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LIBRO
III
LA
SICILIA
GRECA
Braccesi
–
Millino
Scaricato da Sergio Runfi (sergrunc@tin.it)
lOMoARcPSD|6360644
per
volontà
di
Gelone,
spopolata
a
partire
dal
483,
ridistrutta
e
ricostruita
nuovamente
nel
460.
Questo
fu
il
periodo
più
felice
per
Camarina,
nonostante
resti
sempre
città
di
frontiera
tra
Siracusa
e
Gela,
che
non
riesce
a
fagocitarla
nella
sua
orbita.
I
Megaresi,
originari
di
Megara
Nisea,
giunti
in
Sicilia
fondano
la
colonia
di
Megara
Iblea.
Come
la
madrepatria,
anche
la
città
sarà
circondata
da
vicini
troppo
potenti:
il
suo
decollo
sarà
limitato
e
il
suo
tramonto
precoce.
L'ecista
Lami,
conducendo
una
spedizione
da
Megara,
fonda
Trotilo
e
poi
punta
sulla
pianura
fertile
di
Lentini:
ma
è
costretto
a
fuggire
a
Tapso.
I
megaresi,
compagni
di
Lami,
fondarono
nel
Golfo
di
Augusta
alla
città
di
Megara
Iblea,
grazie
alla
concessione
di
terre
operata
della
re
Iblone;
la
città
si
trova
però
subito
schiacciata
tra
le
potenze
di
Lentini
e
Siracusa.
La
storicità
del
personaggio
di
Iblone
viene
talvolta
messa
in
discussione,
ma
ciò
non
accade
per
la
vicenda,
ritenuta
vera.
Fondata
nel
727,
secondo
Tucidide,
venne
distrutta
il
483.
Strabone
non
concorda
con
la
versione
tucididea
:
lo
storico
sostiene
infatti
che
Megara
Iblea
fosse
antica
quanto
Nasso.
Subcolonia
di
Megara
Iblea,
Selinunte
fu
città
di
frontiera,
posta
sulla
costa
occidentale
del
Canale
di
Sicilia.
Tucidide
dice
che
fu
fondata
100
anni
dopo
Megara
Iblea
,
quindi
pressappoco
le
627.
Diodoro
ci
dice
che
fu
distrutta
242
anni
dopo
la
sua
fondazione,
cioè
nel
408.
La
data
di
Diodoro
indica
la
prima
spedizione
di
Pannilo
su
Megara
Iblea,
e
la
data
della
seconda
spedizione
di
rinforzo,
in
cui
si
imbarcò,
Dalla
Grecia,
il
rifondatore
di
cui
non
conosciamo
il
nome.
Il
fatto
che
l’abitato
sia
passato
da
indigeno
a
ellenico
senza
continuità
indica
un
periodo
antecedente
alla
fondazione
caratterizzata
da
infiltrazioni
commerciali.
Le
colonie
fondate
in
Grecia
dopo
l’VIII
secolo
sono
perlopiù
sulla
costa
orientale
dell’isola;
ma
dall’inizio
del
VII
secolo
sul
viso
non
c’è
più
territorio
per
nuove
colonne:
i
neocolonizzatori
devono
cercare
nuovi
spazi.
Prima
dell’arrivo
di
Siracusa
nel
sito
di
Camarina,
colonizzatori
da
Rodi
e
Creta
fondarono
Gela
e
Agrigento.
Ancor
più
ad
occidente
provano
Cnido
e
Sparta,
ma
i
loro
tentativi
si
rivelano
un
fallimento.
Gela
fu
fondata,
secondo
Erodoto,
da
un
certo
Antifermo,
rodese
di
Lindo;
al
momento
della
sua
fondazione
era
presente
un
antenato
di
Gelone,
Dinomede.
I
coloni
di
Rodi,
al
momento
della
fondazione,
accorpano
anche
le
genti
circostanti:
insieme
ad
Antifermo,
alla
fondazione
avrebbe
partecipato
una
spedizione
di
Cretesi,
guidati
da
Entimo,
nel
688.
I
cretesi
ebbero
comunque
un
ruolo
secondario,
mentre
Antifermo
venne
in
seguito
venerato
dai
cittadini
in
quanto
fondatore.
La
nuova
colonia
assume
comunque
istituzioni
doriche.
Devo
averne
mosso
guerra
ai
Sicani,
la
città
rimarrà
sempre
attanagliato
da
una
fame
violenta
di
dominio,
espandendosi
nel
proprio
entroterra.
Fondata
sotto
l’antico
nome
di
Akragas,
Agrigento
si
sviluppò
ad
Occidente
di
Gela;
Tucidide
ci
dice
che
nacque
nel
580.
Viene
considerata
una
sub
colonia
di
Gela,
Anche
se
la
tradizione
storiografica
non
è
concorde:
Timeo
sostiene
che
da
Rodi
fosse
approdata
direttamente
la
famiglia
degli
Emmenidi,
mentre
anche
Polibio
sostiene
un’origine
direttamente
rodia,
senza
tappe
intermedie.
La
città
si
rivela
mista
etnicamente:
adesso
sono
riconosciute
componenti
insediative
geloo-‐rodie
e
geloo-‐cretesi.
Il
problema
della
storicità
della
fondazione
si
salda
con
i
problemi
della
tirannide
di
Falaride,
instaurata
circa
un
decennio
dopo.
Gli
Cnidi
in
occidente
quando
esso
non
ha
più
nulla
da
offrire
ai
greci:
le
loro
spedizioni
fallirono
per
l’ostilità
degli
indigeni
e
per
fattori
naturali.
Si
stanziarono
allora
nelle
colonie
di
pirati,
come
Lipari.
La
loro
colonizzazione
di
queste
terre
è
narrata
da
Diodoro,
che
individua
come
capo
lo
cnido-‐iodio
Pentatlo
e
data
la
spedizione
alla
50ª
Olimpiade(580-‐576).
Pentatlo
si
muove
verso
la
punta
occidentale
della
Sicilia,
ma
tale
scelta
si
rivela
infelice,
perché
si
trova
coinvolto
nello
scontro
tra
Selinunte
e
Segesta
(Elimi),
alleandosi
con
i
primi
e
venendo
vinto
in
battaglia.
È
probabile
che
fosse
giunto
proprio
per
invito
dei
Selinuntini,
con
l’idea
di
fondare
una
colonia
presso
il
promontorio
Lilibeo.
L’impresa
di
Pentatlo
presenta
analogie
con
quella
dello
spartano
Dorieo,
anch’egli
caduto
in
battaglia
nel
medesimo
territorio.
I
superstiti
fondare
una
colonia
sulle
isole
Eolie:
I
compagni
di
Pentatlo
,
Infatti,
diventarono
marinai
e
conquistatori,
opponendosi
ai
pirati,
mentre
altri
si
dedicarono
alla
coltivazione
della
terra
comune.
La
loro
economia
è,per
il
mondo
greco,
del
tutto
singolare,
poiché
instaurano
una
sorta
di
comunismo:
si
dividono
l’isola
di
Lipari
in
proprietà
comune,
poi
si
dividono
anche
la
proprietà
comune,
ma
solo
per
un
periodo
di
vent’anni,
dopo
dei
quali
avviene
una
spartizione
per
sorteggio.
La
fondazione
di
Lipari
risalirebbe
al
627.
Sparta
non
fonda
colonie,
preferendo
attenzionare
la
madrepatria.
In
Occidente
le
uniche
spedizioni
sono
a
Taranto
e,
senza
successo,
in
Sicilia,
condotte
da
Falanto
e
Dorieo.
La
prima
spedizione
di
Dorieo
interessa
la
Libia,
ma
dopo
tre
anni
fu
cacciato
dai
cartaginesi
e
torna
in
patria,
presso
Delfi,
Dove
non
si
era
recato
per
la
prima
spedizione,
commettendo
un
errore
in
quanto
carente
di
informazioni.
Gli
viene
consigliato
di
recarsi
nel
territorio
mitologicamente
conquistato
da
Eracle
in
Sicilia,
nell’area
di
Drepanon
(Trapani),
dove
fonda
la
colonia
di
Eraclea;
ma
la
sua
impresa
finisce
poiché
viene
sconfitto
da
Elimi
e
Fenici.
