, Milano, Luni,
2001; M.P. CICCARESE, Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano I (agnello-gufo), Bologna,
Edizioni Dehoniane, 2002 (e si veda ora anche il II vol., ivi, 2007); Simbolismo animale e letteratura,
a cura di D. Faraci, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2003; Bestiaires médiévaux. Nouvelles perspectives
sur les manuscripts et les traditions textuelles, a cura di B. Van den Abeele, Louvain-La-Neuve, Uni-
versité Catholique de Louvain, 2005.
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 141

cecato, giungerà comunque, come tutte le anime del Purgatorio, a vedere Dio3. Un
animale che rappresenta una condizione di cecità temporanea è lo sparviere ciliato.
Le anime penitenti degli invidiosi, nella seconda cornice, hanno le palpebre legate
con fil di ferro, il che impedisce loro la visione, come si fa ai falchi e agli sparvieri
da caccia nel primo periodo di addomesticamento:

E come a li orbi non approda il sole,


così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole;
ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora (Purg. XIII, 67-72).

Lo sparviere ciliato rappresenta una cecità temporanea, imposta all’animale


come strumento di addomesticamento. Anche la cecità temporanea dei penitenti
consiste in un periodo di purificazione penitenziale e di preparazione alla liberazione
dalla cecità per giungere a una forma più alta di visione, come è annunciato nelle
prime parole che Dante personaggio rivolge alle anime degli invidiosi: «O gente si-
cura […] di veder l’alto lume» (Purg. XIII, 85-86).
Come fonte dell’immagine dello sparviere ciliato si invoca sempre il De arte ve-
nandi cum avibus di Federico II4. Ma oltre al trattato fridericiano, uno dei pochissimi
testi in cui si parla della ciliatura5 è il De proprietatibus rerum di Bartolomeo An-
glico: «Solent etiam oculi talium avium ciliari, claudi sive tegi, ne nimis de manu
gestantis se efferant avibus visis, ad quarum raptum anhelant et aspirant»6. Il dato è
importante, perché l’opera è la più diffusa tra le enciclopedie duecentesche. Inoltre
la tradizione manoscritta è caratterizzata da un un corpus di glosse marginali, pre-
senti fin dalla prima diffusione del testo, ma assenti nelle edizioni a stampa e ancora
quasi totalmente inedite7. Si tratta di glosse che offrono un’interpretazione allego-

3
Riprendo qui sinteticamente alcune considerazioni svolte in G. LEDDA, Per un bestiario dantesco
della cecità e della visione: vedere “non altrimenti che per pelle talpe” (Purg. XVII 1-3), in Da Dante
a Montale. Studi di filologia e critica letteraria in onore di Emilio Pasquini, a cura di G.M. Anselmi et
al., Bologna, Gedit, 2005, pp. 77-97, a cui rimando per una documentazione più completa.
4
Cfr. FEDERICO II DI SVEVIA, De arte venandi cum avibus, II, 28-29; 56-57; 61 (ed. a cura di A.L.
Trombetti Budriesi, Bari-Roma, Laterza, 2001, pp. 312-314; 342; 346).
5
Sulla scarsa diffusione di notizie sulla ciliatio nei trattati di falconeria cfr. B. VAN DEN ABEELE, La
fauconnerie au Moyen Âge. Connaissance, affaitage et médecine des oiseaux de chasse d’après les trai-
tés latins, Paris, Klincksieck, 1994, pp. 126-128.
6
BARTOLOMEO ANGLICO, De proprietatibus rerum, XII, 2 (BARTHOLOMAEI ANGLICI, De genuinis
rerum coelestium, terrestrium et inferarum rerum Proprietatibus Libri XVIII, Francofurti, apud Wolfan-
gum Richterum, 1601; ristampa anastatica, Frankfurt a. M., Minerva, 1964).
7
Sul corpus di marginalia che accompagna il testo del De proprietatibus rerum nella tradizione ma-
noscritta e su altri aspetti rilevanti della diffusione e ricezione dell’opera sono fondamentali i numerosi
lavori di H. MEYER, in particolare Bartholomäus Anglicus «De proprietatibus rerum». Selbstverständnis
und Rezeption, «Zeitschrift für deutsches Altertum un deutsche Literatur», CXVII, 1988, pp. 237-273;
ID., Zum Verhältnis von Enzykloplädie und Allegorese im Mittelater, «Frühmittelalterliche Studien»,
XXIV, 1990, pp. 290-313; ID., «Ordo rerum» und Registerhilfen in mittelalterlichen Enzykloplädie-
handschriften, «Frühmittelalterliche Studien», XXV, 1991, pp. 315-339; ID., Die illustrierten lateini-
142 Giuseppe Ledda

rico-morale. In particolare la ciliatura è intesa come indicante la «custodia oculorum


et sensuum aliorum»8, ma molte altre peculiarità dello sparviere, soprattutto quelle
legate agli occhi, sono messe in relazione con il processo penitenziale. Alcune glosse
suonano infatti: «Nota de utilitate penitentie», «Nota de religione et penitentia»,
«Nota de dura penitentia et abstinentia»9. Non è improbabile che la presenza della
notizia sulla ciliatura e l’esempio di una sua interpretazione allegorico-morale su una
pagina in cui altre proprietà dello sparviere, specie quelle legate agli occhi, venivano
intese in senso penitenziale, possa aver suggerito a Dante di usare in senso peniten-
ziale e purgatoriale anche l’immagine della cecità imposta attraverso la ciliatura.
Nella cornice successiva, la punizione degli iracondi è costituita da un’altra
forma di cecità, causata da «un fummo [..] come la notte oscuro» (Purg. XV, 142-
143), che coinvolge anche Dante e Virgilio. Anche qui si sottolinea la natura tem-
poranea e penitenziale della cecità, il suo preparare a una forma rinnovata di visione.
Dante, pur coinvolto nella cecità causata dal «fummo» è destinato a vedere Dio:
«Dio […] vuol ch’i’ veggia la sua corte» (XVI, 40-41). All’inizio del canto XVII,
per illustrare il momento in cui il pellegrino inizia a uscire dal fumo della cornice,
viene usata una nuova similitudine animale, facendo riferimento a uno degli animali
esemplari della cecità, la talpa:

Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe


ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com’io rividi
lo sole in pria, che già nel corcar era (Purg. XVII, 1-9).

schen Handschriften im Rahmen der Gesamtüberlieferung der Enzyklopädie des Bartholomäus Angli-
cus, «Frühmittelalterliche Studien», XXX, 1996, pp. 368-395 e tavv. XXIV-XXXI, e soprattutto il re-
cente volume, che riprende e sviluppa questi lavori preparatori, ID., Die Enzyklopädie des Bartholomäus
Anglicus: Untersuchungen zur Überlieferung- und Rezeptionsgeschichte von «De proprietatibus rerum»,
München, Fink, 2000. Sull’importanza delle glosse nelle parti zoologiche dell’enciclopedia, cfr. inoltre
B. VAN DEN ABEELE, L’allégorie animale dans les encyclopédies latines du Moyen Âge, in L’animal ex-
emplaire au Moyen Âge, cit., pp.123-143; ID., Simbolismo sui margini. Le moralizzazioni del «De pro-
prietatibus rerum» di Bartolomeo Anglico, in Simbolismo animale e letteratura, cit., pp. 159-183, dove,
alle pp. 170-181, si offre anche la trascrizione delle glosse marginali nel libro XII, De avibus, dal ms.
Paris, BNF, lat. 16098. Sugli sviluppi più recenti della ricerca informano gli interventi raccolti nel vo-
lume Bartolomaeus Anglicus, «De proprietatibus rerum». Texte latin et récéption vernaculaire – Latei-
nischer Text und volkssprachige Rezeption, a cura di B. Van den Abeele e H. Meyer, Turnhout, Brepols,
2005. Presso lo stesso editore sono apparsi nel 2007 due volumi della nuova edizione critica diretta da
C. MEIER, H. MEYER, B. VAN DEN ABEELE, I. VENTURA: si tratta del vol. I (Proemio e libri I-IV) e del
vol. VI (libro XVII).
8
Trascrivo la glossa dal ms. Padova, Biblioteca Antoniana, 494, f. 138 r.
9
Oltre che nel ms. Padova, Biblioteca Antoniana, 494, f. 138 r – 138 v, ho riscontrato la presenza
di tali glosse, con lievi varianti non significative, anche nei mss. Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 231
inf. 104 v – 105 r; ivi, D 61 inf. f. 138 r – 138 v. Esse coincidono peraltro con quelle del ms. Paris, BNF,
lat. 16098, trascritte in B. VAN DEN ABEELE, Simbolismo sui margini, cit., p. 172.
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 143

