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STORIA DELLA CIVILTÀ GRECA

Prof.ssa Elisabetta Bianco


A.A. 2021/2022
27 settembre 2021
DALL’ESPANSIONE DELL’IMPERO PERSIANO ALLO SCOPPIO DELLA RIVOLTA IONICA
Nei primi quattro libri delle sue Storie, Erodoto racconta gli avvenimenti anteriori alla rivolta ionica e alle
guerre persiane. Per cercare le cause del conflitto, fa una lunga presentazione dei popoli presenti
nell’impero persiano e della storia dell’impero medesimo. Il cuore dell’impero persiano è la
Mesopotamia. L’impero precedente era stato quello dei Medi, per questo talvolta le fonti usano “Medi”
come sinonimo di “Persiani”. L’impero persiano, dai limiti della Mesopotamia, si allarga a tutto il Medio
Oriente e coinvolge anche il mondo greco. L’espansione persiana ha inizio intorno alla metà del VI
secolo, quando diventa re Ciro, a cui le fonti attribuiscono l’appellativo “il Grande”. Questi prende il
controllo diretto su tutta l’Asia Minore. Prima di lui le aree costiere erano maggiormente indipendenti e
registravano la presenza di re anche potenti, come Creso in Lidia. Il regno di Lidia controllava quasi tutta
la costa dell’Asia Minore, dove i Greci avevano fondato delle colonie. Già intorno al 1000 a.C. le città
della Grecia avevano sentito la necessità di espandersi e fondare colonie in aree fertili e aperte agli
scambi commerciali (prima colonizzazione). Le città greche d’Asia Minore diventano ben presto molto
ricche e avviano una collaborazione con i popoli vicini in un’ottica di collaborazione. Il re di Lidia
consentiva alle città greche di conservare la loro autonomia politica in cambio di un tributo e
dell’impegno a non interferire con le questioni interne al continente. Dopo qualche secolo lo spazio a
disposizione lungo le coste viene occupato tutto e i Greci cercano un’altra area per fondare nuove città.
Dall’VIII secolo ha avvio la seconda colonizzazione con l’occupazione del Sud Italia.
Intorno alla metà del VI secolo, quando Ciro inizia la propria avanzata, si scontra con il re di Lidia Creso.
Sconfittolo, occupa tutta l’Asia Minore e per le città greche iniziano dei problemi più pressanti, perché il
re di Persia aumenta notevolmente il tributo e chiede di inviare soldati per le sue spedizioni. Quando
organizza delle campagne militari, Ciro non può limitarsi ai suoi Persiani, ma raccoglie soldati
provenienti da tutte le città a lui soggette. Questo fa sì che gli eserciti persiani siano enormi, ma composti
da persone di solito non molto motivate, essendo state arruolate a forza. E così spesso gli eserciti persiani
si ritirano alla prima difficoltà che incontrano. Ciro cerca di accontentare le città greche d’Asia nella loro
richiesta di autonomia. Pertanto non le sottomette, ma in ciascuna di esse favorisce l’ascesa di un tiranno
a lui fedele, che può garantire l’invio di tributi e soldati.
Dopo aver occupato l’Asia Minore, i Persiani si pongono altri obiettivi espansionistici. Nel 525 il
successore di Ciro, Cambise, conquista l’Egitto. Questo paese, che non era mai stato realmente
sottomesso da una potenza straniera, affascinava per la sua storia e faceva gola agli invasori per la fertilità
delle sue terre, solcate dal corso del Nilo. Sotto la dominazione persiana ci sono continue ribellioni da
parte di individui che si autoproclamano faraoni e provano a ripristinare l’autonomia dell’Egitto. Prima
ancora di questo paese, i Persiani avevano conquistato la Palestina e la Fenicia.
Nel 522 sale al trono Dario I, che inaugura la dinastia degli Achemenidi. L’ascesa al trono di Dario non è
priva di ostacoli. Erodoto descrive gli aristocratici persiani intenti a tenere un dibattito su quale sia la
forma di governo da dare all’impero e a prevalere è Dario, che propone la monarchia. Per decidere chi
guiderà l’impero, si stabilisce che sarà la persona il cui cavallo avrà nitrito per primo a un’ora stabilita, il
mattino presto. Erodoto racconta l’espediente trovato dallo stalliere di Dario per assicurare al suo signore
la vittoria. Il re di Persia è chiamato dai Greci “il Gran Re” a motivo delle dimensioni sterminate del suo
impero e della sua lontananza dall’Egeo. Sotto Dario I l’impero achemenide raggiunge la sua massima
espansione. Dario organizza un sistema di satrapie, delle regioni amministrative rette da un governatore
chiamato satrapo. Le satrapie dell’impero persiano sono venti; tra di esse ricordiamo la Lidia, la Misia, la
Caria, la Frigia. I satrapi sono in linea di massima fedeli al re, ma godono, specie nelle aree periferiche, di
una buona dose di autonomia. Non mancano scontri tra i satrapi per espandere l’area di controllo ai danni
dell’uno o dell’altro “collega”. Il re di Persia costruisce un sistema burocratico e una rete stradale per
favorire un veloce scambio di informazioni fra il centro e la periferia tramite un efficace servizio postale.
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La successiva area di interesse di Dario è a ovest dell’Ellesponto, il passaggio più stretto tra l’Asia e
l’Europa. Le aree della Grecia settentrionale erano occupate da popoli barbari e bellicosi, quali i Traci e
gli Sciti. Nel 522 Dario raccoglie un enorme esercito e varca l’Ellesponto per conquistare la Tracia e la
Scizia. La spedizione ha il suo culmine nel 513. In Scizia i Persiani hanno grande difficoltà. Gli Sciti,
abili cavalieri, mettono in atto una guerriglia del tipo “colpisci e fuggi”, fanno terra bruciata, si ritirano
molto rapidamente. Dario occupa solo parte della Tracia, ma è costretto a ritirarsi. La spedizione gli ha
comunque permesso di mettere piede in Europa. Verso Oriente era difficile espandersi e quindi Dario
prova l’espansione verso Occidente. Quanto raccontato finora è oggetto dei primi quattro libri delle Storie
di Erodoto.
