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Storia romana geraci marcone riassunto sostitutivo

Storia romana i (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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Storia romana – G. Geraci, A. Marcone

Parte prima
I popoli dell’Italia antica e le origini di Roma

L’Italia preromana
1. L’Italia dell’eta’ del bronzo e l’eta’ del ferro

Nella penisola italiana si assiste, dal III al I millennio a.C. a uno sviluppo di notevoli proporzioni. Tra l’età del
bronzo medio e la prima età del ferro si passa da una situazione caratterizzata da gruppi di persone di piccole
dimensioni al sorgere di forme piu’ complesse di organizzazione.
L’Italia nell’età di bronzo registra un incremento demografico molto importante. E’ documentata anche un’intensa
circolazione di prodotti e di persone. Tali contatti, favorirono direttamente o indirettamente, il formarsi tra le
popolazioni indigene di aggregazioni piu’ consistenti. Con l’inizio dell’età del ferro l’Italia presenta un quadro
differenziato di culture locali. Un primo criterio di differenziazione concerne le modalità di sepoltura. Nell’eta0 del
ferro in Italia esistono due gruppi di popolazioni che praticavano riti diversi:
- cremazione (praticata nell’Italia settentrionale e lungo la costa tirrenica sino alla Campania)
- inumazione (nelle restanti regioni).

La diversità delle culture presenti in Italia all’inizio del primo millennio a.C ha un riscontro importante in un
quadro linguistico assai variegato, riconducibile all’arrivo nella penisola di gruppi etnici di varia provenienza.
Queste lingue si possono ricondurre a due grandi famiglie:
-Indoeuropee: in un primo luogo il latino e il falisco (Lazio).

All’interno poi di un gruppo detto Italico si distinguono tre diversi sottogruppi contraddistinti da varianti dialettali:
uno umbro-sabino nel Centro- Nord comprendente la Sabina, l’Umbria e il Piceno; uno osco nel Centro Sud
comprendente Sanniti, Lucani e Bretti; e un terzo, assai meno noto riferibile agli Enotria e ai siculi.
Indoeuropei erano anche il celtico (pianura padana) e il messapico (puglia meridionale).
La principale lingua non indoeuropea parlata in Italia è l’etrusco (toscana). Non indoeuropee sono anche il retico
(alta valle dell’Adige) e il sardo.
Nel quadro delle culture italiche un posto a parte ha la civiltà dei Sardi che si sviluppò in Sardegna tra l’età del
bronzo e quella del ferro. E’ nota con il nome di civiltà nuragica dalla costruzione tipica che la caratterizza, il
‘’nuraghe’’, una torre a forma di tronco di cono che probabilmente aveva una funzione difensiva.

2. I primi frequentatori dell’Italia Meridionale

All’origine del popolamento, i dati archeologici lasciano presupporre una cultura del meridione della penisola
italica dai tratti indigeni. A partire dal V sec. però inizia la frequentazione commerciale delle coste del meridione
italico da parte di genti provenienti da oriente. Dopo un’interruzione di quasi quattro secoli legata alla crisi del
mondo miceneo, in cui gli scambi con il Mediterraneo orientale si erano ridotti a pochi prodotti come ferro e
ceramica, in Grecia riprendono gli scambi con le coste calabresi verso il VIII secolo a.C. Questa ripresa delle
importazioni preannuncia una svolta nell’interesse dei Greci per l’Italia meridionale che si tradurrà in una grande
impresa di colonizzazione volta alla conquista.

3. Le trasformazioni dell’Italia Centrale

Tra il VIII e il V secolo a.C si assiste ad un grande fenomeno espansivo delle popolazioni dell’Appenino centro-
meridionale. E’ un fenomeno che conosciamo meglio per quanto riguarda il versante tirrenico, con i Sabini che si
intromettono nella Roma dei Latini. Questo movimento ha il suo apice tra il V e il IV sec con l’espansionismo dei
Sanniti. Sul versante adriatico una civiltà importante è quella picena. In Abruzzo si formano insediamenti di

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notevoli dimensioni, che superano anche i 10 ettari. Le prime testimonianze scritte lasciano intravedere
un’organizzazione sociale articolata secondo gruppi etnici con alla testa principi e re.

Gli Etruschi
2.1 Origine ed estensione degli Etruschi
Gli Etruschi sono la piu’ importante popolazione dell’Italia preromana. Noti ai Greci con il nome di Tirreni, sembra
che chiamassero se stessi ‘’Rasenna’’. Ci sono diverse opinioni riguardanti la loro origine:
- Erodoto credeva che si trattasse di un gruppo di Lidi che provenienti dalla regione dell’Asia minore, guidati da
Tirreno navigarono alla volta dell’Italia.
-Dionigi di Alicarnasso li riteneva genti autoctone, indigene, della penisola italica.
La ricerca archeologica e storica moderna propende per lo piu’ a spiegare l’origine etnica degli Etruschi, come il
punto d’incontro di due tipi di processi:
- da un lato si pensa a un’evoluzione della struttura interna delle società e delle economie locali
- dall’altro si riconosce l’importanza che su queste esercitarono influenze esterne, in primo luogo i rapporto con le
colonie greche presenti nell’Italia Meridionale. L’origine della civiltà etrusca sembra dunque riconducibile ad uno
sviluppo autonomo realizzatosi nelle regioni comprese tra i corsi dell’Arno e del Tevere. Tale sviluppo risentì di
apporti importanti di gruppi etnici extra italici, portatori anche di elementi propri delle civiltà orientali. Anche se
nella fase della loro massima espansione (VII-VI secolo a.C.) gli Etruschi controllavano gran parte dell’Italia
centro-occidentale e competevano con i Greci e i Cartaginesi per il controllo delle principali rotte marittime, questo
popolo non diede mai vita ad uno stato unitario. Gli etruschi si organizzarono fin dalle origini in città indipendenti
governate d sovrani detti ‘’lucumoni’’ che furono poi sostituiti da magistrati eletti annualmente gli ‘’zilath’’
corrispondenti ai pretori romani. L’unica forma di affermazione delle comunità etrusche che ci sia nota è quella
rappresentata dalla lega delle 12 città principali. Il governo delle città era principalmente nelle mani di un gruppo
ristretto di proprietari terrieri e di ricchi commercianti. Il processo di espansione degli Etruschi subì un primo
arresto intorno al 530 a.C. a seguito di una battaglia navale contro i Focei. Decisivi per la caduta etrusca furono due
eventi che si verificarono all’inizio del IV sec a.C: la presa dell’importante città di Veio ad opera dei Romani nel
396 e la perdita dei possedimenti nella val Padana, caduti in mano ad una popolazione indoeuropea nuova. Nel
corso del III secolo l’Etruria passò progressivamente in mano romana.
2.2 Religione e cultura
L’aspetto che piu’ suscitò l’ammirazione degli scrittori antichi fu lo sviluppo che ebbero i riti religiosi. La sfera
religiosa etrusca comprende una ricchezza di culti e di scritti sacri ben codificati. Le divinità del pantheon etrusco
sono in gran parte assimilabili a quelle greche. Alcune hanno nomi di derivazione ellenica: Hercle è Eracle, Apulu
è Apollo, Artumes è Artemide. Altri dei hanno nomi che rivelano un’origine indigena come Selvans= Silvano.
Anche per gli etruschi come per i greci c’è una divinità suprema, Tinia, subordinata al Fato. Tutte le altre divinità
erano ordinate secondo gerarchie in base ai regni di supremazia: mortali o inferi.
Nella religiosità etrusca ha un’importanza particolare la concezione dell’aldilà. Il defunto è immaginato continuare
la propria esistenza nella tomba, nella quale devono trovar posto cibi e bevande e simboli del suo status sociale. In
un secondo tempo a quest’immagine sarà poi sostituita un’altra che concepiva l’oltretomba come una destinazione
alla quale si perveniva dopo un lungo viaggio che poteva essere effettuato a piedi o con un mezzo di locomozione.
Agli etruschi risale inoltre l’Aruspicina, attraverso l’esame delle viscere degli animali sacrificati per scopi religiosi.
Questa si basa sulla concezione di un fondamentale unità cosmica secondo cui negli organi si riprodurrebbe
l’ordine dell’universo: l’analisi delle parti delle vittime serviva all’aruspice per le sue interpretazioni e per trovare
le risposte a domande che venivano rivolte alla divinità.

2.3 Il problema della lingua


I testi etruschi possono essere letti con relativa facilità perchè l’alfabeto, è un riadattamento di quello greco. La
principale difficoltà nel capire l’etrusco deriva però dal fatto che è una lingua NON indoeuropea. Inoltre i testi che
ci sono giunti, sono costituiti per lo piu’ da brevi formule nelle quali spesso comprare soltanto il nome del defunto,
con le cariche da lui ricoperte. Pochi sono i testi di una certa estensione.

2.4 Tecnica e arte

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I siti delle città etrusche hanno lasciato una traccia archeologica modesta. Le necropoli erano disseminate un po’
ovunque nell’are d’influenza etrusca, erano scavate con varie strutture:- a pozzo costituite da semplici pozzetti
rivestiti che accoglievano le custodie delle ceneri dei defunti
- a fossa che sostituirono quella a pozzo, destinate all’inumazazione dei cadaveri.
Le piu’ evolute sepolture sono a camera, costruite come veri e propri appartamenti per membri di una stessa
famiglia, fornite di numerosi ambienti, celle, corridoi e nicchie. Gli etruschi praticavano con successo oltre
all’agricoltura anche la metallurgia, l’artigianato.

Roma
3. ROMA
3.1 Le origini di Roma
L’archeologia ha confermato l’importanza dell’influenza greca e orientale su Roma e sul Lazio. Essa si manifesta
molto presto a partire dall’VIII secolo a.C.
3.2 Le fonti letterarie
Le testimonianze delle fonti letterarie, rappresentano il primo blocco di informazioni con cui ci si deve confrontare
per ricostruire la storia di Roma arcaica. Si tratta di opere che risalgono ad epoche molto posteriori agli eventi
narrati e nelle quali hanno largo spazio elementi leggendari. I primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale
furono i Greci. E in greco scrissero anche i primi storici romani. I primi storici di cui possiamo leggere tuttora, in
forma piu’ o meno completa, le narrazioni su Roma arcaica vissero nel I secolo a.C. Tito Livio scrisse una grande
storia di Roma dalla sua fondazione in ben 142 libri. Il primo libro dedicato alla Roma monarchica. Molto
importante è anche lo storico greco Dionigi che scrisse Antichità romane, in 20 libri, coprendo il periodo che
andava dalla fondazione di Roma allo scoppio della prima guerra punica. Roma fino alla metà del IV sec. a.C.
nessun interesse particolare da parte della storiografia greca. Solo a partire da quest’epoca a fronte dell’emergere
della potenza romana, ci si preoccupò di organizzare le informazioni disponibili. Lo scopo principale è quello di
dimostrare che i Romani erano una popolazione di origine ellenica. La versione piu’ nota e diffusa della leggenda
delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio
e il regno di Romolo. Nel primo libro dell’Eneide, il poeta latino Virgilio, si ispira a questa tradizione: Alba Longa
è fondata dal figlio di Enea, Ascanio e la città prenderà il nome della moglie Lavinia. Virgilio mette anche in
relazione il nome di Alba Longa con il prodigio della scrofa bianca (alba) che dando alla luce trenta porcellini,
indica ai Troiani il numero di anni che devono trascorrere per la fondazione della nuova città. Secondo la leggenda
il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, è figlio addirittura di Marte, il dio della guerra e di Rea Silvia
che a sua volta è figlia di Numitore, l’ultimo re di Alba Longa privato del trono dal fratello piu’ giovane Amulio.

3.3 I sette re di Roma


La tradizione fissa in modo preciso il periodo monarchico della storia di Roma dal 754 al 509 a.C. anno
dell’istaurazione della Repubblica. In questo periodo su Roma avrebbero regnato sette re, secondo questa
successione: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il
Superbo. A Romolo viene attribuita la creazione delle prime istituzioni politiche tra cui un senato di cento membri;
a Numa Pompilio si assegnano i prii istituti religiosi; a Tullo Ostilio le campagne militari di conquista; a Anco
Marcio la fondazione della colonia di Ostia. Nella tradizione, il regno di Tarquinio Prisco segna una seconda fase
della monarchia romana, nella quale gioca un ruolo importante la componente etrusca. A Prisco sono attribuite
importanti opere pubbliche mentre a Servio Tullio si fa risalire la costruzione delle prime mura della città e
soprattutto l’istituzione della piu’ importante assemblea elettorale romana, i comizi centuriati. Tarquinio il Superbo,
l’ultimo sovrano della serie, assume i tratti tipici del tiranno che infligge ai cittadini ogni tipo di vessazione.
Le fonti sul quale si basavano per i loro racconti:
1. Altre opere storiche per noi perdute. Questi storici sono noti con il nome di annlisti perché hanno
organizzato il materiale in ordine cronologico secondo una successione anno per nno. Il primo romano a
narrare la storia di Roma è stato Fabio Pittore (scrisse però in greco). Il primo a scrivere in latino fu Catone
il Censore.

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2. La tradizione familiare. La struttura della società romana era dominata dalla competizione tra le principali
famiglie dell’aristocrazia di governo. Ciascuna cercava di accreditare il proprio titolo di superiorità sulle
altre celebrando le glorie degli antenati. Una delle forme con le quali la storia familiare veniva celebrata è
riconducibile all’uso di pronunciare elogi dei defunti in occasione di cerimonie funebri.

3. La tradizione orale. La struttura di parecchie leggende legate all’origine di Roma ha caratteristiche tali da
rendere credibile che siano tramandate oralmente di generazione in generazione. La tradizione orale è però
soggetta a forti distorsioni. Come canale di trasmissione sono stati indicati canti celebrativi delle imprese
dei personaggi illustri che recitavano durante i banchetti.

4. Documenti d’archivio. I primi storici di Roma hanno in comune una medesima struttura narrativa che
consiste nel menzionare per ogni anno i nomi dei magistrati principali e degli eventi ritenuti degni di nota.
Tra queste possibili fonti quella che gode di maggiore credito sono gli Annali dei pontefici, ovvero la
registrazione degli avvenimenti fondamentali, tenuta anno per anno dall’autorità religiosa di Roma
(pontefice massimo).

3.4 La storiografia moderna


Il compito degli storici moderni è costituito nel sottoporre ad un esame critico i dati della tradizione, molti dei quali
difficilmente accettabili. Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni
di diverso tipo sulle origini di Roma: una greca che ricollegava la fondazione della città alla leggenda di Enea ed
una indigena nella quale Romolo rappresentava un mitico fondatore autoctono.

3.5 La fondazione di Roma


La nascita della città dovette essere piuttosto il risultato di un graduale processo formativo lento e graduale per il
quale si deve presupporre una sorta di federazione di comunità separate che gia’ vivevano sparse sui singoli colli.
Le vicende delle origini di Roma si comprendono meglio se si tiene conto che essa sorgeva a ridosso del basso
corso del Tevere, in una posizione di confine tra due aree etnicamente differenti che erano separate proprio dal
corso di quel fiume: la zona etrusca e il Lazio antico formavano una regione molto piu’ piccola di quella del Lazio
attuale. Nel periodo in cui si colloca la formazione di Roma come città, le varie differenze tra i popoli abitanti tali
aree, cioè Etruschi e Latini, era già nettamente definita. Sembra improbabile che Roma abbia preso nome da un
fondatore Romolo: è molto piu’ probabile il contrario, cioè che l’esistenza di una città chiamata Roma fece
immaginare che fosse stata fondata da Romolo. Tra le possibili derivazioni di questo nome c’è quello della parola
RUMA (mammella, nel senso di collina) oppure da RUMON termine latino che designava il Tevere.

3.6 Il ‘’muro di Romolo’’


Ogni ricostruzione relativa alle origini di Roma deve essere considerata provvisoria. Negli ultimi scavi condotti
sulle pendici meridionali del Palatino hanno portato alla luce i resti di una palazzata da cui si vede una linea
dell’originario solco di confine detto POMERIO, chiamato ‘’muro di Romolo’’ che confermerebbe il racconto
tradizionale.

3.7 Il pomerio e i riti di fondazione


Il pomerio era in origine la linea sacra che delimitava il perimetro in corrispondenza con le mura. In un secondo
tempo il nome servì a designare anche una zona di rispetto che separava le case dalle mura stesse dove non era
permesso né seppellire né piantare alberi. L’area del pomerio era limitata da cippi infissi nel terreno a seguito di
una cerimonia religiosa tenuta dal pontefice massimo. In caso di ampliamento i vecchi cippi venivano conservati.
Un’antica disposizione prevedeva che per estendere l’area del pomerio fosse necessario aumentare la superficie
dello stato romano con un nuovo territorio tolto al nemico.

3.8 Lo stato romano arcaico


Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie alla cui testa stava il pater, figura
depositaria di un potere assoluto su tutti i suoi componenti, compresi schiavi e clienti. Tutte le famiglie che
riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens.

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La popolazione dello stato romano arcaico era diviso in gruppi religiosi e militari detti ‘’curie’’: comprendevano
tutti gli abitanti del territorio ad esclusione degli schiavi.
Con Romolo si pensa siano state create anche le tribu’. Originariamente: Tities, Ramnes e Luceres. In epoca tarda
invece ogni tribu’ fu divisa in dieci curie e da ogni tribu’ furono scelti cento senatori (trecento in tutto quelli che
formavano la prima assemblea degli anziani).Ogni tribu’ era tenuta a fornire un contingente di cavalleria e uno di
fanteria rispettivamente di cento e mille uomini.

3.9 La monarchia romana


La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva: l’elezione del re era demandata
all’assemblea dei rappresentati delle famiglie piu’ in vista. Originariamente il re doveva essere affiancato nella sue
funzioni da un consiglio di anziani composto dai capi di quelle piu’ nobili e piu’ ricche (patres) questi uomini
rappresentavano il nucleo di quello che poi sarebbe diventato il senato. Il potere del re in assenza di qualsiasi forma
di costituzione, doveva trovare una limitazione nel potere detenuto dai capi delle gentes principali. Il re era anche il
capo supremo religioso e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei sacerdoti. Il collegio degli
‘auguri aveva invece il compito di interpretare la volontà divina allo scopo di propiziarsela. Le vestali, composto da
donne votate ad una castità trentennale, avevano il compito di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuamente
nel tempio della dea vesta.

3.10 Patrizi e plebei


Per la tradizione i patrizi erano i discendenti dei primi senatori (i patres) la cui nomina si faceva risalire a Romolo.
Tra le ipotesi c’è quella che fa dei plebei invece, i clienti dei patroni patrizi. Un’altra interpretazione riconosce nei
patrizi i Latini abitanti del Palatino e nei plebei i Sabatini insediati sul Quirinale ed entrati a far parte della
comunità civica in una condizione di inferiorità. Un’ulteriore ipotesi tra le piu’ accreditate mette in primo piano il
fattore economico: i patrizi sarebbero stati i grandi proprietari terrieri, mentre i plebei corrisponderebbero alle classi
degli artigiani e dei ceti emergenti economicamente. Nessuna di queste teorie appare invero pienamente
soddisfacente. E’ probabile perciò che la differenza tra patrizi e plebei sia il punto di arrivo di un’evoluzione sociale
complessa.

3.11 L’influenza etrusca


Roma conobbe uno sviluppo notevole nel corso del VI sec. A.C. nel periodo in cui si trovò sotto il controllo
etrusco. Il predominio etrusco sulla città ha lasciato segni importanti nella stessa tradizione letteraria. La realtà di
tale supremazioa etrusca traspare anche lella vicenda relativa alla scesa al potere di Tarquinio Prisco. Secondo il
racconto della tradizione, Tarquinio è il figlio di un greco originario di Corinto, che arrivato a Tarquinia, sposa una
giovane appartenente all’aristocrazia locale; alla morte del padre ne eredita le ingenti ricchezze ma la sua origine
straniera gli impedisce di accedere al governo della città. Il giovane allora decide di trasferirsi a Roma; giunto li si
guadagnò il favore di Anco Marcio e cambiato il suo nome in Lucio Tarquinio, alla morte del re venne eletto suo
successore. Un’altra tradizione inserisce Roma all’interno di un contesto piu’ ampio che vedeva l’Italia centro-
meridionale sede di relazioni molto intense in particolare tra Greci ed Etruschi. Questi ultimi, avevano presto
manifestato un interesse ad assicurarsi il controllo delle vie di accesso alla Campania e nelle loro tradizioni,
facevano cenno ad un periodo in cui si trovano coinvolti proprio in scontri volti ad assicurarsi il controllo di Roma.

3.12 Servio Tullio e Tarquinio il Superbo


La figura del sovrano Servio Tullio è circondata nella tradizione latina di elementi eroici. Nato da una schiava fu
educato alla corte del re, del quale sposò una delle figlie. Quando Tarquinio fu assassinato dai figli di Anco Marcio,
Servio assunse i poteri regi senza però che la sua successione fosse pienamente legittima. Quanto a Tarquinio il
Superbo, la sua figura riceve i connotati tipici del tiranno greco. Promotore di grandi opere pubbliche e di una
politica espansionistica, era inviso al popolo. Secondo la tradizione fu cacciato da una congiura capeggiata da
Publio Valerio, ‘’il sostenitore del popolò’, che avrebbe instaurato il regime repubblicano.

3.13 La documentazione archeologica


La documentazione archeologica offre problematici riscontri a queste tradizioni.

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3.14 Rafforzamento della monarchia


Il predominio etrusco su Roma portò a un rafforzamento dell’istituto monarchico. In questo periodo il potere regio
dovette essere costruito nei pressi del tempio di Vesta, l’edificio sede ufficiale del re, detto appunto regia, termine
con il quale si continuerà a designarlo anche in seguito. Nel frattempo viene definita, nella parte nord occidentale
del Foro, l’area riservata all’attività politica del popolo e del senato. In particolare l’indagine archeologica ha
dimostrato come sia stato creato il comitium (VII-VI sec.) il luogo dove il popolo si riuniva per deliberare, la sede
appunto della vita politica. Di fronte ad esso fu costruito lo spazio della curia Hostilia, la prima sede per le
assemblee del senato.
E’ probabile che gia’ in questo periodo la popolazione fosse organizzata secondo raggruppamenti non piu’ basati su
fattori gentilizi ma stabiliti sulla base del censo, cioè della ricchezza degli individui. Il censo fu anche il criterio con
cui si arruolavano i componenti del nuovo esercito serviano, che prese il nome di classi e che era formato da
cittadini in grado di procurarsi un armamento pesante. Anche l’istituzione di quattro tribu’ territoriali, in
sostituzione delle antiche tribu’ romulee, a base gentilizia, rispecchia l’evoluzione della società romana: le nuove
ripartizioni corrispondono infatti alle regioni nelle quali Servio Tullio suddivise la città, che ormai era stata
definitivamente unificata.

3.15 Tradizione orale e storiografica


Le tradizioni orali variano a seconda degli usi e dell’ambiente sociale che le conserva, le elabora e le trasmette: le
tradizioni gentilizie, relative alla gens, sono molto differenti da quelle appartenenti agli strati popolari. A loro volta,
formule, materiali giuridici e contenuti legislativi hanno avuto un loro impiego e una loro vita indipendente,
estranea alla tradizione storica vera e propria. Un buon numero di dati relativi a eventi storici deve essere stato
trasmesso nell’ambito delle famiglie nobili; essi sono riconducibili alla lista dei consoli. Gli antichi stessi erano
peraltro consapevoli del rischio della deformazione inerente a una tale forma di trasmissione. Tuttavia un limite alla
possibile falsificazione era costituito dal controllo del gruppo sociale. A Roma la letteratura, la storiografia e il
dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C. Solo a partire da allora ci furono testi scritti che
poterono sopravvivere per essere consultati molto tempo dopo l’occasione che era stata alla base della loro
redazione. Il fondatore della moderna storiografia su Roma arcaica, Niebuhr, all’inizio del XIX secolo elaborò una
nota teoria secondo la quale le leggende e le tradizioni di Roma arcaica erano state create nei canti recitati ai
banchetti, i cosiddetti carmina convivalia. Questi nel II secolo erano noti a una personalità politica e letteraria come
Catone. E’ dunque ipotizzabile l’esistenza di una sorta di corpus di poesia eroica tradizionale che successivamente
sarebbe andato perduto. Appare possibile che canti, storie ripetute in banchetti possano aver contribuito a creare la
memoria comune del gruppo, basata sulla celebrazione dei grandi fatti dei suoi membri passati e presenti.

3.16 Un esempio di elaborazione storiografica: Servio Tullio


La figura di Servio Tullio ha un risalto del tutto particolare nella tradizione sui re di Roma. Questo sovrano opera
tali trasformazioni nella città, sia a livello monumentale sia a livello politico istituzionale da poter essere
considerato quasi un rifondatore. L’organizzazione centuriata che implicava la valutazione economica e numerica
della popolazione poneva Servio in stretto rapporto con la moneta che di tale valutazione era alla base. Questa
operazione è descritta con abbondanza di particolari nella storiografia perché era decisiva per introdurre quella
diversità tra cittadini per distinguerli secondo gli ordini. Essa segnava la fine della parità caratteristica dei comizi
curiati voluta da Romolo che aveva dato il voto a testa a tutti con la stessa forza senza distinzione.

3.17 La famiglia
La notazione di famiglia romana comprendeva un raggruppamento sociale assai piu’ ampio di quello che siamo
abituati ad intendere oggi. Facevano parte di una stessa famiglia, tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di uno
stesso capofamiglia, il pater familias, al quale spettava anche il controllo sui beni. Si può dire che il vincolo di
fondo della famiglia romana non fosse rappresentato dai legami contratti con il matrimonio, ma piuttosto dal potere
(potestas) esercitato dal pater sulle persone che rispettavano la sua autorità. Di una stessa famiglia facevano parte
non solo i figli generati dal matrimonio del capofamiglia ma anche tutti quelli che, adottati, sceglievano di
sottoporsi alla sua potestas. Nella sua forma piu’ antica la famiglia romana presentava i caratteri tipici di una

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società prestatale: era infatti un’unità economica, religiosa e politica. Il fine principale era quello della propria
perpetuazione. In età arcaica il primo diritto di un padre rispetto ai figli era quello di rifiutarli al momento della
nascita. Pesino i figli legittimi entravano a far parte della famiglia solo mediante un atto formale. Il loro
accoglimento o rifiuto veniva palesato dal padre con dei gesti pubblici come il prendere i maschi tra le braccia o il
dare ordine alla moglie di allattare le femmine. Tra i vincoli fondamentali della famiglia romana c’era quello
religioso. I riti familiari si trasmettevano originariamente di padre in figlio e la loro osservanza era ritenuta
assolutamente doverosa. Gli antenati del ramo paterno furono i primi manes (le anime dei defunti) oggetto di culto
all’interno alla famiglia romana. Un aspetto particolare del diritto romano prevedeva che almeno un figlio
rimanesse sotto l’autorità del padre sino a quando questi era in vita. Tra i diritti che competevano al pater c’era
anche quello di diseredare i figli. Per salvaguardare il principio si arrivò a concedere che, in alcuni casi, per tutelare
i figli legittimi, fosse possibile annullare il testamento.

