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Carmelo Bene: lo specchio mutante di Narciso

L'Otello televisivo tra Artaud e Deleuze

di Andrea Balzola

Premessa artaudiana: lattore Eliogabalo


In occasione del centenario di Artaud, il Teatro di Roma diretto da Ronconi aveva
organizzato un convegno in cui metteva a confronto il Maestro francese con Carmelo
Bene, una delle sue pi eccellenti "disincarnazioni" teatrali. Tema unificante
dellincontro non poteva non essere la fine, linfarto definitivo del "teatro di
rappresentazione" teorizzato da Artaud e mostrato da Bene. Purtroppo le stagioni
teatrali che dominano i cartelloni italiani attuali continuano a ignorare felicemente
che Artaud e Bene siano mai esistiti, ma tant, i morti e i geni si celebrano, non si
studiano e non sinterrogano. Sarebbe troppo scomodo e affaticante. La differenza tra
Artaud e Bene la complementarit tra Pieno e Vuoto, se il primo teorizzava per
eccesso, il secondo agiva per difetto, per sottrazione, se Artaud voleva un
palcoscenico saturo e un attore posseduto da una trance cosmica, Bene svuotava la
scena e riduceva il suo corpo a "macchina attoriale", inefficace e inefficiente,
attraversata e scossa da significanti impersonali. Carmelo reclamava "un teatro senza
spettacolo", una tragicomica ironia del niente.
Ma dove inizia la fine del teatro? Probabilmente fin dal suo primo vagito, perch la
scena il non luogo per eccellenza, prima spazio sacro dove si celebrava ritualmente
il divino, cio linvisibile, linudibile, lineffabile, ci che per dirla con Carmelo
ci manca; poi spazio profano dove tutto possibile e nello stesso tempo impossibile,
in quanto nulla a teatro vero se non la finzione stessa. Lo sappiamo fin da bambini,
ci che accade a teatro appare senza essere. Questo il suo paradosso essenziale,
questa mancanza dessere la sua pi profonda ragion dessere. La scena non ha una
natura propria, e rimane vuota, anche se momentaneamente riempita di oggetti,
dcor e soggetti. Cos lattore, che "vanitoso" (cio, etimologicamente, vuoto),
attraversato e/o posseduto dalle maschere e dai personaggi nel teatro classico e
borghese, dalle energie e dai significanti nel teatro post-artaudiano. In questo senso il
grande attore non rappresenta leroe tragico, egli stesso il vero eroe tragi-comico, in
quanto nella sua vanit rivela al mortale suo simile lillusione dellio. Un eroe
moderno, come suggeriva Lacan, " colui che compie imprese derisorie in situazioni
di smarrimento". E sono proprio queste "imprese" che Carmelo ripeteva allo
sfinimento in ogni sua apparizione, derubando come prestanomi illustri, nobili
controfigure, gli eroi pi emblematici e problematici di Shakespeare, sbranandoli
(letteralmente: riducendoli a brani) con feroce crudelt artaudiana e con lacaniana
chirurgia ironico-analitica. Come lEliogabalo di Artaud, lattore Bene si dichiarava
contento di essere fatto a pezzi, ed forse questo il principale anello di congiunzione
tra lui e lautore francese, fare a pezzi la lingua e il testo affinch possa emergere "la
parola prima delle parole", la voce di unenergia primaria capace di svellere i generi e
i codici per rianimare il corpo imbalsamato e scuotere la mente opaca dellattore e del
pubblico, eliminare le mediazioni interpretative, concettuali ed ideologiche, spogliare
il corpo dei suoi organi attraverso lanarchia del comico e la follia dellestasi.

Un'immagine dell'Otello o la deficienza della donna di Carmelo Bene nella versione teatrale.