La
leggenda
vuole
che
sia
stato
sconfitto
anche
perché
aveva
disobbedito
al
volere
dell’oracolo,
fermandosi
prima
a
Crotone,
attaccando
i
Sibariti.
Visto
il
potenziale
di
Eraclea,
i
Cartaginesi,
secondo
Diodoro,
attaccano
la
città,
sconfiggendo
Dorieo.
I
superstiti
si
trasferiscono
a
Minoa,
guidati
da
Eurileonte
la
città
in
quest’occasione
cambia
il
proprio
nome
in
Eraclea
Minoa.
Accolto
da
Selinunte,
Eurileonte
viene
poi
ucciso
dagli
stessi
abitanti
della
città
come
tiranno,
poiché
I
Selinuntini
vogliono
salvaguardarsi
dalla
minaccia
cartaginese.
antica
reggia
di
Kokalos,
creata
da
Minosse,
leggendario
re
di
Creta.
La
conquista
è
testimoniata
da
una
dedica
su
un
cratere
per
Athena,
ritrovato
a
Lindo.
Falaride
regna
per
16
anni,
al
termine
dei
quali
cade
vittima
di
una
congiura.
Viene
ricordato
per
essere
stato
un
grande
statista
e
un
autocrate
dal
pugno
di
ferro:
la
sua
nomina
presso
i
posteri,
che
lo
giudicano
crudelmente,
fu
probabilmente
nutrita
da
Terone
degli
Emmenidi,
che
descrive
di
Falaride
ciò
che
in
realtà
non
era:
è
probabile
che
il
tiranno
fosse
invece
un
signore
di
non
grandi
aspirazioni,
ma
semplicemente
un
arbitro
super
partes
delle
faide
cittadine.
Con
Cleandro,
figlio
di
Pantarre,
la
tirannide
si
affaccia
a
Gela,
verso
la
fine
del
VI
secolo.
Erodoto
ci
narra
di
una
lotta
intestina
tra
le
fazioni
cittadine.
Importante
in
questa
vicenda
fu
Teline,
antenato
di
Gelone
e
Ierone,
che
avrebbe
ricondotto
in
patria
la
fazione
esule,
vendicando
la
carica
del
sacerdozio.
Cleandro,
ci
dice
Aristotele,
stava
invece
tra
le
fila
dell’aristocrazia.
La
sua
tirannide
siglata
tra
il
504
e
il
489
e
la
sua
origine
aristocratica
si
è
confermata
da
una
dedica
ritrovata
ad
Olimpia
su
un
basamento
di
una
statua
equestre.
Cleandro
muore
ucciso
da
una
congiura,
dopo
sette
anni
di
tirannide.
A
lui
succedette
il
fratello
Ippocrate,
che
governa
altri
sette
anni
(498-‐491).
La
tirannide
di
Ippocrate
tende
all’imperialismo:
conquista,
durante
suo
governo,
Callipoli,
Nasso,
Zancle
e
Lentini,
oltre
ai
centri
indigeni.
Anche
Siracusa
venne
sconfitta,
ma
salvata
in
extremis
da
Corcira
e
Corinto.
Inoltre,
è
in
queste
campagne
che
Gelone
pone
le
basi
del
proprio
potere.
Tutta
la
Sicilia
orientale
è
dunque
egemonizzata
da
Gela,
che
sfrutta,
probabilmente,
milizie
indigene
ma
anche
forze
mercenarie,
raccolte
tra
gli
indigenti
che
vedono
nella
milizia
sotto
il
tiranno
un’occasione
di
promozione
sociale.
La
politica
di
Ippocrate
verso
gli
indigeni
sfruttati
resta
comunque
volta
l’eliminazione
di
sacche
d
resistenza,
oltre
che
alla
ricerca
di
forme
di
collaborazione.
Il
tiranno
punta
su
una
strategia
per
la
quale
assoggetta
prima
le
città
più
deboli
per
poi
attaccare
le
più
forti:
sfrutta
così
anche
sempre
nuove
ricchezze
per
sostenere
le
spese
belliche.
A
Ippocrate
si
deve
la
prima
monetazione
di
gela,
che
non
è
solo
funzionale
alla
remunerazione
militare,
ma
crea
dinamismo
economico,
contando
anche
sull’edilizia:
“ha
,
infatti,
fortuna
l’idea
di
una
colonia
militare,
che
porta
alla
rifondazione
di
Camarina,
da
lui
sotratta
ai
Siracusani.
Tale
impresa
ha
duplice
valenza:
la
città
diventa
sede
dei
mercenari
e
concede
ad
Ippocrate
il
ruolo
di
ecista.
Le
città
prese
da
Ippocrate
non
vengono
distrutte,
ma
al
loro
governo
vengono
insediati
tiranni
che
in
realtà
sono
guidati
dal
trono
di
Gela.
Solo
un
caso
viene
documentato,
il
più
ambiguo,
pertinente
alla
vicenda
di
Zancle.
I
Samii
giungono
a
Zancle
per
invito
dei
cittadini,
ma
vengono
intercettati
da
Anassilao
di
Reggio
che
li
convince
ad
occupare
la
città;
Ippocrate
blocca
Anassilao,
ma
a
sorpresa
fa
arrestare
Scita,
signore
di
Zancle,
e
trecento
dei
più
eminenti
cittadini,
alleandosi
con
i
Sami
per
ottenere
la
metà
dei
beni
cittadini
e
il
controllo
sull’intera
zona.Oltre
a
tali
attività,
Ippocrate
ebbe
anche
rapporti
con
i
Siculi:
la
loro
resistenza
ai
processi
di
conquista
e
integrazione
rappresenta
l’ostacolo
più
grande
al
progetto
di
Ippocrate
relativo
ad
uno
stato
continuo.
Due
sono
le
spedizioni
militari
contro
gli
indigeni,
che
lo
porta
ad
assediare
le
fortezze
di
Egezio
ed
Ibla.
Mentre
la
prima
sarà
espugnata
e
cadrà
sotto
il
suo
dominio,
la
seconda
sarà
fatale
per
Ippocrate:
nel
corso
dell’assedio,
il
tiranno
trova
la
morte.
tiranno
di
orientamento
filo
punico,
e
inoltre
alleato
con
Anassilao,
che
ne
aveva
sposato
la
figlia.
Al
blocco
dorico
Agrigento-‐Siracusa-‐Gela
si
contrappone
il
blocco
calcidese
Imera-‐
Reggio-‐Messina,
anche
attraverso
accordi
matrimoniali
tra
le
varie
famiglie.
La
conquista
agrigentina
di
Imera,
con
espulsione
di
Terillo,
costringe
Anassilao
a
scendere
in
campo,
chiamando
con
se
anche
Amilcare
di
Cartagine;
egli
giunge
in
Sicilia
con
un
esercito
di
300.000
uomini.
Tale
forza
militare
conquista,
tre
anni
dopo,
nel
483,
Imera.
Diodoro
ci
informa
sulla
guerra:
in
aiuto
di
Terone
giunge
Gelone,
che
cattura
10.000
prigionieri;
con
astuzia,
intercettando
e
sostituendo
i
soccorsi
di
Selinunte
con
soldati
propri,
riesce
a
introdursi
nel
campo
pubblico,
uccidendo
Amilcare
e
facendo
strage
degli
avversari.
Con
la
vittoria,
gli
avversari
sicelioti
di
Gelone
sono
costretti
a
riconoscere
la
sua
superiorità,
Rendendogli
omaggio.
La
vittoria
viene
subito
idealizzata
al
pari
della
vittoria
di
Salamina.
Il
sincronismo
tra
le
due
battaglie
conferirebbe
più
nobiltà
e
importanza
della
vittoria
siciliana
che,
per
Diodoro,
sarebbe
persino
stata
combattuta
lo
stesso
giorno
delle
Termopili.
Il
sincronismo
è
giustificato
dal
fatto
che
sia
Cartaginesi
che
Persiani
sono
entrambi
immagine
della
barbarie.
La
battaglia
segna,
comunque,
anche
la
prima
occasione
di
confronto
fra
le
due
componenti
coloniali
dell’isola,
nella
lotta
per
l’egemonia
della
Sicilia.
