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STORIA DI SAMBIASE

1) Padre Giovanni Fiore (Della Calabria illustrata -1691): “S. Biase: In una
spatiosa et amena pianura sta situata questa antichissima terra detta di S. Biase,
quale anticamente si nomava Torri per detto di Antonino Pio nei suoi Itinerari.
Popolazione molto nobile e ricca. Barrio ne celebra il miele: cum melle optimo, et io
soggiongo l’abondanza dell’oglio, delle lini, della seta et del vino, tutte di gran bontà
e perfezione, essendone anche il territorio fertilissimo di grani, di orzi e di legumi di
ogni sorta. Vi nascono li Giunipari (ginepri) et ogni sorta d’erbe medicinali. Vi sono in
questo territorio li bagni d’acque calde e sulfuree perfettissimi, coma rapporta
Marafioti, dei quali si servono li uomini e le donne in rimedio di diverse malattie. Vi
sono due nobilissimi monasteri dentro la terra, uno dei Padri Carmelitani, l’altro del
glorioso padre S. Francesco di Paola, essendo celebre per essere il terzo del
medesimo Patriarca edificato. Fiorirono molti uomini illustri, ed in particolare
Giovan Battista Rosso, molto virtuoso, e in atto vi fioriscono Antonino Fiore, uno
delli più virtuosi et antichi soggetti della Corte Romana. Tributa al Real Erario per
260 fuochi (famiglie). Va unito allo Stato di Nicastro dei principi Castiglione, oggi
regnante don Luigi d’Aquino”.

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2) Sambiase sorge su un territorio ondulato a 177 m sul livello del mare. Il
territorio sambiasino era abitato sin dalla preistoria, infatti, in una cava del monte
Sant’Elia sono stati ritrovati resti di disegni neolitici. Sempre nel territorio
sambiasino sono state ritrovate anche le rovine dell’antica città di Terina, ma anche
gioielli, monete e tombe di origine greca. Secondo un’antica leggenda la sirena Ligea
morì proprio nella piana e venne seppellita nel torrente Bagni proveniente dalle
terme di Caronte. Intorno a questa tomba si sviluppò una grande polis. Nel periodo
della magna Grecia le terme di Caronte di Sambiase erano conosciute con il nome di
Aghes, infatti la fonte sulfurea del remoto vulcano Ercole (oggi monte Sant’Elia)
sfocia nel torrente Bagni. Nello stesso periodo nel rione Cafaldo, nel centro storico
di Sambiase, durante gli scavi per la costruzione del Monastero della Madonna del
Carmine, sono stati rinvenuti i resti di un mosaico, di una villa greca.

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3) Terina fu fondata nel VII o VI secolo a. C. da un popolo marinaro, che vi dette
sepoltura alla sirena Ligea. Questo, secondo la leggenda, che narra delle tre sirene:
Partenope, Leucosia e Ligea, precipitate in mare da uno scoglio per non aver saputo
incantare, colla voce, una ciurma di marinai. Così, trovarono sepoltura e culto la
prima a Partenope (cioè Napoli), la seconda a Leucosia - e Ligea, a Terina.
Il mito della sirena Ligea ha avuto la sua massima espressione in una eccezionale
serie di medaglie che gli abitanti di Terina le dedicarono. Una, in particolare, ha dato
informazioni preziose sul luogo dove sorgeva Terina. In essa si vede la sirena seduta
su un poggio; ha un caduceo (bastone con due serpenti intrecciati) nella mano
sinistra e tiene colla destra un’anfora poggiata sulle ginocchia, nella quale l’acqua
cade da una fontana a forma di testa di leone. La sirena ha ai suoi piedi un cigno
nuotante in una fonte. Sul poggio sul quale è seduta c’è scritto “Aghe”. Due rivi,
dunque, bagnano la sirena; uno le lambisce i piedi, dagli storici e dai poeti
identificato con l’antico Ocinaro (e oggi Zinnavo, che ha la sua foce all’Amatore,
l’odierno Maricello); l’altra fonte che scorre da una fontana, da cui la sirena attinge,
corrisponderebbe alle nostre acque termali. Tanto più che sul poggio sul quale ella è
seduta si legge “Aghe”, come dicevamo… e “Acque Aghe” erano dette anticamente
le nostre acque di Caronte.
Per finire con la storia della città, essa si alleò con Annibale, capo dell’esercito dei
Cartaginesi nel corso della seconda guerra punica. Costretto a tornare a Cartagine,
Annibale, per impedire che la città passasse al nemico, la “rase al suolo” come
scrissero alcuni, ovvero più verosimilmente la danneggiò enormemente secondo
altri. Di fatto, però, da quell’evento Terina perse gran parte della sua importanza.
Infatti in epoca romana si fa riferimento non tanto a Terina quanto piuttosto alla
denominazione Ad Turres, o alle Aque Angae.