3.18 La donna
Il ruolo della donna aristocratica che riceveva un’educazione intellettuale che poteva spaziare dalla letteratura alle
arti della musica e della danza non si esauriva nella sola vita domestica, con la sorveglianza del lavoro delle
schiave e lo svolgimento di lavori piu’ fini, quali il ricamo o la tessitura. La moglie accompagnava il marito nella
vita pubblica e condivideva con lui il compito dell’educazione dei figli. L’autorità nella casa e ancor piu’ nella
società rimase però sempre e soltanto quella del marito. Il marito ha pieno potere sulla donna: la può punire se ha
commesso qualche mancanza e addirittura ucciderla in caso di flagrante adulterio. La rigida tutela della castità
femminile spiega anche la severita’ con la quale venivano giudicati i comportamenti poco consoni a quel costume
di riservatezza e di sobrietà che una donna bene educata doveva osservare. I romani si sposavano presto. La legge
proibiva comunque che le ragazze prendessero marito prima di aver raggiunto i dodici anni. Toccava al padre
cercare uno sposo per le figlie che spesso venivano promesse in matrimonio ancora bambine: questo avveniva con
un’apposita cerimonia di fidanzamento, detta Sponsalia, accompagnata da una serie di riti. Data la concezione
romana del matrimonio, la felicità di una sposa era in gran parte subordinata alla sua capacità di avere figli: per le
donne sterili il destino era quasi sempre il ripudio, con il conseguente ritorno alla casa paterna. Il matrimonio era
fondamentalmente un’istituzione privata. Esistevano forme diverse per contrarre un matrimonio:
- confarreatio cioè la divisione di una focaccia di farro tra i due sposi
- mancipatio una sorta di atto di compra vendita

Il sistema piu’ comune per sposarsi a Roma era però quello chiamato usus, cioè l’ininterrotta convivenza dei
coniugi per un anno. Non esisteva un atto formale, cosi come per il divorzio.

3.19 Agricoltura ed alimentazione


La riorganizzazione dell’economia pastorale è uno dei caratteri fondamentali delle trasformazioni dell’Italia nella
prima età del ferro. Questo processo implica il passaggio da un regime di seminomadismo, ad uno di regolare
trasferimento del bestiame in altura con modalità e in spazi meglio definiti. L’agricoltura di Roma arcaica era
limitata dalle condizioni poco favorevoli del terreno, cui si aggiungeva negativamente la bassa qualità delle
tecniche agricole. Il cereale maggiormente coltivato era il farro che veniva macinato solo dopo che era stato
abbrustolito e battuto. La farina di farro non sembra essere stata impiegata per la panificazione ma era alla base del
tipico piatto romano ‘’puls’’, piatto liquido o semi liquido a metà tra un pappa e una farinata e può considerarsi
l’antenato della nostra polenta. Per Roma arcaica si può parlare di un contesto economico nel quale allevamento e
agricoltura sono compresenti secondo caratteristiche specifiche dovute alle particolari condizioni del territorio.
L’associazione di agricoltura di sussistenza e di allevamento di bestiame grande e piccolo va intesa all’interno di un
rapporto di interdipendenza. Le due attività dovevano essere complementari: il bestiame serviva a produrre il
concime indispensabile per i terreni nel periodo in cui essi non erano lavorati e gli animali da tiro servivano per
aiutare l’uomo nel lavoro.

3.20 La proprietà della terra in Roma arcaica


La prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all’orto circostante mentre da essa era esclusa la terra
arabile e quella a pascolo. Oltre al termine Heredia nelle fonti ne compare anche un altro, sors. Questo si applica

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altrettanto bene alla nozione di proprietà trasmissibile per via ereditaria. La complementarietà tra piccola proprietà
individuale e forme di appropriazione collettiva della terra risale, alle condizioni ambientali delle aree appenniniche
e subappenniniche in contesti prevalentemente silvo pastorali. I primi due secoli della repubblica romana
conobbero un sostanziale assestamento interno che fu progressivamente modificato quando a partire dal IV secolo
iniziarono le assegnazioni di terreno conquistato mentre si sviluppavano le attività artigianali e commerciali.

3.21 L’ideologia ‘’indoeuropea’’ nei racconti sulle origini di Roma


‘’Indoeuropei’’ è una denominazione convenzionale di una popolazione vissuta in un’epoca molto remota, in una
regione che in genere si colloca nella grande pianura russa. Per ragioni ignote, tra il III e II millennio questi
Indoeuropei si spostarono in varie direzioni, allontanandosi piu’ o meno dalle loro sedi originarie. In genere
imposero la loro lingua ai popoli conquistati, ma ne adottarono la scrittura. Sono cosi almeno in parte ricostruibili i
rapporti tra le varie lingue e quella madre. Nel corso del secondo millennio a.c. si segnalano Indoeuropei in
Anatolia Grecia e Italia. Uno studioso francese, G. Dumézil, ha cercato di ricostruire il pensiero e universo mentale
di tale popolo. L’idea centrale che informa la concezione del mondo loro e quella che viene detta “ideologia
trifunzionale”. Dagli indoeuropei, si pensa, le cose, il mondo, la società venissero colti, analizzati e compresi
attraverso un riferimento costante a tre funzioni, che in ordine decrescente di dignità sono:
1. La potenza del sovrano, manifestantesi attraverso le due dimensioni magica e giuridica.
2. La forza fisica, specie quella del guerriero.
3. La fecondità degli uomini, degli animali e della natura, funzione della prosperità materiale.

22. La scoperta del Lapis Niger


La storia di Roma arcaica si è avvalsa del contributo decisivo dell’archeologia. Nell’angolo settentrionale del Foro
fu ritrovata una pavimentazione in marmo nero distinta dalla restante pavimentazione in travertino. La scoperta fu
subito associata ad una fonte letteraria che accennava all’esistenza di una pietra nera del Comizio, che
contrassegnava un luogo funesto, forse la tomba di Romolo. Al di sotto del pavimento fu scoperto un complesso
monumentale arcaico, comprendente una piattaforma sulla quale sorgeva un altare. Vicino ad esso un’iscrizione
scritta in latino molto arcaico con una dedica fatta ad un re.

23. Le origini di Roma secondo un imperatore romano


La tradizione sulle origini di Roma, in realtà poneva delle difficoltà agli stessi antichi. Cicerone riconosceva
l’oscurità della storia romana piu’ arcaica.

3.24 La grande Roma dei Tarquini


Nella ricostruzione degli storici antichi il quadro politico del Lazio appare, al momento dell’avvento dei Tarquini,
ormai condizionato dall’espansionismo romano. Già nel corso delle VII secolo a.c secondo la tradizione, Tullo
Ostilio, distrutta Alba Longa, la città che aveva preceduto la fondazione della stessa Roma, avrebbe fatto passare
sotto il diretto dominio romano tutta la fascia compresa tra Roma e il mare. Il secolo che intercorre tra l’accessione
al regno di Tarquinio Prisco e la cacciata di Tarquinio il Superbo, ha un riscontro in un documento eccezionale
risalente al 508 a.C. che lo storico Polibio asserisce di aver visto nell’archivio pubblico di Roma dove era
conservato. Da questo testo si deduce che la crescita della potenza romana nel secolo dei Tarquini sarebbe stata
molto rilevante. Roma è senza dubbio già in questo periodo la città piu’ estesa del Lazio.

PARTE SECONDA - La repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi

LA NASCITA DELLA REPUBBLICA


1. La tradizione storiografica sulla nascita delle Repubbliche

La storiografia antica sulla nascita della Repubblica, rappresentata per noi da Tito Livio, ci presenta un quadro
chiaro: Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco di Roma, respinto dall’aristocratica Lucrezia, violentata la
giovane. Lucrezia, prima di suicidarsi, narra il misfatto al padre e al marito. Guidata da questi aristocratici, scoppia
una rivolta che porta alla caduta della monarchia (evento fissato intorno al 510 a.c. Tarquinio il Superbo, in quel

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momento impegnato in operazioni militardi non è in grado di rispondere con prontezza. Nell’anno successivo i
poteri del re passano a due magistrati eletti dal popoli, i consoli, uno dei quali è lo stesso Bruto.

2. I Fasti
I Fasti sono sostanzialmente liste dei magistrati eponimi della Repubblica, quei magistrati cioè che davano il nome
all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. I Fasti ci sono giunti sia attraverso la tradizione
letteraria, sia attraverso alcuni documenti epigrafici: i piu’ importanti sono i Fasti Capitolini, cosi chiamati perché
sono conservati nei Musei Capitolini di Roman. Nei Fasti Capitolini trova riflesso una cronologia elaborata negli
ultimi anni della Repubblica, in particolare da Varrone che fissava la fondazione di Roma al 753 a.c e il primo anno
della Repubblica al 509 a.C. Le datazioni varroniane assunsero nell’antichità un valore quasi canonico e
generalmente forniscono l’ossatura cronologica anche degli studi moderni.

3. La fine della monarchia e la creazione della Repubblica: evento traumatico o passaggio graduale?
La storia della violenza subita da Lucrezia sia autentica o frutto della fantasia non spiega comunque i motivi
profondi della caduta del regime monarchico a Roma. Probabilmente la fine della Repubblica è da attribuire ad una
rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato i suoi caratteri autocratici. Alcuni elementi
lasciano pensare che alla cacciata di Tarquinio il Superbo sia succeduto un breve, ma confuso periodo, in cui Roma
appare in balia di re e condottieri.

4. La data della creazione della Repubblica

Alcuni elementi inducono a ritenere che la datazione tradizionale della creazione della Repubblica, seppur non
esatta all’anno, non sia del tutto lontana dalla verità (470-450 a.C).

5. I supremi magistrati della Repubblica, i loro poteri e i loro limiti

La tradizione storiografica antica è concorde nell’affermare che i poteri di un tempo proprio del re sarebbero
passati immediatamente e in blocco a due consules, o meglio, praetores, come si sarebbero inizialmente chiamati i
massimi magistrati della Repubblica. Eletti dai comizi centuriati, ai consoli spettava dunque il comando
dell’esercito, il mantenimento dell’ordine all’interno delle città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il
potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento. Solo alcune delle competenze
religiose dei precedenti monarchi non sarebbero state trasferite ai consoli ma ad un sacerdote di nuova istituzione
nel cui nome di rex sacrorum ‘’re delle cose sacre’’, si conservò il ricordo dell’istituto monarchico; la valenza
esclusivamente religiosa del nuovo sacerdozio venne sottolineata dal fatto che il rex sacrorum non poteva rivestire
cariche di natura politica, ben presto vennero affiancandosi altri sacerdozi di maggior peso politico come i pontefici
e gli ‘auguri. Nella sfera religiosa rimase comunque sempre di competenza dei consoli il controllo sugli auspici, il
potere cioè di interpretare la volonta’ degli dei riguardo le decisioni piu’ importanti della vita pubblica. I poteri
autocratici di cui erano dotati i due consoli erano tuttavia sottoposti ad alcuni importanti limiti:
- la durata della loro carica limitata ad un anno
- ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega qualore la
giudicasse dannosa per lo stato
- possibilita’ per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblee popolare contro le condanne
capitali inflitte dal console (provocatio ad populum).

6. Le altre magistrature

Le crescenti esigenze dello stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature che sollevassero i
consoli da alcune loro competenze.
Questori originariamente due, assistevano i consoli sella sfera delle attività finanziarie.
Quaestores parricidii istruivano i processi per delitti di sangue che coinvolgessero i parenti.
Duoviri perduellionis collegio competente circa il reato di alto tradimento.

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Censori dal 443 a.C. hanno il compito di tenere il censimento + in seguito anche la redazione delle liste dei
membri del senato; da tale competenza si sviluppò una generale supervisione della condotta morale dei cittadini, la
cura morum, che conferiva ampi poteri di intervento su diversi aspetti della vita pubblica e privata. Non erano
soggetti all’annualità, durava 18 mesi la carica.

7. La dittatura

In caso di necessità, i supremi poteri della Repubblica erano affidati ad un dittatore; il dictator non veniva eletto da
un’assemblea popolare, ma nominato da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato.Egli
non era affiancato da colleghi, ma da un magister equitum da lui personalmente scelto e a lui subordinato; contro il
suo volere non valeva l’appello al popolo l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe.Aveva durata
massima di sei mesi e era nominato perlopiù a fronte di crisi militari, cosa che si può intuire dall’originario nome:
magister populi – “comandante dell’esercito”.

8. I sacerdozi e la sfera religiosa

A Roma spesso la medesima persona rivestiva contemporaneamente una magistratura e il sacerdozio, ma


costituiscono un eccezione in questo senso i flamini: non propriamente sacerdoti di alcune divinità, ma la
personificazione terrena di esse, specie le prime tre supreme, di Giove, Marte e Quirino – rappresentate dai flamini
Dialis, Martialis, e Quirinalis.

Dodici flamini inferiori erano addetti ad altrettante divinità. Al flaminato era connessa una serie di tabù religiosi,
limitarono il loro diritto a rivestire cariche politiche o addirittura ad allontanarsi da Roma.
I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che superavano la sfera culturale e coinvolgevano la politica,
essi erano:
Il collegio dei pontefici guidato da un pontefice massimo, costituiva la massima autorità religiosa dello Stato +
aveva controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche e sul calendario.
Il collegio degli àuguri assistevano i magistrati nella funzione di trarre auspici e interpretare la volontà divina,
affinché un atto pubblico potesse essere considerato valido.
I duoviri sacris faciundis custodivano i Libri Sibillini, un’antica raccolta di oracoli, in greco, che nella tradizione
tardorepubblicana erano connessi con la Sibilla di Cuma.
Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori si ricordano gli aruspici al pari degli àuguri, chiarivano la volontà
divina mediante l’esame delle viscere delle vittime sacrificali; i feziali, anch’essi riuniti in un collegio, essi
dichiaravano guerra, attenendosi al complesso cerimoniale previsto per assicurare a Roma il favore degli dèi nel
conflitto; l’espressione bellum iustum ha il senso di guerra dichiarata secondo le corrette formalità. Potevano inoltre
trasmettere richieste di riparazioni o ultimatum nella conclusione di un trattato.

9. Il senato

Il vecchio consiglio regio, formato da capi di famigli nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia, diventando il
perno della Repubblica a guida patrizia. Il principale strumento istituzionale in mano al senato per influire sulla vita
politica era l’auctoritas patrum (diritto di sanzione).La carica durava tutta la vita, potevano dispiegare la loro
politica in continuità d’azione dal momento che il senato era composto da ex magistrati, questi non avevano
interesse ad agire i contrasto con l’assemblea di cui stavano per entrare a far parte.
Nel senato trova espressione compiuta e continuativa la leadership politica delle élite sociale ed economica di
Roma.
Ancora oggi possiamo assistere ad un acceso dibattito circa le prime origini di Roma, ma in ogni caso, le
testimonianze delle fonti letterarie, specie quelle storiografiche, rappresentano il primo e fondamentale blocco di
informazioni, e i primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale furono i Greci.
La tradizione orale deve aver assunto una posizione di rilievo nella trasmissione dei ricordi storici, non abbiamo
infatti testimonianza di storiografia, né di archivi familiari durante tutto il periodo regio.

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La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la
dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Virgilio s’ispira a questa tradizione, Alba
Longa viene fondata dal figlio di Enea, Ascanio/Iulo, trent’anni dopo la fondazione di Lavinium, città cui il padre
da il nome della moglie. Secondo la leggenda il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, sarebbe figlio di
Marte, dio della guerra, e di Rea Silvia, figlia di Numitore, ultimo re di Alba Longa, privato del trono dal fratello
Amulio.
Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni sulle origini di Roma:
una greca, che ricollegava la fondazione della città alla leggenda di Enea, ed una indigena, nella quale Romolo
rappresentava un mitico fondatore autoctono.
La tradizione fissa il periodo monastico dal 754 al 509 a.C. anno di instaurazione della Repubblica. In questo
periodo avrebbero regnato sette re, Romolo – Numa Pompilio – Tullo Ostilio – Anco Marcio – Tarquinio Prisco
– Servio Tullio – Tarquinio il Superbo.
• Romolo: creazione delle prime istituzioni politiche, tra cui un senato di cento membri.
• Numa Pompilio: creazione dei primi istituti religiosi.
• Tullo Ostilio: prime campagne militari di conquista.
• Anco Marcio: fondazione della colonia di Ostia.
• Tarquinio Prisco: con cui, tradizione vuole, inizia una seconda fase della monarchia romana, in cui gioca un
ruolo significativo la componente etrusca; a lui sono attribuite importanti opere pubbliche.
• Servio Tullio: costruzione delle prime mura della città (mura serviane) + istituzione della più importante
assemblea elettorale romana, i comizi centuriati.
• Tarquinio il Superbo: tratti tipici del tiranno, infligge ogni tipo di vessazione.

Uno dei problemi che si pone circa questo genere di informazioni è la coloritura leggendaria di molti eventi narrati,
viene quindi messa facilmente in discussione la loro attendibilità di fondo. Le fondi sulle quali gli storici del tempo
basavano i loro testi erano:
1. Opere storiche a noi non pervenute, Livio e Dionigi di Alicarnasso sono alla fine di una lunga serie di
storici, noti col nome di “annalisti”.
2. La tradizione familiare, basata sulla competizione tra famiglie dell’aristocrazia, ove ognuna cercava di
accreditare il proprio titolo di superiorità sulle altre celebrando le glorie degli antenati.
3. La tradizione orale, soggetta peraltro a forti distorsioni. Essa gioca un ruolo fondamentale
nell’elaborazione storiografica, ponendo una serie di questioni:
• chi trasmette, che cosa e per quale scopo.
• quanto passa per la tradizione orale, dev’essere confrontato con la ricostruzione storica.
Tema centrale riguarda il modo in cui è stata operata la selezione del materiale trasmesso; la storiografia a
Roma, e dunque la presenza di testi scritti, nasce solo nella seconda metà del III sec. a.C. Il fondatore della
moderna storiografia su Roma arcaica, Niebuhr, elaborò una teoria secondo la quale le leggende e le
tradizioni di Roma erano state create nei canti recitati ai banchetti, i carmina convivalia. Sappiamo che nei
secoli passati l’uso del sympòsion aristocratico era stato adottato dalle elites del Lazio e dell’Etruria;
sembra possibili quindi che i canti, le storie ripetute in tali banchetti possano aver contribuito a creare la
memoria comune del gruppo, basata sulla celebrazione dei grandi fatti di membri passati e presenti: la
valorizzazione del passato rafforzava la coesione sociale presente
4. Documenti d’archivio, gli storici menzionavano infatti per ogni anno i nomi dei magistrati principali e
degli eventi degli di nota; tra queste fonti troviamo gli Annales dei pontefici, registrazione sommaria degli
eventi fondamentali, tenuta anno per anno, dal pontefice massimo. Attorno al 130 a.C. questi Annali furono
pubblicati, in 80 libri, dal pontefice Mucio Scevola, col nome di Annales Maximi.

Importanti sono altresì le informazioni degli “antiquari”, studiosi che dal II sec. a.C. si dedicarono a ricerche sul
passato romano.
La nascita della città dovette essere il risultato di un processo formativo lento e graduale, per il quale si deve
presupporre una sorta di federazione di comunità separate che già vivevano sparse sui singoli colli. Sembra peraltro
improbabile che Roma abbia preso il nome dal fondatore Romolo, è semmai più verosimile il contrario; tra le

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possibilità circa l’origine del nome Roma, di cui siamo incerti, vi è quella che derivi dalla parola ruma
(“mammella”, intesa come collina), oppure da Rumon, termine latino arcaico che designava il fiume Tevere.
Gli scavi condotti sulle pendici meridionali del Palatino hanno portato alla luce (1988) i resti di una palizzata e più
a valle di un muro, databile all’VIII sec. a.C. – in cui si può leggere la linea dell’originario solco di confine,
pomerio, mentre nel muro in tufo, il cosiddetto “muro di Romolo”.
Il rito di fondazione di una città italica è così descritto da Marco Terenzio Varrone:
“Molti fondavano nel Lazio le città secondo il rito etrusco, aggiogando insieme un toro e una vacca e segnando con
l’aratro il solco interno, nel giorno indicato dagli auspici, impiantando poi il muro e la fossa. Là dove scavavano la
terra dicevano fossa e dove la gettavano, nell’interno, dicevano muro; il terreno al di qua della linea era detto
pomerio e al di fuori di esso finiscono gli auspici urbani”.
Nella fondazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di vista religioso era rivestita dal pomerio (dal
lat. postmoerium ‘che si trova al di là dal muro’); il pomerio era in origine la linea sacra che delimitava il perimetro
in corrispondenza delle mura, poi servì a designare anche una zona che separava le case dalle mura, ove non era
permesso fabbricare, seppellire o piantare alberi. Il pomerio però non corrispondeva sempre alle mura, in quanto
tracciato secondo una procedura religiosa, secondo gli auspici presi dagli àuguri; le mura rispondevano invece a
esigenze di difesa in rapporto al territorio, poteva capitare che le due linee fossero ad una considerevole distanza.
L’area del pomerio era delimitata da cippi infissi nel terreno, dopo una cerimonia religiosa presieduta dal pontefice
massimo.
Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie, alla cui testa stava il pater, la figura
depositaria di un potere assoluto sui suoi componenti, compresi schiavi e clienti. Tutte le famiglie che
riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens, un gruppo organizzato politicamente e
religiosamente.
La popolazione dello stato romano arcaico era suddivisa in gruppi religiosi e militari detti curie, esse
comprendevano tutti gli abitanti del territorio, ad esclusione degli schiavi; praticavano i propri riti religiosi ed erano
il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, dei comizi curiati.
Altro importante raggruppamento sono le tribù, la cui creazione fu attribuita allo stesso Romolo: originariamente
erano tre, Tities – Ramnes – Luceres, nomi che rimandano ad una possibile origine etrusca.
Lo Stato romano, con il dominio etrusco, si organizzò secondo precisi criteri: ogni tribù venne divisa in dieci (10)
curie e da ogni tribù furono scelti cento (100) senatori; su questo modello si organizzò anche la dimensione
militare: ogni tribù era tenuta infatti a fornire un contingente di cavalleria (100 uomini) e uno di fanteria (1000
uomini). La componente fondamentale dell’esercito, la legione, risultava composta da tremila fanti e da trecento
cavalieri (detti celeres).
La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva, l’elezione del re era demandata
all’assemblea dei rappresentati delle famiglie più in vista. Il re poi doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un
consiglio di anziani composto dai capi di quelle più nobili e ricche (detti patres), essi rappresentavano il nucleo di
quello che sarebbe diventato il senato.
Esisteva un sacerdote col nome di rex sacrorum, avente il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re;
vi era poi un magistrato, indicato col termine interrex, che subentrava nel caso di indisponibilità di ambo i consoli.
Il re era anche il supremo capo religioso, nella celebrazione del culto era affiancato dai collegi di sacerdoti, tra cui
di particolare rilievo il ruolo dei pontefici, depositari e interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla
redazione di un corpus di leggi scritte.
Il collegio degli àuguri aveva il compito di interpretare la volontà divina al fine di propiziarsela, per il felice esito
di un’impresa; quello delle vestali aveva il compito di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuo nel tempio della
dea Vesta, erano donne votate ad una castità trentennale.
La divisione sociale alla base della Roma arcaica, che rimarrà viva per quasi tutta la storia della Repubblica, è
quella tra patrizi e plebei; per tradizione i primi erano discendenti dei antichi senatori (patres), mentre i plebei si
ipotizza fossero i clienti dei patroni patrizi; o alcuni riconoscono nei patrizi Latini gli abitanti del Palatino e nei
plebei i Sabini insediati sul Quirinale, entrati nella comunità civica in condizione di inferiorità; o ancora, si può
mettere in primo piano il fattore economico.

10. La cittadinanza e le assemblee

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Terzo pilastro dopo le magistrature e il senato, sul quale sorge l’edificio istituzionale di Roma, erano le assemblee
popolari. Riservate ai maschi adulti di condizione libera e con diritto di cittadinanza; e si era cittadini romani per
diritto di nascita, in quanto figli legitimi di padre in possesso della piena cittadinanza.
La più antica assemblea erano i comizi curiati, ma progressivamente persero significato; la loro funzione più
importante di conferire potere ai magistrati si ridusse a una formalità. L’assemblea più importante di Roma, nella
prima età repubblicana, è costituita dai comizi centuriati, fondati su una ripartizione della cittadinanza in classi di
censo, e all’interno di queste in centurie.
Questo meccanismo prevedeva che le risoluzioni venissero prese non a maggioranza dei voti individuali, ma a
maggioranza delle unità di voto costituite dalle centurie, assicurando un vantaggio all’elemento più facoltoso e
anziano della cittadinanza.
La funzione precipua dell’assemblea centuriata era quella elettorale, cui spettava l’elezione dei consoli e degli altri
magistrati superiori.
Terza e ultima per data di creazione, tra le assemblee in cui si riunivano i cittadini erano i comizi tributi, cui venne
affidata l’elezione dei questori. In tali assemblee si votava secondo la divisione in tribù , eleggevano i magistrati
minori, ma soprattutto avevano funzione legislativa.
Avevano però diverse limitazioni: le assemblee comunque non godevano di autonomia, né di convocarsi, né di
assumere iniziative: spettava ai magistrati indire l’adunanza cui sottoporre la legge da votare o respingere, ma non
modificare.

Magistratura Data di creazione Età minima Numero Durata Elezione Poteri principali
Dittatura 501 a.C. 1 (con magister Massimo di Un console, Poteri supremi, esercitati
equitum) 6 mesi un pretore o soprattutto nella sfera
un interré militare.
Censura 443 a.C. 44 anni 2 18 mesi Comizi Redazione censimento +
centuriati compilazione delle liste
senatorie + cura morum.
Consolato 509 a.C. 42 anni 2 1 anno Comizi Comando dell’esercito +
centuriati comandi provinciali +
convocazione del Senato e
dei comizi + controllo
degli auspici.
Pretura 366 a.C. 39 anni 1 (urbano) + 1 anno Comizi Comando dell’ esercito +
1 (peregrino) + centuriati comandi provinciali +
4 provinciali convocazione del Senato e
dei comizi.
Edilità Curule 366 a.C. 36 anni 2 1 anno Comizi tributi Organizzazione dei Ludi
Maximi.
Edilità Plebea 496 a.C. 36 anni 2 1 anno Concilia plebis Archivisti e tesorieri della
tributa Plebe + cura dei mercati,
approvvigionamenti,
strade, templi ed edifici
pubblici.
Tribunato della 496 a.C. 2 poi 10 1 anno Concilia plebis Ius auxilii e ius
plebe tributa intercessionis +
convocazione dei concilia
plebis tributa.
Questura 509 a.C. 30 anni 2 1 anno Consoli, poi Competenze finanziarie.
Comizi tributi

Il conflitto fra patrizi e plebei


2.1 Il problema economico

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La caduta dei Tarquini e i mutamenti nel quadro internazionale della prima meta’ del V secolo a.C ebbero pesanti
ripercussioni nella situazione economica di Roma. Il problema economico, evidente nella tradizione letteraria,
mostra come la crisi provocata dal progressivo indebitamento di ampi strati della popolazione, ha un ruolo centrale
nella lotta fra patrizi e plebei. Gli effetti dei cattivi raccolti e delle malattie colpivano in particolare i piccoli
agricoltori che avevano minore possibilita’ di fronteggiare le temporanee difficoltà. Accadeva di frequente che il
debitore, incapace di estinguere il proprio debito, fosse costretto a porsi a servizio del creditore del ripagarlo del
prestito e degli interessi maturati: è l’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano vincolati ad una
condizione non dissimile da quella servile. Il debitore poteva anche essere venduto in terra straniera o messo a
morte.
Davanti alla crisi economica, le richieste della plebe concernevano una mitigazione delle norme sui debiti + una
equa distribuzione dei terreni statali, l’ager publicus.