A partire dal paragrafo 30 del libro V ha inizio il racconto della rivolta ionica (500-499). Alcuni problemi
interni all’isola di Nasso finiscono per avere dei risvolti anche sul resto dell’Asia Minore. Nasso,
trovandosi al centro dell’Egeo, in una posizione strategica a metà strada fra l’Asia e la Grecia, era riuscita
a imporre la propria egemonia sul resto delle Cicladi. All’interno di questa città scoppia una guerra civile
(stasis): è una divisione pericolosa per la città e per i Greci è il male peggiore che possa capitare. Se è
normale essere in guerra con le altre città, le guerre intestine non sono una prospettiva accettata
pacificamente. A Nasso si crea una frattura fra gli aristocratici e una parte del popolo che spinge per
un’evoluzione in senso più “democratico” delle istituzioni. Alla fine del VI secolo ad Atene c’era stata la
riforma democratica promossa da Clistene con la cacciata del tiranno Ippia e una maggiore distribuzione
del potere fra i cittadini maschi adulti. Questo cambiamento aveva avuto una forte eco in numerose altre
città provocando grande fermento nelle poleis. A Nasso gli aristocratici sono costretti ad andare in esilio e
vengono espulsi dalla città. Gli aristocratici nassi chiedono aiuto a Mileto, in Ionia. Quest’area era stata
colonizzata da spedizioni provenienti dall’Attica e dall’Eubea. I Peloponnesiaci avevano colonizzato la
parte meridionale dell’Asia Minore, gli Eoli quella settentrionale. La Ionia aveva mantenuto una forte
identità che aveva portato alla costituzione di una lega, il Panionion. Mileto, la città più importante della
Ionia, era guidata da un tiranno di nome Aristagora, che la reggeva al posto di un suo parente, Istieo.
Siccome quest’ultimo, durante la spedizione di Dario contro gli Sciti, non si era mostrato particolarmente
fedele, il re aveva deciso di chiamarlo a stare presso di sé a Susa come consigliere per poterlo controllare
meglio. Al suo posto Mileto era governata da Aristagora. Questi accoglie gli esuli di Nasso. Vorrebbe
aiutarli a rientrare sull’isola, ma sa di non potere raggiungere l’obiettivo facendo affidamento soltanto
sull’esercito di Mileto. Decide allora di chiedere aiuto ad Artaferne, il satrapo di Sardi, la “capitale”
persiana dell’Asia Minore. Aristagora fa balenare ad Artaferne i vantaggi che gli deriveranno dal guidare
la conquista persiana di Nasso e questi accetta.
Nel 500 Aristagora e Artaferne organizzano una spedizione congiunta contro Nasso, confidando
nell’effetto sorpresa. Ben presto i due condottieri vengono in urto per questioni legate alla gestione della
spedizione e si crea un clima di reciproco sospetto. Da una delle due parti viene inviata una spia che mette
al corrente i Nassi del pericolo che stanno correndo ben prima che la spedizione raggiunga l’isola. I Nassi
si fanno trovare preparati. Gli alleati non riescono mai a mettere in seria difficoltà gli abitanti dell’isola,
che del resto è troppo grande per essere cinta d’assedio. Dopo una fase di temporeggiamento, Persiani e
Milesi fanno ritorno in patria.
Aristagora teme una ritorsione da parte dei Persiani. In gioco non c’è solo il controllo del potere, ma la
sua stessa vita. Compie allora un gesto clamoroso: rompe con i Persiani deponendo la tirannide e spinge
le città della Ionia a ribellarsi. Erodoto racconta che non è stata un’idea di Aristagora, ma di Istieo, che lo
avrebbe consigliato nel modo seguente. Istieo fa rasare i capelli a uno schiavo e gli fa tatuare sulla testa
l’ordine di far partire la rivolta. Attende che gli ricrescano i capelli e lo invia ad Aristagora. Questi, su
ordine di Istieo, rasa nuovamente i capelli allo schiavo e viene così messo a conoscenza della volontà del
parente. Al di là di questo aneddoto, pare fondata l’idea che Istieo fosse realmente implicato nello scoppio
della rivolta.
Inizialmente la rivolta ionica ha successo: molte città aderiscono e numerosi tiranni filopersiani
depongono spontaneamente la tirannide. Quelli che si oppongono vengono cacciati o uccisi. Il re di
Persia, che è lontano, per il momento lascia correre. Aristagora, però, sa che prima o poi la ritorsione dei
Persiani arriverà e pertanto si rivolge alla madrepatria per chiedere manforte.
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DALLA RIVOLTA IONICA ALLE GUERRE PERSIANE
La rivolta ionica si sviluppa a partire da Mileto e coinvolge molte città dell’Asia Minore. Aristagora di
Mileto chiede aiuto alla madrepatria e per prima cosa si reca a Sparta, la città più potente della Grecia in
età arcaica. Sparta rifiuta di dargli aiuto perché l’orizzonte che Aristagora le prospetta è troppo lontano
dall’area di suo interesse (il Peloponneso, la Grecia centrale). Allora Aristagora si reca ad Atene e gli
Ateniesi gli promettono il loro aiuto. Erodoto, che osteggia Aristagora e giudica la rivolta ionica un
errore, riflette sul fatto che un intero popolo riunito in assemblea, quello ateniese, era stato manovrato con
maggiore facilità di un uomo solo, il re di Sparta. Un’altra città che dà il suo aiuto ad Aristagora è Erètria
in Eubea. La Ionia era stata colonizzata proprio da Greci provenienti dall’Attica e dall’Eubea, i quali
avevano un rapporto quasi di parentela con gli Ioni fin dai tempi più arcaici. Atene ed Eretria mandano
quindi un piccolo contingente di navi in aiuto degli Ioni e all’inizio la rivolta ha successo. I rivoltosi
arrivano addirittura a incendiare parte della città di Sardi, controllata dal satrapo Artaferne. Si tratta
tuttavia soltanto di un’azione dimostrativa, al termine della quale Ateniesi ed Eretriesi si ritirano, anche
perché hanno avuto notizia che i Persiani stanno organizzando la riscossa. Gli Ioni, rimasti soli, sono privi
delle risorse necessarie ad affrontarli. Allora Aristagora fugge ed Estieo, già in passato sospettato dai
Persiani di fare il doppio gioco, torna a Mileto a prendere la guida dei rivoltosi. La battaglia di Lade,
proprio di fronte a Mileto, dà a questi ultimi il colpo di grazia: Mileto viene distrutta, uomini e donne
sono venduti come schiavi. Gli Ioni rinunciano quasi spontaneamente alla rivolta, tanto è il clamore
suscitato dalla presa di Mileto. Ad Atene Frinico mette in scena una tragedia, La presa di Mileto, che
suscita grande afflizione in mezzo al popolo, e per questo viene multato. In effetti i Persiani non erano
mai intervenuti in modo così drastico su una città greca. Dopo questa prova di forza, cercano tuttavia di
riprendere il controllo delle città greche in modo più moderato che in passato. I Greci d’Asia Minore si
vedono così alleggerire il tributo, che in precedenza era stato inasprito, e le loro città ricadono sotto il
controllo dei tiranni filopersiani. La rivolta ionica è durata dal 499 al 494.
