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La Sicilia Greca Braccesi Millino

Storia greca (Università degli Studi di Catania)

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LA SICILIA GRECA

I- LE COLONIE IONICHE

I primi colonizzatori greci interessati alla Sicilia furono gli Eubei, in particolare le città di
Calcide ed Eretria: su ciò concorda sia l'archeologia della tradizione letteraria. Le colonie
euboiche furono: Pitecussa (Ischia), Cuma, Zancle (Messina), Reggio, Nasso. Le regioni della
Grecia centrale affrontavano una crisi, a causa della mal distribuzione delle terre, la cui
gestione era incentrata nelle mani di pochi: le colonie euboiche, perciò, nate come basi
commerciali, assumono poi caratteri di colonie di popolazione.

Prima colonia fondata sulla penisola fu Cuma, nel 750: in Sicilia fu Nasso. A fornirci i dati sulla
sua fondazione è Tucidide: la città nacque nel 734 nella penisola di Scisò, ai piedi dell'odierna
Taormina. Sarà Eforo a dire, invece, che nacque dall'azione colonizzatrice di un ateniese: tale
informazione è ritenuta falsa. Eforo ce la fornisce con l'aggiunta che insieme a Eubei giunsero in
Sicilia anche gli Ioni, seppur poco numerosi e privi di ecisti. Nasso viene presto soffocata da
Siracusa, che sin da subito fonda delle sub colonie.

Lentini, sorella di Nasso, fu fondata solo cinque anni dopo, nel 729, dello stesso regista di Nasso.
Lami, a capo di una spedizione Megarese, secondo la tradizione della città, ci sarebbe insidiato a
Lentini insieme ai Calcidesi ma poi, cacciato, si sarebbe recato a Tapso dove sarebbe morto; i
suoi compagni avrebbero poi fondato Megara Iblea, legando così la storia delle due città. La
fortuna di Lentini sta nella sua ubicazione: il sito è infatti abbondantemente irrigato dal fiume
Simeto, conferendole il titolo di colonia agricola per eccellenza.

Catania, fondata dall'ecista Evarco sul mare ma anche ai piedi dell'Etna, fu anch'essa colonia
agricola e commerciale di grande prosperità economica. La sua ricchezza suscita brame di
conquista nella potente Siracusa: Nel 476, Ierone di Siracusa ne caccerà gli abitanti
ripopolandola con Dori, sotto il nome di Aitna.

A darci informazioni su Zancle (poi Messene) è Tucidide. Zancle fu fondata come sub colonia di
Cuma, ad opera degli ecisti Periere e Cratemene, rispettivamente di Cuma e Calcide. Il suo nome,
Zancle, le venne dato dai siculi a causa della caratteristica forma a falce del golfo presso cui
sorgeva la città. Più tardi, Sami e Ioni cacciano i Calcidesi. Anassilao, tiranno di Reggio, cacciò
via i Sami e colonizza la città, chiamandola Messene in onore della propria terra natia.
L'importanza della città deriva dalla sua posizione strategica sullo stretto. Posizione, stretta tra
terra e mare, che ne condiziona lo sviluppo territoriale: la città è costretta a fondare una sub
colonia per rispondere alle proprie necessità di approvvigionamento.

Dalle necessità di Zancle nacque la città di Mile (oggi Milazzo), sul promontorio omonimo,
mentre la sua necropoli si trovavano nell'istmo di confine. Imera nacque come sub colonia di
Zancle e Mile, nella parte più occidentale della costa settentrionale della Sicilia. Alla sua
fondazione partecipò anche Siracusa. Imera fu così condizionata della sua commistione etnica e
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della sua collocazione, che fa della città all'ultimo avamposto della grecità in Sicilia, al confine
con la parte dell'isola dominata da Cartagine.

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II- LE COLONIE DORICHE

Più a meridione rispetto alle colonie ioniche, vennero fondate le colonie doriche. La vocazione
all'espansionismo che caratterizza l'etnia venne infusa ai Dori dalla famiglia dei Bacchiadi,
tiranni in madrepatria, cioè Corinto. Corinto è una grande potenza commerciale in età arcaica,
grazie alla ceramica e al buon governo amministrato dalla tirannide di Cipselo. Nel VIII secolo
approfitta del conflitto tra Eretria e Calcide, schierandosi al fianco di quest'ultima, per arrivare
in Occidente, soppiantando i domini di Eretria. Al termine della guerra, approfitta anche della
debolezza di Calcide per impadronirsi del ruolo di guida delle spedizioni, finora proprio della
città eubea.

I Corinzi si spingono più sud di Nasso, fondando la città di Siracusa, tra il tavolato di Epipole e la
penisola di Plemmirio. Ce ne informa Tucidide, che riporta come data di fondazione il 733; lo
storico Fillisto riporta invece il 756. La sfasatura tra le due date, di ben 23 anni, potrebbe
indicare un duplice stanziamento di coloni, prima Eubei e poi Corinzi: ciò spiegherebbe anche
idronimia e toponomastica presente sia a Siracusa che in Eubea. Fondatore della città sarebbe,
comunque, Archia il Corinzio, membro della famiglia degli Eraclidi ed esponente della stirpe dei
Bacchiadi. Iniziando la colonizzazione dell'isola di Ortigia, nel momento in cui la città diventa
più popolosa, Archia si occupa di allargarsi sulla terraferma, unita ad Ortigia attraverso un
molo. Strabone ci dice però che Siracusa e Crotone furono fondate nello stesso periodo, cioè nel
708, complicando il problema della fondazione. Probabilmente Archia e Miscello fondarono
rispettivamente, dovrà aver consultato l'oracolo di Apollo, Siracusa e Crotone. Vi è anche
sincronismo tra le fondazioni di Corcira e Siracusa, frutto di una stessa spedizione con duplice
meta e duplice ecisti: Archia e Chersicrate, anch'egli Bacchiade. Chersicrate fonda Corcira,
abitata prima da Eubei, che vengono cacciati dei Corinzi: probabilmente, successe lo stesso per
Siracusa. All'altezza di Locri, la spedizione di Archia si incontra con alcuni dori, reduci siciliani
da Megara Iblea. Secondo Eforo, Megara fu fondata prima di Siracusa: ciò è probabilmente vero.
Corinto, nel tempo, si allea con Calcide, Megara con Eretria. Siracusa accresce il proprio potere,
affermandosi come colosso commerciale, assicurando sicurezza e attrezzature adeguate ai
propri porti; e come potenza agricola, impadronendosi del territorio circostante e asservendo i
siculi. Discendenti dei proprietari terrieri saranno i "Gamoroi", esponente di una solida
aristocrazia: discendenti dei Siculi saranno invece i "Kyllyroi", braccianti ridotti alla schiavitù.

Non potendo estendersi a settentrione per non entrare in conflitto con Lentini, Siracusa decide
di espandersi a meridione, fondando per necessità delle sue colonie. Gli obiettivi della città sul
territorio sono due: controllare i siculi e contenere le mire espansionistiche di Gela. Per questo,
vengono fondata Acre, Casmene, e Camarina, che costituiscono una barriera siracusana. Mentre
Acre e Casmene sono solo fortificazioni, Camarina si sviluppa come vera e proprie città. Vennero
fondate, secondo Tucidide: Acre settant'anni dopo Siracusa (663); Casmene 20 dopo acre (643);
Camerina 135 anni dopo Siracusa (398). L'attenzione di Tucidide e attirata da quest'ultima,
tanto da ricordare i suoi ecisti, Daskon e Menescalos. Siracusa sconfigge e distrugge Camarina
nel 533, colpevole di essersi alleata con i Siculi in rivolta. Il territorio viene poi ceduto a Gelone
di Gela, che la ricostruisce dal 497 al 490. Resta, per volontà di Gelone, spopolata a partire dal
483,
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ridistrutta e ricostruita nuovamente nel 460. Questo fu il periodo più felice per Camarina,
nonostante resti sempre città di frontiera tra Siracusa e Gela, che non riesce a fagocitarla nella
sua orbita.

I Megaresi, originari di Megara Nisea, giunti in Sicilia fondano la colonia di Megara Iblea. Come
la madrepatria, anche la città sarà circondata da vicini troppo potenti: il suo decollo sarà
limitato e il suo tramonto precoce. L'ecista Lami, conducendo una spedizione da Megara, fonda
Trotilo e poi punta sulla pianura fertile di Lentini: ma è costretto a fuggire a Tapso. I megaresi,
compagni di Lami, fondarono nel Golfo di Augusta alla città di Megara Iblea, grazie alla
concessione di terre operata della re Iblone; la città si trova però subito schiacciata tra le
potenze di Lentini e Siracusa. La storicità del personaggio di Iblone viene talvolta messa in
discussione, ma ciò non accade per la vicenda, ritenuta vera. Fondata nel 727, secondo Tucidide,
venne distrutta il 483. Strabone non concorda con la versione tucididea : lo storico sostiene
infatti che Megara Iblea fosse antica quanto Nasso.

Subcolonia di Megara Iblea, Selinunte fu città di frontiera, posta sulla costa occidentale del
Canale di Sicilia. Tucidide dice che fu fondata 100 anni dopo Megara Iblea , quindi pressappoco
le 627. Diodoro ci dice che fu distrutta 242 anni dopo la sua fondazione, cioè nel 408. La data di
Diodoro indica la prima spedizione di Pannilo su Megara Iblea, e la data della seconda
spedizione di rinforzo, in cui si imbarcò, Dalla Grecia, il rifondatore di cui non conosciamo il
nome. Il fatto che l’abitato sia passato da indigeno a ellenico senza continuità indica un periodo
antecedente alla fondazione caratterizzata da infiltrazioni commerciali. Le colonie fondate in
Grecia dopo l’VIII secolo sono perlopiù sulla costa orientale dell’isola; ma dall’inizio del VII
secolo sul viso non c’è più territorio per nuove colonne: i neocolonizzatori devono cercare nuovi
spazi. Prima dell’arrivo di Siracusa nel sito di Camarina, colonizzatori da Rodi e Creta
fondarono Gela e Agrigento. Ancor più ad occidente provano Cnido e Sparta, ma i loro tentativi
si rivelano un fallimento. Gela fu fondata, secondo Erodoto, da un certo Antifermo, rodese di
Lindo; al momento della sua fondazione era presente un antenato di Gelone, Dinomede. I coloni
di Rodi, al momento della fondazione, accorpano anche le genti circostanti: insieme ad
Antifermo, alla fondazione avrebbe partecipato una spedizione di Cretesi, guidati da Entimo, nel
688. I cretesi ebbero comunque un ruolo secondario, mentre Antifermo venne in seguito
venerato dai cittadini in quanto fondatore. La nuova colonia assume comunque istituzioni
doriche. Devo averne mosso guerra ai Sicani, la città rimarrà sempre attanagliato da una fame
violenta di dominio, espandendosi nel proprio entroterra. Fondata sotto l’antico nome di
Akragas, Agrigento si sviluppò ad Occidente di Gela; Tucidide ci dice che nacque nel 580. Viene
considerata una sub colonia di Gela, Anche se la tradizione storiografica non è concorde: Timeo
sostiene che da Rodi fosse approdata direttamente la famiglia degli Emmenidi, mentre anche
Polibio sostiene un’origine direttamente rodia, senza tappe intermedie. La città si rivela mista
etnicamente: adesso sono riconosciute componenti insediative geloo-rodie e geloo-cretesi. Il
problema della storicità della fondazione si salda con i problemi della tirannide di Falaride,
instaurata circa un decennio dopo.