2.2 Il problema politico


Al contrario gli strati più ricchi della plebe erano meno interessati dalla crisi economica, e rivendicavano una
parificazione dei diritti politici tra i due ordini. Una seconda importante rivendicazione di ordine politico era quella
di un codice scritto di leggi che ponesse i cittadini al riparo dalle arbitrarie applicazioni delle norme da parte di
coloro che erano stati depositari del sapere giuridico.

2.3 Le strutture militari e la coscienza della plebe


I problemi politici ed economici non furono gli unici fattori che portarono al confronto tra i due ordini: vi è anche
la progressiva presa di coscienza della propria importanza da parte della plebe.
Nella città antica l’esercizio dei diritti civici da parte del singolo è direttamente connesso alle sue capacità di
difendere lo Stato con le armi, questo si poteva osservare chiaramente a Rome secondo l’ordinamento centuriato; le
centurie non furono solo unità di voto, ma anche unità di reclutamento dell’esercito. Ora, è evidente che la presa di
coscienza della plebe fu un risultato di un mutamento nella struttura dell’esercito: si afferma infatti, nel V sec. a.C.,
un nuovo modello tattico, per cui i fanti con armatura pesante combattevano fianco a fianco in una formazione
chiusa, la falange. La fanteria pesante diventa il nucleo dell’esercito, e viene reclutata tra le classi di censo in grado
si sostenere le spese di tale armamento.

2.4 La prima secessione e il tribunato della plebe


Il conflitto fra i due ordini si apre nel 494 a.C. quando la plebe, esasperata dalla crisi economica, ricorre a uno
sciopero generale che lascia la città priva della sua forza lavoro e indifesa da aggressioni esterne. La plebe
esasperata dalla crisi economica, ricorse ad una sorta di sciopero contro le aggressioni esterne. Si ritirò
sull’Aventino e da qui, la protesta prese il nome in secessione dell’Aventino.
In tale occasione la plebe si diede propri organismi: un’assemblea generale, concilia plebis tributa, che poteva
emanare dei provvedimenti, aventi il nome di plebiscita (“decisioni della plebe”).
Vennero scelti dei rappresentanti della volontà dell’assemblea i tribuni della plebe cui riconobbero diversi poteri:
diritto di soccorrere un cittadino contro l’azione di un magistrato (ius auxilii) da cui si sviluppò il potere di porre il
veto a qualsiasi provvedimento che sembrasse andare a scapito della plebe (ius intercessionis). Avevano il potere di
convocare e presiedere l’assemblea della plebe e di sottoporre ad essa le proprie proposte (ius agendi cum plebe).
Inoltre, per dare forza concreta e non solo formale ai tali diritti, la plebe accordò loro l’inviolabilità personale
(sacrosanctitas) – chi avesse osato commettere violenza contro i rappresentati della plebe sarebbe divenuto sacer,
consacrato alla divinità, poteva quindi essere messo a morte e le sue proprieta’ confiscate a favore del tempio di
Cerere, Libero e Libera sull’Aventino.
Durante la prima secessione poi vennero creati anche altri rappresentanti della plebe, gli edili plebei, che nella
tarda era repubblicana avrebbero organizzato i giochi, sorvegliato i mercati, controllato le strade, i templi e gli
edifici pubblici.
La prima secessione approdò ad un risultato essenzialmente politico, il riconoscimento da parte dello Stato a guida
patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Il problema dei debiti
rimase insoluto. Della crisi economica cercò di approfondire il console Spurio Cassio che propose una
ridistribuzione delle terre che fallì, a testimonianza del fatto che alla plebe non interessava una rivoluzione

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dell’assetto economico-istituzionale dello Stato, ma aspirava ad una riforma dall’interno, che riservasse il giusto
peso a tutte le componenti della cittadinanza.

2.5 Il Decemvirato e le leggi delle XII Tavole


Dopo alcuni anni di agitazioni si raggiunse un compromesso: la plebe iniziò a premere affinché fosse redatto un
codice di leggi scritto; nel 451 a.C. viene nominata una commissione di dieci uomini (Decemvirato) scelti tra il
patriziato, incaricati di stendere in forma scritta un codice giuridico. Nel 450 a.C. venne poi eletta una seconda
commissione decemvirale, ove sarebbe stata rappresentata anche la plebe – il complesso di leggi e norme venne
pubblicato nel Foro in 10 tavole di legno, e in seguito in 12 (in cui è ravvisabile un’influenza del diritto greco).
La commissione tuttavia sotto la spinta del suo membro più influente Appio Claudio, cercò di prorogare
indefinitamente i propri poteri, rivoluzionando l’assetto costituzionale dello Stato; ma le insidie da lui portante a
Virginia, provocarono una secessione (alla caduta della monarchia) a seguito della quale, i decemviri furono
costretti a deporre i loro poteri; nel 449 a.C. alla plebe è riconosciuto l’apporto nella lotta contro il tentativo
rivoluzionario dei decemviri.
Tra le proposte e le disposizioni su cui si discuteva vi era l’approvazione o meno dei matrimoni misti fra i due
ordini; riconosciuta la legittimità di questi, il patriziato non poteva più far valere la loro condizione elitaria nel
diritto di prendere gli auspici per accertare il volere divino. Non potendo escludere i figli di tali matrimoni dagli
auspicia, essi non potevano nemmeno essere esclusi dal consolato.
Nelle XII tavole è ravvisabile un’influenza del diritto greco.

2.6 Tribuni militari con poteri consolari


Il plebiscito fatto votare da M. Canuleio, riconoscendo la leggitimita’ dei matrimoni misti tra patrizi e plebei, ebbe
come conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al
consolato. Sentendosi minacciati, i patrizi, dal 444 a.C. fecero sì che il senato ogni anno decidesse se alla testa
dello Stato vi dovevano essere i consoli, provenienti esclusivamente dal patriziato o un certo numero di tribuni
militari con poteri consolari (tribuni militum consulari potestate) – 3, poi 4 e infine 6, tra cui plebei ma senza il
diritto di trarre gli auspici.
[Ordinamento in vigore fino al 367 a.C.] – alcuni ritengono che in questo periodo i consoli non siano stati sostituiti
ma affiancati dai tribuni militari.
I patrizi di fatto perdevano il controllo sulla massima magistratura repubblicana, raggiungendo cosi un risultato
opposto a quello che la loro riforma si proponeva di seguire.
I due consoli in possesso del diritto agli auspicia ed esclusivamente patrizi, sarebbero stati assistiti nei loro compiti,
da alcuni dei tribuni militum, i comandanti dei reparti che componevano le legioni, dotati per l’occasione di poteri
equiparati a quelli dei consoli.

2.7 Le leggi Licinie Sestie


La crisi s’accelerò dopo che la minaccia dei Galli si era allontanata da Roma. M. Manlio Capitolino, eroe della
resistenza contro i Galli, propose una riduzione o cancellazione totale dei debiti associata ad una nuova legge
agraria, sperando secondo le diverse accuse, di instaurare un regime personale; il tentativo fallì – qualche anno
dopo l’iniziativa tornò ai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano. Essi proposero un ampio
pacchetto di proposte circa il problema dei debiti, la distribuzione delle terre dello Stato e l’accesso dei plebei al
consolato; elementi cui i patrizi si opposero, ma dopo alcuni anni di anarchia politica, Marco Furio Camillo, eroe
della guerra contro Veio e vendicatore del sacco gallico venne chiamato alla dittatura per sciogliere tale situazione.
Le proposte di Licinio e Sestio assunsero il valore di legge, assumendo il nome di leges Liciniae Sestiae (leggi
Licinie Sestie) e prevedevano:
1. che gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme ricevute potessero essere detratti dal
capitale dovuto e che il debito residuo fosse estinguibile in tre rate annuali.
2. che l’estensione massima di terreno di proprietà statale, occupato da un privato, fosse di 125 ettari / 500
iugeri).
3. la fine del tribunato militare con potestà consolare e la reintegrazione a capo dello Stato dei consoli, uno
dei quali plebeo.

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Nel quadro complessivo di questi anni (siamo tra il 376 a.C. – anno del tentativo di Capitolino e il 366 a.C.)
vennero create due nuove cariche: il pretore, avente il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani,
dotato di imperium poteva, se necessario, essere messo a capo di un esercito, sebbene i suoi poteri fossero
subordinati a quelli dei consoli.
Sempre nel 366 a.C. vennero eletti due edili curuli, chiamati così dalla sella curulis, ove sedevano i magistrati
patrizi, che li distingueva dagli edili della plebe; ad essi venne affidato il compito di organizzare i Ludi maximi.

2.8 Verso un nuovo equilibrio


Le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. segnarono la fine della fase piu’ acuta della contrapposizone tra patrizi e plebei.
Tuttavia, consentendo ai plebei di rivestire la massima magistratura repubblicana, si era imoccata una strada che
inevitabilmente andava percorsa sino in fondo. Nei decenni successivi i plebei ebbero progressivamente acceso a
tutte le altre cariche dello stato.

2.9 La censura di Appio Claudio Cieco


Un tentativo di imprimere una certa accelerazione nella riforma venne dalla censura di Appio Claudio Cieco del
312-311 a.C. – quando nel compilare la lista dei senatori egli vi avrebbe incluso persone abbienti, ma che non
avevano ricoperto alcuna magistratura. Una seconda misura riguardò la composizione delle tribu’: il suo scopo era
quello di dare la possibilità ai membri della plebe urbana (che costituivano la maggioranza dei votanti) di iscriversi
in una tribù qualsiasi per avere maggior peso nei comizi, non restando obbligati alle quattro tribù urbane.
I consoli del 311 rifiutarono ambo le proposte. Il censo dei singoli cittadini, fino ad allora calcolato in base ai
terreni e ai capi di bestiame posseduti, furono valutati a partire da questa eta’ anche in base al capitale mobile, in
metallo prezioso, consentendo anche a colo che non erano impegnai nelle tradizionali attivita’ agricole e
dell’allevamento di vedere il proprio peso economico e quindi politico, adeguatamente riconosciuto.

2.10 La legge Ortensia


Il 287 a.C. – data considerata già nell’antichità, come la fine di una lunga lotta fra i due ordini. In quell’anno dopo
una secessione, la legge Ortensia stabilì che i plebisciti votati dall’assemblea avessero valore per tutta la
cittadinanza di Roma. Da qui in avanti i comizi tributi e i concilia plebis tributa erano accomunati da eguale
sistema di voto e da eguali poteri.

2.11 La nobilitas patrizio-plebea


Le grandi conquiste del IV e III sec. a.C. segnavano la fine del dominio patrizio cui si sostituì la nuova aristocrazia,
formata da famiglie ricche e influenti di plebei e dalle famiglie di patrizi che meglio avevano saputo adattarsi alla
nuova situazione. A questa nuova élite si da il nome di nobilitas, che venne a designare tutti coloro che avevano
raggiunto il consolato o che discendevano in linea diretta da un console (o da un pretore).
Tanto esclusiva divenne da nobilitas che, per i pochi che raggiunsero i vertici della carriera politica pur non avendo
antenati nobili, venne coniato una definizione specifica, homines novi, sebbene appartenessero a famiglie ricche e
con un certo prestigio sociale.

La conquista dell’Italia
11. La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma
Alla caduta della monarchia Roma, secondo la tradizione letteraria, controllava un territorio esteso dal Tevere alla
ragione Pontina, a seguito delle conquiste, ma anche dell’accorta politica matrimoniale condotta dai re etruschi.
Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. alcune città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per
contrastare la sua egemonia; esse si strinsero in una lega, in ricordo forse di un’unità etnica del popolo latino,
riconoscendosi diversi diritti: lo ius connubii, diritto di contrarre matrimoni legittimi coi cittadini di altre comunità;
lo ius commercii, diritto di siglare contratti aventi valore legale fra cittadini appartenenti a comunità diverse,
usando strumenti formali del diritto cittadino e lo ius migrationis, per cui un latino poteva assumere pieni diritti
civili in una comunità diversa da quella in cui era nato, prendendovi residenza.

3.2 La battaglia del algo Regillo e il foedus Cassianum

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La lega latina tentando di affermarsi definitivamente attaccò Roma, alcuni pensano per volontà di Ottavo Mamilio
di Tusculo, con la speranza di rimettere sul trono della città il proprio suocero, Tarquinio il Superbo. Lo scontro, nel
496 a.C. presso il lago Regillo, conobbe la vittoria dei Romani – fra le conseguenze più importanti vi è l’uscita di
scena di Tarquinio e la sottoscrizione di un trattato, nel 493 a.C. che avrebbe regolato i rapporti fra Roma e i Latini
per molto tempo; firmato per parte romana, dal console Spurio Cassio, che diede il nome al trattato stesso (foedus
Cassianum) prevedeva:
a. le due parti s’impegnavano a mantenere tra loro la pace e a comporre amichevoli eventuali dispute
commerciali.
b. prestarsi aiuto reciprocamente nel caso una delle parti fosse stata attaccata.
c. l’eventuale bottino di campagne di guerra comuni sarebbe stato diviso equamente.
Nel 486 a.C. Roma completò il suo sistema di alleanze con gli Ernici, in termini di trattato molto simili a quello
Cassiano.

3.3 I conflitti con Sabini, Equi e Volsci


Queste alleanze si rivelarono preziose per fronteggiare la minaccia proveniente da tre popolazioni che dagli
Appennini premevano verso la piana costiera del Lazio: Sabini – Equi – Volsci.
Le loro sedi originarie, nelle regioni piu’ impervie dell’Appennino centrale e meridionale, non erano in grado di
assicurare la sopravvivenza di una popolazione con un forte indice di crescita demogrica: l’unica soluzione
risedeva nella migrazione verso terre piu’ fertili. Le fonti riportano per il V sec. a.C. una lunga serie di scontri fra
Roma e queste popolazioni, spesso con esisto favorevole ai primi, ma senza mai raggiungere una soluzione
definitiva; nel 431 a.C. gli alleati Romani, Latini ed Ernici bloccarono gli Equi, coalizzati coi Volsci, presso i colli
Albani.

3.4 Il conflitto con Veio


Veio: per bloccare queste popolazioni Roma poteva contare sugli alleati, ma si trovò sola ad affrontare la potente
città etrusca di Veio, meglio organizzata delle tribù appenniniche, rivale nel controllo delle vie di comunicazione
lungo il basso corso del Tevere e delle saline alla foce del fiume. Questo contrasto attraversò tutto il V sec. a.C.
sfociando in tre guerre:
1. la prima (483-474 a.C.) vide i Veienti occupare un avamposto sulla riva sinistra, la riva “latina”, del
Tevere: Fidene. Il tentativo di reazione romana, finì, per contro, in modo tragico; un esercito di 300 soldati
composto esclusivamente da membri della gens Fabia e dai loro clienti venne annientato presso il fiume
Cremera. Sarà l’ultimo esempio di guerra “aristocratica”.
2. la seconda (437-426 a.C.) i Romani vendicarono la sconfitta: Aulo Cornelio Cosso uccise il tiranno di Veio,
Lars Tolumnio + Fidene venne riconquistata e distrutta dai Romani.
3. la terza guerra veiente (405-396 a.C.) il teatro delle operazioni furono le mura della stessa Veio, assediata
per 10 anni dai Romani. Conquistatore della città fu Marco Furio Camillo; alla fine dell’assedio la città
venne presa e distrutta e le città etrusche non le prestarono soccorso e si schierarono dalla parte di Roma.

Eventi di questa portata furono decisivi a Roma: il lungo assedio aveva tenuto lontano per molto tempo i soldati dai
campi; per questo fu necessario introdurre una paga, detta stipendium. Per far fronte alle spese militari venne
introdotta una tassa straordinaria, tributum, che gravava in misura proporzionale sulle diverse classi
dell’ordinamento censitario, a seconda delle loro proprietà.

3.5 L’invasione gallica


Immediatamente successivo fu però un momento drammatico per Roma, che vide la calata dei Galli sulla città.
Secondo le diverse fonti diverse tribù galliche si erano insediate nel nord Italia, l’ultima di queste sarebbe stata
quella dei Senoni, che avrebbe occupato il territorio più meridionale, ager Gallicus. Nel 390 a.C. essi invasero
l’Italia attaccando Roma; il loro primo obiettivo fu la città etrusca di Chiusi, da qui mossero verso Roma. L’esercito
romano arruolato frettolosamente si sfaldò al primo contatto col nemico, rifugiandosi tra le rovine di Veio. Roma
venne presa e saccheggiata. In seguito i Galli scomparvero rapidamente, forse in cerca di nuove imprese.

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3.6 La ripresa
Notevole è la rapidità con la quale Roma si riprese dall’evento traumatico e da qui animò la sua politica estera a
partire dal 390 a.C. In questi anni inizia la costruzione delle mura serviane (poi che attribuite a Servio Tullio) in
tufo; la cinta muraria serviva a proteggere da altre eventuali incursioni galliche e abbracciava un’estensione
vastissima. L’atteggiamento di Roma è comunque votato all’offensiva e trova il suo esecutore in Camillo.
Pochi anni bastarono ad annientare gli Equi – più lungo fu lo scontro coi Volsci, forti dell’aiuto degli Ernici, non
più alleati con Roma, e di altre città latine, stanche di un’alleanza con Roma, ormai città egemone.
Nel 381 a.C. Tusculo viene annessa al territorio romano, mantenendo le sue strutture di governo e la sua autonomia
interna, assegnando però agli abitanti i medesimi diritti e doveri dei cittadini romani: Tusculo divenne il primo
municipium (termine per indicare comunità indipendenti annesse allo Stato romano).
Nel 358 e 354 a.C. i Volsci cedettero la piana Pontina e caddero le più potenti città latine, Tivoli e Preneste.

3.7 Il primo confronto con i Sanniti


La posizione raggiunta da Roma nell’Italia meridionale era segnata da un trattato concluso coi Sanniti nel 354 a.C.
per il quale il confine tra le due potenze era segnato dal fiume Liri. Il Sannio, territorialmente più esteso delle zone
sotto il controllo romano era però più povero e incapace di sostenere una forte crescita demografica; dal punto di
vista politica, invece, era organizzato in pagi (cantoni) con uno o più villaggi (vici), governati da un magistrato
elettivo detto meddiss. Più pagi costituivano una tribù, detto touto, alla testa della quale vi era un meddiss toutiks.
Quattro tribù: Carricini – Pentri – Caudini – Irpini, formavano la Lega sannitica, avente un’assemblea federale che
poteva nominare un comandate supremo in caso di guerra.
La tensione sfociò in una guerra, nel 343 a.C., quando i Sanniti attaccarono Teano, occupata dai Sidicini, i quali si
rivolsero in cerca di aiuto alla Lega campana, la quale per fronteggiare i Sanniti chiese l’intervento di Roma.
La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse rapidamente in un parziale successo dei Romani, che sconfissero
il nemico a Capua, città più grande della Lega campana, ove accettarono le richieste di pace avanzate dai Sanniti,
rinnovando il precedete trattato e riconoscendo la Campania a Roma e Teano ai Sanniti.

3.8 La grande guerra latina


Il patto del 341 porta ad un capovolgimento di alleanze, costringendo Roma ad affrontare i suoi precedenti alleati
Latini, Campani e Sidicini, cui si aggiunsero i Volsci e gli Aurunci.
Il conflitto che vide la luce nel 341-338 a.C. divenne noto come la grande guerra latina e fu durissimo, donando la
vittoria ai Romani.
Il quadro dell’Italia era il seguente: la Lega latina venne disciolta, alcune città vennero incorporate nello Stato
romano, come municipi; altre conservarono un’indipendenza formale e i diritti che precedentemente avevano
stabilito per sé, ma non poterono più intrattenere relazioni fra loro, unicamente con Roma.
Lo status di “Latino” perse la sua connotazione etnica, arrivando a designare una condizione giuridica in rapporto
coi Romani. I latini furono obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessita. Questi trattati consentirono a
Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare senza per questo costringerla ad assumersi i
compiti di goberno locale che le sue strutture politiche, rimaste sostanzialmente quelle di una citta’-stato non erano
in grado di reggere. Dal momento che i socii dovevano impegnarsi a mantenere a proprie spese i contingenti di
truppe che fornivano, Roma inoltre potè mantenere il suo impegno finanziario relativamente litimato, senza essere
costretta a richiedere un tributo diretto che le avrebbe attirato l’odio degli alleati.
Al di fuori del Lazio, per quel che riguarda in particolare Volsci e Campani, Roma concesse parzialmente la
cittadinanza, la civitas sine suffragio – i titolari erano tenuti agli obblighi dei cittadini romani, come il tributum, ma
non avevano diritto di voto nelle assemblee popolari.
Alla fine della grande guerra latina, Roma aveva legato a sé, tutte le regioni dalla sponda sinistra del Tevere (a
nord) – al golfo di Napoli (a sud) – dal Tirreno (a ovest) – agli Appennini (a est): territorio non ampio come il
Sannio ma più ricco e densamente popolato.

3.9 La seconda guerra sannitica

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La fondazione di colonie romane a Cales e a Fregelle, territori che i Sanniti consideravano di propria pertinenza,
provocò una nuova crisi nei rapporti fra le due potenze. La seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) vide fra le
proprie cause il rapporto contrastante fra le masse popolari, a favore dei Sanniti, e le classi più agiate di sentimenti
filoromani (una situazione che si presenterà regolarmente nelle città coinvolte nei conflitti fra Roma e avversari).
I Romani sconfissero la guarnigione dei Sanniti a Napoli, conquistando la città, ma non riuscirono a penetrare a
fondo nel Sannio: nel 321 a.C. vennero circondati al passo delle Forche Caudine e costretti alla resa; al cui seguito
vi fu una momentanea tregua.
Nel 316 a.C. si riapre lo scenario di guerra, dopo che i Romani attaccarono Saticula: le prime operazioni furono
favorevoli ai Sanniti, che conseguirono una vittoria a Lentulae (interrompono comunicazioni con la Campania), poi
Roma riprese la situazione in mano, attraverso una strategia a lungo termine, non sostenibile dalla Lega sannitica.
Saticula fu conquistata nel 315 a.C., Fregelle venne ripresa, le comunicazioni con la Campania ristabilite grazie
alla costruzione del primo tratto della via Appia e strinsero sotto assedio il Sannio grazie a colonie come Luceria
fondate in Apulia.
Ora, il compatto esercito a falange si era rivelato incapace di sostenere manovre su un terreno accidentato come il
Sannio: la legione venne divisa in 30 reparti (manipoli), unione di due centurie, sebbene avessero perso il
significato etimologico di “cento uomini”, era composta infatti da 60 soldati. La legione era schierata su tre linee,
ognuna delle quali composta da dieci manipoli; i primi erano chiamati principes, poi gli hastati, e infine i triarii.
Roma era così in grado di affrontare più agevolmente una minaccia su due versanti, a side contro i Sanniti e a nord
contro la coalizione degli Stati etruschi, i quali furono subito costretti a siglare una tregue (308 a.C.). Concentrati
gli sforzi sul Sannio i Romani giunsero alla pace del 304 a.C. che rinnovava il precedente (del 354 a.C.), lasciando
definitivamente il possesso di Fregelle e Cales a Roma.
Sempre in questo periodo, gli Ernici vennero inglobati nello Stato romano senza diritto di voto, e gli Equi furono
sterminati.

3.10 La terza guerra sannitica


Terzo e ultimo scontro con Roma, da parte dei Sanniti, si riaprì nel 298 a.C. dando vita alla terza guerra sannitica
quando i Sanniti attaccarono i Lucani.
Il comandante supremo dei Sanniti, Gellio Egnazio, marciò a lungo, riuscendo a erigere una potente coalizione
antiromana con Etruschi, Galli e Umbri e nel 295 a.C. avvenne lo scontro decisivo a Sentino .
Gli eserciti dei consoli Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure, prevalsero su Sanniti e Galli, approfittando
della mancanza dei reparti etruschi e umbri; i Sanniti, sconfitti nuovamente ad Aquilonia (293 a.C.) chiesero la
pace tre anni più tardi.
A nord invece ai Galli si offrì nuovamente la possibilità di penetrare nell’Italia centrale, ma il loro attacca
congiunto con quello etrusco fu arrestato nel 283 a.C. nella battaglia del lago Vadimone.
Data Evento
496 a.C. Roma sconfigge i Latini nella
battaglia presso il lago Regillo
494 a.C. Secessione dell’Aventino
493 a.C. Foedus Cassianum, trattato alleanza
colla Lega latina
483 a.C. Prima guerra contro Veio.
449 a.C. Decemviri pubblicano le
leggi delle XII tavole
445 a.C. Sono permessi i matrimoni
fra i due ordini (plebiscito Canuleio)
396 a.C. Roma sconfigge Veio, grazie a
Marco Furio Camillo
390 a.C. Sacco di Roma, da parte dei Galli
Senoni (sconfiggendo i romani
presso il fiume Allia)
367 a.C. Leggi Licinie Sestie
343 a.C. Inizio della prima guerra sannitica

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341 a.C. Fine della prima guerra sannitica


+ inizio della “grande guerra latina”
338 a.C. Fine della guerra latina + la Lega
latina viene sciolta
326 a.C. Inizio della seconda guerra sannitica
321 a.C. Battaglia delle Forche Caudine
316 a.C. Battaglia di Lentulae
308 a.C. Umbri, Piceni, Marsi (due anni
dopo anche gli Ernici) entrano
in guerra contro Roma
304 a.C. Equi vengono sconfitti + fine
della seconda guerra sannitica
298 a.C. Inizio della terza guerra sannitica
293 a.C. Battaglia di Aquilonia
290 a.C. Fine della terza guerra sannitica
287 a.C. Lex Hortensia: i Plebisciti
hanno valore di legge
281 a.C. Taranto chiede l’intervento
di Pirro, re dei Molossi
280 a.C. Pirro sbarca in Italia + vince
la battaglia di Eraclea
279 a.C. Pirro sconfigge i Romani nella
battaglia di Ascoli Satriano + Roma
e Cartagine stringono un’alleanza
difensiva di mutua collaborazione
contro il comune nemico
275 a.C. Romani condotti da Marco
Curio Dentato vincono la battaglia
di Benevento
272 a.C. Pirro torna nell’Epiro e muore
+ Taranto si arrende a Roma
268 a.C. Viene fondata Rimini + guerra
contro i Piceni (inizia l’anno prima)
In questi anni i Romani risalirono sino all’Etruria settentrionale e marciarono verso l’Adriatico, sconfiggendo i
Sabini e i Pretuzzi, confiscandone il territorio per dedurvi la colonia latina di Hadria. Conquistarono poi i territori
appartenuti ai Senoni e nella parte settentrionale di questo territorio, nota come ager Gallicus venne fondata nel
268 a.C. la colonia latina di Rimini.
I Piceni, vendendosi circondati tentarono una disperata guerra l’anno precedente, ma furono costretti alla resa pochi
anni dopo.

