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Bianca, Storia Greca I-II-III
Bianca, Storia Greca I-II-III
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Erodoto abbia tenuto pubbliche letture solo delle parti compiute e che la diffusione dell’opera nel suo
complesso sia da attribuire ad autori posteriori.
Un altro problema è la genesi dell’opera. Erodoto ha scritto un’opera sola oppure due? E quando? Alcuni
studiosi ritengono che in un primo momento abbia scritto dei resoconti dei viaggi che aveva compiuto e
solo in seguito abbia aggiunto la narrazione delle guerre persiane. La maggior parte degli studiosi, di
contro, propende per un’ottica unitaria: con la prima parte della sua opera, Erodoto avrebbe voluto fornire
al mondo greco gli strumenti per conoscere i Persiani e dare una chiave di lettura dei loro comportamenti
durante le guerre. Altri studiosi ritengono che le due parti siano state unite solo in età successiva anche
perché l’opera non ha un titolo; Erodoto la firma, ma non le dà un nome.
Erodoto è il primo grande storico del mondo greco. Fino ad allora nessuno aveva scritto un’opera di
storia. Esistevano i logografi, che scrivevano racconti e miti, come Ecatèo di Mileto. La prima opera
storica che prende in esame un periodo antico è proprio quella di Erodoto. Non a caso viene considerato
dagli antichi (p. es. da Cicerone) il padre della storia. La sua storia, molto diversa dalla nostra, è fatta
seguendo due principi base: l’autopsia e l’akoè. L’autopsia è il “vedere da sé”. Erodoto racconta molte
cose che ha visto in prima persona (ma non è il caso delle battaglie delle guerre persiane!). L’akoè è
l’ascolto. Per ciò che non ha visto con i propri occhi, Erodoto riporta il racconto degli altri. Ma, come
avrebbe notato Tucidide, i resoconti di uno stesso fatto sono tutti diversi tra loro. Erodoto cita anche
alcune fonti. Parla spesso di Ecatèo per criticarlo. Secondo gli studiosi, ha commesso qualche plagio,
perché cita lavori altrui senza svelarne la provenienza. Il suo modo di lavorare è raccogliere tante ipotesi e
presentarle al lettore. Nel libro VII afferma che il suo compito è mettere il lettore nelle condizioni di fare
la propria scelta. In altri casi dà una propria interpretazione. L’historie di Erodoto è la ricerca e la
presentazione dei materiali che ha trovato. In alcuni casi Erodoto stesso si rende conto di proporre
racconti inverosimili. I suoi successori, primo fra tutti Tucidide, lo criticheranno per la sua scarsa
oggettività. Erodoto non si pone questo scrupolo. A lui non interessa raccontare la verità, ma ciò che ha
visto o sentito. Talvolta Erodoto inserisce dei racconti per spiegare il carattere di popoli e persone.
Un’altra caratteristica di Erodoto è lo scarso interesse per la cronologia. Per noi l’assenza di riferimenti
cronologici è un problema. Ciò è dovuto al fatto che ogni polis greca e ogni popolo aveva il proprio
calendario. Era impossibile farsi capire da tutti. C’era una difficoltà oggettiva nel ricostruire una
cronologia. Erodoto allora preferisce fornire delle cronologie relative.
Gli storici oggi non danno giudizi morali. Invece Erodoto esprime dei giudizi di valore e manifesta la
convinzione, diffusa al suo tempo, della superiorità dei Greci rispetto a tutti gli altri popoli. Per i Greci
tutti i non Greci erano barbaroi. C’è una difficoltà a comprendere l’alterità.
Erodoto manifesta una forte avversione verso la guerra. In particolare considera la rivolta ionica un errore
e l’inizio di una serie di grandi i mali. Stigmatizza la rivolta e attacca frontalmente Aristagora,
accusandolo di essere un incompetente mosso da fini personali.
Dal punto di vista politico, Erodoto parla spesso di oligarchia. Nella sua opera non troviamo la parola
“aristocrazia” e pochissimo “democrazia”. La democrazia ateniese non nasce con Clistene, ma negli anni
Venti del V secolo. “Democrazia” è un termine che nasce con un significato negativo. Sono gli oligarchi
che lo impiegano per biasimare i colpi di Stato. Erodoto, per parlare in senso positivo di democrazia, usa i
termini “isonomia” e “isegoria”: uguaglianza di fronte alla legge e uguaglianza di parola. Plaude alla
scelta di Sparta di tenersi fuori della rivolta ionica e biasima la scelta ateniese si dare aiuto ad Aristagora.