Dario decide di punire quei Greci che si sono intromessi nelle vicende interne dei Persiani. Nel 492 parte
una spedizione guidata da Mardonio che arriva in Tracia ed è condotta sia per terra sia per mare. Sulla
terraferma l’esercito persiano subisce una serie di sconfitte da parte dei bellicosi popoli traci. Sul mare la
flotta, durante il passaggio al largo della Calcidica, in corrispondenza della penisola del Monte Athos,
incappa in una tempesta, a causa della quale molte navi urtano gli scogli e affondano. Pur sconfitti, i
Persiani sono riusciti a penetrare in Grecia occupando la Tessaglia e rendendo la Macedonia “vassalla”
del proprio impero. La Macedonia continua a essere governata da un re locale, ma obbedisce all’ordine
dato dal re di Persia di sottomettersi a lui con l’offerta di terra e acqua. Fornire l’acqua e i prodotti della
terra significava garantire il rifornimento agli eserciti.
Nel 490 una spedizione persiana raggiunge la Grecia centrale provocando la cosiddetta prima guerra
persiana. Questa volta è una spedizione solo navale. I Persiani, popolo di terra, non hanno una flotta loro
propria, ma si servono di quella fenicia, di cui si sono impossessati durante l’occupazione del Medio
Oriente. La flotta persiana parte dalla Fenicia, attraversa l’Egeo e si ferma nelle Cicladi. Qui i Persiani
conquistano Nasso e le Cicladi cadono sotto il loro controllo. I Persiani si dirigono poi contro Eretria, al
centro dell’Eubea, la occupano e la danno alle fiamme. L’obiettivo successivo è Atene. Sbarcano a
Maratona su suggerimento di Ippia, il tiranno figlio di Pisistrato che era stato cacciato da Atene. Ippia
probabilmente era presente sulle navi persiane. L’obiettivo dei Persiani era insediarlo ad Atene come
tiranno loro alleato. Gli Ateniesi mandano ambascerie a chiedere aiuto a numerose città greche, ma tutte
trovano qualche scusa per tirarsi indietro. Solo i Plateesi offrono un piccolo contingente. La reazione
degli altri Greci si spiega alla luce della loro interpretazione della spedizione di Dario: essa non viene
vissuta da loro come il desiderio dei Persiani di invadere la Grecia, ma come una spedizione punitiva
contro le sole Atene ed Eretria. A ciò va aggiunto che le città-stato greche avevano l’abitudine di pensare
prima di tutto a se stesse. Quando i Persiani sbarcano a Maratona, gli Ateniesi sono già pronti a
intervenire. Nessuna delle due parti ha il coraggio di attaccare battaglia. Lo stratego Milziade riesce a
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convincere gli Ateniesi a farlo. In questi anni ad Atene lo stratego è prima di tutto il comandante militare,
ma è anche la figura che ha la maggiore importanza sul piano politico. Gli strateghi acquisivano potere
politico grazie ai successi militari. Un po’ inaspettatamente Milziade sconfigge i Persiani. Gli Ateniesi
combattono per la salvezza della loro città, mentre i Persiani sono un esercito poco compatto e motivato.
Milziade avrebbe scelto per attaccare il momento in cui i Persiani stavano risalendo sulle navi per portare
l’attacco direttamente contro Atene. Gli Ateniesi sfruttano questo momento di impreparazione dei
Persiani. Tra questi ultimi, quelli che riescono a imbarcarsi passano il capo Sunio pensando di prendere
Atene alla sprovvista. Del resto l’esercito era a Maratona e gli uomini era tutti lì, a una quarantina di
chilometri da Atene. Gli Ateniesi però mandano un messaggero ad Atene che percorre rapidamente un
tragitto di circa 42,5 km, da cui prenderanno ispirazione le moderne maratone. Il messaggero arriva in
tempo. Gli Ateniesi mobilitano vecchi e ragazzi e li mandano al porto del Pireo. I Persiani capiscono che
la sorpresa non è riuscita e rinunciano alla battaglia. Probabilmente questo esercito raccogliticcio non
avrebbe resistito a lungo, ma gli Ateniesi hanno la meglio perché i Persiani, un po’ a sorpresa, desistono
dall’attacco. La prima guerra persiana si risolve velocemente, con una sola battaglia. Fin da subito Dario
pensa a una rivincita per punire il doppio affronto inferto ai Persiani dagli Ateniesi.