3.11 La guerra contro Taranto e Pirro


Se i Sanniti non rappresentavano più una vera e propria minaccia per Roma, alcune popolazioni loro affini, come
Lucani e Bruzi, conservarono la loro indipendenza, come la più potente città greca d’Italia, Taranto.
Nel 282 a.C. una città greca sorgente sulle rive calabresi del golfo di Taranto, chiese aiuto ai Romani, poi che
minacciata dai Lucani. Roma inviò una flotta davanti alle acque di Taranto e nella città di fronte alla minaccia
prevalse la fazione democratica sull’aristocrazia filoromana: i Tarantini marciarono su Turi, espellendone la
guarnigione romana. Ma l’offensiva di Taranto non fu efficace e decise di ricorrere all’aiuto di un condottiero della
madre patria greca. Pirro, re dei Molossi e comandante della Lega epirotica, diede alla sua spedizione il carattere di
una crociata in difesa dei Greci d’Occidente, minacciati dai barbari (e troiani avversari dei Greci) Romani.
Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con 22 mila fanti, 3 mila cavalieri e 20 elefanti da guerra – per affrontare questo
schieramento Roma arruolò per la prima volta i capite censi, nullatenenti, esenti dal servizio militare. Pesante fu
comunque la sconfitta che subirono ad Eraclea, ma considerevoli furono le perdite da ambo le parti.
Bruzi, Lucani, Sanniti si schierarono dalla parte di Pirro, il quale però non seppe sfruttare la sua posizione, fallendo
nel tentativo di un’alleanza e congiungimento con gli Etruschi. Decise di intavolare trattative di pace, in cui

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chiedeva libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori conquistati alle
tre popolazioni sue alleate, ma che furono respinte da Appio Claudio Cieco.
A seguito del rifiuto da parte romana, Pirro assoldò mercenari, muovendo verso la Apulia settentrionale e si scontrò
con l’esercito romano presso Ascoli Satriano nel 279 a.C. riuscendo a sconfiggerlo, al prezzo di gravi perdite.
Forte dell’immenso potenziale umano Roma sembrava poter resistere in modo continuato e senza alcun limite, al
contrario di Pirro i cui rapporti con gli alleati dell’Italia meridionale si andavano deteriorando, specie in virtù delle
onerose richieste economiche da lui effettuate per sanare le perdite e pagare le truppe mercenarie.
Accolse così le domande di aiuto provenienti da Siracusa e ritenne che il possesso della ricca Sicilia avrebbe
accresciuto la sua potenza; vi si recò, lasciando una guarnigione del suo esercito a Taranto. Nel 279 a.C. Roma e
Cartagine stringono un’alleanza che prevedeva la mutua collaborazione militare contro il comune nemico. Pirro
riuscì comunque a far indietreggiare i Cartaginesi, pensando di invadere poi l’Africa, ma il progetto fallì non
potendo più contare su molti appoggi da parte degli alleati italici, stanchi delle pesanti condizioni cui erano
sottoposti.
I Romani intanto i Italia avanzavano senza ostacoli e le popolazioni chiedendo disperatamente l’intervento del re
epirota impedirono il compimento dell’impresa siciliana, il quale subì gravi perdite ad opera della flotta
cartaginese.
Le forze romane comandate dal console Manio Curio Dentato si scontrarono, nel 275 a.C., con le truppe nemiche
nella località dove più tardi sarebbe stata fondata la colonia latina dal nome celebrativo, Benevento.
Pirro capì che la guerra era ormai persa, con le sue truppe in fuga, ma decise di lasciare una guarnigione a Taranto
per dare l’impressione di non aver completamente abbandonato gli alleati, pur tornando nell’Epiro con gran parte
del suo esercito.
Lanciatosi in nuove imprese militari in Grecia, morì nel 272 a.C. In quello stesso anno Taranto si arrese entrando
nel novero dei socii di Roma.

La conquista del mediterraneo


4.1 La prima guerra punica
Nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, nei pressi dello stretto di Messina, gli interessi della
potenza egemonica entravano in conflitto con quelli della precedente alleata, Cartagine. Lo scontro venne
precipitato dalla questione dei Marmetini, mercenari di origini italica, impadronitisi di Messina, ma sconfitti da
Ierone e le truppe siracusane. I Marmetini si appellarono all’aiuto della flotta cartaginese, preoccupati
dell’espansione di Siracusa verso lo stretto: Ierone si ritirò e venne proclamato re di Siracusa.
I Marmetini, stanchi però della tutela cartaginese, fecero appello ai Romani i quali qualche anno prima, a Reggio,
avevano cacciato invasori come i Marmetini dalla città, non sapendo come comportarsi ora. Intervenire a favore di
Messina voleva dire entrare in collisione con Siracusa e con Cartagine, che grazie ai suoi mezzi finanziari poteva
mettere in campo grandi eserciti e potenti flotte.
Far cadere l’appello dei Marmetini significava lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto e
perdere l’occasione per entrare nella ricca Sicilia. La motivazione economica, spinse l’assemblea popolare a votare
l’invio di un esercito in soccorso ai Marmetini.
Si aprì così lo scenario della prima guerra punica (264-241 a.C.) che vide i Romani respingere da Messina,
Cartaginesi e Siracusani (ora coalizzatisi). Nel 363 a.C. Ierone comprese l’innaturalezza dell’accordo con Cartagine
e decise di siglare una pace, che lo lasciò in possesso di un ampio territorio della Sicilia orientale e libero di
schierarsi con Roma.
Grazie alla superiorità circa le forze navali Cartagine conservava un saldo controllo su molte località costiere e
Roma decide così di costruire una grande flotta contando sull’aiuto dei socii navales che fornirono marinai e
comandanti. Lo sforzo diede i suoi frutti nel 260 a.C. con la vittoria del console Caio Duilio sulla flotta nemica
nelle acque di Milazzo.
Roma volle sbarcare direttamente sulle coste africane e iniziò l’invasione nel 256 a.C. dopo che, la flotta romana
sconfitta quella cartaginese presso capo Ecnomo, fece sbarcare l’esercito a capo Bon, in Africa.
Marco Attilio Regolo, pur ottenendo diversi successi non seppe approfittare della situazione favorevole e nel 255
a.C. venne battuto da un esercito cartaginese comandato dal mercenario Santippo. La flotta romana incappò in una

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tempesta e nel 249 a.C. colla battaglia navale di Trapani Roma perse quasi del tutto le forze marittime; solo qualche
anno più tardi grazie e prestiti dei cittadini più facoltosi riuscì a ricostruire una flotta, il denaro sarebbe stato
restituito im caso di vittoria.
La flotta cartaginese fu sconfitta nel 241 a.C. alle isole Egadi e decisero di chiedere la pace: le clausole del trattato
che mide fine allo scontro prevedevano lo sgombero totale della Sicilia e il pagamento di un indennizzo di guerra.

4.2 La prima provincia romana - 4.3 Tra le due guerre


A seguito della prima guerra punica, Roma era riuscita ad ottenere un vasto territorio al di fuori della Penisola,
costituito dalle regioni della Sicilia centro-occidentale; territori che vennero integrati attraverso un sistema che
segnò una svolta nella storia istituzionale romana. venne imposto il pagamento di un tributo annuale, consistente in
una parte del raccolto di cereali + l’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa
da aggressioni esterne vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente nella penisola. Da qui in avanti
il termine provincia, che indicava la sfera di competenza di un magistrato venne ad assumere il significato di
territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano.

Cartagine, spossata dal punto di vista finanziario, non


era in grado di garantire il pagamento delle truppe
mercenarie che avevano combattuto contro i Romani.
La loro rivolta fu sedata da Amilcare Barca e quando
si prepararono ad una spedizione per recuperare la
Sardegna (ove altri mercenari si erano ribellati), si
scontrarono con Roma, che li accusò di tramare
nuove ostilità: Cartagine incapace di sostenere
un’immediata seconda guerra si piegò accettando il
pagamento di un indennizzo e a cedere la Sardegna,
che assieme alla Corsica andò a formare la seconda
provincia romana.
Nello stesso tempo, approfittando del declino
dell’Epiro, il regno d’Illiria aveva esteso la sua
influenza sulla costa dalmata. In risposta alle
richieste di aiuto di molte città greche, saccheggiate
dai pirati illiri, il senato romano inviò proteste alla
loro regina, Teuta, la quale rifiutò di far cessare le
ostilità. Viene dichiarata guerra nel 229 a.C.
La prima guerra illirica si risolse rapidamente a
favore di Roma. Demetrio un collaboratore della
regina, passato tra le fila romane, venne ricompensato
con l’isola dalmata di Faro. Roma sarebbe
intervenuta qualche anno dopo nuovamente in Illiria a seguito di atti ostili intrapresi dallo stesso Demetrio, di cui si
temeva l’alleanza con il re di Macedonia Filippo V.
Anche la seconda guerra illirica si risolse velocemente, con la fuga di Demetrio presso Filippo V e l’entrata di Faro
nel protettorato romano (219 a.C.).
L’attenzione di Roma venne rivolta, sempre in quegli anni, all’Italia settentrionale dopo un’incursione dei Galli che
si arrestò presso la colonia di Rimini; essi riuscirono a penetrare in Etruria ma nel 225 a.C. vennero annientati a
Telamone. Con la possibilità di un’incursione nella pianura padana, Roma procedette ad una breve ma violenta
campagna, coronata dalla vittoria sugli Insubri a Casteggio nel 222 a.C. e dalla conquista del loro principale centro,
Mediolanum.
Fondamentale nell’organizzazione e consolidamento della conquista fu la costruzione di una rete stradale:
a. Via Flaminia, da Roma a Rimini, del 220 a.C.
b. Via Emilia, da Rimini a Piacenza, del 187 a.C.

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c. Via Postumia, da Genova ad Aquileia, del 148 a.C.


Cartagine nel frattempo cercava di costruire una nuova base per la sua potenza in Spagna (un importante
insediamento è Gades); le operazioni furono condotte prima da Amilcare Barca, poi dal genero Asdrubale e infine
dal figlio, Annibale, senza tuttavia ottenere il pieno consenso del governo cartaginese. Presso Marsiglia, città greca
alleata con Roma, si fermò la loro avanzata, e nel 226 a.C. un’ambasceria del senato romano concluse con
Asdrubale che i loro eserciti non potevano superare il fiume Ebro.

4.4 La seconda guerra punica


La sconfitta del 241 a.C. e soprattutto l’umiliazione subita quattro anni dopo, quando Roma si era impadronita della
Sardegna, avevano creato a Cartagine un forte sentimento di rivincita contro Roma. Annibale attaccò Sagunto,
nonostante le proteste inviate da Roma, la quale si preparò alla guerra solo quando la città era ormai già stata
espugnata e Annibale iniziava a realizzare il suo disegno strategico (218 a.C.).
Roma doveva la vittoria della prima guerra non tanto grazie ai suoi generali, quanto più all’immenso potenziale
umano e finanziario che otteneva dal dominio dell’Italia, era quindi
necessario per le truppe cartaginesi colpire la città direttamente evitando gli alleati italici.
Le inferiori forze navali cartaginesi costrinsero l’invasione dell’Italia unicamente via terra, attraverso le frontiere
settentrionali, ove Annibale sperava nell’appoggio di popolazioni galliche da poco sottomessa a Roma.
Egli parti nel 218 a.C. dalla base di Nova Carthago e varcati i Pirenei, riuscì a evitare lo scontro con l’esercito
romano di Publio Cornelio Scipione, inviato in Spagna per intercettarlo. Attraversarono le Alpi, riscuotendo il
sostegno di Boi e Insubri – il primo grande scontro avvenne sul fiume Trebbia, ove Annibale sconfisse gli eserciti
di Scipione e del collega al consolato Tiberio Sempronio Longo.
L’anno successivo eluse gli eserciti romani sugli Appennini e sorprese quello del console Caio Flaminio al lago
Trasimeno.
A Roma serpeggiava l’idea che fosse impossibile sconfiggere Annibale in una battaglia campale, sostenuta dall’ex
console Quinto Fabio Massimo, che venne nominato dittatore. Secondo la sua strategia era necessario controllare le
mosse dell’avversario evitando scontri diretti e impedendo che giungessero aiuti da Spagna e Cartagine: prima o
poi la scarsità di mezzi e uomini lo avrebbero costretto ad arrendersi alle forze romane e ad abbandonare l’Italia.
Venne per questo motivo chiamato Cunctator (“il temporeggiatore”).
Annibale nel frattempo avanzava e Roma non poteva assistere inerte alla devastazione dei territori Italici, così
scaduti i sei mesi, a Roma si decise di passare nuovamente all’offensiva, sperando unicamente nella superiorità
numerica: nel 216 a.C. Annibale annientò gli eserciti congiunti dei consoli Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio
Paolo nella battaglia di Canne, presso Canosa in Puglia.

Considerato un capolavoro dell’arte militare e il più riuscito


esempio di manovra di accerchiamento compiuta da un esercito
numericamente inferiore agli avversari.

Nel 215 a.C. muore Ierone, fedele alleato di Roma, il nipote


Ieronimo che gli successe al trono si schierò dalla parte di
Cartagine. Lo stesso anno si conobbe l’esistenza di un patto fra
Annibale e Filippo V di Macedonia, mentre gli alleati
dell’Italia centrale rimasero fedeli a Roma.
Nel 212 a.C. anche Taranto si schierò dalla parte dei Cartaginesi,
ma i Romani ne conquistarono il porto impedendo l’invio di rinforzi
e nel 211 a.C. conquistarono Capua.
Sempre nel 212 a.C. le forze romane di Marco Claudio Marcello
conquistarono e saccheggiarono Siracusa e nell’Adriatico la flotta
romana riuscì a impedire l’invasione da parte di Filippo V e il suo
congiungimento con Annibale. Roma riuscì a paralizzare l’azione del re macedone creando una coalizione di Stati
greci lui ostili, la Lega etolica, ma quando gli Etoli mostrarono di non avere intenzione di continuare la lotta, Roma
sottoscrisse una pace col re, che lasciava immutato il quadro territoriale.

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Publio Cornelio Scipione nel frattempo raggiunse in Spagna il fratello Cneo e i due impedissero che giungessero ad
Annibale ulteriori aiuti dalla penisola iberica. Questi poi trovandosi ad affrontare separati le ingenti forze
cartaginesi in Spagna vennero sconfitti e uccisi, il resto dei Romani difese il territorio settentrionale della penisola
sino a che venne nominato comandante delle truppe in Spagna il figlio omonimo di Publio Cornelio Scipione, che
diventerà noto col cognomen di Africano.
Nel 209 a.C. riuscì ad impadronirsi della principale base cartaginese, Nova Carthago, e sconfisse l’anno seguente il
fratello di Annibale, Asdrubale, presso la località di Baecula, il quale riuscì ad avanzare comunque verso l’Italia,
ripetendo l’epica marcia del fratello nel tentativo di porgergli il suo aiuto. La spedizione si scontrò con gli eserciti
di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone; venne sconfitta nel 207 a.C. presso il fiume Metauro: Asdrubale
morì.
Annibale, isolato da qualsiasi aiuto dalla madre patria, si vide costretto a ritirarsi nel Bruzio; mentre Scipione
sconfiggeva gli eserciti cartaginesi di Spagna nella battaglia di Ilipa nel 206 a.C.
Tornato in Italia Scipione fu eletto console nel 205 a.C. e iniziò i preparativi per l’invasione dell’Africa, forte
dell’alleanza con il re della tribù numida dei Massili, Massinissa, in rivolta contro Cartagine.
nel 204 a.C. le truppe romane sbarcarono in Africa e l’anno seguente Scipione e il re numida colsero un’importante
vittoria nella battaglia dei Campi Magni; Scipione mirava ad eliminare per sempre la minaccia punica.
Nel 202 a.C. presso Zama si svolse la battaglia che pose fine al conflitto, i Romani ottennero il successo.
Nel 201 a.C. le trattative di pace prevedevano la consegna olistica della flotta cartaginese e il pagamento di una
forte indennità e la rinuncia di territori fuori dall’Africa da parte di Cartagine e il dovere di chiedere permesso a
Roma per dichiarare guerra.

4.5 La seconda guerra macedonica


Pochi anni dopo la conclusione della guerra con Cartagine, Roma si impegnò in un altro conflitto di grandi
proporzioni contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu l’attivismo del re nell’area dell’Egeo e sulle
coste dell’Asia Minore, che lo portarono a scontrarsi con il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. Le tensioni
sfociarono nel 201 a.C. in una guerra aperta: Filippo fu battuto in una battaglia navale al largo di Chio, da Rodii e
Pergameni ma vinse nelle acque tra Samo e Mileto; questo bastò a far capire che da soli non sarebbero riusciti a
contrastare la minaccia macedone, si rivolsero a Roma.
La volontà di vendetta contro un sovrano che alleandosi con Annibale all’indomani di Canne, aveva colpito Roma
in un momento di grave crisi permise ai comizi centuriati di votare per la guerra. Si decise di inviare un ultimatum
a Filippo V in cui gli si intimava di risarcire i danni commessi e di non attaccare gli Stati greci, che fu ignorato, ma
che venne visto di buon occhio da Stati come Atene, comunque la città più influente della Grecia.
Nel 200 a.C. l’esercito romano sbarca nella città nemica di Apollonia, a cui si aggiunse la Lega etolica e nel 198
a.C. il comandante Tito Quinzio Flaminino diede una svolta al conflitto. Uno a uno gli stati della Grecia si
schierarono dalla parte dei liberatori che chiedevano la liberazione della Tessaglia, sotto il dominio macedone da
Filippo II, e così anche la Lega achea da tempo alleata con la Macedonia.
Le trattative del 198 a.C. intavolate da Filippo furono interrotte da Flaminino e nella battagli di Cinocefale, in
Tessaglia, l’esercito macedone venne annientato e il re costretto ad accettare le condizioni di pace.
La Grecia liberata dall’egemonia macedone fu proclamata autonoma ma avente l’obbligo di versare tributi e di
ospitare guarnigioni.

4.6 La guerra siriaca


Il re di Siria intanto stava estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell’Asia Minore,
formalmente autonome. Le proteste di Roma che chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome
dell’Asia Minore furono respinte dal re siriano, Antioco.
Gli Etoli scontenti del mancato smembramento del regno macedone sostenevano che la Grecia avesse
semplicemente cambiato padrone, così nel 192 a.C. invitarono Antioco III a liberare la Grecia dai falsi liberatori,
ma questi venne duramente battuto l’anno seguente alle Termopili dai Romani, fuggendo in Asia Minore.
Nel 190 a.C. Lucio Cornelio Scipione, fratello dell’Africano, col suo aiuto si prepararono ad invadere l’Asia
Minore attraverso la Grecia, Macedonia e Tracia forti del sostegno di Filippo V; mentre la flotta romana a fianco di
Rodii e Pergameni sconfiggeva ripetutamente nell’Egeo i Siriaci.

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Presso Magnesia sul Sipilo, l’esercito di Antioco venne distrutto e la pace venne siglata nella città siriaca di
Apamea nel 188 a.C.
I territori strappati a dominio siriano non vennero inglobati come nuove province ma spartiti tra i due fedeli alleati
di Roma, il re di Pergamo Eumene II e la repubblica di Rodi.

4.7 Le trasformazioni politiche e sociali


Il repentino ampliamento di orizzonti sotto il dominio romano, portò un cambiamento anche nell’assetto politico e
sociale interno. Nota fu la vicenda del “processo agli Scipioni” (184 a.C.), che mostra i contrasti interni alla classe
dirigente romana e i nuovi scenari di lotta politica che andavano costituendosi. Lucio Cornelio S. fu accusato di
impossessarsi di parte dell’indennità di guerra di Antioco III, ma il veto di un tribuno della plebe impedì che questi
fosse costretto a pagare un’onerosa multa. Contro l’Africano, venne poi attaccato di aver condotto trattative
personali sempre con Antioco III, ma rifiutò di rispondere alle accuse ritirandosi in Campania e morendo nel 183
a.C.
La vicenda era stata sostenuta da Marco Porcio Catone, che colpendo l’Africano, desiderava respingere
l’individualismo che rischiava di mettere in pericolo la gestione collettiva della politica da parte della nobilitas.
In questo clima viene promulgata la legge Villia del 180 a.C. che introdusse un’età minima per rivestire le diverse
magistrature e un inmtervallo di due anni tra una carica e l’altra.
Importante segnalare in questo periodo la diffusione del culto di Bacco, che il senato romano volle sradicare anche
a costo di calpestare l’autonomia giurisdizionale delle comunità alleate dell’Italia; preoccupava infatti che i devoti
a Bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come un “tumore” statale all’interno e
contro lo Stato romano.

4.8 La terza guerra macedonica


La pace di Apamea aveva espulso il regno di Siria dall’Egeo e sebbene il re macedone Filippo V fu alleato di Roma
nella guerra siriaca il rapporto s’incrinò quando l’indomani di Apamea i desideri del re sulle città della costa trace
vennero frustrati da Roma, su impulso di Eumene II.
Nel 179 a.C. dopo la morte di Filippo si assiste alla successione di questi con il figlio Perseo, sbarazzatosi del
fratello filoromano Demetrio. L’elemento democratico e nazionalista all’interno di molte città greche cominciò a
volgersi a favore di Perseo.
Nel 172 a.C. Eumene II si presentò a Roma con un lungo elenco di accuse contro il re macedone, alimentando i
sospetti di alcuni gesti di sfida da parte sua. Fallite le trattative per un accordo nel 171 a.C. iniziarono le operazioni
di guerra, ove nei primi anni i comandanti romani si distinsero per saccheggi in molte città greche. Intanto Perseo
otteneva aiuti da parte della popolazione epirota dei Molossi e dal re d’Illiria Genzio.
Nel 168 a.C. Genzio venne sconfitto rapidamente, mentre Perseo fu costretto da Lucio Emilio Paolo ad accettare
battaglia campale nella località di Pidna, ove il suo esercito venne distrutto.
Portato prigioniero in Italia Perseo, venne abolita la monarchia in Macedonia e divisa in quattro repubbliche che
non potevano intrattenere alcun rapporto tra loro: i matrimoni tra gli abitanti di due diversi Stati erano proibiti, cosi
come non era concesso possedere terreni o case in piu’ di uno Stato. L’Illiria fu divisa anch’essa in tre Stati,
tributari di Roma, come i territori macedoni.

4.9 La quarta guerra macedonica e la guerra acaica


Tuttavia i rapporti con l’area greca erano ancora in forte tensione, la quale sfociò nei tentativi di secessione di
Sparta, che coincisero con una rivolta in Macedonia. Qui, Andrisco prevalse sulle deboli milizie repubblicane e
riunì le forze macedoni sotto la bandiera monarchica. Pochi furono i suoi successi e venne eliminato nel 148 a.C.
dal pretore Quinto Cecilio Metello. L’assemblea della Lega achea, governata da nazionalisti antiromani decise per
la breve e disastrosa guerra: non riuscirono a impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello; Corinto,
principale città della Lega, venne saccheggiata e distrutta (146 a.C.). La Macedonia fu ridotta a provincia romana
+ in Grecia tutte le leghe furono sciolte e ovunque vennero instaurati regimi aristocratici fedeli a Roma.

4.10 La terza guerra punica

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Mentre Corinto bruciava, veniva distrutta anche un’altra importante città del mondo antico, Cartagine. La città si
era ripresa rapidamente dalla sconfitta precedente, ma quando Annibale, eletto nel 196 a.C. a uno dei due posti di
magistrato massimo, fu accusato di ordire un’alleanza con Antioco III, egli fu costretto a fuggire in Oriente e il
governo cartaginese assicurò la fedeltà a Roma.
Data Evento
264 a.C. Inizio della prima guerra punica
contro Cartagine
260 a.C. Battaglia navale di Milazzo
241 a.C. Termina la prima guerra punica
colla vittoria romana
+ creata la provincia
romana di Sicilia
229 a.C. Inizio della prima guerra
illirica
227 a.C. Fine della prima guerra illirica
225 a.C. Fermati i Galli nella battaglia
di Telamone
220 a.C. Inizio della seconda guerra
illirica
219 a.C. Fine della seconda guerra
illirica
218 a.C. Inizio della seconda guerra
punica
217 a.C. Dittatore Quinto F. Massimo
216 a.C. Battaglia di Canne
214 a.C. Inizio della prima guerra
macedonica
205 a.C. Fine della prima guerra
macedonica
204 a.C. Invasione dell’Africa ad opera
di Scipione l’Africano
202 a.C. Battaglia di Zama
+ seconda guerra macedonica
con vittoria romana
201 a.C. Fine della seconda guerra
punica
197 a.C. Spagna Ulteriore e Citeriore
Divengono province romane
192 a.C. Inizio della guerra contro
Antioco III e la Lega etolica
189 a.C. Fine della guerra siriaca
188 a.C. Pace di Apamea
180 a.C. Lex Villia annalis
(età minima delle cariche e
intervallo di due anni)
172 a.C. Inizio della terza guerra
macedonica
167 a.C. Fine della terza guerra
Macedonica con vittoria
romana
149 a.C. Inizio della terza guerra punica
+ quarta guerra macedone
146 a.C. Distruzione di Cartagine e di
Corinto + vengono annesse
le province di Macedonia
e d’Africa

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Massinissa, approfittando del fatto che i confini con Cartagine non erano stati fissati in modo preciso, avanzò con
pretese ambiziose sul territorio vicino dal canto loro i Cartaginesi erano impediti a dichiarare guerra senza
l’approvazione romana. Nel 151 a.C. il partito per la guerra però riuscì a prevalere – l’esercito inviato contro il re
numida venne distrutto e intanto a Roma si premeva per la distruzione della città nemica, in ordine alla violazione
dei trattati del 201 a.C.
Nel 149 a.C. l’esercito romano sbarcò in Africa e per evitare una guerra persa in partenza i Cartaginesi avevano già
ceduto molti armamenti, poi quando venne chiesto loro di abbandonare la città e trasferirsi a 10 miglia dalla costa,
decisero di resistere a oltranza. Nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio
Emilio Paolo, ma adottato dalla famiglia degli Scipioni si risolse il lungo assedio che vide la città saccheggiata e
rasa al suolo: il suo territorio venne trasformato nella nuova provincia d’Africa.

4.11 La Spagna
Ridotto all’obbedienza tutti gli Stati dell’Oriente ellenistico e distrutto Cartagine, Roma ora si trovava ad affrontare
l’irrisolta situazione in Spagna, sebbene già dalla fine della seconda guerra punica i Romani vi si erano saldamente
stabiliti, organizzandola in due nuove province di Spagna Citeriore (nord) e Ulteriore (sud). La sottomissione
completa della penisola avvenne però solo con Augusto, in virtù della sfuggente guerriglia su un vasto e
accidentato territorio che alimentava il malcontento per una guerra sporca, senza bottino e senza fine.
M. Porcio Catone venne inviato in Spagna Citeriore, come console nel 195 a.C. e procedette alla sistematica
sottomissione delle tribù nella valle dell’Ebro. Poi, Ti. Sempronio Gracco (padre) governatore del medesimo
territorio tra il 180 a.C. e il 178 a.C. dopo alcuni successi militari cerco di rimuovere le ragioni dell’ostilità contro
Roma – strategia coronata dalla conclusione di trattati di pace con alcune tribù celtibere.
Nel 137 a.C. sotto le mura della celtibera Numanzia il console Caio Ostilio Mancino venne sconfitto e firmò una
pace umiliante per Roma, trattato disconosciuto poi dal senato sì che la guerra numantina fu affidata al brillante
comandante Scipione Emiliano, eletto per la seconda volta al consolato nel 134 a.C., il quale conquistò e distrusse
la città l’anno seguente.

