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Parte prima
I popoli dell’Italia antica e le origini di Roma
L’Italia preromana
1. L’Italia dell’eta’ del bronzo e l’eta’ del ferro
Nella penisola italiana si assiste, dal III al I millennio a.C. a uno sviluppo di notevoli proporzioni. Tra l’età del
bronzo medio e la prima età del ferro si passa da una situazione caratterizzata da gruppi di persone di piccole
dimensioni al sorgere di forme piu’ complesse di organizzazione.
L’Italia nell’età di bronzo registra un incremento demografico molto importante. E’ documentata anche un’intensa
circolazione di prodotti e di persone. Tali contatti, favorirono direttamente o indirettamente, il formarsi tra le
popolazioni indigene di aggregazioni piu’ consistenti. Con l’inizio dell’età del ferro l’Italia presenta un quadro
differenziato di culture locali. Un primo criterio di differenziazione concerne le modalità di sepoltura. Nell’eta0 del
ferro in Italia esistono due gruppi di popolazioni che praticavano riti diversi:
- cremazione (praticata nell’Italia settentrionale e lungo la costa tirrenica sino alla Campania)
- inumazione (nelle restanti regioni).
La diversità delle culture presenti in Italia all’inizio del primo millennio a.C ha un riscontro importante in un
quadro linguistico assai variegato, riconducibile all’arrivo nella penisola di gruppi etnici di varia provenienza.
Queste lingue si possono ricondurre a due grandi famiglie:
-Indoeuropee: in un primo luogo il latino e il falisco (Lazio).
All’interno poi di un gruppo detto Italico si distinguono tre diversi sottogruppi contraddistinti da varianti dialettali:
uno umbro-sabino nel Centro- Nord comprendente la Sabina, l’Umbria e il Piceno; uno osco nel Centro Sud
comprendente Sanniti, Lucani e Bretti; e un terzo, assai meno noto riferibile agli Enotria e ai siculi.
Indoeuropei erano anche il celtico (pianura padana) e il messapico (puglia meridionale).
La principale lingua non indoeuropea parlata in Italia è l’etrusco (toscana). Non indoeuropee sono anche il retico
(alta valle dell’Adige) e il sardo.
Nel quadro delle culture italiche un posto a parte ha la civiltà dei Sardi che si sviluppò in Sardegna tra l’età del
bronzo e quella del ferro. E’ nota con il nome di civiltà nuragica dalla costruzione tipica che la caratterizza, il
‘’nuraghe’’, una torre a forma di tronco di cono che probabilmente aveva una funzione difensiva.
All’origine del popolamento, i dati archeologici lasciano presupporre una cultura del meridione della penisola
italica dai tratti indigeni. A partire dal V sec. però inizia la frequentazione commerciale delle coste del meridione
italico da parte di genti provenienti da oriente. Dopo un’interruzione di quasi quattro secoli legata alla crisi del
mondo miceneo, in cui gli scambi con il Mediterraneo orientale si erano ridotti a pochi prodotti come ferro e
ceramica, in Grecia riprendono gli scambi con le coste calabresi verso il VIII secolo a.C. Questa ripresa delle
importazioni preannuncia una svolta nell’interesse dei Greci per l’Italia meridionale che si tradurrà in una grande
impresa di colonizzazione volta alla conquista.
Tra il VIII e il V secolo a.C si assiste ad un grande fenomeno espansivo delle popolazioni dell’Appenino centro-
meridionale. E’ un fenomeno che conosciamo meglio per quanto riguarda il versante tirrenico, con i Sabini che si
intromettono nella Roma dei Latini. Questo movimento ha il suo apice tra il V e il IV sec con l’espansionismo dei
Sanniti. Sul versante adriatico una civiltà importante è quella picena. In Abruzzo si formano insediamenti di
notevoli dimensioni, che superano anche i 10 ettari. Le prime testimonianze scritte lasciano intravedere
un’organizzazione sociale articolata secondo gruppi etnici con alla testa principi e re.
Gli Etruschi
2.1 Origine ed estensione degli Etruschi
Gli Etruschi sono la piu’ importante popolazione dell’Italia preromana. Noti ai Greci con il nome di Tirreni, sembra
che chiamassero se stessi ‘’Rasenna’’. Ci sono diverse opinioni riguardanti la loro origine:
- Erodoto credeva che si trattasse di un gruppo di Lidi che provenienti dalla regione dell’Asia minore, guidati da
Tirreno navigarono alla volta dell’Italia.
-Dionigi di Alicarnasso li riteneva genti autoctone, indigene, della penisola italica.
La ricerca archeologica e storica moderna propende per lo piu’ a spiegare l’origine etnica degli Etruschi, come il
punto d’incontro di due tipi di processi:
- da un lato si pensa a un’evoluzione della struttura interna delle società e delle economie locali
- dall’altro si riconosce l’importanza che su queste esercitarono influenze esterne, in primo luogo i rapporto con le
colonie greche presenti nell’Italia Meridionale. L’origine della civiltà etrusca sembra dunque riconducibile ad uno
sviluppo autonomo realizzatosi nelle regioni comprese tra i corsi dell’Arno e del Tevere. Tale sviluppo risentì di
apporti importanti di gruppi etnici extra italici, portatori anche di elementi propri delle civiltà orientali. Anche se
nella fase della loro massima espansione (VII-VI secolo a.C.) gli Etruschi controllavano gran parte dell’Italia
centro-occidentale e competevano con i Greci e i Cartaginesi per il controllo delle principali rotte marittime, questo
popolo non diede mai vita ad uno stato unitario. Gli etruschi si organizzarono fin dalle origini in città indipendenti
governate d sovrani detti ‘’lucumoni’’ che furono poi sostituiti da magistrati eletti annualmente gli ‘’zilath’’
corrispondenti ai pretori romani. L’unica forma di affermazione delle comunità etrusche che ci sia nota è quella
rappresentata dalla lega delle 12 città principali. Il governo delle città era principalmente nelle mani di un gruppo
ristretto di proprietari terrieri e di ricchi commercianti. Il processo di espansione degli Etruschi subì un primo
arresto intorno al 530 a.C. a seguito di una battaglia navale contro i Focei. Decisivi per la caduta etrusca furono due
eventi che si verificarono all’inizio del IV sec a.C: la presa dell’importante città di Veio ad opera dei Romani nel
396 e la perdita dei possedimenti nella val Padana, caduti in mano ad una popolazione indoeuropea nuova. Nel
corso del III secolo l’Etruria passò progressivamente in mano romana.
2.2 Religione e cultura
L’aspetto che piu’ suscitò l’ammirazione degli scrittori antichi fu lo sviluppo che ebbero i riti religiosi. La sfera
religiosa etrusca comprende una ricchezza di culti e di scritti sacri ben codificati. Le divinità del pantheon etrusco
sono in gran parte assimilabili a quelle greche. Alcune hanno nomi di derivazione ellenica: Hercle è Eracle, Apulu
è Apollo, Artumes è Artemide. Altri dei hanno nomi che rivelano un’origine indigena come Selvans= Silvano.
Anche per gli etruschi come per i greci c’è una divinità suprema, Tinia, subordinata al Fato. Tutte le altre divinità
erano ordinate secondo gerarchie in base ai regni di supremazia: mortali o inferi.
Nella religiosità etrusca ha un’importanza particolare la concezione dell’aldilà. Il defunto è immaginato continuare
la propria esistenza nella tomba, nella quale devono trovar posto cibi e bevande e simboli del suo status sociale. In
un secondo tempo a quest’immagine sarà poi sostituita un’altra che concepiva l’oltretomba come una destinazione
alla quale si perveniva dopo un lungo viaggio che poteva essere effettuato a piedi o con un mezzo di locomozione.
Agli etruschi risale inoltre l’Aruspicina, attraverso l’esame delle viscere degli animali sacrificati per scopi religiosi.
Questa si basa sulla concezione di un fondamentale unità cosmica secondo cui negli organi si riprodurrebbe
l’ordine dell’universo: l’analisi delle parti delle vittime serviva all’aruspice per le sue interpretazioni e per trovare
le risposte a domande che venivano rivolte alla divinità.
I siti delle città etrusche hanno lasciato una traccia archeologica modesta. Le necropoli erano disseminate un po’
ovunque nell’are d’influenza etrusca, erano scavate con varie strutture:- a pozzo costituite da semplici pozzetti
rivestiti che accoglievano le custodie delle ceneri dei defunti
- a fossa che sostituirono quella a pozzo, destinate all’inumazazione dei cadaveri.
Le piu’ evolute sepolture sono a camera, costruite come veri e propri appartamenti per membri di una stessa
famiglia, fornite di numerosi ambienti, celle, corridoi e nicchie. Gli etruschi praticavano con successo oltre
all’agricoltura anche la metallurgia, l’artigianato.
Roma
3. ROMA
3.1 Le origini di Roma
L’archeologia ha confermato l’importanza dell’influenza greca e orientale su Roma e sul Lazio. Essa si manifesta
molto presto a partire dall’VIII secolo a.C.
3.2 Le fonti letterarie
Le testimonianze delle fonti letterarie, rappresentano il primo blocco di informazioni con cui ci si deve confrontare
per ricostruire la storia di Roma arcaica. Si tratta di opere che risalgono ad epoche molto posteriori agli eventi
narrati e nelle quali hanno largo spazio elementi leggendari. I primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale
furono i Greci. E in greco scrissero anche i primi storici romani. I primi storici di cui possiamo leggere tuttora, in
forma piu’ o meno completa, le narrazioni su Roma arcaica vissero nel I secolo a.C. Tito Livio scrisse una grande
storia di Roma dalla sua fondazione in ben 142 libri. Il primo libro dedicato alla Roma monarchica. Molto
importante è anche lo storico greco Dionigi che scrisse Antichità romane, in 20 libri, coprendo il periodo che
andava dalla fondazione di Roma allo scoppio della prima guerra punica. Roma fino alla metà del IV sec. a.C.
nessun interesse particolare da parte della storiografia greca. Solo a partire da quest’epoca a fronte dell’emergere
della potenza romana, ci si preoccupò di organizzare le informazioni disponibili. Lo scopo principale è quello di
dimostrare che i Romani erano una popolazione di origine ellenica. La versione piu’ nota e diffusa della leggenda
delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio
e il regno di Romolo. Nel primo libro dell’Eneide, il poeta latino Virgilio, si ispira a questa tradizione: Alba Longa
è fondata dal figlio di Enea, Ascanio e la città prenderà il nome della moglie Lavinia. Virgilio mette anche in
relazione il nome di Alba Longa con il prodigio della scrofa bianca (alba) che dando alla luce trenta porcellini,
indica ai Troiani il numero di anni che devono trascorrere per la fondazione della nuova città. Secondo la leggenda
il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, è figlio addirittura di Marte, il dio della guerra e di Rea Silvia
che a sua volta è figlia di Numitore, l’ultimo re di Alba Longa privato del trono dal fratello piu’ giovane Amulio.
2. La tradizione familiare. La struttura della società romana era dominata dalla competizione tra le principali
famiglie dell’aristocrazia di governo. Ciascuna cercava di accreditare il proprio titolo di superiorità sulle
altre celebrando le glorie degli antenati. Una delle forme con le quali la storia familiare veniva celebrata è
riconducibile all’uso di pronunciare elogi dei defunti in occasione di cerimonie funebri.
3. La tradizione orale. La struttura di parecchie leggende legate all’origine di Roma ha caratteristiche tali da
rendere credibile che siano tramandate oralmente di generazione in generazione. La tradizione orale è però
soggetta a forti distorsioni. Come canale di trasmissione sono stati indicati canti celebrativi delle imprese
dei personaggi illustri che recitavano durante i banchetti.
4. Documenti d’archivio. I primi storici di Roma hanno in comune una medesima struttura narrativa che
consiste nel menzionare per ogni anno i nomi dei magistrati principali e degli eventi ritenuti degni di nota.
Tra queste possibili fonti quella che gode di maggiore credito sono gli Annali dei pontefici, ovvero la
registrazione degli avvenimenti fondamentali, tenuta anno per anno dall’autorità religiosa di Roma
(pontefice massimo).
La popolazione dello stato romano arcaico era diviso in gruppi religiosi e militari detti ‘’curie’’: comprendevano
tutti gli abitanti del territorio ad esclusione degli schiavi.
Con Romolo si pensa siano state create anche le tribu’. Originariamente: Tities, Ramnes e Luceres. In epoca tarda
invece ogni tribu’ fu divisa in dieci curie e da ogni tribu’ furono scelti cento senatori (trecento in tutto quelli che
formavano la prima assemblea degli anziani).Ogni tribu’ era tenuta a fornire un contingente di cavalleria e uno di
fanteria rispettivamente di cento e mille uomini.
3.17 La famiglia
La notazione di famiglia romana comprendeva un raggruppamento sociale assai piu’ ampio di quello che siamo
abituati ad intendere oggi. Facevano parte di una stessa famiglia, tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di uno
stesso capofamiglia, il pater familias, al quale spettava anche il controllo sui beni. Si può dire che il vincolo di
fondo della famiglia romana non fosse rappresentato dai legami contratti con il matrimonio, ma piuttosto dal potere
(potestas) esercitato dal pater sulle persone che rispettavano la sua autorità. Di una stessa famiglia facevano parte
non solo i figli generati dal matrimonio del capofamiglia ma anche tutti quelli che, adottati, sceglievano di
sottoporsi alla sua potestas. Nella sua forma piu’ antica la famiglia romana presentava i caratteri tipici di una
società prestatale: era infatti un’unità economica, religiosa e politica. Il fine principale era quello della propria
perpetuazione. In età arcaica il primo diritto di un padre rispetto ai figli era quello di rifiutarli al momento della
nascita. Pesino i figli legittimi entravano a far parte della famiglia solo mediante un atto formale. Il loro
accoglimento o rifiuto veniva palesato dal padre con dei gesti pubblici come il prendere i maschi tra le braccia o il
dare ordine alla moglie di allattare le femmine. Tra i vincoli fondamentali della famiglia romana c’era quello
religioso. I riti familiari si trasmettevano originariamente di padre in figlio e la loro osservanza era ritenuta
assolutamente doverosa. Gli antenati del ramo paterno furono i primi manes (le anime dei defunti) oggetto di culto
all’interno alla famiglia romana. Un aspetto particolare del diritto romano prevedeva che almeno un figlio
rimanesse sotto l’autorità del padre sino a quando questi era in vita. Tra i diritti che competevano al pater c’era
anche quello di diseredare i figli. Per salvaguardare il principio si arrivò a concedere che, in alcuni casi, per tutelare
i figli legittimi, fosse possibile annullare il testamento.
3.18 La donna
Il ruolo della donna aristocratica che riceveva un’educazione intellettuale che poteva spaziare dalla letteratura alle
arti della musica e della danza non si esauriva nella sola vita domestica, con la sorveglianza del lavoro delle
schiave e lo svolgimento di lavori piu’ fini, quali il ricamo o la tessitura. La moglie accompagnava il marito nella
vita pubblica e condivideva con lui il compito dell’educazione dei figli. L’autorità nella casa e ancor piu’ nella
società rimase però sempre e soltanto quella del marito. Il marito ha pieno potere sulla donna: la può punire se ha
commesso qualche mancanza e addirittura ucciderla in caso di flagrante adulterio. La rigida tutela della castità
femminile spiega anche la severita’ con la quale venivano giudicati i comportamenti poco consoni a quel costume
di riservatezza e di sobrietà che una donna bene educata doveva osservare. I romani si sposavano presto. La legge
proibiva comunque che le ragazze prendessero marito prima di aver raggiunto i dodici anni. Toccava al padre
cercare uno sposo per le figlie che spesso venivano promesse in matrimonio ancora bambine: questo avveniva con
un’apposita cerimonia di fidanzamento, detta Sponsalia, accompagnata da una serie di riti. Data la concezione
romana del matrimonio, la felicità di una sposa era in gran parte subordinata alla sua capacità di avere figli: per le
donne sterili il destino era quasi sempre il ripudio, con il conseguente ritorno alla casa paterna. Il matrimonio era
fondamentalmente un’istituzione privata. Esistevano forme diverse per contrarre un matrimonio:
- confarreatio cioè la divisione di una focaccia di farro tra i due sposi
- mancipatio una sorta di atto di compra vendita
Il sistema piu’ comune per sposarsi a Roma era però quello chiamato usus, cioè l’ininterrotta convivenza dei
coniugi per un anno. Non esisteva un atto formale, cosi come per il divorzio.
altrettanto bene alla nozione di proprietà trasmissibile per via ereditaria. La complementarietà tra piccola proprietà
individuale e forme di appropriazione collettiva della terra risale, alle condizioni ambientali delle aree appenniniche
e subappenniniche in contesti prevalentemente silvo pastorali. I primi due secoli della repubblica romana
conobbero un sostanziale assestamento interno che fu progressivamente modificato quando a partire dal IV secolo
iniziarono le assegnazioni di terreno conquistato mentre si sviluppavano le attività artigianali e commerciali.