Nel 485 Dario muore e gli succede il figlio Serse, che prima di tutto deve guardarsi dagli altri pretendenti
al trono. Molti popoli soggetti ai Persiani approfittano della situazione per ribellarsi. Nel 481 arriva in
Grecia la notizia che il re di Persia sta raccogliendo un enorme esercito di terra e una possente flotta per
conquistarla. Questa volta tutti i Greci si sentono coinvolti. Le fonti parlano di prónoia, “preveggenza”, di
Temistocle, che aveva dotato gli Ateniesi di una buona flotta. Gli Ateniesi hanno più forza rispetto a dieci
anni prima, ma non possono ugualmente affrontare i Persiani da soli. A Sparta si tiene una riunione di
tutti i Greci e si riesce ad arrivare, momento raro nella storia greca, alla creazione di una lega panellenica
per affrontare il nemico comune. Ci si propone di porre fine alle guerre in atto e di pacificare le città al
loro interno richiamando in patria gli esuli. La Tessaglia chiede agli alleati di posizionare una difesa
“alta” in corrispondenza del passo di Tempe. Siccome però questo passo è troppo ampio per essere difeso,
i Greci preferiscono difendere le Termopili, all’ingresso della Focide. La flotta invece viene attestata al
Capo Artemisio, alla punta estrema dell’Eubea. I Tessali, sentendosi abbandonati, si medizzano, cioè
offrono terra e acqua al re di Persia e lasciano passare il suo esercito. La spedizione dei Persiani, per terra
e per mare, ha inizio nel 480 ed è guidata da Serse in persona. L’Ellesponto viene coperto di chiatte che
consentono a uomini, cavalli e salmerie di passare lo stretto senza il bisogno di essere imbarcati. Per
evitare il passaggio del Monte Athos, i Persiani tagliano la penisola omonima con un istmo. La flotta e
l’esercito persiani scendono senza problami verso sud fino all’Artemisio e alle Termopili.
All’Artemisio si tiene una battaglia navale, per la verità una serie di scaramucce non decisive, in cui
prevalgono i Greci, i quali poi si ritirano perché vengono a sapere della sconfitta alle Termopili. Nel
mentre infatti un traditore mette i Persiani a conoscenza di un passaggio sui monti che permette loro di
aggirare l’ostacolo. Il re di Sparta Leonida si rende conto che la sconfitta è inevitabile perché nello
scontro in campo aperto i Greci non possono reggere l’urto dei Persiani. Allora mantiene presso di sé solo
un manipolo di propri soldati e congeda gli altri contingenti militari greci perché vadano a difendere le
loro città. Gli Spartani resistono per qualche giorno, ma poi sono costretti a cedere e vengono uccisi dai
Persiani. Grazie alla loro resistenza, però, gli altri Greci riescono effettivamente a tornare in patria. Quelli
a sud del Peloponneso erigono una palizzata in corrispondenza dell’Istmo di Corinto. Tebe, trovandosi
sguarnita, decide di medizzare passando dalla parte dei Persiani. Ad Atene Temistocle decide che è
meglio evitare lo scontro in campo aperto. Pertanto svuota la città e manda donne e bambini nel
Peloponneso. Imbarca tutti gli uomini sulle navi e li posiziona di fronte all’isola di Salamina, nel Golfo
Saronico. I Persiani occupano Atene e la danno alle fiamme, ma non possono dirsi vincitori perché non
trovano nessuno da fare prigioniero. Sono costretti ad attaccare gli Ateniesi nel braccio di mare dietro
Salamina. Qui le triremi greche si muovono più agilmente delle grosse navi fenicie in dotazione ai
Persiani e così la vittoria arride agli Ateniesi.
L’anno sta finendo e in pieno inverno le guerre non si combattono. I Persiani pertanto svernano in
Tessaglia. La primavera successiva però tornano ad Atene e la danno nuovamente alle fiamme, ma i Greci
anche questa volta evitano lo scontro in campo aperto. Pausania, reggente per il figlio bambino di
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Leonida, raccoglie tutti i Greci a Platea e li guida a un’inaspettata vittoria contro le truppe persiane
guidate da Mardonio. La flotta persiana si era ritirata in Ionia, a Capo Micale. L’estate successiva la flotta
ateniese affronta presso questa località la flotta persiana e la vince. La seconda guerra persiana finisce. I
Persiani ancora rimasti in Grecia fuggono e tornano in patria. Dopo la battaglia di Capo Micale, gli
Ateniesi aiutano le città dell’Asia Minore a liberarsi dei tiranni filopersiani. Con la liberazione di Sesto
(478) Erodoto considera concluse le guerre persiane.
VITA E OPERE DI ERODOTO
Nascita: 490/480. Morte: 430/420. Erodoto nasce ad Alicarnasso, nel sud dell’Asia Minore. Alicarnasso
era una città di tradizione dorica, ma molto vicina all’area ionica, e in particolare a Mileto. Quest’ultima
esercitava un’influenza politica e culturale molto forte sull’area circostante, per cui il dialetto di Erodoto è
quello ionico. Erodoto si impegna in politica in senso antitirannico. Si schiera contro il tiranno Lìgdami e
va in esilio a Samo. Probabilmente in questo periodo compie molti viaggi: la sua opera attesta la
conoscenza di vaste zone dell’Oriente. Nel 454 Lìgdami viene ucciso e tutta la zona passa sotto il
controllo della Lega delio-attica. Non si sa cosa facesse Erodoto a quest’altezza, ma probabilmente non
rientrò in patria. Nel 445, però, era sicuramente ad Atene, perché nella città si tengono pubbliche letture
della sua opera. È inoltre attestata una sua amicizia con Sofocle. Nel 443 Erodoto è tra i fondatori di Turi,
nel Sud Italia. La città viene fondata mediante un bando panellenico di cui Pericle si occupa in prima
persona. La città di Turi viene costruita in modo simbolico usando i criteri architettonici di Ippodamo da
Mileto. Avrebbe dovuto essere il simbolo di una convivenza pacifica tra i Greci delle più diverse origini e
invece finisce dilaniata dalle guerre civili. Però nel 443 questo bando suscita grandi aspettative. Erodoto
coglie l’invito e va a Turi tra i fondatori. Questo ha fatto pensare che Erodoto fosse amico di Pericle, ma
molti studiosi sono ostili a questa lettura filopericlea. Probabilmente era vicino a Pericle, ma non si può
dire quanto lo sostenesse. Molti dei manoscritti delle vite di Erodoto riportano la sphragis, “firma”,
“Erodoto di Turi”. Probabilmente era il modo autentico in cui l’autore si firmava, ma in età alessandrina
si preferì la dicitura “di Alicarnasso”. È difficile dire quando morì Erodoto. Alcuni studiosi ritengono che
ciò sia avvenuto all’inizio degli anni Trenta del V secolo, ma altri, leggendo nella sua opera allusioni a
fatti ancora successivi, parlano della metà o della fine degli anni Venti. Pertanto Erodoto si è formato una
conoscenza mediata dei fatti e ne ha scritto a decenni di distanza dal loro svolgimento. Alcune
interpretazioni politiche successive ai fatti potrebbero avere avuto un’influenza sulla sua ricostruzione del
passato.
