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I MESSAPI

Dopo l'età del bronzo (1200 a.C.) la Puglia ospitò una popolazione chiamata Iapigi,
un’etnia costituita da Messapi (Puglia meridionale), Peucezi (Puglia centrale),
e Dauni (Puglia settentrionale).

LA STORIA
I Messapi furono un popolo dedito all’agricoltura ed alla pastorizia, riconosciuti anche
come abili domatori di cavalli, tenaci combattenti a cavallo ed arcieri.
La scarsità delle fonti storiche non permette di conoscere con certezza le origini di questa
etnia e degli Iapigi in generale. La prima fonte documentata fu scritta da Esiodo (poeta
greco vissuto a cavallo fra l’VIII e il VII secolo a.C.), naturalmente più che di notizie
storiche si tratta di tentativi di legittimare le origini degli Iapigi. Infatti il poeta identifica la
derivazione del nome Iapigi da Ipeto (figura mitologica greca). Mentre
secondo Erodoto (485-425 a.C.) i Messapi provengono dai Cretesi che in seguito ad un
naufragio si stanziarono in Puglia prendendo successivamente il nome di Iapigi-Messapi.
Alcuni studiosi ritengono che il nome Messapi significhi popolo fra i due mari, altri credono
che derivi dal nome del re Messalo.
In realtà le ipotesi storico-archeologiche sulle loro origini sono differenti e discordanti. Una
cosa sembra essere certa, gli Iapigi sono frutto di mescolanze di popolazioni indigene
presenti sul territorio sin dal Paleolitico con i vari flussi migratori che si susseguirono nel
tempo nella penisola: micenei, popolazioni provenienti dall’Anatolia , dall’Epiro ed infine gli
Illiri (popolazione proveniente dai Balcani).
Strettamente influenzati dalla cultura greca, gli Iapigi, ed in particolare i Messapi, furono in
grado di mantenere una propria identità ed autonomia.
Paradossalmente, all’inizio del IV sec a.C., a pochi anni dalla battaglia delle Termopili che
vide Leonida morire per difendere la libertà dei greci, i nostri antenati si ritrovarono a
combattere per gli stessi ideali, ma questa volta gli oppressori furono proprio uomini di
origine spartana (i nipoti ribelli di uomini spartani che nel VIII secolo abbandonarono la
città natale in cerca di nuove terre fondando cosi Taranto).
Epica fu questa resistenza delle bellicose popolazioni iapigie al tentativo dei tarantini di
recuperare schiavi. Nel 473 a.C. infatti i cavalieri Messapi e i combattenti Peucezi e Dauni
inflissero agli ex spartani una tremenda sconfitta che determinò anche la caduta
dell’aristocrazia tarantina. Erodoto racconta che fu la più grande strage a sua memoria.
Causa di ciò fu l’invasione di Carbinia, (l’attuale Carovigno) da parte dei tarantini che,
dopo averla devastata, rastrellarono donne e bambini, li denudarono, li ammassarono nei
templi e gli esposero agli sguardi e alle angherie di chiunque avesse voluto soddisfare le
proprie voglie.