Parte terza
La crisi della Repubblica e le guerre civili (dai Gracchi ad Azio)

Dai gracchi alla guerra sociale


1. L’eta’ dei Gracchi (133-121 a.C-): una svolta epocale?
La tradizione storiografica ha canonicamente fissato nell’”età dei Gracchi” l’origine della degenerazione dello
Stato romano, non più fondato sulla solidarietà civica e sul rispetto della tradizione, e l’inizio delle guerre civili.
1.2 Mutamento degli equilibri sociali
La guerra contro Annibale aveva percorso tutta la Penisola e arrecato gravi conseguenza alla dimensione agricola,
inoltre le conseguenze delle guerra avevano portato a Roma ingenti ricchezze nelle mani di pochi e una
innumerevole quantità di schiavi la struttura sociale va progressivamente modificandosi, al passo dell’economia
che fino ad allora era perlopiù solamente agricola.
Romani e Italici iniziano a praticare il grande commercio: i negotiatiores, uomini d’affari con società, si stabilivano
nelle neonate province e questi Romaioi esercitavano anche professioni bancarie.
1.3 Crisi della piccola proprietà fondiaria e inurbamento
Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato progressivamente e in modo diverso secondo le regioni la
fisionomia dell’agricoltura agricola. Inoltre il massiccio ricorso alla mano d’opera servile, le importazioni di grandi
quantità di grano e materie prime dimostravano la spinta verso colture sempre più speculative, che andavano a
porre in secondo piano la tradizionale agricoltura di sussistenza: è sempre più forte la tendenza verso un’agricoltura
incentrata su prodotti destinati alla commercializzazione più che all’autoconsumo.

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Il modello di proprietà tendeva a diventare la grande azienda agricola (la villa rustica) basata sullo sfruttamento
intensivo di personale servile e diretto da schiavi-manager (vilici) a capo di schiavi-operai, schiavi-artigiani e
schiavi-agricoltori.
Roma crebbe sì di dimensioni, molti infatti vi giungevano alla ricerca di un’occupazione, cosa che favorisce lo
sviluppo di quei problemi che l’avrebbero caratterizzata per molto tempo, come sussistenza e approvvigionamento.
Non è un caso che in ordine allo sfruttamento disumano della ingente mano d’opera servile la Sicilia, regione di
grosse esportazioni di grano, fu teatro dei moti schiavili più gravi, nel 140-132 a.C. e nel 104-100 a.C.

1.4 Rivolte servili


Il moltiplicarsi delle grandi tenute a personale schiavile, crearono i presupposti per il ripetuto esplodere di rivolte
servili. La prima rivolta, scoppiata ad Ennam nelle tenute di un ricco proprietario locale, si estese rapidamente a
tutta l’isola. A capo di essa fu posto uno schiavo siriaco, Euno.

1.5 Due fazioni dell’aristocrazia: optimates e populares


In seguito ai repentini cambiamenti nella dimensione sociale, cominciarono a delinearsi due fazioni, entrambe
figlie della nobilitas, chiamate optimates e populares, a seconda dell’atteggiamento assunto nei confronti delle
nuove istante consolidatesi.
1. Gli optimates si richiamavano alla tradizione degli avi, si autodefinivano boni: gente che cercava di
ottenere per la propria politica l’approvazione dei benpensanti, inspirata ai buoni principi e sollecita del
bene dello Stato – sostenitrice, dunque, delle prerogative del senato.
2. I populares, anch’essi figli dell’aristocrazia, di consideravano difensori del popolo, che conduceva
un’esistenza miserevole; essi propugnavano la necessità di ampie riforme in campo politico e sociale.

1.6 La questione dell’ager publicus e il tentativo di riforma agraria di Caio Lelio


Le guerre di conquista aveva accresciuto a dismisura l’ager publicus, terreno demaniale di proprietà collettiva dello
Stato; parti di esso erano concesse a dei privati a titolo di occupatio: la proprietà restava dello Stato, che si
riservava la possibilità di revocare il possesso a sua discrezione, l’utilizzo era garantito ai detentori sulla base di un
canone (vectigal) del tutto irrisorio.
La crisi della piccola proprietà agricola tendeva sempre di più a concentrare la maggior parte dell’agro pubblico
nelle mani dei proprietari terrieri più ricchi da qui la necessità di una serie di norme che miravano a restringere la
l’estensione di terreno pubblico occupabile legittimamente.
Ultima di tali leggi era stata proposta da Caio Lelio tra il 145 e il 140 a.C. – un progetto che gli aveva attirato
contro l’opposizione dei senatori, sì che egli vi rinunciò.

1.7 Tiberio Gracco


Membro della nobilitas, figlio dell’omonimo Tiberio Sempronio Gracco (governatore della Spagna) e di Cornelia,
figlia dell’Africano – egli volle intraprendere nell’anno del suo tribunato della plebe (133 a.C.) il tentativo di
operare una riforma agraria tramite norme che limitassero la quantità di agro pubblico posseduto.
Il progetto li legge agraria che Tiberio propose ai comizi tributi fissava all’occupazione di agro pubblico un limite
di 500 iugeri, con l’aggiunta di 250 iugeri pero ogni figlio, fino a un massimo di 1000 iugeri (250 ettari) per
famiglia. Un collegio poi di triumviri (tresviri agris dandis iudicandis adsignandis) eletto dal popolo e composto
da Tiberio, il fratello Caio e il suocero Appio Claudio Pulcro, avrebbe avuto il compito di ripartire i lotti e
recuperare i terreni in eccesso.
Scopo principale della legge sembra essere stata l’esigenza di ricostruire e conservare un ceto di piccoli proprietari,
che si andava dissolvendo, ridistribuendo loro piccoli lotti inalienabili.
Un altro tribuno, Marco Ottavio, indotto dagli ambienti più conservatori pose però il veto, impedendo
l’approvazione della nuova proposta di legge – azione che sembra andare contro gli interessi popolari; motivo per
cui Tiberio chiederà di destituirlo e dichiarato decaduto Ottavio la legge Sempronia fu approvata.
Tiberio nel timore di non riuscire a concludere l’opera di ridistribuzione delle terre e che venisse meno la sua
sacrosanctitas col termine del suo mandato, presentò la sua candidatura al tribunato anche per l’anno successivo fu
facile per gli avversari conservatori accusarlo di aspirare al potere personale.

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Un gruppo di senatori guidati dal pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica lo assalì e uccise.

1.8 Da Tiberio a Caio Gracco: la commissione agraria, Scipione Emiliano e gli alleati latini e italici
La sua morte non pose fine all’attività della commissione triumvirale, continuamente rinnovata ma il malcontento
degli alleati italici venne presto a galla, essi si trovavano a restituire le terre in eccesso a beneficio di nullatenenti
romani. Interprete loro si fece Publio Cornelio Scipione Emiliano, che morì però improvvisamente nel 129 a.C.
Fulvio Flacco, membro del triumvirato agrario e console nel 125 a.C. propose che tutti gli alleati che ne avessero
fatta richiesta potessero ottenere la cittadinanza romana o se avessero conservato la loro condizione, il diritto di
appellarsi al popolo, provocatio, contro eventuali abusi di magistrati romani.

1.9 Caio Gracco


Nel 123 a.C. fu eletto al tribunato Caio Gracco, iniziale componente della commissione agraria e fratello minore di
Tiberio: egli riprese ed ampliò l’opera riformatrice del fratello. La legge agraria fu ritoccata e perfezionata e
aumentati i poteri della commissione triumvirale. Una legge frumentaria assicurò ad ogni cittadino residente a
Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Con una legge giudiziaria Caio volle limitare il potere del
senato in questo campo integrando un cospicuo numero di cavalieri nel corpo da cui attingere per la formazione
degli albi dei giudici e comunque riservando in esclusiva ai cavalieri il controllo dei tribunali permanenti cui erano
affidati i processi di concussione e che perseguivano le malversazioni e le estorsioni dei magistrati ai danni dei
provinciali.
Propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani, in Italia e anche nel territorio della distrutta Cartagine.
L’oligarchia senatoria, i cui privilegi venivano minati, per contrastare i progetti di Caio si servì di un altro tribuno,
Marco Livio Druso.
Nel 122 a.C. la situazione cambiava radicalmente e la popolarità di Caio venne meno, egli non venne infatti rieletto
l’anno successivo + la fondazione di colonie in territorio cartaginese fu criticata aspramente e legata a presagi
funesti – proposte cui si opposero Caio e Flacco. In ordine a questo stato di cose il senato ricorse alla procedura del
senatus consultum ultimum con cui venne sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai
consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato coi mezzi necessari.

1.10 Smantellamento della riforma agraria


Poiché le riforme agrarie dei Gracchi rispondevano a esigenze reali, gli ottimati non le abolirono ma ne ridussero
gli effetti: i lotti attribuiti furono dichiarati alienabili e venne posto fine alle operazioni di ridistribuzione delle terre
+ abolita la commissione agraria.

1.11 Province, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia danubiana
Prima del 133 a.C. Roma aveva sei province: Sicilia – Sardegna e Corsica – Spagna Citeriore – Spagna Ulteriore –
Macedonia – Africa, ora la deduzione di una provincia è da considerarsi un atto di guerra, non di annessione; si
trattava infatti di assumere la gestione diretta di un territorio a cui si aggiungevano una molteplicità di condizioni e
implicazioni a livello istituzionale che andavano creandosi in questi anni.
Molte di queste deliberazioni di riferimento sono definite lex provinciae, tra cui una delle più significative era la lex
Rupilia, relativa alla Sicilia, del 132 a.C. che descriveva gli ambiti geografici, gli statuti e gli obblighi delle
comunità e la condizione giuridica e fiscale di ognuna di esse.
Nel 122-121 a.C. Cneo Domizio Enobarbo e Quinto Fabio Massimo, vincendo contro Allobrogi e Arverni posero le
basi per la nuova provincia narbonese, dedotta nel 118 a.C.

1.12 I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario


Dopo aver regolato le questioni nel territorio africano con la vittoria delle guerre puniche e il mantenimento della
tradizionale alleanza con Massinissa e i suoi figli, specie Micipsa, rimasto l’unico re di Numidia, molti sono gli
uomini d’affari romani e italici e chi sono attratti dalle grandi potenzialità economiche delle regioni africane, forti
della politica filoromana che ormai era assicurata.

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Morto nel 118 a.C. Micipsa, gli succede al trono suo nipote, e figlio adottivo, Giugurta, già soldato agli ordini di
Scipione Emiliano nell’assedio di Numanzia. Il senato considerato l’appello del fratello Aderbale in ordine al
desiderio di Giugurta di impadronirsi del regno optò per la divisione della Numidia in due:
a oriente, nel territorio più ricco stabilirono Aderbale, mentre a occidente, Giugurta.
Quest’ultimo volendosi impadronire della restante porzione del regno, assediò la capitale Cirta, che dopo essere
stata prese vide la morte del suo re, Aderbale e di tutti i Romani e Italici che ivi svolgevano le loro attività. Roma
scende in guerra nel 111 a.C.
La svolta ci fu nel 109 a.C. quando al comando della guerra fu posto Quinto Cecilio Metello, del cui seguito faceva
parte il legato, Caio Mario. Giugurta venne sconfitto ripetutamente, ma la guerra non era mai portata a termine.
Nel 107 a.C. Caio Mario viene eletto console e ignorando la proroga che il senato aveva concesso a Metello, gli
venne affidata la guerra giugurtina.
Mario, homo novus, incarnava il nuovo tipo politico, uscito dall’ambiente dei ricchi possidenti equestri e dalla
carriera militare: tribuno della plebe nel 119 a.C., agli ordini dell’Emiliano prima e legato ai Metelli poi, si era
infine imparentato con una antica, sebbene decaduta famiglia patrizia, sposando giulia, zia del futuro Giulio
Cesare.
1.13 L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina
Mario, intanto, bisognoso di nuove truppe lui fedeli e per far fronte ai vuoti determinati dalla guerra contro
Giugurta e dai massacri subiti contro Cimbri e Teutoni, aprì l’arruolamento volontario ai capite censi, a coloro che
erano iscritti sui registri del censo senza alcun bene patrimoniale, quindi nullatenenti.
Impiegò quasi tre anni per portare a termine la guerra in Africa, grazie anche all’opera di Lucio Cornelio Silla,
legato di Mario, per cui Bocco, re di Mauretania, tradì Giugurta e lo consegnò ai Romani.
La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa e la parte rimanente allo stesso Bocco + Giugurta fu
trascinato come prigioniero a Roma nel 104 a.C. Mario, dopo aver ricoperto il proconsolato per due anni, eletto
nuovamente console celebrò il trionfo su di lui, in seguito giustiziato.

1.14 Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni nell’esercito


Nel frattempo le popolazioni germaniche di Cimbri e Teutoni, avevano iniziato un movimento migratorio verso
sud, spinti da problemi di sovrappopolamento o da maree rovinose. Oltrepassato il corso del Danubio, furono
affrontati dal console Cneo Papirio Carbone, presso Noreia i Romani furono sconfitti (113 a.C.) e le popolazioni
nordiche poterono continuare il loro cammino verso occidente sino a giungere in Gallia, minacciando la nuova
provincia narbonese. I tentativi di respingerli furono vani e si conclusero con la disfatta di Arausio.
Intanto a Roma cresceva la polemica, circa l’incapacità di generali di orgine nobiliare + aumentava il timore che
tali popolazioni potessero invadere anche l’Italia Mario dal 104 a.C. venne rieletto console per cinque anni
consecutivi (fino al 100 a.C.): gli venne affidato il comando della guerra.
Egli provvide a riorganizzare l’esercito e fu coadiuvato in ciò da Lucio Cornelio Silla e Quinto Sertorio.
Nel 103 a.C. si ripresentarono, sebbene separatamente, Cimbri e Teutoni: l’anno successivo Mario affrontò i
Teutoni, sterminandoli ad Aquae Sextiae; mentre nel 101 a.C. raggiunse e annientò i Cimbri presso Vercellae.

1.15 Eclissi politica di Mario; Saturnino e Glaucia


Costantemente impegnato sul fronte militare, Mario aveva ritenuto opportuno fare affidamento su Lucio Appuleio
Saturnino, che aiutò a diventare tribuno della plebe nel 103 a.C. e in cambio egli aveva fatto approvare la
distribuzione delle terre in Africa ai veterani delle campagne di Mario.
Di notevole rilievo fu poi la lex de maiestate che puniva il reato di lesione dell’autorità del popolo romano,
compiuto dai magistrati travalicando i poteri loro conferiti.
Nel 100 a.C. mentre Mario veniva eletto console per la sesta volta, Saturnino ricopriva il tribunato per la seconda e
Glaucia, suo compagno di parte popolare, pretore.
Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione
di nuove colonie, un programma che volle portare avanti candidandosi nuovamente per l’anno successivo, mentre
Glaucia aspirava al consolato. Durante le votazioni, dei tumulti portarono all’assassinio di Glaucia e il senato
proclamò come contro Caio Gracco, il senatus consultum ultimum, che Mario come console dovette usare contro i

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suoi alleati politici, i quali finirono per essere uccisi, decretando una pesante compromissione di Mario che si
allontanò da Roma.

1.16 Pirati; schiavi; Cirenaica


Un fenomeno che in quel tempo iniziò ad acquisire sempre maggio considerazione era quello della pirateria. Al
brigantaggio interno nella Cilicia, si accompagnava l’attività piratica sulla costa, favorita dal succedersi di profonde
baie dove era facile rifugiarsi. Essa minacciava l’asse marittimo dall’Egeo a Cipro e alla Siria-Fenicia. Nel 102 a.C.
si decise di intervenire inviando il pretore Marco Antonio (nonno del triumviro), con il compito di distruggere le
principali basi anatoliche dei pirati e impadronirsene.
Fu un’azione coronata di successi che durò due anni e a cui seguì la costituzione di una nuova provincia costiera, la
Cilicia.

1.17 Marco Livio Druso e la concessione della cittadinanza agli italici


Il decennio successivo al 100 a.C. si aprì a seguito di forti tensioni politiche e sociali, in ordine alle guerre di quegli
anni e ai ripetuti consolati di Mario. Per ritrovare l’ordine un provvedimento del 98 a.C. rese obbligatorio un
intervallo di tre nundinae (giorni di mercato, settimanali = tre settimane) tra l’affissione di una proposta di legge e
la sua votazione e veniva vietata la formulazione di una lex satura, cioè di una disposizione che includesse più
argomenti non connessi fra loro.
In questa atmosfera venne eletto al tribunato Marco Livio Druso, nel 91 a.C. il quale propose una politica di
reciproca compensazione:
a. Promulgò provvedimenti come una legge agraria, volta alla distribuzione di terre e la deduzione di nuove
colonie + l’abbassamento del prezzo delle distribuzioni granarie: proposte di evidente matrice e contenuto
popolare.
b. Dall’altro lato, restituì i tribunali ai senatori, per cause ci concussione, proponendo l’ammissione di
cavalieri in senato, ora aumentato da 300 a 600 membri.
c. Infine volle proporre la concessione della cittadinanza a tutti gli alleati italici.
L’opposizione fu vastissima e dichiarate nulle le sue leggi venne assassinato, a questo punto però la ribellione degli
Italici aveva raggiunto un limite da cui non era possibile retrocedere.

1.18 La guerra sociale


La differenza distato giuridico e sociale tra cittadini di Roma e alleati latini e italici non aveva suscitato grandi
contestazioni agli inizi del II secolo a.C. quando essa trovava riscontro in differenze etniche e culturali e quando
l’orizzonte della maggioranza della comunità era limitato a un quadro politico locale o regionale. Ma essa aveva
perso molta della sua ragione d’essere via via che l’Italia era penetrata in uno spazio mediterraneo che le conquiste
e gli scambi commerciali avevano sempre piu’ unificato e nel quale le aristocrazie sia romane che italiche
tendevano a perdere molte delle loro particolarità. La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più
vantaggiose nel corso del tempo, aumentando l’irritazione degli Italici, consci di aver ampiamente contribuito ai
successi militari di Roma. Le distribuzioni agrarie beneficiavano i soli cittadini romani, mentre gli alleati
partecipavano allo sfruttamento economico delle province, sebbene sempre in modo subalterno rispetto ai cittadini
di Roma. Non avevano parte alcuna nelle decisioni politiche, economiche e militari che pur vedevano ampiamente
coinvolti i loro interessi.
L’assassinio di Druso fu per gli alleati il segnale che non vi era altra possibilità di difendere le proprie
rivendicazioni che non la rivolta armata contro Roma. Nella capitale, non venne compresa la gravità della
situazione, approvando un provvedimento che perseguiva per alto tradimento i capi della cospirazione italica e i
cittadini romani loro complici.
La guerra fu lunga, si scontrarono fazioni armate e addestrate allo stesso modo e nello stesso tempo gli insorti si
davano istituzioni federali comuni come una capitale nel Sannio, Corfinium, ribattezzata Italica e una propria
monetazione.
Per limitare l’estensione del conflitto a Roma, con un primo provvedimento si autorizzò i comandanti militari ad
accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano ai loro ordini. Seguì la lex Iulia de civitate che concedeva la
cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e alle comunità che avessero deposto le armi.

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Appresa la notizia, Silla marciò su Roma: le truppe si sentivano più legate al proprio comandante, con cui
condividevano campagne e bottini, che allo Stato. Impadronitosi di Roma, Silla fece dichiarare i suoi avversari
nemici pubblici: Sulpicio venne eliminato, Mario fuggì alla volta dell’Africa.

2.3 Silla e la prima fase della prima guerra mitridatica


Sbarcato nell’Epiro nell’87 a.C. Silla cinse d’assedio Atene, poi presa e saccheggiata. Poi, direttosi verso la Grecia
centrale sconfisse le truppe pontiche a Cheronea e a Orcomeno, in Beozia (86 a.C.).

2.4 Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario


L’anno precedente, l’87 a.C., vide però al consolato Lucio Cornelio Cinna, che proponeva di iscrivere i neocittadini
nelle 35 tribù: venne cacciato da Roma e in Campania venne raggiunto da Mario. Roma venne presa nuovamente,
Silla dichiarato nemico pubblico e ci furono stragi atroci, delle quali furono vittime i più autorevoli sostenitori di
Silla. Mario venne eletto console insieme a Cinna nell’86 a.C.
In ordine a questo stato di cose, fu mandato un nuovo corpo di spedizione contro Mitridate in sostituzione di Silla
che non rappresentava più lo Stato romano e Cinna venne rieletto console sino all’84 a.C. dando adito ad un’ampia
opera legislativa; furono immessi nelle 35 tribù i neocittadini.
Cinna morì ucciso dai suoi stessi soldati, presso Ancona per sbarcare poi in Grecia, preparandosi ad anticipare Silla
che si apprestava a tornare.

2.5 Conclusione della prima guerra mitridatica


Nell’86 a.C. dunque due armate romane si trovarono in Grecia, l’una agli ordini di Silla, l’altra inviata da Cinna,
agli ordini di Flacco. Esse non si incontrarono mai, ricacciando Mitridate in Asia + Silla preoccupato dell’evolversi
della situazione a Roma si affrettò a sancire una pace, stipulata a Dardano, nella Troade, nel l85 a.C. a condizioni
relativamente miti: Mitridate conservava il suo regno ma doveva evacuare il resto dell’Asia + dovette versare una
forte indennità e consegnare la propria flotta.
Le ostilità in Asia tuttavia non cessarono del tutto e Lucio Licinio Murena, governatore d’Asia, lasciato da Silla a
capo dell’esercito dovette continuare a effettuare incursioni in territorio pontico, accusando Mitridate di prepararsi
a riprendere le armi. Quest’ultimo reagì alle provocazioni sconfiggendo Murena e dilagando nuovamente in
Cappadocia, fino a che i contendenti non furono fermati da un personale intervento di Silla.

2.6 Le proscrizioni; Silla dittatore per la riforma dello Stato


Sbarcato a Brindisi, in due anni Silla riuscì a prevalere sui suoi avversari, impadronendosi della Apulia, Campania
e del Piceno; sconfisse Caio Mario il Giovane e s’impadronì di Roma grazie all’aiuto di Marco Licinio Crasso.
Restavano da eliminare gli oppositori mariani in Africa e Sicilia, operazione in cui si distinse Cneo Pompeo. Poi,
per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione: elenchi di avversari politici, che
chiunque poteva uccidere.
Poi che entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti in conflitto, il senato nominò un interrex, il princeps senatus
Lucio Valerio Flacco, il quale non designò nuovi consoli ma presentò ai comizi la proposta che nominava Silla
dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae, senza alcun vincolo di durata temporale.
L’opera riformatrice di Silla che già aveva conosciuto il suo inizio nell’88 a.C. prima della guerra mitridatica,
continuò rivoluzionando a vari livelli l’ordine politico e sociale, già segnato da profondi mutamenti in ordine alla
concessione della cittadinanza agli alleati, l’aumento del numero delle province e la radicalizzazione della lotta
politica.

[ Focus on: riforme di Silla ] _________________________________________________________________________________


■ Ogni proposta di legge avrebbe dovuto ottenere il consenso del senato prima di essere sottoposta al voto
popolare.
■ I comizi centuriati dovevano divenire la sola assemblea legislativa legittima.
■ Il senato, segnato dai massacri e dalle proscrizioni, venne portato a 600 membri, con l’immissione di 300
cavalieri.

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■ Il numero dei pretori fu alzato a otto, per far fronte alle necessità della moltiplicazione dei tribunali
permanenti: tribunali, riservati ora al senato. Le competenze loro furono suddivise in modo che a ciascuno
spettasse uno solo dei principali reati:
1. estorsione e concussione (de repetundis)
2. alto tradimento (de maiestate)
3. appropriazione di beni pubblici (de peculatu)
4. broglio e corruzione elettorale (de ambitu)
5. assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficiis)
6. frode testamentaria e monetale (de falsis)
7. lesione alle persone (de iniuriis)
■ Vennero regolamentati l’ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi.
■ Furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitando il loro diritto di veto e annullando quello di
proporre nuove leggi.
■ Il pomoerium fu esteso lungo la linea tra Arno e Rubicone, comprendendo le terre italiche ove era diffusa
perlopiù la cittadinanza romana.
_______________________________________________________________________________________
Compiuta la riorganizzazione dello Stato, Silla abdico la dittatura, nel 79 a.C. si ritirò in Campania e ivi morì
l’anno seguente.

2.7 Il tentativo di reazione antisillana di Marco Emilio Lepido


Nello stesso anno (78 a.C.) il console Marco Emilio Lepido tentò di ridimensionare l’ordinamento sillano,
chiedendo il ripristino delle distribuzioni frumentarie e la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate
a favore dei coloni insediati da Silla, ma l’opposizione incontrata dai suoi progetti ebbe l’effetto di scatenare una
rivolta in Etruria. Qui egli fece causa comune coi ribelli e marciò su Roma proclamando la restituzione dei poteri al
tribunato, ma il senato agì contro di lui, attraverso l’arma del senatus consultum ultimum, ordinando di difendere lo
Stato con qualsiasi mezzo.
A Pompeo venne conferito l’imperium, senza che avesse ricoperte altre magistrature e la rivolta fu presto sedata.
Lepido fuggì in Sardegna ove morì.

Quinto Sertorio, distintosi nelle fila mariane contro Cimbri e Teutoni e nella guerra sociale, aveva raggiunto il posto
di governatore della Spagna Citeriore: là aveva creato una sorta di Stato mariano, coagulando altri esuli della sua
fazione.
Nel 77 a.C. si era congiunte lui anche le truppe superstiti di Lepido, al comando di Marco Perperna e poteva
controllare ormai tutta la penisola iberica. A Osca decisero di fondare una nuova capitale con un senato di 300
membri. Assieme a queste notizie, giunsero a Roma anche quelle di nuove scorrerie dei pirati nel Mediterraneo e la
nuova azione di Mitridate in Oriente.
Il senato ricorse nuovamente a Pompeo, affidandogli in deroga alle riforme sillane, la Spagna Citeriore con un
imperium straordinario. Contro Sertorio la situazione non si rivelò per nulla semplice, sino a che nel 74 a.C. in
seguito a dissapori nel regime del nemico furono orditi complotti contro di lui, Perperna lo assassinò a tradimento
nel 72 a.C. convinto di trarre vantaggio dalla sua azione, ma venne poi sconfitto e giustiziato da Pompeo, che
riportò l’ordine nel 71 a.C.