Ad Atene Erodoto compie pubbliche letture. Nel V secolo le letture avvenivano in pubblico. I papiri
erano difficili da maneggiare ed erano scritti su colonne. Non era competenza di tutti leggere un’opera
storica. A partire dal IV secolo si comincia a leggere anche più privatamente. In pieno V secolo, però,
l’opera letteraria, in particolare di argomento storico, era ascoltata. Ciò giustifica il ricorso continuo di
Erodoto all’aneddotica relativamente ai costumi dei vari popoli: evidentemente aveva l’esigenza di
intrattenere un pubblico.
L’opera di Erodoto è oggi divisa in nove libri, a ciascuno dei quali è stato attribuito il nome di una musa.
Tale divisione non è opera di Erodoto, perché ai suoi tempi non esisteva una suddivisione del testo in libri
e paragrafi, ma dei filologi alessandrini. Quando ad Alessandria d’Egitto si sviluppa il Museo, un luogo
dove si radunano studiosi di varie discipline, viene raccolto, sistemato e copiato l’enorme patrimonio
culturale dei secoli precedenti. Dal III secolo moltissimi studiosi riflettono sulle opere degli scrittori
antichi, le riorganizzano e suddividono il loro materiale in libri e capitoli in base alla propria sensibilità.
Sono dunque suddivisioni arbitrarie. Per esempio, la rivolta ionica non inizia da Storie V,1 ma da V,30.
Un altro dubbio che riguarda l’opera di Erodoto è se sia o meno incompiuta. Di sicuro copre tutto
l’ambito cronologico, perché termina dopo le battaglie principali della seconda guerra persiana.
L’impressione di incompiutezza è dovuta alla presenza nel testo di rimandi in avanti che non trovano
alcun riscontro. È il caso della morte di Efialte. Dunque l’opera è incompiuta nel senso che non è stata
revisionata e rimanda a degli approfondimenti che non sono stati scritti. Un altro aspetto discusso è se sia
stato Erodoto stesso a “pubblicare” la sua opera o meno. Chi ritiene che l’opera sia incompiuta pensa che

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Erodoto abbia tenuto pubbliche letture solo delle parti compiute e che la diffusione dell’opera nel suo
complesso sia da attribuire ad autori posteriori.
Un altro problema è la genesi dell’opera. Erodoto ha scritto un’opera sola oppure due? E quando? Alcuni
studiosi ritengono che in un primo momento abbia scritto dei resoconti dei viaggi che aveva compiuto e
solo in seguito abbia aggiunto la narrazione delle guerre persiane. La maggior parte degli studiosi, di
contro, propende per un’ottica unitaria: con la prima parte della sua opera, Erodoto avrebbe voluto fornire
al mondo greco gli strumenti per conoscere i Persiani e dare una chiave di lettura dei loro comportamenti
durante le guerre. Altri studiosi ritengono che le due parti siano state unite solo in età successiva anche
perché l’opera non ha un titolo; Erodoto la firma, ma non le dà un nome.
Erodoto è il primo grande storico del mondo greco. Fino ad allora nessuno aveva scritto un’opera di
storia. Esistevano i logografi, che scrivevano racconti e miti, come Ecatèo di Mileto. La prima opera
storica che prende in esame un periodo antico è proprio quella di Erodoto. Non a caso viene considerato
dagli antichi (p. es. da Cicerone) il padre della storia. La sua storia, molto diversa dalla nostra, è fatta
seguendo due principi base: l’autopsia e l’akoè. L’autopsia è il “vedere da sé”. Erodoto racconta molte
cose che ha visto in prima persona (ma non è il caso delle battaglie delle guerre persiane!). L’akoè è
l’ascolto. Per ciò che non ha visto con i propri occhi, Erodoto riporta il racconto degli altri. Ma, come
avrebbe notato Tucidide, i resoconti di uno stesso fatto sono tutti diversi tra loro. Erodoto cita anche
alcune fonti. Parla spesso di Ecatèo per criticarlo. Secondo gli studiosi, ha commesso qualche plagio,
perché cita lavori altrui senza svelarne la provenienza. Il suo modo di lavorare è raccogliere tante ipotesi e
presentarle al lettore. Nel libro VII afferma che il suo compito è mettere il lettore nelle condizioni di fare
la propria scelta. In altri casi dà una propria interpretazione. L’historie di Erodoto è la ricerca e la
presentazione dei materiali che ha trovato. In alcuni casi Erodoto stesso si rende conto di proporre
racconti inverosimili. I suoi successori, primo fra tutti Tucidide, lo criticheranno per la sua scarsa
oggettività. Erodoto non si pone questo scrupolo. A lui non interessa raccontare la verità, ma ciò che ha
visto o sentito. Talvolta Erodoto inserisce dei racconti per spiegare il carattere di popoli e persone.
Un’altra caratteristica di Erodoto è lo scarso interesse per la cronologia. Per noi l’assenza di riferimenti
cronologici è un problema. Ciò è dovuto al fatto che ogni polis greca e ogni popolo aveva il proprio
calendario. Era impossibile farsi capire da tutti. C’era una difficoltà oggettiva nel ricostruire una
cronologia. Erodoto allora preferisce fornire delle cronologie relative.