Tra
le
parti,
Terillo
scende
in
campo
per
riconquistare
necessariamente
Imera;
Anassilao
è
invece
obbligato
da
legami
famigliari:
il
confronto
con
Gelone
è
inevitabile.
Tuttavia,
non
è
chiaro
il
coinvolgimento
del
tiranno
di
Reggio:
non
partecipa
all’azione
militare,
ne
è
ricordato
tra
coloro
che
omaggiano
Gelone
dopo
la
battaglia
di
Imera.
La
critica
ritiene
che
a
livello
operativo
si
sia
limitato
a
compiere
manovre
sullo
stretto,
e
che
abbia
contribuito
al
pagamento
dei
mercenari.
Selinunte,
nel
frattempo,
nel
corso
della
guerra
se
si
è
schierata
con
il
blocco
filopunico,
probabilmente
a
causa
della
sua
posizione
di
frontiera
e
dell’aggressività
di
Agrigento.
Cartagine,
invece,
dopo
aver
preso
parte
allo
scontro,
si
ritira,
e
per
circa
settant’anni
non
interviene
in
Sicilia.
Gelone
si
mostra
clemente,
però,
nei
confronti
di
Cartagine:
questa
media
ripercussione
è
da
leggere
come
un
tentativo
di
Gelone
di
allearsi
contro
Terone,
che
si
trasforma
in
potenziale
nemico.
Nel
frattempo,
Anassilao
perde
potenza.
Tornando
alla
battaglia
di
Imera,
la
vittoria
sul
campo
è
da
attribuire
ad
Agrigento,
ma
soprattutto
a
Siracusa,
che
diventa
una
potenza
unica,
tanto
che
le
zecche,
che
hanno
il
compito
di
coniare
le
monete,
iniziarono
ad
imprimere
l’effigie
di
Siracusa.
Con
le
vittorie,
inoltre,
sia
ad
Agrigento
che
a
Siracusa
giunge
un’enorme
quantità
di
manodopera
servile,
tanto
da
renderla
disponibile
anche
cittadini
comuni.
Gelone
avvia
inoltre
una
serie
di
operazioni
pubbliche,
come
un
teatro
dorico
ad
opera
di
Danocapo,
o
l’invio
di
un
tripode
come
dono
della
città
a
santuario
di
Delfi,
che
fa
opporre,
rafforzando
l’analogia
con
la
vittoria
contro
i
persiani,
davanti
a
quello
di
Platea.
Gelone
guarda
con
rispetto
anche
al
mondo
indigeno:
erige
per
loro
templi
a
Demetra
e
Kore.
Estende,
infine,
il
suo
interesse
al
territorio
in
piedi
del
vulcano
e
alla
Magna
Grecia.
Ierone,
fratello
di
Gelone,
gli
succedette
al
potere;
ma
la
sua
non
è
una
successione
indolore,
poichè
Gelone
non
aveva
previsto
che
l’appoggio
del
popolo
andasse
ad
un
altro
suo
fratello,
Polizelo,
che
aveva
ereditato
una
non
nota”strategia”
che
aveva
sposato
Demorete,
figlia
di
Terone.
Ierone,
un
colpo
di
stato,
lo
invia
in
Italia
in
soccorso
di
Sibari,
minacciata
da
Crotone:
Timeo
ci
dice
che
Polizelo
portò
a
compimento
d’impresa,
con
grande
impatto
ideologico
per
la
Sicilia
che
per
la
prima
volta
si
intromette
negli
affari
della
Magna
Grecia.
In
ogni
caso,
Polizelo
preferisce
non
tornare
in
patria
e
trova
riparo
ad
Agrigento,
presso
Terone.
Imera,
desiderosa
di
liberarsi
di
Terone,
si
ribella
e
offre
la
città
a
Ierone,
che
però
svela
le
trame
sovversive
proprio
a
Terone
e
suo
figlio
Trasideo,
che
sopprimono
la
rivolta.
Polizelo
si
insedia,
grazie
alla
pace
di
Terone
e
Ierone,
presso
Gela:
Terone,
intanto,
sposa
la
figlia
dello
stesso
Polizelo,
mentre
Ierone
sposa
la
nipote
di
Terone.
Nel
477,
Anassilao
tenta
la
conquista
di
Locri,
approfittando
della
conflittualità
tra
gli
eredi
di
Gelone;
Ierone
interviene
subito
e
basta
un
suo
ultimatum
per
far
cessare
la
guerra.
Siracusa
e
Locri
stringono
così
un’alleanza
(symmachia):
Ierone
dà
il
proprio
appoggio
alla
città,
ai
danni
di
Sibari
e
Crotone.
Nel
476,
Ierone
trasferisce
in
toto
la
popolazione
di
Nasso
e
Catania
a
Lentini,
rifondando
Catania
con
il
nome
di
Aitna,
e
inglobando
nella
popolazione
anche
coloni
peloponnesiaci
e
cittadini
Siracusani.
Il
suo
potere
si
incentra
così
su
tre
poli:
-‐ Siracusa,
la
capitale;
-‐ Lentini,
che
controlla
l’elemento
calcidese;
-‐ Aitna,
che
ospita
le
truppe.
Diviene
anch’egli
ecista,
garantendosi
un
culto
post
mortem,
e
assicura
anche
così
un
territorio
al
figlio
Dinomede.
Ierone
si
impunta
anche
su
una
ricerca
di
legittimazione
di
sé
peresso
i
barbari:
si
scontra
con
gli
Etruschi,
vincendoli
presso
Cuma;
fonda
inoltre
una
colonia
armata
nei
pressi
di
Pitecussa,
ma
questa
ha
breve
vita.
Quando
nel
472
muore
Terone,
si
riaccendono
gli
scontri:
Ierone
si
scontra
con
Trasideo,
che
perde
il
proprio
regno.
Poco
dopo,
però,
Ierone
muore,
venendo
seppellito
presso
Aitna,
ove
gli
vengono
tributati
gli
onori
necessari;
sette
anni
dopo,
nel
460,
i
Catanesi
si
riprendono
la
città
e
distruggono
la
tomba
del
tiranno
dinomenide.
Gelone
era
stato
un
abile
propagandista,
ed
era
riuscito
a
stabilire
un
immagine
di
sé
e
del
proprio
operato
ricca
di
consensi,
anche
in
ambito
panellenico.
Ierone
lo
supera:
vince
ripetutamente,
agli
agoni
sportivi,
nelle
specialità
ippiche,
le
più
prestigiose,
sia
ad
Olimpia
che
a
Delfi.
Ulteriore
risalto
alle
imprese
sportive
è
dato
dai
poeti
come
Pindaro,
Simonide
e
Bacchilide.
Eschilo
stesso
approda
a
Siracusa,
e
si
pensa
che
Temistocle
in
persona
abbia
spostato
proprio
la
figlia
di
Ierone.
Le
battaglie
navali
siracusane
e
le
lotte
contro
i
barbari
vengono
messe
in
parallelo
con
quelle
della
madrepatria,
accrescendo
il
successo
del
tiranno
dinomenide:
viene
persino
fatto
un
paragone
cronologico
tra
Cuma
e
Salamina.
I
successi,
illuminati
dal
sincronismo,
ci
testimoniano
il
punto
d’arrivo
dell’operazione
propagandistica
ieroniana.
VI
–
IL
DOPO-‐TIRANNIDI
Siracusa
contribuì
ad
abbattere
le
tirannide
agrigentina,
ma
ciò
gli
è
fatale,
poiché
il
fatto
ispira
emulazione.
A
Ierone
succede,
nel
476,
il
fratello
Trasibulo:
con
lui
cede
la
struttura
di
potere
della
città
dorica.
Oppone
infatti,
ai
Siracusani
in
rivolta,
le
truppe
mercenarie.
Ma
i
rivoltosi
gli
schierano
contro
una
coalizzione
di
Imera,
Gela,
Selinunte,
Agrigento:
Trasibulo
è
costretto
ad
un
anormale
ritiro
a
Locri.
Il
processo
di
liberazione
dai
regimi
autocratici
dura
dieci
anni:
dal
472,
anno
della
caduta
della
tirannide
di
Agrigento,
al
461,
anno
della
caduta
della
dinastia
anassilaide.