Nella cultura medievale sugli animali alla talpa è attribuita una cecità totale e
perpetua e una moralizzazione sempre negativa. Quanto alle cause della cecità, al-
cuni ritengono che sia del tutto priva degli occhi, ma a partire dalle traduzioni del
De animalibus di Aristotele si afferma una posizione secondo cui, rimuovendo la
pelle nel luogo in cui dovrebbero esserci gli occhi, si troverebbe una materia affine
a quella degli occhi, ma non pienamente formata. Alcuni autori sviluppano poi tale
notizia fino a sostenere che l’animale avrebbe invece gli occhi ben formati e poten-
zialmente in grado di vedere, ma ricoperti da una pelle che impedisce la visione ren-
dendoli ciechi. Infine qualcuno sostiene che tale pelle si possa rompere consentendo
all’animale di aprire gli occhi e vedere. È una posizione che troviamo ancora nel De
proprietatibus rerum, secondo cui la pelle che ricopre gli occhi della talpa si rom-
perebbe durante la sofferenza della morte: «Et putaverunt aliqui, quod illud corium
rumpitur prae angustia, quando incipit mori, et tunc incipit aperire oculos in mo-
riendo, quos clausos habuit in vivendo»10. Accanto alla notizia dell’apertura degli
occhi in punto di morte si ha la glossa: «Nota quod penitentia aperit oculos quos
claudit peccatum»11. Dunque la talpa non è votata a una cecità perpetua, ma può
giungere alla visione e può diventare immagine di un passaggio dalla cecità del pec-
cato alla visione e alla salvezza grazie a un processo penitenziale. Nel Purgatorio
la talpa diventa immagine di una cecità temporanea, uno degli emblemi animali del
processo purgatoriale, e può rappresentare tutti gli abitanti del Purgatorio, che sono
peccatori pentiti, che si sono rivolti, presto o tardi, a Dio.
D’altra parte, se si torna indietro al canto IX, ci si imbatte in due animali, la cui
presenza non è realizzata nella forma della similitudine, ma non per questo è meno
significativa in un canto che prefigura l’intero percorso purgatoriale. Come già se-
gnalava Ezio Raimondi, i due animali presenti in questo canto, la rondine e l’aquila,
sono entrambi dotati di valori simbolici penitenziali12. La rondine è citata nel corso
della perifrasi mitologica che indica l’ora mattutina in cui si manifesta a Dante il
sogno dell’aquila:

Ne l’ora che comincia i tristi lai


la rondinella presso a la mattina,
forse a memoria de’ suoi primi guai,
e che la mente nostra, peregrina
più da la carne e men da’ pensier presa,
a le sue visïon quasi è divina,
in sogno mi parea veder sospesa
un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
con l’ali aperte e a calare intesa;
ed esser mi parea là dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro.

10
BARTOLOMEO ANGLICO, De proprietatibus rerum, XVIII, 100.
11
Trascrivo la glossa dal ms. Padova, Biblioteca Antoniana, 494, f. 255 r.
12
Cfr. E. RAIMONDI, Semantica del canto IX del «Purgatorio», in Metafora e storia, Torino, Einaudi,
1970 pp. 95-122. In particolare, si vedano le pp. 101-102 sulla rondine e le pp. 105-106 sull’aquila.
144 Giuseppe Ledda

Fra me pensava: ‘Forse questa fiede


pur qui per uso, e forse d’altro loco
disdegna di portarne suso in piede’
Poi mi parea che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco.
Ivi parea che ella e io ardesse;
e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
che convenne che ’l sonno si rompesse (Purg. IX, 13-33).

Naturalmente il passo è di grande ricchezza e complessità, anche per le allusioni


mitologiche, che tralascio. Partiamo dalla rondine. Nei bestiari e nelle enciclopedie
medievali è molto diffusa una notizia pertinente al tema della cecità penitenziale. Se-
condo tale notizia, se il pulcino della rondine viene accecato, grazie alle cure della
madre i suoi occhi guariscono e riprendono la vista. La notizia è molto diffusa, a par-
tire dalle opere naturalistiche di Aristotele13, ma non sorprende che sia particolar-
mente valorizzata da Bartolomeo Anglico, le cui glosse confermano anche
l’interpretazione penitenziale:

Si quis caecaverit pullos hirundinum revertentur oculi eorum. Quaerit herbam, quae di-
citur chelidonia, cuius succo linit oculos filiorum, et sic eorum oculi sanitati pristinae re-
stituuntur. [glossa marginale: Nota de effectu penitentie]14.

L’interpretazione penitenziale della rondine nella letteratura naturalistica medie-


vale si basa anche sul versetto biblico «Sicut pullus hirundinis sic clamabo» (Is 38,
14); ciò è particolarmente interessante per il nostro passo perché connesso al la-
mentoso canto dell’uccello, i danteschi «tristi guai»:

Hirundo autem poenitentium pro peccatis suis typum tenet, quae stridore vocis ploratum
magis quam melodiam sonat, et pro cantu gemitus edere solet, sicut et columba. Unde
Ezechias in oratione sua ait: Sicut pullus hirundinis sic clamabo: meditabor ut columba
(Isa. XXXVIII). Lacrymis ergo suis poenitens pascitur, et ad superna cor elevans coelestis
cibi pabulum sibi quaerit15.

Quod autem per hirundinem contritio cordis intelligi debeat propheta demonstrat dicens:
Sicut pullus hirundinis sic clamabo (Isa. XXXVIII). Intelligimus igitur per hirundinem
quemlibet discretum doctorem, per hirundinis pullum clamantem discipulum, per cla-
morem mentis contritionem. Clamat pullus hirundinis, dum quaerit a magistro verbum
praedicationis. Clamat pullus hirundinis, dum per confessionem magistro manifestat af-

13
Cfr. tra gli altri: ARISTOTELE, De historia animalium, VI, 5, 563a14-16; AMBROGIO, Exaemeron,
V, 17 (PL 14, 230); TOMMASO DI CANTIMPRÉ, Liber de natura rerum, V, 66; PIERRE DE BEAUVAIS, Be-
stiaire, XIII; RICHART DE FOURNIVAL, Bestiare d’amours (in Bestairi medievali, cit., p. 394); Libro della
natura degli animali, XXIV (ibid., pp. 450-451); CECCO D’ASCOLI, L’Acerba, III, 15.
14
BARTOLOMEO ANGLICO, De proprietatibus rerum, XII, 21. Si trascrive la glossa dal ms. Padova, Bi-
blioteca Antoniana, 494, f. 144 r. Cfr. inoltre B. VAN DEN ABEELE, Simbolismo sui margini, cit. p. 178.
15
RABANO MAURO, De universo, II, 6 (PL 111, 252).
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 145

fectum contriti cordis. Si nosti clamorem hirundinis, nisi fallor, questum designat animae
poenitentis. Clamor enim hirundinis est dolor poenitentis16.

I due motivi, quello biblico del lamento e quello aristotelico-naturalistico della


cecità risanata, sono talvota associati, nella comune interpretazione penitenziale,
come mostra un passaggio di un sermone di S. Antonio da Padova:

Sic poenitens gemitum emittit doloris, quia totus plenus est amaritudine contritionis;
unde dicit: Sicut pullus hirundinis sic clamabo, meditabor ut columba. Dicitur in Naturalibus
quod ‘si pullis hirundinum oculi extrahantur, iterum revertuntur’. Poenitens, quia perdidit
oculum divini amoris, ideo clamat, ut ipsum recuperet; qui ‘in amaritudine animae suae me-
ditatur annos vitae suae’, malum pro malo non reddit; morticino rapinae non vivit, immo sua
aliis tribuit; peccatores diabolo subtrahit et cibo aeternae vitae nutrit; granum fidei catholicae
eligit, lacrimarum fluentis intendit, ut sibi a fraude diaboli caveat; “in vulneribus Christi ni-
dificat”, in quibus suae spei nidum et pullos operum collocat.17

La presenza dell’aquila è ancora più complessa. Sul piano politico, l’aquila è


per eccellenza simbolo dell’impero, necessario per il raggiungimento della «beati-
tudo huius vitae», «que in operatione proprie virtutis constitit et per terrestrem pa-
radisum figuratur» (Mon. III, xv, 7). E tale significato è quello più frequentemente
attribuito dai commentatori all’aquila di Purg. IX. È evidente inoltre che tale aquila
è strettamente collegata sul piano simbolico con Lucia, che rappresenta la grazia
che scende sull’uomo e lo solleva verso il cielo, anche se non vi può essere un ap-
piattimento totale dei due elementi18. Un’altra simbologia dell’aquila certamente
pertinente e autorevolmente richiamata per il passo in esame è quella cristologica19.

16
PSEUDO-UGO DI SAN VITTORE, De bestiis et aliis rebus, I, 51 (PL 177, 42). Inoltre, sempre nella
stessa pagina del De bestiis, anche le abitudini migratorie della rondine sono lette in chiave penitenziale:
«Hirundo maria transvolat, quia, quem vere poenitet, amaritudines et tumultus huius mundi exire desi-
derat. Ibique hieme commoratur. Cum enim hiems ingruit et frigus accedit, tunc iustus ad calorem cha-
ritatis transit, ibique patienter expectat, donec frigus tentationis a mente recedat. Novit pia avis
annuntiare adventus sui testimonio veris initium. Revertitur hirundo post frigus hiemis, ut annuntiet
initium veris. Similiter iustus post frigus nimiae tentationis revertitur ad temperantiam moderatae meatis,
ut qui frigus tentationis evaserat, ad aestatem, id est dilectionis calorem moderate per ascensus boni
operis accedat. Haec est igitur natura hirundinis, id est animae poenitentis, quae semper quaerit veris
initium, quia in omnibus tenet discretionis et temperantiae modum». Sui problemi attributivi e sulle
fonti del De bestiis, cfr. W.B. CLARK, Four Latin Bestiaries and “De bestiis and aliis rebus”, in Bestiai-
res médiévaux. Nouvelles perspectives sur les manuscripts et les traditions textuelles, cit., pp. 49-69.
17
S. ANTONII PATAVINI, Sermones, III, pp. 102-103 (In Festo Purificatione Beateae Mariae Virginis).
18
Come avvertiva già E. AUERBACH, Passi della «Commedia» dantesca illustrati da testi figurali.
I. “Aquila volans ad escam” [1946], trad. it. in Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 1963, pp. 243-247,
a p. 246: «Non è però certo che quanto si riferisce all’aquila si riferisca anche a Lucia; tenderei anzi a
credere che il sogno profetico abbia implicazioni più complesse dell’intervento di Lucia». Sottolineano
questa «imperfetta complanarità», sulla scia dell’avvertenza di Auerbach, due letture recenti del canto:
F. SALSANO, Canto IX, in Lectura Dantis Neapolitana. Purgatorio, dir. P. Giannantonio, Napoli, Lof-
fredo, 1989, pp. 191-204, a pp. 200-201; C. CALENDA, «Purgatorio», IX, le forme del sogno, i miti, il
rito, «Rivista di studi danteschi», I, 2001, pp. 284-301, a pp. 293-294.
19
Cfr. E. AUERBACH, Studi su Dante, cit., pp. 243-247. Aggiunge nuovi importanti riferimenti C.
DELCORNO, “Ma noi siam peregrin come voi siete”. Aspetti penitenziali del «Purgatorio», in Da Dante
146 Giuseppe Ledda