Gli Cnidi in occidente quando esso non ha più nulla da offrire ai greci: le loro spedizioni fallirono
per l’ostilità degli indigeni e per fattori naturali. Si stanziarono allora nelle colonie di pirati,

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come Lipari. La loro colonizzazione di queste terre è narrata da Diodoro, che individua come
capo lo cnido-iodio Pentatlo e data la spedizione alla 50ª Olimpiade(580-576). Pentatlo si
muove verso la punta occidentale della Sicilia, ma tale scelta si rivela infelice, perché si trova
coinvolto nello scontro tra Selinunte e Segesta (Elimi), alleandosi con i primi e venendo vinto in
battaglia. È probabile che fosse giunto proprio per invito dei Selinuntini, con l’idea di fondare
una colonia presso il promontorio Lilibeo. L’impresa di Pentatlo presenta analogie con quella
dello spartano Dorieo, anch’egli caduto in battaglia nel medesimo territorio. I superstiti fondare
una colonia sulle isole Eolie: I compagni di Pentatlo , Infatti, diventarono marinai e
conquistatori, opponendosi ai pirati, mentre altri si dedicarono alla coltivazione della terra
comune. La loro economia è,per il mondo greco, del tutto singolare, poiché instaurano una sorta
di comunismo: si dividono l’isola di Lipari in proprietà comune, poi si dividono anche la
proprietà comune, ma solo per un periodo di vent’anni, dopo dei quali avviene una spartizione
per sorteggio. La fondazione di Lipari risalirebbe al 627. Sparta non fonda colonie, preferendo
attenzionare la madrepatria. In Occidente le uniche spedizioni sono a Taranto e, senza successo,
in Sicilia, condotte da Falanto e Dorieo. La prima spedizione di Dorieo interessa la Libia, ma
dopo tre anni fu cacciato dai cartaginesi e torna in patria, presso Delfi, Dove non si era recato
per la prima spedizione, commettendo un errore in quanto carente di informazioni. Gli viene
consigliato di recarsi nel territorio mitologicamente conquistato da Eracle in Sicilia, nell’area di
Drepanon (Trapani), dove fonda la colonia di Eraclea; ma la sua impresa finisce poiché viene
sconfitto da Elimi e Fenici. La leggenda vuole che sia stato sconfitto anche perché aveva
disobbedito al volere dell’oracolo, fermandosi prima a Crotone, attaccando i Sibariti. Visto il
potenziale di Eraclea, i Cartaginesi, secondo Diodoro, attaccano la città, sconfiggendo Dorieo. I
superstiti si trasferiscono a Minoa, guidati da Eurileonte la città in quest’occasione cambia il
proprio nome in Eraclea Minoa. Accolto da Selinunte, Eurileonte viene poi ucciso dagli stessi
abitanti della città come tiranno, poiché I Selinuntini vogliono salvaguardarsi dalla minaccia
cartaginese.

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III- LEGISLATORI E TIRANNI

In ambito coloniale è precoce la qualificazione delle leggi. Il più antico legislatore è Zeleuco di
Locri, che possiamo datare alla metà del VII secolo. Eforo definisce Zeleuco il primo autore di un
codice di leggi scritte. Dopo di lui, sono ricordati Caronda di Catania e Diocle di Siracusa. La
grecità occidentale anticipa tale processo poiché necessario, in queste terre, una normativa
della convivenza di istituzioni politiche, usi costumi. Le legislazioni hanno anche il fine di far
cessare le politiche arbitrarie di quell’aristocrazia che domina appunto perché detiene il potere
giudiziario. Gli scritti non sono eludibili né modificabili: venivano redatte in versi, anche quando
venivano formulate oralmente, così da essere più facilmente memorizzabili. A decantare le leggi
era il “nomocles”; con la scrittura tale figura si trasforma nel “exeghetes nomoi”, divulgatore
delle leggi.
Caronda fu allievo di Zeleuco di Locri. Delle leggi da lui però formulate molte ti sono giunte
frammentate o manipolate nel corso del tempo. Anche gli episodi di rilievo storico delle vite dei
“nomothetai”, sono spesso sovrapposti tra loro, come l’aneddoto relativo alla morte di Caronda e
Diocle. Informazioni interessanti ci vengono fornite da Aristotele: il filosofo scrive che Caronda
fu poco originale, ma nel loda la disposizione, simile a quella dei contemporanei: la sua
legislazione venne adottata da tutte le città calcidesi di Sicilia e Italia. Platone sostiene che il
codice di Caronda ebbe in Sicilia lo stesso effetto di quello di Solone ad Atene. Il codice di
Caronda si diffuse anche in Magna Grecia: è stata constata la sua presenza a Reggio.

Il codice si rivela comunque meno crudele di quello di Zeleuco, superando la legge del taglione e
introducendo ammende pecuniarie e legge sulle donne rimaste titolari di patrimonio. Altro
legislatore è Dione. Figura mitica, Diodoro lo confonde con l’omonimo demagogo. Il suo
linguaggio, ci dice Diodoro, è arcaico e sin da subito ha bisogno di interpreti e lettori. L’attività e
legislatori si incassa in un quadro aristocratico, nel quale ha avuto importanza la ripartizione
della società per classi censitarie. La tirannide apre una stagione di profondi e violenti fenomeni
sociali. Lo storico Giustino afferma che nessuna terra generò tanti tiranni quanto la Sicilia. In
epoca classica, i tiranni erano signori aristocratici, in perenne tensione con il loro ceto di
appartenenza ma volti a sistemare e legittimare se stessi. Si differenziano dalle tirannidi in
madrepatria: lo dimostra il fatto che la storia della Sicilia è ricca di tiranni ma non di
tirannicidi. Espressione della tirannide sono Panezio da Lentini, Cleandro di Gela (demagoghi),
Falaride da Agrigento (legislatori). Dal V secolo, la tirannide assume una fisionomia specifica,
con la figura di Ippocrate di Gela.

Falaride e la sua tirannide coincidono con la fondazione stessa della città di Agrigento; si
stabilisce nel 572, un decennio circa dopo la fondazione. Generalmente la tirannide è frutto di
conflitti tra oligarchia e una nascente ”borghesia” artigiana e commerciante. Ma per una
colonia come Agrigento, la nascita di tali conflitti è prematura. Sappiamo che due furono gli
ecisti, di due diverse componenti etniche, geloo-rodia e geloo-cretese: probabilmente il conflitto
sociale sarebbe derivato dal conflitto etnico. La tirannide iniziale avrebbe avuto dunque il
compito di ristabilire la pace all’interno della città, sottraendola anche alle mire di Gela.
Falaride si espande fino ad Ecnomo, Dove costruisce una serie di fortezze ai danni di Gela, si
assicura il confine dell’Imera meridionale, ma entra in conflitto con i sicani per il controllo
dell’Halikos (Platani).

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L’azione culmina con l’espugnazione della fortezza di Camico, antica reggia di Kokalos, creata

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da Minosse, leggendario re di Creta. La conquista è testimoniata da una dedica su un cratere


per Athena, ritrovato a Lindo. Falaride regna per 16 anni, al termine dei quali cade vittima di
una congiura. Viene ricordato per essere stato un grande statista e un autocrate dal pugno di
ferro: la sua nomina presso i posteri, che lo giudicano crudelmente, fu probabilmente nutrita da
Terone degli Emmenidi, che descrive di Falaride ciò che in realtà non era: è probabile che il
tiranno fosse invece un signore di non grandi aspirazioni, ma semplicemente un arbitro super
partes delle faide cittadine.

Con Cleandro, figlio di Pantarre, la tirannide si affaccia a Gela, verso la fine del VI secolo.
Erodoto ci narra di una lotta intestina tra le fazioni cittadine. Importante in questa vicenda fu
Teline, antenato di Gelone e Ierone, che avrebbe ricondotto in patria la fazione esule,
vendicando la carica del sacerdozio. Cleandro, ci dice Aristotele, stava invece tra le fila
dell’aristocrazia. La sua tirannide siglata tra il 504 e il 489 e la sua origine aristocratica si è
confermata da una dedica ritrovata ad Olimpia su un basamento di una statua equestre.
Cleandro muore ucciso da una congiura, dopo sette anni di tirannide.

A lui succedette il fratello Ippocrate, che governa altri sette anni (498-491). La tirannide di
Ippocrate tende all’imperialismo: conquista, durante suo governo, Callipoli, Nasso, Zancle e
Lentini, oltre ai centri indigeni. Anche Siracusa venne sconfitta, ma salvata in extremis da
Corcira e Corinto. Inoltre, è in queste campagne che Gelone pone le basi del proprio potere.
Tutta la Sicilia orientale è dunque egemonizzata da Gela, che sfrutta, probabilmente, milizie
indigene ma anche forze mercenarie, raccolte tra gli indigenti che vedono nella milizia sotto il
tiranno un’occasione di promozione sociale. La politica di Ippocrate verso gli indigeni sfruttati
resta comunque volta l’eliminazione di sacche d resistenza, oltre che alla ricerca di forme di
collaborazione. Il tiranno punta su una strategia per la quale assoggetta prima le città più
deboli per poi attaccare le più forti: sfrutta così anche sempre nuove ricchezze per sostenere le
spese belliche. A Ippocrate si deve la prima monetazione di gela, che non è solo funzionale alla
remunerazione militare, ma crea dinamismo economico, contando anche sull’edilizia: “ha ,
infatti, fortuna l’idea di una colonia militare, che porta alla rifondazione di Camarina, da lui
sotratta ai Siracusani. Tale impresa ha duplice valenza: la città diventa sede dei mercenari e
concede ad Ippocrate il ruolo di ecista. Le città prese da Ippocrate non vengono distrutte, ma al
loro governo vengono insediati tiranni che in realtà sono guidati dal trono di Gela. Solo un caso
viene documentato, il più ambiguo, pertinente alla vicenda di Zancle. I Samii giungono a Zancle
per invito dei cittadini, ma vengono intercettati da Anassilao di Reggio che li convince ad
occupare la città; Ippocrate blocca Anassilao, ma a sorpresa fa arrestare Scita, signore di
Zancle, e trecento dei più eminenti cittadini, alleandosi con i Sami per ottenere la metà dei beni
cittadini e il controllo sull’intera zona.Oltre a tali attività, Ippocrate ebbe anche rapporti con i
Siculi: la loro resistenza ai processi di conquista e integrazione rappresenta l’ostacolo più
grande al progetto di Ippocrate relativo ad uno stato continuo. Due sono le spedizioni militari
contro gli indigeni, che lo porta ad assediare le fortezze di Egezio ed Ibla. Mentre la prima sarà
espugnata e cadrà sotto il suo dominio, la seconda sarà fatale per Ippocrate: nel corso
dell’assedio, il tiranno trova la morte.