Si
affermano
dei
regimi
autonomi,
noti
come
“demokratiai”,
in
risposta
alle
contraddizioni
socio-‐economiche
dei
regimi
tirannici,
come
l’assegnazione
di
terra
ai
veterani
o
la
deportazione
di
popoli.
A
Siracusa,
la
grande
tirannide
è
morta:
il
primo
impulso
sarebbe
arrivato
dagli
stessi
sostenitori
della
tirannide,
spaventati
dalle
mire
di
Trasibulo
ai
danni
dei
figli
di
Gelone.
La
vecchia
città
dominante
conserva
comunque
un
ruolo
preminente,
seppur
con
problemi
interni.
La
prima
questione
è
costituita
dai
“Siracusizzati”
di
Gelone,
circa
10.000
stranieri
e
mercenari
a
cui
il
tiranno
aveva
concesso
la
cittadinanza,
ora
esclusi
dalla
magistratura:
si
asseragliano
quindi
tra
Ortigia
e
Acradina,
ma
vengono
sconfitti.
Avevano
sperato
in
un
soccorso
da
parte
di
Aitna,
ma
questa
non
può
rispondere
perché
impegnata
a
difendersi
da
Ducezio,
leader
dei
Siculi
che
rivendica
la
proprietà
della
città.
I
Siculi
vengono
appoggiati
da
Siracusa
e
riescono
a
riprendersi
la
città,
ridandole
il
nome
di
Catania.
Di
Messina,
che
torna
per
un
breve
tempo
ad
avere
il
nome
di
Zancle,
abbiamo
poche
notizie,
abbiamo,
in
quest’epoca,
poche
notizie:
si
sa
che
la
cittadinanza
si
trovava
in
guerra
civile.
La
fazione
dominante,
responsabile
della
zecca,
chiama
in
aiuto
dei
mercenari
di
Imera,
ma
questi
attaccano
a
loro
volta
sia
gli
avversari
che
gli
alleati,
conquistando
la
città.
Infine,
l’ultimo
assestamento
nel
passaggio
tra
vecchio
e
nuovo
è
la
rifondazione
della
città
di
Camarina,
da
parte
di
Gela,
con
ritorno
dei
coloni
già
insediati
da
Ippocrate.
Cacciato
Trasideo,
ad
Agrigento
si
instaura
un
regime
democratico,
il
cui
primo
atto
è
stringere
una
pace
con
Ierone.
La
reale
estrinsecazione
del
regime
democratico
avviene
però
nel
461,
quando
gli
esuli
di
Agrigento
tornano
in
patria,
seppur
con
un
ritardo
di
dieci
anni.
Probabilmente
Ierone
aveva
occupato
la
città:
ma
nel
471,
in
seguito
a
vari
problemi
riscontrati
anche
con
i
mercenari,
gli
xenoi
sarebbero
stati
naturalizzati
cittadini,
e
gli
esuli
cacciati
per
fare
spazio.
La
situazione
si
sarebbe
risolta
nel
461.
Personaggio
chiave
in
questo
periodo
è
Empedocle:
sarebbe
stato
figlio
di
un
esponente
popolare
e
avrebbe
sventato
un
colpo
di
Stato
di
parte
oligarchica;
avrebbe
sciolto
il
governo
dei
Mille.
Non
potrà
tornare
in
città
poiché,
dopo
un
soggiorno
a
Turi,
viene
osteggiato
dai
discendenti
dei
suoi
nemici.
Ducezio,
leader
Siculo
abile
e
accorto,
fu
promotore
della
Siracusa
democratica,
meno
aggressiva
nei
confronti
dei
Siculi
stessi.
Esponente
siculo
di
spicco,
ma
ellenizzato,
riesce
a
suscitare
un
movimento
“politico”
etnicamente
motivato,
che
si
diffonde
in
maniera
capillare,
costituendo
un
pericolo
per
le
città
greche:
avanza
infatti
rivendicazioni
territoriali.
Ducezio
si
allea
con
Siracusa,
poiché
entrambi
hanno
in
comune
il
nemico
rappresentato
dai
mercenari
ieroniani
di
Aitna.
I
siculi,
dopo
la
sconfitta
di
Aitna,
guadagnano
il
territorio
catanese.
Si
sancisce
così
l’egemonia
dei
Siculi:
Ducezio,
eghemon,
è
sia
ecista
che
stratega.
Nel
459,
infatti,
espugna
Morgantina
e
fonda
Menainon.
Risalda
la
propria
fama,
e
per
la
prima
volta
i
Siculi
conquistano
una
roccaforte
ellenica.
Con
Menainon,
i
Siculi
hanno
finalmente
una
propria
città,
anzicchè
essere
dispersi
per
i
villaggi;
questa
assume
inoltre
le
caratteristiche
della
polis.
Ducezio
fonda
inoltre
una
“synteleia”,
una
confederazione
tra
tutte
le
città
sicule.
La
cosa
non
è
gradita
a
Siracusa,
che
però
è
dilaniata
da
lotte
intestine
tra
la
classe
ricca
e
le
classi
più
povere:
in
questo
contesto
riemerge
la
tentazione
tirannica,
con
la
figura
del
demagogo
Tindaride
,
capo
della
fazione
dei
poveri;
ma
le
sue
mire
vengono
prontamente
stroncate,
grazie
all’introduzione
del
petalismo,
la
pratica
dell’ostracismo
su
foglie,
anche
se
quest’ultimo
ben
presto
degenera.
La
linea
politica
di
Ducezio
inizia
ad
interessarsi
al
Tirreno:
combatte
diverse
battaglie
contro
gli
Etruschi,
saccheggiando
l’Elba,
la
Corsica
e
le
coste
dell’Etruria.
La
synteleia,
nel
frattempo,
stabilisce
la
necessità
di
un
proprio
esercito,
ma
anche
di
un
proprio
centro
religioso,
per
aggregare
la
comunità
sicula
ed
esaltare
l’unità
nazionale.
Nasce
così
Paliké,
fondata
presso
l’antico
sito
religioso
dedicato
agli
dei
Palici.
La
nuova
città-‐santuario
viene,
sia
dalla
nascita,
fortificata.
Le
divinità
paliche
erano
però
state
ellenizzate
da
Ierone,
ma
Ducezio
se
ne
appropria
come
simbolo
dell’identità
unitaria
sicula.
In
pianura,
Ducezio
rifonda
Menai,
sua
città
natale.
Nel
452,
con
un
colpo
di
mano,
occupa
Inessa,
ribattezzandola
Aitna,
e
controllando
così
tutta
la
valle
del
Simeto
e,
di
conseguenza,
spostando
il
proprio
interesse
nell’entro
terra
agrigentino.
Sempre
nel
452,
sconfigge
la
delegazione
di
Agrigento
inviata
a
proteggere
la
fortezza
di
Motyon,
ma
anche
un’armata
di
Siracusa
mossa
in
soccorso
di
Agrigento:
il
capro
espiatorio,
a
Siracusa,
è
lo
stratega
Bolione,
accusato
di
tradimento
e
giustiziato.
Superato
il
contrasto,
Siracusa
decide
di
fare
sul
serio
e
invia
una
seconda
armata,
che
presso
Nomai
sconfigge
l’esercito
di
Ducezio.
Quest’ultimo
si
reca
a
Siracusa
da
supplice,
ma
viene
esiliato
a
Corinto,
con
però
un
reddito
decoroso
per
vivere.
Ciò
non
va
bene
agli
Agrigentini:
le
tensioni
sfociano
in
una
guerra
dove
Agrigento
viene
sconfitta.
Nel
448,
dopo
due
anni,
Ducezio
torna
in
Sicilia
e
fonda
la
città
di
Kale
Aktè
sulla
costa
tirrenica
della
Sicilia,
lontano
da
Siracusa:
si
rivela
un
perfetto
ecista,
ma
muore
poco
dopo.
Dopo
la
sua
morte,
molti
dicono
che
si
fosse
affiliato
ad
Atene,
che
avrebbe
suggerito
la
valenza
anti-‐siracusana
dellla
sua
spedizione
sul
versante
tirrenico.
Lamaco,
invece,
è
proteso
ad
attaccare
solo
Siracusa.