La storiografia antica sulla nascita della Repubblica, rappresentata per noi da Tito Livio, ci presenta un quadro
chiaro: Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco di Roma, respinto dall’aristocratica Lucrezia, violentata la
giovane. Lucrezia, prima di suicidarsi, narra il misfatto al padre e al marito. Guidata da questi aristocratici, scoppia
una rivolta che porta alla caduta della monarchia (evento fissato intorno al 510 a.c. Tarquinio il Superbo, in quel
momento impegnato in operazioni militardi non è in grado di rispondere con prontezza. Nell’anno successivo i
poteri del re passano a due magistrati eletti dal popoli, i consoli, uno dei quali è lo stesso Bruto.
2. I Fasti
I Fasti sono sostanzialmente liste dei magistrati eponimi della Repubblica, quei magistrati cioè che davano il nome
all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. I Fasti ci sono giunti sia attraverso la tradizione
letteraria, sia attraverso alcuni documenti epigrafici: i piu’ importanti sono i Fasti Capitolini, cosi chiamati perché
sono conservati nei Musei Capitolini di Roman. Nei Fasti Capitolini trova riflesso una cronologia elaborata negli
ultimi anni della Repubblica, in particolare da Varrone che fissava la fondazione di Roma al 753 a.c e il primo anno
della Repubblica al 509 a.C. Le datazioni varroniane assunsero nell’antichità un valore quasi canonico e
generalmente forniscono l’ossatura cronologica anche degli studi moderni.
3. La fine della monarchia e la creazione della Repubblica: evento traumatico o passaggio graduale?
La storia della violenza subita da Lucrezia sia autentica o frutto della fantasia non spiega comunque i motivi
profondi della caduta del regime monarchico a Roma. Probabilmente la fine della Repubblica è da attribuire ad una
rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato i suoi caratteri autocratici. Alcuni elementi
lasciano pensare che alla cacciata di Tarquinio il Superbo sia succeduto un breve, ma confuso periodo, in cui Roma
appare in balia di re e condottieri.
Alcuni elementi inducono a ritenere che la datazione tradizionale della creazione della Repubblica, seppur non
esatta all’anno, non sia del tutto lontana dalla verità (470-450 a.C).
La tradizione storiografica antica è concorde nell’affermare che i poteri di un tempo proprio del re sarebbero
passati immediatamente e in blocco a due consules, o meglio, praetores, come si sarebbero inizialmente chiamati i
massimi magistrati della Repubblica. Eletti dai comizi centuriati, ai consoli spettava dunque il comando
dell’esercito, il mantenimento dell’ordine all’interno delle città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il
potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento. Solo alcune delle competenze
religiose dei precedenti monarchi non sarebbero state trasferite ai consoli ma ad un sacerdote di nuova istituzione
nel cui nome di rex sacrorum ‘’re delle cose sacre’’, si conservò il ricordo dell’istituto monarchico; la valenza
esclusivamente religiosa del nuovo sacerdozio venne sottolineata dal fatto che il rex sacrorum non poteva rivestire
cariche di natura politica, ben presto vennero affiancandosi altri sacerdozi di maggior peso politico come i pontefici
e gli ‘auguri. Nella sfera religiosa rimase comunque sempre di competenza dei consoli il controllo sugli auspici, il
potere cioè di interpretare la volonta’ degli dei riguardo le decisioni piu’ importanti della vita pubblica. I poteri
autocratici di cui erano dotati i due consoli erano tuttavia sottoposti ad alcuni importanti limiti:
- la durata della loro carica limitata ad un anno
- ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega qualore la
giudicasse dannosa per lo stato
- possibilita’ per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblee popolare contro le condanne
capitali inflitte dal console (provocatio ad populum).
6. Le altre magistrature
Le crescenti esigenze dello stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature che sollevassero i
consoli da alcune loro competenze.
Questori originariamente due, assistevano i consoli sella sfera delle attività finanziarie.
Quaestores parricidii istruivano i processi per delitti di sangue che coinvolgessero i parenti.
Duoviri perduellionis collegio competente circa il reato di alto tradimento.
Censori dal 443 a.C. hanno il compito di tenere il censimento + in seguito anche la redazione delle liste dei
membri del senato; da tale competenza si sviluppò una generale supervisione della condotta morale dei cittadini, la
cura morum, che conferiva ampi poteri di intervento su diversi aspetti della vita pubblica e privata. Non erano
soggetti all’annualità, durava 18 mesi la carica.
7. La dittatura
In caso di necessità, i supremi poteri della Repubblica erano affidati ad un dittatore; il dictator non veniva eletto da
un’assemblea popolare, ma nominato da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato.Egli
non era affiancato da colleghi, ma da un magister equitum da lui personalmente scelto e a lui subordinato; contro il
suo volere non valeva l’appello al popolo l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe.Aveva durata
massima di sei mesi e era nominato perlopiù a fronte di crisi militari, cosa che si può intuire dall’originario nome:
magister populi – “comandante dell’esercito”.
Dodici flamini inferiori erano addetti ad altrettante divinità. Al flaminato era connessa una serie di tabù religiosi,
limitarono il loro diritto a rivestire cariche politiche o addirittura ad allontanarsi da Roma.
I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che superavano la sfera culturale e coinvolgevano la politica,
essi erano:
Il collegio dei pontefici guidato da un pontefice massimo, costituiva la massima autorità religiosa dello Stato +
aveva controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche e sul calendario.
Il collegio degli àuguri assistevano i magistrati nella funzione di trarre auspici e interpretare la volontà divina,
affinché un atto pubblico potesse essere considerato valido.
I duoviri sacris faciundis custodivano i Libri Sibillini, un’antica raccolta di oracoli, in greco, che nella tradizione
tardorepubblicana erano connessi con la Sibilla di Cuma.
Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori si ricordano gli aruspici al pari degli àuguri, chiarivano la volontà
divina mediante l’esame delle viscere delle vittime sacrificali; i feziali, anch’essi riuniti in un collegio, essi
dichiaravano guerra, attenendosi al complesso cerimoniale previsto per assicurare a Roma il favore degli dèi nel
conflitto; l’espressione bellum iustum ha il senso di guerra dichiarata secondo le corrette formalità. Potevano inoltre
trasmettere richieste di riparazioni o ultimatum nella conclusione di un trattato.
9. Il senato
Il vecchio consiglio regio, formato da capi di famigli nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia, diventando il
perno della Repubblica a guida patrizia. Il principale strumento istituzionale in mano al senato per influire sulla vita
politica era l’auctoritas patrum (diritto di sanzione).La carica durava tutta la vita, potevano dispiegare la loro
politica in continuità d’azione dal momento che il senato era composto da ex magistrati, questi non avevano
interesse ad agire i contrasto con l’assemblea di cui stavano per entrare a far parte.
Nel senato trova espressione compiuta e continuativa la leadership politica delle élite sociale ed economica di
Roma.
Ancora oggi possiamo assistere ad un acceso dibattito circa le prime origini di Roma, ma in ogni caso, le
testimonianze delle fonti letterarie, specie quelle storiografiche, rappresentano il primo e fondamentale blocco di
informazioni, e i primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale furono i Greci.
La tradizione orale deve aver assunto una posizione di rilievo nella trasmissione dei ricordi storici, non abbiamo
infatti testimonianza di storiografia, né di archivi familiari durante tutto il periodo regio.
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La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la
dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Virgilio s’ispira a questa tradizione, Alba
Longa viene fondata dal figlio di Enea, Ascanio/Iulo, trent’anni dopo la fondazione di Lavinium, città cui il padre
da il nome della moglie. Secondo la leggenda il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, sarebbe figlio di
Marte, dio della guerra, e di Rea Silvia, figlia di Numitore, ultimo re di Alba Longa, privato del trono dal fratello
Amulio.
Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni sulle origini di Roma:
una greca, che ricollegava la fondazione della città alla leggenda di Enea, ed una indigena, nella quale Romolo
rappresentava un mitico fondatore autoctono.
La tradizione fissa il periodo monastico dal 754 al 509 a.C. anno di instaurazione della Repubblica. In questo
periodo avrebbero regnato sette re, Romolo – Numa Pompilio – Tullo Ostilio – Anco Marcio – Tarquinio Prisco
– Servio Tullio – Tarquinio il Superbo.
• Romolo: creazione delle prime istituzioni politiche, tra cui un senato di cento membri.
• Numa Pompilio: creazione dei primi istituti religiosi.
• Tullo Ostilio: prime campagne militari di conquista.
• Anco Marcio: fondazione della colonia di Ostia.
• Tarquinio Prisco: con cui, tradizione vuole, inizia una seconda fase della monarchia romana, in cui gioca un
ruolo significativo la componente etrusca; a lui sono attribuite importanti opere pubbliche.
• Servio Tullio: costruzione delle prime mura della città (mura serviane) + istituzione della più importante
assemblea elettorale romana, i comizi centuriati.
• Tarquinio il Superbo: tratti tipici del tiranno, infligge ogni tipo di vessazione.
Uno dei problemi che si pone circa questo genere di informazioni è la coloritura leggendaria di molti eventi narrati,
viene quindi messa facilmente in discussione la loro attendibilità di fondo. Le fondi sulle quali gli storici del tempo
basavano i loro testi erano:
1. Opere storiche a noi non pervenute, Livio e Dionigi di Alicarnasso sono alla fine di una lunga serie di
storici, noti col nome di “annalisti”.
2. La tradizione familiare, basata sulla competizione tra famiglie dell’aristocrazia, ove ognuna cercava di
accreditare il proprio titolo di superiorità sulle altre celebrando le glorie degli antenati.
3. La tradizione orale, soggetta peraltro a forti distorsioni. Essa gioca un ruolo fondamentale
nell’elaborazione storiografica, ponendo una serie di questioni:
• chi trasmette, che cosa e per quale scopo.
• quanto passa per la tradizione orale, dev’essere confrontato con la ricostruzione storica.
Tema centrale riguarda il modo in cui è stata operata la selezione del materiale trasmesso; la storiografia a
Roma, e dunque la presenza di testi scritti, nasce solo nella seconda metà del III sec. a.C. Il fondatore della
moderna storiografia su Roma arcaica, Niebuhr, elaborò una teoria secondo la quale le leggende e le
tradizioni di Roma erano state create nei canti recitati ai banchetti, i carmina convivalia. Sappiamo che nei
secoli passati l’uso del sympòsion aristocratico era stato adottato dalle elites del Lazio e dell’Etruria;
sembra possibili quindi che i canti, le storie ripetute in tali banchetti possano aver contribuito a creare la
memoria comune del gruppo, basata sulla celebrazione dei grandi fatti di membri passati e presenti: la
valorizzazione del passato rafforzava la coesione sociale presente
4. Documenti d’archivio, gli storici menzionavano infatti per ogni anno i nomi dei magistrati principali e
degli eventi degli di nota; tra queste fonti troviamo gli Annales dei pontefici, registrazione sommaria degli
eventi fondamentali, tenuta anno per anno, dal pontefice massimo. Attorno al 130 a.C. questi Annali furono
pubblicati, in 80 libri, dal pontefice Mucio Scevola, col nome di Annales Maximi.
Importanti sono altresì le informazioni degli “antiquari”, studiosi che dal II sec. a.C. si dedicarono a ricerche sul
passato romano.
La nascita della città dovette essere il risultato di un processo formativo lento e graduale, per il quale si deve
presupporre una sorta di federazione di comunità separate che già vivevano sparse sui singoli colli. Sembra peraltro
improbabile che Roma abbia preso il nome dal fondatore Romolo, è semmai più verosimile il contrario; tra le
possibilità circa l’origine del nome Roma, di cui siamo incerti, vi è quella che derivi dalla parola ruma
(“mammella”, intesa come collina), oppure da Rumon, termine latino arcaico che designava il fiume Tevere.
Gli scavi condotti sulle pendici meridionali del Palatino hanno portato alla luce (1988) i resti di una palizzata e più
a valle di un muro, databile all’VIII sec. a.C. – in cui si può leggere la linea dell’originario solco di confine,
pomerio, mentre nel muro in tufo, il cosiddetto “muro di Romolo”.
Il rito di fondazione di una città italica è così descritto da Marco Terenzio Varrone:
“Molti fondavano nel Lazio le città secondo il rito etrusco, aggiogando insieme un toro e una vacca e segnando con
l’aratro il solco interno, nel giorno indicato dagli auspici, impiantando poi il muro e la fossa. Là dove scavavano la
terra dicevano fossa e dove la gettavano, nell’interno, dicevano muro; il terreno al di qua della linea era detto
pomerio e al di fuori di esso finiscono gli auspici urbani”.
Nella fondazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di vista religioso era rivestita dal pomerio (dal
lat. postmoerium ‘che si trova al di là dal muro’); il pomerio era in origine la linea sacra che delimitava il perimetro
in corrispondenza delle mura, poi servì a designare anche una zona che separava le case dalle mura, ove non era
permesso fabbricare, seppellire o piantare alberi. Il pomerio però non corrispondeva sempre alle mura, in quanto
tracciato secondo una procedura religiosa, secondo gli auspici presi dagli àuguri; le mura rispondevano invece a
esigenze di difesa in rapporto al territorio, poteva capitare che le due linee fossero ad una considerevole distanza.
L’area del pomerio era delimitata da cippi infissi nel terreno, dopo una cerimonia religiosa presieduta dal pontefice
massimo.
Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie, alla cui testa stava il pater, la figura
depositaria di un potere assoluto sui suoi componenti, compresi schiavi e clienti. Tutte le famiglie che
riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens, un gruppo organizzato politicamente e
religiosamente.
La popolazione dello stato romano arcaico era suddivisa in gruppi religiosi e militari detti curie, esse
comprendevano tutti gli abitanti del territorio, ad esclusione degli schiavi; praticavano i propri riti religiosi ed erano
il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, dei comizi curiati.
Altro importante raggruppamento sono le tribù, la cui creazione fu attribuita allo stesso Romolo: originariamente
erano tre, Tities – Ramnes – Luceres, nomi che rimandano ad una possibile origine etrusca.
Lo Stato romano, con il dominio etrusco, si organizzò secondo precisi criteri: ogni tribù venne divisa in dieci (10)
curie e da ogni tribù furono scelti cento (100) senatori; su questo modello si organizzò anche la dimensione
militare: ogni tribù era tenuta infatti a fornire un contingente di cavalleria (100 uomini) e uno di fanteria (1000
uomini). La componente fondamentale dell’esercito, la legione, risultava composta da tremila fanti e da trecento
cavalieri (detti celeres).