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IV – LA SIGNORIA DEI DINOMENIDI

Succede a Ippocrate Gelone, figlio di Dinomede, che sotto il tiranno si era fatto valere come capo
della cavalleria. Ersosi a difensore dei figli di Ippocrate, Cleandro ed Euclide, sbaraglia
l’opposizione aristocratica in battaglia: il suo intento è però insediarsi al posto del defunto
tiranno. Succede facilmente al trono, al posto dei legittimi eredi, anticipando il tiranno vicario di
Lentini, Enesidemo di Pateco. La sua tirannide si data tra il 491 il 485, anno in cui diventa
signore di Siracusa. Riesce ad attrarsi l’appoggio di una parte di coloro che erano stati seguaci
di Ippocrate, anche grazie ad accordi matrimoniali. Deve però lottare contro i mercenari di
Camarina, a cui non risulta gradito: non riuscendo a sopprimere i movimenti, Gelone impone a
Camarina un proprio tiranno vicario, Glauco di Caristo. La città insorge contro quest’ultimo,
dichiarando la propria indipendenza, che si concluderà solo 5 anni dopo, con la distruzione della
città e la deportazione degli abitanti a Siracusa, di cui Gelone è diventato signore.
In questo periodo di debolezza, il primato di Gela viene corrotto: Anassilao di Reggio conquista
Zancle e assume il controllo dello Stretto, rifondando la città con il nome di Messenia (Messina).
Anassilao se ne proclama ecista e si stabilisce nella città, mentre lascia al figlio Leofrone il
governo di Reggio. Gelone perde così il controllo dello stretto, ma intrattiene comunque rapporti
internazionali: accorre in aiuto della neonata Repubblica di Roma, nel 492 bisognosa di grano. Il
grano è donato da Gelone ai Romani: la concessione si rivela importante, perché consolida Gela
con una potenza agricola, e allo stesso tempo mostra come Gelone riesca inserirsi da
protagonista nei movimenti politici del Tirreno.

Gelone si ritrova a dover combattere contro l’elemento punico: è la cosiddetta ”guerra degli
emporia”, che va dalla morte dell’ecista Dorieo alla battaglia di Imera. Ce ne parlano Erodoto e
Giustino, ma purtroppo solo incidentalmente: sappiamo però che vide contrapposte le città di
Imera e Selinunte, approdi commerciali (emporia) conquistati dai Cartaginesi, mentre Gelone
rampogna agli Spartani di non aver aiutati i Greci di Sicilia nella lotta contro i barbari.

La tirannide di Gela è trasferita, attraverso Gelone, a Siracusa. I motivi che spingono Gelone a
conquistare la città sono la perdita di Messina e il fatto che Siracusa fosse un notevole scalo
commerciale: vi trasferisce quindi la capitale del suo regno. Gelone, giunta in città, si inserisce
nelle lotte sociali tra Gamoroi e Kyllirioi: gli aristocratici, Cacciati dalla città, avevano trovato
rifugio a Casmene, ma tornano in patria grazie all’intervento di Gelone. Questo fu il colpo di
fortuna che permise alle tiranno di Gela di ottenere Siracusa.
Gela passa a Ierone, fratello di Gelone, E viene subordinata alla potenza di Siracusa. Gelone,
Siracusa, ne rifonda l’impianto urbanistico, metropolizzando e fortificando la città. Conduce a
Siracusa gli aristocratici ricchi di Megara, concedendo loro la cittadinanza, mentre i poveri (non
responsabili della guerra) furono venduti fuori dalla Sicilia come schiavi, così come gli abitanti
di Eubea in Sicilia. Le città di Eubea in Sicilia, Megara Iblea e Camarina vengono distrutte.

Diventato ecista, Gelone permette di sviluppare un culto della sua persona. Sua azione
importante fu anche la risoluzione delle tensioni con i mercenari, a cui concede terra ai diritti
civili, legandoli a sé.

Nel 448, Terone degli Emmenidi si insedia da Agrigento, favorito probabilmente dallo stesso
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Gelone, che ne sposa la figlia. Terone conquista subito Imera, che però è governata da Terillo,

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tiranno di orientamento filo punico, e inoltre alleato con Anassilao, che ne aveva sposato la
figlia. Al blocco dorico Agrigento-Siracusa-Gela si contrappone il blocco calcidese Imera-
Reggio- Messina, anche attraverso accordi matrimoniali tra le varie famiglie. La conquista
agrigentina di Imera, con espulsione di Terillo, costringe Anassilao a scendere in campo,
chiamando con se anche Amilcare di Cartagine; egli giunge in Sicilia con un esercito di 300.000
uomini. Tale forza militare conquista, tre anni dopo, nel 483, Imera. Diodoro ci informa sulla
guerra: in aiuto di Terone giunge Gelone, che cattura 10.000 prigionieri; con astuzia,
intercettando e sostituendo i soccorsi di Selinunte con soldati propri, riesce a introdursi nel
campo pubblico, uccidendo Amilcare e facendo strage degli avversari. Con la vittoria, gli
avversari sicelioti di Gelone sono costretti a riconoscere la sua superiorità, Rendendogli
omaggio. La vittoria viene subito idealizzata al pari della vittoria di Salamina. Il sincronismo
tra le due battaglie conferirebbe più nobiltà e importanza della vittoria siciliana che, per
Diodoro, sarebbe persino stata combattuta lo stesso giorno delle Termopili. Il sincronismo è
giustificato dal fatto che sia Cartaginesi che Persiani sono entrambi immagine della barbarie.
La battaglia segna, comunque, anche la prima occasione di confronto fra le due componenti
coloniali dell’isola, nella lotta per l’egemonia della Sicilia. Tra le parti, Terillo scende in campo
per riconquistare necessariamente Imera; Anassilao è invece obbligato da legami famigliari: il
confronto con Gelone è inevitabile. Tuttavia, non è chiaro il coinvolgimento del tiranno di
Reggio: non partecipa all’azione militare, ne è ricordato tra coloro che omaggiano Gelone dopo
la battaglia di Imera. La critica ritiene che a livello operativo si sia limitato a compiere
manovre sullo stretto, e che abbia contribuito al pagamento dei mercenari.

Selinunte, nel frattempo, nel corso della guerra se si è schierata con il blocco filopunico,
probabilmente a causa della sua posizione di frontiera e dell’aggressività di Agrigento.
Cartagine, invece, dopo aver preso parte allo scontro, si ritira, e per circa settant’anni non
interviene in Sicilia. Gelone si mostra clemente, però, nei confronti di Cartagine: questa media
ripercussione è da leggere come un tentativo di Gelone di allearsi contro Terone, che si
trasforma in potenziale nemico. Nel frattempo, Anassilao perde potenza.

Tornando alla battaglia di Imera, la vittoria sul campo è da attribuire ad Agrigento, ma


soprattutto a Siracusa, che diventa una potenza unica, tanto che le zecche, che hanno il compito
di coniare le monete, iniziarono ad imprimere l’effigie di Siracusa. Con le vittorie, inoltre, sia ad
Agrigento che a Siracusa giunge un’enorme quantità di manodopera servile, tanto da renderla
disponibile anche cittadini comuni. Gelone avvia inoltre una serie di operazioni pubbliche, come
un teatro dorico ad opera di Danocapo, o l’invio di un tripode come dono della città a santuario
di Delfi, che fa opporre, rafforzando l’analogia con la vittoria contro i persiani, davanti a quello
di Platea. Gelone guarda con rispetto anche al mondo indigeno: erige per loro templi a Demetra
e Kore. Estende, infine, il suo interesse al territorio in piedi del vulcano e alla Magna Grecia.

Ierone, fratello di Gelone, gli succedette al potere; ma la sua non è una successione indolore,
poichè Gelone non aveva previsto che l’appoggio del popolo andasse ad un altro suo fratello,
Polizelo, che aveva ereditato una non nota”strategia” che aveva sposato Demorete, figlia di
Terone. Ierone, un colpo di stato, lo invia in Italia in soccorso di Sibari, minacciata da Crotone:
Timeo ci dice che Polizelo portò a compimento d’impresa, con grande impatto ideologico per la
Sicilia che per la prima volta si intromette negli affari della Magna Grecia.

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In ogni caso, Polizelo preferisce non tornare in patria e trova riparo ad Agrigento, presso Terone.
Imera, desiderosa di liberarsi di Terone, si ribella e offre la città a Ierone, che però svela le trame
sovversive proprio a Terone e suo figlio Trasideo, che sopprimono la rivolta. Polizelo si insedia,
grazie alla pace di Terone e Ierone, presso Gela: Terone, intanto, sposa la figlia dello stesso
Polizelo, mentre Ierone sposa la nipote di Terone.

Nel 477, Anassilao tenta la conquista di Locri, approfittando della conflittualità tra gli eredi di
Gelone; Ierone interviene subito e basta un suo ultimatum per far cessare la guerra. Siracusa e
Locri stringono così un’alleanza (symmachia): Ierone dà il proprio appoggio alla città, ai
danni di Sibari e Crotone.

Nel 476, Ierone trasferisce in toto la popolazione di Nasso e Catania a Lentini, rifondando
Catania con il nome di Aitna, e inglobando nella popolazione anche coloni peloponnesiaci e
cittadini Siracusani. Il suo potere si incentra così su tre poli:

- Siracusa, la capitale;

- Lentini, che controlla l’elemento calcidese;

- Aitna, che ospita le truppe.

Diviene anch’egli ecista, garantendosi un culto post mortem, e assicura anche così un territorio
al figlio Dinomede. Ierone si impunta anche su una ricerca di legittimazione di sé peresso i
barbari: si scontra con gli Etruschi, vincendoli presso Cuma; fonda inoltre una colonia armata
nei pressi di Pitecussa, ma questa ha breve vita.

Quando nel 472 muore Terone, si riaccendono gli scontri: Ierone si scontra con Trasideo, che
perde il proprio regno. Poco dopo, però, Ierone muore, venendo seppellito presso Aitna, ove gli
vengono tributati gli onori necessari; sette anni dopo, nel 460, i Catanesi si riprendono la città e
distruggono la tomba del tiranno dinomenide.

Gelone era stato un abile propagandista, ed era riuscito a stabilire un immagine di sé e del
proprio operato ricca di consensi, anche in ambito panellenico. Ierone lo supera: vince
ripetutamente, agli agoni sportivi, nelle specialità ippiche, le più prestigiose, sia ad Olimpia che a
Delfi. Ulteriore risalto alle imprese sportive è dato dai poeti come Pindaro, Simonide e Bacchilide.
Eschilo stesso approda a Siracusa, e si pensa che Temistocle in persona abbia spostato proprio la
figlia di Ierone. Le battaglie navali siracusane e le lotte contro i barbari vengono messe in
parallelo con quelle della madrepatria, accrescendo il successo del tiranno dinomenide: viene
persino fatto un paragone cronologico tra Cuma e Salamina. I successi, illuminati dal
sincronismo, ci testimoniano il punto d’arrivo dell’operazione propagandistica ieroniana.

