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1. Il plurilinguismo in Dante


1.1 Introduzione

Con il termine plurilinguismo sintende, in linguistica, la compresenza di pi lingue o
registri linguistici in una stessa area. La definizione per altrettanto calzante per quei
testi letterari che si avvalgono, da un punto di vista sia strutturale che prettamente
espressivo, della commistione di forme linguistiche riconducibili tanto a idiomi differenti
quanto a variazioni diastratiche, diatopiche e diacroniche della stessa lingua. E opinione
comune considerare il Dante della Commedia quale campione e primo interprete del
plurilinguismo
1
(e del pluristilismo, sebbene si possa affermare, come vedremo pi avanti,
che per il Nostro stile e lingua coincidano)
2
, il che sottintende lesistenza di una non
trascurabile tradizione precedente a cui lo stesso Dante aveva avuto accesso: si pensi,
solo per restare in contesto italiano, ai contrasti di Cielo dAlcamo e di Rimbaut de
Vaqueiras, entrambi inscrivibili a quel filone che Contini ha felicemente definito
dellespressionismo letterario
3
. Daltro canto la stessa frammentazione linguistica a cui
era stata sottoposta lEuropa tra il III ed il IV sec. d.C., dopo la caduta dellImpero
Romano, aveva incoraggiato, con un ritardo di qualche secolo e grazie allemergere delle
letterature volgari, soluzioni di questo tipo, soprattutto se calate in contesti di marcato
realismo letterario. Vero , per, che per lungo tempo e fino allepoca in cui Dante si
trov a riflettere su questi problemi anche gli scrittori volgari si erano trovati bloccati sia
dalla dialettica verticale tra latino e volgare (ovvero tra una lingua artificiale e una
naturale) sia dallopposizione orizzontale tra le diverse ramificazioni romanze
dellydioma tripharium: la lingua delloc, delloil e del s
4
, assieme allulteriore distinzione
operabile considerando la crescente importanza che stavano assumendo, a livello
diatopico e diafasico, i singoli volgari municipali nei quali in particolar modo la lingua del s
era frammentata. Questo senza considerare che le fondamenta di tutta la letteratura
plurilinguistica del medioevo poggiavano su una concezione gerarchica della
frammentazione linguistica, per la quale ogni lingua aveva una sua propria dignit,
giudicata superiore o inferiore a quella delle altre in base a valutazioni di volta in volta di

1
Beccaria 1994.
2
Pagliaro 1966, pp. 561-562.
3
Contini 1988.
4
Baranski 1996, p.46, a cui si rimanda; cfr. inoltre il 4 del presente capitolo.
2
natura stilistica, pseudolinguistica, scritturale e via dicendo
5
. Dante, prima ancora di
concepire quellopera che alla base di unintera letteratura (e oseremmo dire di una
lingua), ebbe leccezionale merito di cogliere la viva realt di una situazione
potenzialmente tanto magmatica e, muovendosi pur sempre in maniera accorta allinterno
di una salda tradizione retorica, di trarne vantaggio per laffermazione tanto di quella
dignit che da tempo legemonia del latino negava al volgare, quanto della necessit che
proprio il volgare (o la ricerca di un volgare: la stessa che ritroviamo, secondo moduli
differenti e premesse teoriche sensibilmente diversificate, sia nel De vulgari eloquentia che
nella Commedia) venisse a svolgere una funzione coesiva soprattutto dal punto di vista
sociale. Egli stesso potrebbe aver tentato, gi prima della Commedia, lesperimento di una
canzone trilingue (Ai faux ris), la cui attribuzione per tuttora incerta. E daltra parte
Baranski sostiene non a torto che anche la Vita nuova e il De vulgari eloquentia siano
formalmente opere plurilinguistiche
6
. E chiaro, comunque, che a questaltezza
cronologica lapproccio al plurilinguismo in Dante risentisse ancora di quella concezione
per nulla sincretica del rapporto tra i diversi idiomi che propria di una certa letteratura
medievale e di cui si detto in precedenza.
Ma, al di l delle esperienze dantesche antecedenti alla sua pi alta prova, appare certo
che ci che possiamo leggere nel sacrato poema sfugge, in qualche modo, al confronto
coi pur illustri precedenti: sia perch frutto di unelaborazione teorica affatto sofferta (e per
di pi allapparenza contraddittoria), sia perch il plurilinguismo vi si attua mediante una
totale ed inedita libert espressiva, aderendo perfettamente ad una base, che quella
fiorentina, e dando vita cos ad un pastiche linguistico che suscita una forte impressione di
omogeneit, sebbene sia costituito in molti (e fondamentali) passaggi da materiale
linguistico assolutamente eterogeneo
7
. Per dirla con le parole di Erich Auerbach, la lingua
di Dante appare quasi un miracolo inconcepibile. Di fronte a tutti gli altri scrittori
precedenti, fra i quali furono tuttavia grandi poeti, la sua espressione possiede una tale
ricchezza, concretezza, forza e duttilit, egli conosce e impiega un numero talmente
superiore di forme, afferra le pi diverse apparenze e sostanze con piglio tanto pi saldo e
sicuro, che si arriva alla convinzione che questuomo abbia con la sua lingua riscoperto il
mondo. Spesso si crede daver trovato donde egli abbia attinto questa o quella