La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva, l’elezione del re era demandata
all’assemblea dei rappresentati delle famiglie più in vista. Il re poi doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un
consiglio di anziani composto dai capi di quelle più nobili e ricche (detti patres), essi rappresentavano il nucleo di
quello che sarebbe diventato il senato.
Esisteva un sacerdote col nome di rex sacrorum, avente il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re;
vi era poi un magistrato, indicato col termine interrex, che subentrava nel caso di indisponibilità di ambo i consoli.
Il re era anche il supremo capo religioso, nella celebrazione del culto era affiancato dai collegi di sacerdoti, tra cui
di particolare rilievo il ruolo dei pontefici, depositari e interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla
redazione di un corpus di leggi scritte.
Il collegio degli àuguri aveva il compito di interpretare la volontà divina al fine di propiziarsela, per il felice esito
di un’impresa; quello delle vestali aveva il compito di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuo nel tempio della
dea Vesta, erano donne votate ad una castità trentennale.
La divisione sociale alla base della Roma arcaica, che rimarrà viva per quasi tutta la storia della Repubblica, è
quella tra patrizi e plebei; per tradizione i primi erano discendenti dei antichi senatori (patres), mentre i plebei si
ipotizza fossero i clienti dei patroni patrizi; o alcuni riconoscono nei patrizi Latini gli abitanti del Palatino e nei
plebei i Sabini insediati sul Quirinale, entrati nella comunità civica in condizione di inferiorità; o ancora, si può
mettere in primo piano il fattore economico.
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Terzo pilastro dopo le magistrature e il senato, sul quale sorge l’edificio istituzionale di Roma, erano le assemblee
popolari. Riservate ai maschi adulti di condizione libera e con diritto di cittadinanza; e si era cittadini romani per
diritto di nascita, in quanto figli legitimi di padre in possesso della piena cittadinanza.
La più antica assemblea erano i comizi curiati, ma progressivamente persero significato; la loro funzione più
importante di conferire potere ai magistrati si ridusse a una formalità. L’assemblea più importante di Roma, nella
prima età repubblicana, è costituita dai comizi centuriati, fondati su una ripartizione della cittadinanza in classi di
censo, e all’interno di queste in centurie.
Questo meccanismo prevedeva che le risoluzioni venissero prese non a maggioranza dei voti individuali, ma a
maggioranza delle unità di voto costituite dalle centurie, assicurando un vantaggio all’elemento più facoltoso e
anziano della cittadinanza.
La funzione precipua dell’assemblea centuriata era quella elettorale, cui spettava l’elezione dei consoli e degli altri
magistrati superiori.
Terza e ultima per data di creazione, tra le assemblee in cui si riunivano i cittadini erano i comizi tributi, cui venne
affidata l’elezione dei questori. In tali assemblee si votava secondo la divisione in tribù , eleggevano i magistrati
minori, ma soprattutto avevano funzione legislativa.
Avevano però diverse limitazioni: le assemblee comunque non godevano di autonomia, né di convocarsi, né di
assumere iniziative: spettava ai magistrati indire l’adunanza cui sottoporre la legge da votare o respingere, ma non
modificare.
Magistratura Data di creazione Età minima Numero Durata Elezione Poteri principali
Dittatura 501 a.C. 1 (con magister Massimo di Un console, Poteri supremi, esercitati
equitum) 6 mesi un pretore o soprattutto nella sfera
un interré militare.
Censura 443 a.C. 44 anni 2 18 mesi Comizi Redazione censimento +
centuriati compilazione delle liste
senatorie + cura morum.
Consolato 509 a.C. 42 anni 2 1 anno Comizi Comando dell’esercito +
centuriati comandi provinciali +
convocazione del Senato e
dei comizi + controllo
degli auspici.
Pretura 366 a.C. 39 anni 1 (urbano) + 1 anno Comizi Comando dell’ esercito +
1 (peregrino) + centuriati comandi provinciali +
4 provinciali convocazione del Senato e
dei comizi.
Edilità Curule 366 a.C. 36 anni 2 1 anno Comizi tributi Organizzazione dei Ludi
Maximi.
Edilità Plebea 496 a.C. 36 anni 2 1 anno Concilia plebis Archivisti e tesorieri della
tributa Plebe + cura dei mercati,
approvvigionamenti,
strade, templi ed edifici
pubblici.
Tribunato della 496 a.C. 2 poi 10 1 anno Concilia plebis Ius auxilii e ius
plebe tributa intercessionis +
convocazione dei concilia
plebis tributa.
Questura 509 a.C. 30 anni 2 1 anno Consoli, poi Competenze finanziarie.
Comizi tributi
La caduta dei Tarquini e i mutamenti nel quadro internazionale della prima meta’ del V secolo a.C ebbero pesanti
ripercussioni nella situazione economica di Roma. Il problema economico, evidente nella tradizione letteraria,
mostra come la crisi provocata dal progressivo indebitamento di ampi strati della popolazione, ha un ruolo centrale
nella lotta fra patrizi e plebei. Gli effetti dei cattivi raccolti e delle malattie colpivano in particolare i piccoli
agricoltori che avevano minore possibilita’ di fronteggiare le temporanee difficoltà. Accadeva di frequente che il
debitore, incapace di estinguere il proprio debito, fosse costretto a porsi a servizio del creditore del ripagarlo del
prestito e degli interessi maturati: è l’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano vincolati ad una
condizione non dissimile da quella servile. Il debitore poteva anche essere venduto in terra straniera o messo a
morte.
Davanti alla crisi economica, le richieste della plebe concernevano una mitigazione delle norme sui debiti + una
equa distribuzione dei terreni statali, l’ager publicus.
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dell’assetto economico-istituzionale dello Stato, ma aspirava ad una riforma dall’interno, che riservasse il giusto
peso a tutte le componenti della cittadinanza.
Nel quadro complessivo di questi anni (siamo tra il 376 a.C. – anno del tentativo di Capitolino e il 366 a.C.)
vennero create due nuove cariche: il pretore, avente il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani,
dotato di imperium poteva, se necessario, essere messo a capo di un esercito, sebbene i suoi poteri fossero
subordinati a quelli dei consoli.
Sempre nel 366 a.C. vennero eletti due edili curuli, chiamati così dalla sella curulis, ove sedevano i magistrati
patrizi, che li distingueva dagli edili della plebe; ad essi venne affidato il compito di organizzare i Ludi maximi.
La conquista dell’Italia
11. La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma
Alla caduta della monarchia Roma, secondo la tradizione letteraria, controllava un territorio esteso dal Tevere alla
ragione Pontina, a seguito delle conquiste, ma anche dell’accorta politica matrimoniale condotta dai re etruschi.
Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. alcune città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per
contrastare la sua egemonia; esse si strinsero in una lega, in ricordo forse di un’unità etnica del popolo latino,
riconoscendosi diversi diritti: lo ius connubii, diritto di contrarre matrimoni legittimi coi cittadini di altre comunità;
lo ius commercii, diritto di siglare contratti aventi valore legale fra cittadini appartenenti a comunità diverse,
usando strumenti formali del diritto cittadino e lo ius migrationis, per cui un latino poteva assumere pieni diritti
civili in una comunità diversa da quella in cui era nato, prendendovi residenza.
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La lega latina tentando di affermarsi definitivamente attaccò Roma, alcuni pensano per volontà di Ottavo Mamilio
di Tusculo, con la speranza di rimettere sul trono della città il proprio suocero, Tarquinio il Superbo. Lo scontro, nel
496 a.C. presso il lago Regillo, conobbe la vittoria dei Romani – fra le conseguenze più importanti vi è l’uscita di
scena di Tarquinio e la sottoscrizione di un trattato, nel 493 a.C. che avrebbe regolato i rapporti fra Roma e i Latini
per molto tempo; firmato per parte romana, dal console Spurio Cassio, che diede il nome al trattato stesso (foedus
Cassianum) prevedeva:
a. le due parti s’impegnavano a mantenere tra loro la pace e a comporre amichevoli eventuali dispute
commerciali.
b. prestarsi aiuto reciprocamente nel caso una delle parti fosse stata attaccata.
c. l’eventuale bottino di campagne di guerra comuni sarebbe stato diviso equamente.
Nel 486 a.C. Roma completò il suo sistema di alleanze con gli Ernici, in termini di trattato molto simili a quello
Cassiano.
Eventi di questa portata furono decisivi a Roma: il lungo assedio aveva tenuto lontano per molto tempo i soldati dai
campi; per questo fu necessario introdurre una paga, detta stipendium. Per far fronte alle spese militari venne
introdotta una tassa straordinaria, tributum, che gravava in misura proporzionale sulle diverse classi
dell’ordinamento censitario, a seconda delle loro proprietà.
3.6 La ripresa
Notevole è la rapidità con la quale Roma si riprese dall’evento traumatico e da qui animò la sua politica estera a
partire dal 390 a.C. In questi anni inizia la costruzione delle mura serviane (poi che attribuite a Servio Tullio) in
tufo; la cinta muraria serviva a proteggere da altre eventuali incursioni galliche e abbracciava un’estensione
vastissima. L’atteggiamento di Roma è comunque votato all’offensiva e trova il suo esecutore in Camillo.
Pochi anni bastarono ad annientare gli Equi – più lungo fu lo scontro coi Volsci, forti dell’aiuto degli Ernici, non
più alleati con Roma, e di altre città latine, stanche di un’alleanza con Roma, ormai città egemone.
Nel 381 a.C. Tusculo viene annessa al territorio romano, mantenendo le sue strutture di governo e la sua autonomia
interna, assegnando però agli abitanti i medesimi diritti e doveri dei cittadini romani: Tusculo divenne il primo
municipium (termine per indicare comunità indipendenti annesse allo Stato romano).
Nel 358 e 354 a.C. i Volsci cedettero la piana Pontina e caddero le più potenti città latine, Tivoli e Preneste.
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La fondazione di colonie romane a Cales e a Fregelle, territori che i Sanniti consideravano di propria pertinenza,
provocò una nuova crisi nei rapporti fra le due potenze. La seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) vide fra le
proprie cause il rapporto contrastante fra le masse popolari, a favore dei Sanniti, e le classi più agiate di sentimenti
filoromani (una situazione che si presenterà regolarmente nelle città coinvolte nei conflitti fra Roma e avversari).
I Romani sconfissero la guarnigione dei Sanniti a Napoli, conquistando la città, ma non riuscirono a penetrare a
fondo nel Sannio: nel 321 a.C. vennero circondati al passo delle Forche Caudine e costretti alla resa; al cui seguito
vi fu una momentanea tregua.
Nel 316 a.C. si riapre lo scenario di guerra, dopo che i Romani attaccarono Saticula: le prime operazioni furono
favorevoli ai Sanniti, che conseguirono una vittoria a Lentulae (interrompono comunicazioni con la Campania), poi
Roma riprese la situazione in mano, attraverso una strategia a lungo termine, non sostenibile dalla Lega sannitica.
Saticula fu conquistata nel 315 a.C., Fregelle venne ripresa, le comunicazioni con la Campania ristabilite grazie
alla costruzione del primo tratto della via Appia e strinsero sotto assedio il Sannio grazie a colonie come Luceria
fondate in Apulia.
Ora, il compatto esercito a falange si era rivelato incapace di sostenere manovre su un terreno accidentato come il
Sannio: la legione venne divisa in 30 reparti (manipoli), unione di due centurie, sebbene avessero perso il
significato etimologico di “cento uomini”, era composta infatti da 60 soldati. La legione era schierata su tre linee,
ognuna delle quali composta da dieci manipoli; i primi erano chiamati principes, poi gli hastati, e infine i triarii.
Roma era così in grado di affrontare più agevolmente una minaccia su due versanti, a side contro i Sanniti e a nord
contro la coalizione degli Stati etruschi, i quali furono subito costretti a siglare una tregue (308 a.C.). Concentrati
gli sforzi sul Sannio i Romani giunsero alla pace del 304 a.C. che rinnovava il precedente (del 354 a.C.), lasciando
definitivamente il possesso di Fregelle e Cales a Roma.
Sempre in questo periodo, gli Ernici vennero inglobati nello Stato romano senza diritto di voto, e gli Equi furono
sterminati.
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chiedeva libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori conquistati alle
tre popolazioni sue alleate, ma che furono respinte da Appio Claudio Cieco.
A seguito del rifiuto da parte romana, Pirro assoldò mercenari, muovendo verso la Apulia settentrionale e si scontrò
con l’esercito romano presso Ascoli Satriano nel 279 a.C. riuscendo a sconfiggerlo, al prezzo di gravi perdite.
Forte dell’immenso potenziale umano Roma sembrava poter resistere in modo continuato e senza alcun limite, al
contrario di Pirro i cui rapporti con gli alleati dell’Italia meridionale si andavano deteriorando, specie in virtù delle
onerose richieste economiche da lui effettuate per sanare le perdite e pagare le truppe mercenarie.
Accolse così le domande di aiuto provenienti da Siracusa e ritenne che il possesso della ricca Sicilia avrebbe
accresciuto la sua potenza; vi si recò, lasciando una guarnigione del suo esercito a Taranto. Nel 279 a.C. Roma e
Cartagine stringono un’alleanza che prevedeva la mutua collaborazione militare contro il comune nemico. Pirro
riuscì comunque a far indietreggiare i Cartaginesi, pensando di invadere poi l’Africa, ma il progetto fallì non
potendo più contare su molti appoggi da parte degli alleati italici, stanchi delle pesanti condizioni cui erano
sottoposti.
I Romani intanto i Italia avanzavano senza ostacoli e le popolazioni chiedendo disperatamente l’intervento del re
epirota impedirono il compimento dell’impresa siciliana, il quale subì gravi perdite ad opera della flotta
cartaginese.
Le forze romane comandate dal console Manio Curio Dentato si scontrarono, nel 275 a.C., con le truppe nemiche
nella località dove più tardi sarebbe stata fondata la colonia latina dal nome celebrativo, Benevento.
Pirro capì che la guerra era ormai persa, con le sue truppe in fuga, ma decise di lasciare una guarnigione a Taranto
per dare l’impressione di non aver completamente abbandonato gli alleati, pur tornando nell’Epiro con gran parte
del suo esercito.
Lanciatosi in nuove imprese militari in Grecia, morì nel 272 a.C. In quello stesso anno Taranto si arrese entrando
nel novero dei socii di Roma.
tempesta e nel 249 a.C. colla battaglia navale di Trapani Roma perse quasi del tutto le forze marittime; solo qualche
anno più tardi grazie e prestiti dei cittadini più facoltosi riuscì a ricostruire una flotta, il denaro sarebbe stato
restituito im caso di vittoria.
La flotta cartaginese fu sconfitta nel 241 a.C. alle isole Egadi e decisero di chiedere la pace: le clausole del trattato
che mide fine allo scontro prevedevano lo sgombero totale della Sicilia e il pagamento di un indennizzo di guerra.
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Publio Cornelio Scipione nel frattempo raggiunse in Spagna il fratello Cneo e i due impedissero che giungessero ad
Annibale ulteriori aiuti dalla penisola iberica. Questi poi trovandosi ad affrontare separati le ingenti forze
cartaginesi in Spagna vennero sconfitti e uccisi, il resto dei Romani difese il territorio settentrionale della penisola
sino a che venne nominato comandante delle truppe in Spagna il figlio omonimo di Publio Cornelio Scipione, che
diventerà noto col cognomen di Africano.
Nel 209 a.C. riuscì ad impadronirsi della principale base cartaginese, Nova Carthago, e sconfisse l’anno seguente il
fratello di Annibale, Asdrubale, presso la località di Baecula, il quale riuscì ad avanzare comunque verso l’Italia,
ripetendo l’epica marcia del fratello nel tentativo di porgergli il suo aiuto. La spedizione si scontrò con gli eserciti
di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone; venne sconfitta nel 207 a.C. presso il fiume Metauro: Asdrubale
morì.