E da ultimo, nel quadro di una lettura tipologica del canto, attenta ai valori metapoe-
tici in gioco, l’aquila è stata interpretata come «il simbolo […] della poesia»20. Ma
tra i tanti significati dell’aquila nella cultura medievale, esplorati anche dai dantisti,
uno dei più diffusi era quello legato al simbolismo penitenziale, particolarmente
presente nella tradizione esegetica, in quella enciclopedica e nei bestiari, soprattutto
sull’autorità del Salmo 102: «Renovabitur ut aquilae iuventus tua» (Ps 102, 5)21. In
particolare i bestiari derivati dalla tradizione del Fisiologo raccontano che quando
l’aquila invecchia, le ali si appesantiscono e la vista si offusca, allora cerca una fonte
d’acqua pura, poi vola verso il sole sino a bruciarsi le ali e la caligine che le vela gli
occhi, infine torna verso la fonte e lì si immerge e si purifica riprendendo il pieno
vigore delle ali e degli occhi:

querit fontem aque et contra eum fontem evolat in altum usque ad etheram solis, et ibi
incendit alas suas, et caliginem oculorum comburit de radiis solis; tunc demum descen-
dens ad fontem trina vice se mergit et statim renovatur tota, ita ut alarum vigore et ocu-
lorum splendore multo melius renovetur22.

Tra i testi che riportano questa notiza interpretandola in senso penitenziale, tro-
viamo ancora una volta il De proprietatibus rerum23, dove è accompagnata dalla
glossa: «Nota de renovatione anime per penitenciam vel baptismum»24. Il momento
del fuoco di questo processo di rinnovamento penitenziale di cui l’aquila è simbolo,
adombrato nei versi «Ivi parea che ella e io ardesse; / e sì lo ’ncendio imaginato
cosse», è compiuto con l’attraversamento del Purgatorio, durante il quale anche

a Montale. Studi di filologia e critica letteraria in onore di Emilio Pasquini, cit., pp. 11-30, a pp. 27-
30. Sul simbolismo cristologico dell’aquila nella letteratura cristiana antica, cfr. M. P. CICCARESE, “For-
mam Christi gerere”. Osservazioni sul simbolismo cristologico degli animali, «Annali di storia
dell’esegesi», VIII, 1991, pp. 565-587, a pp. 577-578; EAD. Il simbolismo dell’aquila. Bibbia e zoologia
nell’esegesi cristiana antica, «Civiltà classica e cristiana», XII, 1992, pp. 295-333.
20
Cfr. M. PICONE, Canto IX, in Lectura Dantis Turicensis. Purgatorio, a cura di G. Güntert e M. Pi-
cone, Firenze, Cesati, 2001, pp. 121-137, a p. 126, dove si aggiunge: «significa la superiorità del canto
del poeta della Commedia rispetto a quello degli altri poeti, dato che anche lui, come Omero, “sovra gli
altri com’aquila vola” (Inf. IV, 96)».
21
Lo segnalano soprattutto E. RAIMONDI, Metafora e storia, cit., pp. 105-106; C. DELCORNO, “Ma
noi siam peregrin come voi siete”, cit., p. 27.
22
Physiologus, Versio BIs, VIII. Cfr. inoltre AMBROGIO, De paen. II, 2, 8 (CSEL 73/7, 167); ID. De
bono mort. 5.16, 5.16 (CSEL 32/1.718); CASSIODORO Expos. in Psalmos, CII, 5 (CChL 98, 915); EU-
SEBIO, Comm. in Ps. CII (PG 23.1265C); PHILIPPE DE THAÜN, Bestiaire, 2042-2067 (in Bestiari medie-
vali, cit., pp. 218-220); GERVAISE, Bestiaire, 829-862 (in Bestiari medievali, cit., p. 334); Libro della
natura degli animali, XXXV (in Bestiari medievali, cit., pp. 458-459); S. ANTONIO DA PADOVA, Sermo-
nes, vol. I p. 63; vol. III, pp. 39-41.
23
Cfr. BARTOLOMEO ANGLICO, De proprietatibus rerum, XII, 1: «Aquila in senectute patitur caligi-
nem in oculis, et gravedinem in alis suis. Contra quod incommodum instruitur a natura, ut fontem aque
scaturientis quaerat, deinde ascendit, quantum potest, per aera, donec ex calore solis et labore volatus
fortius incalescat, unde tunc ex calore poris apertis et pennis relaxatis, subito descendens in fontem ruit,
ibique mutatis plumis et purgata caligine in oculis, vires recipit et resumit».
24
È la glossa del ms. Paris, BNF, lat. 16098, trascritta in B. VAN DEN ABEELE, Simbolismo sui mar-
gini, cit., p. 171. Lievemente diversa quella presente sul ms. Padova, Biblioteca Antoniana, 494, f. 137
v: «Nota de novatione anime per penitentiam ad baptismum».
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 147

Dante è coinvolto in alcune pene, in particolare in quelle di superbi, iracondi e lus-


suriosi. Quest’ultima poi è costituita proprio da un fuoco, che sigilla e rappresenta,
come sineddoche della parte per il tutto, le pene purgatoriali. Attraversato tale fuoco,
la prima parte del processo penitenziale è compiuta. Ci saranno ulteriori passaggi.
Ma nell’ultima fase, ormai nel Paradiso terrestre, l’elemento che agisce non è più il
fuoco, bensì l’acqua, come nei due momenti del rinnovamento penitenziale messo
in atto dall’aquila secondo la tradizione.
Alla dimensione penitenziale condivisa dagli animali del Purgatorio partecipano
anche i buoi, cui sono paragonati in apertura del canto XII Oderisi e Dante:

Di pari, come buoi che vanno a giogo,


m’andava io con quell’anima carca,
fin che ’l sofferse il dolce pedagogo (Purg. XII, 1-2).

La sottomissione al giogo è immagine evangelica di mitezza e umiltà, e nelle


parole di Gesù riportate da Matteo appare già il paradosso della leggerezza e soavità
del giogo solo apparentemente pesante e duro: «Venite ad me, omnes qui laboratis
et oneratis estis, et ego reficiam vos. Tollite iugum meum super vos et discite a me,
quia mitis sum et humilis corde, et invenietis requiem animabus vestris. Iugum enim
meum suave et onus meum leve est» (Mt 11, 28-30)25. L’abitudine al giogo fa del
bue un esempio di mansuetudine e umiltà, ma anche di fratellanza, di pietas verso
i compagni, come sottolinea tra gli altri Isidoro: «Boum in sociis eximia pietas. Nam
alter alterum inquirit cum quo ducere collo aratra consuevit, et frequenti mugitu
pium testatur affectum, si forte defecerit»26. Inoltre accanto al bue i bestiari e le
opere enciclopediche presentano la trattazione del bubalus, un bue selvatico, ribelle
all’addomesticamento e al giogo, il quale «prae feritate iugum cervicibus non reci-
pit», come dice Isidoro27. Nel De proprietatibus rerum (XVIII 14) tale natura è in-
terpretata come riferita alla superbia:

Bubalus est a bove diminutive dictus, eo quod similis sit bobus. Est autem animal ita in-
domitum, quod prae feritate iugum non recipit in cervice. [glossa marginale: Nota contra
seculares indomitos et superbos]28.

25
Cfr. in proposito anche J.A. SCOTT, Canto XII, in Lectura Dantis Turicensis. Purgatorio, cit., pp.
173-197, a p. 174; L. BATTAGLIA RICCI, “Come […] le tombe terragne portan segnato”: lettura del do-
dicesimo canto del «Purgatorio», in Ecfrasi, a cura di G. Venturi e M. Farneti, Roma, Bulzoni, 2004,
vol. I, pp. 33-63, a p. 42.
26
ISIDORO DI SIVIGLIA, Etymologiae, XII, 1 (PL 82, 428). Molti autori ripetevano questa osserva-
zione. Cfr. fra gli altri PSEUDO-UGO DI S. VITTORE, De bestiis, III, 19 (PL 177, 90); BARTOLOMEO AN-
GLICO, De proprietatibus rerum, XVIII, 12 («Boum autem, ut dicit idem [scil. Isidorus], circa socios
eximia pietas est, nem alter alterum inquirit, cum quo per collum aratrum ducere consuevit, et frequenti
mugitu pium testatur affectum, quando ipsum citius inveniri con contingit»).
27
ISIDORO DI SIVIGLIA, Etymologiae, XII, 1 (PL 82, 429): «Bubali vocati per derivationem, quod sint
similes boum, adeo indomiti, ut prae feritate iugum cervicibus non recipiant». Cfr. anche PSEUDO-UGO
DI S. VITTORE, De bestiis, III, 19 (PL 177, 90).
28
BARTOLOMEO ANGLICO, De proprietatibus rerum, XVIII, 14. La glossa è trascritta dal ms. Padova,
Biblioteca Antoniana, 494, f. 230 v.
148 Giuseppe Ledda