5
[L]a pratique du bilinguisme potique comporte toujours un jeu de contrastes (Zumthor 1960, p. 587)
6
Baranski 1996, p. 63.
7
A tal proposito lo stesso Baranski, sulla scia di Contini e in opposizione a Baldelli 1978a, addirittura nega
che per la Commedia si possa parlare di plurilinguismo tout-court: Mi trovo perci in disaccordo con chi ha
qualificato lo stile della Commedia come plurilinguistico, siccome ci presuppone, in ultima analisi, un
distacco tra le diverse lingue che proprio della cultura di base retorica che Dante intese superare
(Baranski 1996, p. 74).
3
espressione, e invece le fonti sono tante, egli le accoglie e le impiega in modo tanto
esatto, originario, e pur cos suo proprio, che tale ritrovamento non fa che aumentare
lammirazione per la potenza del suo genio linguistico
8
. Leccezionalit di tale esperienza,
dunque, non tanto nella stabilizzazione di un codice linguistico quale quella che Dante
sembrava invidiare al latino nel Convivio e indicare come discriminante nei confronti del
volgare nel De vulgari, quanto nella stupefacente libert con cui egli saccosta,
apparentemente a dispetto dei proclami teorici e delle passate esperienze poetiche, ad
una lingua in fieri, e nella matura diligenza con cui egli simpone il limite della terzina quale
unico argine (unitamente al residuo di una incondizionata fiducia nellesempio delluso che
di certe forme fanno i suoi modelli, romanzi e classici che siano) ad un vulcanismo
glottopoietico
9
altrimenti debordante.



8
Auerbach 1956, p. 198.
9
Nencioni 1990, p. 4.
4
1.2 Elementi del plurilinguismo nella Commedia dantesca

Uno studio, fosse anche per sommi capi, sulla lingua utilizzata da Dante nella Commedia
richiede una premessa obbligatoria, e cio che esso sar per sua natura soggetto ad
alcune variabili delle quali occorre tener conto, soprattutto in considerazione del fatto che,
non essendoci pervenuto alcun autografo dantesco
10
, la trattazione di aspetti
fonomorfologici pu configurarsi come incerta o comunque confutabile
11
. Qui di seguito (e
nello studio su Inf., XXII al cap. 2) prenderemo come riferimento ledizione Petrocchi 1994
e ci cureremo di segnalare in nota i casi in cui saranno prese in esame lezioni da essa
divergenti.
Seguendo lutilissima traccia del Migliorini
12
, opereremo dunque una suddivisione che
tenga conto tanto di quelle voci naturalmente a dispozione della discretio del poeta,
quanto di quelle occorrenze che conferiscono al testo una qualche coloritura differente
dalla tonalit base del fiorentino del tempo; tra queste sar poi opportuno considerare
quante si distacchino dal fondo fiorentino sincronicamente, procedendo verso unapertura
alle voci dialettali estranee alla base linguistica di riferimento, e quante invece operino un
recupero diacronico di forme gi appartenenti alla tradizione letteraria (classica e
romanza) nota a Dante
13
. Occorrer distinguere dunque tra: fiorentinismi, dialettalismi,
arcaismi, unicismi, latinismi, grecismi e francesismi, con lavvertenza per che il discrimine
pu non essere cos netto, giacch molte voci entrate nel fiorentino del primo 200 come
forestierismi o rusticismi potevano essere, gi allepoca di Dante, considerate a tutti gli
effetti arcaismi e non avvertite come estranee alluso locale.