Prevale
la
strategia
di
Alcibiade:
le
poleis
siceliote
vengono
portate
dalla
parte
Ateniese,
anche
a
livello
operativo.
Ma,
dopo
aver
convinto
Catania
a
schierarsi
con
Atene,
Alcibiade
è
coinvolto
nello
“scandalo
delle
Erme”
e
costretto
a
tornare
in
patria,
vedendosi
tolto
il
comando
della
spedizione.
L’esercito
ateniese
si
accampa
presso
l’Olympeion
di
Siracusa.
Ermocrate
aveva
perso
fiducia
presso
il
popolo,
anche
se
aveva
previsto
il
pericolo
ateniese:
con
il
nemico
alle
porte,
chiede
aiuto
a
Sparta
e
Corinto.
Sparta
scende
comandata
da
Gilippo
nel
414,
invertendo
le
sorti
della
guerra
a
favore
dei
Siracusani.
Le
relazioni
tra
Atene
e
le
poleis
siceliote
si
sfaldano,
e
i
popoli
indigeni
si
schierano
con
Siracusa.
Lamaco
muore
in
una
sortita,
e
Atene
invia
Demostene,
a
comando
di
contingenti:
la
flotta
viene
però
sconfitta
e
l’armata
di
terra
ateniese
è
sbaragliata
dalle
dalle
forte
avversarie
sul
colle
dell’Epipole.
Mentre
Nicia
vuole
attendere
una
vittoria,
e
rimanere
in
Sicilia
nella
speranza
che
cambino
le
sorti
della
guerra,
Demostene
vorrebbe
ritornare
in
patria;
ma
Gilippo
attacca
gli
ateniesi,
bloccando
il
porto.
L’armata,
in
fuga
disordinata,
viene
inseguita
fino
al
torrente
Arnaro,
dove
viene
massacrata.
Atene
non
si
risolleva,
mentre
a
Siracusa
prevale
la
linea
dura
di
Diocle,
che
condanna
a
morte
gli
strateghi
e
schiavizza
i
prigionieri.
La
vittoria
su
Atene,
però,
non
arreca
la
pace
all’interno
di
Siracusa.
Il
demos
accelera
il
processo
da
repubblica
costituzionale
a
repubblica
“assembleare”.
Espulso
Ermocrate,
trionfa
la
democrazia
radicale
di
Diocle.
A
turbare
la
neonata
pace
sull’isola
è
però,
nel
410,
un
nuovo
scontro
tra
Segesta
e
Selinunte.
Venuta
a
mancare
Atene,
la
città
elime
non
può
che
chiedere
aiuto
a
Cartagine,
che,
avendo
così
il
pretesto
di
recarsi
in
Sicilia,
accetta.
Annibale,
nipote
di
Amilcare,
sbarca
a
Mozia
e
muove
alla
conquista
di
Selinunte,
che
richiede
e
ottiene
l’appoggio
di
Siracusa.
Annibale
conquista
e
distrugge
Selinunte,
trucidandone
e
schiavizzandone
gli
abitanti,
poi
passa
a
Imera,
città
di
frontiera
con
il
mondo
punico,
che
sempre
nel
410
viene
rasa
al
suolo.
Dopo
il
bagno
di
sangue,
l’armata
mercenaria
è
sciolta
e
Annibale
deve
tornare
in
patria.
Approfitta
della
situazione
Ermocrate:
raduna
una
truppa
d’assalto
e
inizia
le
incursioni
in
territorio
nemico,
con
l’appoggio
di
Selinuntini
e
Imeresi
superstiti.
Ermocrate
vuole
muovere
contro
Diocle,
e
strumentalizza
per
la
lotta
politica
i
cadaveri
senza
sepoltura:
Diocle
è
esiliato;
ma
gli
avversari
di
Ermocrate,
i
democratici
radicali,
non
ritirano
il
bando
di
Ermocrate,
temendo
che
diventi
tiranno.
Nel
407,
Ermocrate
attacca
allora
direttamente
la
città,
ma
viene
ucciso
dalla
folla,
mente
il
suo
“erede”
politico,
Dionigi,
futuro
tiranno,
si
salva
fingendosi
morto.
Nel
406,
i
Cartaginesi
tornano
sull’isola,
per
vendicarsi
delle
scorrerie
di
Ermocrate:
mettono
a
ferro
e
fuoco
l’intera
Sicilia;
investono
Agrigento,
come
al
solito
città
di
frontiera,
e
la
distruggono.
Dionigi
rafforza
con
i
legami
con
Sparta
e
Corinto,
assolda
truppe
mercenarie
anche
nel
Peloponneso
e
si
dispone
alla
guerra
contro
Cartagine.
Diodoro
ci
riferisce
l’accorato
appello
di
Dionigi,
che
fa
sin
da
subito
presa
sui
Siracusani
e
Sicelioti,
mentre
Cartagine
è
afflitta
dalla
pestilenza.
Dionigi
saccheggia
le
proprietà
puniche,
poi
impone
alla
città
africana
un
ultimatum,
che
non
viene
però
accettato,
in
cui
intimava
la
liberazione
delle
comunità
siceliote.
Dopo
il
rifiuto,
continua
la
sua
marcia
verso
il
baricentro
dell’isola:
a
lui
si
uniscono
forze
militari
di
Camarina,
Gela,
Agrigento
e
Terme,
oltre
che
alle
popolazioni
elimi
e
sicane.
Le
milizie
cartaginesi
sono
ricacciate
fino
a
Mozia,
che
cede
e
viene
distrutta
nel
397.
L’anno
dopo,
però,
si
capovolgono
le
sorti
della
guerra:
giunge
a
Palermo
Imilcone,
che
avanza
lungo
la
costa
settentrionale,
assoggettando
Terme,
Lipari
e
Messina.
La
flotta
siracusana,
inoltre,
è
sconfitta
nelle
acque
di
Catania.
Imilcone
non
ha
più
ostacoli
e
assedia
Siracusa.
L’opposizione
si
riaccende:
Diodoro
ci
riferisce
di
una
violenta
arringa
contro
il
tiranno,
accusato
di
aver
collezionato
solo
insuccessi,
e
di
aver
scatenato
la
guerra
poiché
bramoso
di
potere.
Dionigi
è
miracolosamente
salvato,
poiché
nel
campo
punico
si
diffonde
l’epidemia,
che
ne
decima
le
truppe:
il
tiranno
siracusano
ne
approfitta
e
attacca
l’esercito
nemico,
sbaragliandolo
e
costringendo
Imilcone
a
tornare
a
Cartagine.
Dionigi
riguadagna
le
posizioni
perdute:
ripopola
Messina
con
cittadini
di
Locri
e
Medma;
fonda
sullo
Stretto
la
città
di
Tindari,
ddandosi
così
un
avamposto
tirrenico;
risconfigge,
l’anno
dopo,
una
nuova
avanzata
punica,
guidata
da
Magone.
Finalmente,
nel
392,
Siracusa
stringe
una
pace
con
Cartagine.
Dionigi
ottiene
il
riconoscimento
della
propria
dominazione
in
Sicilia,
tranne
per
i
territori
elimi,
cartaginesi
e
per
qualche
fortezza
sicana.Si
vede
riconosciuto
il
protettorato
sui
Siculi
e
il
dominio
su
Agrigento
e
Tauromenio.
In
madrepatria,
appare
così
il
signore
indiscusso
dell’entità
territoriale
della
Sicilia.
Dionigi
punta
anche
al
controllo
di
Reggio
e
Locri.
Continua
anche
il
suo
progetto
di
lotta
contro
il
barbaro,
lottando
contro
le
popolazioni
dei
Bretti
e
Lucani:
al
suo
progetto
si
oppone
la
lega
delle
città
achee
unite
sotto
il
santuario
di
Zeus
Homanos.
Pur
di
ottenere
la
città
di
Reggio
si
allea
con
Lucani,
Celti
e
Illiri:
ciò
gli
costa
l’amicizia
del
fratello
Leptine
e
del
del
fedele
Filisto.
L’accordo
con
i
Lucani
si
rende
operativo
nel
383,
quando
gli
alleati
massacrano
gli
abitanti
di
Turi;
Leptine
prende
le
distanze
ufficiali
dal
fratello,
allontanandosi
con
la
flotta.