2.9 La rivolta servile di Spartaco


In quegli anni, 73 a.C., era scoppiata la terza grande rivolta di schiavi (dopo le due siciliane), a capo della quale si
posero due gladiatori, Spartaco e Crisso. La rivolta si estese rapidamente in tutto il sud Italia, ove gli insorti
riuscirono a tenere sotto scacco alcuni pretori e i due consoli inviati contro di loro. Tuttavia tra i ribelle mancava
completamente un piano preciso e unitario; attraversarono l’Italia sino alla Cisalpina per poi ripiegare nuovamente
a sud.
Il senato affidò un comando eccezionale a Marco Licinio Crasso, allora pretore. Egli riuscì a isolare Spartaco e i
suoi in Calabria, che vennero definitivamente sconfitti in Lucania. Di lì a poco (70 a.C.) sarebbero stati eletti
consoli Pompeo e Crasso, che portarono a compimento lo smantellamento dell’ordinamento sillano – già segnato

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da deroghe e cambiamenti, che nel corso del decennio (90-80 a.C.) aveva portato i due a ricoprire cariche
straordinarie per fare fronte alle minacce, soprattutto interne, di cui lo Stato romano risentiva.

2.11 Pompeo in Oriente; operazioni contro i pirati; nuova guerra mitridatica


Le minacce succitate presenti in Oriente, costituite dai pirati e da Mitridate acquisirono notevole consistenza nel
decennio tra l’80 a.C. e il 70 a.C.
La pirateria, sebbene eliminata in gran parte a Occidente si era tollerato che esistesse a Oriente perché trovano i
Romani trovavano un forte tornaconto nel mantenimento di una attività che alimentava i traffici di mano d’opera
schiavile verso la Penisola. Le principali basi erano situate lungo la costa dell’Asia minore, di Creta e del litorale
africano.
Il trasporto delle merci era diventato però sempre più rischioso e costoso, e per gli investitori e per i consumatori,
che pativano l’irregolarità dei rifornimenti.
Nel 74 a.C. fu inviato contro i pirati Marco Antonio (padre del triumviro) che concentrò i suoi sforzi sull’isola di
Creta, riportando però una sconfitta. Le operazioni contro Creta furono affidate nel 69 a.C. a Quinto Cecilio
Metello che riconquistò l’isola, la quale diventò provincia romana.
In quegli stessi anni, Nicomede IV lasciava in eredità la Bitinia ai Romani che deducendola come provincia,
avevano ora accesso al Mar Nero e la loro presenza mutava fortemente gli equilibri di forze in Asia: Mitridate
decise di invadere la neonata provincia.
Furono mandati contro di lui i consoli, Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo. Quest’ultimo dopo una serie
di successi occupò il Ponto, costringendo Mitridate a rifugiarsi in Armenia; terra che Lucullo invase
conquistandone la capitale Tigranocerta (69 a.C.). Da qui si spinse a nord-est verso l’antica capitale armena di
Artaxata, ma la sua marcia fu arrestata dal malcontento dei soldati. I suoi comandi furono progressivamente
revocati, sì che gli avversari ne approfittarono per riaprire le ostilità.
Nel 67 a.C. Aulo Gabinio, tribuno della plebe, propose misure drastiche contro i pirati: che fosse attribuito per tre
anni a Pompeo un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo, con pieni poteri anche sull’entroterra sino a 50
miglia dalle coste.
Pompeo cacciò rapidamente i pirati dal Mediterraneo occidentale, poi sconfitti in Cilicia. Nel 66 a.C. Caio Manilio,
un altro tribuno, propose una legge che estendesse a Pompeo anche il comando della guerra mitridatica (a favore
della quale Cicerone scriverà l’Oratio pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei).
Subentrato a Lucullo, Pompeo convinse il re dei Parti, Fraate, a impegnare Tigrane mentre egli marciava verso il
Ponto: sconfitto Mitridate, fu costretto a rifugiarsi a nord, nel Bosforo Cimmerio, ove morì nel 63 a.C. Venne
confermato a Tigrane il trono dell’Armenia ma venne privato della Siri, che diventò una provincia romana.
Pompeo proseguì in Palestina, dove conquistò Gerusalemme e dove costruì uno Stato autonomo, ma tributario,
aggregato alla provincia di Siria (63 a.C.). Pompeo rientrò a Roma e gli venne decretato il trionfo.

2.12 Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina


Durante la sua assenza a Roma si verificò una crisi: Lucio Sergio Catilina, si era arricchito durante gli eccidi
nell’età sillana, ma aveva dilapidato enorme somme di denaro per mantenere un elevato tenore di vita,
indispensabile alle esigenze d’immagine che le sue ambizioni di carriera politica richiedevano.
Prosciolto dall’accusa di concussione, si ripresentò alle elezioni consolari nel 63 a.C. essere stato respinto a quelle
del 65 a.C., ora sostenuto politicamente e economicamente da Marco Licinio Crasso. Fu eletto però console un
homo novus di Arpino, Marco Tullio Cicerone, l’accusatore di Verre e sostenitore di Pompeo, che nella campagna
elettorale aveva attaccato la corruzione e la violenza di Catilina.
Catilina non demorse e nel corso dell’anno mise a punto u programma elettorale che riteneva lo avrebbe condotto
al consolato l’anno successivo, basato sulla cancellazione dei debiti e rivolto alle classi sociali di giovani
aristocratici rovinati dalle dissipazioni e speculazioni sbagliate.
Uscì nuovamente sconfitto dalle nuove elezioni, sì che mise mano ad un’ampia cospirazione che mirava ad
eliminare i consoli e impadronirsi del potere. Il piano fu scoperto e sventato da Cicerone che poté indurre il senato
a emettere il senatus consultum ultimum e con un violento attacco lo costrinse ad allontanarsi da Roma. Cicerone

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procedette all’arresto di cinque capi della cospirazione e consultò sul da farsi il senato, trascinato dal giovane
Marco Porcio Catone (pronipote dell’antagonista degli Scipioni), che si pronunciò per la pena capitale. Cesare restò
il solo ad insistere per la patria.

Dal primo triumvirato alle idi di marzo


3.1 Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto ‘’primo triumvirato’’
Nel 62 a.C. Pompeo tornava in Italia, sbarcando a Brindisi: il senato però non lo accolse come lui stesso si
aspettava, rimandando di giorno in giorno la concessione di terre ai suoi veterani e la ratifica degli assetti territoriali
da lui decisi in Oriente.
Data Evento
88 a.C. Fine della guerra sociale + Silla invade Roma ed
estende il pomoerium + inizio della
prima guerra mitridatica.
85 a.C. Fine della prima guerra mitridatica.
83 a.C. Silla dittatore + inizio della seconda
guerra mitridatica.
82 a.C. Fine della seconda guerra mitridatica
+ Sertorio inizia ad acquisire potere in Spagna.
74 a.C. Inizio della terza guerra mitridatica.
73 a.C. Guerra servile: rivolta di Spartaco.
67 a.C. Pompeo combatte i pirati nel
Mar Mediterraneo.
66 a.C. Fine della terza guerra mitridatica.
63 a.C. Caduta di Gerusalemme + consolato
di M. Tullio Cicerone + congiura di
L. Sergio Catilina.
Deluso, si riavvicinò a Crasso e al giovane patrizio suo alleato, l’emergente Giulio Cesare, coi quali strinse un
accordo nel 60 a.C. di sostegno reciproco, chiamato comunemente, primo triumvirato. Definizione impropria,
ricavata dall’unico vero triumvirato, il secondo; si trattava infatti di un patto segreto e privato, in base al quale
Cesare sarebbe dovuto diventare console nel 59 a.C. sì che avrebbe varato una legge agraria per sistemare i veterani
di Pompeo. L’accordo fu cementato dal matrimonio fra Pompeo e Giulia, figlia di Cesare.
3.2 Caio Giulio Cesare console
L’accordo diede immediatamente i suoi frutti e Cesare fu eletto console per il 59 a.C.
Egli fece votare due leggi agrarie che prevedevano una distribuzione di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, ai
veterani di Pompeo. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per procedimenti di concussione, che ampliava la
legislazione sillana a riguardo.
Verso la fine della sua carica, il tribuno Publio Vatinio, fece approvare un provvedimento che attribuiva a Cesare
per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, con tre legioni e il diritto di nominare i propri
legati e fondare nuove colonie. Pompeo più tardi propose si aggiungere alle competenze di Cesare il governo della
Gallia Narbonese, con l’assegnazione di una quarta legione.
Data Evento
133 a.C. Riforma agraria di Ti. Gracco
121 a.C. Acquisizione della provincia della
Gallia transalpina + il senato approva il Senatus
consultum ultimum contro Caio Gracco.
112 a.C. Inizio della guerra giugurtina.
107 a.C. Caio Mario viene eletto console
105 a.C. Fine della guerra giugurtina + Cimbri
il territorio romano.
102 a.C. Caio Mario sconfigge Teutoni nella
battaglia di Aquae Sextiae.
101 a.C. Vengono sconfitti i Cimbri nella
battaglia di Vercelli

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100 a.C. Scandalo di L. Appuleio Saturnino +


ritiro dalla politica di C. Mario +
nasce Giulio Cesare.
91 a.C. Inizio della guerra sociale.
3.3 Il tribunato di Publio Clodio Pulcro
Partendo per le province, Cesare volle lasciare una spina nel fianco a coloro che gli erano risultati ostili; insieme a
Crasso e Pompeo, infatti, appoggiò la candidatura al tribunato della plebe di Publio Clodio Pulcro.
Egli fece approvare una serie di leggi:
1. Il potere dei censori di espellere membri dal senato venne limitato.
2. Nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche, adducendo l’osservazione di
auspici sfavorevoli.
3. Vennero legalizzati i collegia, associazioni private con fini religiosi di mutuo soccorso, soppresse qualche
anno prima perché ritenuti da senato, strumento di mobilitazione delle masse urbane.
4. Si comminava l’esilio a chiunque avesse condannato a morte un cittadino romano senza concedergli di
appellarsi al popolo. Cicerone, accusatore dei catilinari, era il bersaglio precipuo: insieme a lui fu fatto
allontanare da Roma anche Catone con l’incarico di rivendicare il possesso dell’isola di Cipro da Tolomeo
che vi regnava, il quale poi si suicidò.
3.4 Cesare in Gallia
Quando Cesare arrivò nelle sue province era in atto, a nord della Nabornese, una migrazione di Elvezi verso
occidente che minacciava le terre degli Edui e forse la stessa provincia romana. Cesare attaccò e sconfisse gli
Elvezi, a Bibracte, capitale degli Edui, costringendoli a retrocedere.
Gli Svevi, condotti da Ariovisto, erano passati oltre il fiume Reno, chiamati in aiuto dai Sequani, confinanti e rivali
degli Edui. I quali vennero battuti ripetutamente e diedero la possibilità a parte degli uomini di Ariovisto di
stabilirsi in una parte del territorio dei Sequani (Alsazia). Intimato al capo germanico di ritirarsi oltre il Reno, e
infranto nuovamente questo avviso, le migrazioni verso l’Alsazia ripresero – Cesare procedette contro la capitale
dei Sequani, Vesonzio, sconfiggendo l’avversario nella battaglia presso Mulhouse, nell’Alsazia superiore, e
costringendolo a oltrepassare il Reno.
Allarmate le tribù dei Begli, dalla prossimità delle legioni romane, non riuscirono però a contrastarle e Cesare
s’impadronì delle loro piazzeforti, riducendo alla resa i cantoni, prima più meridionali poi le tribù stanziate più a
nord (Nervii) – 58-57 a.C.
Conclusa questa campagna, Cesare ritornò in Cisalpina, lasciando le sue truppe accampate nei quartieri invernali
presso Vesonzio. La presenza romana nella Gallia centrale suscitò però a nord le reazioni delle tribu’ dei Belgi
allarmate dalla vicinanza delle legioni. Negli stessi anni, un legato di Cesare, Publio Licinio Crasso (figlio di..) si
spingeva verso la Normandia, sottomettendo numerose tribù della Normandia e della Bretagna. Successi dovuti
anche alla completa mancanza di organizzazione da parte nemica a condurre un’azione unitaria, ma anche grazie
alla capacità di adattare tattiche diverse, da parte di Cesare, a seconda di quello che di volta in volta la situazione
esigeva.
Nel 57 a.C. consapevole della situazione non facile nella capitale, comunicò al senato che la Gallia poteva ritenersi
pacificata, anche se metà del paese non era effettivamente ancora stata domata.

3.5 Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia


Terminato l’anno del tribunato di Clodio, i suoi avversari premevano per il ritorno di Cicerone, tra questi si trovava
Pompeo, pentitosi di non aver fatto nulla per evitare l’esilio dell’oratore e preoccupato dei crescenti successi di
Cesare in Gallia: nel 57 a.C. Cicerone rientrava a Roma.
Pompeo trovatosi in un pericoloso stallo politico, ove le sue azioni, prese di mira da Clodio e le sue bande,
rischiavano di logorare fama e prestigio, se accompagnate da un qualsiasi fallimento, accettò l’incarico che gli
conferiva poteri straordinari, per una durata di cinque anni, per provvedere all’approvvigionamento della città: cura
annonae.
Lucio Domizio Enobarbo, lasciò intendere, contro la rapida ascesa di Cesare, che se eletto nel 55 a.C. alla massima
magistratura, avrebbe proposto la revoca del suo proconsolato in Gallia.

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Cesare, dopo aver incontrato Crasso a Ravenna, nel 56 a.C. Incontrò Pompeo a Lucca e decise di accordarsi su un
progetto che lo avrebbe visto in Gallia per altri cinque anni, con l’aumento a dieci, delle legioni a sua disposizione
e i tre si sarebbero impegnati a far eleggere al consolato per l’anno 55 a.C. Pompeo e Crasso, al termine del quale
avrebbero ricevuto rispettivamente le province di Spagna e di Siria.
Sul fronte del Reno, continuò dunque la sottomissione di tribù germaniche, specie Usipeti e Tencteri, annienti nello
stesso anno; di li a poco Cesare si sarebbe spinto in Britannia.
Nel 54 a.C. oltre il canale della Manica ebbe luogo una vera e propria spedizione verso il Tamigi e la sottomissione
di parecchie tribu’ della costa. Il 53 a.C. invece trascorse nella repressione di rivolte scoppiate nelle regioni
settentrionali della Gallia.
Il 52 a.C. conobbe un grave crisi nella Gallia centro-occidentale, la quale vedeva a capo dell’insurrezione il re degli
Arverni, Vercingetorìge. Cesare, dalla Cisalpina, si precipitò in Arvernia, dove pose l’assedio al centro fortificato di
Gergovia, presso Clermont-Ferrand. In quel momento, fallita l’incursione nella città, anche gli Edui rialzarono il
capo Cesare si diresse, verso nord, per ricongiungersi col suo legato Tito Labieno – insieme si misero in marcia
contro Vercingetorìge, il quale rifiutando ogni battaglia campale, si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia. Dopo un
lungo assedio, la roccaforte capitolò: Vercingetorìge fu inviato a Roma, ove sei anni dopo sarebbe stato fatto sfilare
dinanzi il carro trionfale di Cesare per poi essere decapitato ai piedi del Campidoglio.
Dal 51 a.C. Cesare provvide per proprio conto, senza quindi alcuna istruzione da parte del senato, a dare un primo
ordinamento alla nuova provincia romana: la Gallia Comata.

3.6 Crasso e i Parti


Nel 54 a.C. un’altra importante vicenda si era costituita presso il regno dei Parti, ove Crasso aveva cercato di
inserirsi nella contesa dinastica allora in atto, per poter conferire anche a se stesso quella fama di cui godevano
Pompeo e Cesare.
Nel 53 a.C. senza ascoltare consigli da parte dei suoi legati e del re d’Armenia, si mise in marcia attraverso le
steppe della Mesopotamia, senza per giunta aver ottenuto sufficienti informazioni sui luoghi e il modo con cui
avrebbe affrontato i nemici. Venuti a contatto con l’esercito dei Parti, i Romani furono travolti, lo stesso figlio di
Crasso, morì in battaglia. Elemento di ancor più grave umiliazione fu la perdita delle aquile di sette legioni; fu una
delle più pesanti sconfitte mai patite da Roma. Anche la provincia di Siria si trovò minacciata.
Vendicare l’oltraggio di questa episodio divenne un imperativo della politica romana tardorepubblicana, da Cesare
ad Antonio. Mentre si ritirava, Crasso fu preso e ucciso.

3.7 Pompeo console unico; guerra civile tra Cesare e Pompeo


Nel 54-53 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che univano Pompeo a Cesare. Dopo la
morte di Crasso e la morte della moglie Giulia, Pompeo iniziò ad accostarsi in misura sempre più accentuata alla
fazione ottimate anticesariana. Nel 53 a.C. inoltre, non si era riusciti a eleggere i due consoli e fu proposto di
nominare Pompeo dittatore.
L’anarchia l’anno seguente raggiunse il proprio apice: sulla via Appia, le bande armate di Clodio, che aspirava alla
pretura, si scontrarono con quelle di Milone, candidato al consolato – il primo dei due perse la vita. Per evitare
ulteriori tumulti, Pompeo venne eletto console senza collega; fece votare leggi repressive in materia di violenza (de
vi) e di broglio elettorale (de ambitu) che consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio,
sebbene precario.
Gli avversari di Cesare premevano per il suo ritorno a Roma, sostenendo la revoca del proconsolato, per poterlo poi
accusare, da privato cittadino, circa il modo e i metodi con cui aveva condotto la guerra, nonché in merito alla
legittimità della guerra stessa.
Cesare per evitare procedimenti contro di sé, avrebbe dovuto rivestire il consolato senza interruzioni al
proconsolato. Doveva presentare la sua candidatura restando assente da Roma, cosa che poté realizzare grazie a una
legge ad personam, che i dieci tribuni della plebe avevano fatto votare nel 52 a.C.
Per contro Pompeo proponeva un provvedimento che prescriveva un intervallo di cinque anni tra una magistratura
e una promagistratura.
Dal 51 a.C. cominciò fra Cesare e i suoi avversari una lotta a colpi di cavilli e espedienti giuridici, tesa a
raggiungere, da parte di Cesare, l’estensione del suo comando fino a tutto il 49 a.C. per poi potersi candidare al

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consolato del 48 a.C. “in assenza”; mentre da parte dei suoi oppositori, l’immediata sostituzione di Cesare già dal
50 a.C. Con la nuova procedura diveniva molto piu’ facile rimpiazzare Cesare, grazie ad essa il suo successore al
governo della provincia poteva essere scelto in ogni momento fra quelle persone che avessero occupato una
magistratura quinquennale o in piu’ anni prima.
Nel 50 a.C. per cercare di mettere fine ai continui colpi di contese interpretative, un tribuno, Caio Scribonio
Curione, propose che si abolissero contemporaneamente tutti i comandi straordinari, e di Cesare, e di Pompeo. Lo
stesso anno il senato si pronunciò a larga maggioranza a favore della deposizione della cariche dei due proconsoli.
Nel 49 a.C. Cesare dichiarava che sarebbe stato disposto a deporre il suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto,
i suoi avversari insistettero e ottennero perché fosse lui ad abdicare unilateralmente le sue cariche. Il senato votò il
senatus consultum ultimum contro Cesare, affidando a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Appresa questa
decisione Cesare, varcò in armi il torrente Rubicone, dando così inizio alla guerra civile.
Pompeo e molti dei senatori, con l’aggiunta dei consoli abbandonarono la città diretti a Brindisi, per imbarcarsi
verso Oriente.
Cesare adducendo a propria giustificazione la tutela dei diritti del popolo e della propria dignitas, percorse
rapidamente l’Italia, ma non riuscì a fermare il trasferimento in Grecia che i suoi avversari si accingevano a
preparare. Cesare affrontò quindi la minaccia delle forze pompeiane in Spagna con le sue truppe concentrate in
Gallia – assali dunque i pompeiani presso Ilerda, che vennero sconfitti.
Tornato a Roma, rivestì la carica che Marco Emilio Lepido gli aveva fatto conferire in sua assenza, di dittatore al
solo scopo di convocare i comizi elettorali, i quali lo elessero console per l’anno 48 a.C.
Mentre Pompeo stabiliva il suo quartier generale a Tessalonica, le sue navi battevano l’Adriatico per impedire
eventuali sbarchi di Cesare – il quale compì la traversata in inverno, riuscendo a traghettare le sue legioni, per poi
porre sotto assedio Durazzo, ma fu respinto.
Avanzò verso la Tessaglia, inseguito da Pompeo, che poteva contare su un consistente esercito al suo seguito. Lo
scontro ebbe luogo a Farsalo nell’agosto del 48 a.C. e si tradusse nella disfatta pompeiana, al seguito della quale
Pompeo fuggì in Egitto, contando di trovare rifugio presso i figli di Tolomeo XII Aulete – nel regno era però in
corso una contesa dinastica fra Tolomeo XIII e Cleopatra VII, così i consiglieri del re, giudicando compromettente
accogliere Pompeo, lo fecero assassinare.
Cesare, giunto ad Alessandria, compianse la misera fine del rivale, trattenendosi oltre un anno allo scopo di
dirimere le lotte tra i due fratelli e di assicurarsi l’appoggio di quel ricchissimo regno. Assediato dei partigiani di
Tolomeo, Cesare affrontò in battaglia il re che fu rovinosamente sconfitto e trovò la morte nel Nilo. Partito Cesare,
Cleopatra fu confermata regina d’Egitto e diede alla luce suo figlio, Tolomeo Cesare.
Lo stesso anno, il 47 a.C., Farnace, figlio di Mitridate, aveva tentato di approfittare della situazione, per recuperare
i territori paterni. Cesare marciò senza indugi verso di lui, sconfiggendolo a Zela, nel Ponto.
In seguito, partì alla volta dell’Africa, dopo aver sostato brevemente a Roma, per far fronte ai pompeiani vinti, che
si erano assicurati l’appoggio di Giuba, re di Numidia. Nel giro di pochi mesi, Cesare conseguì una vittoria
definitiva a Tapso e suicidatosi Giuba, il suo regno divenne una nuova provincia romana, chiamata Africa nova.
A Roma, celebrò i trionfi sulla Gallia, sull’Egitto, su Farnace e Giuba e verso la fine dell’anno riparti per la Spagna
dove i suoi avversari avevano rialzato il capo sotto la guida dei figli di Pompeo, Cneo e Sesto. Nel marzo del 45
a.C. a Munda, l’esercito nemico fu distrutto, solo Sesto Pompeo si salvò con la fuga. Cesare ormai padrone della
situazione, poteva tornare a Roma a completare la sua opera di riorganizzazione politica.

3.8 Cesare dittatore perpetuo


Tornato a Roma, poté continuare la sua opera di riorganizzazione politica, già anticipata negli anni precedenti,
specie quando nel 46 a.C. ricoprendo il suo terzo consolato (dopo il 59 e il 48 a.C.) gli venne conferita la dittatura,
rei publicae constituendae, per riformare lo Stato, che avrebbe rivestita per dieci anni.
Nel 45 a.C. seguì il quarto consolato e il quinto l’anno successivo, a partire dal quale assumeva inoltre in titolo di
dittatore a vita (dictator perpetuus).
Nel corso degli anni si era aggiunta una serie di poteri straordinari, alla quale si accompagnava la rivestitura di
magistrature supreme – gli venne infatti assegnata la potestà tribunizia (aveva tutte le prerogative dei tribuni, pur
essendo un patrizio), a qui si aggiungevano l’inviolabilità personale e il diritto di veto.

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Aveva il potere di dichiarare guerra o intavolare trattative di pace, senza consultare il senato o il popolo e quello di
assegnare le provincie ai propri legati e inoltre gli vennero offerti gli onori del primo posto in senato, del titolo di
imperator (detentore dell’imperium) a vita e quello di padre della patria (parens patriae).
Già dal 49 a.C. aveva messo mano ad un vastissimo insieme di riforme.

[ Focus on: riforme di Cesare] __________________________________________________________________


■ Perdono e richiamo in patria di tutti gli esuli e condannati politici.
■ Furono accolte facilitazione ai debitori per il pagamento di canoni arretrati e per le modalità di rimborso
dei prestiti.
■ Diritto di ottenere la cittadinanza romana venne esteso alla Transpadana.
■ Il senato fu portato da 600 a 900 membri, con l’immissione di un grande numero di cesariani.
■ Vennero aumentato, se non raddoppiato, il numero di magistrati che ricopriva una medesima carica:
garantendo in tal modo maggiori possibilità di carriera politica ai sostenitori dell’imperator.
■ Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano e il numero dei beneficiari fu ridotto tramite il
depennamento degli “abusivi”.
■ Venne realizzato un vasto programma di colonizzazione per decongestionare Roma + venne fornito lavoro
alla mano d’opera con attività di ristrutturazione urbanistica ed edilizia alla città.
■ Lex Iulia municipalis – furono riordinate le norme di governo e di amministrazione pubblica dei municipi
e di Roma.
___________________________________________________________________________ [altre a pag. 160 ]

L’eccessiva concentrazione di
poteri, il moltiplicarsi di onori
senza precedenti, taluni
atteggiamenti suoi e dei suoi più
stretti collaboratori, parvero
rivelare un’inclinazione verso la
regalità, tanto che si arrivarono ad
allarmarsi non solo gli ex
pompeiani e senatori colpiti nei
loro interesse, ma anche alcuni
degli stessi sostenitori di Cesare.
Tra il 46 e il 44 a.C. il senato fu
portato da seicento a novecento
membri con l’immissione di un
gran numero di seguaci di Cesare.
Fu parimenti aumentato da venti a
quaranta il numero dei questori, da
quattro a sei quello degli edili, da otto a sedici quello dei pretori: venivano cosi garantite in tal modo maggiori
possibilita’ di carriera politica ai suoi sostenitori. Furono introdotte sanzioni piu’ severe nei confronti di quanti si
fossero resi colpevoli di malversazioni e venne rivisto il sistema tributario provinciale. Fu regolamentata la durata
dei governatori, limitandola ad un anno per i propretori, a due per i proconsoli. Vennero disciolte le associazioni
popolari che tanto avevano contribuito ai torbidi degli anni precedenti riportando i collegia alle loro funzioni
originarie di corporazioni religiose o di mestiere. Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano, ma il
numero di beneficiari che era lievitato considerevolmente, fu ridotto tramite il depennamento degli abusivi e
l’introduzione di un numero chiuso di aventi diritto. Fu realizzato un vasto programma di colonizzazione e
distribuzione di terre per i numerosissimi veterani di Cesare e tra i cittadini meno abbienti, in parte in Italia ma
soprattutto nelle province (Spagna, Gallia, Africa, Asia, Grecia).

3.9 Le idi di marzo

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Nel 44 a.C. mentre si prepara la campagna contro il regno dei Parti, a Roma venne messa in giro la voce che
quest’ultimo sarebbe potuto essere vinto solo da un re, alimentando i sospetti di aspirazione monarchiche da parte
di Cesare. Fu ordita una congiura, guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto, prima
della sua partenza per l’impresa partica: alle idi di marzo del 44 a.C. Cesare cadde trafitto dai pugnali dei
cospiratori nella curia di Pompeo, in Campo Marzio, dove doveva presiedere una seduta del senato.