Annibale, isolato da qualsiasi aiuto dalla madre patria, si vide costretto a ritirarsi nel Bruzio; mentre Scipione
sconfiggeva gli eserciti cartaginesi di Spagna nella battaglia di Ilipa nel 206 a.C.
Tornato in Italia Scipione fu eletto console nel 205 a.C. e iniziò i preparativi per l’invasione dell’Africa, forte
dell’alleanza con il re della tribù numida dei Massili, Massinissa, in rivolta contro Cartagine.
nel 204 a.C. le truppe romane sbarcarono in Africa e l’anno seguente Scipione e il re numida colsero un’importante
vittoria nella battaglia dei Campi Magni; Scipione mirava ad eliminare per sempre la minaccia punica.
Nel 202 a.C. presso Zama si svolse la battaglia che pose fine al conflitto, i Romani ottennero il successo.
Nel 201 a.C. le trattative di pace prevedevano la consegna olistica della flotta cartaginese e il pagamento di una
forte indennità e la rinuncia di territori fuori dall’Africa da parte di Cartagine e il dovere di chiedere permesso a
Roma per dichiarare guerra.
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Presso Magnesia sul Sipilo, l’esercito di Antioco venne distrutto e la pace venne siglata nella città siriaca di
Apamea nel 188 a.C.
I territori strappati a dominio siriano non vennero inglobati come nuove province ma spartiti tra i due fedeli alleati
di Roma, il re di Pergamo Eumene II e la repubblica di Rodi.
Mentre Corinto bruciava, veniva distrutta anche un’altra importante città del mondo antico, Cartagine. La città si
era ripresa rapidamente dalla sconfitta precedente, ma quando Annibale, eletto nel 196 a.C. a uno dei due posti di
magistrato massimo, fu accusato di ordire un’alleanza con Antioco III, egli fu costretto a fuggire in Oriente e il
governo cartaginese assicurò la fedeltà a Roma.
Data Evento
264 a.C. Inizio della prima guerra punica
contro Cartagine
260 a.C. Battaglia navale di Milazzo
241 a.C. Termina la prima guerra punica
colla vittoria romana
+ creata la provincia
romana di Sicilia
229 a.C. Inizio della prima guerra
illirica
227 a.C. Fine della prima guerra illirica
225 a.C. Fermati i Galli nella battaglia
di Telamone
220 a.C. Inizio della seconda guerra
illirica
219 a.C. Fine della seconda guerra
illirica
218 a.C. Inizio della seconda guerra
punica
217 a.C. Dittatore Quinto F. Massimo
216 a.C. Battaglia di Canne
214 a.C. Inizio della prima guerra
macedonica
205 a.C. Fine della prima guerra
macedonica
204 a.C. Invasione dell’Africa ad opera
di Scipione l’Africano
202 a.C. Battaglia di Zama
+ seconda guerra macedonica
con vittoria romana
201 a.C. Fine della seconda guerra
punica
197 a.C. Spagna Ulteriore e Citeriore
Divengono province romane
192 a.C. Inizio della guerra contro
Antioco III e la Lega etolica
189 a.C. Fine della guerra siriaca
188 a.C. Pace di Apamea
180 a.C. Lex Villia annalis
(età minima delle cariche e
intervallo di due anni)
172 a.C. Inizio della terza guerra
macedonica
167 a.C. Fine della terza guerra
Macedonica con vittoria
romana
149 a.C. Inizio della terza guerra punica
+ quarta guerra macedone
146 a.C. Distruzione di Cartagine e di
Corinto + vengono annesse
le province di Macedonia
e d’Africa
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Massinissa, approfittando del fatto che i confini con Cartagine non erano stati fissati in modo preciso, avanzò con
pretese ambiziose sul territorio vicino dal canto loro i Cartaginesi erano impediti a dichiarare guerra senza
l’approvazione romana. Nel 151 a.C. il partito per la guerra però riuscì a prevalere – l’esercito inviato contro il re
numida venne distrutto e intanto a Roma si premeva per la distruzione della città nemica, in ordine alla violazione
dei trattati del 201 a.C.
Nel 149 a.C. l’esercito romano sbarcò in Africa e per evitare una guerra persa in partenza i Cartaginesi avevano già
ceduto molti armamenti, poi quando venne chiesto loro di abbandonare la città e trasferirsi a 10 miglia dalla costa,
decisero di resistere a oltranza. Nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio
Emilio Paolo, ma adottato dalla famiglia degli Scipioni si risolse il lungo assedio che vide la città saccheggiata e
rasa al suolo: il suo territorio venne trasformato nella nuova provincia d’Africa.
4.11 La Spagna
Ridotto all’obbedienza tutti gli Stati dell’Oriente ellenistico e distrutto Cartagine, Roma ora si trovava ad affrontare
l’irrisolta situazione in Spagna, sebbene già dalla fine della seconda guerra punica i Romani vi si erano saldamente
stabiliti, organizzandola in due nuove province di Spagna Citeriore (nord) e Ulteriore (sud). La sottomissione
completa della penisola avvenne però solo con Augusto, in virtù della sfuggente guerriglia su un vasto e
accidentato territorio che alimentava il malcontento per una guerra sporca, senza bottino e senza fine.
M. Porcio Catone venne inviato in Spagna Citeriore, come console nel 195 a.C. e procedette alla sistematica
sottomissione delle tribù nella valle dell’Ebro. Poi, Ti. Sempronio Gracco (padre) governatore del medesimo
territorio tra il 180 a.C. e il 178 a.C. dopo alcuni successi militari cerco di rimuovere le ragioni dell’ostilità contro
Roma – strategia coronata dalla conclusione di trattati di pace con alcune tribù celtibere.
Nel 137 a.C. sotto le mura della celtibera Numanzia il console Caio Ostilio Mancino venne sconfitto e firmò una
pace umiliante per Roma, trattato disconosciuto poi dal senato sì che la guerra numantina fu affidata al brillante
comandante Scipione Emiliano, eletto per la seconda volta al consolato nel 134 a.C., il quale conquistò e distrusse
la città l’anno seguente.
Parte terza
La crisi della Repubblica e le guerre civili (dai Gracchi ad Azio)
Il modello di proprietà tendeva a diventare la grande azienda agricola (la villa rustica) basata sullo sfruttamento
intensivo di personale servile e diretto da schiavi-manager (vilici) a capo di schiavi-operai, schiavi-artigiani e
schiavi-agricoltori.
Roma crebbe sì di dimensioni, molti infatti vi giungevano alla ricerca di un’occupazione, cosa che favorisce lo
sviluppo di quei problemi che l’avrebbero caratterizzata per molto tempo, come sussistenza e approvvigionamento.
Non è un caso che in ordine allo sfruttamento disumano della ingente mano d’opera servile la Sicilia, regione di
grosse esportazioni di grano, fu teatro dei moti schiavili più gravi, nel 140-132 a.C. e nel 104-100 a.C.
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Un gruppo di senatori guidati dal pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica lo assalì e uccise.
1.8 Da Tiberio a Caio Gracco: la commissione agraria, Scipione Emiliano e gli alleati latini e italici
La sua morte non pose fine all’attività della commissione triumvirale, continuamente rinnovata ma il malcontento
degli alleati italici venne presto a galla, essi si trovavano a restituire le terre in eccesso a beneficio di nullatenenti
romani. Interprete loro si fece Publio Cornelio Scipione Emiliano, che morì però improvvisamente nel 129 a.C.
Fulvio Flacco, membro del triumvirato agrario e console nel 125 a.C. propose che tutti gli alleati che ne avessero
fatta richiesta potessero ottenere la cittadinanza romana o se avessero conservato la loro condizione, il diritto di
appellarsi al popolo, provocatio, contro eventuali abusi di magistrati romani.
1.11 Province, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia danubiana
Prima del 133 a.C. Roma aveva sei province: Sicilia – Sardegna e Corsica – Spagna Citeriore – Spagna Ulteriore –
Macedonia – Africa, ora la deduzione di una provincia è da considerarsi un atto di guerra, non di annessione; si
trattava infatti di assumere la gestione diretta di un territorio a cui si aggiungevano una molteplicità di condizioni e
implicazioni a livello istituzionale che andavano creandosi in questi anni.
Molte di queste deliberazioni di riferimento sono definite lex provinciae, tra cui una delle più significative era la lex
Rupilia, relativa alla Sicilia, del 132 a.C. che descriveva gli ambiti geografici, gli statuti e gli obblighi delle
comunità e la condizione giuridica e fiscale di ognuna di esse.
Nel 122-121 a.C. Cneo Domizio Enobarbo e Quinto Fabio Massimo, vincendo contro Allobrogi e Arverni posero le
basi per la nuova provincia narbonese, dedotta nel 118 a.C.
Morto nel 118 a.C. Micipsa, gli succede al trono suo nipote, e figlio adottivo, Giugurta, già soldato agli ordini di
Scipione Emiliano nell’assedio di Numanzia. Il senato considerato l’appello del fratello Aderbale in ordine al
desiderio di Giugurta di impadronirsi del regno optò per la divisione della Numidia in due:
a oriente, nel territorio più ricco stabilirono Aderbale, mentre a occidente, Giugurta.
Quest’ultimo volendosi impadronire della restante porzione del regno, assediò la capitale Cirta, che dopo essere
stata prese vide la morte del suo re, Aderbale e di tutti i Romani e Italici che ivi svolgevano le loro attività. Roma
scende in guerra nel 111 a.C.
La svolta ci fu nel 109 a.C. quando al comando della guerra fu posto Quinto Cecilio Metello, del cui seguito faceva
parte il legato, Caio Mario. Giugurta venne sconfitto ripetutamente, ma la guerra non era mai portata a termine.
Nel 107 a.C. Caio Mario viene eletto console e ignorando la proroga che il senato aveva concesso a Metello, gli
venne affidata la guerra giugurtina.
Mario, homo novus, incarnava il nuovo tipo politico, uscito dall’ambiente dei ricchi possidenti equestri e dalla
carriera militare: tribuno della plebe nel 119 a.C., agli ordini dell’Emiliano prima e legato ai Metelli poi, si era
infine imparentato con una antica, sebbene decaduta famiglia patrizia, sposando giulia, zia del futuro Giulio
Cesare.
1.13 L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina
Mario, intanto, bisognoso di nuove truppe lui fedeli e per far fronte ai vuoti determinati dalla guerra contro
Giugurta e dai massacri subiti contro Cimbri e Teutoni, aprì l’arruolamento volontario ai capite censi, a coloro che
erano iscritti sui registri del censo senza alcun bene patrimoniale, quindi nullatenenti.
Impiegò quasi tre anni per portare a termine la guerra in Africa, grazie anche all’opera di Lucio Cornelio Silla,
legato di Mario, per cui Bocco, re di Mauretania, tradì Giugurta e lo consegnò ai Romani.
La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa e la parte rimanente allo stesso Bocco + Giugurta fu
trascinato come prigioniero a Roma nel 104 a.C. Mario, dopo aver ricoperto il proconsolato per due anni, eletto
nuovamente console celebrò il trionfo su di lui, in seguito giustiziato.
31
suoi alleati politici, i quali finirono per essere uccisi, decretando una pesante compromissione di Mario che si
allontanò da Roma.
33
Appresa la notizia, Silla marciò su Roma: le truppe si sentivano più legate al proprio comandante, con cui
condividevano campagne e bottini, che allo Stato. Impadronitosi di Roma, Silla fece dichiarare i suoi avversari
nemici pubblici: Sulpicio venne eliminato, Mario fuggì alla volta dell’Africa.
■ Il numero dei pretori fu alzato a otto, per far fronte alle necessità della moltiplicazione dei tribunali
permanenti: tribunali, riservati ora al senato. Le competenze loro furono suddivise in modo che a ciascuno
spettasse uno solo dei principali reati:
1. estorsione e concussione (de repetundis)
2. alto tradimento (de maiestate)
3. appropriazione di beni pubblici (de peculatu)
4. broglio e corruzione elettorale (de ambitu)
5. assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficiis)
6. frode testamentaria e monetale (de falsis)
7. lesione alle persone (de iniuriis)
■ Vennero regolamentati l’ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi.
■ Furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitando il loro diritto di veto e annullando quello di
proporre nuove leggi.
■ Il pomoerium fu esteso lungo la linea tra Arno e Rubicone, comprendendo le terre italiche ove era diffusa
perlopiù la cittadinanza romana.
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Compiuta la riorganizzazione dello Stato, Silla abdico la dittatura, nel 79 a.C. si ritirò in Campania e ivi morì
l’anno seguente.
Quinto Sertorio, distintosi nelle fila mariane contro Cimbri e Teutoni e nella guerra sociale, aveva raggiunto il posto
di governatore della Spagna Citeriore: là aveva creato una sorta di Stato mariano, coagulando altri esuli della sua
fazione.
Nel 77 a.C. si era congiunte lui anche le truppe superstiti di Lepido, al comando di Marco Perperna e poteva
controllare ormai tutta la penisola iberica. A Osca decisero di fondare una nuova capitale con un senato di 300
membri. Assieme a queste notizie, giunsero a Roma anche quelle di nuove scorrerie dei pirati nel Mediterraneo e la
nuova azione di Mitridate in Oriente.
Il senato ricorse nuovamente a Pompeo, affidandogli in deroga alle riforme sillane, la Spagna Citeriore con un
imperium straordinario. Contro Sertorio la situazione non si rivelò per nulla semplice, sino a che nel 74 a.C. in
seguito a dissapori nel regime del nemico furono orditi complotti contro di lui, Perperna lo assassinò a tradimento
nel 72 a.C. convinto di trarre vantaggio dalla sua azione, ma venne poi sconfitto e giustiziato da Pompeo, che
riportò l’ordine nel 71 a.C.
35
da deroghe e cambiamenti, che nel corso del decennio (90-80 a.C.) aveva portato i due a ricoprire cariche
straordinarie per fare fronte alle minacce, soprattutto interne, di cui lo Stato romano risentiva.
procedette all’arresto di cinque capi della cospirazione e consultò sul da farsi il senato, trascinato dal giovane
Marco Porcio Catone (pronipote dell’antagonista degli Scipioni), che si pronunciò per la pena capitale. Cesare restò
il solo ad insistere per la patria.
37
Cesare, dopo aver incontrato Crasso a Ravenna, nel 56 a.C. Incontrò Pompeo a Lucca e decise di accordarsi su un
progetto che lo avrebbe visto in Gallia per altri cinque anni, con l’aumento a dieci, delle legioni a sua disposizione
e i tre si sarebbero impegnati a far eleggere al consolato per l’anno 55 a.C. Pompeo e Crasso, al termine del quale
avrebbero ricevuto rispettivamente le province di Spagna e di Siria.
Sul fronte del Reno, continuò dunque la sottomissione di tribù germaniche, specie Usipeti e Tencteri, annienti nello
stesso anno; di li a poco Cesare si sarebbe spinto in Britannia.
Nel 54 a.C. oltre il canale della Manica ebbe luogo una vera e propria spedizione verso il Tamigi e la sottomissione
di parecchie tribu’ della costa. Il 53 a.C. invece trascorse nella repressione di rivolte scoppiate nelle regioni
settentrionali della Gallia.
Il 52 a.C. conobbe un grave crisi nella Gallia centro-occidentale, la quale vedeva a capo dell’insurrezione il re degli
Arverni, Vercingetorìge. Cesare, dalla Cisalpina, si precipitò in Arvernia, dove pose l’assedio al centro fortificato di
Gergovia, presso Clermont-Ferrand. In quel momento, fallita l’incursione nella città, anche gli Edui rialzarono il
capo Cesare si diresse, verso nord, per ricongiungersi col suo legato Tito Labieno – insieme si misero in marcia
contro Vercingetorìge, il quale rifiutando ogni battaglia campale, si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia. Dopo un
lungo assedio, la roccaforte capitolò: Vercingetorìge fu inviato a Roma, ove sei anni dopo sarebbe stato fatto sfilare
dinanzi il carro trionfale di Cesare per poi essere decapitato ai piedi del Campidoglio.