In
Calabria,
Dionigi
sconfigge
la
lega,
ma
libera
i
prigionieri.
Alla
vittoria
sulla
lega
presso
l’Elleporo,
segue
la
conquista
di
Caulonia,
Ippanio,
Scillezio,
che
vengono
affidate
a
Locri.
Reggio
si
ritrova
così
isolata:
quindi,
Dionigi
pretende
prima
un
tributo
dalla
città,
ma
poi
l’assedia
e
la
conquista,
distruggendola:
costruita
una
reggia
presso
la
città,
può
ufficialmente
essere
definito
“padrone
d’Occidente”.
Oltre
il
confine,
la
politica
di
Dionigi
si
fa
sempre
più
imperialista:
mira
aggressivamente
a
consolidare
il
proprio
ruolo
egemonico.
Verso
il
Tirreno
e
l’Adriatico
avvia
una
politica
coloniale
massiccia:
punta
infatti
a
controllare
il
Canale
d’Otranto.
Per
raggiungere
l’obiettivo,
si
allea
con
gli
Illiri
di
terra,
mentre
ne
combatte
i
confratelli
pirati
in
mare.
Fonda
la
colonia
militare
di
Lissos
e
aiuta
Alceta
a
riappropriarsi
del
terreno
dei
Molossi.
Sull’Adriatico
fonda
le
colonie
di
Inessa
e
Pharos.
Si
propone
come
nuovo
garante
dei
traffici
greci
in
area
padana
e
nel
nord-‐adriatico:
rifonda
le
colonie
di
Adria
ed
Ancona,
stringendo
un
alleanza
con
i
Galli.
Tale
alleanze
barbare
sono
però
malvista
dai
detrattori
della
tirannide.
Sul
Tirreno,
Dionigi
entra
in
guerra
con
gli
Etruschi:
saccheggia
il
santuario
di
Leucotea,
sgomina
la
pirateria
e
con
il
ricco
bottino
assolda
truppe
mercenarie.
Vuole
infatti
espandersi
in
Corsica
e
all’Elba:
ma
inizia
a
nutrire
ostilità
per
Roma,
“polis
tyrrenhis”
filoetrusca.
La
dynasteia
di
Dionigi,
dunque,
va
oltre
i
confini
della
poleis,
mira
ad
espandersi
in
tutta
la
Sicilia,
rendendola
interamente
greca
e
facendo
emergere,
tra
le
poleis,
Siracusa,
la
più
potente:
Dionigi
si
ispira
così
al
modello
di
Filippo
II
di
Macedonia.
Il
tiranno
sperimenta
la
validità
dello
stato
territoriale.
Con
vincoli
variegati
e
disomogenei
tenta
di
infondere
identità
nazionale
alle
varie
città.
Si
distinguono
tre
diverse
entità:
-‐ distretto
etneo,
in
cui
Dionigi
sperimenta
la
depolitizzazione,
trasferendo
tutti
gli
abitani
a
Siracusa
e
permettendo
la
sopravvivenza
solo
delle
colonie
di
mercenari:
-‐ compressorio
dello
stretto;
presso
cui
Dionigi
pratica
una
politica
bifronte,
conciliante
con
Messina
e
aggressiva
con
Reggio;
-‐ il
territorio
di
Locri,
beneficiato
e
ampliato
a
danno
delle
limitrofe
città
italiote.
Dionigi,
ormai
egemone
occidentale,
si
alleo
con
Sparta,
che
aiuta
a
Corcira
e
dopo
Leuttra,
inviando
alla
città
laconica
duemila
mercenari.
Lo
stesso
Platone
si
reca
a
Siracusa,
curioso
di
studiare
nuovi
metodi
costituzionali:
il
filosofo
non
risparmia
critiche
a
Dionigi,
che
accusa
infatti
di
ferocia
e
cinismo.
Solo
in
Dione,
giovane
figlio
di
Ipparino,
troverà
però
una
mente
disposta
ad
ascoltare
le
sue
obiezioni.
Nel
382,
Dionigi
e
Siracusa
si
preparano
per
sostenere
le
ultime
guerre
contro
Cartagine.
Nel
379,
Dionigi
conquista
Crotone;
ma
nello
stesso
anno,
i
Cartaginesi
conquistano
nuovamente
la
città
di
Ippaino.
Dionigi
ottiene
una
prima
vittoria
a
Cabala:
ma
in
seguito
ad
una
sconfitta
a
Cronion,
dove
muore
il
fratello
Leptine,
è
costretto
alla
pace.
La
Sicilia
Occidentale,
con
le
città
di
Terme,
Selinunte
ed
Eraclea,
passa
nuovamente
nelle
mani
di
Cartagine.
Nel
367,
durante
la
propria
offensiva,
Dionigi
è
stroncato
da
un
malore
e
muore,
dopo
essersi
però
ripreso
Selinunte
e
le
città
elimi
di
Erice
ed
Entella.
L’attenzione
di
Timoleonte
per
la
madrepatria
gli
attira
le
antipatie
dei
signorotti
locali
(
Iceta
da
Lentini,
Mamerio
da
Catania
e
Ippone
da
Messina),
che
si
distaccano
dal
vincitore
e
si
alleano
con
Cartagine.
Nel
339,
Timoleonte
sconfigge
Iceta
e
firma
una
pace
con
Cartagine:
il
confine
tra
i
due
territori
torna
ad
essere
il
fiume
Platani;
Cartagine
si
impegna
a
rinunciare
alle
alleanze
con
i
tiranni
e
riconosce
l’autonomia
delle
città
Greche.
Timoleonte,
dopo
aver
sconfitto
il
signore
di
Lentini,
elimina
Mamerio
e
Ippone
e
prende
il
sopravvento
del
fronte
greco.
Timoleonte
promuove,
a
Siracusa,
una
riforma
costituzionale,
basata
sulla
democrazia
e
sull’uguaglianza
sociale.
Si
avvale
dei
legislatori,
mettendo
al
potre
un’oligarchia
moderata,
appoggiata
da
un’assemblea
popolare
e
da
600
consiglieri
scelti
su
base
timocratica.
Ne
è
presidente
il
sacerdote
di
Zeus
Olimpio.
Decide
di
interpretare
la
madrepatria
Corinto
solo
in
caso
di
guerra
contro
lo
straniero.
Dopo
aver
ripopolato
Siracusa
nel
338,
Timoleonte
muore
nel
337:
alla
sua
dipartita,
viene
istituito
un
culto
eroico
in
suo
onore.
Dopo
di
lui,
sarà
Agatocle
ad
instaurare
la
tirannide.
XI-‐
LA
MONARCHIA
DI
AGATOCLE
Il
progetto
di
Timoleonte
non
sopravvive
al
suo
edificatore.
Si
instaura
a
Siracusa
un
regime
oligarchico,
e
si
fronteggiano,
in
lotte
intestine,
democratici
e
aristocratici,
oltre
che
a
“politai”
d
antica
e
di
più
recente
cittadinanza.
In
questo
clima
matura
il
colpo
di
stato
di
una
nuova
figura:
il
suo
nome
è
Agatocle.
Su
questo
personaggio
la
storiografia
non
è
concorde:
mentre
Timeo
di
Tauromenio,
storico
di
Timoleonte,
lo
giudica
negativamente
per
rancori
personali,
lo
storico
siracusano
Callia
è,
essendo
ingaggiato
dal
monarca
stesso,
troppo
positivo;
l’unico
parere
oggettivo
è
dato
da
Duride
di
Samo,
veritiero
seppur
incline
alla
storiografia
tragica.
Di
Agatocle
sappiamo
che
nacque
nel
361
a
Terme,
da
una
famiglia
di
umili
condizioni:
partecipa
al
bando
coloniale
di
Timoleonte.
Accusa
gli
avversari
Sosistrato
ed
Eraclide
di
tirannide,
ma
viene
di
rimando
esiliato
in
Italia,
dove
tenta
in
maniera
fallimentare
di
impadronirsi
di
Crotone.
La
sconfitta
politica
di
Sosistrato
ed
Eraclide
ne
determina
il
ritorno
a
Siracusa:
ma
gli
oligarchici,
anche
loro
isolati,
hanno
intanto
trovato
l’appoggio
di
Cartagine.