Successivamente nel 338 a.C. Archidamo III (re spartano) attaccò Manduria, ma fu
sconfitto.
I tarantini pensarono così di chiamare Alessandro Molosso di Epiro (zio di Alessandro
Magno) ma questi, invece di combattere i Messapi, riuscì a far conciliare le due parti.
L’avanzamento delle popolazioni osche (indoeuropei di ceppo sannitico della Campania
antica pre-romana) spinse i Messapi, i tarantini e romani, ad una alleanza al fine di
fermare i Sanniti.
Le prime due guerre Sannitiche (343 -304 a.C.) si conclusero con un accordo di non
belligeranza fra romani e tarantini, con il quale i romani si impegnavano di non
oltrepassare il Capo Lacinio.
Ma nel 303 a.C. i romani non rispettarono il trattato ed entrarono con una nave nel porto
di Taranto, scatenando così una guerra fra Taranto e Roma
Nel 280 a.C. i Messapi si allearono con Taranto e Pirro (nipote di Alessandro Magno)
giunse in difesa dei tarantini con 30.000 uomini e 20 elefanti.
Tutto ciò non fu sufficiente, infatti nel 275 a.C. i romani sconfissero le armate del re
dell'Epiro. I messapi, nonostante la sconfitta dei tarantini, continuarono la lotta contro
Roma fino al 266 a.C. anno in cui il Salento fu annesso allo stato di Roma ed i romani si
impossessarono del porto di Brindisi. I Messapi inizialmente formavano gruppi tribali,
successivamente risentirono degli influssi ellenistici, in particolare dopo la fondazione di
Taranto avvenuta nel 706 a.C.
Anche la lingua messapica, dapprima di impronta illirica, divenne
successivamente laconico–tarantino.
E’ possibile suddividere il tipo di scrittura in due fasi,
quella arcaica e quella classica, differenziata sia dal verso che dalle proporzioni delle
lettere.
Si conservano nei musei di tutto il Salento circa 350 iscrizioni messapiche, testi non
sempre facili da comprendere, in particolare quelle risalenti all’età arcaica.
Un grande studioso delle iscrizioni messapiche fu Francesco Ribezzo (archeologo e
glottologo illustre - 1875-1952) al quale è dedicato il Museo Provinciale di Brindisi.
Originariamente questo popolo non viveva in vere e proprie città, ma in piccoli gruppi
residenti in capanne sparse nel territorio. Gli abitanti dei capanni si riunivano nei centri
fortificati per difendersi da attacchi nemici o per celebrare feste e riti. Secondo gli studi
di Ippodamo da Mileto solo dopo il VII secolo a.C. l’urbanistica messapica risentì
dell’influsso greco.
Anche la religione fu influenzata da quella ellenica e forte divenne il culto verso la
dea Demetra, dea del grano e dell’agricoltura. Uno dei santuari più importanti dedicati alla
dea e a sua figlia Persefone si trovava presso il Monte Papalucio ad Uria, l’attuale Oria.
I defunti inizialmente venivano inumati e coperti da cumuli di pietra, solo dopo il VII secolo
a.C. iniziarono le sepolture in tombe ipogee detti a camera e a semicamera; all’estinto
veniva posta una moneta in bocca come obolo per pagare il passaggio nell’aldilà, come
già in uso nella cultura greca.

Vasi messapici: cratere, scifo, trozzella, càlato


Il simbolo di questo popolo è diventata la Trozzella, tipica forma della ceramica vascolare
messapica. E' un’anfora dalla forma ovoidale più o meno rastremato al piede, con alte
anse nastriformi, verticali, che terminano in alto, e all’attacco col ventre, con quattro trozze
o rotelline plastiche, che presenta elementi decorativi geometrici come: cerchi, scacchiera,
quadrati, triangoli, accanto ad elementi fitomorfi come fiori e foglie. La trozzella venne
prodotta nel Salento nel VII e VIII secolo a.C. e risentì dell’influenza proto geometrica nata
a Micene 1050 anni a.C.
Un altro tipico esempio di ceramica messapica sono i pesetti da telaio o piramidetti.

Gli insediamenti messapici a Brindisi

I resti di insediamenti messapici sono sparsi in gran parte del Salento. Tra i più importanti
sono, in ordine sparso, Brindisi (Brention), Oria (Orra), Valesio (Valesium), Muro Tenente
(Scamnum - area archeologica tra Latiano e Mesagne), Ceglie Messapica (Kaìlia),
Egnazia (Gnathia), Nardò (Neriton), Manduria (Mandyrion), Lecce (Rudiae), Cavallino
(Sybar Sallentina), Otranto (Hydruntum), Vaste (Bastae), Alezio (Alixias), Gallipoli (Anxa),
Ugento (Ausentum), Roca Vecchia, Muro Leccese e Soleto. In provincia di Brindisi altri
ritrovamenti messapici sono stati effettuati anche a Pezza Petrosa nel territorio del
comune di Villa Castelli, a Francavilla Fontana, e nell'area denominata Castello
d'Alceste del comune di San Vito dei Normanni.