V – LA SIGNORIA DEGLI EMMENIDI


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Poco si sa della storia di Agrigento dopo Falaride. Pindaro Assegna agli Emmenidi, famiglia di
Terone, un ruolo di primo piano nell’abbattimento delle tirannide di Falaride. Eraclide Lembo
Riferisce invece l’esistenza di due sconosciuti successori di Falaride, Alcamene e Alcandro,
membri dell’assemblea cittadina. Sarebbe stata poi la componente geloo-rodia della città a
commettere il colpo di stato che avrebbe portato al potere gli Emmenidi. Agrigento si espande
sia ad Oriente che ad Occidente, lambendo già i confini di Imera e conquistando Minoa.

Terone sale al potere nel 448, all’età di sedici anni. Proviene da una casata tra le più ricche di
Agrigento e si ritrova subito a capo del ghenos degli Emmenidi. La città di agrigento si afferma
con la guerra degli emporia, e così Terone, che trae successo anche dalle proprie opere.

Ce ne informa Polieno, che ci narra anche dell’importanza, per la città, dell’economia monetaria
e della monumentalizzazione. Grazie a Terone, inoltre, si viene a creare il cosiddetto “blocco
dorico”, poiché il signore di Agrigento ricerca l’appoggio di altri tiranni.

Terone vuole comunque aumentare la propria sfera di influenza fino al Tirreno: ingaggia così
una guerra con la città di Imera, che conquista nel 480, affidandola al figlio Trasideo.

Quest’ultimo governa in maniera inadeguata la città, suscitando il malcontento della


popolazione, che insorge: la rivolta si conclude con una violentissima repressione verso i
cittadini, tanto che risulta necessario ripopolare la città con gente dorica.
Terone continua il proprio regno in splendore, sfruttando, come i Dinomenidi, la propaganda:
- Nel 476, vince alla quadriga, diventando “baluardo” di Agrigento;

- Realizza notevoli opere pubbliche, tra le quali la più celebre è il complesso religioso
della Valle dei Templi, grazie anche alla disponibilità di manodopera;

- Promuove la restituzione delle ossa di Minosse a Creta, poiché vuole farsi ben
vedere dalla storica isola.

Terone muore nel 472: a lui succede il figlio, Trasideo, a cui il padre non riuscì però a
trasmettere le proprie qualità. Fu, infatti, malvisto e crudele. Rapidissima è allora la parabola
discendente della potenza agrigentina.

Trasideo capovolge e distrugge ciò che il padre aveva faticosamente creato, e soprattutto,
sovverte i delicati accordi con Siracusa. Ce ne parla Diodoro: Trasideo gioca la carta dell’aperta
sfida a Siracusa. Raccoglie un grande esercito, di circa duemila uomini tra mercenari e
agrigentini e muove guerra ad Imera. Ma Ierone lo previene e lo arresta, vincendo una battaglia
che però è segnata da perdite di entrambe le parti. Trasideo, sconfitto, ripara in Grecia: ma qui
viene giustiziato. Si conclude così l’esperienza emmenide.

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VI – IL DOPO-TIRANNIDI

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Siracusa contribuì ad abbattere le tirannide agrigentina, ma ciò gli è fatale, poiché il fatto
ispira emulazione. A Ierone succede, nel 476, il fratello Trasibulo: con lui cede la struttura di
potere della città dorica. Oppone infatti, ai Siracusani in rivolta, le truppe mercenarie. Ma i
rivoltosi gli schierano contro una coalizzione di Imera, Gela, Selinunte, Agrigento: Trasibulo è
costretto ad un anormale ritiro a Locri. Il processo di liberazione dai regimi autocratici dura
dieci anni: dal 472, anno della caduta della tirannide di Agrigento, al 461, anno della caduta
della dinastia anassilaide.

Si affermano dei regimi autonomi, noti come “demokratiai”, in risposta alle contraddizioni socio-
economiche dei regimi tirannici, come l’assegnazione di terra ai veterani o la deportazione di
popoli. A Siracusa, la grande tirannide è morta: il primo impulso sarebbe arrivato dagli stessi
sostenitori della tirannide, spaventati dalle mire di Trasibulo ai danni dei figli di Gelone. La
vecchia città dominante conserva comunque un ruolo preminente, seppur con problemi interni.
La prima questione è costituita dai “Siracusizzati” di Gelone, circa 10.000 stranieri e mercenari a
cui il tiranno aveva concesso la cittadinanza, ora esclusi dalla magistratura: si asseragliano
quindi tra Ortigia e Acradina, ma vengono sconfitti. Avevano sperato in un soccorso da parte di
Aitna, ma questa non può rispondere perché impegnata a difendersi da Ducezio, leader dei Siculi
che rivendica la proprietà della città. I Siculi vengono appoggiati da Siracusa e riescono a
riprendersi la città, ridandole il nome di Catania.

Di Messina, che torna per un breve tempo ad avere il nome di Zancle, abbiamo poche notizie,
abbiamo, in quest’epoca, poche notizie: si sa che la cittadinanza si trovava in guerra civile. La
fazione dominante, responsabile della zecca, chiama in aiuto dei mercenari di Imera, ma questi
attaccano a loro volta sia gli avversari che gli alleati, conquistando la città.

Infine, l’ultimo assestamento nel passaggio tra vecchio e nuovo è la rifondazione della città di
Camarina, da parte di Gela, con ritorno dei coloni già insediati da Ippocrate.

Cacciato Trasideo, ad Agrigento si instaura un regime democratico, il cui primo atto è stringere
una pace con Ierone. La reale estrinsecazione del regime democratico avviene però nel 461,
quando gli esuli di Agrigento tornano in patria, seppur con un ritardo di dieci anni.
Probabilmente Ierone aveva occupato la città: ma nel 471, in seguito a vari problemi riscontrati
anche con i mercenari, gli xenoi sarebbero stati naturalizzati cittadini, e gli esuli cacciati per
fare spazio. La situazione si sarebbe risolta nel 461. Personaggio chiave in questo periodo è
Empedocle: sarebbe stato figlio di un esponente popolare e avrebbe sventato un colpo di Stato di
parte oligarchica; avrebbe sciolto il governo dei Mille. Non potrà tornare in città poiché, dopo
un soggiorno a Turi, viene osteggiato dai discendenti dei suoi nemici.

Ducezio, leader Siculo abile e accorto, fu promotore della Siracusa democratica, meno
aggressiva nei confronti dei Siculi stessi. Esponente siculo di spicco, ma ellenizzato, riesce a
suscitare un movimento “politico” etnicamente motivato, che si diffonde in maniera capillare,
costituendo un pericolo per le città greche: avanza infatti rivendicazioni territoriali.
Ducezio si allea con Siracusa, poiché entrambi hanno in comune il nemico rappresentato dai
mercenari ieroniani di Aitna. I siculi, dopo la sconfitta di Aitna, guadagnano il territorio
catanese. Si sancisce così l’egemonia dei Siculi: Ducezio, eghemon, è sia ecista che stratega.

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Nel 459, infatti, espugna Morgantina e fonda Menainon. Risalda la propria fama, e per la prima
volta i Siculi conquistano una roccaforte ellenica. Con Menainon, i Siculi hanno finalmente una

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propria città, anzicchè essere dispersi per i villaggi; questa assume inoltre le caratteristiche della
polis. Ducezio fonda inoltre una “synteleia”, una confederazione tra tutte le città sicule. La cosa
non è gradita a Siracusa, che però è dilaniata da lotte intestine tra la classe ricca e le classi più
povere: in questo contesto riemerge la tentazione tirannica, con la figura del demagogo
Tindaride , capo della fazione dei poveri; ma le sue mire vengono prontamente stroncate, grazie
all’introduzione del petalismo, la pratica dell’ostracismo su foglie, anche se quest’ultimo ben
presto degenera.

La linea politica di Ducezio inizia ad interessarsi al Tirreno: combatte diverse battaglie contro
gli Etruschi, saccheggiando l’Elba, la Corsica e le coste dell’Etruria. La synteleia, nel
frattempo, stabilisce la necessità di un proprio esercito, ma anche di un proprio centro
religioso, per aggregare la comunità sicula ed esaltare l’unità nazionale. Nasce così Paliké,
fondata presso l’antico sito religioso dedicato agli dei Palici. La nuova città-santuario viene,
sia dalla nascita, fortificata. Le divinità paliche erano però state ellenizzate da Ierone, ma
Ducezio se ne appropria come simbolo dell’identità unitaria sicula.

In pianura, Ducezio rifonda Menai, sua città natale. Nel 452, con un colpo di mano, occupa
Inessa, ribattezzandola Aitna, e controllando così tutta la valle del Simeto e, di conseguenza,
spostando il proprio interesse nell’entro terra agrigentino. Sempre nel 452, sconfigge la
delegazione di Agrigento inviata a proteggere la fortezza di Motyon, ma anche un’armata di
Siracusa mossa in soccorso di Agrigento: il capro espiatorio, a Siracusa, è lo stratega Bolione,
accusato di tradimento e giustiziato. Superato il contrasto, Siracusa decide di fare sul serio e
invia una seconda armata, che presso Nomai sconfigge l’esercito di Ducezio. Quest’ultimo si reca
a Siracusa da supplice, ma viene esiliato a Corinto, con però un reddito decoroso per vivere. Ciò
non va bene agli Agrigentini: le tensioni sfociano in una guerra dove Agrigento viene sconfitta.
Nel 448, dopo due anni, Ducezio torna in Sicilia e fonda la città di Kale Aktè sulla costa tirrenica
della Sicilia, lontano da Siracusa: si rivela un perfetto ecista, ma muore poco dopo. Dopo la sua
morte, molti dicono che si fosse affiliato ad Atene, che avrebbe suggerito la valenza anti-
siracusana dellla sua spedizione sul versante tirrenico.

VII – ATENE E LA SICILIA

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Atene, che domina il mare, cerca partner commerciali da egemonizzare: lotta per il controllo
delle rotte mercantili, stringendo rapporti di “philia”, symmachie, e intrattiene buoni rapporti
con tutte le potenze, in una politica di espansionismo che investe il cinquantennio che va dalle
guerre persiane alla guerra del Peloponneso. Si interessa così alle città in Occidente: stringe due
symmachie con le città calcidesi di Reggio e Lentini, due con le elimi Segesta e Halikyai.

In questo periodo viene anche fondata la colonia di Turi, per la quale la città di Atene, sotto il
controllo di Pericle, stringe accordi per la sicurezza: successivamente, gli accordi vengono
ribaltati e Atene perde il controllo della città calabrese.

