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La presenza dell’uomo in Italia risale a circa 750 mila anni fa con l’uomo erectus, tracce più recenti sono
quelle dell’uomo sapiens durante il Paleolitico. L’uomo era un cacciatore, si vestiva con le pelli degli
animali, viveva in ripari sotto la roccia o in grotte, che illuminava con torce e lucerne in pietra, alimentate
da grasso di animale. Vivevano in piccoli gruppi, praticavano la caccia e pesca e raccoglievano ciò che la
natura produceva. Con il ritiro dei ghiaccia, circa 12 mila anni fa, anche le valli alpine cominciarono ad
essere frequentate da gruppi umani. Con la scoperta dell’agricoltura nacquero le prime comunità di villaggi,
costruivano case di mattoni d’argilla, allevavano bestiame e coltivavano orzo, frumento, farro e legumi.
Palafitte e terramare
Durante l’età del bronzo, nella zona corrispondente al Veneto, al Trentino e in parte alla Lombardia,
vivevano cacciatori e pescatori in villaggi di case di legno sostenute da alti pali infissi nell’acqua di fiumi,
terre paludose o laghi. Queste palafitte avevano un duplice vantaggio: costante riserva idrica ed efficace
difesa contro l’assalto di nemici e animali selvatici. In Emilia venivano costruite palafitte sul terreno asciutto
ma ricco di umidità, chiamate “terramaricoli” da “terra marna” ovvero terra grassa. Gli abitanti delle
terramare coltivavano grano, orzo e miglio, allevavano pecore, capre e maiali e furono tra i primi ad
utilizzare il cavallo per il trasporto e la guerra, erano abili produttori di ceramica ed esperti lavoratori del
legno e dei metalli.
Le città etrusche
La potenza e floridezza degli Etruschi la si può notare dalle loro necropoli e dalle città circondate da mura
imponenti. Furono infatti il primo popolo ad abitare in vere e proprie città. L’impiego dell’arco fu un
grandissimo progresso, applicato largamente dagli Etruschi ed ereditato dai Romani. Infatti l’arco può
sopportare un grande peso ed essere molto ampio, senza bisogno di sostegni intermedi. Gli Egiziani, che
ignoravano l’arco, ebbero bisogno di molte colonne per sostenere le travi dei loro templi. Gli Etruschi
furono abili a scavare canali, a bonificare terreni e a costruire strade. Sfruttarono a fondo il loro territorio
ricco di risorse naturali: miniere di ferro (isola Elba), d’argento (Argentario), d’allume (monti della Tolfa e
nel Lazio).
La sepoltura de defunti
I morti venivano adagiati con i loro abiti e gioielli migliori su letti di pietra o chiusi dentro sarcofaghi di
terracotta. Ai loro piedi erano lasciati vasi in bucchero o dipinti, e tutti gli oggetti che potessero essere utili a
continuare a vivere bene. Amavano tanto la musica e il buon cibo.
La cultura
Erano un popolo abile nella lavorazione dell’argilla e dei metalli. Ogni città aveva al suo interno vari templi,
uno dedicato a Tinia, il dio dei fulmini, a Uni, sua moglie e a Menrva. Pensavano che gli uomini potessero
conoscere il futuro assegnato, infatti gli auguri e gli auspici, sacerdoti esperti nell’interpretazione dei segni,
osservavano i fulmini o il volo degli uccelli o come beccavano i polli nel pollaio sacro o esaminavano con
cura il fegato degli animali sacrificati dividendolo in 16 zone, favorevoli o sfavorevoli.
Le risposte dell’archeologia
Si pensa piuttosto al progressivo costruirsi e crescere della città bel corso del tempo. L’area dei colli di
Roma era già abitata dal 1500 a.C. circa.
Roma etrusca
Gli Etruschi per espandere i propri traffici commerciali e raggiungere la Campania, fiorente centro di cultura
greca, aveva bisogno di passare per Roma. Fu così che la fecero dipendere sotto la propria influenza e la
città conobbe il governo di re etruschi. Il primo fu Tarquinio Prisco che fece costruire un tempio a Giove, il
grandioso Circo Massimo, prosciugò le zone paludose e introdusse l’uso dei littori. Servio Tullio invece viene
ricordato per le sue riforme: introdusse la moneta, riorganizzò l’esercito e lo stato. Il suo successore fu
Tarquinio il Superbo, che venne cacciato nel 509 a.C. Durante la dominazione etrusca Roma si ingrandì
arrivando ad includere anche i colli Celio, Esquilino, Aventino e Gianicolo.