Lo specchio elettronico di Narciso


Quando incontrai Carmelo sul set dellOtello televisivo, nel 1979, mi fece subito una
domanda, mi chiese se avevo letto Differenza e ripetizione di Deleuze, per lui il libro
pi importante. Superato il test, inizi il dialogo e potei seguire le riprese dellOtello.
Sicuramente una delle esperienze da spettatore pi straordinarie, perch vedevo
nascere sotto i miei occhi un linguaggio. Bene azzerava luso ordinario del mezzo
televisivo e ripartiva da zero. Ripensava da zero anche la versione teatrale che era
allorigine della trascrizione televisiva. Agiva per sottrazione, cancellava le
scenografie, aboliva campi medi, campi e controcampi, saturava i contrasti cromatici
abolendo i toni intermedi, facendo pittura elettronica, riduceva al minimo movimenti
e azioni degli attori, incollava linquadratura fissa ai primi piani.
Com noto, la scena dellOtello di Bene era un fazzo-letto, su cui si consumava il
dissolvimento del protagonista nelle sue ossessioni. Cera una specularit tra il
quadrato di quel letto-fazzoletto-prigione e lo schermo video. Il paesaggio del volto
dilagava sui resti di una scena smobilitata. Mi impressionava, vedendolo da vicino,
sul set e fuori dal set, la metamorfosi costante di un volto che nellarco di pochi
secondi poteva tornare bambino o diventare anziano. Bene usava il monitor di
controllo per modulare il suo volto mutante, si specchiava nel monitor per ri-creare
lincantesimo narcisista dellattore nel personaggio. La voce, spesso in play-back gli
serviva come Eco, come una modulazione vocale che trasportava la modulazione
mimica. Carmelo era entrato nel recinto televisivo lasciato temporaneamente aperto
dalla riforma Rai, come un esploratore nella foresta elettronica.
Dopo aver messo a soqquadro il cinema, e la radio, occupava gli ordinati studi
televisivi per dimostrare prima di tutto ai tecnici che lo assistevano perplessi che
la televisione, oltre ad essere un elettrodomestico, come diceva Eduardo, poteva
essere un linguaggio, trasmettere una poetica dautore. In particolare, la televisione
poteva rivelare ci che a teatro non era visibile e che al cinema era fuori misura:
lestetica del primo e del primissimo piano (assai pi tardi lo hanno imparato anche i
professionisti della televisione), lo schermo video specchiava in modo inedito il
paesaggio mutevole del volto, induceva lattore stesso a scoprire come una faccia
possa sostituire una scena, perch gi essa stessa una scena. Ed qui che Carmelo,
grazie a questa esperienza televisiva, dispiega pienamente la sua ridefinizione poetica
del mito di Narciso, non come contenuto dellopera ma come modalit della
macchina attoriale.
Cos Carmelo Bene riconduceva al grande attore il mito di Narciso, dichiarandolo in
modo esplicito in uno dei suoi scritti teorici pi importanti: La voce di Narciso.
Cresciuto nellintramontabile tradizione italiana dellattore mattatore, Carmelo ne
indossa i panni per farlo inciampare in un cortocircuito, ne riproduce lenfasi del
gesto e della re-citazione, per smontarla dallinterno: il grande attore catturato dallo
specchio si disfa progressivamente degli organi del corpo e della parola, diventa un