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4) Ma quale fu l’importanza di Terina nell’antichità? E’ nota la diatriba fra gli
storici sull’esatta ubicazione di Terina e sulla distinzione dall’antica Lametia, che
diede il nome a questo golfo. Vediamo, innanzitutto, quali sono stati i rinvenimenti
più importanti. Sulla terrazza Elemosina, di fronte al villaggio di Sant’Eufemia del
Golfo, pezzi di tegolame, e poi un grande sarcofago di granito lavorato. Negli stessi
pressi, in contrada Cirzito, una meravigliosa anfora (Hydria) di eccezionale fattura
del IV-III secolo A. C. Ancora in Sant’Eufemia, nel 1865 il celebre tesoro detto di
Agatocle, per la presenza di numerosi aurei di quel principe. I testimoni del
ritrovamento parlarono di una corazza d’oro a squame e diversi gioielli, porzioni dei
quali passarono a Londra. E, in epoca più recente, nel 1949, un’anfora piena di
monete d’argento di Elea, Terina, Caulonia, Taranto, Paestum, Crotone: erano ben
147. Probabilmente, scrive Enrico Borrello, un tesoro nascosto da un ricco mercante,
che conosceva tutta la Grecia. In contrada Cannistraro, altre tombe con piccolissime
anforette da profumi, a vernice nera. Vicino all’antica abbazia di sant’Eufemia, una
statua marmorea, mutilata di testa e braccia. In contrada Cirzito, un orciolo
raffigurante un maiale accovacciato. E finalmente, anche nelle vicinanza dell’abitato,
in contrada Zupello, le monete d’argento di Sibari e Corinto. Questa gente che
maneggiava monete del IV secolo di tutta l’Ellade, conclude Borrello, doveva essere
di una città importante, per la quale non incorre che un nome: Terina. Ché Lametia,
non ebbe mai moneta propria, e doveva essere città molto più modesta.

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5) Nell’epoca latina i monaci basiliani provenienti dall’oriente e dalla Sicilia,
cacciati dagli Arabi, si insediarono nel territorio e fondarono numerosi cenobi tra cui
quello di San Biagio. Nel VII secolo i contadini provenienti dal circondario si
insediarono attorno al monastero basiliano di San Biagio. Durante il periodo del
dominio romano della Calabria, Sambiase era chiamata Le Torri, ad Turres. Questo
nome le deriva dalle due maestose torri che erano situate nel territorio e
precisamente nella frazione Caronte, di cui oggi non è rimasto niente. Ad Turres era
conosciuta e sfruttata dai romani per il suo olio e per il suo vino, ma anche per la
coltivazione dei cereali. Durante il periodo bizantino, in seguito agli insediamenti dei
monaci Basiliani il nome cambiò da ad Turres a san Biagio. In questo periodo molte
famiglie si trasferirono intorno ai monasteri basiliani così il vasto territorio di san
Biagio fu diviso in varie zone chiamate con il nome di santi orientali ed erano San
Pietro, San Filippo, Sant’Ermi, sant’Elia, san Nicola, SS Quaranta Martori, Santa
Venere, Santa Trada.

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6) Frate Elia Amato (Pantopologia Calabra- 1725) “S. Biagio- Nelli Itinerari di
Antonino Pio fu detto San Biagio li Torri, ed io stimo ch’abbia presa questa
denominazione dalle quantità di casini fatti a guisa di torri, che sono in quella
campagna, come dice pur'anco lo stesso Alberti, il quale scrive che più avanti di
Nicastro, a due miglia, camminando per li medesimi giardini, vedendosi la nobiltà
del paese posta intorno a questo golfo di Sant’Eufemia, si arriva a San Biagio. Questa
terra giungerà a duemila abitatori, tra i quali vi albergano molti della città di
Nicastro, il cui Stato va congiunto sotto il dominio degli stessi principi di Castiglione.
Nel territorio di San Biagio sono i bagni d’acqua sulfurea, li quali tingono spesse
volte un piccolo fiume che l’acqua dei Bagni riceve. Abonda di tutte le amenità che
sono anche nel territorio di Nicastro, e particolarmente ha quasi selve intere di
oliveti in bell’ordine posti. Nella terra sono due numerosi conventi, uno dei Padri
Carmelitani, e l’altro dei Minimi, che fu il terzo edificato dalla mano del fondatore
dell’ordine di san Francesco di Paola. In questa terra risiede il “Mastro di Posta
Regio” per le commodità delle lettere e dei corrieri da Cosenza fino a Montelione
(oggi Vibo Valentia). Nel confine del territorio di san Biagio è posto il feudo quasi
inabitato di S. Isidoro (S. Sidero), che giunge fino alle acque del mare, la cui
giurisdizione militare è dei Principi di Castiglione, e civile del Vescovo di Nicastro”.