Quanto ai fiorentinismi, c da premettere una considerazione fondamentale: e cio che la
Commedia si presenta come lopera pi fiorentina di Dante, nella sua struttra fonetica,
morfologica, sintattica e nel lessico fondamentale, forse per un ricupero del fiorentino,
anche sul piano teorico
14
; ed un recupero pi volte dichiarato, diremmo quasi ostentato,
come in Inf., X, 22-27:

10
Ma per unampia analisi sulle circostanze della composizione e della divulgazione della Commedia si
rimanda a Ciociola 2001.
11
Ed appunto questo il motivo per cui la critica attribuisce accortamente grande valore alle parole in rima,
che sono vincolate dalla struttura metrica del testo e perci risultano (salvo nei casi in cui possibile la rima
imperfetta o siciliana) meno corrutibili e pi affidabili (cfr. Parodi 1957 e Manni 2003, p. 139).
12
Migliorini 1966.
13
Pagliaro 1966, p. 566-ss.; a tal proposito si osservi come talvolta una medesima voce possa essere
attribuibile allinflusso congiunto di diverse tradizioni culturali: il caso dellassenza di dittongamento in
parole come fera, novo, core ecc., caratteristica che coinvolge anche le forme con e e o seguite da
consonante pi r, che il fiorentino trecentesco vuole dittongate, secondo il tipo priego e truovo (cfr. Manni
2003, p. 144).
14
Baldelli 1978b, p. 93b.
5

O Tosco, che per la citt del foco
vivo ten vai cos parlando onesto
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria nato
a la qual forse fui troppo molesto.

o in Inf., XXIII, 76:

E un che ntese la parola tosca

e, ancora pi esplicitamente, in Purg., XVI, 136-137:

Io non so chi tu se n per che modo
venuto se qua gi; ma fiorentino
mi sembri veramente quando io todo.

Certo, alla luce di un riacquisto cos evidente, verrebbe da chiedersi se davvero mai
(anche nelle esperienze precedenti al poema, sintenda) abbandono ci sia stato, sebbene
Dante effettivamente ammetta nella sua Commedia parole e forme gi categoricamente
rifiutate allinterno del trattatello sulla dignit del volgare, quali gli idiotismi introcque (Inf.,
XX, 130; lat. INTER HOC, nel frattempo) e manicare (lat. MANDUCARE, forma peraltro
tuttora viva in area sarda per mangiare), assieme ad altre parole programmaticamente
escluse dalle rime come mamma, babbo, cetra, corpo, femina, greggia
15
; e poi versi interi
che solo i fiorentini possono capire
16
, come il 22 di Inf., XXVIII:

Gi veggia
17
per mezzul perdere o lulla,
comio vidi un, cos non si pertugia
rotto dal mento infin dove si trulla.