Ma questo non significa necessariamente che fosse schierato con gli Spartani.
29 settembre 2021
L’interpretazione della figura e dell’opera di Erodoto è molto varia e ha dato luogo a letture discordanti.
Ciò vale in particolare per il rapporto di Erodoto con la religione e gli dèi. In Erodoto gli dèi hanno
sicuramente un ruolo importante e vengono citati molte volte. Tucidide, invece, non dà molta importanza
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al ruolo degli dèi nella vita umana. Per Erodoto, al contrario, tutto proviene dagli dèi. Un caso
emblematico è l’episodio di Creso e dell’oracolo di Delfi. Quando quest’ultimo gli annuncia che, se
avesse attraversato in armi un fiume, un grande impero sarebbe caduto, Creso attacca i Persiani perché è
convinto che l’impero destinato a cadere sia il loro. In realtà gli dèi hanno decretato che a cadere sarà il
suo regno, la Lidia. Gli dèi di Erodoto sono un po’ capricciosi o forse seguono soltanto strade che gli
uomini non comprendono. Gli dèi sono i garanti dell’ordine morale: il rispetto nei loro confronti è il
rispetto nei confronti dell’ordinamento della città. Chi si macchia di empietà non rispetta l’ordine della
città. Chi era riconosciuto colpevole di empietà veniva condannato a morte, perché il rispetto della
religione equivaleva al rispetto delle leggi delle città. Erodoto ha una visione molto pessimistica della vita
umana. Fa dire a Solone che, finché un uomo non è morto, non si può dire che sia stato felice. L’idea è
che l’uomo, finché è in vita, può sempre essere colpito da disgrazie. Per Erodoto ogni uomo è solo, in
particolare è solo di fronte agli dèi. Questi ultimi puniscono gli uomini in modo a volte implacabile e
sono molto avari nel dispensare loro la felicità.
INTRODUZIONE ALLE STORIE
Il proemio. In età classica i Greci non hanno ancora un interesse specifico per i proemi. Sia il proemio di
Erodoto sia quello di Tucidide occupano lo spazio di un solo paragrafo e al loro interno gli autori offrono
una breve presentazione di se stessi e dei loro intenti.
Nel proemio del libro primo, Erodoto definisce la sua opera una historie, “ricerca”, sul passato. Si tratta
di un passato che viene esposto: la storia è allo stesso tempo ricerca e narrazione. Erodoto di Alicarnasso:
è la sphragis, “firma”. Molti manoscritti riportano la firma “Erodoto di Turi”. Aristotele conosceva questa
versione. Molti studiosi credono che la correzione “di Alicarnasso” risalga all’età alessandrina. La storia è
il modo di non far dimenticare le imprese degli uomini. Tucidide si spinge oltre e afferma che la storia è
un possesso per l’eternità, perché, essendo ciclica, tornerà uguale in futuro. Per questo conviene
conoscerla. Erodoto non dice perché non è importante dimenticare le imprese. Tucidide, invece, lo fa. La
conoscenza della storia permetterà anche di evitare degli errori. Le grandi gesta ci fanno pensare
all’epopea omerica, al racconto delle imprese grandi. Così dei Greci come dei barbari: Erodoto è convinto
che i Greci siano superiori agli altri popoli, ma nei primi quattro libri descrive gli usi e i costumi del
mondo barbaro nelle sue diverse declinazioni. La descrizione di questi popoli non è soltanto negativa. La
gloria è un concetto importante: ogni uomo assennato opera per ottenere buona fama presso gli altri
uomini. Un ultimo obiettivo che Erodoto si pone è scoprire le cause delle guerre persiane. Tucidide cerca
le cause della guerra del Peloponneso andando a individuare le aree da cui il conflitto è partito. L’ultima
frase rafforza gli studiosi nella convinzione che Erodoto avesse una visione d’insieme quando scriveva la
sua opera. Erodoto sa che i Greci sanno poco del mondo barbaro. Tucidide parla poco dei barbari e spesso
per azioni poco positive compiute da loro. Erodoto ha un atteggiamento più aperto.