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7) Va detto però che Enrico Borrello, proprio alla luce delle distanze stradali
citate nell’Itinerario di Antonino (II sec. d. C.), non si fida dell’opinione che Le Torri
sorgessero proprio in località Sambiase. Scrive Borrello nel suo libro Sambiase-
Storia della Città e del suo territorio: “D’altra parte noi qui, nel nostro centro abitato
non sappiamo di ruderi che possano darci qualche indizio delle nostre ricerche. Non
ammettiamo pertanto che le Torri sorgessero proprio a Sambiase centro, anche
perché le distanze dell’Itinerario da Vibo e dal Savuto non lo confermano. Manca, in
ogni caso, la documentazione archeologica: qui, dicevamo poco fa, non abbiamo né
ruderi né località che, per tradizione, si sono chiamate < Torri >. In tale garbuglio di
deduzioni, controdeduzioni e… contraddizioni, crediamo di potere in qualche modo
stabilire:
1) Le Torri non potevano sorgere a Sambiase centro, ma nei pressi;
2) Esaminate le distanze dell’Itinerario, le Torri dovevano sorgere a S. Eufemia
vecchia, nei pressi della vecchia abbazia. Ce ne affiderebbero le distanze
dell’Itinerario e da Vibo e dal Savuto;
3) Qualche secolo dopo, col movimento dei monaci basiliani che fanno sorgere
nella nostra piana alcuni importanti monasteri, gli abitanti dànno origine a San
Biagio che in seguito si chiamerà Sambiase. Stimiamo quindi importante fermarci a
parlare di questi monaci basiliani.

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8) (E’ ancora da Borrello che stiamo sintetizzando) Questi monaci basiliani
vennero non solo dall’Oriente, ma più ancora dalla Sicilia, donde erano stati cacciati
dagli Arabi, e, rifugiandosi in Calabria, vi fondarono i loro cenobi dove santificare la
vita nella profonda solitudine. Ma essi attendevano anche al lavoro materiale, per
ricavarne di che vivere e se le terre di cui erano proprietari erano molto vaste, le
lavoravano assieme a famiglie di contadini, con cui dividevano i raccolti. Così
accadde che molte famiglie dai dintorni, passarono a stabilirsi nei possedimenti dei
monasteri, andando a costituire i primi villaggi.
Riguardo a Sambiase, molti scrittori ricordano il commercio di pece e catrame
ricavati dai nostri pini, ed esportati dalle navi di Amalfi a Taranto nei paesi lontani.
Inoltre, studiando un po’ la toponomastica di questa nostra contrada, vi si può
riconoscere la grande influenza dei monaci basiliani. Scrive Borrello: “Nella contrada
Palazzi sorgeva il monastero di San Costantino, colle grandi fattorie che ancora il
popolo chiama Palazzi. Poco distante la Badia di sant’Isidoro, poi san Sidero. Tutta la
zona circostante dovette appartenere ai monaci di San Basilio che vi fecero sorgere
qua e là dei monasteri minori o delle Chiese, battezzando poi coi nomi di santi le
terre occupate: San Pietro, San Filippo, san Trada, San Biagio….. Questo nome in
particolare, (adattato alla fonia del volgo e trasformato in Sambiase) doveva dare
origine al nostro popoloso centro agricolo”. San Biagio sarebbe diventato anche
Patrono del luogo, e avrebbe dato il nome alla fiera, che si svolge tutt’ora. infine, la
storia di questi greci d’Oriente traspare nel greco di alcuni nomi: Bucolia, in greco:
custodia di buoi; Carrà, da carreo: correre, discendere; Savotano, da sassotan: sta
sano; Piscirò: da pisos: luogo irriguo, cioè ben irrigato.

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9) Nel VII secolo San Biagio divenne protettore del territorio e da San Biagio
ebbe origine la fiera che si tiene ancora oggi, nei primi giorni di febbraio. Risale,
quindi, a più di 1410 anni fa. Nel periodo della dominazione dei Normanni Sambiase
venne annessa al castro di Nicastro. Durante il feudo dei Sanseverino Sambiase
conobbe un lunghissimo periodo di prosperità ma non si fece sottomettere e
divenne una potente università (città autonoma). Il feudo di Sambiase, durante il
dominio francese, fu uno dei più ricchi del regno: aveva il monopolio per la
coltivazione dell’olio e del vino dell’intera Calabria, Basilicata e Puglia per cui
diventò un’università molto potente. Dopo il 1850 Sambiase divenne un comune
autonomo fino al 4 gennaio 1968 anno in cui si unì ai Comuni di Nicastro e
Sant’Eufemia per costituire il Comune di Lamezia Terme.