In questa chiave forse possono essere letti anche i versi nei quali Guglielmo degli
Aldobrandeschi definiva la propria condizione di penitenza purgatoriale, i quali mo-
strano non poche coincidenze con il lessico applicato dagli enciclopedisti al bufalo:
«E s’io non fossi impedito dal sasso / che la cervice mia superba doma, / onde portar
convienmi il viso basso» (XI, 52-54). L’addomesticamento dei superbi bufali, ridotti
a umili e fraterni buoi aggiogati, svolge una funzione penitenziale simile a quella
della cecità imposta allo sparviere ciliato, perché permette subito a Dante29 e in fu-
turo anche agli spiriti purganti30 di intraprendere con velocità e leggerezza il proprio
cammino, o anzi il proprio volo.
L’intensità semantica del bestiario purgatoriale risalta in modo particolare nelle
similitudini relative all’ultima cornice. I lussuriosi sono gli ultimi spiriti del Purga-
torio come erano i primi nell’Inferno. E come per i lussuriosi infernali si avevano
tre similitudini animali, storni, gru, colombe31, così anche per quelli purgatoriali ab-
biamo le formiche, le gru, il pesce. Lettori autorevoli del canto XXVI hanno ricon-
dotto la presenza di queste immagini animali alla «necessità di spiegare in modo
incisivo l’imbestiamento casuato dalla lussuria»32. E «questo imbestiamento del
corpo umano, soggetto a bestiali istinti»33 è emblematicamente rappresentato dal-
l’episodio di Pasifae, scelto quale esempio di lussuria gridato dalle anime34. Tuttavia
le similitudini animali sono chiamate in causa a illustrare la condizione attuale degli
spiriti, il processo penitenziale nel quale sono impegnati in Purgatorio, non il vizio
cui hanno ceduto in vita. Per questo ritengo che esse non possano essere intese in
questa ottica riduttiva di degradazione e bestialità del vizio, funzione svolta invece
dall’exemplum di Pasifae, ma che debbano essere portatrici di significati pertinenti
al processo penitenziale in corso35. Gli spiriti appaiono dapprima mentre camminano

29
Cfr. Purg. XII 4-12: «Ma quando disse: “Lascia lui e varca; / ché qui è buono con l’ali e coi remi,
/ quantunque può, ciascun pinger sua barca”; // dritto sì come andar vuolsi rife’mi / con la persona, av-
vegna che i pensieri / mi rimanessero e chinati e scemi. // Io m’era mosso, e seguia volontieri / del mio
maestro i passi, e amendue / già mostravam com’eravam leggeri». Per un’efficace lettura di questi versi,
e in particolare del tema della leggerezza (che sarà poi ripreso alla fine del canto, dopo la cancellazione
della prima P dalla fronte di Dante, vv. 115-125), nel quadro del percorso penitenziale in cui Dante è
impegnato nella cornice dei superbi, si veda L. BATTAGLIA RICCI, “Come […] le tombe terragne portan
segnato”: lettura del dodicesimo canto del «Purgatorio», cit., pp. 35-42 e 62-63.
30
Cfr. Purg. XI, 37-39: «Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi / tosto, sì che possiate muover l’ala,
/ che secondo il disio vostro vi lievi».
31
Cfr. in particolare L.V. RYAN, “Stornei”, “Gru”, “Colombe”: The Bird Images in «Inferno» V,
cit.; G. GORNI, “Gru” di Dante, cit.; T. GUALTIERI, Le gru di Dante, cit.; P. VALESIO, «Inferno» V: The
Fierce Dove, cit.; C. LÓPEZ CORTEZO, Metapoetica della lussuria: le gru di «Purgatorio» XXVI, cit.
32
M. PICONE, Canto XXVI, in Lectura Dantis Turicensis. Purgatorio, cit., pp. 407-422, a pp. 418-
419. Analoghe osservazioni in G. GORNI, “Gru” di Dante, cit., p. 13-14: «Un’animalità insistita, certo
effigiata a scorno di chi, “seguendo come bestie l’appetito” (84), si collocò in vita a un rango inferiore
all’umano (l’“umana legge” di 83): sottomettendo insomma la ragione al talento, come si dice, con epi-
grafica sentenza, dei peccatori carnali in Inferno V».
33
G. GORNI, “Gru” di Dante. cit., p. 15.
34
Cfr. Purg. XXVI, 41-42; 82-87.
35
Le letture citate di Gorni e Picone, con cui si dissente su questo punto specifico, sono peraltro ec-
cellenti e ricche di spunti interpretativi di grande importanza. Entrambi gli studiosi attribuiscono del
resto anche altri valori alle similitudini animali in questione, soffermandosi in particolare sul significato
metapoetico dell’immagine delle gru.
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 149

attraverso le fiamme gridando esempi di castità intervallati dal canto dell’inno Sum-
mae Deus clementiae. A un certo punto Dante è sorpreso da una novità: una nuova
schiera di anime arriva in direzione opposta rispetto a quella che seguono i tre poeti
e le anime della prima schiera. Dopo essersi incrociati e baciati l’un l’altro in segno
di affettuoso saluto, gli spiriti delle due schiere gridano esempi di lussuria punita,
poi riprendono il cammino in direzioni opposte. I due momenti della scena, l’in-
contro fra le due schiere di anime e la ripartenza di ciascuna schiera per il proprio
percorso, sono illustrati attraverso le due similitudini delle formiche e delle gru:

Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora


già manifesto, s’io non fossi atteso
ad altra novità ch’apparve allora;
ché per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.
Lì veggio d’ogne parte farsi presta
ciascun’ ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;
così per entro loro schiera bruna
s’ammusa l’una con l’altra formica,
forse a spiar lor via e lor fortuna.
Tosto che parton l’accoglienza amica,
prima che ’l primo passo lì trascorra,
sopragridar ciascuna s’affatica:
la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
perché ’l torello a sua lussuria corra».
Poi, come grue ch’a le montagne Rife
volasser parte, e parte inver’ l’arene,
queste del gel, quelle del sole schife,
l’una gente sen va, l’altra sen vene;
e tornan, lagrimando, a’ primi canti
e al gridar che più lor si convene (Purg. XXVI 25-48).

Partiamo dalle formiche. La scena dell’incontro e dello scambio di saluti, do-


mande e informazioni è riportata da Plinio: «Iam in opere qui labor, quae sedulitas!
Et quoniam ex diverso convehunt altera alterius ignara, certi dies ad recognitionem
mutuam nundinis dantur. Quae tunc earum concursatio, quam diligens cum obviis
quaedam conlocutio atque percuntatio!»36. Nella tradizione medievale dei bestiari e
delle enciclopedie, la notizia è offerta a commento del versetto biblico «Vade ad
formicam, o piger, et considera vias eius, et disce sapientiam. Quae cum non habeat
ducem, nec praeceptorem, nec principem, parat in aestate cibum sibi» (Prv. 6, 6). In-
fatti, si spiega, quando una formica ne incontra un’altra che porta un chicco di qual-
che seme, non glielo porta via, ma le chiede dove l’ha preso e si mette sulle sue

36
PLINIO, Historia naturalis, XI, 36.
150 Giuseppe Ledda

tracce per trovarne a sua volta uno da portare nei loro abitacoli37. Questa notizia pli-
niana e soprattutto la sua diffusione nei bestiari e nelle enciclopedie medievali,
spiega a sufficienza il v. 36, «forse a spiar lor via e lor fortuna».
Ma i commentatori e i lettori sono soliti rimandare, oltre che al passo pliniano,
anche a un paio di passi ovidiani e virgiliani:

Hic nos frugilegas adspeximus agmine longo


grande onus exiguo formicas ore gerentes
rugosoque suum servantes cortice callem38.

Migrantis cernas totaque ex urbe ruentis,


ac veluti ingentem formicae farris acervom
cum populant, hiemis memores, tectoque reponunt:
it nigrum campis agmen praedamque per herbas
convectant calle angusto, pars grandia trudunt
obnixae frumenta umeris, pars agmina cogunt
castigantque moras, opere omnis semita fervet39.

Dal testo ovidiano non sembrano venire espressioni precise, tuttavia è un luogo
che deve essere presente nella rete intertestuale della similitudine, perché si collega
all’unica altra citazione delle formiche nel poema40. Nell’ultima bolgia dell’ottavo
cerchio infernale i falsari sono deformati dalla malattia. Per rappresentarne la pena,
Dante ricorre a una similitudine in cui allude al mito delle peste di Egina, che pro-
vocò la morte di tutti gli esseri viventi. Il re Eaco, unico sopravvissuto, vedendo
sotto una quercia sacra a Giove una lunga schiera di formiche scampate alla pesti-
lenza, chiese al dio per ripopolare il regno altrettanti cittadini quante le formiche di
quella schiera. Il dio esaudì la preghiera trasformando quelle formiche in esseri
umani41:

37
Cfr. per esempio Physiologus, Versio BIs, XI (in Bestiari medievali, cit., p. 28); PHILIPPE DE
THAÜN, Bestiaire, 851-886 (ibidem, pp. 156-158); GERVAISE, Bestiaire, 758-769 (ibidem, p. 330); BAR-
TOLOMEO ANGLICO, De proprietatibus rerum, XVIII, 51 («Et quia de diversis locis cibum convehunt, ha-
bent certum tempus ad mutuam recognitionem datum sibi, et tunc maxima sit reconcursatio, et sit cum
obviis quasi quaedam collocutio et diligens percontatio»).
38
OVIDIO, Metamorfosi, VII, 624-626.
39
VIRGILIO, Eneide, IV, 401-407.
40
Offre qualche osservazione in proposito A. ROSSINI, Rane e formiche nella «Commedia», cit.,
pp. 81-83.
41
Si tratta di un mito caro a Dante che lo aveva già citato nel Convivio. Cfr. Conv. IV, XXVII, 17, dove
Eaco è citato quale esempio per le virtù della «terza etade, cioè senettute», tra cui la prudenza: «E che
tutte e quattro queste cose convegnano a questa etade, n’amaestra Ovidio nel settimo [di] Metamorfo-
seos, in quella favola dove scrive come Cefalo d’Atene venne ad Eaco re per soccorso, nella guerra che
Atene ebbe con Creti. Mostra che Eaco vecchio fosse prudente, quando, avendo per pestilenza di cor-
rompimento d’aere quasi tutto lo popolo perduto, esso saviamente ricorse a Dio e a lui domandò lo ri-
storo della morta gente; e per lo suo senno, che a pazienza lo tenne e a Dio tornare lo fece, lo suo popolo
ristorato li fu maggiore che prima».
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 151

Non credo ch’a veder maggior tristizia


fosse in Egina il popol tutto infermo,
quando fu l’aere sì pien di malizia,
che li animali, infino al picciol vermo,
cascaron tutti, e poi le genti antiche,
secondo che i poeti hanno per fermo,
si ristorar di seme di formiche;
ch’era a veder per quella oscura valle
languir li spirti per diverse biche (Inf. XXIX, 58-66).