Con gli accordi di Segesta (418), Atene si avvicina alle popolazioni non elleniche, a cui
attribuisce strumentali origini troiane: nobilita così gli Elimi in Sicilia, gli Enotri della Siritide, i
Romani e i Veneti. La datazione suppone che Atene avesse già stabilito rapporti con membri
della cittadinanza, così da poter avviare con tranquillità una spedizione una 416, intervenendo
nel conflitto tra Selinunte e Segesta; alla stessa data si fanno risalire gli accordi stretti con
Reggio e Halikyai.

In una prima spedizione, Giustino ci dice che Atene intervenne a causa di una richiesta d’aiuto da
parte di Catania. Stretta una symmachia con la città, Atene invia in Sicilia lo stratega Lampone
(già coinvolto nella fondazione di Turi); difesa la città, Atene mira ad espandere il proprio
dominio su tutta la Sicilia. Tucidide ci dice invece che a capo della spedizione si trovassero
Lachete e Careade, poiché Siracusa e Lentini erano entrate in guerra tra loro.
Nel 427, si compie, dunque, la prima spedizione di Atene in Sicilia: gli Ateniesi muovono da
Reggio, lottando contro Siracusa e Locri. Atene conquista e saccheggia Messina e Mile, alleate di
Siracusa, nel 426; ma l’anno dopo, Siracusa e Locri riconquistano Messina. Sia Atene che
Siracusa evitano lo scontro diretto. Siracusa interviene, oltre che per riconquistare Messina,
anche per bloccare dal mare Camarina: nello scontro che ne deriva, muore Cariade.

Lachete viene sconfitto dallo stratega Pitadoro, in seguito alla spinta degli alleati siculi.
Con Pitadoro si esprime il chiaro intento imperialistico di Atene: la politica ha però effetto
contrario, poiché le città siceliote vogliono conservare la propria autonomia. I combattenti

sicelioti sii riuniscono, convocando un congresso a Gela nel 424, per giungere ad un accordo che
ponga fine alla guerra. Tra loro emerge Ermocrate di Siracusa: con il proprio discorso, propone
che, per conservare la propria autonomia, siano i Sicelioti a risolvere da soli le questioni siceliote.
La proposta di Ermocrate ha successo e Atene va via dall’isola, essendo venuta meno l’alleanza
con le città calcidesi.

Atene torna a guardare dall’Occidente durante la guerra del Peloponneso: l’isola è infatti vista
come soluzione del conflitto con Sparta , soprattutto dopo la propaganda che ne porta avanti
Alcibiade. Il pretesto per tornare in Sicilia viene fornito ad Atene da Segesta, che chiede aiuto
contro Selinunte, appoggiata da Siracusa , a sua volta alleata con Sparta. Alcibiade sogna di
conquistare prima la Sicilia e poi Cartagine: nel 415, dunque, parte una seconda spedizione.
Questa è comandata da Alcibiade stesso, Lamaco e Nicia. La spedizione si vede rifiutare
l’approdo da Taranto, Reggio e Locri. Mentre Nicia vuole solo intervenire contro Selinunte,
Alcibiade vuole coinvolgere le città siceliote per poi attaccare Selinunte e Siracusa;
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Lamaco, invece, è proteso ad attaccare solo Siracusa. Prevale la strategia di Alcibiade: le poleis
siceliote vengono portate dalla parte Ateniese, anche a livello operativo. Ma, dopo aver convinto

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Catania a schierarsi con Atene, Alcibiade è coinvolto nello “scandalo delle Erme” e costretto a
tornare in patria, vedendosi tolto il comando della spedizione.

L’esercito ateniese si accampa presso l’Olympeion di Siracusa. Ermocrate aveva perso fiducia
presso il popolo, anche se aveva previsto il pericolo ateniese: con il nemico alle porte, chiede
aiuto a Sparta e Corinto. Sparta scende comandata da Gilippo nel 414, invertendo le sorti della
guerra a favore dei Siracusani. Le relazioni tra Atene e le poleis siceliote si sfaldano, e i popoli
indigeni si schierano con Siracusa. Lamaco muore in una sortita, e Atene invia Demostene, a
comando di contingenti: la flotta viene però sconfitta e l’armata di terra ateniese è sbaragliata
dalle dalle forte avversarie sul colle dell’Epipole. Mentre Nicia vuole attendere una vittoria, e
rimanere in Sicilia nella speranza che cambino le sorti della guerra, Demostene vorrebbe
ritornare in patria; ma Gilippo attacca gli ateniesi, bloccando il porto. L’armata, in fuga
disordinata, viene inseguita fino al torrente Arnaro, dove viene massacrata. Atene non si
risolleva, mentre a Siracusa prevale la linea dura di Diocle, che condanna a morte gli strateghi e
schiavizza i prigionieri.

La vittoria su Atene, però, non arreca la pace all’interno di Siracusa. Il demos accelera il processo
da repubblica costituzionale a repubblica “assembleare”. Espulso Ermocrate, trionfa la
democrazia radicale di Diocle.
A turbare la neonata pace sull’isola è però, nel 410, un nuovo scontro tra Segesta e Selinunte.
Venuta a mancare Atene, la città elime non può che chiedere aiuto a Cartagine, che, avendo così
il pretesto di recarsi in Sicilia, accetta. Annibale, nipote di Amilcare, sbarca a Mozia e muove alla
conquista di Selinunte, che richiede e ottiene l’appoggio di Siracusa. Annibale conquista e
distrugge Selinunte, trucidandone e schiavizzandone gli abitanti, poi passa a Imera, città di
frontiera con il mondo punico, che sempre nel 410 viene rasa al suolo. Dopo il bagno di sangue,
l’armata mercenaria è sciolta e Annibale deve tornare in patria.

Approfitta della situazione Ermocrate: raduna una truppa d’assalto e inizia le incursioni in
territorio nemico, con l’appoggio di Selinuntini e Imeresi superstiti. Ermocrate vuole muovere
contro Diocle, e strumentalizza per la lotta politica i cadaveri senza sepoltura: Diocle è esiliato;
ma gli avversari di Ermocrate, i democratici radicali, non ritirano il bando di Ermocrate,
temendo che diventi tiranno. Nel 407, Ermocrate attacca allora direttamente la città, ma viene
ucciso dalla folla, mente il suo “erede” politico, Dionigi, futuro tiranno, si salva fingendosi morto.
Nel 406, i Cartaginesi tornano sull’isola, per vendicarsi delle scorrerie di Ermocrate: mettono a
ferro e fuoco l’intera Sicilia; investono Agrigento, come al solito città di frontiera, e la
distruggono.

VIII – DIONIGI IL GRANDE

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Cartagine muove ora contro Gela e Camarina. Dionigi di Siracusa, un giovane ufficiale, accusa
all’assemblea pubblica di Siracusa i generali, colpevoli della disfatta della città di Agrigento.
Conta sull’appoggio di Ipparino e Filisto, influenti esponenti dell’aristocrazia, e si propone, con
successo, alla carica di capo del collegio degli strateghi: organizza così una marcia su Gela, si
schiera con la fazione popolare e riesce con un colpo di mano ad estromettere i colleghi
strateghi, facendosi nominare comandante con pieni poteri. Instaura così nuovamente un
governo tirannico a Siracusa. Dionigi si muove su due piani distinti: da un lato è ossequioso delle
leggi e rispetta le procedure costituzionali della città; dall’altro è sovvertitore della democrazia,
si circonda di una guardia del corpo personale, che viene utilizzata per domare l’opposizione
interna. Giunta infatti la notizia della capitolazione di Gela e Camarina, i cavalieri organizzano
una sommossa: uccidono la moglie di Dionigi, ma il tiranno fa ritorno alla città, esiliandoli. Per
consolidare il suo potere interno, stringe una pace con

Cartagine: alla città punica viene riconosciuto il protettorato su Elimi e Sicani, oltre che il
controllo su Imera, Selinunte, Agrigento, Camarina e Gela. Le tribù sicule sono dichiarate
indipendenti, mentre libere sono Lentini e Messina. Viene così riconosciuto grande potere a
Siracusa, che rappresenta la grecità in Occidente. Dionigi viene riconosciuto come “archon
sikelios”; i suoi oppositori lo chiamano “dinastes”, parola atta a definire il detentore di un potere
autocratico, ereditario, con un diretto rapporto con le masse. I cittadini vengono considerati
sudditi, mentre il dinasta si circonda di una cerchia di amici, detti “philoi”.

Dionigi resta però fedele all’assemblea, usandola per ottenere il consenso in casi di gravità
particolare. Frammenta il corpo civico con l’immissione di nuovi cittadini, così come avevano
fatto i Dinomenidi: “siracusizza” mercenari, banditi politici, immigrati, schiavi liberati, che si
legano alla causa del tiranno in cambio di favori.

Dopo la pace siglata con Cartagine nel 405, Dionigi si occupa di fortificare il territorio, rendendo
inaccessibile l’isola di Ortigia, che si separa dal resto della città e ingloba la reggia e la caserma
militare; l’efficacia della fortificazione della reggia è provata durante una ribellione nel 404.

Dionigi conquista anche Nasso e Catania, abbandonate poi alla furia della soldatigia, mentre
gli abitanti vengono venduti come schiavi. Anche Lentini e i suoi abitanti sono costretti a
trasferirsi a Siracusa.

L’intento di Dionigi è creare uno stato territoriale, depoliticizzando i territori limitrofi Siracusa:
Adrano diventa colonia militare, Tauromenio rimane gestita direttamente dai nativi. L’obiettivo
primario di Dionigi è cacciare l’elemento punico dall’isola: anche se arriverà solo a spartire le
reciproche sfere d’influenza. Per raggiungere tale scopo, sacrifica ogni risorsa economica.

Simbolo dell’attività difensiva è il castello Eurialo, gioiello dell’architettura da guerra, dotato di


catapulte e navi puntaremi, ampliando di conseguenza il Porto Grande. L’esigenza economica
porta Dionigi a condurre misure fiscali straordinarie, ma anche a ricorrere alla spoliazione dei
templi e alla vendita della schiavitù.

La sua politica estera si concentra su due obiettivi: la lotta a Cartagine e l’espansione in Magna
Grecia. Cerca dunque un’intesa con Messina e Reggio: mentre Messina si rivela disposta
all’alleanza, Reggio no. Dionigi chiede a Reggio e a Locri una moglie: mentre la prima gli offre la
figlia del boia, in un dileggio fatale, Locri gli offre la nobile Doride, che Dionigi sposa insieme ad
Aristomache, figlia di Ipparino.

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Dionigi rafforza con i legami con Sparta e Corinto, assolda truppe mercenarie anche nel
Peloponneso e si dispone alla guerra contro Cartagine. Diodoro ci riferisce l’accorato appello di

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Dionigi, che fa sin da subito presa sui Siracusani e Sicelioti, mentre Cartagine è afflitta dalla
pestilenza. Dionigi saccheggia le proprietà puniche, poi impone alla città africana un ultimatum,
che non viene però accettato, in cui intimava la liberazione delle comunità siceliote. Dopo il
rifiuto, continua la sua marcia verso il baricentro dell’isola: a lui si uniscono forze militari di
Camarina, Gela, Agrigento e Terme, oltre che alle popolazioni elimi e sicane.