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10) I Normanni, alleati dal Papa fin dal 1059, tolsero la Calabria ai Greci e la
riportarono nel seno della Chiesa di Roma. L’abbazia di Sant’Eufemia fu fondata dal
normanno Roberto il Guiscardo nel 1062 ed ebbe, l’abbazia, in feudo dal duca
normanno, tutte le terre della Piana, dalle rive del mare alle opposte pendici
montuose, compresi i villaggi e le case coloniche e, perfino, una parte della città di
Nicastro con il castello che poi, in seguito, accortamente l’imperatore Federico II si
adoperò a riavere. Il primo Abate dell’Abbazia benedettina fu proprio il cognato di
Ruggero, fratello del Guiscardo, in segno di riconciliazione dopo alcuni dissidi,
accompagnando quella nomina con ampie donazioni. Scrive Enrico Borrello: “Ma se
il fratello maggiore Roberto fu il fondatore dell’Abbazia, il minore Ruggero, la
considerò come cosa sua, specie dopo che vi fu seppellita la madre Fredesinda. Fra
le mura di essa Abbazia, nelle tregue concessegli dalla guerra di Sicilia contro gli
Arabi, egli soleva trascorrere alcune giornate in tranquillo riposo. E quando, dopo la
morte del fratello, Ruggero divenne il più importante fra i signori normanni, nel
chiostro di sant’Eufemia egli risolse non pochi problemi politici di grande
importanza. E certo l’Abbazia ebbe grande richiamo non solo spirituale, se da lì
passarono tutte le più importanti figure che poi avrebbero occupato le sedi vescovili
della riorganizzata Sicilia dopo la liberazione dagli Arabi. Nel XVI secolo l’Abbazia di
Sant’Eufemia passò ai Cavalieri di Malta. Nel 1634 il Priore, detto Balì, fra’ Signorino
Gattinara, munì di macchine belliche il Bastione, che si conserva ancora
perfettamente intatto. Solo che, mentre al tempo della sua fondazione, essendo una
torre di avvistamento esso sorgeva sulla spiaggia, ora invece il mare si è allontanato
di circa mezzo chilometro. Venne poi il terremoto del 1639 e l’Abbazia di
Sant’Eufemia fu rasa al suolo. La Chiesa fu ricostruita sulla vicina collinetta, dove è
oggi il Villaggio di Sant’Eufemia. Innanzi la Chiesa, due colonnine di marmo verde,
avanzo dell’Abbazia distrutta. Sulla porta in alto, lo stemma del Gattinara, quello
stesso che vediamo all’ingresso del Bastione; una croce di sant’Andrea i cui bracci
delimitano quattro gigli.

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11) L’edificio in cui ha sede il Convento di San Francesco di Paola fu costruito dal
Priore di Sant’Eufemia Giovanni de Senatore, il cui sepolcro è collocato dietro
l’altare maggiore della Chiesa. Era inizialmente dedicato alla Madonna degli Infermi,
ma poi passò ai frati Minimi di San Francesco di Paola nel 1508. L’edificio subì
ingenti danni nel terremoto del 1638 ma proprio in questa circostanza nella
comunità sambiasina il culto per San Francesco di Paola si intensificò, vedendo che il
monastero era danneggiato ma non distrutto e, inoltre, i cittadini apprezzarono
l’opera di soccorso morale e spirituale dei frati per lenire le sofferenze della
popolazione. Allora, San Francesco di Paola fu proclamato santo protettore di
Sambiase e, a perpetuo segno di devozione, fu scolpita la statua e dato il via alla
processione. Quanto al convento, sotto i francesi fu confiscato ai frati e dato al
Comune che vi trasferì il Municipio, la Pretura e le scuole. Le 1954 la chiesa fu
elevata a Parrocchia e riconsegnata ai Padri Minimi. La chiesa ha una facciata in stile
neoclassico e decorata all’interno con quadri e affreschi. Sulla volta e le pareti,
inoltre, c’è una serie di dipinti del XIX secolo che illustrano episodi della vita di San
Francesco. Sul lato sinistro dell’aula è collocata la Cappella del Santo che custodisce
il Busto e la reliquia del suo dito indice in una teca ovale sorretta da un angelo.

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12) La Chiesa e il convento della Beata Vergine del Carmine sono ubicati nella
parte alta di Sambiase, nel rione Cafaldo. Sotto i francesi, fu soppresso il Convento e
allontanati i frati carmelitani, mentre le Chiesa restò affidata ai Minimi per le
funzioni religiose. Nel 1924 fu elevata a parrocchia con il nome di S. Maria del
Monte Carmelo. Il convento subì danni ingenti nel terremoto del 1638 e fu
ricostruito. Dopo il 1861 passò, insieme alla Chiesa, al Comune di Sambiase che ne
utilizzò una parte come carcere, per poi tornare alla diocesi nel 1930. Sulla fine
dell’Ottocento, durante alcuni lavori di scavo, è stato rinvenuto un pavimento a
mosaico bianco e nero con figure geometriche di colore nero. Alcuni ritengono che
appartenesse alla chiesetta bizantina di san Biagio, che aveva dato il nome al casale
e che secondo la tradizione si ergeva proprio in quel punto.