15
In quorum numero nec puerilia propter sui simplicitatem, ut mamma et babbo, mate et pate, nec muliebria
propter sui mollitiem, ut dolciada et placevole, nec silvestria propter austeritatem, ut greggia et cetra, nec
urbana lubrica et reburra, ut femina et corpo, ullo modo poteris conlocare (De vulg. eloq., II, vii, 4).
16
Della Casa, Galateo, XXII.
17
C un discreto accordo tra i critici nellaccreditare veggia (botte) non gi come fiorentinismo, ma come
settentrionalismo (cfr. Manni 2003, p.149, nota 66)
6
Tra i tratti pi evidenti di questa fiorentinit, intesa in riferimento alla parlata corrente di
Firenze tra fine Duecento e linizio del Trecento, ricordiamo, sul versante della morfologia,
le desinenze dei perfetti deboli -arono, -erono, -irono, pure sincopate in -arno, -erno, -irno
(ove laggiunta di -no agli originari tipi, comunque maggioritari nella Commedia, in -aro,
-ero, -iro analogica alla III persona del presente indicativo) e la desinenza -a della I
persona singolare dellimperfetto indicativo; parimenti sono rispondenti alluso del tempo
tanto la rigida osservanza della Tobler-Mussafia per la sintassi (pur con rarissime
eccezioni di proclisi dopo e e ma, peraltro dovute a scelte metrico-stilistiche) quanto, dal
punto di vista fonetico, la chiusura di e in i per anafonesi (p. es. Sardigna in Inf., XXII, 89)
e lassimilazione dei gruppi -ia- e -io- (sia tonici che atoni) in -ie-, in forme come sieno,
avieno, dieno e stieno, unitamente alla conservazione in iato di e tonica nelle forme
congiuntive dea e stea
18
.
Di certo Dante manifesta (soprattutto nella prima cantica e con intento evidentemente
mimetico, ma non solo) la volont di accostarsi alluso parlato: a questa probabilmente
vanno ascritte le frequentissime epitesi di -ne (p. es. pne di Inf., XI, 31), assenti nei
documenti fiorentini del tempo, da considerare comunque fatti squisitamente stilistici
connessi per lo pi ad esigenze metrico-ritmiche; ma sono desunti certamente dalluso
colloquiale i pronomi epitetici mee e tue talvolta preferiti alle forme normali. Altre deviazioni
fonomorfologiche di questo tipo, sempre o quasi collocate in rima, evidenziano
lintenzionale avvicinamento alloralit: cos lalternanza tra -i ed -e (p. es. avante/avanti
o diece/dieci)
19
, laddove la chiusura di -e in -i era, alla fine del 200, ancora in atto e
sicuramente non estesa a tutte le forme, tanto che documenti coevi riportano quasi
esclusivamente ogne in opposizione al dantesco ogni; analoga fenomenologia riguarda la
polimorfia -e/-i per la seconda persona del presente indicativo della prima classe (p. es.
fide/fidi) e congiuntivo di tutte le classi (p. es. il tipo tegni di Inf., XXIV, 140 opposto a entre
di Inf., XIII, 16), dovuta alla tendenza di e atona a chiudersi in i uniformandosi alle altre
voci del paradigma
20
. Conferiscono alla terzina un sapore rustico parole come chiappa
(scheggia di pietra) di Inf., XXIV, 33 e ronca (disbosca) di Inf., XX, 47, mentre una