Gli storici oggi non danno giudizi morali. Invece Erodoto esprime dei giudizi di valore e manifesta la
convinzione, diffusa al suo tempo, della superiorità dei Greci rispetto a tutti gli altri popoli. Per i Greci
tutti i non Greci erano barbaroi. C’è una difficoltà a comprendere l’alterità.
Erodoto manifesta una forte avversione verso la guerra. In particolare considera la rivolta ionica un errore
e l’inizio di una serie di grandi i mali. Stigmatizza la rivolta e attacca frontalmente Aristagora,
accusandolo di essere un incompetente mosso da fini personali.
Dal punto di vista politico, Erodoto parla spesso di oligarchia. Nella sua opera non troviamo la parola
“aristocrazia” e pochissimo “democrazia”. La democrazia ateniese non nasce con Clistene, ma negli anni
Venti del V secolo. “Democrazia” è un termine che nasce con un significato negativo. Sono gli oligarchi
che lo impiegano per biasimare i colpi di Stato. Erodoto, per parlare in senso positivo di democrazia, usa i
termini “isonomia” e “isegoria”: uguaglianza di fronte alla legge e uguaglianza di parola. Plaude alla
scelta di Sparta di tenersi fuori della rivolta ionica e biasima la scelta ateniese si dare aiuto ad Aristagora.
Ma questo non significa necessariamente che fosse schierato con gli Spartani.

29 settembre 2021
L’interpretazione della figura e dell’opera di Erodoto è molto varia e ha dato luogo a letture discordanti.
Ciò vale in particolare per il rapporto di Erodoto con la religione e gli dèi. In Erodoto gli dèi hanno
sicuramente un ruolo importante e vengono citati molte volte. Tucidide, invece, non dà molta importanza
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al ruolo degli dèi nella vita umana. Per Erodoto, al contrario, tutto proviene dagli dèi. Un caso
emblematico è l’episodio di Creso e dell’oracolo di Delfi. Quando quest’ultimo gli annuncia che, se
avesse attraversato in armi un fiume, un grande impero sarebbe caduto, Creso attacca i Persiani perché è
convinto che l’impero destinato a cadere sia il loro. In realtà gli dèi hanno decretato che a cadere sarà il
suo regno, la Lidia. Gli dèi di Erodoto sono un po’ capricciosi o forse seguono soltanto strade che gli
uomini non comprendono. Gli dèi sono i garanti dell’ordine morale: il rispetto nei loro confronti è il
rispetto nei confronti dell’ordinamento della città. Chi si macchia di empietà non rispetta l’ordine della
città. Chi era riconosciuto colpevole di empietà veniva condannato a morte, perché il rispetto della
religione equivaleva al rispetto delle leggi delle città. Erodoto ha una visione molto pessimistica della vita
umana. Fa dire a Solone che, finché un uomo non è morto, non si può dire che sia stato felice. L’idea è
che l’uomo, finché è in vita, può sempre essere colpito da disgrazie. Per Erodoto ogni uomo è solo, in
particolare è solo di fronte agli dèi. Questi ultimi puniscono gli uomini in modo a volte implacabile e
sono molto avari nel dispensare loro la felicità.
INTRODUZIONE ALLE STORIE
Il proemio. In età classica i Greci non hanno ancora un interesse specifico per i proemi. Sia il proemio di
Erodoto sia quello di Tucidide occupano lo spazio di un solo paragrafo e al loro interno gli autori offrono
una breve presentazione di se stessi e dei loro intenti.
Nel proemio del libro primo, Erodoto definisce la sua opera una historie, “ricerca”, sul passato. Si tratta
di un passato che viene esposto: la storia è allo stesso tempo ricerca e narrazione. Erodoto di Alicarnasso:
è la sphragis, “firma”. Molti manoscritti riportano la firma “Erodoto di Turi”. Aristotele conosceva questa
versione. Molti studiosi credono che la correzione “di Alicarnasso” risalga all’età alessandrina. La storia è
il modo di non far dimenticare le imprese degli uomini. Tucidide si spinge oltre e afferma che la storia è
un possesso per l’eternità, perché, essendo ciclica, tornerà uguale in futuro. Per questo conviene
conoscerla. Erodoto non dice perché non è importante dimenticare le imprese. Tucidide, invece, lo fa. La
conoscenza della storia permetterà anche di evitare degli errori. Le grandi gesta ci fanno pensare
all’epopea omerica, al racconto delle imprese grandi. Così dei Greci come dei barbari: Erodoto è convinto
che i Greci siano superiori agli altri popoli, ma nei primi quattro libri descrive gli usi e i costumi del
mondo barbaro nelle sue diverse declinazioni. La descrizione di questi popoli non è soltanto negativa. La
gloria è un concetto importante: ogni uomo assennato opera per ottenere buona fama presso gli altri
uomini. Un ultimo obiettivo che Erodoto si pone è scoprire le cause delle guerre persiane. Tucidide cerca
le cause della guerra del Peloponneso andando a individuare le aree da cui il conflitto è partito. L’ultima
frase rafforza gli studiosi nella convinzione che Erodoto avesse una visione d’insieme quando scriveva la
sua opera. Erodoto sa che i Greci sanno poco del mondo barbaro. Tucidide parla poco dei barbari e spesso
per azioni poco positive compiute da loro. Erodoto ha un atteggiamento più aperto.