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13) ( Traduzione molto alla buona dal dialetto all’Italiano di : ‘I VAGNI ‘E CARONTE
di Vittorio Butera, che ovviamente scherza sulla bontà dell’acqua di Caronte,
attribuendole poteri addirittura miracolosi, ma è così per ridere! E con lo stesso
divertimento noi la leggiamo…).
Tignosi, erniosi,
zoppi, gibbosi, incurvati,
storpi, muti, malandati,
piegati e sgangherati,
venitevi a bagnare in questa fonte,
se volete guarire, di Caronte.
Ricette, medicine,
medici, farmacie,
son tutti impiastri,
son tutte fesserie.
Le radici pestate,
le carte senapate
sono proprio come l‘olio caldo
quando si ha dolore:
uno spende tanti soldi, va in rovina,
resta malato e peggio per lui!
Ma chi vuole davvero curarsi,
guarire e togliersi il pensiero,
deve andare a sciacquarsi
alla fonte
di Caronte!
Quella è un’acqua
che guarisce anche i morti;
chi ci va e si bagna
la parte che gli fa male,
dopo neanche una settimana
grande o piccolo, risana!
Nasce quell’acqua solforosa
da una roccia di calcare;
forma un ristagno e ribolle
come dentro una caldaia;
non servono né rami o legna,
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perché l’acqua esce riscaldata come per magia.
Ora, dentro questa sorgente, amico caro,
c’è una vera farmacia:
c’è ferro, c’è acciaio
E c’è... malva la primizia.
C’è bromuro,
c’è ioduro,
c’è nitrato
e c’è solfato.
Quest’ultimo tanto vale
a curare l’uva
figuriamoci un malato!
La bontà di quest’acqua è tanta
che non la eguaglia l’acqua santa!
Quella diavolo di fornace,
dove il calore si sprigiona per magia
quando bolle come si deve,
fa miracoli a mille a mille.
Io potrei contarne
tantissimi; ma per darvi l’idea
ve ne racconto tre, sentite.
In contrada Bella un giovane
camminava tutto incurvato.
E’ andato,
s’è immerso
tutto quanto
nella vasca.
E da gibboso che era,
dopo neanche un minuto,
è uscito
di nuovo dritto,
lungo
e arzillo.
I decotti
e i cerotti
l’avrebbero lasciato
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piegato,
acciaccato
e malandato.
Ad una ragazza di Sambate
era venuto un gonfiore
poverina come un’ernia,
a seguito di uno sforzo
che aveva fatto.
Il dottore le aveva detto:
bella mia questa è un’ernia cronica
e ti devi operare,
perché l’olio riscaldato
è sprecato.
Se hai paura dell’operazione
va’ ai bagni.
Là si apre da sola,
e guarisce e risana
in una settimana.
Lei è andata,
s’è sciacquata
dove aveva il male
e a Sambate
è tornata senza il gonfiore!
Che sorgente meravigliosa:
scorre, corre, lava e sana!
Una sposa non riusciva ad avere bambini
e il marito ne soffriva.
Lei era afflitta, andava in giro
chiedendo pareri e consigli.
Capitarono all’Angillito
con quel sempliciotto di marito,
e lì trovarono don Mico
e gli chiesero consiglio.
-Se è questo il problema
non ti devi preoccupare!
Vieni, fatti qualche bagno
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a Caronte e... avrai dei bambini.
E infatti mi si dice
che dopo nove mesi
ebbe una
coppia di gemelli
e il marito dice ancora:
Oh! Che acqua figliarola (che fa fare bambini).