I libro. È dedicato a trovare l’origine della rivalità tra Europa e Asia. Il racconto ha una sfumatura mitica
e si sofferma sui ratti di donne compiuti da entrambe le parti. Fatta salva questa sezione, il mondo mitico
è poco presente in Erodoto. Tuttavia occorre tenere presente che i Greci non distinguevano tra mito e
storia e consideravano il primo storia arcaica. Essi facevano iniziare la fase storica vera e propria dalla
guerra di Troia e parlare di Elena o di Solone era per loro la stessa cosa. Ha poi inizio la digressione
etnografica sulla Lidia con racconti favolistici, come quello di Candaule e Gige. Erodoto si sofferma a
lungo sulla vita dell’ultimo re di Lidia, Creso, sui suoi rapporti con i Greci e su una visita, che non ha
fondamento storico, di Solone. Ma Erodoto, come sappiamo, non si pone problemi di cronologia. Solone
viene introdotto per compiere una riflessione sulla natura umana. In questa parte sulla Lidia, lo storico
inserisce una digressione su Pisistrato e sulla storia arcaica di Sparta. Spesso un semplice riferimento nel
racconto è l’occasione per una digressione. Siccome si parla della conquista della Lidia da parte di Ciro,
Erodoto fa una digressione sulla stirpe dei Medi e l’infanzia di Ciro. Anche in questo caso il tono è
favolistico. Il nonno Astiàge cerca di ucciderlo, ma, essendo volontà degli dèi che diventi re, Ciro sale al
trono e conquista tutta l’Asia. Erodoto inserisce una digressione sui costumi persiani e sulla civiltà
babilonese. La parte finale riguarda i contatti di Ciro con i Greci d’Asia Minore. Ciro muore mentre
combatte con i Massageti della regina Tomiri.
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II libro. È dedicato interamente all’Egitto. Cambise sale al trono e avvia una spedizione per conquistare il
paese. Erodoto non parla della spedizione persiana, ma compone una monografia sulle origini, la
geografia, la religione e la politica degli Egizi. Tra le altre cose, avanza delle ipotesi per spiegare le
inondazioni del Nilo. Propone un confronto fra il culto degli Egizi e dei Greci e trova profonde analogie –
per esempio, dice che il culto di Eracle era nato in Egitto – ma gli storici non danno alcun credito a questi
contatti fra religione egizia e religione greca. Tuttavia Erodoto li istituisce: per esempio, l’oracolo di Zeus
a Dodona è messo in contatto con quello di Zeus Ammone, che sarebbe stato visitato da Alessandro. Si
sofferma sul culto degli animali, in particolare dei gatti, sull’imbalsamazione, cioè su comportamenti
degli Egizi che sono estranei agli usi dei Greci. Fa una storia dei faraoni molto dettagliata, in cui cita
centinaia di re. Parla di Psammetico e di altri faraoni che avevano costruito le piramidi. In queste pagine
dimostra insomma di essere stato in Egitto e di aver esercitato la propria autopsia. Prende in
considerazione i faraoni che hanno avuto rapporti con i Greci. È il caso, tra gli altri, di Amasi, che
concede ai Greci di costruire l’emporio di Nàucrati.
III libro. Erodoto prosegue la storia dell’Egitto ricollegandosi al mondo dei Persiani. Nel 525 la
spedizione di Cambise si conclude con la conquista del paese. Il re di Persia vorrebbe continuare
l’espansione verso l’Etiopia, ma qui si vede opporre una resistenza insuperabile. Troviamo poi una
digressione storica sulle vicende di Policrate di Samo e di Periandro di Corinto. A proposito di Corinto,
Erodoto indugia lungamente su Cìpselo. Alla morte di Cambise si verificano problemi di successione.
Alcune pagine interessanti sono dedicate al discorso tripolitikós. Erodoto qui riflette sui diversi modelli di
costituzione politica: la democrazia, che chiama isonomia, l’oligarchia e la monarchia. Tre dignitari
persiani elogiano ciascuno una di queste tre forme di governo. A prevalere è Dario con la monarchia. Si
tratta di un’interpretazione greca che viene messa in bocca a dei Persiani del III secolo. Segue una
digressione sulle province tributarie dell’impero, in particolare sull’Arabia e sull’India. L’India era
un’area quasi del tutto sconosciuta e il resoconto di Erodoto su di essa è ricco di elementi favolistici. Il
libro si chiude con la ribellione di Babilonia.