In
seguito
a
tali
vicende,
e
presa
visione
dei
contrasti
intestini,
Corinto
invia
a
Siracusa
lo
stratega
Acestoride:
Agatocle
è
nuovamente
costretto
all’esilio
e
ripara
a
Lentini;
da
qui,
dopo
aver
raccolto
un
esercito,
attacca
Siracusa.
Dopo
le
trattative
di
pace,
rientra
in
città
come
stratega
e
custode
della
pace,
oltre
che
responsabile
delle
forze
civili
e
militari.
Procede
contro
il
consiglio
governativo
istituito
da
Timoleonte:
accusando
l’ecclesia
di
aver
tramato
ai
suoi
danni,
riesce
ad
infiammare
la
massa
popolare,
che
uccide
almeno
quattromila
oligarchi,
mentre
il
resto
ripara
ad
Agrigento.
Agatocle
depone
il
potere
dell’assemblea
e
viene
proclamato
“stateghos
autokrator”.
Nel
361,
Agatocle,
avendo
rispettato
formalmente
le
istituzioni
democratiche,
è
comunque
divenuto
autocrate
assoluto.
Riordina
le
finanze
pubbliche,
amplia
gli
armamenti
navali
e
bellici
ma
non
trascura
di
adotare
misure
a
favore
del
popolo.
Il
suo
obiettivo
infatti
è
che
Siracusa
sia
la
prima
tra
le
potenze
siciliane.
Investe
Messina
nel
315,
ma
viene
fermato
dai
Cartaginesi
che
gli
ricordano
la
clausola
dell’accordo
con
Timoleonte,
relativa
all’autonomia
delle
poleis.
Nasce
così
un’alleanza
contro
di
lui,
e
le
tensioni
sfociano,
nel
312,
in
una
battaglia
navale:
Agatocle
è
assediato
a
Siracusa,
sia
per
mare
che
per
terra,
essendosi
attirato
anche
l’inimicizia
delle
città
siceliote.
L’essere
assediato
per
terra
e
per
mare
suggerisce
ad
Agatocle
di
spostare
la
guerra
direttamente
in
Africa:
ci
riesce
nel
310.
Sbarca
a
capo
Bon,
a
dieci
chilometri
da
Cartagine,
ma
deve
incendiare
la
propria
flotta
per
non
frazionare
l’armata.
Conquistati
i
territori
limitrofi
e
sudditi
della
capitale
punica,
è
pronto
all’azione:
sbaraglia
l’armata
e
conquista
Cartagine.
Nel
309,
durante
l’assedio
che
invece
Cartagine
sta
tenendo
a
Siracusa,
muore
Amilcare.
In
Africa,
Agatocle
conquista
velocemente
le
città
di
Neapolis,
Adrumeto
e
Tapso,
sconfiggendo
nuovamente
i
Cartaginesi
presso
Tunisi.
Sentendo
necessità
di
alleati,
Agatocle
tratta
con
Ofella,
governatore
di
Cirene.
Ofella
accetta
l’accordo
e
nel
308
giunge
all’accampamento
di
Agatocle:
ma
i
due
condottieri
non
riescono
ad
intendersi
e,
in
seguito
ad
uno
scontro
scoppiato,
Ofella
viene
ucciso
da
Agatocle
e
il
esercito
inglobato
in
quello
del
monarca
siracusano.
Approfittando
dei
diverbi
interni
a
Cartagine,
Agatocle
si
impadronisce
delle
città
portuali
di
Utica,
Hippuakra
e
Aspis;
ma,
nel
momento
in
cui
è
pronto
a
sferrare
l’attacco
decisivo,
è
richiamato
in
Sicilia
dal
deteriorarsi
dei
rapporti
con
le
citte
siceliote:
lascia
il
figlio
Arcapato
ad
occuparsi
della
spedizione
Africana
e
sbarca
a
Selinunte.
Dopo
la
morte
di
Amilcare
II,
Agrigento
si
è
sganciata
dal
dominio
di
Siracusa
e
conduce
ora
una
sua
personale
guerra
contro
la
città.
È
però
subito
pronta
la
controffensiva
di
Agatocle:
Agrigento,
sotto
la
guida
di
Xenodico,
viene
sconfitta.
Dopo
aver
spezzato
il
blocco
navale
che
assedia
Siracusa,
Agatocle
torna
in
Africa
nell’autunno
del
307,
ma
ormai
la
guerra
è
perduta.
Lascia
l’Africa
su
una
barca,
mentre
i
figli
vengono
massacrati.
Il
ritorno
in
Sicilia
è
caratterizzato
da
una
brutale
repressione,
per
evitare
una
ribellione;
Agatocle
attua
anche
vendette,
specialmente
contro
le
famiglie
di
quei
soldati
la
cui
rappresaglia
aveva
portato
alla
morte
dei
figli.
Scende
a
patti
con
Dinocrate,
capo
degli
esuli
Siracusani,
che
prima
sul
piano
politico
e
poi
sconfigge
in
battaglia.
Nel
306
sigla
una
pace
con
Cartagine,
ripristinando
lo
status
quo
pre-‐guerra,
anche
se
guadagna
sia
grano
che
oro.
Nel
304
è
padrone
di
tutta
la
Sicilia
greca
e
assume
il
titolo
di
“basileus”,
re,
ponendosi
allo
stesso
livello
dei
diadochi
e
stringendo
con
loro
intensi
rapporti.
Siracusa
diviene
la
capitale
del
nuovo
regno
e
la
pace
porta
sviluppo
produttivo
ed
economico.
Agatocle
promuove
inoltre
una
riforma
costituzionale
di
stampo
monarchico,
diminuendo
il
ruolo
dell’ecclesia.
Il
re
allarga
inoltre
il
raggio
delle
proprie
azioni,
intrattenendo
rapporti
sociali
con
Egitto
e
Magna
Grecia:
qui,
il
problema
è
costituito
da
Bretti,
Lucani
ma
soprattutto
da
Roma.
A
portare
Agatocle
ad
interessarsi
dei
problemi
italici
è
Taranto:
dopo
essersi
alleata
con
Roma,
la
città
chiede
a
Siracusa
aiuto
contro
i
Lucani.
Sconfitti
questi
e
alleatosi
con
i
Bretti,
Agatocle
conquista
Corcira
e,
in
una
seconda
spedizione,
Crotone,
dopo
aver
fermato
una
rivolta
dei
Bretti,
che
domina
definitivamente
dopo
la
conquista
di
Ipponia.
Dopo
aver
tolto
la
figlia
Lassana
a
Pirro,
nel
291,
la
dà
in
sposa
a
Demetrio
Poliorcete,
ora
re
di
Macedonia:
lo
scopo
è
stringere
alleanze
per
una
nuova
guerra
contro
Cartagine.
Agatocle
non
riesce
però
a
compierla:
aveva
designato
come
erede
al
trono
il
figlio,
Agatocle
il
Giovane,
a
discapito
del
nipote
Arcagato,
figlio
del
suo
omonimo
figlio
trucidato
in
Africa.
Arcagato
uccide
lo
zio
e
al
vecchio
Agatocle
non
resta
che
compiere
un’azione
memorabile:
denuncia
il
nipote
e
stabilisce
il
regime
repubblicano.
Di
lì
a
poco,
muore.
Dopo
la
morte
di
Agatocle,
lo
stato
siracusano
si
sfalda.
Le
poleis
rivendicano
la
propria
autonomia
e
la
grecità
siceliota
ripiomba
negli
egoismi
delle
città
stato.
Anche
all’interno
della
città
di
Siracusa
la
scomparsa
di
Agatocle
apre
una
stagione
di
instabilità
politica:
si
fronteggiano
lo
stratega
siracusano
Iceta
e
Mellone
di
Segesta,
assassino
di
Arcagato,
che
si
allea
con
i
Cartaginesi,
i
quali
voglio
precludere
alla
città
la
formazione
di
un
governo
forte.
Le
tensioni
sono
create
anche
dal
rientro
degli
esuli
e
dalla
concessione
della
cittadinanza
ai
mercenari
di
Agatocle,
poiché
si
teme
che
ora
possano
accedere
alla
magistratura.