Dal 51 a.C. Cesare provvide per proprio conto, senza quindi alcuna istruzione da parte del senato, a dare un primo
ordinamento alla nuova provincia romana: la Gallia Comata.
39
consolato del 48 a.C. “in assenza”; mentre da parte dei suoi oppositori, l’immediata sostituzione di Cesare già dal
50 a.C. Con la nuova procedura diveniva molto piu’ facile rimpiazzare Cesare, grazie ad essa il suo successore al
governo della provincia poteva essere scelto in ogni momento fra quelle persone che avessero occupato una
magistratura quinquennale o in piu’ anni prima.
Nel 50 a.C. per cercare di mettere fine ai continui colpi di contese interpretative, un tribuno, Caio Scribonio
Curione, propose che si abolissero contemporaneamente tutti i comandi straordinari, e di Cesare, e di Pompeo. Lo
stesso anno il senato si pronunciò a larga maggioranza a favore della deposizione della cariche dei due proconsoli.
Nel 49 a.C. Cesare dichiarava che sarebbe stato disposto a deporre il suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto,
i suoi avversari insistettero e ottennero perché fosse lui ad abdicare unilateralmente le sue cariche. Il senato votò il
senatus consultum ultimum contro Cesare, affidando a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Appresa questa
decisione Cesare, varcò in armi il torrente Rubicone, dando così inizio alla guerra civile.
Pompeo e molti dei senatori, con l’aggiunta dei consoli abbandonarono la città diretti a Brindisi, per imbarcarsi
verso Oriente.
Cesare adducendo a propria giustificazione la tutela dei diritti del popolo e della propria dignitas, percorse
rapidamente l’Italia, ma non riuscì a fermare il trasferimento in Grecia che i suoi avversari si accingevano a
preparare. Cesare affrontò quindi la minaccia delle forze pompeiane in Spagna con le sue truppe concentrate in
Gallia – assali dunque i pompeiani presso Ilerda, che vennero sconfitti.
Tornato a Roma, rivestì la carica che Marco Emilio Lepido gli aveva fatto conferire in sua assenza, di dittatore al
solo scopo di convocare i comizi elettorali, i quali lo elessero console per l’anno 48 a.C.
Mentre Pompeo stabiliva il suo quartier generale a Tessalonica, le sue navi battevano l’Adriatico per impedire
eventuali sbarchi di Cesare – il quale compì la traversata in inverno, riuscendo a traghettare le sue legioni, per poi
porre sotto assedio Durazzo, ma fu respinto.
Avanzò verso la Tessaglia, inseguito da Pompeo, che poteva contare su un consistente esercito al suo seguito. Lo
scontro ebbe luogo a Farsalo nell’agosto del 48 a.C. e si tradusse nella disfatta pompeiana, al seguito della quale
Pompeo fuggì in Egitto, contando di trovare rifugio presso i figli di Tolomeo XII Aulete – nel regno era però in
corso una contesa dinastica fra Tolomeo XIII e Cleopatra VII, così i consiglieri del re, giudicando compromettente
accogliere Pompeo, lo fecero assassinare.
Cesare, giunto ad Alessandria, compianse la misera fine del rivale, trattenendosi oltre un anno allo scopo di
dirimere le lotte tra i due fratelli e di assicurarsi l’appoggio di quel ricchissimo regno. Assediato dei partigiani di
Tolomeo, Cesare affrontò in battaglia il re che fu rovinosamente sconfitto e trovò la morte nel Nilo. Partito Cesare,
Cleopatra fu confermata regina d’Egitto e diede alla luce suo figlio, Tolomeo Cesare.
Lo stesso anno, il 47 a.C., Farnace, figlio di Mitridate, aveva tentato di approfittare della situazione, per recuperare
i territori paterni. Cesare marciò senza indugi verso di lui, sconfiggendolo a Zela, nel Ponto.
In seguito, partì alla volta dell’Africa, dopo aver sostato brevemente a Roma, per far fronte ai pompeiani vinti, che
si erano assicurati l’appoggio di Giuba, re di Numidia. Nel giro di pochi mesi, Cesare conseguì una vittoria
definitiva a Tapso e suicidatosi Giuba, il suo regno divenne una nuova provincia romana, chiamata Africa nova.
A Roma, celebrò i trionfi sulla Gallia, sull’Egitto, su Farnace e Giuba e verso la fine dell’anno riparti per la Spagna
dove i suoi avversari avevano rialzato il capo sotto la guida dei figli di Pompeo, Cneo e Sesto. Nel marzo del 45
a.C. a Munda, l’esercito nemico fu distrutto, solo Sesto Pompeo si salvò con la fuga. Cesare ormai padrone della
situazione, poteva tornare a Roma a completare la sua opera di riorganizzazione politica.
Aveva il potere di dichiarare guerra o intavolare trattative di pace, senza consultare il senato o il popolo e quello di
assegnare le provincie ai propri legati e inoltre gli vennero offerti gli onori del primo posto in senato, del titolo di
imperator (detentore dell’imperium) a vita e quello di padre della patria (parens patriae).
Già dal 49 a.C. aveva messo mano ad un vastissimo insieme di riforme.
L’eccessiva concentrazione di
poteri, il moltiplicarsi di onori
senza precedenti, taluni
atteggiamenti suoi e dei suoi più
stretti collaboratori, parvero
rivelare un’inclinazione verso la
regalità, tanto che si arrivarono ad
allarmarsi non solo gli ex
pompeiani e senatori colpiti nei
loro interesse, ma anche alcuni
degli stessi sostenitori di Cesare.
Tra il 46 e il 44 a.C. il senato fu
portato da seicento a novecento
membri con l’immissione di un
gran numero di seguaci di Cesare.
Fu parimenti aumentato da venti a
quaranta il numero dei questori, da
quattro a sei quello degli edili, da otto a sedici quello dei pretori: venivano cosi garantite in tal modo maggiori
possibilita’ di carriera politica ai suoi sostenitori. Furono introdotte sanzioni piu’ severe nei confronti di quanti si
fossero resi colpevoli di malversazioni e venne rivisto il sistema tributario provinciale. Fu regolamentata la durata
dei governatori, limitandola ad un anno per i propretori, a due per i proconsoli. Vennero disciolte le associazioni
popolari che tanto avevano contribuito ai torbidi degli anni precedenti riportando i collegia alle loro funzioni
originarie di corporazioni religiose o di mestiere. Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano, ma il
numero di beneficiari che era lievitato considerevolmente, fu ridotto tramite il depennamento degli abusivi e
l’introduzione di un numero chiuso di aventi diritto. Fu realizzato un vasto programma di colonizzazione e
distribuzione di terre per i numerosissimi veterani di Cesare e tra i cittadini meno abbienti, in parte in Italia ma
soprattutto nelle province (Spagna, Gallia, Africa, Asia, Grecia).
41
Nel 44 a.C. mentre si prepara la campagna contro il regno dei Parti, a Roma venne messa in giro la voce che
quest’ultimo sarebbe potuto essere vinto solo da un re, alimentando i sospetti di aspirazione monarchiche da parte
di Cesare. Fu ordita una congiura, guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto, prima
della sua partenza per l’impresa partica: alle idi di marzo del 44 a.C. Cesare cadde trafitto dai pugnali dei
cospiratori nella curia di Pompeo, in Campo Marzio, dove doveva presiedere una seduta del senato.
Ad Ottaviano spettò la parte peggiore: Sicilia e Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo, sopravvissuto alla
guerra in Spagna, a cui il senato aveva conferito il comando delle forze navali, che gestiva ormai in modo proprio.
Vennero create delle liste di proscrizione, coi nomi dei cesaricidi e dei nemici ai triumviri, primo fra questi,
Cicerone. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati.
Sistemata la situazione politica a Roma, i triumviri poterono dirigersi verso Oriente alla volta di Bruto e Cassio, ma
prima si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto: ne beneficiò Ottaviano, che divenne
Divi filius.
Lo scontro coi cesaricidi, avvenne a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. Da un lato Ottaviano si trovò subito in
difficoltà, dall’altro Antonio vinse Cassio e poi Bruto, entrambi suicidatisi.
In quel tempo, inoltre, a causa della decimazione per le liste di proscrizione e i disordini interni, si realizzò un
mutamento radicale nella composizione e nella mentalità delle élites di governo, che contavano molte meno
famiglie della più antica aristocrazia e la mancanza di una grossa parte dell’opposizione senatoria, più
conservatrice.
4.3 Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi,
di Miseno e di Taranto; Nauloco
Antonio, uscito vincitore dagli scontri coi cesaricidi, poté cumulare al comando sulle Gallie, anche quello su tutto
l’Oriente, da cui intendeva intraprendere un piano di conquista del regno partico come fedele continuatore
dell’opera di Cesare. A Lepido fu assegnata l’Africa; Ottaviano ebbe le Spagne + il compito di sistemare i veterani
delle legioni congedate e il confronto con Sesto Pompeo, a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di
Filippi.
Ottaviano fu costretto ad espropriare numerose terre in Italia da poter assegnare ai veterani, per cui furono colpiti
piccoli e medi proprietari terrieri. Le proteste sfociarono nel 41 a.C. in una rivolta con a capo Lucio Antonio e
Fulvia (fratello di Antonio e console + moglie di Antonio): gli insorti si rifugiarono a Perugia, città che venne
espugnata e saccheggiata (Bellum Perusinum), molti
fuggirono a infoltire le fila di Sesto che s’era impadronito di Sardegna e Corsica, impedendo i rifornimenti di Roma
e dell’Italia. Ottaviano inoltre aveva potuto appropriarsi delle Gallie, ove era morto il legato di Antonio.
In questo stato di cose, si profilava un’alleanza fra Antonio e Sesto, ad arginare il potere di Ottaviano, il quale si
legò a Scribonia, figlia di Lucio Scribonio Libone, suocero di Sesto Pompeo (40 a.C.). Antonio si mosse dunque
dall’Oriente, per giungere a Brindisi dove incontrò Ottaviano: i due sottoscrissero un’intesa (“accordo di Brindisi”)
in forza della quale ad Antonio veniva affidato l’Oriente, ad Ottaviano l’Occidente e a Lepido l’Africa. Il patto fu
coronato anche dal matrimonio dal vedovo Antonio colla sorella di Ottaviano, Ottavia.
Sesto, che non venne preso in considerazione negli accordi di Brindisi, giunse ben presto a far sentire la sua
disapprovazione bloccando le forniture di grano a Roma, creando scarsità di viveri e forte malcontento. Antonio
dovette tornare nuovamente dalla Grecia (39 a.C.) per stringere con Ottaviano, l’accordo di Miseno: Sesto Pompeo
si vedeva riconosciuto il governo di Sicilia, Sardegna e Corsica + venne nominato àugure e designato per il futuro
consolato. Antonio non concesse di buon grado il Peloponneso a Sesto però, e questo creò le condizioni per le
quali, quest’ultimo decise di riprendere le scorrerie contro l’Italia.
Ottaviano, ripudiò Scribonia, e sposò Livia Drusilla, divorziata da Ti. Claudio Nerone, che portava con se nelle
nuove nozze, i figli di primo letto, Tiberio e Druso.
Perse la Sardegna e la Corsica che il luogotenente di Sesto aveva consegnato a Ottaviano, iniziò la lotta per il
possesso della Sicilia, che l’erede di Cesare incominciò con una sconfitta, a causa della quale chiese aiuto ad
Antonio, concludendo con lui l’accorto di Taranto (37 a.C.) – il triumvirato venne prolungato per altri cinque anni,
sino al 32 a.C. + Ottaviano avrebbe ricevuto 120 navi da guerra, mentre Antonio 20 mila legionari per la campagna
partica.
Nel frattempo Marco Vipsanio Agrippa, console lo stesso anno, e amico di Ottaviano, aveva fatto costruire un
porto militare presso Pozzuoli, dove aveva riunito una consistente flotta, con la quale inferse una duplice e
definitiva sconfitta a Milazzo e Nauloco. Sesto Pompeo, fuggito in Oriente, morì l’anno successivo, assassinato.
Lepido che aveva preso parte con Ottaviano alle operazioni, rivendicò per sé il diritto del possesso dell’isola, ma le
sue truppe lo abbandonarono e ad Ottaviano non fu difficile farlo dichiarare decaduto dai poteri di triumviro e
impossessarsi dell’Africa (conservava solo la funzione di pontefice massimo, che rivestì fino alla morte).
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Ormai padrone dell’Occidente ad Ottaviano non mancava altro che la gloria militare, che si procacciò grazie ad
Agrippa, attraverso due anni di campagne contro gli Illiri in Pannonia.
Data Evento
60 a.C. Cesare stringe con Pompeo
e Crasso, l’accordo noto come
“primo triumvirato”
58 a.C. Cesare inizia la guerra gallica
56 a.C. Accordi di Lucca
54/ Prima campagna contro i Parti
53 a.C. + Crasso viene ucciso
49 a.C. Cesare varca il Rubicone
46 a.C. Battaglia di Tapso
45 a.C. Battaglia di Munda
44 a.C. Cesare dittatore perpetuo + viene
assassinato alle idi di marzo.
43 a.C. Ottaviano, Marco Antonio e Lepido
sanciscono il “secondo triumvirato”
42 a.C. Battaglia di Filippi
40 a.C. Bellum Perusinum
37 a.C. Accordi di Taranto
36 a.C. Battaglie di Milazzo e Nauloco +
deposizione di Lepido dalla carica
di triumviro.
32 a.C. Ufficiale rottura fra Ottaviano e
Marco Antonio + dichiarata guerra
contro Cleopatra
31 a.C. Battaglia di Azio
30 a.C. Presa di Alessandria + morte di
Antonio e Cleopatra
4.5 Lo scontro finale; Azio
Nel 32 a.C. il triumvirato si avviava verso la naturale scadenza: i consoli Cneo Domizio Enobarbo e Caio Sosio
chiesero la ratifica delle decisioni di Antonio prese in Oriente, ma Ottaviano ne impedì l’approvazione al senato
così entrambi i consoli e 300 senatori abbandonarono l’Italia, rifugiandosi presso Antonio.
Il prestigio del triumviro accresceva in questo modo, ma dall’altro lato Ottaviano, riuscito ad impossessarsi del
testamento del rivale, rivelò che desiderava essere sepolto ad Alessandria con Cleopatra e attribuiva regni ai figli
avuti con la regina. Ottaviano invece faceva costruire la sua tomba in Campo Marzio, restando più vicino e fedele
a Roma e riuscì a ottenere la caduta della carica di triumviro per Antonio e la negazione del suo consolato, stabilito
per l’anno seguente.
Presentandosi come il difensore di Roma e dell’Italia, Ottaviano si avviò a dichiarare guerra a Cleopatra,
indicandola come nemico, evitando in tal modo che si aprisse almeno formalmente una seconda guerra civile.
Ad Azio, nel settembre del 31 a.C. Agrippa vinse una battaglia navale per conto di Ottaviano, che consegnava lui la
vittoria della guerra; la quale costrinse Antonio e Cleopatra a rifugiarsi in Egitto. Ottaviano giunse allora sino ad
Alessandria, che presa, conobbe il suicidio della regina e del generale romano. L’Egitto fu dichiarato provincia
romana.
Parte quarta
L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo
Augusto
1.1 Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del Principato
Nel 31 a.C. dopo la vittoria conseguita ad Azio su Antonio, si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano;
tuttavia la conclusione delle guerre civili lasciava aperta la spinosa questione della veste legale da dare al potere
personale del vincitore. La morte di Cesare aveva infatti decretato il fallimento di un regime apertamente
monarchico che rinnovasse le istituzioni repubblicane.
La soluzione adottata dal suo erede, restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nella sostanza, permise invece
l’instaurazione del Principato che convenzionalmente si fa risalire al 31 a.C. – voleva dire un regime istituzionale
incentrato sulla figura di un unico reggitore del potere, il princeps.