Le milizie cartaginesi sono ricacciate fino a Mozia, che cede e viene distrutta nel 397.

L’anno dopo, però, si capovolgono le sorti della guerra: giunge a Palermo Imilcone, che avanza
lungo la costa settentrionale, assoggettando Terme, Lipari e Messina. La flotta siracusana,
inoltre, è sconfitta nelle acque di Catania. Imilcone non ha più ostacoli e assedia Siracusa.

L’opposizione si riaccende: Diodoro ci riferisce di una violenta arringa contro il tiranno,


accusato di aver collezionato solo insuccessi, e di aver scatenato la guerra poiché bramoso di
potere. Dionigi è miracolosamente salvato, poiché nel campo punico si diffonde l’epidemia, che
ne decima le truppe: il tiranno siracusano ne approfitta e attacca l’esercito nemico,
sbaragliandolo e costringendo Imilcone a tornare a Cartagine.

Dionigi riguadagna le posizioni perdute: ripopola Messina con cittadini di Locri e Medma; fonda
sullo Stretto la città di Tindari, ddandosi così un avamposto tirrenico; risconfigge, l’anno dopo,
una nuova avanzata punica, guidata da Magone. Finalmente, nel 392, Siracusa stringe una pace
con Cartagine. Dionigi ottiene il riconoscimento della propria dominazione in Sicilia, tranne per i
territori elimi, cartaginesi e per qualche fortezza sicana.Si vede riconosciuto il protettorato sui
Siculi e il dominio su Agrigento e Tauromenio.

In madrepatria, appare così il signore indiscusso dell’entità territoriale della Sicilia.

Dionigi punta anche al controllo di Reggio e Locri. Continua anche il suo progetto di lotta contro
il barbaro, lottando contro le popolazioni dei Bretti e Lucani: al suo progetto si oppone la lega
delle città achee unite sotto il santuario di Zeus Homanos. Pur di ottenere la città di Reggio si
allea con Lucani, Celti e Illiri: ciò gli costa l’amicizia del fratello Leptine e del del fedele Filisto.
L’accordo con i Lucani si rende operativo nel 383, quando gli alleati massacrano gli abitanti di
Turi; Leptine prende le distanze ufficiali dal fratello, allontanandosi con la flotta.

In Calabria, Dionigi sconfigge la lega, ma libera i prigionieri. Alla vittoria sulla lega presso
l’Elleporo, segue la conquista di Caulonia, Ippanio, Scillezio, che vengono affidate a Locri. Reggio
si ritrova così isolata: quindi, Dionigi pretende prima un tributo dalla città, ma poi l’assedia e la
conquista, distruggendola: costruita una reggia presso la città, può ufficialmente essere definito
“padrone d’Occidente”.

Oltre il confine, la politica di Dionigi si fa sempre più imperialista: mira aggressivamente a


consolidare il proprio ruolo egemonico. Verso il Tirreno e l’Adriatico avvia una politica coloniale
massiccia: punta infatti a controllare il Canale d’Otranto. Per raggiungere l’obiettivo, si allea con
gli Illiri di terra, mentre ne combatte i confratelli pirati in mare. Fonda la colonia militare di
Lissos e aiuta Alceta a riappropriarsi del terreno dei Molossi.
Sull’Adriatico fonda le colonie di Inessa e Pharos. Si propone come nuovo garante dei traffici
greci in area padana e nel nord-adriatico: rifonda le colonie di Adria ed Ancona, stringendo un
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alleanza con i Galli. Tale alleanze barbare sono però malvista dai detrattori della tirannide.

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Sul Tirreno, Dionigi entra in guerra con gli Etruschi: saccheggia il santuario di Leucotea,
sgomina la pirateria e con il ricco bottino assolda truppe mercenarie. Vuole infatti espandersi in
Corsica e all’Elba: ma inizia a nutrire ostilità per Roma, “polis tyrrenhis” filoetrusca.

La dynasteia di Dionigi, dunque, va oltre i confini della poleis, mira ad espandersi in tutta la
Sicilia, rendendola interamente greca e facendo emergere, tra le poleis, Siracusa, la più potente:
Dionigi si ispira così al modello di Filippo II di Macedonia.
Il tiranno sperimenta la validità dello stato territoriale. Con vincoli variegati e disomogenei
tenta di infondere identità nazionale alle varie città. Si distinguono tre diverse entità:

- distretto etneo, in cui Dionigi sperimenta la depolitizzazione, trasferendo tutti gli


abitani a Siracusa e permettendo la sopravvivenza solo delle colonie di mercenari:
- compressorio dello stretto; presso cui Dionigi pratica una politica bifronte,
conciliante con Messina e aggressiva con Reggio;
- il territorio di Locri, beneficiato e ampliato a danno delle limitrofe città italiote.
Dionigi, ormai egemone occidentale, si alleo con Sparta, che aiuta a Corcira e dopo Leuttra,
inviando alla città laconica duemila mercenari. Lo stesso Platone si reca a Siracusa, curioso di
studiare nuovi metodi costituzionali: il filosofo non risparmia critiche a Dionigi, che accusa
infatti di ferocia e cinismo. Solo in Dione, giovane figlio di Ipparino, troverà però una mente
disposta ad ascoltare le sue obiezioni.

Nel 382, Dionigi e Siracusa si preparano per sostenere le ultime guerre contro Cartagine.
Nel 379, Dionigi conquista Crotone; ma nello stesso anno, i Cartaginesi conquistano nuovamente
la città di Ippaino. Dionigi ottiene una prima vittoria a Cabala: ma in seguito ad una sconfitta a
Cronion, dove muore il fratello Leptine, è costretto alla pace.

La Sicilia Occidentale, con le città di Terme, Selinunte ed Eraclea, passa nuovamente nelle mani
di Cartagine. Nel 367, durante la propria offensiva, Dionigi è stroncato da un malore e muore,
dopo essersi però ripreso Selinunte e le città elimi di Erice ed Entella.

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IX- IL SECONDO DIONIGI

Nel 367, a Dionigi il Grande succede il figlio, Dionigi II, tenuto lontano dallo Stato e cultore di studi filosofici.
Dionigi II ferma subito una pace con Cartagine. Richiama dall’esilio Filisto, principale fautore
dell’espansionismo, incrementando le proprie mire nell’Adriatico: decide di fondare colonie nei pressi del
Canale d’Otranto, guerreggiando con Lucani. Dionigi II si schiera inoltre contro Roma (supportando Lentini)
e a favore, invece, di Sparta. Viene aiutato da Dione, che rinvita Platone a Siracusa: il filosofo, infatti,
vorrebbe formare Dionigi il Giovane come dinasta illuminato, ma giunto a Siracusa trova un contesto
degradato da lotte e rivalità intestine. Si consuma lo scontro tra Dione e Filisto, che, in quanto teorizzatore
della tirannide, orchestra contro Dione e Platone.

Dione aveva forse preso accordi con i Cartaginesi: per questa ragione è accusato e condannato a lasciare la
Sicilia, nonostante venga ben accolto ad Atene, dove stringe amicizia con Speusippo e Callippo. Dione
predispone sin da subito un rientro in patria; Dionigi lo precede, chiedendo a Platone di rientare a Siracusa:
nonostante le ritrosie del filosofo, la sua resistenza è vinta dal tiranno, e nel 361 Platone rientra a Siracusa.
Speusippo, suo allievo, lo accompagna, per compiere azioni di spionaggio per conto di Dione. Dionigi II,
resosi conto dell’operato di Speusippo, blocca i fondi inviati al rivale; ma si rende conto che Dione gode
dell’appoggio dell’Accademia di Atene. Sceglie allora lo scontro diretto.

Il clima si raffredda allorchè non scoppia una rivolta dei mercenari: Eraclide, capo dei mercenari, è accusato
di aver trasformato la rivolta in guerra civile, con l’appoggio di Dione; entrambi vengono condannati
all’esilio con confisca dei beni. Siamo nel 360: Dione denuncia ai greci in madrepatria le colpe di Dionigi II,
mentre Platone deplora l’uso della forza.

Dione, appoggiato dai filosofi dell’Accademia, raccogliendo una truppa di 800 uomini si imbarca verso la Sicilia.
Evita la flotta di Filisto presso Otranto e approda ad Eraclea. Qui riceve l’appoggio dei Cartaginesi, Agrigentini,
Sicani, Siculi, Geloi e Camarinesi.

Nel 357, neutralizzando la guarnizione di difesa con uno stratagemma, entra a Siracusa, senza colpo ferire.
Le due fonti sugli accadimenti sono Plutarco e Diodoro: entrambi si rivelano favorevoli a Dione, e ciò spiega
come mai Dionigi II sia sempre definito negativamente.

Dione e suo fratello Megacle vengono quindi acclamati dal popolo. Gli uomini del tiranno si asseragliano a
Ortigia, dove vengono raggiunti da Dionigi II. In Magna Grecia, la flotta di Filisto viene tallonata e sconfitta
da quella di Eraclide: giunti nei pressi di Siracusa, Filisto muore.

Dionigi II è sempre asseragliato ad Ortigia, ma le trattative con Dione diventano più serrate. Il tiranno riesce
però ad eclissarsi per mare, lasciando a Siracusa il figlio Apollocrate. Eraclide, accusato per la fuga del
tiranno, aizza contro il nuovo regime siracusano un demagogo che capeggia un moto popolare, che
rivendica la giusta ridistribuzione della terra. Una nuova assemblea ripristina il collegio degli strateghi, tra
cui si trova lo stesso Eraclide: gli strateghi decidono di esautorare Dione. Eraclide trae a sé i mercenari di
Dione; quest’ultimo fugge a Lentini, ma è richiamato a Siracusa, a causa dell’arrivo dell’esercito di Dionigi.
Eraclide viene nominato nuovamente da Dione comandante della flotta, ma lo tradisce schierandogli contro
Messina. Interviene che Sparta: ma Dione respinge l’intervento spartano e smantella la flotta; Apollocrate,
di conseguenza, fugge. Dione si impone come un tiranno, sempre più dispotico ed autocratico: Eraclide
torna ad accusarlo, rimbrottandogli di non aver abbattuto le fortezze di Siracusa e di aver chiamato
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consiglieri di Corinto per formulare una costituzione mista sul modello di Sparta. Dione viene ucciso nel 354
da Callippo, che diventa il nuovo tiranno: a lui succedono Ipparino e Niseo. Al rientro di Dionigi II, Siracusa si
rivolge a Iceta di Lentini. Arriva in fine Timoleonte.