I
brogli
dell’assemblea
provocano
la
reazione
dei
mercenari,
che
alla
fine
vendono
i
propri
beni
e
muovono
per
abbandonare
la
Sicilia.
Ma
ciò
non
avviene:
saccheggiano
Gela
e
Camarina
e
si
insediano
a
Messina,
richiamata
Mamertina,
controllando
e
vessando
il
territorio
attraverso
fortificazioni.
A
Siracusa,
Iceta
ottiene
il
potere
e
sconfigge
Finzia,
tiranno
della
rivoltosa
Agrigento:
ma
Iceta
è
sconfitto,
a
sua
volta,
nel
280,
da
Cartagine,
presso
Lentini.
Viene
scalzato
da
Thoinon
e
Sosistrato,
due
aspiranti
tiranni,
che
si
contendono
il
potere.
Questa
situazione
dà
campo
libero
a
Cartagine.
Thoinon
e
Sosistrato
decidono
di
allearsi
e
chiedono
l’aiuto
di
Pirro,
re
dell’Epiro.
Pirro
si
trovava
in
quel
momento
in
Italia
su
invito
di
Taranto,
minacciata
da
Roma.
Sposta
la
guerra
in
Sicilia,
dove
può
vantare
la
parentela
con
Agatocle.
Suo
progetto
è
costruirsi
un
monarcato
che
unifichi
grecità
italiota
e
siceliota,
e
che
possa
resistere
a
Cartagine
e
a
Roma.
Le
due
potenze
formano
invece
una
lega
antiepirota:
Cartagine
cede
a
Roma
la
propria
flotta,
a
patto
che
Roma
rinunci
ad
accordarsi
con
Pirro.
La
città
punica
si
allea
anche
con
i
Mamertini,
Roma
con
Reggio,
mentre
Pirro
invia
ambasciatori
a
sollecitare
la
propria
causa,
violando
il
blocco
punico.
Il
re
dell’Epiro
sbarca
in
Sicilia
e
conquista
rapidamente
e
senza
ostacoli
Siracusa.
L’intento
di
Pirro
è
muoversi
sulla
via
di
Agatocle
e
creare
nuovamente
una
monarchia
assoluta.
Consolidato
nel
277
il
potere,
Pirro
inizia
l’offensiva
contro
Cartagine,
conquistando
Eraclea,
Selinunte,
Agrigento,
Halikyai,
Segesta,
Erice
e
Passorno.
I
cartaginesi
provano
a
scendere
a
patti
con
Pirro,
ma
questi,
dopo
aver
assediato
Messina,
rifiuta
la
trattativa
e
assedia,
con
però
poco
successo,
il
Lilibeo.
I
sicelioti
si
ribellano
ai
progetti
di
Pirro,
così
come
Thoinon
e
Sosistrato
a
Siracusa:
la
situazione
si
fa
insostenibile
e
nel
276
Pirro
decide
di
abbandonare
l’isola
a
se
stessa;
torna,
ricco
ma
deluso,
in
Italia.
-‐ Impone
un
imposta
su
agricoltura
e
commercio:
le
imposte
erano
definite
dalla
lex
Hieronica,
che
interessava
qualsiasi
proprietario
terriero.
Il
re
si
serviva
di
queste
immense
giacenze
per
supportare
la
sua
politica
finanziaria,
ma
anche
per
la
realizzazione
di
ingenti
opere
pubbliche,
come
i
templi
di
Zeus
e
Athena
Parthenos,
il
palazzo
reale
di
Ortigia,
le
costruzioni
difensive
progettate
da
Archimede.
Dota
inoltre
Siracusa
di
una
moneta
che
le
permetta
di
inserirsi
nei
mercati
mediterranei,
adottando
il
sistema
indigeno
della
litra
d’argento.
Ierone
II
tenta
anche,
con
l’introduzione
della
moneta,
di
riallacciarsi
alla
tradizione
delle
grandi
personalità
che
hanno
regnato
a
Siracusa,
come
i
Dinomenidi,
Filisto,
Agatocle,
Pirro.
In
politica
estera,
non
rinuncia
alle
manifestazioni
tipiche
della
monarchia
ellenistica.
In
politica
interna,
Ierone
II
si
presenta
come
un
sovrano
il
cui
potere
viene
dal
popolo,
ma
modellato
sulle
forme
dei
monarcati
ellenistici.
Nomina,
nel
241,
come
successore,
il
figlio
Gelone,
maggiormente
attento
alle
istanze
del
popolo.
A
lui
si
deve
probabilmente
la
riforma
al
codice
legislativo
di
Diocle.
Gli
eventi
connessi
alla
seconda
guerra
punica
scatenano
nuovamente
lotte
di
palazzo
tra
due
partiti:
uno,
capeggiato
dal
re
e
dagli
oligarchici,
è
filoromano;
l’altro,
capeggiato
dal
“principe”
Gelone
e
dal
popolo,
è
di
avviso
opposto.
Dopo
la
prima
guerra
punica,
Ierone
interviene
a
favore
di
Cartagine,
sia
per
non
lasciare
Roma
senza
rivali,
sia
per
garantire
sicurezza
ai
propri
commerci:
invia
così
sostentamenti
alla
città
punica,
sia
alimentari
che
militari.
Nel
216,
però,
privato
dell’appoggio
di
Roma,
deve
intervenire
presso
la
propria
città,
vessata
dagli
stessi
Cartaginesi.
In
quest’occasione
emergono
le
divergenze
tra
partito
filoromano
e
partito
filopunico:
nella
rivolta
popolare
che
segue,
muore
lo
stesso
Gelone.
Nel
215,
viene
meno
anche
Ierone
II,
che
nomina
come
successore
il
giovane
nipote
Ieronimo:
questi
è
di
sentimenti
filopunici,
ma
è
coadiuvato,
per
volere
del
monarca,
da
notabili
filoromani.
Ieronimo
dimostra
sin
da
subito
sintomi
di
tirannide:
una
congiura
scoperta
porta
alla
morte
di
Traione,
uno
dei
notabili,
utilizzato
da
tutti
come
portavoce.
Il
giovane
re
Ieronimo
è
unicamente
così
circondato
da
consiglieri
filopunici.
Il
signore
di
Siracusa
viene
invitato
da
Appio
Claudio
,
pretore
al
Lilibero,
a
tornare
sui
suoi
passi;
ma
gli
ambasciatori
romani
vengono
derisi
a
Siracusa.
Ieronimo
stringe
un
accordo
con
Cartagine,
che
si
impegna
a
sostenerlo
nella
lotto
contro
i
romani:
però,
muore,
dopo
soli
tredici
mesi
di
regno,
per
mano
degli
oligarchici
di
Siracusa,
che
lo
colpisono
a
Lentini.
Segue
per
Siracusa
un
periodo
di
confusione,
contrassegnato
da
continui
mutamenti
politici.
Cadono,
trucidati
o
eliminati,
tutti
i
membri
della
famiglia
reale.
Ippocrate
ed
Epicale
riescono
a
convicere
la
città
a
resistere
in
armi
ai
romani.
Siracusa
viene
così
assediata
nel
213,
dal
console
Marco
Claudio
Marcello:
la
città
si
rivela
dura
da
espugnare,
e
l’attacco
è
respinto.
Nel
frattempo,
Cartagine
invia
un
esercito
comandato
da
Imilcone,
per
riguadagnare
la
Sicilia.
Marcello
invade
Siracusa
con
l’inganno,
introducendosi
nella
città
durante
la
festa
di
Artemide;
ha
dalla
sua
anche
la
consueta
pestilenza
che
decima
l’esercito
punico.
L’assemblea
popolare
decide
di
consegnare
la
città
ai
Romani:
Siracusa
è
saccheggiata
e
gli
abitanti,
tra
cui
Archimede,
trucidati.
Siamo
nel
211:
la
Sicilia
capitola
interamente
sotto
il
governo
romano.
Cartagine
lascia
l’isola,
stavolta
per
sempre:
con
la
sua
dipartita,
muore
anche
il
sogno
di
indipendenza
delle
città
siceliote.
La
Sicilia
è
saldamente
controllata,
ora,
dal
pugno
di
Roma.