I libro. È dedicato a trovare l’origine della rivalità tra Europa e Asia. Il racconto ha una sfumatura mitica
e si sofferma sui ratti di donne compiuti da entrambe le parti. Fatta salva questa sezione, il mondo mitico
è poco presente in Erodoto. Tuttavia occorre tenere presente che i Greci non distinguevano tra mito e
storia e consideravano il primo storia arcaica. Essi facevano iniziare la fase storica vera e propria dalla
guerra di Troia e parlare di Elena o di Solone era per loro la stessa cosa. Ha poi inizio la digressione
etnografica sulla Lidia con racconti favolistici, come quello di Candaule e Gige. Erodoto si sofferma a
lungo sulla vita dell’ultimo re di Lidia, Creso, sui suoi rapporti con i Greci e su una visita, che non ha
fondamento storico, di Solone. Ma Erodoto, come sappiamo, non si pone problemi di cronologia. Solone
viene introdotto per compiere una riflessione sulla natura umana. In questa parte sulla Lidia, lo storico
inserisce una digressione su Pisistrato e sulla storia arcaica di Sparta. Spesso un semplice riferimento nel
racconto è l’occasione per una digressione. Siccome si parla della conquista della Lidia da parte di Ciro,
Erodoto fa una digressione sulla stirpe dei Medi e l’infanzia di Ciro. Anche in questo caso il tono è
favolistico. Il nonno Astiàge cerca di ucciderlo, ma, essendo volontà degli dèi che diventi re, Ciro sale al
trono e conquista tutta l’Asia. Erodoto inserisce una digressione sui costumi persiani e sulla civiltà
babilonese. La parte finale riguarda i contatti di Ciro con i Greci d’Asia Minore. Ciro muore mentre
combatte con i Massageti della regina Tomiri.
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II libro. È dedicato interamente all’Egitto. Cambise sale al trono e avvia una spedizione per conquistare il
paese. Erodoto non parla della spedizione persiana, ma compone una monografia sulle origini, la
geografia, la religione e la politica degli Egizi. Tra le altre cose, avanza delle ipotesi per spiegare le
inondazioni del Nilo. Propone un confronto fra il culto degli Egizi e dei Greci e trova profonde analogie –
per esempio, dice che il culto di Eracle era nato in Egitto – ma gli storici non danno alcun credito a questi
contatti fra religione egizia e religione greca. Tuttavia Erodoto li istituisce: per esempio, l’oracolo di Zeus
a Dodona è messo in contatto con quello di Zeus Ammone, che sarebbe stato visitato da Alessandro. Si
sofferma sul culto degli animali, in particolare dei gatti, sull’imbalsamazione, cioè su comportamenti
degli Egizi che sono estranei agli usi dei Greci. Fa una storia dei faraoni molto dettagliata, in cui cita
centinaia di re. Parla di Psammetico e di altri faraoni che avevano costruito le piramidi. In queste pagine
dimostra insomma di essere stato in Egitto e di aver esercitato la propria autopsia. Prende in
considerazione i faraoni che hanno avuto rapporti con i Greci. È il caso, tra gli altri, di Amasi, che
concede ai Greci di costruire l’emporio di Nàucrati.
III libro. Erodoto prosegue la storia dell’Egitto ricollegandosi al mondo dei Persiani. Nel 525 la
spedizione di Cambise si conclude con la conquista del paese. Il re di Persia vorrebbe continuare
l’espansione verso l’Etiopia, ma qui si vede opporre una resistenza insuperabile. Troviamo poi una
digressione storica sulle vicende di Policrate di Samo e di Periandro di Corinto. A proposito di Corinto,
Erodoto indugia lungamente su Cìpselo. Alla morte di Cambise si verificano problemi di successione.
Alcune pagine interessanti sono dedicate al discorso tripolitikós. Erodoto qui riflette sui diversi modelli di
costituzione politica: la democrazia, che chiama isonomia, l’oligarchia e la monarchia. Tre dignitari
persiani elogiano ciascuno una di queste tre forme di governo. A prevalere è Dario con la monarchia. Si
tratta di un’interpretazione greca che viene messa in bocca a dei Persiani del III secolo. Segue una
digressione sulle province tributarie dell’impero, in particolare sull’Arabia e sull’India. L’India era
un’area quasi del tutto sconosciuta e il resoconto di Erodoto su di essa è ricco di elementi favolistici. Il
libro si chiude con la ribellione di Babilonia.
IV libro. Nel 513 Dario compie una spedizione contro gli Sciti, un popolo barbaro delle steppe del Sud
della Russia. Sono popoli nomadi, che si spostano a cavallo. Erodoto sfrutta l’occasione per parlare dei
popoli del Nord. In particolare si sofferma sul popolo degli Iperborei. Parla anche delle Amazzoni, che
abitano nella stessa area degli Sciti. Terminata la digressione etnografica, riprende il racconto storico con
l’invasione di Dario ai danni degli Sciti. Subito dopo inizia a raccontare di Cirene e della Libia (Nord
Africa). Cirene è una fondazione di Thera (odierna Santorini). I Terei, ricevuto il responso di un oracolo
che li manda a fondare la città, lo fanno, ma controvoglia e dopo essere stati costretti. Con il IV libro
termina la parte di racconto sulle terre lontane dalla Grecia entrate nell’orbita persiana.
V libro. Si apre con una digressione sui Peòni, un popolo barbaro del Nord dell’Egeo che incomincerà a
dare problemi ai Greci solo ai tempi di Filippo. La spedizione scitica fallisce, ma i Persiani riescono a
conquistare delle posizioni in Tracia. Dal capitolo 30 prende avvio la storia della rivolta ionica. Il registro
di Erodoto cambia in modo piuttosto netto. Non vi è più un’alternanza continua di racconti etnografici,
mitici e storici. Ci sono digressioni, ma il discorso storico è più continuativo. Si parla di Nasso. Viene
dedicato un ampio spazio alla visita di Aristagora ad Atene e a Sparta, che fornisce l’occasione per una
digressione sui re di Sparta e sulla storia di Atene tra VI e V secolo. Si parla della morte di Aristagora.
VI libro. Inizia con la parte finale della rivolta ionica, ora capeggiata da Istieo, e narra la caduta di Mileto
nel 494. C’è una digressione su Milziade; Erodoto ci parla della sua famiglia, i Filaidi. Subito dopo ci
racconta la spedizione navale di Mardonio del 492 e riprende una digressione sulle famiglie regali
spartane. Cleomène è presentato come il re più importante della storia arcaica spartana. Segue il racconto
dettagliato della battaglia di Maratona. Secondo una voce che Erodoto riferisce, gli Alcmeonidi avrebbero
fatto segnali luminosi ai Persiani per indurli a entrare in città dal Pireo. Erodoto fa la storia degli
Alcmeonidi, la famiglia di Clistene e poi di Pericle. È uno dei pochi casi in cui prende posizione,
affermando che gli Alcmeonidi non tradirono Atene e non chiamarono in appoggio i Persiani. In effetti
gli Alcmeonidi erano coloro che avevano abbattuto la tirannide di Ippia. In ogni caso queste voci sulla
famiglia di Pericle sono interessanti: alla fine degli anni Trenta questi è in grande difficoltà, perché molti
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uomini del suo entourage vengono messi sotto processo. Questo non vuol dire che Erodoto sia
filopericleo, ma dimostra che in qualche modo la contemporaneità è entrata nel suo racconto. Segue la
narrazione della spedizione degli Ateniesi contro Paro per liberare le Cicladi sotto la guida di Milziade.