Agonia della repubblica


4.1 L’eredità di Cesare; la guerra di Modena
Eliminato Cesare, i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare i suoi principali collaboratori, Marco Emilio
Lepido e il collega al consolato del 44 a.C. Marco Antonio, uno dei suoi più fidati luogotenenti.
Mostrarono la totale mancanza di un programma che andasse oltre l’omicidio del dittatore e di una generica
proclamazione della libertà repubblicana, fino a quel momento minacciata.
Fu stabilito che, dopo il consolato, ad Antonio sarebbe toccata la Macedonia, dove si stavano concentrando le
truppe sul fronte partico, e la Siria a Publio Cornelio Dolabella – prima destinato a sostituire Cesare, quando si
sarebbe assentato per condurre la guerra contro i Parti.
Nella politica di compromesso inaugurata da Antonio, e ratificata dal senato, trovavano spazio anche i congiurati
cui sarebbe spettato il governo di alcune provincie, tra cui la Gallia Cisalpina.
La dittatura fu abolita dalle cariche di Stato e Antonio approfittò del possesso delle carte di Cesare (testamento e
documenti) per varare nel corso dell’anno una serie di progetti che gli valsero una grande popolarità, facendone
l’unico interprete della volontà di Cesare e il continuatore spirituale.
Alla lettura del testamento, si scoprì che era stato nominato suo erede effettivo per tre quarti dei beni, suo figlio
adottivo, il giovane Caio Ottaviano, suo pronipote.
Alla morte del dittatore, il futuro erede si trovava ad Apollonia, fra i soldati che stavano affluendo per la campagna
partica, per completare la propria istruzione e attendere l’arrivo del prozio, che intendeva averlo come magister
equitum (luogotenente del dittatore, cui veniva assegnato un imperium) nell’impresa.
Tornato a Roma, reclamò ufficialmente l’eredità e onorò gli ingenti lasciti di denaro previsti + la celebrazione della
memoria del padre adottivo e la vendetta della sua uccisione concentrò in tal modo su di sé, l’appoggio dei
cesariani e dei veterani, altri videro in lui un modo per arginare il potere di Antonio, sempre crescente.
Quando, alla fine del suo consolato, Antonio si era fatto assegnare al posto della Macedonia le due province della
Gallia Comata e Cisalpina, Decimo Bruto rifiutò di cedergliela e si rinchiuse a Modena, assediata da Antonio –
“guerra di Modena” (43 a.C.) – il senato, nel frattempo, ordinò ai consoli, Aulo Irzio e Caio Vibio Pansa, di
muovere soccorso a Decimo Bruto (non senza una considerevole spinta di Cicerone, che accusava Antonio della
sua condotta prevaricatrice). I consoli morirono nello scontro.
Antonio, battuto, fu costretto a ritirarsi verso la Narbonese, dove contava di unire le sue forze a quelle di Lepido.

4.2 Il triumvirato costituente (cosiddetto ‘’Secondo triumvirato’’) le proscrizioni; Filippi


Dopo che entrambi i consoli erano scomparsi, Ottaviano chiese al senato il consolato per sé e ricompense per i suoi
soldati. Al rifiuto non esitò a marciare su Roma, sì che nel 43 a.C. venne eletto console, insieme al cugino Quinto
Pedio. Istituirono un tribunale speciale per perseguire gli assassini di Cesare + Ottaviano fece ratificare la sua
adozione dei comizi curiati, fregiandosi del nome di Caio Giulio Cesare (non usò mai il cognome Ottaviano).
Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico, in occasione della guerra di
Modena, nell’ottobre di quell’anno, Ottaviano, Antonio e Lepido s’incontrarono nei pressi di Bologna, dove
stipularono un accordo, poi fatto sancire da una legge votata dai comizi tributi (lex Titia), in base alla quale:
• Veniva istituito un triumvirato rei publicae constituendae, che diventava una magistratura ordinaria (detto
triumvirato costituente o secondo triumvirato) per una durata di cinque anni, fino al 38 a.C.
• Conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo + designare i candidati alle magistrature.
• Antonio avrebbe conservato il governo della Galli a Comata e Cisalpina.
• Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le Spagne
• Ottaviano avrebbe ottenuto l’Africa, la Sicilia e la Sardegna, la Corsica (l’Oriente era in mano ai
cesaricidi , Bruto e Cassio).

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Ad Ottaviano spettò la parte peggiore: Sicilia e Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo, sopravvissuto alla
guerra in Spagna, a cui il senato aveva conferito il comando delle forze navali, che gestiva ormai in modo proprio.
Vennero create delle liste di proscrizione, coi nomi dei cesaricidi e dei nemici ai triumviri, primo fra questi,
Cicerone. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati.
Sistemata la situazione politica a Roma, i triumviri poterono dirigersi verso Oriente alla volta di Bruto e Cassio, ma
prima si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto: ne beneficiò Ottaviano, che divenne
Divi filius.
Lo scontro coi cesaricidi, avvenne a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. Da un lato Ottaviano si trovò subito in
difficoltà, dall’altro Antonio vinse Cassio e poi Bruto, entrambi suicidatisi.
In quel tempo, inoltre, a causa della decimazione per le liste di proscrizione e i disordini interni, si realizzò un
mutamento radicale nella composizione e nella mentalità delle élites di governo, che contavano molte meno
famiglie della più antica aristocrazia e la mancanza di una grossa parte dell’opposizione senatoria, più
conservatrice.

4.3 Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi,
di Miseno e di Taranto; Nauloco
Antonio, uscito vincitore dagli scontri coi cesaricidi, poté cumulare al comando sulle Gallie, anche quello su tutto
l’Oriente, da cui intendeva intraprendere un piano di conquista del regno partico come fedele continuatore
dell’opera di Cesare. A Lepido fu assegnata l’Africa; Ottaviano ebbe le Spagne + il compito di sistemare i veterani
delle legioni congedate e il confronto con Sesto Pompeo, a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di
Filippi.
Ottaviano fu costretto ad espropriare numerose terre in Italia da poter assegnare ai veterani, per cui furono colpiti
piccoli e medi proprietari terrieri. Le proteste sfociarono nel 41 a.C. in una rivolta con a capo Lucio Antonio e
Fulvia (fratello di Antonio e console + moglie di Antonio): gli insorti si rifugiarono a Perugia, città che venne
espugnata e saccheggiata (Bellum Perusinum), molti
fuggirono a infoltire le fila di Sesto che s’era impadronito di Sardegna e Corsica, impedendo i rifornimenti di Roma
e dell’Italia. Ottaviano inoltre aveva potuto appropriarsi delle Gallie, ove era morto il legato di Antonio.
In questo stato di cose, si profilava un’alleanza fra Antonio e Sesto, ad arginare il potere di Ottaviano, il quale si
legò a Scribonia, figlia di Lucio Scribonio Libone, suocero di Sesto Pompeo (40 a.C.). Antonio si mosse dunque
dall’Oriente, per giungere a Brindisi dove incontrò Ottaviano: i due sottoscrissero un’intesa (“accordo di Brindisi”)
in forza della quale ad Antonio veniva affidato l’Oriente, ad Ottaviano l’Occidente e a Lepido l’Africa. Il patto fu
coronato anche dal matrimonio dal vedovo Antonio colla sorella di Ottaviano, Ottavia.
Sesto, che non venne preso in considerazione negli accordi di Brindisi, giunse ben presto a far sentire la sua
disapprovazione bloccando le forniture di grano a Roma, creando scarsità di viveri e forte malcontento. Antonio
dovette tornare nuovamente dalla Grecia (39 a.C.) per stringere con Ottaviano, l’accordo di Miseno: Sesto Pompeo
si vedeva riconosciuto il governo di Sicilia, Sardegna e Corsica + venne nominato àugure e designato per il futuro
consolato. Antonio non concesse di buon grado il Peloponneso a Sesto però, e questo creò le condizioni per le
quali, quest’ultimo decise di riprendere le scorrerie contro l’Italia.
Ottaviano, ripudiò Scribonia, e sposò Livia Drusilla, divorziata da Ti. Claudio Nerone, che portava con se nelle
nuove nozze, i figli di primo letto, Tiberio e Druso.
Perse la Sardegna e la Corsica che il luogotenente di Sesto aveva consegnato a Ottaviano, iniziò la lotta per il
possesso della Sicilia, che l’erede di Cesare incominciò con una sconfitta, a causa della quale chiese aiuto ad
Antonio, concludendo con lui l’accorto di Taranto (37 a.C.) – il triumvirato venne prolungato per altri cinque anni,
sino al 32 a.C. + Ottaviano avrebbe ricevuto 120 navi da guerra, mentre Antonio 20 mila legionari per la campagna
partica.
Nel frattempo Marco Vipsanio Agrippa, console lo stesso anno, e amico di Ottaviano, aveva fatto costruire un
porto militare presso Pozzuoli, dove aveva riunito una consistente flotta, con la quale inferse una duplice e
definitiva sconfitta a Milazzo e Nauloco. Sesto Pompeo, fuggito in Oriente, morì l’anno successivo, assassinato.
Lepido che aveva preso parte con Ottaviano alle operazioni, rivendicò per sé il diritto del possesso dell’isola, ma le
sue truppe lo abbandonarono e ad Ottaviano non fu difficile farlo dichiarare decaduto dai poteri di triumviro e
impossessarsi dell’Africa (conservava solo la funzione di pontefice massimo, che rivestì fino alla morte).

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Ormai padrone dell’Occidente ad Ottaviano non mancava altro che la gloria militare, che si procacciò grazie ad
Agrippa, attraverso due anni di campagne contro gli Illiri in Pannonia.

4.4 Antonio in Oriente


In questi anni, sull’altro versante del governo dello Stato, stava Antonio che in Oriente sperava di portare a termine
le campagne che lo avrebbero coperto di fama, per aver vendicato la sconfitta di Crasso.
Si preoccupò di stringere alleanze coi re e principi orientali, specie con il regno più potente allora, l’Egitto –
dall’unione con Cleopatra nacquero poi due gemelli.
Nel 40 a.C. i Parti intanto, invadevano la Siria; attacchi cui Antonio non poté rispondere con prontezza perché
richiamato in Italia dalla guerra di Perugia e dagli accordi di Brindisi.
Nel 37 a.C. dopo che i Parti furono ricacciati al di là dell’Eufrate, si aprì una crisi dinastica proprio nel loro regno,
ma Antonio dovette recarsi nuovamente in Italia per il rinnovamento del triumvirato, a Taranto.
Nel 36 a.C. diede avvio alla spedizione partica, ma in seguito non riuscì a prendere la città di Fraata, e fu costretto
dall’arrivo dell’inverno a ritirarsi. Nel 34 a.C. riuscì a conquistare solamente l’Armenia, ma l’anno precedente si
consumò la definitiva rottura con Ottaviano: quest’ultimo inviò invece di 20 mila legionari, solo 2 mila uomini,
accompagnati dalla sorella Ottavia – la provocazione servì a rimandare indietro la moglie. Ottaviano così offeso, la
sorella oltraggiata e scacciata per un’amante orientale. Antonio celebrò la conquista dell’Armenia con una festosa
cerimonia ad Alessandria confermando a Cleopatra e a Tolemeo il trono dell’Egitto, di Cipro e della Celesiria e
attribuendo altri territori ai figli da lui avuti con Cleopatra.

Data Evento
60 a.C. Cesare stringe con Pompeo
e Crasso, l’accordo noto come
“primo triumvirato”
58 a.C. Cesare inizia la guerra gallica
56 a.C. Accordi di Lucca
54/ Prima campagna contro i Parti
53 a.C. + Crasso viene ucciso
49 a.C. Cesare varca il Rubicone
46 a.C. Battaglia di Tapso
45 a.C. Battaglia di Munda
44 a.C. Cesare dittatore perpetuo + viene
assassinato alle idi di marzo.
43 a.C. Ottaviano, Marco Antonio e Lepido
sanciscono il “secondo triumvirato”
42 a.C. Battaglia di Filippi
40 a.C. Bellum Perusinum
37 a.C. Accordi di Taranto
36 a.C. Battaglie di Milazzo e Nauloco +
deposizione di Lepido dalla carica
di triumviro.
32 a.C. Ufficiale rottura fra Ottaviano e
Marco Antonio + dichiarata guerra
contro Cleopatra
31 a.C. Battaglia di Azio
30 a.C. Presa di Alessandria + morte di
Antonio e Cleopatra
4.5 Lo scontro finale; Azio
Nel 32 a.C. il triumvirato si avviava verso la naturale scadenza: i consoli Cneo Domizio Enobarbo e Caio Sosio
chiesero la ratifica delle decisioni di Antonio prese in Oriente, ma Ottaviano ne impedì l’approvazione al senato
così entrambi i consoli e 300 senatori abbandonarono l’Italia, rifugiandosi presso Antonio.
Il prestigio del triumviro accresceva in questo modo, ma dall’altro lato Ottaviano, riuscito ad impossessarsi del
testamento del rivale, rivelò che desiderava essere sepolto ad Alessandria con Cleopatra e attribuiva regni ai figli

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avuti con la regina. Ottaviano invece faceva costruire la sua tomba in Campo Marzio, restando più vicino e fedele
a Roma e riuscì a ottenere la caduta della carica di triumviro per Antonio e la negazione del suo consolato, stabilito
per l’anno seguente.
Presentandosi come il difensore di Roma e dell’Italia, Ottaviano si avviò a dichiarare guerra a Cleopatra,
indicandola come nemico, evitando in tal modo che si aprisse almeno formalmente una seconda guerra civile.
Ad Azio, nel settembre del 31 a.C. Agrippa vinse una battaglia navale per conto di Ottaviano, che consegnava lui la
vittoria della guerra; la quale costrinse Antonio e Cleopatra a rifugiarsi in Egitto. Ottaviano giunse allora sino ad
Alessandria, che presa, conobbe il suicidio della regina e del generale romano. L’Egitto fu dichiarato provincia
romana.

Parte quarta
L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo
Augusto
1.1 Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del Principato
Nel 31 a.C. dopo la vittoria conseguita ad Azio su Antonio, si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano;
tuttavia la conclusione delle guerre civili lasciava aperta la spinosa questione della veste legale da dare al potere
personale del vincitore. La morte di Cesare aveva infatti decretato il fallimento di un regime apertamente
monarchico che rinnovasse le istituzioni repubblicane.
La soluzione adottata dal suo erede, restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nella sostanza, permise invece
l’instaurazione del Principato che convenzionalmente si fa risalire al 31 a.C. – voleva dire un regime istituzionale
incentrato sulla figura di un unico reggitore del potere, il princeps.
La progressiva integrazione in senato di élites delle diverse regioni dell’Impero e il ruolo politico e sociale degli
eserciti stanziati nelle province permetteranno la costruzione di una “storia romana” come “storia dell’Impero”
intesa come storia del rapporto e dell’integrazione di territori e popolazioni rispetto al centro di potere.

1.2 Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe: la restaurazione della Repubblica del
27 a.C.
Nel 29 a.C. quando Ottaviano tornò in Italia gli vennero decretati tre trionfi: per le campagne dalmatiche, la vittoria
ad Azio e la vittoria sull’Egitto. L’inizio del riconoscimento giuridico della nuova forma istituzionale si ebbe però
solo nel 27 a.C. quando Ottaviano, il 13 gennaio, in una seduta del senato, rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri
straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle province non pacificate. Qualche giorno
più tardi il senato lo proclamò “Augusto”, epiteto che lo sottraeva dalla sfera politica per proiettarlo direttamente in
quella sacrale + gli donarono la corona civica e uno scudo d’oro, che fu appesa nell’aula del senato, sul quale erano
elencate le virtù di Augusto: virtù – clemenza – giustizia – pietà verso gli dèi e verso la patria.
Nel Res Gestae scrisse: “Successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore
a quello degli altri che mi furono colleghi nelle magistrature”.
La nuova organizzazione dello Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più
adeguate. Il principe si poneva come punto di riferimento e equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà,
che ora poteva chiamarsi “imperiale”: l’esercito, le province, il senato, la plebe urbana.

3. La crisi del 23 A.C.


Augusto alternerà dei periodi triennali di permanenza nelle province a periodi biennali di permanenza a Roma,
anche per mostrare l’impegno nel compito assegnatoli di pacificare le province che ancora non erano
completamente sottomesse al dominio romano.
Nel 23 a.C. si verificò una crisi, Augusto si ammalò seriamente e non pochi furono i problemi che venivano a
crearsi circa la questione della successione del principe. Il regime presupponeva che alla testa dello Stato ci fosse
un monarca, ma la mancanza di precedenti e di prassi per la successione creavano i presupposti per un vuoto di
potere.
Augusto pensò al genero Marcello, marito di sua figlia Giulia. Questi però morì e la vedova fu data in moglie ad
Agrippa, che divenne il successore designato. Augusto non mancò di “consegnare” formalmente il suo potere

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attraverso i simboli di esso (il suo anello e la lista delle sue legioni) ad Agrippa e al console quell’anno in carica,
mostrandosi giusto anche in punto di morte.
Il problema della successione non costituì un problema, dal momento che Augusto guarì e almeno per il momento
la situazione poteva restare come stabilita. Una vicenda, quest’ultima, che narra l’imprecisione dei poteri imperiali
fino a quel momento stabiliti.
Dopo aver deposto il consolato nel 27 a.C. ottenne l’imperium proconsolare, con la possibilità di agire su tutte le
province: un potere, definito imperius maius, che però non gli consentiva di agire nella vita politica a Roma. Per
ovviare a questo inconveniente ricevette dal senato il potere di tribuno della plebe, vitalizio, godendo della
sacrosanctitas e della possibilità di convocare i comizi e porre il veto.
Le elezioni del consolato, rimasto libero dal 27 a.C. avevano potuto riprendere con regolarità, lasciando posto
all’aristocrazia senatoria, sebbene Augusto poteva controllarle attraverso due procedure, la nominatio
(l’accettazione della candidatura da parte del magistrato) e la commendatio (la raccomandazione da parte
dell’imperatore stesso).

1.4 Il perfezionamento della posizione di preminenza


Nel 22 a.C. in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittatura e assunse la cura annonae, provvedendo
all’approvvigionamento di Roma + in questi anni si reca sul confine orientale, ove attraverso una trattativa
diplomatica riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio.
Nel 18 a.C. scadeva l’imperium proconsolare di Agrippa, che fu però rinnovato di 5 anni e ricevette la tribunicia
potestas + sempre in questi anni nascevano i figli che aveva avuti da Giulia e che Augusto adottò.
Si definì meglio il potere di Augusto in questi anni, che ricevette la sella curulis propria dei consoli e il rinnovo
dell’imperium proconsolare per 5 anni, dopo la scadenza del mandato sulla pacificazione delle provincie.
Quando morì Lepido, nel 12 a.C. Augusto assunse anche la carica di pontefice massimo, ma l’ultima espressione di
riconoscimento ufficiale della sua posizione di preminenza fu il conferimento del titolo di pater patrie, che gli
attribuirono nel 2 a.C.

1.5 I ceti dirigenti (senatori ed equites)


L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio, insieme alle altre prerogative che esaltavano la
figura di Augusto, crearono, a fianco dell’ordinamento repubblicano un potere personale non riconducibile alla
somma delle magistrature repubblicane da cui esso era costituito.
In questo stato di cose, molte furono le variazioni che diversi organi politici e istituzionali subirono o che avevano
subito nel corso degli anni precedenti; fra questi il senato, da 600 era giunto ad avere più di 1000 membri, dopo
l’ingresso di numerosi sostenitori di Cesare Augusto volle ripristinare la dignità e il prestigio dell’assemblea
senatoria, favorendo l’accesso di élites provinciali, fortemente romanizzate.
Nel 29-28 a.C. procedette alla lectio senatus, revisione delle liste senatorie, espellendo dall’assemblea le persone la
cui origine e il censo non corrispondevano agli standard previsti.
Più tardi, nel 18 a.C. condusse una più radiale revisione, riportando il numero di senatori ai 600 previsti da Silla.
I senatori si distinguevano dagli equites solo per aver intrapreso una carriera politica, che assicurava loro l’ingresso
in senato e avevano la possibilita’ di mostrarlo esteriormente portando il laticlavio, una larga striscia color porpora
sulla toga. In taluni casi Augusto stesso poteva concedere il diritto ad entrare in senato a chi non apparteneva a una
famiglia senatoria. Naturalmente era necessario rivestire una magistratura. In questo modo Augusto realizzò una
distinzione netta tra ordo equester e senatus, creando un vero e proprio ordo senatorius, non vincolato alla
partecipazione effettiva al senato, ma formato dalle famiglie senatorie, da cui l’assemblea poteva reintegrarsi in
modo consistente. D’altra parte anche l’appartenenza all’ordo equester fu codificata attraverso principi generali e
appositi senatoconsulti: anche in questo caso l’intervento del principe poteva essere determinante per accedere al
ceto equestre. I senatori dettavano tutte le piu’ importanti magistrature a Roma e le maggiori posizioni di comando
civile e militare in provincia. Poiché il loro numero non era sufficiente, vennero impiegati anche dei membri
dell’ordine equestre oltre che in ambito giudiziario e negli appalti pubblici.

1.6 Roma, l’Italia, le provincie

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Augusto concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel Foro romano. Nel vecchio Foro repubblicano Augusto fece
costruire un tempio per Cesare divinizzato. Costruì inoltre un nuovo Foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio
di Marte Ultore, nei cui rilievi e statue si celebrava la famiglia Giulia a partire dalla sua mitica ascendenza dell’eroe
troiano Enea. Trasformò poi l’aspetto del Campo Marzio, edificandovi tra l’altro il Pantheon e il suo mausoleo, un
complesso architettonico che occupava tutta la parte settentrionale del Campo Marzio, in cui, attraverso immagini
e iscrizioni veniva celebrata l’opera del princeps. Davanti al mausoleo erano infatti incise sui pilastri di bronzo le
Res Gestae di Augusto. Durante il principato di Augusto furono costruiti o restaurati anche molti edifici pubblici,
acquedotti, terme, teatri e mercati e ci si preoccupò dell’organizzazione di servizi importanti per
l’approvvigionamento alimentare e idrico e per la protezione dagli incendi e dalle inondazioni. La restaurazione di
Augusto giunse ad occuparsi non solo della politica e dell’assetto istituzionale di Roma, ma anche della
razionalizzazione dei servizi e di un’azione monumentale, per la quale concentrò l’attività edilizia nel Foro, dove
completò i programmi del padre adottivo. Notevoli furono anche le restaurazioni di ponti, acquedotti, terme, teatri
e mercati.
Nell’8 a.C. poi, Augusto istituì un servizio stabile, che avrebbe provveduto al rifornimento granario delle provincie,
con a capo un prefetto, praefectus annonae.
L’Italia non fu toccata da riforme amministrative, venne divisa in undici regioni, che servivano per censimento
delle persone e delle proprietà, ma non vi erano funzionari amministrativi responsabili di tali divisioni.
Per quanto riguarda l’impegno con i territori fuori dalla Penisola, che quindi ricadevano sotto la responsabilità
diretta di Augusto (ci riferiamo alle provincie che intendeva pacificare): furono scelti tra i senatori di rango pretorio
o consolare dei legati Augusti pro praetore, che avrebbero governato le provincie con un numero più o meno
elevato di legioni, lì stanziate.
Esercito, distribuito perlopiù nelle provincie dunque e che nel corso degli anni immediatamente precedenti non era
stato esente da modifiche, in ordine con la successione di eventi e di cambiamenti che Augusto portò con sé.
L’indomani di Azio, infatti, gli uomini impegnati nell’esercito erano di molto superiori alle necessità e ai mezzi
dell’Impero + la loro paga gravava sulla cassa dello Stato, l’aerarium Saturni, in cui confluivano le
regolari imposte delle provincie.

1.7 L’esercito, la ‘pacificazione’ e l’espansione – 1.8 La successione


Furono congedati 300 mila veterani, che ricevettero perlopiù terre e in seguito denaro – la
creazione di una cassa speciale nel 6 d.C., erario militare, finanziata dai proventi di una
tassa sulle eredità, garantì al soldato che avesse ottenuto l’honesta missio, un premio di congedo.
Un’altra innovazione fu l’istituzione della guardia pretoriana – un corpo militare d’élite, composto da 9 mila
uomini, che godeva di privilegi quali un soldo più elevato e migliori condizioni di servizio, essendo stanziato
presso Roma.
I poteri che Augusto aveva ricevuto dal senato in diverse circostanze e che ne avevano costituito l’auctoritas, non
costituivano una vera e propria carica a cui, dopo la sua morte, qualcuno potesse succedere. La prima
preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico e nella propaganda
ideologica, celebrandone l’ascendenza divina.
L’erede scelto all’interno della famiglia avrebbe ricevuto non solo il patrimonio, ma anche un prestigio che gli
garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e un ruolo singolare nella res publica.
Tramite una carriera magistratuale eccezionalmente abbreviata e coll’attribuzione di poteri straordinari (potestà
tribunizia e imperium proconsolare in primo luogo) l’erede, veniva designato alla successione delle funzioni
pubbliche del princeps.
Marcello, suo genero mori nell’anno critico 23 a.C., mentre Agrippa nel 12 a.C., dopo che Augusto adottò i suoi
figli, Caio e Lucio Cesare, ancora troppo piccoli per designarli alla successione e che tuttavia sarebbero morti nel
giro di pochi anni, nel 2 e nel 4 d.C.
Augusto si rivolse ai figli della moglie Tiberio e Druso, il primo dei quali, aveva sposato una delle figlie di Agrippa
del suo primo matrimonio, e fu costretto a divorziare per sposare la vedova Giulia nell’11 a.C. – il matrimonio non

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durò a lungo, nel 2 a.C. quando Tiberio tornò a Roma dopo un autoesilio nell’isola di Rodi, forse per i cattivi
rapporti con la coniuge, aveva già sciolto il matrimonio in seguito ad uno scandalo che la coinvolse. Augusto
pretese da Tiberio che adottasse Germanico, figlio del fratello Druso Maggiore (Druso Minore è il figlio di Tiberio)
e nel 4 d.C. Augusto adottò contemporaneamente Tiberio, cui furono attribuiti l’imperium proconsolare e la potestà
tribunizia.
Nel 13 d.C. celebrò un trionfo su Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto, cosicché
potesse intervenire in tutte le provincie e l’esercito potesse essere al suo comando.

1.9 L’organizzazione della cultura


La celebrazione della pace e della figura provvidenziale di Augusto si manifestò anche in pubbliche cerimonie,
nella monetazione, nella letteratura e in generale nel coinvolgimento degli intellettuali. Altri momenti importanti di
esaltazione della figura di Augusto e di diffusione a Roma e nelle province dell’ideologia provvidenzialistica
furono le celebrazioni di particolari ricorrenze e l’istituzione di un vero e proprio culto della sua persona. Il suo
compleanno era celebrato pubblicamente. A ciò si aggiunse nelle province orientali, l’istituzione di un vero e
proprio culto dell’imperatore che veniva celebrato congiuntamente a quello della dea Roma. In occidente invece il
culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato.

I Giulio Claudi
La morte di Augusto avvenne in Campania nel 14 d.C. Fu allora che Tiberio ereditò l’auctoritas e l’iniziativa
politica di Augusto, si rivelò l’impossibilità da parte del senato di concepire un ritorno alla Repubblica. Tra il 14
d.C. e il 68 d.C. il potere rimase nelle mani della famiglia Giulio-Claudia, discendenti della famiglia degli Iulii, cui
Augusto apparteneva dopo l’adozione da parte di Giulio Cesare, e dei Claudii, della famiglia cioè di Ti. Claudio
Nerone, primo marito di Livia.
La successione, alla morte di Tiberio non andò a favore di Germanico, morto nel 19 d.C., come aveva previsto
Augusto, ma di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico e Agrippina. Caligola non era stato adottato da Tiberio e
non aveva condiviso con lui imperium proconsolare, né potestà tribunizia era una designazione che si basava solo
sulla linea familiare, prescindendo dalla carriera politico-militare.