IV libro. Nel 513 Dario compie una spedizione contro gli Sciti, un popolo barbaro delle steppe del Sud
della Russia. Sono popoli nomadi, che si spostano a cavallo. Erodoto sfrutta l’occasione per parlare dei
popoli del Nord. In particolare si sofferma sul popolo degli Iperborei. Parla anche delle Amazzoni, che
abitano nella stessa area degli Sciti. Terminata la digressione etnografica, riprende il racconto storico con
l’invasione di Dario ai danni degli Sciti. Subito dopo inizia a raccontare di Cirene e della Libia (Nord
Africa). Cirene è una fondazione di Thera (odierna Santorini). I Terei, ricevuto il responso di un oracolo
che li manda a fondare la città, lo fanno, ma controvoglia e dopo essere stati costretti. Con il IV libro
termina la parte di racconto sulle terre lontane dalla Grecia entrate nell’orbita persiana.
V libro. Si apre con una digressione sui Peòni, un popolo barbaro del Nord dell’Egeo che incomincerà a
dare problemi ai Greci solo ai tempi di Filippo. La spedizione scitica fallisce, ma i Persiani riescono a
conquistare delle posizioni in Tracia. Dal capitolo 30 prende avvio la storia della rivolta ionica. Il registro
di Erodoto cambia in modo piuttosto netto. Non vi è più un’alternanza continua di racconti etnografici,
mitici e storici. Ci sono digressioni, ma il discorso storico è più continuativo. Si parla di Nasso. Viene
dedicato un ampio spazio alla visita di Aristagora ad Atene e a Sparta, che fornisce l’occasione per una
digressione sui re di Sparta e sulla storia di Atene tra VI e V secolo. Si parla della morte di Aristagora.
VI libro. Inizia con la parte finale della rivolta ionica, ora capeggiata da Istieo, e narra la caduta di Mileto
nel 494. C’è una digressione su Milziade; Erodoto ci parla della sua famiglia, i Filaidi. Subito dopo ci
racconta la spedizione navale di Mardonio del 492 e riprende una digressione sulle famiglie regali
spartane. Cleomène è presentato come il re più importante della storia arcaica spartana. Segue il racconto
dettagliato della battaglia di Maratona. Secondo una voce che Erodoto riferisce, gli Alcmeonidi avrebbero
fatto segnali luminosi ai Persiani per indurli a entrare in città dal Pireo. Erodoto fa la storia degli
Alcmeonidi, la famiglia di Clistene e poi di Pericle. È uno dei pochi casi in cui prende posizione,
affermando che gli Alcmeonidi non tradirono Atene e non chiamarono in appoggio i Persiani. In effetti
gli Alcmeonidi erano coloro che avevano abbattuto la tirannide di Ippia. In ogni caso queste voci sulla
famiglia di Pericle sono interessanti: alla fine degli anni Trenta questi è in grande difficoltà, perché molti
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uomini del suo entourage vengono messi sotto processo. Questo non vuol dire che Erodoto sia
filopericleo, ma dimostra che in qualche modo la contemporaneità è entrata nel suo racconto. Segue la
narrazione della spedizione degli Ateniesi contro Paro per liberare le Cicladi sotto la guida di Milziade.
La spedizione ha esito negativo e Milziade muore.
Libro VII. Rende conto delle vicende degli anni 486-480, il periodo compreso tra la morte di Dario e
quella di Leonida. È un libro molto tecnico che contiene poche digressioni. La prima parte è sui
preparativi dei Persiani. Serse è indeciso se fare o meno la spedizione contro i Greci e consulta i propri
dignitari: Mardonio vuole farla, Artàbano no. Serse non vorrebbe fare la spedizione, ma un fantasma lo
induce a partire. È una storia piuttosto improbabile, ma serve ad Erodoto a mostrare il tormento interiore
del re di Persia e le posizioni dei suoi consiglieri. È anche un modo per vivacizzare il racconto. Si narrano
anche i preparativi dei Greci con la riflessione sui luoghi più opportuni per schierare l’esercito e la flotta.