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14) Sambiase annovera tra i suoi concittadini il patriota e politico Giovanni
Nicotera (1828-1894), personaggio di rilievo nelle lotte per l’Unità l’Italia e poi nei
governi successivi all’Unità. Suo zio materno era Benedetto Musolino, che gli ispirò
ferventi sentimenti di libertà. Aderì giovanissimo ad un circolo rivoluzionario
fondato dallo zio. Fece la sua prima comparsa nel corso della rivolta lametina del
1848, assumendo il comando della guardia nazionale di Sambiase. Fallita
l’insurrezione, Nicotera e suo zio Musolino fuggirono a Corfù. Nel 1849 erano di
nuovo in Italia, combattendo per la repubblica Romana, ma di nuovo dovettero
fuggire a Torino. Qui, Nicotera frequentò il rivoluzionario Carlo Pisacane. Nel 1857
prese parte alla spedizione di Pisacane per portare la rivoluzione tra il popolo
meridionale ma, come tutti sanno, quel tentativo finì nel sangue. Nicotera,
gravemente ferito, fu uno dei pochi sopravvissuti. Arrestato, uscì dal carcere per
unirsi alla spedizione dei Mille, al seguito di Garibaldi. Rientrato a Napoli, adottò la
figlia di Carlo Pisacane. Partecipò alle imprese garibaldine di Aspromonte, Bezzecca
e Mentana, ma non rinunciando all’attività politica nelle fila della Sinistra
parlamentare. Offrì il suo appoggio agli avversari politici per approvare leggi contro
il brigantaggio in cambio di posti di responsabilità. Nelle elezioni del 1874 fu di
nuovo eletto deputato al Parlamento, dove portò avanti con insistenza la proposta
per il rafforzamento della costruzione di strade e approdi in Calabria contro
l’isolamento regionale. Nel 1875, si pronunciò contro il suffragio universale, ovvero
il riconoscimento del diritto di voto anche ai poveri, e contro l’abolizione della tassa
sul macinato.
Successivamente, Nicotera pubblicò una propria rivista, Il Bersagliere. Ottenne un
accordo con la Destra sul passaggio delle Ferrovie allo Stato, creando una crisi di
governo che mise fine alla cosiddetta Destra storica. Diventò Ministro dell’Interno,
varando durissimi provvedimenti contro il brigantaggio e le manifestazioni di piazza,
ma anche contro la mafia siciliana. In seguito ad alcuni problemi nei rapporti coi suoi
colleghi Ministri, Nicotera dovette sopportare un’aspra campagna che metteva in
discussione la sua condotta nella spedizione di Pisacane. Infine dovette dimettersi
per uno scandalo legato al suo giornale. Tornò in primo piano nel 1883, come
esponente della cosiddetta Pentarchia – lui, insieme a Crispi, Zanardelli, Cairoli e
Baccarini –per opporsi al trasformismo del capo del governo. Nel 1891, ritornò
Ministro degli Interni. Nuovi dissensi politici segnarono la sua crisi definitiva. Rimase
coinvolto nello scandalo della Banca Romana e in alcuni finanziamenti illeciti per
alcuni amici presso la Banca. Morì a Vico Equense (Napoli) il 13 giugno 1894.

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15) Francesco Fiorentino (1834-1884) è un’altra personalità illustre di Sambiase,
filosofo, professore e deputato. A quattordici anni entrò nel seminario di Nicastro, e
poi a Catanzaro per studiare scienze giuridiche. Nel 1860, al passaggio dei Mille di
Garibaldi, si aggregò alle truppe seguendole fino al Volturno. L'anno seguente iniziò
l'attività di insegnante presso il liceo di Spoleto e poi a Napoli. Il panteismo di
Giordano Bruno fu la sua prima opera, che gli procurò una certa notorietà. Fu
nominato professore straordinario di storia della filosofia, a Bologna e poi a Napoli.
Qui, portò a termine nuovi studi. Contemporaneamente all'attività di studioso,
Fiorentino si era accostato all'impegno politico. Nel 1870 venne eletto deputato al
Parlamento, nel collegio di Spoleto, poi riconfermato nelle elezioni successive
quattro anni dopo. Ma fu bocciato in seguito per ben due volte, quando si presentò
candidato nella propria regione e questo gli provocò una profonda amarezza. Va
detto però che, per quanto riguarda i voti presi a Sambiase e nel circondario di
Nicastro, egli fu il candidato che prese più voti, ma purtroppo fu penalizzato nelle
altre sezioni.
Poco dopo si trasferì nell'università di Napoli, lasciando Bologna. Peraltro alcuni suoi
lavori stavano ottenendo un discreto successo ed erano tradotti all'estero. A Napoli,
fu tra i fondatori della rivista Il Giornale napoletano di filosofia e lettere. Tra il 1879 e
il 1881 vide la luce l’opera fondamentale Manuale di storia della filosofia ad uso dei
licei, segnalatasi a lungo per la completezza e generalmente molto apprezzata. Morì
a Napoli il 22 dicembre 1884. La sua terra può essere ben lieta di annoverare
Fiorentino tra i suoi grandi figli. Era suo il primo libro di filosofia, su cui si è formato il
filosofo Giovanni Gentile che così ha sintetizzato la lezione del maestro: “Non
importa niente che gli alunni abbiano questa o quella conoscenza, (…) sì importa,
che imparino a pensare; ma a pensare davvero, riflettendo sul pensiero, e
sforzandosi di farne una logica coerente”.