La progressiva integrazione in senato di élites delle diverse regioni dell’Impero e il ruolo politico e sociale degli
eserciti stanziati nelle province permetteranno la costruzione di una “storia romana” come “storia dell’Impero”
intesa come storia del rapporto e dell’integrazione di territori e popolazioni rispetto al centro di potere.
1.2 Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe: la restaurazione della Repubblica del
27 a.C.
Nel 29 a.C. quando Ottaviano tornò in Italia gli vennero decretati tre trionfi: per le campagne dalmatiche, la vittoria
ad Azio e la vittoria sull’Egitto. L’inizio del riconoscimento giuridico della nuova forma istituzionale si ebbe però
solo nel 27 a.C. quando Ottaviano, il 13 gennaio, in una seduta del senato, rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri
straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle province non pacificate. Qualche giorno
più tardi il senato lo proclamò “Augusto”, epiteto che lo sottraeva dalla sfera politica per proiettarlo direttamente in
quella sacrale + gli donarono la corona civica e uno scudo d’oro, che fu appesa nell’aula del senato, sul quale erano
elencate le virtù di Augusto: virtù – clemenza – giustizia – pietà verso gli dèi e verso la patria.
Nel Res Gestae scrisse: “Successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore
a quello degli altri che mi furono colleghi nelle magistrature”.
La nuova organizzazione dello Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più
adeguate. Il principe si poneva come punto di riferimento e equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà,
che ora poteva chiamarsi “imperiale”: l’esercito, le province, il senato, la plebe urbana.
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attraverso i simboli di esso (il suo anello e la lista delle sue legioni) ad Agrippa e al console quell’anno in carica,
mostrandosi giusto anche in punto di morte.
Il problema della successione non costituì un problema, dal momento che Augusto guarì e almeno per il momento
la situazione poteva restare come stabilita. Una vicenda, quest’ultima, che narra l’imprecisione dei poteri imperiali
fino a quel momento stabiliti.
Dopo aver deposto il consolato nel 27 a.C. ottenne l’imperium proconsolare, con la possibilità di agire su tutte le
province: un potere, definito imperius maius, che però non gli consentiva di agire nella vita politica a Roma. Per
ovviare a questo inconveniente ricevette dal senato il potere di tribuno della plebe, vitalizio, godendo della
sacrosanctitas e della possibilità di convocare i comizi e porre il veto.
Le elezioni del consolato, rimasto libero dal 27 a.C. avevano potuto riprendere con regolarità, lasciando posto
all’aristocrazia senatoria, sebbene Augusto poteva controllarle attraverso due procedure, la nominatio
(l’accettazione della candidatura da parte del magistrato) e la commendatio (la raccomandazione da parte
dell’imperatore stesso).
Augusto concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel Foro romano. Nel vecchio Foro repubblicano Augusto fece
costruire un tempio per Cesare divinizzato. Costruì inoltre un nuovo Foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio
di Marte Ultore, nei cui rilievi e statue si celebrava la famiglia Giulia a partire dalla sua mitica ascendenza dell’eroe
troiano Enea. Trasformò poi l’aspetto del Campo Marzio, edificandovi tra l’altro il Pantheon e il suo mausoleo, un
complesso architettonico che occupava tutta la parte settentrionale del Campo Marzio, in cui, attraverso immagini
e iscrizioni veniva celebrata l’opera del princeps. Davanti al mausoleo erano infatti incise sui pilastri di bronzo le
Res Gestae di Augusto. Durante il principato di Augusto furono costruiti o restaurati anche molti edifici pubblici,
acquedotti, terme, teatri e mercati e ci si preoccupò dell’organizzazione di servizi importanti per
l’approvvigionamento alimentare e idrico e per la protezione dagli incendi e dalle inondazioni. La restaurazione di
Augusto giunse ad occuparsi non solo della politica e dell’assetto istituzionale di Roma, ma anche della
razionalizzazione dei servizi e di un’azione monumentale, per la quale concentrò l’attività edilizia nel Foro, dove
completò i programmi del padre adottivo. Notevoli furono anche le restaurazioni di ponti, acquedotti, terme, teatri
e mercati.
Nell’8 a.C. poi, Augusto istituì un servizio stabile, che avrebbe provveduto al rifornimento granario delle provincie,
con a capo un prefetto, praefectus annonae.
L’Italia non fu toccata da riforme amministrative, venne divisa in undici regioni, che servivano per censimento
delle persone e delle proprietà, ma non vi erano funzionari amministrativi responsabili di tali divisioni.
Per quanto riguarda l’impegno con i territori fuori dalla Penisola, che quindi ricadevano sotto la responsabilità
diretta di Augusto (ci riferiamo alle provincie che intendeva pacificare): furono scelti tra i senatori di rango pretorio
o consolare dei legati Augusti pro praetore, che avrebbero governato le provincie con un numero più o meno
elevato di legioni, lì stanziate.
Esercito, distribuito perlopiù nelle provincie dunque e che nel corso degli anni immediatamente precedenti non era
stato esente da modifiche, in ordine con la successione di eventi e di cambiamenti che Augusto portò con sé.
L’indomani di Azio, infatti, gli uomini impegnati nell’esercito erano di molto superiori alle necessità e ai mezzi
dell’Impero + la loro paga gravava sulla cassa dello Stato, l’aerarium Saturni, in cui confluivano le
regolari imposte delle provincie.
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durò a lungo, nel 2 a.C. quando Tiberio tornò a Roma dopo un autoesilio nell’isola di Rodi, forse per i cattivi
rapporti con la coniuge, aveva già sciolto il matrimonio in seguito ad uno scandalo che la coinvolse. Augusto
pretese da Tiberio che adottasse Germanico, figlio del fratello Druso Maggiore (Druso Minore è il figlio di Tiberio)
e nel 4 d.C. Augusto adottò contemporaneamente Tiberio, cui furono attribuiti l’imperium proconsolare e la potestà
tribunizia.
Nel 13 d.C. celebrò un trionfo su Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto, cosicché
potesse intervenire in tutte le provincie e l’esercito potesse essere al suo comando.
I Giulio Claudi
La morte di Augusto avvenne in Campania nel 14 d.C. Fu allora che Tiberio ereditò l’auctoritas e l’iniziativa
politica di Augusto, si rivelò l’impossibilità da parte del senato di concepire un ritorno alla Repubblica. Tra il 14
d.C. e il 68 d.C. il potere rimase nelle mani della famiglia Giulio-Claudia, discendenti della famiglia degli Iulii, cui
Augusto apparteneva dopo l’adozione da parte di Giulio Cesare, e dei Claudii, della famiglia cioè di Ti. Claudio
Nerone, primo marito di Livia.
La successione, alla morte di Tiberio non andò a favore di Germanico, morto nel 19 d.C., come aveva previsto
Augusto, ma di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico e Agrippina. Caligola non era stato adottato da Tiberio e
non aveva condiviso con lui imperium proconsolare, né potestà tribunizia era una designazione che si basava solo
sulla linea familiare, prescindendo dalla carriera politico-militare.
Alla morte di Caligola, il potere rimase nella famiglia di Germanico, passando al fratello, nonché zio del defunto
imperatore, Claudio, primo princeps completamente esterno alla casa Giulia.
Ultimo esponente della famiglia fu Nerone, con cui entrò nella storia della domus principis, una famiglia nobiliare
diversa, quella dei Domizi. Nerone infatti era figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia di Augusto; fu erede
dunque della famiglia Claudia e di quella Giulia solo per parte di madre, in quanto figlia di Agrippina minore e per
adozione: fu adottato da Claudio che aveva sposato Agrippina.
Si trattava di affrontare il problema della successione, alla quale erano candidati Druso Minore (figlio di Tiberio),
morto però già nel 23 d.C., e uno dei tre figli di Germanico e Agrippina, la quale creò un contrasto politico contro
Tiberio.
Una svolta, intanto, nel suo governo si ebbe nel 23 d.C. quando il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un
considerevole potere personale, guadagnandosi la fiducia di Tiberio, di cui fu collaboratore efficiente. Una
posizione che era andata affermandosi, anche grazie al ritiro del princeps da Roma, per rifugiarsi a Capri, nella
famosa villa Iovis Seiano riuscì a monopolizzare i contatti con Tiberio, dominando la scena politica a Roma in
quegli anni.
Chiese di sposa la vedova Livilla, prima moglie di Druso Minore e dichiarò Agrippina nemico pubblico, facendo
imprigionare i suoi due figli maggiori, con l’accusa di tramare contro l’imperatore: aspirava infatti alla successione.
Solo Antonia, la madre di Germanico, moglie di Druso Maggiore, riuscì a risvegliare in Tiberio i sospetti su Seiano,
che fu processato e condannato.
Negli ultimi anni, mentre Tiberio si tratteneva a Capri, scoppiò una grave crisi finanziaria e molte furono le voci di
opposizione al regime, che provenivano da senato o dai sostenitori di Seiano. Rimaneva aperto peraltro il problema
della successione, il quale vedeva la propria risoluzione nelle unici eredi rimasti in vita, Tiberio Gemello (figlio di
Druso Minore) e Gaio detto Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico.
Vennero nominati eredi congiunti, ma nel 37 d.C. il senato riconobbe come unico erede, il maggiorenne Caligola,
che s’impegnò ad adottare Tiberio Gemello, il quale morì lo stesso anno.
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Molti furono gli intrighi di corte durante il suo regno, sposò in terze nozze la dissoluta Messalina, messa a morte
nel 48 d.C. con l’accusa di tramare contro l’imperatore. Sposò Agrippina quindi, sua nipote, la quale gli fece
adottare il figlio avuto da precedente matrimonio, Lucio Domizio Enobarbo Nerone.
La società imperiale
Alla base della concezione antica della società vi era l’assunto che
vi dovesse essere una differenziazione formalmente riconosciuta
dello status giuridico delle persone:
Lo schiavo che riusciva ad acquisire la libertà con il patrimonio
personale, che il padrone gli permetteva nell’esercizio della sua
attività, o grazie a disposizione testamentarie, rimaneva spesso
legato al suo ex padrone in rapporti di clientela e aveva limitazioni
nella vita pubblica e l’accesso alle magistrature, erano chiamati
liberti.
Un altro gruppo rilevante nella società romana era costituito dai
provinciali liberi, una categoria che comprendeva gli abitanti delle
poleis greche così come quelli dei villaggi dei Britanni. Il princeps
poteva intervenire fra loro per promuovere ceti dirigenti o città
concedendo la cittadinanza per particolari meriti.
Ottenuta la cittadinanza per il provinciali il passo successivo era
l’accesso ai due ceti dirigenti, l’ordo senatorius e il ceto equestre.
Capace di compiere spettacolari gesti propagandistici, fu sempre considerato “vicino” alla plebe, che ne apprezzava
l’istrionismo e la demagogia. Si macchiò comunque di gravi delitti, fece assassinare infatti il fratellastro Britannico
(nato dall’unione della madre con Claudio e chiamato così in onore della favorevole campagna in Britannia) e la
madre Agrippina Minore (A. Maggiore era sua madre, nonché nonna di Nerone e madre di Caligola, cioè moglie di
Germanico e figlia di Agrippa e Giulia, la figlia di Augusto).
Il dispotismo di Nerone culminò nell’incendio di Roma del 64 d.C. di cui furono incolpati i cristiani, ma che
propiziò le condizioni per la sua eliminazione. Per far fronte alla difficile crisi creatasi dopo l’incendio, mise mano
ad un ampia riforma monetale.
Con numerose confische e processi avrebbe rimpinguato la cassa imperiale rendendosi inviso alla nobiltà senatoria,
tanto che nel 65 d.C. fu minacciato dalla “congiura dei Pisoni”, dal nome di C. Calpurnio Pisone, che coinvolse
vari strati dell’élite dirigente e di cui Nerone approfittò per eliminare numerosi esponenti della classe senatoria di
spiriti repubblicani.
Sul fronte militare, grazie al generale Domizio Corbulone, riuscì ad avere la meglio sui Parti e riportare l’Armenia
sotto l’influenza romana. Assicurata la situazione a Roma, si recò in Grecia dove compì una tournée artistica,
partecipando ai festival delle poleis greche ove vinse in tutti gli agoni.
Intanto in Giudea era scoppiata una grave rivolta, riportata sotto controllo in Palestina da Vespasiano; primo
segnale pero di una serie di ribellioni dalla Gallia all’Africa, dalle truppe del Reno alla Spagna anche i pretoriani
abbandonarono l’imperatore: il senato lo dichiarò nemico pubblico, riconoscendo come nuovo princeps Galba, così
Nerone si suicidò.
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■ Servio Sulpicio Galba: anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense; alla notizia della
ribellione delle truppe galliche di Vindice (68 d.C.) i suoi soldati lo proclamarono Cesare, ma egli rifiutò il
titolo imperiale, ritenendo che i militari non avessero diritto di conferirlo. Grazie poi al suo accordo col
senato fu riconosciuto imperatore da una delegazione di senatori e accettò il titolo.
Galba non seppe guadagnarsi la popolarità e gli appoggi per mantenere il potere e si pose in cattiva luce per
i tagli alle spese, cercando di rimediare alla crisi finanziaria nata sotto Nerone.
Decise poi di adottare L. Calpurnio Pisone, esponente dell’ordine senatorio, la cui nomina era sgradita ai
soldati e a Otone, il giovane governatore della Lusitania.
■ Marco Salvio Otone: amico d’infanzia di Nerone era popolare fra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo
che Galba fu linciato nel Foro, ebbe l’approvazione anche del senato, fu proclamato imperatore il 15.01.69
e contemporaneamente le legioni sul Reno, non riconoscevano la sua autorità, proclamando imperatore il
proprio comandante, il legato della Germania Superiore, Aulo Vitellio.
■ Aulo Vitellio: senatore di rango consolare, aveva rivestito importanti incarichi sotto i Giulio Claudi. In
aprile i suoi legati sconfissero le truppe di Otone, presso Cremona, il quale si suicidò. Vitellio fu
riconosciuto imperatore quando ancora si trovava in Gallia, ma ebbe gravi difficoltà a regolare la disciplina
dei suoi soldati e a fermare quelli che avevano combattuto per Otone. Le legioni danubiane e orientali si
ribellarono e proclamarono imperatore Vespasiano.
La sua fama risente dell’ostilità della tradizione storiografica. Il suo regno è contraddistinto da uno stile di governo
autocratico e quindi inviso al senato, ma la sua azione politica fu efficace e benefica per l’Impero.
Si preoccupò dell’amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti
burocratici del ceto equestre, assegnando loro alcuni uffici che Claudio aveva affidato ai liberti. La scelta di
rinunciare a ulteriori conquiste militari a favore di operazioni di consolidamento della frontiera, sul Reno, sul
Danubio e in Britannia, risultò realistica e lungimirante. Il territorio fu controllato attraverso l’impianto di
accampamenti fortificati, presidiati dai soldati, e collegati fra loro da una rete di strade sul limes (confine
dell’Impero). La linea di fortificazioni aveva alle spalle i castra in cui si erano stabiliti i legionari – cosicché
Domiziano potesse garantire la sicurezza di tutta la zona a sud delle linea del limes, cui si fa riferimento specie
lungo il confine con Germani e Celti, oltre il corso del Reno.
In Dacia, nel 85 il re Decebalo era riuscito a unificare alcune tribù e a guidarle in varie incursioni nel territorio
romano. Furono organizzate due campagne, la seconda delle quali guidata da Vespasiano stesso, che non ebbe
successo per la rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperatore dalle
sue legioni, che costrinse Domiziano a una pace provvisoria.
La rivolta di Saturnino ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano, che continuando a sentirsi
minacciato, inaugurò un periodo di persecuzioni volte a eliminare le persone sospette di tramare contro l’imperator
o in una posizione tale da costituire un rischio potenziale.