Emerge la figura di Temistocle, che viene elogiato per la costruzione della flotta. C’è il racconto
dell’oracolo di Delfi. Quest’ultimo, forse corrotto, invita i Greci a medizzare e poi suggerisce di mettersi
in salvo tra le mura di legno. Gli Spartani decidono di erigere una palizzata lungo il Peloponneso, mentre
Temistocle suggerisce di affidarsi alle navi. I Greci chiedono aiuto anche a Gelone di Siracusa, che però
accampa pretese irricevibili e alla fine non interviene. È l’occasione per fare la storia dei Dinomenidi di
Siracusa. Si parla delle prime fasi di combattimento e della battaglia delle Termopili.
Libro VIII. Viene raccontata innanzitutto la battaglia navale dell’Artemisio. Trovano spazio aneddoti su
Artemisia, una regina della Caria nota per la sua abilità nel combattimento. Nell’area sotto il suo
controllo, questa donna ottiene una vittoria a favore dei Persiani. Serse allora, per umiliare i comandanti
maschi della sua flotta, invia loro un oggetto tipicamente femminile, un fuso, mentre ad Artemisia dona
un oggetto maschile sostenendo che era stata l’unica a dimostrare un comportamento virile. Erodoto
descrive nei dettagli l’avanzata persiana in Grecia, l’incendio di Atene e la battaglia di Salamina. C’è
un’interruzione legata ai movimenti dei Persiani nel nord dell’Egeo. Fa una digressione sulla Macedonia,
un’area considerata barbara dai Greci. Erodoto fornisce qualche notizia sui re Macedoni, uno dei quali,
Alessandro, si reca ad Atene per convincere i Greci ad abbandonare la guerra e a medizzare. Gli Ateniesi
sono sdegnati e così anche gli Spartani. Questo episodio dà ad Erodoto l’occasione di riflettere su cosa
voglia dire essere Greci, l’ellenikón. Ciò che unisce i Greci è la lingua, gli dèi, gli usi e i costumi. La
Grecità è qualcosa di specifico.
Libro IX. È dedicato al 479-8. Ad Atene l’anno iniziava a fine giugno-inizio luglio, per questo c’è
l’indicazione della doppia datazione. Nel libro Erodoto parla della seconda invasione dell’Attica e del
tentativo di Mardonio di portare alcuni Greci dalla parte dei Persiani. Tutti i Greci confluiscono a Platea e
vincono. La battaglia di Capo Micale si conclude con un’ulteriore vittoria dei Greci. Segue una
digressione sulla corte dei Persiani e sugli intrighi che si tramano presso di essa. La flotta greca, guidata
dagli Ateniesi, libera molte città lungo la costa dell’Asia fino a Sesto. Dopo ciò si apre la fase della
pentecontetìa, che verrà raccontata in maniera molto sbrigativa da Tucidide nel primo libro della sua
opera. Sono gli anni dell’ascesa di Atene. Purtroppo non abbiamo una narrazione specifica su questo
periodo.
ERODOTO, STORIE V, 30 E SGG.
Dal discorso su Paro e Mileto, Erodoto dà inizio al racconto che riguarda la rivolta ionica. Il sorgere delle
sciagure: è l’inizio dei mali. Erodoto dà la sua interpretazione della rivolta ionica ancor prima di
raccontare la storia. L’origine del fatto è da individuare in alcune vicende relative a Nasso. Gli uomini del
popolo grasso: pachus è grasso proprio nel senso fisico. Gli uomini grassi, per tradizione, sono i ricchi.
Vengono cacciati dal dhmos: non è solo il popolo, ma la parte del popolo che non è aristocratica. C’è una
stasis, “guerra civile” fra gli aristocratici e la parte democratica. I primi vengono cacciati e vanno a
Mileto. Erodoto usa la parola epitropos, governatore, per Aristagora. Istieo è il vero tiranno di Mileto,
mentre Aristagora è solo un facente funzioni. Dunque c’è una svalutazione di Aristagora. Erodoto lo
presenta con il patronimico perché è la prima volta che lo nomina. Era legato ad Istieo da un rapporto di
parentela. Qui non racconta perché Istieo si trovasse a Susa, perché lo ha già raccontato in precedenza. I
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Nassi erano ospiti di Istieo. Xenos è una parola importante: per i Greci è sia lo straniero sia l’ospite: è lo
straniero che deve essere accolto. Il diritto di ospitalità non vige verso tutti gli stranieri, ma tra i soli
Greci, oppure tra costoro e i popoli con cui stringono accordi specifici. Per esempio, tra i Nassi e i Milesi
c’è un accordo specifico.
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