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16) Enrico Borrello è nato a Sambiase nel 1896, e vi ha trascorso la vita quasi per
intero, dedicandosi molto alla città e osservandone con intelligenza e amore le
abitudini, il lavoro, la sofferenza, studiandone con passione la storia per ricercare le
più antiche origini e spiegare vicende lontane e vicine.
Da giovane maestro titolare fu nel Veneto e vi fece preziose esperienze; poi tornò
alla sua terra e si dedicò alla scuola con grande fervore, trasmettendo ai suoi scolari
l’entusiasmo dell’apprendere. Ma Egli sentiva anche il bisogno di partecipare alla
vita cittadina, di dare un contributo per il suo miglioramento sul piano culturale e
civile. Nei difficili anni del dopoguerra condusse ricerche minuziose su Sambiase e su
tutta l’area lametina, raccolte nel volume: Sambiase- Ricerche per la storia della città
e del suo territorio (1948). Iniziava intanto la lunga collaborazione a giornali di storia
e varia cultura.
La sua vena narrativa lo portava a comporre novelle e racconti, ispirati a vicende
paesane o ad esperienze personali, pubblicati i primi nel volume Vecchie e nuove
(1953), i successivi sui vari giornali. Nel 1958 usciva Martirano- Monografia storica.
Enrico Borrello era riconosciuto come scrittore e ricercatore scrupoloso: fu perciò
nominato Ispettore onorario alle Antichità e Belle Arti, componente della
Deputazione di storia patria e dell’Accademia Cosentina; iscritto all’Albo Nazionale
dei Giornalisti-pubblicisti; meritò il Premio di cultura della Presidenza del Consiglio
dei Ministri e, per il lavoro svolto da maestro, svolto per 44 anni, la Medaglia d’oro
per la pubblica istruzione. La Città natale gli consegnava nel 1962 una pergamena
come “cittadino esemplarmente benemerito”. Continuò la sua fervida attività fin
quasi alla fine della sua vita, che si chiuse nel 1968.

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17) Franco Costabile nasce nell'agosto 1924 da Concetta Immacolata
Gambardella, casalinga appartenente a una famiglia borghese di commercianti
amalfitani, e da Michelangelo Francesco Pietro Costabile. Il padre non si sente a suo
agio nel piccolo centro calabrese e dopo il matrimonio si reca in Tunisia per dedicarsi
all'insegnamento, abbandonando moglie e figlio. Nel 1933 Concetta si reca col figlio
piccolo nella nazione africana per convincere il marito a riunire la famiglia, ma non
ottiene il risultato sperato anche per via del suo rifiuto di lasciare Sambiase. Questa
esperienza segnerà il poeta, a cui farà riferimento nel componimento giovanile
"Vana Attesa", pubblicata nel 1939.
Dopo la maturità classica conseguita nella vicina Nicastro, si iscrive alla Facoltà di
Lettere, dapprima a Messina e poi - dal 1946 - a Roma, dove si laureerà con una tesi
in paleografia. In questo periodo stringe un forte rapporto con Giuseppe Ungaretti,
suo professore di Letteratura Contemporanea: in Costabile, Ungaretti rivede il figlio
perduto da poco in Brasile, in Ungaretti il poeta sambiasino trova invece l'assente
figura paterna. Sempre durante gli studi universitari fa amicizia con Raffaello
Brignetti ed Elio Filippo Accrocca. Dopo la laurea, a partire dal 1950 insegnerà in vari
licei e istituti tecnici, ma collaborerà anche con riviste e alla stesura di una
enciclopedia cattolica. Sempre nel 1950, Costabile pubblica a sue spese la prima
raccolta di poesie, "Via degli ulivi", che sarà recensita positivamente nella rivista
romana "La via" e che il poeta si preoccuperà di far avere anche al padre, attraverso
l'amico Brignetti. Nel 1953 sposa la sua ex allieva Mariuccia Ormau, dalla quale ha
due figlie: Olivia, nata nel 1955, e Giordana, del 1957. Alcuni anni dopo, Mariuccia si
trasferirà a Milano portando con sé le due bambine: è un secondo distacco, un
secondo abbandono familiare. È del 1961 la sua raccolta più famosa, "La rosa nel
bicchiere e altre poesie", edita a Roma dalla Canesi. Sempre in questo periodo si
rompono definitivamente i rapporti col padre lontano, mentre nel 1964 muore la
madre, affetta da un male incurabile.
Ormai stanco, Costabile decide di togliersi la vita il 14 aprile 1965. Ungaretti, che al
poeta si sentiva ancora molto legato, scrive per questo dei versi, prima pubblicati in
un libretto stampato a cura di amici, e ora trascritti come epitaffio sulla sua tomba
nel cimitero di Sambiase:
«Con questo cuore troppo cantastorie
-dicevi ponendo una rosa nel bicchiere
e la rosa s'è spenta poco a poco
come il tuo cuore, si è spenta per cantare
una storia tragica per sempre»
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(Giuseppe Ungaretti)
Nel 1989 Giorgio Caproni, amico di Costabile fin dagli anni '50, dedica al poeta
calabrese una poesia, ha dedicato al poeta sambiasino una poesia (Per Costabile
suicida), poi confluita nella raccolta postuma Res omissa:
«Si muore d’asfissia
è noto, per difetto
d’ossigeno. Lo si può anche
e forse più dolorosamente
per mancanza d’affetto»
(Giorgio Caproni)

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18) Chiudiamo con alcune poesie di Franco Costabile tratte da: “La rosa nel
bicchiere”.