18
Per una trattazione pi approfondita dei caratteri del fiorentino due-trecentesco, v. Manni 2003, pp. 33-41,
mentre per una breve disamina sulla presenza in Dante di elementi tipicamente fiorentini si faccia riferimento
a Manni 2003, pp. 140-143.
19
La suddetta alternanza coinvolgerebbe anche lopposizione ogni/ogne, che per nelledizione Petrocchi
viene uniformata alla sola forma con e finale, sebbene gran parte della tradizione manoscritta presenti
continue oscillazioni fra i due tipi. Il Lanza ha dunque ristabilito le forme che nel Trivulziano avevano -i,
proprio delle generazioni nate dopo il 1280 e dei registri pi prossimi al parlato (cfr. Manni 2003, p. 138).
20
Pagliaro 1966, p. 567; ma in Dante si hanno anche esempi della moderna desinenza della II persona del
presente congiuntivo in -a, modellata in analogia con quelle della I e della III persona (cfr. Manni 2003, p. 36
e 39).
7
considerevole porzione del lessico nellInferno (ma con episodiche comparse nelle altre
due cantiche) tutta composta da espressioni plebee letterariamente inedite, quali
bozzacchione, broda, gracidare, marcio, leccare, letame, muso, porcile, puttana, rogna,
scrofa, sterco, tigna, zuffa ecc.; anchesse come le vernacolari sirocchia per suora, otta
per ora, allotta per allora, sono pienamente ascrivibili al dominio linguistico fiorentino nelle
sue diverse variet diafasiche e diastratiche, in particolare a quelle pi familiari e
quotidiane. Numerose sono anche le espressioni attinte dalluso popolare il cui significato
talvolta rimasto oscuro per secoli, quali burlare per sparpagliare, potere nel senso di
riuscire a portare, bastare nellaccezione di durare ecc.
Daltra parte, proprio e soprattutto in virt della forte pulsione plurilinguistica che
caratterizza in particolare le prime due cantiche, luso dantesco , in confronto con luso
naturale del fiorentino suo tempo, molto pi ricco di doppioni
21
desunti tanto dalle variet
popolari del fiorentino quanto da altri dialetti e lingue letterarie. Pertanto la morfologia
verbale registra numerose varianti interne al sistema, come cada/caggia, vidi/viddi e
dolve/dolsi
22
, mentre il lessico attinge a piene mani voci della tradizione letteraria e forme
duso comune: adunque per la forma normale specchio il poeta utilizza spesso e
liberamente tanto speculo, quanto il gallicisimo speglio come miraglio; a re alterna rege; a
speme, spene e il provenzalismo speranza; a imagine, la forma dal nominativo latino
imago e image. Questi allotropi, oltre a costituire un inesauribile serbatoio di soluzioni a
problemi di tipo metrico-ritmico, assumono nel corso del poema una connotazione stilistica
ben precisa, se vero che Dante adopera pi spesso forme latineggianti o galloromanze
in contesti di grande aulicit, mentre preferisce le voci popolari o dialettali laddove gli
occorra una pi marcata connotazione espressiva
23
. Daltra parte sintomatico che tale
polimorfia si esprima soprattutto sul versante fonetico e morfologico, laddove pure pi
evidente la fiorentinit della lingua dantesca: questa sovrabbondanza di forma sar quindi
da considerare in parte un fatto cittadino, strettamente connesso con la realt sociale ed
economica della Firenze del tempo di Dante, quando questa era centro di scambio ed
incontro culturale e politico per tutta la Toscana. Daltro canto, anche nei casi in cui il
poeta sceglie forme dialettalmente marcate, egli si cura di porle in rima per attestarne
leccezionalit: cos per le forme verbali pisano-lucchesi fenno (fecero) e vonno

21
Migliorini 1987, p. 176.
22
Il rimando a Parodi 1957, per lampiezza e la puntualit della trattazione, in questo caso dobbligo; ma v.
anche Manni 2003, pp. 141-142
23
Per una disamina pi approfondita di questi aspetti v. Manni 2003, pp. 161-4.
8
(vanno), ma pari trattamento ricevono altre voci di certo estranee alluso fiorentino come
abbo (ho) ed este ()
24
.

Ed appunto questi dialettalismi, della cui funzionalit dal punto di vista espressivo e
stilistico tratteremo al 4, vanno a loro volta distinti tra forme tratte dagli altri dialetti
toscani (in particolar modo quelli occidentali e settentrionali, dei quali troviamo riscontro in
alcune attestazioni coeve) e voci mutuate dai volgari municipali del resto dItalia, in
particolare di area settentrionale. Quanto ai primi, occorre premettere che, allaltezza
cronologica in cui Dante compone il suo poema, tanto i dialetti settentrionali quanto le
restanti parlate della Toscana non fiorentina si discostavano decisamente dalluso di
Firenze pi sul piano fonomorfologico che su quello lessicale
25
, e sar quindi in quello
piuttosto che in questo che andranno rintracciate le pi evidenti ingerenze nella lingua
dantesca. Dunque ricordiamo a titolo esemplificativo: lassare con esito toscano
occidentale (ma anche di tutta la Toscana non fiorentina) -X-> -ss-, che talvolta subentra,
in rima, al normale lasciare; la forma sincopata piorno (Purg., XXV, 91) da piovorno,
originaria della Val di Nievole e rubecchio (rosseggiante, in Purg., IV, 64) della montagna
pistoiese; le gi citate forme verbali pisano-lucchesi fenno (costruita sulla III persona
singolare mediante laggiunta di -no), abbo, este
26
; infine, con intento mimetico-espressivo,
lavverbio lucchese issa (per adesso), nel discorso di Bonagiunta in Purg., XXIV, 55. Tra i
secondi, registriamo diversi dialettalismi lessicali: il donno (signore) per bocca di
Ciampolo in Inf., XXII, 83 anche arcaismo del fiorentino di una generazione anteriore a
Dante e trova posto accanto allaltro sardismo di piano (pianamente, sommariamente);
di area piemontese e lombarda il ramogna di Purg., XI, 25, vox media per augurio,
connotato positivamente o negativamente dallaggettivo che lo precede (dal lat.
QUAERIMONIA, lamentazione, mormorazione; ramugn nel dialetto di Saluzzo,
ramugns in provenzale moderno)
27
; dalla denominazione propria dellarsenale veneziano
Dante desume quellarzan che caratterizza il XXI dellInf. al verso 7 e si contrappone ai
tos. darsana, tersan, tersanaia
28
, mentre pure tecnicismo nautico di area adriatica lo
scola di Purg., XXXI, 96, dal veneto e ravennate scaula (piccola barca, gondola).
Quanto alla fonetica ed alla morfologia, bolognesismo il sipa (sia, III pers. del
congiuntivo presente del verbo essere, con valore di particella affermativa) di Inf., XVIII, 61