unico volto assoluto che vive del suo riflesso. Carmelo diceva sempre che agli
incontri televisivi, veri e propri ring del paradosso, lui mandava la sua controfigura, e
i suoi primi piani ce lo confermavano: ci facevano vedere il suo volto mutante,
ostentatamente truccato e artefatto nelle espressioni, pi attore che sulla scena. Non
cera infatti alcuna soluzione di continuit tra la sua "assenza" teatrale e la sua
"assenza" pubblica, Narciso non distoglieva mai lo sguardo dallo specchio (Lydia
Mancinelli mi ha poi confermato che Carmelo era ossessivamente attratto dagli
specchi), e se per un attimo ne era distratto, subito vi ritornava.
Lincantesimo narcisistico presuppone la coazione a ripetere, se Narciso distoglie il
volto dallo specchio non pu resistere, torna a guardarsi. Ma si rivede ogni volta pi
limpidamente perch lo sguardo scava ogni dettaglio, si rivede ogni volta diverso
perch il volto non cessa di trasformarsi. La ripetizione concentra, pulisce, spoglia,
porta allessenziale, si dice dei grandi poeti che abbiano la vocazione al silenzio, ma
per raggiungere, per meritare, quel silenzio devono trascorrere la loro esistenza
come Campana o Hlderlin nellossessione del verso, verso che prima
incantesimo di un suono e poi diventa indice di una direzione: verso il silenzio.
Perci Carmelo insisteva sul rigore e citava Schopenauer: "il talento fa ci che vuole,
il genio solo ci che pu". Lossessione percorre una linea di necessit, si fonda sulla
ripetizione del gesto e dellemissione e sulle differenze che quella accanita
ripetizione produce. Bene ritornava sempre con gli stessi fantasmi, i suoi doppi,
Amleto, Otello, Macbeth, Riccardo III, Pinocchio, ogni volta pi immobili, afasici,
denudati, svogliati, su una scena sempre pi vuota. Per questo Bene trovava in
Deleuze il suo mentore, Deleuze che in quel meno noto e bellissimo saggio Marcel
Proust e i segni (1967), scriveva: " Che altro si pu fare dellessenza, differenza
ultima, se non ripeterla, dal momento che non ha surrogati e nulla pu venirle
sostituito?... Differenza e ripetizione si oppongono soltanto in apparenza. Non vi
grande artista, la cui opera non ci spinga a dire: Lo stesso, eppure altro... In verit,
differenza e ripetizione rappresentano le due potenze dellessenza, inseparabili e
correlative. Un artista non invecchia col ripetersi, perch la ripetizione potenza
della differenza, cos come la differenza potere della ripetizione."
Lo specchio di Narciso non duplica soltanto, moltiplica. Bene pensava al testo stesso
come uno specchio dellautore che si frantuma in una molteplicit di identit, che il
drammaturgo chiama personaggi, cos lintera fabula drammaturgica si rivela come
una proiezione interiore dei volti dellautore, e a questi volti si sovrappone quello
dellattore. I personaggi diventano cos i doppi incarnati di un doppio protagonista,
che lautore e lattore insieme, dove i ruoli maschili e femminili sinvertono o si
mescolano, maschere prive di unidentit certa, satelliti di una voce molteplice ed
insieme unica che istericamente testimonia la propria afasia. Essendo interiore il testo
infatti non pu essere detto, diviene irrappresentabile e si d soltanto per frammenti,
indizi, rivelando parodicamente lirriducibilit di qualsiasi testo profondo alla scena
della parola, allordine del discorso. Il testo da rappresentare si trasforma in un
pretesto per dichiarare limpossibilit, il fallimento, ironico e patetico, della
rappresentazione. Ma questa parola interdetta non un insensato vicolo cieco,
frantumandosi diventa balbuziente od ossessiva, tenta di liberarsi in phon, verso,
suono e canto. Come uno specchio che riflettendone un altro, si moltiplica
allinfinito, la finitezza dellattore portata ossessivamente allo sfinimento dei propri
limiti si apre allinfinito. E ricrea il mito, anche a costo della vita. Narciso si
addormenta dentro il suo volto e sogna di morire, mentre la scena vuota attende il
risveglio del pubblico.
Roma, ottobre 2002
Otello di Carmelo Bene (1979-2001, Italia, 70', Betacam SP) stato girato negli studi Rai di Torino nel 1979 e
finalmente montato nel 2001, come produzione RaiEducational, da Marilena Foglietti, aiuto regista d'allora di
Bene, in conformit alle indicazioni del Maestro. Dopo la morte di Carmelo Bene, Otello stato presentato al
Teatro Argentina e al Torino Film Festival e trasmesso da RAI 3.

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