Un pezzo di specchio
Ha casa campagna
e lenzuola di telaio
ma nessuno la guarda
la domenica in chiesa
e aspetta alla finestra
un poco per giorno
chiedendosi forse
a che serve nel vicolo
guardarsi a un pezzo di specchio.

E tu, vecchio
Di pelle scura
non crescerà tuo figlio;
giocherà forse a baseball,
sarà padrone di una drogheria.
E tu, vecchio,
l'orologio d'oro,
scorderai questi vicoli
bevendo birra a Daisy Street.

Rosa
Un giorno
anche tu lascerai
queste case,
dirai addio,
Calabria infame.
Solo
ma leale
servizievole,
ti cercherai
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un'amicizia,
vorrai sentirti
un po' civile,
uguale a ogni altro uomo;
ma quante volte
sentirai risuonarti
bassitalia,
quante volte
vorrai tu restare solo
e ripeterti
meglio la vita
ad allevare porci.

La Sila
Il lago
gli abeti
dici bene
la Svizzera.
Mettici
i fiorellini
e in lontananza
le pastorelle,
le mucche calme lavate
nel sole che tramonta,
d'oro naturalmente,
dietro i pini, perfetto.
Mangi
di buon appetito,
dormi a sazietà.
Se poi,
quella gente ci vive d'inverno
col pane di segala
e i lupi,
a tè, che importa.
Tè ne stai
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nel calduccio, in città,
raccontando agli amici
il verde odoroso dei pini.

Migranti
Siamo i marciapiedi più affollati.
Siamo i treni più lunghi.
Siamo le braccia le unghie d'Europa il sudore diesel.
Siamo il disonore la vergogna dei governi
L'odore di cipolla che rinnova le viscere d'Europa.
Siamo un'altra volta la fantasia gli dei.
Milioni di macchine escono targate Magna Grecia.
Noi siamo le giacche appese nelle baracche nei pollai d'Europa.
Addio, terra.
Salutiamoci, è ora. "

Mio Sud
Mio sud,
mezzogiorno
potente di cicale,
sembra una leggenda
che vi siano
torrenti a primavera.
Mio sud,
inverno mio caldo
come latte di capre,
già si dorme
fratello e sorella
senza più gusto.
Mio sud,
pianura mia,
mia carretta lenta.
Anime di emigranti
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vengono la notte a piangere
sotto gli ulivi,
e domani alle nove
il sole già brucia,
i passeri
a mezz'ora di cammino
non hanno più niente da cantare.
Mio sud,
mio brigante sanguigno,
portami notizie della collina.
Siedi, bevi un altro bicchiere
e raccontami del vento di quest'anno.
Mio treno di notte
lento nella pianura
Battipaglia... Salerno...
mio paesano, stanco sulla valigia,
cane vagabondo.
Mio questurino
davanti a un'ambasciata,
potevi startene adesso in collina
a dare sotto le foglie il verderame,
sentire l'aria la terra,
le ragazze dell'altro versante
darti una voce.
Potevi essere
anche un perito agrario
se a casa potevano,
intenderti di migliorìe, d'allevamenti,
e pensare un trapianto a primavera.
O forse eri solo un manovale,
lavoravi a giornate, forse non lavoravi.
Adesso un silenzio, il giorno:
da qui a lì, e niente succede.

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La rosa nel bicchiere
Un pastore
un organetto
il tuo cammino.
Calabria,
polvere e more.
Uova
di mattinata
il tuo canestro.
Calabria,
galline
sotto il letto.
Scialli neri
il tuo mattino
di emigranti.
Calabria,
pane e cipolla.
Lettera
dell'America
il tuo postino.
Calabria,
dollari nel bustino.
Luce
d'accetta
l'alba
dei tuoi boschi.
Calabria,
abbazia di abeti.
Una rissa
la tua fiera
Calabria,
d'uva rossa
e di coltelli.
Vendetta
il tuo onore.
Calabria
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in penombra,
canne di fucili.
Vino
e quaglie,
la festa
ai tuoi padroni.
Calabria,
allegria
di borboni.
Carrette
alla marina
la tua estate.
Calabria,
capre sulla spiaggia.
Alluvioni
carabinieri,
i tuoi autunni.
Calabria,
bastione
di pazienza.
Un lamento
di lupi,
i tuoi inverni.
Calabria,
famigliola
al braciere.
Francesco di Paola
il tuo sole.
Calabria,
casa sempre aperta.
Un arancio
il tuo cuore,
succo d'aurora.
Calabria,
rosa nel bicchiere.
Franco Costabile
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