24
Baldelli 1978b, p. 110a.
25
Manni 2003, p. 33.
26
Ivi, pp. 44-ss.; ma la forma este, soprattutto quando impiegata in contesti di forte aulicit (come in Par.
XXIV, 141), primariamente di ascendenza classica e siciliana.
27
Pagliaro 1966, p.577.
28
Dallarabo dr sina/dr sna per fabbrica, cfr. Manni 2003, p. 158.
9
e, a proposito di Cavalcante, sempre alla lirica bolognese dobbiamo ricondurre lome (Inf.,
X, 67-69), peraltro gi presente in Guido Cavalcanti e proprio in rima con come
29
; di
Par., XXVIII, 103 la forma della lirica religiosa umbra vonno per vanno. E molto
importante anche dal punto di vista esegetico, infine, la formula di congedo lombarda con
la quale Virgilio si licenzia dalle anime frodolente (dicendo: Istra ten va, pi non tadizzo,
Inf., XXVII, 21), in cui lavverbio istra, analogo al lucchese issa di cui sopra ed egualmente
disceso da IPSA HORA
30
, e la forma verbale adizzo, che Guido da Pisa definisce
propriamente dellidioma lombardo, fungono da elementi atti a specificare lappartenenza
linguistica, etnica e culturale di Virgilio (cfr. 4).
Meritano unenunciazione a parte i numerosi sicilianismi, mutuati da una tradizione lirica
affermata e istituzionalizzata come quella siciliana o siculo-toscana, siano essi il lessicali,
come per disio, disiare (nettamente preferito ai gallicismi disire e disirare)
31
o come nel
caso del prestito semantico respitto di Purg., XXX, 43 (dal sic. rispittu, lamento)
32
;
fonologici, quali ancidere, canoscenza; oppure fonomorfologici, come in forme verbali del
tipo aggio (frequente in Dante nella produzione giovanile, abbandonato in quella
stilnovistica e poi ricuperato nella Commedia)
33
; diminuiscono invece di numero rispetto
alla produzione lirica stilnovistica i condizionali e gli imperfetti in -ia/-iano (il tipo poria e
avria e il tipo vincia e avia, questultimo pure sostenuto da una buona diffusione nella
prosa documentaria fiorentina trecentesca)
34
, che per di pi nella Commedia sono sovente
in rima. E, infine, sicilianismo con funzione mimetico-espressiva lesortazione mora
(muoia, presente peraltro anche nella Vita nuova) a caratterizzare il furore dei
Palermitani contro gli Angi durante la rivolta dei Vespri, in Par., VIII, 75.
Dante accoglie certamente con minore spregiudicatezza questi dialettalismi rispetto a
quanto non faccia con le voci popolari del fiorentino e, in generale, toscane; nota infatti
bene il Parodi che [non] v nel poema un solo vocabolo, che Dante abbia tolto