La spedizione ha esito negativo e Milziade muore.
Libro VII. Rende conto delle vicende degli anni 486-480, il periodo compreso tra la morte di Dario e
quella di Leonida. È un libro molto tecnico che contiene poche digressioni. La prima parte è sui
preparativi dei Persiani. Serse è indeciso se fare o meno la spedizione contro i Greci e consulta i propri
dignitari: Mardonio vuole farla, Artàbano no. Serse non vorrebbe fare la spedizione, ma un fantasma lo
induce a partire. È una storia piuttosto improbabile, ma serve ad Erodoto a mostrare il tormento interiore
del re di Persia e le posizioni dei suoi consiglieri. È anche un modo per vivacizzare il racconto. Si narrano
anche i preparativi dei Greci con la riflessione sui luoghi più opportuni per schierare l’esercito e la flotta.
Emerge la figura di Temistocle, che viene elogiato per la costruzione della flotta. C’è il racconto
dell’oracolo di Delfi. Quest’ultimo, forse corrotto, invita i Greci a medizzare e poi suggerisce di mettersi
in salvo tra le mura di legno. Gli Spartani decidono di erigere una palizzata lungo il Peloponneso, mentre
Temistocle suggerisce di affidarsi alle navi. I Greci chiedono aiuto anche a Gelone di Siracusa, che però
accampa pretese irricevibili e alla fine non interviene. È l’occasione per fare la storia dei Dinomenidi di
Siracusa. Si parla delle prime fasi di combattimento e della battaglia delle Termopili.
Libro VIII. Viene raccontata innanzitutto la battaglia navale dell’Artemisio. Trovano spazio aneddoti su
Artemisia, una regina della Caria nota per la sua abilità nel combattimento. Nell’area sotto il suo
controllo, questa donna ottiene una vittoria a favore dei Persiani. Serse allora, per umiliare i comandanti
maschi della sua flotta, invia loro un oggetto tipicamente femminile, un fuso, mentre ad Artemisia dona
un oggetto maschile sostenendo che era stata l’unica a dimostrare un comportamento virile. Erodoto
descrive nei dettagli l’avanzata persiana in Grecia, l’incendio di Atene e la battaglia di Salamina. C’è
un’interruzione legata ai movimenti dei Persiani nel nord dell’Egeo. Fa una digressione sulla Macedonia,
un’area considerata barbara dai Greci. Erodoto fornisce qualche notizia sui re Macedoni, uno dei quali,
Alessandro, si reca ad Atene per convincere i Greci ad abbandonare la guerra e a medizzare. Gli Ateniesi
sono sdegnati e così anche gli Spartani. Questo episodio dà ad Erodoto l’occasione di riflettere su cosa
voglia dire essere Greci, l’ellenikón. Ciò che unisce i Greci è la lingua, gli dèi, gli usi e i costumi. La
Grecità è qualcosa di specifico.
Libro IX. È dedicato al 479-8. Ad Atene l’anno iniziava a fine giugno-inizio luglio, per questo c’è
l’indicazione della doppia datazione. Nel libro Erodoto parla della seconda invasione dell’Attica e del
tentativo di Mardonio di portare alcuni Greci dalla parte dei Persiani. Tutti i Greci confluiscono a Platea e
vincono. La battaglia di Capo Micale si conclude con un’ulteriore vittoria dei Greci. Segue una
digressione sulla corte dei Persiani e sugli intrighi che si tramano presso di essa. La flotta greca, guidata
dagli Ateniesi, libera molte città lungo la costa dell’Asia fino a Sesto. Dopo ciò si apre la fase della
pentecontetìa, che verrà raccontata in maniera molto sbrigativa da Tucidide nel primo libro della sua
opera. Sono gli anni dell’ascesa di Atene. Purtroppo non abbiamo una narrazione specifica su questo
periodo.
ERODOTO, STORIE V, 30 E SGG.
Dal discorso su Paro e Mileto, Erodoto dà inizio al racconto che riguarda la rivolta ionica. Il sorgere delle
sciagure: è l’inizio dei mali. Erodoto dà la sua interpretazione della rivolta ionica ancor prima di
raccontare la storia. L’origine del fatto è da individuare in alcune vicende relative a Nasso. Gli uomini del
popolo grasso: pachus è grasso proprio nel senso fisico. Gli uomini grassi, per tradizione, sono i ricchi.
Vengono cacciati dal dhmos: non è solo il popolo, ma la parte del popolo che non è aristocratica. C’è una
stasis, “guerra civile” fra gli aristocratici e la parte democratica. I primi vengono cacciati e vanno a
Mileto. Erodoto usa la parola epitropos, governatore, per Aristagora. Istieo è il vero tiranno di Mileto,
mentre Aristagora è solo un facente funzioni. Dunque c’è una svalutazione di Aristagora. Erodoto lo
presenta con il patronimico perché è la prima volta che lo nomina. Era legato ad Istieo da un rapporto di
parentela. Qui non racconta perché Istieo si trovasse a Susa, perché lo ha già raccontato in precedenza. I

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Nassi erano ospiti di Istieo. Xenos è una parola importante: per i Greci è sia lo straniero sia l’ospite: è lo
straniero che deve essere accolto. Il diritto di ospitalità non vige verso tutti gli stranieri, ma tra i soli
Greci, oppure tra costoro e i popoli con cui stringono accordi specifici. Per esempio, tra i Nassi e i Milesi
c’è un accordo specifico.

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