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X- LA RESTAURAZIONE DI TIMOLEONTE

L’intervento nella difficile situazione siciliana viene dunque affidato da Corinto a Timoleonte: si
ricorda il suo atteggiamento antitirannico, che lo aveva portato prima ad uccidere il fratello
Timofane, colpevole di aver tentato di instaurare a Corinto un regime dispotico. Erome ma anche
considerato empio, si rivela ostile a qualsiasi genere di radicalizzazione: è per questo favorito
dalle fonti. Di lui ci parlano Diodoro, Plutarco e Cornelio Nepote: sarebbe giunto a Siracusa sia
per rimuovere Dionigi il Giovane, sia per sconfiggere la barbara Cartagine: questa, dopo essersi
alleata con Iceta da Lentini, nel 354 avanza con un imponente armata, sfruttando il vuoto di
potere lasciato da Siracusa. L’armata di Timoleonte è esigua per numero e per mezzi, ma, dopo
aver consultato l’oracolo di Delfi, parte dalla Grecia nel 344.
Giunto in Magna Grecia, apprende che Iceta si è impadronito di Siracusa, cingendo d’assedio
Dionigi, presso Ortigia. Con astuzia, Timoleonte riesce a sbarcare a Tauromenio, pensando di
essere appoggiato dalle colonie militari: pochi invece pensano che la spedizione corinzia abbia
delle possibilità, e Timoleonte ottiene l’appoggio della sola Adrano. Riesce abilmente a
sconfiggere Iceta: la notizia del suo successo si diffonde rapidamente e Timoleonte conquista
l’appoggio delle città di Tindari e Catania.

Dionigi II, con poche speranze di tornare al potere, cede ed è costretto ad esiliarsi a Corinto:
Timoleonte conferma, con la scelta d lasciarlo libero, come i veri nemici siano per lui Cartagine e
i “signorotti” locali con mire autarchiche. Con l’abdicazione di Dionigi II, tramonta per sempre
la tirannide dinomenide.

Nel 344, Timoleonte riceve una spedizione di rinforzo da Corinto, formata da 2.000 opliti e 200
cavalieri. Timoleonte pone a Catania la propria base operativa: da qui, manda rinforzi a Ortigia,
vittima di un invasione punica. Con una fortunata sortita, gli assediati riescono a riconquistare
il quartiere di Acradina. Timoleonte, contemporaneamente, espugna Messina e tenta di
frantumare l’unità del fronte avversario, alleandosi con Iceta. Magone, paventando ciò, ripavara
nell’Occidente dell’isola.
Timoleonte è pronto ad attaccare su tre fronti le forze di Iceta, che ripara a Lentini. Timoleonte,
rimasto padrone di Siracusa, compie le seguenti opere:

- rade al suolo Ortigia, simbolo del dispotismo, e sul suolo dell’isola cotruisce tribunali
e organi della magistratura;
- cerca nel frattempo di ripopolare la città;
- applica una politica d ricrescita economica, favorendo i sussidi, ridistribuendo i
terreni agricoli e vendendo persino le statue dei tiranni, tranne quella di Gelone.

- Dopo un mancato colpo di stato, conquista le città di Apollonia ed Engio e ne ordina


il saccheggio delle proprietà.

Capitola la città di Entella, e Siculi e Sicani chiedono di rientrare nell’orbita siracusana.


Nasce così una symmachia tra le poleis greche e gli abitanti indigeni della Sicilia: ha essa per
fondamento l’autonomia politica ma anche l’alleanza contro i nemici.

I cartaginesi sbarcano sull’isola presso il Lilibeo. Timoleonte marcia verso l’armata nemica:
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i due eserciti si scontrano nel 341, presso Fiumefreddo, con risultante disfatta dei Cartaginesi. Il
bottino di guerra è di grande valore, e viene inviato in parte a Siracusa e in parte a Corinto.

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L’attenzione di Timoleonte per la madrepatria gli attira le antipatie dei signorotti locali ( Iceta
da Lentini, Mamerio da Catania e Ippone da Messina), che si distaccano dal vincitore e si alleano
con Cartagine.

Nel 339, Timoleonte sconfigge Iceta e firma una pace con Cartagine: il confine tra i due territori
torna ad essere il fiume Platani; Cartagine si impegna a rinunciare alle alleanze con i tiranni e
riconosce l’autonomia delle città Greche. Timoleonte, dopo aver sconfitto il signore di Lentini,
elimina Mamerio e Ippone e prende il sopravvento del fronte greco.

Timoleonte promuove, a Siracusa, una riforma costituzionale, basata sulla democrazia e


sull’uguaglianza sociale. Si avvale dei legislatori, mettendo al potre un’oligarchia moderata,
appoggiata da un’assemblea popolare e da 600 consiglieri scelti su base timocratica.

Ne è presidente il sacerdote di Zeus Olimpio.

Decide di interpretare la madrepatria Corinto solo in caso di guerra contro lo straniero.


Dopo aver ripopolato Siracusa nel 338, Timoleonte muore nel 337: alla sua dipartita, viene
istituito un culto eroico in suo onore. Dopo di lui, sarà Agatocle ad instaurare la tirannide.

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XI- LA MONARCHIA DI AGATOCLE

Il progetto di Timoleonte non sopravvive al suo edificatore. Si instaura a Siracusa un regime


oligarchico, e si fronteggiano, in lotte intestine, democratici e aristocratici, oltre che a “politai” d
antica e di più recente cittadinanza.
In questo clima matura il colpo di stato di una nuova figura: il suo nome è Agatocle.

Su questo personaggio la storiografia non è concorde: mentre Timeo di Tauromenio, storico di


Timoleonte, lo giudica negativamente per rancori personali, lo storico siracusano Callia è,
essendo ingaggiato dal monarca stesso, troppo positivo; l’unico parere oggettivo è dato da
Duride di Samo, veritiero seppur incline alla storiografia tragica.

Di Agatocle sappiamo che nacque nel 361 a Terme, da una famiglia di umili condizioni:
partecipa al bando coloniale di Timoleonte. Accusa gli avversari Sosistrato ed Eraclide di
tirannide, ma viene di rimando esiliato in Italia, dove tenta in maniera fallimentare di
impadronirsi di Crotone. La sconfitta politica di Sosistrato ed Eraclide ne determina il ritorno a
Siracusa: ma gli oligarchici, anche loro isolati, hanno intanto trovato l’appoggio di Cartagine.
In seguito a tali vicende, e presa visione dei contrasti intestini, Corinto invia a Siracusa lo
stratega Acestoride: Agatocle è nuovamente costretto all’esilio e ripara a Lentini; da qui, dopo
aver raccolto un esercito, attacca Siracusa.

Dopo le trattative di pace, rientra in città come stratega e custode della pace, oltre che
responsabile delle forze civili e militari. Procede contro il consiglio governativo istituito da
Timoleonte: accusando l’ecclesia di aver tramato ai suoi danni, riesce ad infiammare la massa
popolare, che uccide almeno quattromila oligarchi, mentre il resto ripara ad Agrigento.

Agatocle depone il potere dell’assemblea e viene proclamato “stateghos autokrator”.

Nel 361, Agatocle, avendo rispettato formalmente le istituzioni democratiche, è comunque


divenuto autocrate assoluto. Riordina le finanze pubbliche, amplia gli armamenti navali e bellici
ma non trascura di adotare misure a favore del popolo. Il suo obiettivo infatti è che Siracusa sia
la prima tra le potenze siciliane.

Investe Messina nel 315, ma viene fermato dai Cartaginesi che gli ricordano la clausola
dell’accordo con Timoleonte, relativa all’autonomia delle poleis. Nasce così un’alleanza contro
di lui, e le tensioni sfociano, nel 312, in una battaglia navale: Agatocle è assediato a Siracusa, sia
per mare che per terra, essendosi attirato anche l’inimicizia delle città siceliote.

L’essere assediato per terra e per mare suggerisce ad Agatocle di spostare la guerra
direttamente in Africa: ci riesce nel 310. Sbarca a capo Bon, a dieci chilometri da Cartagine, ma
deve incendiare la propria flotta per non frazionare l’armata. Conquistati i territori limitrofi e
sudditi della capitale punica, è pronto all’azione: sbaraglia l’armata e conquista Cartagine.
Nel 309, durante l’assedio che invece Cartagine sta tenendo a Siracusa, muore Amilcare.

In Africa, Agatocle conquista velocemente le città di Neapolis, Adrumeto e Tapso, sconfiggendo


nuovamente i Cartaginesi presso Tunisi. Sentendo necessità di alleati, Agatocle tratta con Ofella,
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governatore di Cirene.

Ofella accetta l’accordo e nel 308 giunge all’accampamento di Agatocle: ma i due condottieri
non riescono ad intendersi e, in seguito ad uno scontro scoppiato, Ofella viene ucciso da Agatocle
e il esercito inglobato in quello del monarca siracusano.

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Approfittando dei diverbi interni a Cartagine, Agatocle si impadronisce delle città portuali di
Utica, Hippuakra e Aspis; ma, nel momento in cui è pronto a sferrare l’attacco decisivo, è
richiamato in Sicilia dal deteriorarsi dei rapporti con le citte siceliote: lascia il figlio Arcapato ad
occuparsi della spedizione Africana e sbarca a Selinunte. Dopo la morte di Amilcare II, Agrigento
si è sganciata dal dominio di Siracusa e conduce ora una sua personale guerra contro la città. È
però subito pronta la controffensiva di Agatocle: Agrigento, sotto la guida di Xenodico, viene
sconfitta. Dopo aver spezzato il blocco navale che assedia Siracusa, Agatocle torna in Africa
nell’autunno del 307, ma ormai la guerra è perduta. Lascia l’Africa su una barca, mentre i figli
vengono massacrati.

Il ritorno in Sicilia è caratterizzato da una brutale repressione, per evitare una ribellione;
Agatocle attua anche vendette, specialmente contro le famiglie di quei soldati la cui rappresaglia
aveva portato alla morte dei figli. Scende a patti con Dinocrate, capo degli esuli Siracusani, che
prima sul piano politico e poi sconfigge in battaglia. Nel 306 sigla una pace con Cartagine,
ripristinando lo status quo pre-guerra, anche se guadagna sia grano che oro.

Nel 304 è padrone di tutta la Sicilia greca e assume il titolo di “basileus”, re, ponendosi allo stesso
livello dei diadochi e stringendo con loro intensi rapporti.

Siracusa diviene la capitale del nuovo regno e la pace porta sviluppo produttivo ed economico.
Agatocle promuove inoltre una riforma costituzionale di stampo monarchico, diminuendo il
ruolo dell’ecclesia. Il re allarga inoltre il raggio delle proprie azioni, intrattenendo rapporti
sociali con Egitto e Magna Grecia: qui, il problema è costituito da Bretti, Lucani ma soprattutto
da Roma. A portare Agatocle ad interessarsi dei problemi italici è Taranto: dopo essersi alleata
con Roma, la città chiede a Siracusa aiuto contro i Lucani. Sconfitti questi e alleatosi con i Bretti,
Agatocle conquista Corcira e, in una seconda spedizione, Crotone, dopo aver fermato una rivolta
dei Bretti, che domina definitivamente dopo la conquista di Ipponia.
Dopo aver tolto la figlia Lassana a Pirro, nel 291, la dà in sposa a Demetrio Poliorcete, ora re di
Macedonia: lo scopo è stringere alleanze per una nuova guerra contro Cartagine. Agatocle non
riesce però a compierla: aveva designato come erede al trono il figlio, Agatocle il Giovane, a
discapito del nipote Arcagato, figlio del suo omonimo figlio trucidato in Africa. Arcagato uccide
lo zio e al vecchio Agatocle non resta che compiere un’azione memorabile: denuncia il nipote e
stabilisce il regime repubblicano. Di lì a poco, muore.