Domiziano nel 96 cadde vittima di una congiura, dopo una serie di processi intentati contro senatori e presunti
simpatizzanti per la religione cristiana, accusati di praticare culti non ufficiali. Il senato dopo la sua morte proclamò
la damnatio memoriae, decretando l’abbattimento delle sue statue, la cancellazione del suo nome dalle iscrizioni e
la distruzione di ogni suo ricordo.
Il cristianesimo che nasce dall’ebraismo, viene formandosi come religione strutturata nel corso del I e II secolo, scaturita dalla
predicazione del suo fondatore, Gesù Cristo, nato a Nazareth, in Galilea, al tempo di Augusto e morto durante il principato di Tiberio.
Le prime comunità cristiane sorsero in seguito alla Sua predicazione, alla diffusione del suo messaggio, la “buona novella”. Il
cristianesimo nacque come movimento interno al giudaismo e tra i diversi gruppi religiosi nei quali quest’ultimo era articolato si
distinguevano gli aristocratici e conservatori (sadducei) e i popolari e liberali (farisei); a questi venne ad aggiungersi la comunità degli
esseni, che conducevano un’esistenza rigorosa, vivendo isolati dal resto della comunità ebraica.
Un altro partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma era quello degli Zeloti, i cui tentativi di autonomia
non fecero altro che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione di due grandi rivolte ebraiche nel 66-70 d.C. e nel 132-135
d.C. quando Gerusalemme fu rasa al suolo.
Per la maggior parte degli ebrei si trattava di scegliere tra i farisei e il cristianesimo: mentre i primi si dedicavano alla meticolosa
osservanza della Legge di Mosè, il secondo proponeva la religione che aveva il suo fondamento nella fede in Cristo come valida per
tutta l’umanità.
Nel I sec. d.C. la figura che tra i predicatori e seguaci si impone sulle altre è quella di Paolo di Tarso – prima uno zelante fariseo
impegnato nella persecuzione della primitiva ecclesìa (= comunità dei fedeli). Dalle sue lettere emerge la consapevolezza che l’idea di
una missione universale della Chiesa rivolta all’umanità intera implicava di fatto una rottura con il conservatorismo giudaico, chiuso
nella difesa della idee e dei costumi.
Dal II sec. poi le comunità cristiane si organizzarono secondo strutture guidate da un singolo responsabile, detto, episcopus.
L’autorità romana imperiale aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere fra i vari movimenti, considerandola un problema
di nazionalità e non di religione; da Nerone in avanti risulta più evidente il contrasto fra l’autorità imperiale e la nuova religione
cristiana, considerata come pericolosa in quanto non poteva integrarsi con quella tradizionale e con il culto imperiale.
Non sappiamo con certezza però se vi fosse un fondamento giuridico alle persecuzioni e se il fatto di praticare la religione cristiana
fosse di per sé un reato. La risposta di Traiano, espressione di un atteggiamento moderato dell’autorità imperiale, prescriveva che i
cristiani non dovessero essere ricercati, ma puniti solo se espressamente denunciati (le denunce anonime non furono prese in
considerazione).
Il II sec. conobbe una vasta diffusione del cristianesimo, grazie anche alla circolazione di scritti sulla vita dei santi, esempio da seguire;
non solo, nacquero scritti in difesa della fede cristiana, con cui gli intellettuali, come Tertulliano, miravano a far conoscere e accettare il
proprio credo all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero.
4 CAPITOLO: Il II secolo
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Il secondo secolo è tradizionalmente considerato come l’età più prospera dell’Impero romano che, sicuro nei suoi
confini, poté godere di un notevole sviluppo economico e culturale. A ciò contribuì la rinnovata stabilità conseguita
con il regime successorio, instauratosi da Nerva, per cui al consanguineo è preferito colui che in assoluto dà
maggiori garanzie di sapere meglio governare.
Traiano lo aveva voluto al suo fianco già nella prima guerra dacica come questore e in seguito lo aveva cercato
come fedele collaboratore nella guerra partica, assegnandogli l’incarico di governare la provincia di Siria e, quando
si ammalò, il comando dell’esercito per sedare la rivolta degli Ebrei in Mesopotamia e Cirenaica.
Adriano dopo la sua proclamazione e approvazione come imperatore, abbandonò la politica di controllo diretto
delle nuove province orientali, create da Traiano e preferì affidarle a sovrani clienti, inaugurando un sistema di
consolidamento interno e mettendo fine alle guerre di espansione volute dal predecessore.
Fu comunque un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare e creò nuove unità, dette numeri,
formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali delle popolazioni non
romanizzate tra le quali erano reclutati.
Per acquistare la pubblica benevolenza si preoccupò di alleviare il malessere economico, cancellando i debiti
arretrati contratti a Roma e in Italia, colla cassa imperiale. Fu poi uomo di grande cultura, favorendo l’arte, la
letteratura, le tradizioni e i culti, interessato specie al mondo ellenico, cui volle fare omaggio restaurando lo
splendore di Atene e delle poleis greche.
Si impegno nel controllo della situazione finanziaria + incoraggiò la promozione delle élites orientali nel senato di
Roma.
Gran parte del tempo lo passò nelle province ove fece costruire numerose fortificazioni che avevano lo scopo di
controllare gli spostamenti delle popolazioni nomadi e le attività economiche legate alla transumanza.
Nel 132 d.C. dovette affrontare una ribellione degli Ebrei, guidata da Simone Bar Kochba; questo fenomeno
sembra sia stato avvertito come una grave minaccia per l’Impero, come dimostra la violenta e spietata repressione.
Dodici, dei suoi ventuno anni a capo dello Stato, li trascorse fuori da Roma e dall’Italia, acquisendo una
conoscenza dettagliata delle situazioni locali e dei meccanismi del funzionamento finanziario e amministrativo
dell’Impero. Si preoccupò personalmente di dare una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei
governatori provinciali. Si adoperò poi per un’efficace amministrazione della giustizia e a tale scopo l’Italia fu
divisa in quattro distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare. Avvertì l’importanza del ceto equestre
per l’amministrazione finanziaria e ne riorganizzò la carriera e introdusse distinzione fra carriera politica e militare.
Come successore Adriano adottò il console Lucio Elio Cesare (136 d.C.), ma morto prematuramente costui, la sua
scelta s’indirizzò verso un senatore della Gallia Narbonese, Arrio Antonino, il quale adottò Lucio Vero, figlio di L.
Elio Cesare, insieme a un nipote della moglie, Marco Aurelio.
Nell’età di Antonino Pio, l’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le élites delle province e delle città.
Due elementi sembrano caratterizzare la Roma di quel periodo: il processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciali, attraverso il
conferimento della cittadinanza romana + il valore attribuito alla vita cittadina nella quale la cultura greca trovava la sua più compiuta
espressione.
Nell’Impero romano vi era una grande varietà di tipologie cittadine e una grande diversità di statuti. Civitates in Occidente e poleis in
Oriente erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali, a seconda del loro grado di integrazione nell’Impero:
1. Città peregrine – preesistenti alla conquista e alla riorganizzazione fatta al loro interno dall’Impero. All’interno di questo
gruppo si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma:
a. città stipendiarie (pagano un tributo);
b. città libere (con diritti speciali);
c. città libere federate (città libere che hanno concluso un trattato di eguaglianza con Roma).
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2. Municipi – città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai cui abitanti è accordato il
diritto latino o romano.
3. Colonie – in origine città di nuova fondazione con apporto di coloni che godono di cittadinanza romana su terre sottratte a
città o a popoli vinti.
Le città costituivano il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale, anche se bisogna considerare che le
condizioni della vita urbana erano molto diverse da provincia a provincia. La complessità delle situazioni giuridiche delle città è solo un
piccolo riflesso della molteplicità di culture, tradizioni. lingue religioni e identità che convivevano nell’Impero.
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Uno dei fattori che caratterizzano la storia economica dell’Impero è rappresentato dall’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma, una
vera e propria megalopoli. Nessuna circolazione di prodotti nel Mediterraneo antico è stata più rilevante qualitativamente e
quantitativamente, di quella determinata dal servizio annonario per la capitale.
La gestione del complesso dei servizio finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata ad un’apposita magistratura, la prefettura
annona: “Annona” – significa propriamente il rifornimento e conservazione di viveri essenziali necessari alla sussistenza della città,
specie di grano.
La circolazione di beni riguardava però anche l’esercito permanente, che assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero e ne
condizionava l’economia. I circuiti di scambi nel Mediterraneo sono il risultato di una raggiunta unità politica, che favorisce
l’integrazione economica in ragione di un sistema fiscale basato un larga misura sulla moneta.
Nelle province si andò realizzando, come avvenne in Italia, attraverso urbanizzazione e monetazione, l’incremento dell’area del mercato
a spese dell’autoconsumo.
Parte quinta
Crisi e rinnovamento (III-IV secolo d.C.)
1.3 Il cristianesimo
E’ proprio la crisi morale dell’impero che favorisce il manifestarsi di nuove tendenze religiose che si propongono di
soddisfare i bisogni esistenziali dell’uomo in quella che è stata definita un’epoca di angoscia. Il III secolo è l’epoca
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decisiva per il definitivo costituirsi delle strutture primitive della Chiesa cristiana. Si fa piu’ dura ed evidente
l’avversione da parte dell’autorità politica: è significativo che proprio in un momento di grande difficoltà, quando
verso il 250 d.C. il pericolo barbarico si manifestò in tutta la sua gravita’, il potere imperiale decise di scatenare,
per reazione e per paura, la prima grande persecuzione sistematica dei cristiani.
5. Anarchia militare
Al posto di Alessandro Severo l’esercito proclamò imperatore un ufficiale di origine tracia, Massimino. Col suo
regno incomincia l’epoca considerata di massima crisi; un periodo in cui si succedono circa venti imperatori
definito come la fase dell’anarchia militare (235-284 d.C.).
Durante il regno di Massimino il Trace, dotato di uno scadente curriculum militare ma di eccezionale forza fisica,
si ottennero dei successi nelle campagne contro i barbari. La durezza dei suo regime impose una forte pressione
fiscale per far fronte alla grave situazione militare, che spiega la ritrovata forza di coesione del senato, il quale
giunse a dichiarare l’imperatore nemico dello Stato (hostis publicus).
Venne proclamato Gordiano, proconsole in Africa, ma trovò la morte subito dopo per mano dei soldati fedeli a
Massimino; il quale mosse alla volta dell’’Italia e cadde però assassinato dai suoi stessi soldati ad Aquileia.
Si successero una serie di imperatori fra cui Filippo l’Arabo e il senatore Messio Decio, ultimo dei quali volle
difendere le frontiere imperiali + rafforzare i culti tradizionali, specie quello dell’imperatore, inteso come strumento
di coesione interna.
Chi non accettava di sacrificare agli dèi e al Genio dell’imperatore veniva condannato a morte: Decio fu per questo
responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani nel 250-251 d.C. Morì lo stesso anno combattendo
contro i Goti, sui Balcani.
Nel 253 d.C. dopo una serie di imperatori effimeri, salì al trono Valeriano, un anziano senatore che ebbe
l’accortezza di associare al potere il figlio Gallieno, cui affidò il compito di difendere le province occidentali.
Nonostante questo la sua campagna contro i Persiani finì tragicamente, fu sconfitto a Edessa e fatto prigioniero del
re Sapore. Morì in cattività nel 260 d.C.
Gallieno fino al 268 d.C. restò da solo a reggere le sorti dell’Impero, riuscendo a fermare l’avanzata dei Goti e
degli Alemanni, anche se fu costretto a perdere la Dacia.
Di fronti alle ribellioni degli usurpatori e alle tendenze delle province a governarsi da sole, Gallieno, dovette
tollerare che all’interno dell’Impero si formassero due regni separatisti: quello delle Gallie e quello di Palmira.
Notevole fu poi la sua innovazione nella concezione strategica dei confini: invece di dislocare truppe lungo la
frontiera, privilegiò la concentrazione di alcuni contingenti all’interno del territorio imperiale con la funzione di
unità mobili di difesa.
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Restituì poi un certo prestigio alla figura del sovrano e promosse una decisa riorganizzazione dello Stato in tutti i
settori essenziali della vita economica; con lui l’autocrazia militare diventava quasi una teocrazia e il culto solare si
identificava con quello dell’imperatore.
Ucciso Aureliano nel 275 d.C. ci fu il breve regno di Tacito (275-276 d.C.) e di Probo (276-282 d.C.) con una
rinnovata pressione barbarica sulla frontiera renana e danubiana. Il successore Caro condusse invece a felice esito
la campagna contro i Persiani, conquistando la capitale nemica, Ctesifonte; morì però vittima di una congiura
militare, come i figli Numeriano e Carino.
7. Diocleziano e il dominato
Si trovò nel 285 d.C. detentore del potere e proclamato imperatore dall’esercito l’anno precedente. Il suo regno
durò fino al 305 d.C., anni in cui egli riuscì a riorganizzare lo Stato romano e a creare le condizioni per la sua
sopravvivenza.
Col suo regno inoltre si chiude l’età buia nota come crisi del III secolo. La sua è un’età di riforme e novità,
cominciando da quella che dava diversa organizzazione al potere imperiale centrale: da questo momento si fa
tradizionalmente iniziare la forma di governo del cosiddetto “Dominato”, rispetto alla precedente del “Principato”.
Per garantire una miglior difesa alle regioni più minacciate, Diocleziano stabilì la propria sede in Oriente, a
Nicomedia, capitale della Bitinia. Inoltre, concepì un sistema in base al quale al vertice dell’Impero c’era un
collegio imperiale composto da quattro monarchi, detti tetrarchi, due dei quali detti Augusti, erano di rango
superiore ai secondi, detti Cesari. Questo sistema aveva come fine quello di fronteggiare meglio le varie crisi
regionali, attraverso una ripartizione del potere e di garantire una successione ordinata, senza ulteriori lotte
intestine. I due Augusti cooptavano i due Cesari e così era previsto che facessero divenuti loro volta Augusti.
Venne nominato prima Cesare e poi Augusto, Massimiano cui spettò il governo in Occidente, in relazione al
Cesare, Costanzo Cloro – Domiziano invece esercitava il suo governo in Oriente, affiancato da Galerio.
Roma cessava di essere residenza abituale dell’imperatore. Massimiano infatti si stabilì a Milano.
L’esercito in questi anni fu potenziato e le truppe migliori messe a disposizione dei tetrarchi e anche il numero delle
province aumentò, mentre si riduceva l’estensione del loro territorio.
Diocleziano di s’impegnò molto anche nella riorganizzazione del sistema economico e nel riordino del sistema
fiscale, con l’imposizione di un’imposta sul reddito agricolo.
Per bloccare la continua ascesa dei prezzi di merci e servizi, tentò di imporre un calmiere con il quale si indicava il
prezzo massimo non superabile – provvedimento che prese il nome di Edictum de pretiis.
Lo spirito conservatore di Diocleziano si manifesta anche in altri due editti, circa la tutela del matrimonio e la
messa al bando della setta dei Manichei, una nuova religione di origine persiana.
Egli aveva inoltre promosso un’intensificazione del culto imperiale, facendosi chiamare Iovius (figlio di Giove) e la
sua volontà di rafforzare l’unità dell’Impero anche sul piano religioso si tradusse nella violenta persecuzione dei
cristiani nel 303-304 d.C. Il fenomeno conobbe fine quasi subito in Occidente e nel 311 d.C. in Oriente per volere
di Galerio.
Nel 305 d.C. Diocleziano e Massimiano abdicarono come previsto dal sistema tetrarchico: i due Augusti
nominarono loro volta come Cesari, Severo per l’Occidente e Massimino Daia per l’Oriente; ma il comando dei
due nuovi Augusti entrò subito in crisi. Nel 306 d.C. trovò la morte a York Costanzo Cloro, a questo punto
l’esercito proclamò imperatore il figlio Costantino, ma anche il figlio di Massimiano, Massenzio rivendicò per sé il
potere.