I Messapi occuparono Brindisi intorno al XI – XII secolo a. C. Molti studiosi ritengono che il
nome della città di Brindisi, Brention in lingua messapica, derivi dalla conformazione
ramificata del suo porto, a "testa di cervo", il quale, ancora oggi, è il simbolo della città
assieme alle due colonne romane.
Il porto naturale di Brindisi, a forma di "testa di cervo"

Poco rimane dell’antica città di Brention ormai in gran parte sepolta sotto strati di varie
epoche.
L’insediamento urbano si sviluppava sulla collina di ponente del porto interno, difeso da
possenti mura megalitiche che sfruttavano le differenze di livello con terrapiani di cui ne è
un esempio il tratto ancora oggi visibile tra Corte Capozziello e Via Pasquale Camassa.
Successivamente queste mura vennero rinforzate dai romani. Un altro tratto simile fu
scoperto nel 1877 in piazza Sedile.
A Brindisi sono state scoperte diverse tombe del periodo messapico, dal cui corredo
funebre è possibile notare come ci sia stata una forte influenza magno greca che ha, per
certi versi, limitato lo sviluppo della cultura messapica.
Nel gennaio del 1955, durante lo scavo delle fondazioni di un edificio in via Bari, angolo
con via Gallipoli, gli operai si imbatterono in tre lastre di tufo duro, si trattava della
copertura di una sepoltura messapica del V secolo a. C., con forti influenze della Magna
Grecia.
Sollevate con trepidazione queste tre lastre, alla presenza degli operai e di curiosi
affollatisi intorno, apparve lo scheletro nella sua interezza e un ricco corredo di vasi ai
fianchi e ai piedi. Oggi il corredo composto da 13 pezzi è conservato ed esposto nella
sezione messapica del Museo Archeologico Provinciale “F. Ribezzo” di
Brindisi (MAPRI).
Il reperto più importante è il bellissimo cratere a colonnette (kelebe) decorato a vernice
nera con figure rosse. In uno dei due riquadri vi è Dionisio barbato, in lunga tunica a larghe
pieghe, preceduto all’altare - che è nel fondo - da satiro avente la cetra fra le mani, seguito
da baccante. Mentre sul riquadro opposto si possono osservare tre figure con al centro un
giovane virile e ai lati due personaggi barbati avvolti da un mantello, appoggiati entrambi a
lunghi bastoni.
Fra gli altri reperti ricordiamo una trozzella, di dimensioni superiori alle comuni, di argilla
giallo-rossiccia con decorazione di colore rosso bruno a motivi geometrici e vegetali, e una
coppa a forma di tazza (skiphos) decorata con vernice nera lucente a figure rosse,
raffigurante in entrambi i lati palestrida nell’atto di effettuare esercizi ginnici; questo
permette di dedurre che l’ospite della tomba sia stato un palestrida premiato o un tifoso del
gioco del salto.
Nel corredo erano presenti anche reperti in bronzo, come un recipiente di forma cilindrica
(cista) con doppio manico semicircolare e una brocca in bronzo (oinochoe).
Un altro importante esempio di tomba messapica del IV secolo a. C. è proveniente dalla
vicina area archeologica di Valesio ed è integralmente conservata nel MAPRI: su una
delle lastre laterali interne è inciso un rettangolo sormontato da una fiaccola demetriaca
con all'interno l'iscrizione messapica Tobaroas Damatrioas, che significa "(tomba) della
sacerdotessa di Demetra".

MAPRI: lastre funerarie e tomba rinvenute a Valesio e lastre funeraie di altre aree di epoca messapica.
A destra il rettangolo sormontato dalla fiaccola demetriaca incisa all'interno della tomba

Per quanto riguarda gli altri ritrovamenti in Brindisi esposti nel Museo Archeologico, va
ricordata una lapide in pietra dura con iscrizione messapica scoperta in Via Bettolo, e
il cratere a colonnette del V - IV secolo a.C. ritrovato all’interno di un’altra tomba
rinvenuta in via Lauro.
Un’altra lapide con iscrizione messapica venne scoperta nel tempio di San Giovanni al
Sepolcro nel 1765, poi andata dispersa.
Nei primi del ‘900, in via Tor Pisana, fu scoperta una necropoli protocorinza (prima metà
del VII secolo a.C.) , una delle più antiche testimonianze della città di Brindisi. Furono
effettuati due scavi: nel primo furono scoperte cinque tombe con all’interno piatti, tazze,
vasi ed anfore, mentre nel secondo scavo furono ritrovate ventitre tombe con all’interno
piccoli
7 vasetti, fibule, trozzelle e un cratere apulo.
Sempre nello stesso luogo, negli anni ’50, furono trovate tre tombe ad incinerazione ed
una ad inumazione. Di particolare interesse fu il pithos con all’interno cinque vasetti
ariballoi.

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