Gli esseri viventi dell’isola greca, orribilmente colpiti dalla pestilenza, sono pa-
ragonati ai dannati della decima bolgia. Gli uni sono destinati alla morte fisica, gli
altri alla dannazione. Le formiche sono gli unici esseri scampati alla peste di Egina
e da loro avrà origine una nuova generazione di esseri umani. Dunque le formiche
ovidiane sono prive di un corrispondente nell’Inferno dantesco. Qui non c’è rina-
scita, nessuno scampa per dare origine a una nuova generazione. Siamo nell’ultima
chiostra di Malebolge, dunque ciò potrebbe assumere un carattere riassuntivo della
condizione dei dannati: privi di speranza di rinascita, simili agli appestati di Egina,
e del tutto diversi dalle formiche dal cui seme si rinnovarono le genti antiche.
Ritroviamo le formiche nella prima similitudine animale nell’ultima cornice
purgatoriale, ancora un luogo conclusivo e potenzialmente rappresentativo di una
condizione generale. Tanto più che la forma di punizione che gli spiriti subiscono
in questa cornice, quella del fuoco, è costantemente citata come capace di rappre-
sentare nel complesso la condizione degli spiriti del secondo regno42. Queste formi-
che purgatoriali, a differenza di quelle del XXIX dell’Inferno hanno un preciso
corrispondente nell’aldilà: gli spiriti purganti, ora nel fuoco, ma destinati a rinascere
alla vita eterna, «anime sicure / d’aver, quando che sia, di pace stato»43. Le formiche,
solo apparentemente presenti nell’Inferno, rimandano invece a questa condizione
purgatoriale dei peccatori scampati, grazie al pentimento, alla dannazione eterna e
destinati, dopo la purgazione nel fuoco, alla rinascita alla vita eterna. Anche per
questo non sorprende che, citate obliquamente nell’Inferno, presenti attraverso una
importante similitudine nel Purgatorio, le formiche siano poi assenti dal Paradiso.
Non certo perché qui non si ricorra alle similitudini animali per gli spiriti beati, ma
perché le formiche del mito sono destinate alla trasformazione in uomini, gli spiriti
purganti in beati.
Il rapporto con il passo virgiliano è più stretto dal punto di vista testuale. I com-
mentatori segnalano la ripresa dell’espressione «nigrum agmen» in «schiera bruna».
Ma anche la frettolosità del saluto, sottolineata dalle espressioni «sanza restar»,
«contente a brieve festa», trova un corrispettivo nella frenetica attività delle formiche
virgiliane che «castigant moras» (407). E la similitudine virgiliana forse può dire
qualcosa anche sul contesto particolare. Nel IV libro dell’Eneide, la similitudine
delle formiche è utilizzata per rappresentare i Troiani che si preparano a lasciare

42
Cfr. per esempio Inf. I, 118-120; Purg. XXVII, 127.
43
Purg. XXVI, 53-54. E cfr. più avanti i vv. 61-63.
152 Giuseppe Ledda

Cartagine. Dopo il cedimento all’amore di Didone, Enea, obbedendo al comando


degli dèi, decide di lasciare la regina di Cartagine e ripartire con i suoi: è una fuga
dalla lussuria per migrare verso il compimento della missione. Così le anime dei
lussuriori purgatoriali riprendono il loro percorso penitenziale di fuga dal vizio, pro-
prio quello di lussuria di cui Didone è simbolo riconosciuto, per intraprendere il
viaggio penitenziale nel fuoco che li condurrà alla salvezza. Che la similitudine
delle formiche debba contenere anche l’allusione a Didone e alla fuga da ciò che essa
rappresenta diviene chiaro anche dal confronto con i luoghi paralleli nell’Inferno e
nel Paradiso. Didone è nel secondo cerchio infernale (Inf. V, 61-62) e da lei si no-
mina «la schiera ov’è Dido» (85), quella in cui si trovano Francesca e Paolo44. Ma
anche nel Paradiso, a proposito del cielo di Venere, Didone è ripetutamente ricordata
come esempio di «folle amore» (Par. VIII, 1-12)45. Per non citare poi la riscrittura
del virgiliano «adgnosco veteris vestigia flammae» nel momento dell’apparizione di
Beatrice nel paradiso terrestre (Purg. XXX, 48)46. Didone non può quindi mancare
nella cornice purgatoriale dei lussuriosi, ma vi compare in termini allusivi e indiretti.
L’attenzione è invece sulle formiche troiane che fuggono dalla lussuriosa regina di
Cartagine per riprendere il viaggio verso la meta. E non c’è bisogno di ricordare
l’importanza, nel Purgatorio dantesco, del tema del viaggio dalla schiavitù alla li-
bertà, dal vizio alla salvezza, e del motivo del pellegrinaggio penitenziale, fin dal
canto del Salmo In exitu Israel de Egypto47. Tanto più che il tema del pellegrinaggio,
nel suo correlativo animale della migrazione degli uccelli, sarà subito ripreso attra-
verso la nuova similitudine delle gru.
Per concludere rapidamente sulle formiche, resta da dire qualcosa sul loro «am-
musarsi», probabile neoconiazione dantesca, cui corrisponde, nel primo termine
della similitudine, il «basciarsi una con una» delle anime che si incontrano. Il bacio
fraterno e caritatevole che le anime si scambiano corregge, come è stato osservato,
il bacio lussurioso di Paolo e Francesca e quello dei loro modelli letterari, oltre che
quelli scambiati e cantati in vita dai poeti lussuriosi dell’ultima cornice. I lessemi del

44
Sulla presenza di Didone nel secondo cerchio infernale e sull’importanza di tale modello anche
per la costruzione del personaggio di Francesca, cfr. C. VILLA, Tra affetto e pietà (per «Inferno» V), «Let-
tere Italiane», LI, 1999, pp. 513-541.
45
Cfr. in proposito anche M. PICONE, Canto VIII, in Lectura Dantis Turicensis. Paradiso, cit., pp.
119-132. Nel canto successivo Folchetto di Marsiglia nel ricordare le proprie colpe amorose giovanili,
utlizza la consueta similitudine per superamento, dicendo di aver bruciato d’amore, in gioventù, più
dei più celebri folli amanti della poesia antica, e gli esempi che cita come superati sono appunto Didone,
nominata per prima, «ché più non arse la figlia di Belo, / noiando e a Sicheo e a Creusa, / di me, infin
che si convenne al pelo» (Par. IX, 97-99), e poi Fillide ed Ercole.
46
Naturalmente il rimando è a Eneide, IV, 23. Qui il rovesciamento del modello dell’amore folle e
mortale di Didone in quello salvifico di Dante e Beatrice è più complesso, ma è stato ampiamente stu-
diato e acquisito dagli studi danteschi. Cfr. P. HAWKINS, Dido, Beatrice, and the Signs of Ancient Love,
in The Poetry of Allusion. Virgil and Ovid in Dante’s «Commedia», a cura di R. Jacoff e J.T. Schnapp,
Stanford, Stanford University Press, 1991, pp. 113-130 e 274-276.
47
Purg. II, 46. Oltre al saggio classico sull’argomento, C.S. SINGLETON, “In exitu Israel de Ae-
gypto”, in La poesia della Divina Commedia, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 495-520, si veda ora C.
DELCORNO, “Ma noi siam peregrin come voi siete”, cit. pp. 14-24., dove si possono trovare anche ul-
teriori rimandi bibliografici sul pellegrinaggio nella cultura medievale.
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 153

bacio compaiono infatti in tutto il poema quasi esclusivamente in Inf. V, per due
volte (vv. 134, 136), e in questo passo48. Inoltre, la terza similitudine ornitologica del
V canto dell’Inferno è quella delle colombe, i cui baci lussuriosi costituiscono un
elemento fondamentale in tutte le trattazioni medievali su questi animali49.
Anche le gru erano già presenti nella cornice infernale dei lussuriosi (Inf. V, 46-
49). Ma se le gru infernali sono portate dalla bufera e non vanno da nessuna parte,
quelle purgatoriali si affrettano verso il viaggio migratorio, sia pure in direzioni con-
trarie in accordo con il tipo di lussuria (secondo o contro natura) cui gli spiriti hanno
ceduto in vita. La meta ultima della migrazione delle gru-spiriti penitenti è la «pace»
paradisiaca, «anime sicure / d’aver, quando che sia, di pace stato (Purg. XXVI, 53-
54), e precisamente l’Empireo, «il ciel […] ch’è pien d’amore e più ampio si spazia»
(vv. 62-63). E nel Paradiso le gru compariranno in una nuova similitudine in cui
sono viste ormai giunte definitivamente alla meta della loro migrazione, formare
nel cielo alcune lettere dell’alfabeto50. La similitudine sarà lì riferita ai beati del
cielo di Giove, che formano volando le lettere della sentenza biblica «Diligite iusti-
tiam qui iudicatis terram»51. Le gru hanno un rapporto speciale con la scrittura e
molti autori antichi le collegano all’invenzione dell’alfabeto52. Inoltre Dante le cita
in contesti nei quali si discute di letteratura. A quelle citate va aggiunta infatti la
presenza delle gru nel canto XXIV del Purgatorio, subito dopo la celebre definizione
del dolce stil novo data nel corso del dialogo fra Dante e Bonagiunta Orbicciani:

Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,


alcuna volta in aere fanno schiera,

48
Pochissime le altre occorrenze: Inf. VIII, 44; Purg. XXXII, 153.
49
Cfr. per esempio Physiologus, Versio BIs, XXXII («Ethim[ologia]. Columbe dicte, quod earum
colla ad singulas conversiones colorem mutent. Aves mansuete et hominum mansiones conversantes, ac
sine felle, quas antiqui Venerias nuncupabant, eo quod nidos frequentant, et osculo amorem concitant»);
ALEXANDER NECKAM, De laudibus divinae sapientiae, dist. II, vv. 733-734 («Lumborum cultum prae-
cedunt oscula multa, / Hunc cultum causam nomini esse putant»); BARTOLOMEO ANGLICO, De proprie-
tatibus rerum, XII, 6 («Columbae sunt dictae a colore colli, eo quod earum plumae in collo colore
multiplici sunt respersae, ut dicit Isidorus. Sunt autem columbae aves mansuetae […], quas antiqui ve-
nereas nuncupabant, eo quod frequentent nidos et osculo amorem concipiant et Veneri multum vacant.
Et ideo columba dicitur quasi colens lumbos […]. Columba avis est voluptuosa». Nelle glosse marginali
si legge a questo punto: «Nota contra luxuriam». Cfr. Padova, Biblioteca Antoniana ms. 494, f. 140 r;
B. VAN DEN ABEELE, Simbolismo sui margini, cit., p. 174); BRUNETTO LATINI, Li Livres dou Tresor, I,
156 («Et esmuevent luxure par baisier, et plorent en lieu de chant, et font niz en pertuis entre les pierres
ou aucuns fluns soit voisins»). E cfr. in proposito anche L.R. RYAN, “Stornei”, “Gru”, “Colombe”,
cit., pp. 36-39 e 44-45.
50
Cfr. Par. XVIII, 73-78: «E come augelli surti di rivera, / quasi congratulando a lor pasture, / fanno
di sé or tonda or altra schiera, // sì dentro ai lumi sante creature / volitando cantavano, e faciensi / or D,
or I, or L in sue figure».
51
Cfr. Par. XVIII, 88-93: «Mostrarsi dunque in cinque volte sette / vocali e consonanti; e io notai
/ le parti sì, come mi parver dette. // ‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai / fur verbo e nome di tutto ’l dipinto; /
‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai». Si tratta, come è noto, del primo versetto del libro della Sapienza
(Sap 1,1).
52
Per riferimenti in proposito cfr. E.R. CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo latino, trad. it.,
Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 381; G. GORNI, “Gru” di Dante, cit., pp. 28-30; T. GUALTIERI, Le gru
di Dante, cit., pp. 96-97; U. DI RAIMO, Domande sul simbolismo delle gru, cit., p. 139.
154 Giuseppe Ledda

poi volan più a fretta e vanno in filo,


così tutta la gente che lì era,
volgendo ’l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera (Purg. XXIV, 64-69).

E nel nostro canto XXVI Dante incontrerà Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel e
con loro parlerà ancora di letteratura. Poiché la valenza metaforica delle gru in re-
lazione alla creazione poetica e alle discussioni letterarie è già stata ampiamente
studiata53, non ritengo utile soffermarmi ancora su questo aspetto.
Vorrei invece esaminare il tema delle migrazioni delle gru54, su cui Dante leg-
geva, tra l’altro un paio di passi di Stazio:

Vix ibi, sedatis requierunt pectora curis:


ceu patrio super alta grues Aquilone fugatae
cum videre Pharon; tunc aethera latius implent,
tunc hilari clangore sonant; iuvat orbe sereno
contempsisse nives et frigora solvere Nilo55.

Qualia trans pontum Phariis defensa serenis


rauca Paraetonio decedunt agmina Nilo,
cum fera ponit hiems: illae clangore fugaci,
umbra fretis arvisque, volant, sonat avius aether.
Iam Borean imbresque pati, iam nare solutis
amnibus et nudo iuvat aestivare sub Haemo56.

I due passi di Stazio mostrano proprio i due momenti della migrazione delle gru:
quello in cui hanno lasciato il freddo invernale per recarsi verso sud, verso il Nilo,
ma anche quello opposto, in cui fuggono dal clima di Faro, sereno, privo di nubi, as-
solato, per dirigersi invece verso il vento del nord, il freddo, la pioggia. L’invenzione

53
Cfr. G. GORNI, “Gru” di Dante, cit. Utili osservazioni in proposito anche nei saggi di T. GUAL-
TIERI, Le gru di Dante, cit., e C. LÓPEZ CORTEZO, Metapoetica della lussuria: le gru di «Purgatorio»
XXVI, cit.
54
Sulla gru nella letteratura naturalistica ed enciclopedica medievale, con particolare attenzione
alle interpretazioni allegoriche dei suoi comportamenti e segnatamente delle sue abitudini migratorie,
cfr. anche B. VAN DEN ABEELE, Migrations médiévales de la grue, «Micrologus», VIII, 2000, Il mondo
animale / The World of Animals, pp. 65-78.
55
STAZIO, Tebaide, XII, 514-518.
56
STAZIO, Tebaide, V, 11-16. Tra i testi classici relativi alle migrazioni delle gru, va aggiunto poi
anche questo di LUCANO, importante pure per la notizia della formazione delle lettere dell’alfabeto:
«Strymona sic gelidum bruma pellente relinquunt / poturae te, Nile, grues primoque volatu / effingunt
varias casu monstrante figuras; / mox ubi percussit tensas notus altior alas, / confusos temere inmixtae
glomerantur in orbes, / et turbata perit dispersis littera pinnis» (Bellum civile, V, 711-716). Inoltre G.
GORNI, che cita anche il luogo lucaneo, sottolinea pure l’importanza di alcuni altri passi, e in particolare
indica come «fonte dell’associazione di “montagne Rife” e “arene”, il verso di STAZIO, Tebaide, XI,
115: “hic nive Rhiphaea, Libycis hic pastus arenis”» (“Gru” di Dante, cit., p. 33). Sempre GORNI si
chiede tuttavia se all’origine dell’invenzione dantesca non sia questo passo di PLINIO: «Ciconiae quonam
e loco veniant aut se referant, incompertum adhuc est. E longinquo venire non dubium eodem quo grues
modo, illas hiemis, has aestatis advenas» (Naturalis historia, 10, 31; e cfr. “Gru” di Dante, cit., p. 27).
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 155

di Dante, unisce questi due momenti in uno solo. Di frequente, del resto, nel parlare
degli uccelli migratori in generale, gli autori antichi e medievali sottolineano la di-
versità dei comportamenti. Nello stesso momento alcuni uccelli si dirigono verso
sud, altri migrano invece verso nord. Ma entrambi seguono la propria natura e vanno
verso il luogo dove possono trovare benessere. C’è un passo interessante di S. Am-
brogio, per fare un esempio, che indica le due direzioni della migrazione, esempli-
ficandole con i tordi e le cicogne, poi conclude citando le gru, le quali «amant
frequenter peregrinari», senza indicarne la direzione. E questa è un’osservazione
che viene ripetuta spesso:

Alia quoque avium genera enchoria quae manent in locis semper: alia adventitia quae
obeunt regiones alias, et peracta hyeme revertuntur: sunt alia quae hyeme redeunt, aestate
peregrinantur a nobis; sive quod alia hyemis tempore ad calidiora se conferant; sive quod
pleraque rursus aestatem in iis locis exigant, quae amoeniora noverunt. Turdi denique
autumni fine, hyemis confinio, quasi exacta aestate se referunt. […] Ciconiae reditus ve-
xillum veris attollit. Grues quia alta petunt, amant frequenter peregrinari57.