29
Schiaffini 1970, p. 238; ci si riferisce al sonetto cavalcantiano Ciascuna fresca e dolce fontanella,
composto in risposta ad un altro sonetto di Bernardo da Bologna. Petrocchi 1994, il quale adotta un
approccio conservativo alla questione delle rime imperfette di tipo sicilano (cfr. Manni 2003, p. 139), riporta
la lezione lume, con normale esito di lat.
30
Mentre per issa trova attestazione in un discordo di Bonagiunta stesso, la virgiliana istra sembra essere
hapax: andr dunque confrontata con i settentrionali insta e ista, dai quali avrebbe avuto origine mediante
epentesi di r. Bruni ha avanzato per lipotesi che possa trattarsi di una ricostruzione dantesca, partendo da
issa per analogia col tipo nosso:nostro (cfr. Manni 2003, p. 165 nota).
31
Manni 2003, p. 157.
32
Pagliaro 1966, p. 576; altri (come Manni 2003, p. 147) annoverano questa voce tra le fila dei gallicismi,
assieme al dispitto di Inf., X, 36.
33
Tra i sicilianismi fonomorfologici andrebbero annoverate anche forme dei pronomi personali nui e vui, che
pure Petrocchi 1994 rifiuta ripristinando la rima imperfetta (cfr. nota 21).
34
Induce daltro lato a riflettere il fatto che, nella Commedia, questo tipo desinenziale ricorra quasi
esclusivamente nelle forme plurali o in quelle singolari seguite da enclitiche, rispettando una tendenza che si
osserva anche nei testi fiorentini dugenteschi e trecenteschi (Manni 2003, p. 147).
10
direttamente a un dialetto non toscano, che egli non abbia cio gi trovato nelluso
letterario
35
, vale a dire che non sia stato nobilitato da una qualche tradizione precedente
alluso dantesco.

Quanto detto circa la base linguistica della Commedia esige una precisazione riguardante
la preferenza che Dante mostra, attingendo in quel moderato arcaismo nobilt e solennit
di linguaggio
36
per le forme e i modi riconducibili alla generazione antecedente la sua. Tra
questi arcaismi il Parodi inseriva quelle forme di seconda persona in -e che abbiamo gi
esaminate nel contesto dellalternanza con i tipi in -i: come si ricordato, il fenomeno era
ancora in atto nel momento in cui Dante scriveva e non era affatto esteso a tutte le forme,
sicch la collocazione dello stesso tra gli arcaismi sembra destare pi di una perplessit.
Arcaizzante ma ancora una volta non del tutto alieno alla generazione di Dante lo
scempiamento di /l/ nelle preposizioni articolate davanti a consonante
37
; un caso di
moderato arcaismo morfologico costituito, nei verbi della seconda e terza classe, dalle I
persone plurali del presente indicativo con desinenza -emo, accanto a quelle in -iamo;
mentre unevidenza della serena coabitazione di forme arcazzanti e forme correnti si ha in
Inf., I , vv.116-118, ove il vetusto vederai seguito dal vedrai contemporaneo a Dante.

Come gli arcaismi sono un sintomo della tensione, da parte di Dante, a recuperare forme
percepite come desuete dai contemporanei, specularmente il generoso impiego di
unicismi (o hapax legomena) rappresenta la pi evidente testimonianza dal punto di vista
lessicale del proverbiale sperimentalismo dantesco. In questo caso sar doveroso
distinguere tra quelle parole che sono unicismi ai nostri occhi (in quanto non altrimenti
attestate), ma che probabilmente Dante ha recepito dalluso contemporaneo, e i veri e
propri neologismi. Dei primi baster citare, a titolo esemplificativo, lavverbio linci (di l,
Purg., XV, 37) che sembra forma popolare coniata per analogia con quinci (<lat.
*(C)CU(M) HNCE) e costinci (<lat. *(C)CU(M) (I)STNC). I secondi hanno una duplice
funzione stilistica: se infatti essi sono certamente il segno della specialissima aggressione
della realt che si ha nel poema
38
, va pure considerato il particolare utilizzo che il poeta
ne fa nel Paradiso, laddove egli si misura con la figurazione dellineffabile e, per fare ci,

35
Parodi 1957, p. 219.
36
Ivi, p. 253.
37
Ma Petrocchi 1994 riporta sempre la scempia, anche contro luso dugentesco, e cio davanti a vocale
tonica.
38
Baldelli 1978b, p. 108a.

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