Consoli e senato
Con la caduta della monarchia si affermò la repubblica. I nobili che avevano guidato la rivolta, fecero in
modo che il potere fosse affidato non più solo ad un uomo ma a due magistrati: i consoli. Essi detenevano il
supremo comando civile e militare e il loro grado era pari in tutto, guidavano l’esercito, convocavano il
senato e presiedevano i “comizi”. Rimanevano in carica un anno solo ed erano assistiti dal senato, di cui
diventavano membri allo scadere del loro incarico. In circostanze particolarmente difficili e di pericolo, i
consoli potevano nominare un “dittatore” unico, che durava in carica sei mesi e aveva poteri assoluti. Il
senato era formato soprattutto dai ricchissimi patrizi e la sua funzione era consultiva. I senatori restavano in
carica tutta la vita, erano considerati figure di altissimo prestigio.
I patrizi e i plebei
Già sotto il re, i patrizi avevano cominciato ad affermarsi come classe dominante. Appartenevano a famiglie
di grandi proprietari terrieri. Mentre tutti gli altri abitanti di Roma come la povera gente, gli artigiani e i
commercianti facevano parte della classe dei plebei. Anche loro erano cittadini romani ma non avevano gli
stessi diritti dei patrizi, infatti non potevano sposarsi fra di loro. Furono proprio i patrizi a causare la caduta
della monarchia, intimoriti dall’atteggiamento degli ultimi re, troppo favorevoli al popolo.
I clienti
Il “clientes”, termine latino che deriva dal verbo “cluere” che significa “obbedire”, si indicavano gli uomini
liberi ma in condizioni economiche disagiate. Inizialmente venivano assegnati ai patres, in modo che
ricevessero aiuto e protezione in campo economico e giuridico e in cambio i clienti si mettevano a
disposizione dei padroni. Gli obblighi dei clienti verso i padroni prevedevano la prestazione di servizi diversi,
anche a carattere militare e la garanzia di una fedeltà assoluta, in seguito con la repubblica, gli obblighi si
estesero all’ambito elettorale.
Le magistrature repubblicane
Nel corso del V e del IV secolo a.C. furono a poco a poco create tutte le magistrature della Roma
repubblicana. Oltre ai due consoli e ai senatori, c’erano i questori che amministravano le finanze dello
stato. Gli edili furono istituiti negli stessi anni dei tribuni della plebe, si occupavano della cura della città
(facevano lastricare e pulire le strade, controllavano gli edifici pubblici e i bagni), i pretori affiancavano e
sostituivano i consoli soprattutto nelle questioni giudiziarie, quando entravano in carica promulgavano
editti in cui illustravano i principi che avrebbero seguito nei processi. Queste norme si accumularono nel
tempo e divennero la base del diritto civile romano e furono poi fatte raccogliere dall’imperatore Adriano. I
censori, magistrati importantissimi, che ogni cinque anni si occupavano del censimento, ovvero stabilire la
ricchezza dei cittadini e di ripartirli nelle cinque classi, indicavano i cittadini che potevano diventare membri
del senato e aggiornavano le liste dei senatori.
Il cursus honorum
Il cittadino prima di ambire alle cariche politiche più alte, doveva dimostrare le proprie capacità e il proprio
valore rivestendo cariche inferiori. A poco a poco era possibile salire fino al vertice più alto e questo
percorso di cariche costituiva il “cursus honorum” (il percorso degli onori). Prima di poter accedere alle
magistrature il giovane romano doveva aver servito nell’esercito e ricoperto almeno per un anno il grado di
tribuno militare. Verso i trent’anni poteva diventare questore, la prima delle cariche politiche, il passo
successivo era la carica di edile. Dopo l’edilità, verso i 39 anni, si poteva diventare pretori, verso i 42 si
accedeva al consolato, la magistratura più importante della repubblica. Il grado più alto della carriera
politica era infine la censura: la sua importanza stava non tanto nel potere, quanto nell’altissimo prestigio e
nella dignità che circondavano questa carica per via della sua funzione. Coloro che erano stati pretori o
consoli, alla fine potevano essere ammessi in senato.
Schiavi e liberti
Gli schiavi erano considerati come delle cose, proprietà del capofamiglia. Si diventava schiavi perché
prigionieri di guerra o per debiti. La schiavitù era ereditaria. Chi da libero era stato medico, insegante o
giurista, da schiavo godeva di condizioni di vita migliori perché le sue capacità erano apprezzate.
Ovviamente c’erano anche padroni che trattavano con umanità o che addirittura affrancavano, cioè
liberavano i loro schiavi, che venivano chiamati liberti. Anche se liberati, gli schiavi non potevano avere
cittadinanza romana e mantenevano degli obblighi verso il padrone.
La religione domestica
Nella religione romana un aspetto di fondamentale importanza era il rituale, per propiziare la benevolenza
delle divinità invocate. All’interno della casa erano venerati i Lari, le divinità protettrici dei luoghi abitati, vi
erano poi i Penati, gli dei che vegliavano sul benessere del padrone di casa e dei componenti della sua
famiglia. In origine la sede dei Penati era il focolare domestico, in seguito nelle case romane vennero
costruite per i Penati apposite cappellette all’ingresso. Infine vi erano i Mani, gli spiriti degli antenati
divinizzati.