Credo che fra i valori veicolati dalla similitudine delle gru non possa essere
escluso quello di allusione al pellegrinaggio e alla sua funzione penitenziale. Nel
poema le gru sono gli uccelli migratori per eccellenza e nel Purgatorio sono citate
due volte, in riferimento agli spiriti purganti delle ultime due cornici, golosi e lus-
suriosi. Se nelle prime cornici del Purgatorio domina il modello della cecità peni-
tenziale, e gli animali emblematici sono lo sparviere ciliato e la talpa, nelle ultime
sembra predominare il modello penitenziale del pellegrinaggio. E qui gli emblemi
animali che meglio realizzano questo significato sono gli uccelli migratori per ec-
cellenza, le gru, che troveremo in Paradiso, giunte alla meta, non più in migrazione.
A rimarcare la centralità tematica del pellegrinaggio, oltre alla lettura sopra pro-
posta della similitudine delle formiche e in particolare dell’allusione virgiliana in
essa contenuta, giova ricordare che già l’episodio dell’incontro con i golosi è aperto
proprio da una similitudine che rappresenta le anime come in pellegrinaggio: «Sì
come i peregrin pensosi fanno, / giugnendo per cammin gente non nota, / che si vol-
gono ad essa e non restanno» (Purg. XXIII, 16-18). E l’episodio dei golosi è poi
chiuso con la similitudine sopra citata delle gru in migrazione (XXIV 64-69). Le gru
del XXVI sviluppano quindi, a loro volta, l’immagine proposta per i golosi al ter-
mine dell’episodio della sesta cornice, immagine che dava un emblema animale alla
similitudine del pellegrinaggio, con la quale si era aperto quell’episodio. Ma ora

57
AMBROGIO, Exaemeron, V, 14 (PL 14, 226-227). Cfr. inoltre VINCENZO DI BEAUVAIS, Speculum na-
turalis, XVI, 92, coll. 1210-1211: «Grues praecipue loca sua post aequinotium autumnale fugiendo
hyemem dimittunt, et post vernale redeunt: una est quae clamat inter illas de nocte. […]. Grues autem
in mediterranea fugientes tempestatem praesagiunt. Cum autem ad alia loca se transferunt, prius ascen-
sione multa volando ascendunt, ut considerent equalitatem aeris ad quem transferre se volunt. Ambros.
lib 5. Amant grues peregrinari frequenter. In his etiam residentibus dispositos vigiles cernas, aliis enim
quiescentibus aliae circumeunt et explorant ne ex aliqua parte tententur insidiae. Impleto autem tempore,
vigiliarum illa quae hoc officium complevit, in somnum se praemisso clamore componit, ut excitet dor-
mientem, cui vicem officii traditura est, at illa non invite sed sponte et impigre somno excusso, vicem
consequitur».
156 Giuseppe Ledda

l’immagine è sviluppata in modo particolare per la necessità di differenziare le due


modalità del peccato di lussuria e quindi della sua purgazione, necessità che non
era presente nella cornice dei golosi. Che i due gruppi si dirigano in diverse direzioni
è un modo per rendere visibile la diversità del vizio e della purgazione, restando in-
vece costante per entrambi la pena del fuoco. Allo stesso modo si diversifica la ti-
pologia degli esempi di lussuria: per i lussuriosi secondo natura si cita Pasifae, per
quelli contro natura Sodoma e Gomorra. Ma come già nel caso della formica, il
ruolo di queste similitudini è quello di rendere visibile non tanto il vizio commesso,
quanto il processo penitenziale e purgatoriale in atto. Le gru in migrazione rappre-
sentano la fuga dal vizio, come già le formiche alludevano alla fuga dalla lussuria
dirigendosi verso la penitenza e insieme verso la salvezza, e con baci casti e fraterni
purificavano i baci lussuriosi dati in vita come colombe lascive. La fuga dal vizio,
si precisa con la similitudine delle gru, deve qui avvenire in direzioni contrarie, ma
non perché contraria sia la destinazione: per entrambi infatti essa è la «pace» (v.
54), il «ciel […] ch’è pien d’amore e più ampio si spazia» (vv. 62-63). L’apparente
contrarietà non è data dalla diversità delle mete, ma dalla necessità di rendere visibile
la fuga dal vizio in direzioni opposte. Così «a le montagne Rife» e «inver’ l’arene»
indica la direzione, non la meta, mentre «queste del gel, quelle del sole schife»
indica la ripulsa, il rifiuto del vizio, rappresentato come un freddo o un caldo ecces-
sivo, da cui fuggire58.
Va infine sottolineato che anche alle gru è attribuito dalla tradizione medievale
un significato strettamente penitenziale, collegato alla notizia che in tarda età il loro
piumaggio diventa più scuro:

Aetatem in illis color prodit. Nam in senectute nigrescunt. Hic enim color in senectute
seni competit, cum pro peccatis plangendo gemit. Cum enim quae male gessit, senex
commemorat, in senectute colorem mutat. Mutat enim amorem pristinae delectationis in
dolore contritionis59.

58
Diversamente dall’interpretazione che qui si propone, alcuni lettori enfatizzano la direzione inna-
turale e aberrante delle gru che rappresentano i lussuriosi contro natura e ne sottolineano il valore di «scan-
dalo», traendone poi diverse ulteriori conseguenze esegetiche. Cfr. per esempio G. GORNI, “Gru” di Dante,
cit. pp. 23-27; C. LÓPEZ CORTEZO, Metapoetica della lussuria: le gru di «Purgatorio» XXVI, cit.
59
PSUEDO-UGO DI S. VITTORE, De bestiis, I, 50 (PL 177, 41). Ma la notizia è diffusa: cfr. per esempio
VINCENZO DI BEAUVAIS, Speculum naturale, XVI, 91, col. 1210. Cfr. inoltre BARTOLOMEO ANGLICO, De pro-
prietatibus rerum; XII, 15: «Item sunt grues in iuventute cinerei coloris, sed in senectute quando diutius
vivunt, tanto plus nigrescunt [glossa: Nota de humilitate et penitentia], et si quae illarum a societate ober-
raverint vociferando perditas socias advocant et requirunt [glossa: Nota de confessione et oratione]». E os-
serverei che confessione e preghiera (dell’inno Summae Deus clementiae, cfr. Purg. XXV, 121) sono
esattamente le due attività orali dei lussuriosi purgatoriali. L’altra attività orale è il grido degli esempi, di
quelli negativi, riconducibile per certi aspetti alla confessione, e di quelli positivi, di castità, attività che
può essere collegata alla sfera della predicazione, il che non sorprende in quanto molte delle notizie relative
alle gru nelle glosse al De proprietatibus rerum sono intepretate come riferite al predicatore. Cfr. De pro-
prietatibus rerum, XII, 15: «Ductor autem agminis quasi instigando et arguendo voce ad rectos volatus
cogit agmen, et si forte raucescat, succedit alia grus quae supplet idem officium. Grues autem voce prae-
conia terram petunt [glossa: Nota de praedicatione]». Le glosse sono trascritte dal ms. Padova, Biblioteca
Antoniana, 494, f. 142 v. Esse coincidono inoltre, con minime varianti non significative, con quelle del
ms. Paris, BNF, lat. 16098, trascritte in B. VAN DEN ABEELE, Simbolismo sui margini, cit., p. 176.
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 157

Questa natura penitenziale della gru, legata al mutare senile del piumaggio, ricorda
curiosamente i soli lussuriosi che nella Commedia non sono paragonati alle gru:
quelli che liberatisi dall’amore folle e rivoltisi all’amore sacro sono ora in Paradiso.
Folchetto di Marsiglia ricorda infatti di aver arso di amore folle, ma solo «infin che
si convenne al pelo» (Par. IX 99).
Resta da esaminare la terza similitudine animale del canto, che non ha suscitato
particolare interesse ma che credo debba ricevere maggiore attenzione. Si tratta in-
fatti dell’ultima delle similitudini animali riferita agli spiriti del Purgatorio: Guido
Guinizzelli, al termine del dialogo con Dante, si nasconde nel fuoco:

Poi, forse per dar luogo altrui secondo


che presso avea, disparve per lo foco,
come per l’acqua il pesce andando al fondo (Purg. XXVI, 133-135).

Lo stesso gesto è ripetuto anche da Arnaut Daniel, che risponde brevemente alle do-
mande di Dante e «poi s’ascose nel foco che li affina» (148). Quest’ultimo verso si-
gilla la rappresentazione degli spiriti del Purgatorio. Annunciati fin dall’inizio del
poema come «color che son contenti / nel foco» (Inf. I, 118-119), nell’ultima imma-
gine questi spiriti purgatoriali si nascondono «nel foco che li affina» come pesci
nell’acqua.
Ciò attiva nella memoria del lettore il ricordo di alcuni pesci infernali. In parti-
colare un’allusione a un pesce compare nel canto XXIX dell’Inferno, lo stesso che
presentava l’unica occorrenza infernale della formica60. Dopo la visione d’insieme
della bolgia dei falsari, l’attenzione di Dante si sofferma su due dannati (gli alchi-
misti Griffolino e Capocchio) ricoperti di croste, che cercano inutilmente di alleviare
il terribile «pizzicore» grattandosi disperatamente:

e sì traevan giù l’unghie la scabbia,


come coltel di scardova le scaglie
o d’altro pesce che più larghe l’abbia (Inf. XXIX, 82-84).