Il senato ha sempre meno potere reale e con esso le varie magistrature vengono meno al potere decisionale che un
tempo le caratterizzava: molto spesso, si limitano a organizzare i ludi.
2.2 Costantino (272-337 d.C.): condusse per alcuni anni una politica prudente, che conobbe una svolta nel 311
d.C. quando abbandona ogni legame coi presupposti ideologici della tetrarchia: a partire da questo momento egli
mostrerà di propendere per una religione di tipo solare, monoteistico.
Mentre Galerio moriva nel 311 d.C. Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C. nella battaglia del ponte
Milvio, sul Tevere, alle porte di Roma impadronendosi della città. La sera prima della battaglia, avvenuta il 28
ottobre, diverse fonti riferiscono della visione/sogno avuto da Costantino di porre un “segno di Cristo” sullo scudo
dei soldati (Lattanzio). Una vittoria dunque cha ha significato trascendente la sola natura politica perché ottenuta
nel segno di Cristo (“In hoc signo vinces”) – la conversione di Costantino significò l’inserimento delle strutture
ecclesiastiche in quelle dello Stato con l’imperatore che poteva intervenire in questioni dottrinali.
All’inizio del 313 d.C. Licinio (subentrato a Severo in Oriente) e Costantino si incontrarono a Milano dove si
accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa. Quest’accordo, noto come “editto di Milano”,
secondo l'interpretazione tradizionale concesse a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le
proprie divinità.
I contrasti fra i due Augusti incominciarono però molto presto: lo scontro finale si ebbe nel 324 d.C. quando presso
Adrianopoli, Costantino divenne il solo imperatore. Costantino fu poi preoccupato di salvaguardare l’unità interna
della Chiesa, come mostra il fine per cui fu convocato il concilio di Nicea (325 d.C.), che egli presiedette
personalmente: il problema in questo caso era di natura teologica, Ario negava la natura divina di Cristo, al
contrario di Alessandro.
Allo scopo di rendere più efficiente l’amministrazione provinciale, le diocesi, in cui l’Impero era stato suddiviso da
Diocleziano, furono raggruppate in quattro prefetture delle Gallie, dell’Italia e Africa, dell’Illirico e dell’Oriente,
rette ciascuna da un prefetto del pretorio.
Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli ci fu la fondazione di Costantinopoli, quale nuova Roma nel 330
d.C.
Tra le riforme attuate da Costantino, una delle più significative riguardava l’esercito: a lui si deve la creazione di un
esercito mobile detto comiatus perché “accompagnava” l’imperatore. I soldati questo gruppo, i comitatenses,
ricevevano una paga più alta, così i soldati che finivano sulla frontiera, il limes, detti limitanei, risultarono essere di
secondo ordine e mal pagati.
Per sopperire poi alla mancanza di soldati nell’esercito si ridusse l’altezza richiesta alle reclute, si incrementò la
caccia ai disertori, si rafforzò l’ereditarietà della professione militare e si concessero privilegi ai veterani per
attirare volontari.
1 La fine della dinastia di Costantino I pone in evidenza il problema della non coincidenza del destino dell’Impero
con quello della Chiesa – due dimensioni separate nonostante la cristianizzazione della società.
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Giuliano è ricordato principalmente per l’effimero tentativo di reintrodurre la religione pagane all’interno della
struttura statale: ordisce infatti un programma di ampio respiro che aveva i propri capi saldi nell’amministrazione
onesta e efficiente delle città e una rivitalizzazione del loro ruolo.
Passa alla storia come l’apostata (rinnegato), un epiteto che gli fu dato da alcuni cristiani, i quali ebbero a temere
che potesse far tornare il tempo delle persecuzioni.
Usa misure discriminatorie nei confronti dei cristiani per dare adito alla sua riforma e riconosce il proselitismo
nella nuova religione in virtù della sua organizzazione, da qui nasce il suo impegno ad affermare il primato pagano
anche in questa realtà.
Tale trasferimento creò in questa città un accresciuto fabbisogno, dovuto alla presenza in essa del personale
burocratico e dei soldati. Una circolazione limitata di beni fu garantita dall’emergere di nuove classi sociali,
magistrati e funzionari statali, ecclesiastici che mantenevano un alto livello di potere d’acquisto. La
frammentazione politica seguita alle invasioni barbariche provocò nel V secolo d.C. la definitiva rottura delle
relazioni commerciali all’interno del Mediterraneo, che determinarono un rapido abbassamento delle condizioni di
vita e un netto declino demografico.
Parte sesta
La fine dell’Impero romano d’Occidente e Bisanzio
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hanno un forte influsso sulla politica interna romana, anche in virtù della loro posizione nella gerarchia militare. Il
processo di integrazione non era però mai completo del tutto e solo eccezionalmente veniva concessa la
cittadinanza; vengono create leggi per evitare contaminazioni, sebbene la separazione sia già marcata dal
mantenimento della loro struttura tribale, pur essendo tenuti a pagare tasse e a prestare servizio militare. L’influsso
dei Germani sulla politica interna romana si basa quasi esclusivamente sulla loro
posizione guadagnata all’interno della gerarchia militare.
5. Vandali e Unni
Nei decenni iniziali del V secolo d.C. si segnalano per il loro dinamismo e pericolosità alcune popolazioni che però
non si rivelano capaci di dar vita a organizzazioni stabili. I vandali posero fine alla storia dell’Africa romana,
occuparono un lungo tratto di costa nel 430 d.C. Nel 439 d.C. cadde anche Cartagine e il re vandalo Genserico
ottenne il riconoscimento del suo regno da parte della corte ravennate. Il regno dei Vandali non riuscì mai ad
organizzarsi su basi stabili. Privo di una forte coesione interna, il regno vandalico durò poco piu’ di un secolo: fu
conquistato da Giustiniano nel 534 d.C e inglobato nell’Impero d’Oriente. Contemporaneamente nella Pannonia
incombeva il pericolo rappresentato dagli Unni, guidati da Attila. In un primo tempo essi si diressero contro
l’oriente penetrando sin nella Grecia centrale, ma in seguito indirizzarono le loro mire verso Occidente dove
regnava il debole Valentiniano III. Quando Attila nel 452 d.C. mosse alla volta dell’Italia si verificò un evento
inatteso. Gli unni lasciarono improvvisamente la penisola dopo aver incontrato una delegazione guidata dal papa
Leone I. La morte di attila provoò la rapida dissoluzione del suo regno.
Maggioriano, imperatore dal 457 al 461 d.C. è considerato l’ultimo detentore del potere in Occidente, che abbia
tentato una riscossa militare e una serie di riforme economiche per alleviare la crisi.
Dopo il suo tentativo si succederanno una serie di imperatori effimeri, privi di vero potere. Ricimerio, un generale
barbaro che sconfisse Maggioriano, assediò poi a Roma Autemio, voluto imperatore da Costantinopoli, dopo la
morte del predecessore.
In seguito, l’imperatore d’Oriente Zenone nomina Giulio Nepote, contro il quale si ribello un generale, Oreste (474
d.C.) – il figlio di Oreste, Romolo insediato sul trono imperiale, fu scacciato dal capo barbaro Odoacre (476 d.C.),
il quale non rivendica per se il titolo di imperatore.
Formalmente la fine dell’impero romano d’occidente si ebbe nel 476 d.C. quando Romolo, detto scherzosamente
Augustolo per la sua giovane età, il figlio che Oreste aveva insediato sul trono imperiale, fu scacciato da un capo
barbarico, lo sciro Odoacre.
I regni romano-barbarici
2.1 Il regno di Teodorico in Italia
Il re dei Goti Teodorico aveva familiarità colle istituzioni romane grazie al periodo di tempo trascorso alla corte di
Costantinopoli, giunse poi in Italia col titolo di patricius, con la missione di eliminare Odoacre. Dopo varie
vicende, nel 493 d.C. Odoacre fu sconfitto e ucciso.
Le sue intenzioni volte a cercare di mettere in atto una collaborazione tra Goti e Romani premettono l’emanazione
di un complesso di leggi per regolare i rapporti fra le due comunità etniche su una base di eguaglianza. Egli fece
restaurare molti monumenti in decadenza in varie città, concentrando i propri sforzi sulla capitale, Ravenna. Nel
complesso il periodo di regno di Teodorico rappresentò un momento positivo per la penisola italiana. Purtroppo
però alla lunga, la collaborazione tra Goti e Romani si rivelò impraticabile.
Rimane tuttavia una forte diversità sul piano ideologico e dottrinale, in ordine alla presenza di cattolici romani che
si opponevano alla confessione ariana dei Goti: questa dicotomia prevalse sulle ragioni di tolleranza che Teodorico
aveva espresso nei confronti dei cristiani. In un certo momento sembrò che si realizzassero le condizioni per una
convergenza antiariana di cattolici e di Bizantini. Il sovrano reagì facendo imprigionare papa Giovanni I e mettendo
a morte gli uomini che avevano preso parte al suo programma di governo: nel 524 d.C. fu giustiziato Severino
Boezio, nel 525 d.C. Simmaco, l’anno seguente poi morì lo stesso Teodorico lasciando il regno alla figlia,
Amalasunta.
65
Nel 407-407 d.C è la prima volta che ai barbari si dava, oltre alla possibilita’ di insediarsi legittimamente all’interno
dei confini dell’Impero, anche quella di esercitare una piena autorità sulle terre in cui si insediavano. Il regno
ostrogoto in Italia durò poco piu’ di mezzo secolo, dalla fine del V alla seconda metà del VI sec. d.C. Coincide in
larga misura con il regno del re Teodorico. Il piu’ importante regno barbarico è quello dei Franchi e la figura
centrale di questo periodo è Clodoveo, della dinastia Merovingia, re nel 481 d.C. che grazie alla sua conversione al
cristianesimo, favorì l’integrazione dei Franchi con gli esponenti dell’aristocrazia gallo-romana. Quasi la totalità
della Gallia era sotto il dominio dei Franchi.
2.6 Il monachesimo
Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo in varie
forme. Le piu’ importanti furono quelle del monastero di Lerins. Questo monachesimo provenzale si caratterizza
per una mescolanza tra vita in solitudine e in comunità’ e per le forme moderate di ascesi. I monasteri ebbero
inoltre una funzione importante come centri di cultura. Con la fine dell’impero romano in occidente era entrato in
crisi anche il sistema scolastico. Nel VI secolo gli unici centri di vita culturale e di istruzione furono i monasteri. In
occidente non esistevano scuole superiori cristiane. Questa carenza fu affrontata da Cassiodoro che aveva
abbracciato la vita monastica ritirandosi a Vivarium dove fondò un monastero. All’incirca contemporaneo di
Cassiodoro è san Benedetto, il grande fondatore della vita monastica in Occidente. Anche se alla base della sua
conversione alla vita ascetica c’era il rifiuto di ogni commistione con lo studio della letteratura pagana,
nell’organizzazione monastica benedettina è lasciato spazio alla cultura, almeno allo scopo di far si che i monaci
sapessero leggere le Scritture. Questa risulterà una via importante per la trasmissione del sapere. La necessità di
una formazione adeguata anche per il clero fece si he sorgessero delle apposite scuole episcopali e presbiteriali.
Nella maggior parte della città il Foro romano continuò a svolgere la sua funzione di centro economico in quanto
sede del mercato, ma perse il suo ruolo di direzione politica con il venir meno dei consigli cittadini. Con il
medioevo si affermano in alternativa il palazzo regio e la cattedrale. In generale l’età tardoantica è caratterizzata
dalla costruzione di chiese di notevoli proporzioni non solo nelle capitali ma anche in città minori.
Bisanzio
3.1 L’impero d’Oriente fino al regno di Giustiniano
Le vicende dell’Impero d’Oriente sono distinte da quello occidentale, dal 395 d.C. colla morte di Teodosio. Molti
parlano in questo senso di una storia a sé, una “storia bizantina” avente caratteristiche sue proprie con un inizio
(330 d.C.) e una fine (1453 d.C.).
Arcadio morì nel 408 d.C., gli successe Teodosio II, ma in sua vece governa il prefetto del pretorio, fino al 450 d.C.
Anche in Oriente si dovette poi affrontare il pericolo barbaro, da parte degli Unni, che minacciavano
Costantinopoli. Sebbene l’Oriente uscì da questa fase senza grosse perdite e mantenendo una compattezza interna,
a travagliare la vita politica di Bisanzio ci furono diverse controversie di natura religiosa.
Teodosio II è ricordato per la sua attività di riordino della giurisprudenza, nel 438 d.C. promulgò una raccolta delle
leggi imperiali da Diocleziano in poi (Codice Teodosiano).
A travagliare la vita interna di Bisanzio in questo periodo furono soprattutto le controversie di natura religiosa
relative alla natura di cristo. I problemi di ordine finanziario emersi nei regni di Leone, Marciano e Zenone (457
d.C. 491 d.C.) verranno in seguito affrontati da Anastasio che realizzò un’importante opera di riforma delle
strutture fiscali e blocca l’offensiva lanciata dai persiani nel 502-503 d.C.
Alla sua morte gli successe un ufficiale, Giustino, che deceduto nel 527 d.C. lasciò il trono imperiale a Giustiniano .
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Ha grande rilievo anche l’attività edilizia di Giustiniano e cerca di reprimere gli abusi fiscali, ma come detto posto
d’eccellenza va lasciato alle questioni dottrinali. Forte fu l’impulso dato anche al commercio e a nuove attività
economiche, tra le quali spicca la produzione della seta.
Una delle principali opponeva l’ortodossìa ribadita nel concilio di Calcedonia (451 d.C.) per cui la natura umana e
divina coesistono in Cristo e di contro, il credo monofisita che accentuava la Sua natura divina.
Nel 533 d.C. il generale Belisario sconfisse l’ultimo sovrano vandalico, Gelimero, sì che l’Africa del nord,
Sardegna e Corsica passarono sotto il dominio bizantino; mentre più lunga fu la guerra per la conquista dell’Italia
(dal 535 d.C. al 553 d.C.) che infine diventò una delle prefetture dell’Impero d’Oriente. La restaurazione
giustinianea in Italia però fu interrotta tre anni dopo, coll’arrivo nella Penisola dei Longobardi.
All’interno del mondo cristiano poi ci sono diversità dottrinali tra Costantinopoli e il papato: gli equilibri si fanno
sempre più precari, eliminando l’ultimo fattore di unificazione ereditato dal mondo antico, la religione.
3.3 Costantinopoli
Costantinopoli, la nuova capitale inaugurata da Costantino nel 33° d.C. al posto dell’antica Bisanzio sul Bosforo,
contava una popolazione di 100.000 abitanti. Durante il regno di Teodosio II la sua superficie fu piu’ che
raddoppiata. Una tale densità abitativa si spiega con le distribuzioni gratuite di generi alimentari, ma soprattutto
con un’intensa attività della legge. A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria,
isolati dal resto della città. La vita quotidiana del sovrano si svolgeva secondo un cerimoniale minuzioso.
da una parte, alcune misure politiche e dall’altra i privilegi e le limitazioni che determinano proprio in funzione
dell’assistenza, la condizione speciale dei beni ecclesiastici e con essa l’eccezionale potenza economica della
chiesa. La legislazione si preoccupò soprattutto di un aspetto, e cioè dei riflessi che la povertà e l’impoverimento
potevano avere anche sull’ordine pubblico. L’afflusso disordinato degli uomini nelle grandi città e soprattutto nella
capitale era destinato a far crescere le file dei poveri. La legge favorì tanto la costituzione, presso le chiese e i
monasteri, di un patrimonio destinato ai poveri quanto la costruzione di edifici a scopo assistenziale.