Dopo la morte di Agatocle, lo stato siracusano si sfalda. Le poleis rivendicano la propria


autonomia e la grecità siceliota ripiomba negli egoismi delle città stato. Anche all’interno della
città di Siracusa la scomparsa di Agatocle apre una stagione di instabilità politica: si
fronteggiano lo stratega siracusano Iceta e Mellone di Segesta, assassino di Arcagato, che si allea
con i Cartaginesi, i quali voglio precludere alla città la formazione di un governo forte.
Le tensioni sono create anche dal rientro degli esuli e dalla concessione della cittadinanza ai
mercenari di Agatocle, poiché si teme che ora possano accedere alla magistratura. I brogli
dell’assemblea provocano la reazione dei mercenari, che alla fine vendono i propri beni e
muovono per abbandonare la Sicilia. Ma ciò non avviene: saccheggiano Gela e Camarina e si
insediano a Messina, richiamata Mamertina, controllando e vessando il territorio attraverso
fortificazioni.
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A Siracusa, Iceta ottiene il potere e sconfigge Finzia, tiranno della rivoltosa Agrigento: ma Iceta
è sconfitto, a sua volta, nel 280, da Cartagine, presso Lentini.

Viene scalzato da Thoinon e Sosistrato, due aspiranti tiranni, che si contendono il potere.
Questa situazione dà campo libero a Cartagine. Thoinon e Sosistrato decidono di allearsi e
chiedono l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro.

Pirro si trovava in quel momento in Italia su invito di Taranto, minacciata da Roma.


Sposta la guerra in Sicilia, dove può vantare la parentela con Agatocle.
Suo progetto è costruirsi un monarcato che unifichi grecità italiota e siceliota, e che possa
resistere a Cartagine e a Roma. Le due potenze formano invece una lega antiepirota: Cartagine
cede a Roma la propria flotta, a patto che Roma rinunci ad accordarsi con Pirro. La città punica
si allea anche con i Mamertini, Roma con Reggio, mentre Pirro invia ambasciatori a sollecitare la
propria causa, violando il blocco punico. Il re dell’Epiro sbarca in Sicilia e conquista rapidamente
e senza ostacoli Siracusa.

L’intento di Pirro è muoversi sulla via di Agatocle e creare nuovamente una monarchia assoluta.
Consolidato nel 277 il potere, Pirro inizia l’offensiva contro Cartagine, conquistando Eraclea,
Selinunte, Agrigento, Halikyai, Segesta, Erice e Passorno. I cartaginesi provano a scendere a patti
con Pirro, ma questi, dopo aver assediato Messina, rifiuta la trattativa e assedia, con però poco
successo, il Lilibeo. I sicelioti si ribellano ai progetti di Pirro, così come Thoinon e Sosistrato a
Siracusa: la situazione si fa insostenibile e nel 276 Pirro decide di abbandonare l’isola a se stessa;
torna, ricco ma deluso, in Italia.

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XII – L’ULTIMA SIRACUSA

A Siracusa, partito Pirro, si instaura un regime aristocratico, che però non regge l’urto
dell’opposizione popolare. Al collegio degli strateghi, truppe e popolo oppongono due loro
beniamini, Ierone e Artemidoro. Ierone darà vita ad un governo monarchico, passando alla
storia come Ierone II. Si muove bene sin da subito:
- Punta subito alla pacificazione civiva, conducendo i conflitti sociali senza stragi;

- Sposa Filistide, discendente di Filisto, per garantirsi presso l’oligarchia;

- Intuisce che la guerra può far emergere la propria eccellenza: sostiene così sin da
subito la necessità di combattere contro Cartagine;

- Ottiene la carica di “strateghos autokrator”.

Delle sue imprese ci informa Teocrito. La guerra, attraverso i poeti, ha così scopo
propagandistico, e grazie al rafforzamento della propria persona, Ierone trasforma in
monarchico il potere della strategia assoluta.

Si ritrova a dover affrontare i Mamertini, che voglioni Siracusa: contro di loro schiera prima
altri mercenari, poi muove lui stesso, costringendoli ad assersagliarsi entro Messina.

Nel 270, Ierone II firma un trattato d’alleanza con Roma: è infatti sorto il problema
dell’inumanità di quella “legio Campana” inviata a Reggio durante il governo di Pirro. Ierone II
mette a disposizione, nel 269, forze armate per la conquista della città, garantendosi la
neutralità di Roma nella guerra contro i Mamertini, che sconfigge presso il fiume Longano.

Cartagine ricorda a Roma di aver violato l’accordo con Pirro e invia un proprio contingente a
Messina. Ierone II preferisce ritirarsi, pago dei propri successi, lasciando a scontrarsi Roma e
Cartagine; a Siracusa è acclamato per la sua avvedutezza politica, che lo spinge anche a creare
una lega isolana tra le città greche libere in Sicilia.

A Messina sorgono due partiti: uno filoromano, costituito dai Mamertini; uno filopunico, la
minoranza, costituito dalla popolazione greca. Roma è così giustificata a intervenire,
scontrandosi con Cartagine in quella che viene identificata come “prima guerra punica”: i
Romani si iniziano infatti ad interessare alla Sicilia. Siracusa e Cartagine sembrano allearsi; ma
Annone, comandante punico, e Ierone II continuano in realtà autonomamente la guerra. Nel
263, viste le condizioni sfavorevoli, Ierone II decide di stipulare una pace con Roma, preservando,
con miti condizioni favorevoli, il proprio territorio dalle devastazioni romane. Roma, a sua volta,
si garantisce così un approdo sicuro. Roma vince, nel 241, lo scontro contro Cartagine,
obbligandola a lasciare la Sicilia e tutte le isole tra questa e l’Africa, che diventano province
romane. Ierone II chiede e ottiene da Roma un formale trattato d’alleanza: diventa “philos kai
symmachos” della nascente potenza, proteggendosi da ritorsioni puniche.

Ierone II si mantiene alleato di Roma, ma non ne accetta le imposizioni e intrattiene rapporti


commerciali liberi: ciò gli assicura credibilità e floridità economica, grazie alla quale avvia
innovazioni produttive:
- sperimenta tecnologie agricole;

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- si inserisce nelle trattazioni internazionali;

- soppianta Cartagine in tutto l’Occidente, legandosi con relazioni di favore a Rodi


e all’Egitto: supporta con sussidi economici la prima, aiuta durante una carestia
la seconda, allestendo la nave più grande dell’età classica, l’Alexandris.

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- Impone un imposta su agricoltura e commercio: le imposte erano definite dalla


lex Hieronica, che interessava qualsiasi proprietario terriero.

Il re si serviva di queste immense giacenze per supportare la sua politica finanziaria, ma anche
per la realizzazione di ingenti opere pubbliche, come i templi di Zeus e Athena Parthenos, il
palazzo reale di Ortigia, le costruzioni difensive progettate da Archimede.

Dota inoltre Siracusa di una moneta che le permetta di inserirsi nei mercati mediterranei,
adottando il sistema indigeno della litra d’argento.

Ierone II tenta anche, con l’introduzione della moneta, di riallacciarsi alla tradizione delle
grandi personalità che hanno regnato a Siracusa, come i Dinomenidi, Filisto, Agatocle, Pirro.
In politica estera, non rinuncia alle manifestazioni tipiche della monarchia ellenistica.
In politica interna, Ierone II si presenta come un sovrano il cui potere viene dal popolo, ma
modellato sulle forme dei monarcati ellenistici.

Nomina, nel 241, come successore, il figlio Gelone, maggiormente attento alle istanze del popolo.
A lui si deve probabilmente la riforma al codice legislativo di Diocle.

Gli eventi connessi alla seconda guerra punica scatenano nuovamente lotte di palazzo tra due
partiti: uno, capeggiato dal re e dagli oligarchici, è filoromano; l’altro, capeggiato dal “principe”
Gelone e dal popolo, è di avviso opposto.

Dopo la prima guerra punica, Ierone interviene a favore di Cartagine, sia per non lasciare Roma
senza rivali, sia per garantire sicurezza ai propri commerci: invia così sostentamenti alla città
punica, sia alimentari che militari. Nel 216, però, privato dell’appoggio di Roma, deve intervenire
presso la propria città, vessata dagli stessi Cartaginesi. In quest’occasione emergono le
divergenze tra partito filoromano e partito filopunico: nella rivolta popolare che segue, muore lo
stesso Gelone. Nel 215, viene meno anche Ierone II, che nomina come successore il giovane nipote
Ieronimo: questi è di sentimenti filopunici, ma è coadiuvato, per volere del monarca, da notabili
filoromani.
Ieronimo dimostra sin da subito sintomi di tirannide: una congiura scoperta porta alla morte di
Traione, uno dei notabili, utilizzato da tutti come portavoce. Il giovane re Ieronimo è
unicamente così circondato da consiglieri filopunici.

Il signore di Siracusa viene invitato da Appio Claudio , pretore al Lilibero, a tornare sui suoi
passi; ma gli ambasciatori romani vengono derisi a Siracusa. Ieronimo stringe un accordo con
Cartagine, che si impegna a sostenerlo nella lotto contro i romani: però, muore, dopo soli tredici
mesi di regno, per mano degli oligarchici di Siracusa, che lo colpisono a Lentini.

Segue per Siracusa un periodo di confusione, contrassegnato da continui mutamenti politici.


Cadono, trucidati o eliminati, tutti i membri della famiglia reale. Ippocrate ed Epicale riescono a
convicere la città a resistere in armi ai romani. Siracusa viene così assediata nel 213, dal console
Marco Claudio Marcello: la città si rivela dura da espugnare, e l’attacco è respinto.

Nel frattempo, Cartagine invia un esercito comandato da Imilcone, per riguadagnare la Sicilia.
Marcello invade Siracusa con l’inganno, introducendosi nella città durante la festa di Artemide;
ha dalla sua anche la consueta pestilenza che decima l’esercito punico. L’assemblea popolare
decide di consegnare la città ai Romani: Siracusa è saccheggiata e gli abitanti, tra cui
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Archimede, trucidati. Siamo nel 211: la Sicilia capitola interamente sotto il governo romano.

Cartagine lascia l’isola, stavolta per sempre: con la sua dipartita, muore anche il sogno di
indipendenza delle città siceliote. La Sicilia è saldamente controllata, ora, dal pugno di Roma.

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