Il riferimento è evidentemente a un pesce morto, pronto per essere squamato. È una


delle poche similitudini che chiama in causa come termine di paragone per le anime
un animale morto. Una delle poche altre è quella, pochi versi sopra, in cui si fa ri-
ferimento alla pestilenza di Egina che provocò la morte di tutti gli esseri viventi,
uomini e animali (vv. 58-66). Sembra che in questo luogo conclusivo di Malebolge,
a sottolineare la morte d’ogni vita e di ogni speranza, nella pena che «non ha più soc-
corso» (vv. 81), Dante abbia voluto concentrare le similitudini con animali morti.
Nella similitudine purgatoriale l’immagine si basa sul rapporto analogico: i pesci

60
L’altra similitudine infernale relativa ai pesci è quella dei delfini (che per la cultura medievale sono
pesci) a proposito dei barattieri immersi nella pece bollente della quinta bolgia (Inf. XXII, 19-24), dalla
funzione chiaramente ironica e parodica: il ruolo salvifico dei delfini non può certo essere svolto dai dan-
nati che non solo non hanno il potere di salvare gli altri, ma non possono neanche salvare se stessi e ve-
nendo fuori dall’acqua hanno solo un brevissimo momento di parziale sollievo dalla pece ribollente.
158 Giuseppe Ledda

stanno all’acqua come le anime del Purgatorio stanno al fuoco. La letteratura di


viaggi e visioni è ricca di animali infernali demioniaci, mentre l’uso di similitudini
animali per gli abitanti dell’aldilà, siano diavoli o anime, è estremamente rara. Ma
fa eccezione proprio questa immagine, che è molto frequente, sia pure con un signi-
ficato assai diverso. Essa è usata in riferimento agli animali infernali che costitui-
scono una delle pene che il peccatore deve subire: sono vermi, serpenti, draghi e
scorpioni che vivono nel fuoco come i pesci nell’acqua. Eccone la formulazione
classica di Onorio di Autun, poi ripresa in numerosi testi, tra cui i poemetti oltremon-
dani duecenteschi di Giacomino da Verona e Bonvesin da la Riva: «Tertia [scil.
poena], vermes immortales, vel serpentes et dracones visu et sibilo horribiles, qui ut
pisces in aqua, ita vivunt in flamma»61.
Rispetto a questa tradizione, concorde nel paragonare i pesci nell’acqua a esseri
diabolici o infernali, è evidente il rovesciamento operato da Dante, che si serve della
stessa immagine per indicare invece la condizione degli spiriti del Purgatorio. Qui
il fuoco nel quale le anime-pesci si immergono è il fuoco che le affina, la sua fun-
zione è di purificazione, penitenza e purgazione, non di mera punizione. Il percorso
è completato dalla prima similitudine animale riferita ai beati del Paradiso, le anime
degli spiriti attivi che si presentano a Dante nel cielo di Mercurio:

Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura


traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura,
sì vid’ io ben più di mille splendori
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
«Ecco chi crescerà li nostri amori» (Par. V 100-105).

Questa similitudine, oltre che nelle sue radici culturali, andrebbe letta anche nella
sequenza delle immagini animali usate per i beati, e non è dunque possibile analiz-
zarla a fondo in questa sede. Mi limito a un solo rimando, un passo evangelico che
genera una notevole tradizione esegetica:

Iterum simile est regnum caelorum sagenae missae in mare, et ex omni genere piscium
congreganti. Quam, cum impleta esset, educentes, et secus littus sedentes, elegerunt
bonos in vasa, malos autem foras miserunt. Sic erit in consummatione saeculi: exibunt
angeli, et separabunt malos de medio iustorum, et mittent eos in caminum ignis: ibi erit
fletus, et stridor dentium62.

61
ONORIO DI AUTUN, Elucidarium, IV, 4, (PL 172, 1160). Cfr. inoltre GIACOMINO DA VERONA, De
Babilionia civitate infernali, 153-156: «E sì com’entro l’aigua se noriso li pissi, / così fa en quel fogo
li vermi malëiti, / ke a li peccaori ke fi là dentro missi / manja i ocli e la bocca, le coxe e li gariti»; BON-
VESIN DA LA RIVA, De scriptura nigra, 405-408: «Li vermini venenusi in l’eternal calura / scorpïon,
bisse, serpenti, dragon de grand pagura, / com fan li pisci entr’aqua, ghe viven per natura, / ke lo peccator
venenano con pessima morsura»; Liber Scale Machometi, § 24: «De angelis quidem inferni de quibus
queris, scias quod Deus creavit eos omnes de igne et sunt in igne nutriti. Et si hora sola de igne exirent,
subito morerentur, nec possent sine igne vivere: sicut nec pisces eciam sine aqua».
62
Mt 13, 47-50. Il passo di Matteo è citato anche nella letteratura naturalistica ed esamerale. Cfr.
per esempio AMBROGIO, Hexaemeron, V 6 (PL 14, 212).
La «Commedia» e il bestiario dell’aldilà 159

Nel passo di Matteo ci sono sia i pesci che andranno nel regno dei cieli, sia quelli
che finiranno nel fuoco. Ma i pesci destinati al fuoco sono posti da Dante nel fuoco
purgatorio anziché in quello eterno63.
Nella terza cantica le similitudini animali in riferimento alle anime dell’aldilà,
qui le anime beate, sono tutt’altro che assenti e creano un percorso che mi propongo
di studiare in una prossima occasione64. Ma la prima di queste similitudini è proprio
questa dei pesci, che si ricollega evidentemente all’ultima usata per gli spiriti pur-
gatoriali. Non più nel fuoco, le anime-pesci sono ora in «peschiera ch’è tranquilla
e pura», hanno raggiunto, attraverso la penitenza «nel foco che li affina», quella
«pace» cui anche le anime-pesci del Purgatorio sono infine destinate.

63
Dove stanno comunque altri pesci: i delfini nella pece bollente e la scardova squamosa che inu-
tilmente si cerca di desquamare.
64
Posso qui solo indicare rapidamente le immagini animali più significative dopo questa di Par. V.
Nel cielo di Venere, lo spirito di Carlo Martello nascosto dalla propria stessa luminosità si descrive
come un baco chiuso nel suo bozzolo di seta, «quasi animal di sua seta fasciato» (VIII, 54). Natural-
mente non mancano anche qui le metafore del volo e delle ali, ma sono meno frequenti che nel Purga-
torio e qui riguardano soprattutto Dante personaggio (ma vedi almeno XV, 81), poi gli spiriti di Marte
che si presentano uno per uno a Dante sono visti come falconi, che il falconiere-Dante segue con atten-
zione nel loro volo (XVIII, 45). Ma è nel cielo di Giove che per gli spiriti giusti si utilizza una serie dav-
vero eccezionale di immagini animali, tutte ornitologiche: dapprima gli spiriti sono paragonati alle gru
che formano volando in schiera la figura di lettere dell’alfabeto (XVIII, 73-81), poi si dispongono a
formare l’immagine di un’aquila (107). E per l’aquila formata dagli spiriti giusti si dispiega una serie
di tre similitudini: essa appare prima come «falcone ch’esce dal cappello» (XIX, 34-39), poi come una
cicogna felice di aver nutrito il proprio piccolo (91-96), infine come un’allodetta sopraffatta dalla luce
del sole e dalla dolcezza del proprio stesso canto (XX, 73-78). Infine gli spiriti contemplativi del cielo
di Saturno sono rappresentati come uno stormo di pole, cioè una specie di cornacchie (XXI, 34-42). Nel
cielo delle stelle fisse san Pietro e san Giacomo si salutano affettusamente come colombi (XXV, 19-24),
mentre san Giovanni è definito attraverso la metafora tradizionale di «aguglia di Cristo» (XXVI, 53) e
Adamo come un enigmatico «animal coverto», in una variazione della similitidine animale applicata al
nascondimento del beato nella propria luce (XXVI, 97-102). A parte andrà poi studiato il selettivo be-
stiario paradisiaco di Beatrice, che dapprima fissa il sole più di qualsiasi aquila (I, 48), poi è rappresen-
tata, in apertura del canto XXIII, tramite la celebre similitudine dell’«augello intra l’amate fronde», nel
quale, come ha mostrato MAURIZIO PERUGI si deve riconoscere l’usignolo, cioè la luscinia della lettera-
tura naturalistica ed enciclopedica (Canto XXIII, cit., pp. 364-366).
Indice generale

Programma del Convegno p. 7


Introduzione » 11
Emilio Pasquini
Riflessioni sulla genesi della Commedia » 15
Gian Mario Anselmi
Dante e l’interpretazione della storia » 37
Paola Vecchi Galli
La fabbrica della terzina » 43
Alba Maria Orselli
Fonti dell’antica sapienza monastica in Dante » 113
Gianfranco Ravasi
Dante esegeta del Salterio » 127
Franco Alberto Gallo
Dalla terzina dantesca al madrigale trecentesco.
L’Ave Maria di Marchetto da Padova » 135
Giuseppe Ledda
La Commedia e il bestiario dell’aldilà:
osservazioni sugli animali del Purgatorio » 139
Marcello Ciccuto
Fonti, intertesti e strategie retoriche della cultura
figurativa dantesca nella Commedia » 161
Antonio Panaino
L’aldilà zoroastriano e quello dantesco. Appunti
per una riflessione comparativa e tipologica su
forme e motivi ricorrenti nei viaggi ultraterreni » 171
Gioachino Chiarini
Dante e la simbologia classica dei sette pianeti » 189
Anthony Oldcorn
In margine al «canto» di Giustiniano » 199
398 Indice generale

Antonio Carile
Dante e l’orizzonte bizantino » 213
Laura Pasquini
Riflessi dell’arte ravennate nella Commedia:
nuovi contributi » 227
Lucia Battaglia Ricci
La tradizione iconografica della Commedia » 239
Giorgio Gruppioni
Dantis Ossa: una ricognizione delle ricognizioni
dei resti di Dante » 255
Francesca De Crescenzio
Tecnologie digitali per la ricostruzione geometrica
del cranio di Dante » 269
Francesco Mallegni
La ricostruzione fisiognomica del volto di Dante
tramite tecniche manuali » 277
Andrea Battistini
Miti, leggende e personaggi di Romagna
nei primi commentatori della Commedia » 283
Alfredo Cottignoli
«Auctor» e «lector» in Benvenuto lettore di Dante » 305
Donatino Domini
Il culto di Dante a Ravenna. Tra memoria e identità » 315
Arnaldo Bruni
Il pellegrinaggio ai luoghi del poeta:
il Voyage dantesque di Jean-Jacques Ampère » 335
Maria Monica Donato
Il primo ritratto documentato di Dante
e il problema dell’iconografia trecentesca.
Conferme, novità e anticipazioni dopo due restauri » 355

Indice dei nomi » 381

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