Alla morte di Caligola, il potere rimase nella famiglia di Germanico, passando al fratello, nonché zio del defunto
imperatore, Claudio, primo princeps completamente esterno alla casa Giulia.
Ultimo esponente della famiglia fu Nerone, con cui entrò nella storia della domus principis, una famiglia nobiliare
diversa, quella dei Domizi. Nerone infatti era figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia di Augusto; fu erede
dunque della famiglia Claudia e di quella Giulia solo per parte di madre, in quanto figlia di Agrippina minore e per
adozione: fu adottato da Claudio che aveva sposato Agrippina.

2.2 Tiberio (14-37 d.C.):


Malgrado la poca simpatia del predecessore verso di lui, il suo governo fu una positiva prosecuzione di quello
augusteo. I tratti negativi del suo carattere, la diffidenze e forse l’invidia nei confronti di personaggi della casa più
popolari di lui, sottolineati fortemente dalle fonti, oscurano la sua volontà di rispettare le forme di governo
repubblicano già valorizzate da Augusto: il rifiuto da lui più volte ribadito di onori divini dimostra il suo spirito
tradizionalista.
Tiberio fu amministratore accorto dello Stato, capace di affrontare anche difficili problemi di ordine economico.
Durante il suo periodo si poté assistere al passaggio delle votazioni dai comizi al senato + all’opposizione che
rivendicava l’autonomia decisionale e la libertas senatoria.
Germanico, scrive Svetonio: “riuniva in un grado mai raggiunto da nessuno tutte le qualità fisiche e morali. Era
bello e valoroso senza paragoni, possedeva doti di eloquenza e cultura, era straordinariamente buono e sapeva
conciliarsi la simpatia e l’affetto di chi lo circondava”, ma Tiberio per impedirgli di proseguire il suo disegno di
conquiste in Germania, lo mandò in Siria, dove dovette condividere il comando dell’esercito col proconsole
Calpurnio Pisone. Germanico morì avvelenato e pare che Pisone si suicidò per prevenire la condanna.

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Si trattava di affrontare il problema della successione, alla quale erano candidati Druso Minore (figlio di Tiberio),
morto però già nel 23 d.C., e uno dei tre figli di Germanico e Agrippina, la quale creò un contrasto politico contro
Tiberio.
Una svolta, intanto, nel suo governo si ebbe nel 23 d.C. quando il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un
considerevole potere personale, guadagnandosi la fiducia di Tiberio, di cui fu collaboratore efficiente. Una
posizione che era andata affermandosi, anche grazie al ritiro del princeps da Roma, per rifugiarsi a Capri, nella
famosa villa Iovis Seiano riuscì a monopolizzare i contatti con Tiberio, dominando la scena politica a Roma in
quegli anni.
Chiese di sposa la vedova Livilla, prima moglie di Druso Minore e dichiarò Agrippina nemico pubblico, facendo
imprigionare i suoi due figli maggiori, con l’accusa di tramare contro l’imperatore: aspirava infatti alla successione.
Solo Antonia, la madre di Germanico, moglie di Druso Maggiore, riuscì a risvegliare in Tiberio i sospetti su Seiano,
che fu processato e condannato.
Negli ultimi anni, mentre Tiberio si tratteneva a Capri, scoppiò una grave crisi finanziaria e molte furono le voci di
opposizione al regime, che provenivano da senato o dai sostenitori di Seiano. Rimaneva aperto peraltro il problema
della successione, il quale vedeva la propria risoluzione nelle unici eredi rimasti in vita, Tiberio Gemello (figlio di
Druso Minore) e Gaio detto Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico.
Vennero nominati eredi congiunti, ma nel 37 d.C. il senato riconobbe come unico erede, il maggiorenne Caligola,
che s’impegnò ad adottare Tiberio Gemello, il quale morì lo stesso anno.

2.3 Caligola (37-41 d.C.):


L’impero di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico, fu relativamente breve ed è ricordato per le sue stravaganze
senza limiti, amplificate da una storiografia ostile. Accolto con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe, tra i
quali il ricordo del padre era molto popolare, il giovane inaugurò una politica di donativi, grandi spettacoli e piani
edilizi che portarono all’esaurimento delle riserve finanziarie lasciate da Tiberio.
Molto più freddo era l’atteggiamento del senato, descritto dallo storico di sentimenti filosenatori Svetonio, come un
folle tiranno, disinteressato al governo dell’Impero e preoccupato di rafforzare il suo potere personale. La sua
forma di dispotismo ricorda la concezione della monarchia orientale.
Nel 40 d.C. fa uccidere re Tolomeo di Mauretania, nipote di Antonio, dando inizio a una guerra che si concluse
sotto Claudio.
In Oriente si curò di ripristinare un sistema di Stati cuscinetto, con i cui sovrani aveva relazioni personali di
amicizie. Con gli Ebrei però nacque uno dei conflitti più aspri che segnò il suo regno: per affermare la propria
divinità, volle porre una sua statua nel tempio di Gerusalemme, suscitando non poche proteste, per il gesto
sacrilego – violenti conflitti nella Giudea e in Oriente emersero in seguito alla vicenda.
Mori nel gennaio del 41 d.C. vittima di una congiura ordita dai pretoriani e colla sua morte si evitò il conflitto in
Giudea.
[ Questo periodo è molto ben documentato grazie allo storico Flavio Giuseppe e dal filosofo Filone di Alessandria].

2.4 Claudio (41-54 d.C.)


Descritto dalle fonti antiche come uno sciocco e un inetto, Claudio, per le sue realizzazioni in politica interne ed
estera sembra contraddire questa presentazione. Una significativa riforma fu la divisione in quattro grandi uffici
dell’amministrazione centrale: un segretario generale e altri tre per finanze, suppliche e istruzione dei processi da
tenersi davanti all’imperatore. A capo di questi dipartimenti furono chiamati dei liberti – sì che l’impero di Claudio
fu ricordato come “il regno dei liberti”.
La sua linea politica di razionalizzazione dei servizi lo portò a cercare nuove soluzioni ai problemi di
approvvigionamento idrico e granario. Fece costruire il porto di Ostia.
Affrontò nella prima parte del suo principato, le questioni lasciate in sospeso da Caligola: affrontò la guerra in
Mauretania, a cui pose fine con l’organizzazione del regno in due province e modificò anche l’assetto dei regni
clienti istituiti in Oriente dal predecessore. L’impresa militare poi più rilevante fu nel 43 a.C. colla conquista della
Britannia meridionale, ridotta a provincia.

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Molti furono gli intrighi di corte durante il suo regno, sposò in terze nozze la dissoluta Messalina, messa a morte
nel 48 d.C. con l’accusa di tramare contro l’imperatore. Sposò Agrippina quindi, sua nipote, la quale gli fece
adottare il figlio avuto da precedente matrimonio, Lucio Domizio Enobarbo Nerone.
La società imperiale
Alla base della concezione antica della società vi era l’assunto che
vi dovesse essere una differenziazione formalmente riconosciuta
dello status giuridico delle persone:
Lo schiavo che riusciva ad acquisire la libertà con il patrimonio
personale, che il padrone gli permetteva nell’esercizio della sua
attività, o grazie a disposizione testamentarie, rimaneva spesso
legato al suo ex padrone in rapporti di clientela e aveva limitazioni
nella vita pubblica e l’accesso alle magistrature, erano chiamati
liberti.
Un altro gruppo rilevante nella società romana era costituito dai
provinciali liberi, una categoria che comprendeva gli abitanti delle
poleis greche così come quelli dei villaggi dei Britanni. Il princeps
poteva intervenire fra loro per promuovere ceti dirigenti o città
concedendo la cittadinanza per particolari meriti.
Ottenuta la cittadinanza per il provinciali il passo successivo era
l’accesso ai due ceti dirigenti, l’ordo senatorius e il ceto equestre.

2.5 La società imperiale


Alla base della concezione antica della società, vi era l’assunto che vi dovessero essere una articolazione e una
differenza dello status giuridico delle persone. La schiavitù era divenuta un fenomeno caratteristico della società e
dell’economia a partire dalla tarda Repubblica. Una categoria particolarmente importante è rappresentata dagli
schiavi imperiali, la familia Caesaris, impiegati nella gestione finanziaria e amministrativa del patrimonio imperiale
ed organizzati secondo vere e proprie gerarchie. Ricchezza e potere non davano automaticamente accesso a un
ceto superiore. Lo schiavo che riusciva ad acquistare la liberttà con il patrimonio personale che il padrone gli
lasciava acquisire nell’esercizio della sua attività oppure rimaneva legato al proprio ex padrone da un rapporto di
clientela e spesso aveva delle limitazioni per quanto riguardava la vita pubblica e l’accesso alle magistrature sia a
Roma che nei municipi. I liberi rappresentarono il ceto economicamente piu’ attico. Potevano raggiungere forme di
promozione sociale ricoprendo cariche all’interno delle associazioni professionali e dei collegi costituiti per il culto
imperiale nei municipi. Un altro gruppo molto rilevante all’interno della società romana era costituito dai
provinciali liberi che comprendeva gli abitanti delle polis greche cosi come quelli dei villaggi dei Britanni o i
nomadi del deserto. L’imperatore poteva intervenire nelle questioni interne relative allo status e ai privilegi dei
diversi gruppo. Il princeps poteva promuovere i ceti dirigenti cittadini o intere città concedendo la cittadinanza
romana a singoli individui per meriti particolar, a città o a categorie di persone. I cittadini romani godevano di
particolari garanzie personali e dell’immunità da tasse e obblighi che gravavano sui provinciali anche se tali
privilegi materiali vennero via via diminuendo.

2.6 Nerone (54-68 d.C.)


Il consolidamento del potere e l’istituzionalizzazione della figura del princeps avevano mostrato la debolezza dei
residui della tradizione repubblicana nel governo dello Stato. L’inizio del suo principato si fonda quindi su
premesse completamente differenti da quelle previste da Augusto.
Il De Clementia, opera del filosofo e precettore di Nerone, L. Anneo Seneca, presenta il mutamento della
concezione del potere; si tratta di un manifesto teorico e programma di governo per il giovane imperatore:
Data Evento
27 a.C. Restaurazione della repubblica + Ottaviano ha
il compito di pacificare le province + il senato
gli concede il cognome di Augustus.
23 a.C. Crisi del 23, con malattia di Augusto.
22/ Augusto recupera le insegne delle legioni di
19 a.C. Crasso e Antonio presso i Parti.
15 a.C. Tiberio e Druso conquistano la Rezia, il Norico
e la Vindelicia.

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12 a.C. Muoiono Lepido e Agrippa.


2 a.C. Augusto è padre della patria.
0 Nasce Gesù Cristo.
4 d.C. Augusto adotta Tiberio, che adotta Germanico.
14 d.C. Morte di Augusto e successione di Tiberio.
19 d.C. Morte di Germanico in Antiochia.
23 d.C. Il prefetto del pretorio Seiano ottiene potere.
31 d.C. Morte di Seiano.
37 d.C. Muore Tiberio, gli succede Gaio.
41 d.C. Ucciso Caligola, gli succede lo zio Claudio.
43 d.C. La Britannia diviene provincia romana.
54 d.C. Muore Claudio, gli succede Nerone.
58/ Campagne contro i Parti e Armeni di Cn.
63 d.C. Domizio Corbulone.
65 d.C. Congiura dei Pisoni.
68 d.C. Morte di Nerone, Galba imperatore.
da Augusto in poi, secondo Seneca, la res publica è nelle mani di uno solo, il potere e la ricchezza sono assoluti e
dono degli dèi: implicano per il principe la responsabilità di porre virtus e clementia alla base della proprie azioni.
Se in un primo momento l’azione dell’imperatore sembrò instaurare una forma di collaborazione col senato, sotto
l’influenza degli insegnamenti ricevuti, in un secondo declinò in un’idea teocratica e assoluta del potere. La vena
artistica e gli interessi culturali lo portarono ad essere grande ammiratore della Grecia e dell’Egitto che gli
fornirono gli spunti per trasformare in senso assolutistico e monarchico il potere imperiale, provocando
l’opposizione senatoria.

Capace di compiere spettacolari gesti propagandistici, fu sempre considerato “vicino” alla plebe, che ne apprezzava
l’istrionismo e la demagogia. Si macchiò comunque di gravi delitti, fece assassinare infatti il fratellastro Britannico
(nato dall’unione della madre con Claudio e chiamato così in onore della favorevole campagna in Britannia) e la
madre Agrippina Minore (A. Maggiore era sua madre, nonché nonna di Nerone e madre di Caligola, cioè moglie di
Germanico e figlia di Agrippa e Giulia, la figlia di Augusto).
Il dispotismo di Nerone culminò nell’incendio di Roma del 64 d.C. di cui furono incolpati i cristiani, ma che
propiziò le condizioni per la sua eliminazione. Per far fronte alla difficile crisi creatasi dopo l’incendio, mise mano
ad un ampia riforma monetale.
Con numerose confische e processi avrebbe rimpinguato la cassa imperiale rendendosi inviso alla nobiltà senatoria,
tanto che nel 65 d.C. fu minacciato dalla “congiura dei Pisoni”, dal nome di C. Calpurnio Pisone, che coinvolse
vari strati dell’élite dirigente e di cui Nerone approfittò per eliminare numerosi esponenti della classe senatoria di
spiriti repubblicani.
Sul fronte militare, grazie al generale Domizio Corbulone, riuscì ad avere la meglio sui Parti e riportare l’Armenia
sotto l’influenza romana. Assicurata la situazione a Roma, si recò in Grecia dove compì una tournée artistica,
partecipando ai festival delle poleis greche ove vinse in tutti gli agoni.
Intanto in Giudea era scoppiata una grave rivolta, riportata sotto controllo in Palestina da Vespasiano; primo
segnale pero di una serie di ribellioni dalla Gallia all’Africa, dalle truppe del Reno alla Spagna anche i pretoriani
abbandonarono l’imperatore: il senato lo dichiarò nemico pubblico, riconoscendo come nuovo princeps Galba, così
Nerone si suicidò.

3.1 L’anno dei quattro imperatori e i Flavi: il 68/69


Senza disposizioni circa la successione dopo la morte di Nerone, risorgeva lo spettro delle guerre civili, in un
contrasto tra senatori, governatori di province o comandati militari, forti del sostegno dei loro eserciti.
L’Impero ormai non ruotava più intorno alla capitale, le legioni erano in grado di imporre il loro volere pur
trovandosi a grande distanza, secondo un processo che vedeva la sempre più crescente importanza delle province
nel 69 a.C. furono in quattro a contendersi il titolo di Primo dello Stato.

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■ Servio Sulpicio Galba: anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense; alla notizia della
ribellione delle truppe galliche di Vindice (68 d.C.) i suoi soldati lo proclamarono Cesare, ma egli rifiutò il
titolo imperiale, ritenendo che i militari non avessero diritto di conferirlo. Grazie poi al suo accordo col
senato fu riconosciuto imperatore da una delegazione di senatori e accettò il titolo.
Galba non seppe guadagnarsi la popolarità e gli appoggi per mantenere il potere e si pose in cattiva luce per
i tagli alle spese, cercando di rimediare alla crisi finanziaria nata sotto Nerone.
Decise poi di adottare L. Calpurnio Pisone, esponente dell’ordine senatorio, la cui nomina era sgradita ai
soldati e a Otone, il giovane governatore della Lusitania.
■ Marco Salvio Otone: amico d’infanzia di Nerone era popolare fra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo
che Galba fu linciato nel Foro, ebbe l’approvazione anche del senato, fu proclamato imperatore il 15.01.69
e contemporaneamente le legioni sul Reno, non riconoscevano la sua autorità, proclamando imperatore il
proprio comandante, il legato della Germania Superiore, Aulo Vitellio.
■ Aulo Vitellio: senatore di rango consolare, aveva rivestito importanti incarichi sotto i Giulio Claudi. In
aprile i suoi legati sconfissero le truppe di Otone, presso Cremona, il quale si suicidò. Vitellio fu
riconosciuto imperatore quando ancora si trovava in Gallia, ma ebbe gravi difficoltà a regolare la disciplina
dei suoi soldati e a fermare quelli che avevano combattuto per Otone. Le legioni danubiane e orientali si
ribellarono e proclamarono imperatore Vespasiano.

12. La dinastia Flavia (69-96 d.C.)


Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi, che comprende il periodo di Impero di Vespasiano stesso e dei suoi due
figli Tito e Domiziano. La dinastia durò fino al 96 d.C. quando la politica di Domiziano suscitò una tale
opposizione sia nel senato sia nella sua stessa corte, da portare alla sua uccisione e alla proclamazione di un nuovo
princeps.

13. Vespasiano (69-79 d.C.)


Il principato di Vespasiano rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e
nel definitivo consolidamento dell’Impero come istituzione. Pur con indole diversa fra loro, tutti gli imperatori flavi
si distinsero per un rigido impegno nell’amministrazione imperiale. L’autorità del nuovo princeps fu definita da un
decreto del senato (lex de imperio Vespasiani).
Il principato di vespasiano rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e
nel definitivo consolidamento dell’Impero come istituzione. Dovette affrontare un grave deficit nel bilancio,
provocato alla politica di Nerone e dalla guerra civile, si rivelò anche in questo caso un ottimo amministratore,
riuscendo a sanare con diversi provvedimenti il bilancio dello Stato.
La politica di integrazione delle province si manifestò colla concessione del diritto latino alle città peregrine della
Spagna e con l’immissione in senato di numerosi esponenti delle élites delle province occidentali. Nel 70 d.C. Tito
si impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il famoso Tempio.
Ristabilì definitivamente l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che avevano partecipato alle
guerre civili e in Britannia riprese una politica di estensione dei confini nella zona orientale e settentrionale, opera
che fu portata a termine da Giulio Agricola sotto il regno di Domiziano.

14. Tito (79-81 d.C.)


Vespasiano aveva basato la sua legittimizzazione sulla lex de imperio e sulla regolare assunzione del consolato.
Anche per la successione seguì il sistema avviato da Augusto: Tito ricoprì insieme al padre diverse magistrature
come consolato e censura, già nel 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia, ma anche
i titoli di Augusto e di pater patrie.
Il suo breve regno fu chiamato dagli antichi “amore e delizia del genere umano” fu segnato da gravi calamità
naturali, tra cui la rovinosa eruzione del Vesuvio, nel corso della quale morì Plinio il Vecchio.
La popolarità di Tito era legata a una politica di munificenza, giustificata dai catastrofici eventi, che si discostava
dalla parsimonia del padre.

15. Domiziano (81-96 d.C.)

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La sua fama risente dell’ostilità della tradizione storiografica. Il suo regno è contraddistinto da uno stile di governo
autocratico e quindi inviso al senato, ma la sua azione politica fu efficace e benefica per l’Impero.
Si preoccupò dell’amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti
burocratici del ceto equestre, assegnando loro alcuni uffici che Claudio aveva affidato ai liberti. La scelta di
rinunciare a ulteriori conquiste militari a favore di operazioni di consolidamento della frontiera, sul Reno, sul
Danubio e in Britannia, risultò realistica e lungimirante. Il territorio fu controllato attraverso l’impianto di
accampamenti fortificati, presidiati dai soldati, e collegati fra loro da una rete di strade sul limes (confine
dell’Impero). La linea di fortificazioni aveva alle spalle i castra in cui si erano stabiliti i legionari – cosicché
Domiziano potesse garantire la sicurezza di tutta la zona a sud delle linea del limes, cui si fa riferimento specie
lungo il confine con Germani e Celti, oltre il corso del Reno.
In Dacia, nel 85 il re Decebalo era riuscito a unificare alcune tribù e a guidarle in varie incursioni nel territorio
romano. Furono organizzate due campagne, la seconda delle quali guidata da Vespasiano stesso, che non ebbe
successo per la rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperatore dalle
sue legioni, che costrinse Domiziano a una pace provvisoria.
La rivolta di Saturnino ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano, che continuando a sentirsi
minacciato, inaugurò un periodo di persecuzioni volte a eliminare le persone sospette di tramare contro l’imperator
o in una posizione tale da costituire un rischio potenziale.
Domiziano nel 96 cadde vittima di una congiura, dopo una serie di processi intentati contro senatori e presunti
simpatizzanti per la religione cristiana, accusati di praticare culti non ufficiali. Il senato dopo la sua morte proclamò
la damnatio memoriae, decretando l’abbattimento delle sue statue, la cancellazione del suo nome dalle iscrizioni e
la distruzione di ogni suo ricordo.

Il sorgere del cristianesimo

Il cristianesimo che nasce dall’ebraismo, viene formandosi come religione strutturata nel corso del I e II secolo, scaturita dalla
predicazione del suo fondatore, Gesù Cristo, nato a Nazareth, in Galilea, al tempo di Augusto e morto durante il principato di Tiberio.
Le prime comunità cristiane sorsero in seguito alla Sua predicazione, alla diffusione del suo messaggio, la “buona novella”. Il
cristianesimo nacque come movimento interno al giudaismo e tra i diversi gruppi religiosi nei quali quest’ultimo era articolato si
distinguevano gli aristocratici e conservatori (sadducei) e i popolari e liberali (farisei); a questi venne ad aggiungersi la comunità degli
esseni, che conducevano un’esistenza rigorosa, vivendo isolati dal resto della comunità ebraica.
Un altro partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma era quello degli Zeloti, i cui tentativi di autonomia
non fecero altro che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione di due grandi rivolte ebraiche nel 66-70 d.C. e nel 132-135
d.C. quando Gerusalemme fu rasa al suolo.
Per la maggior parte degli ebrei si trattava di scegliere tra i farisei e il cristianesimo: mentre i primi si dedicavano alla meticolosa
osservanza della Legge di Mosè, il secondo proponeva la religione che aveva il suo fondamento nella fede in Cristo come valida per
tutta l’umanità.
Nel I sec. d.C. la figura che tra i predicatori e seguaci si impone sulle altre è quella di Paolo di Tarso – prima uno zelante fariseo
impegnato nella persecuzione della primitiva ecclesìa (= comunità dei fedeli). Dalle sue lettere emerge la consapevolezza che l’idea di
una missione universale della Chiesa rivolta all’umanità intera implicava di fatto una rottura con il conservatorismo giudaico, chiuso
nella difesa della idee e dei costumi.
Dal II sec. poi le comunità cristiane si organizzarono secondo strutture guidate da un singolo responsabile, detto, episcopus.
L’autorità romana imperiale aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere fra i vari movimenti, considerandola un problema
di nazionalità e non di religione; da Nerone in avanti risulta più evidente il contrasto fra l’autorità imperiale e la nuova religione
cristiana, considerata come pericolosa in quanto non poteva integrarsi con quella tradizionale e con il culto imperiale.
Non sappiamo con certezza però se vi fosse un fondamento giuridico alle persecuzioni e se il fatto di praticare la religione cristiana
fosse di per sé un reato. La risposta di Traiano, espressione di un atteggiamento moderato dell’autorità imperiale, prescriveva che i
cristiani non dovessero essere ricercati, ma puniti solo se espressamente denunciati (le denunce anonime non furono prese in
considerazione).
Il II sec. conobbe una vasta diffusione del cristianesimo, grazie anche alla circolazione di scritti sulla vita dei santi, esempio da seguire;
non solo, nacquero scritti in difesa della fede cristiana, con cui gli intellettuali, come Tertulliano, miravano a far conoscere e accettare il
proprio credo all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero.

4 CAPITOLO: Il II secolo

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Il secondo secolo è tradizionalmente considerato come l’età più prospera dell’Impero romano che, sicuro nei suoi
confini, poté godere di un notevole sviluppo economico e culturale. A ciò contribuì la rinnovata stabilità conseguita
con il regime successorio, instauratosi da Nerva, per cui al consanguineo è preferito colui che in assoluto dà
maggiori garanzie di sapere meglio governare.

4.1 Nerva (96-98 d.C.)


La prima preoccupazione di Nerva, del cui principato non abbiamo molte testimonianze se non di Cassio Dione e
Plinio il Giovane, fu quella di controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano e di scongiurare il pericolo
dell’anarchia fece in modo di ottenere i giuramenti di fedeltà delle truppe provinciali e si preoccupò di abolire le
misure più impopolari di Domiziano – richiamando gli esiliati e avvallando in senato la damnatio memoriae del
predecessore.
Nerva si volse poi a un’opera costruttiva di politica finanziaria e sociale di Roma e dell’Italia: fu votata una legge
agraria per assegnare lotti di terreno ai nullatenenti + probabilmente varato il programma delle “istituzioni
alimentari” di cui abbiamo però testimonianza solo con Traiano.
Trasferì alla cassa imperiale il costo del cursus publicus, cioè del mantenimento delle strade e delle stazioni di
cambio per messaggeri. Importante la sua riorganizzazione del sistema idrico affidata a Sesto Giulio Frontino.
Durante questa restaurazione delle prerogative senatorie si verificò una crisi (97 d.C.): molte delle iniziative volte
a un miglioramento economico e sociale, in realtà aggravarono le difficoltà già presenti, cui non si poteva
facilmente porre rimedio. I pretoriani inoltre chiesero la vendetta sugli assassini di Domiziano, cui Nerva
acconsentì, punendo così coloro che lo avevano portato al potere e compromettendo non poco la sua immagine.
L’unico modo per evitare lo scoppio di nuove ostilità intestine era quello di designare un successore capace di
affermarsi militarmente anche contro i pretoriani: adottò Marco Ulpio Traiano – senatore di origine spagnola, in
quel momento governatore della Germania Superiore, uomo di grande esperienza politica e militare.

4.2 Il governo dell’Impero affidato al migliore: Traiano (98-117 d.C.)


Traiano ricevette la notizia della sua adozione da parte di Nerva e quindi, della successione mentre svolgeva le sue
funzioni di governatore in provincia nella Germania meridionale. Si recò a Roma solo nel 99 d.C. preferendo
completare il lavoro di consolidamento del confine renano. Egli unì nella sua persona le caratteristiche di
esperienza militare e il senso di appartenenza al senato, che erano state proprie della tradizione repubblicana e
prima incarnate da Augusto.
Queste prerogative lo resero agli occhi dell’opinione pubblica l’optimus princeps, sovrano ideale e rispettoso delle
istituzioni; molte fonti sono a lui favorevoli (es. panegirico di Plinio il Giovane).
Plinio definisce Traino “uno di noi”, esprimendo così la popolarità che il principe godeva nella classe senatoria +
l’atteggiamento di ossequio e rispetto che mostrava per l’assemblea a differenza di Domiziano;
Plinio cercava di delineare attraverso le lodi di Traiano, il modello di comportamento del buon princeps.
Tra i suoi programmi un posto di rilievo l’ha l’espansione territoriale, le campagne daciche ottennero grande
approvazione presso il senato – Decebalo contro cui Domiziano non era riuscito a trovare una soluzione definitiva
costituiva una minaccia per il confine danubiano la Dacia fu ridotta a provincia e enorme importanza ebbe il
bottino ricavato dalla conquista e l’oro che giungeva a Roma dallo sfruttamento delle miniere daciche: servì a
finanziare imprese militari e le spese per le opere pubbliche e sociali varate da Traiano nella capitale.
Notevole interesse suscitò anche la frontiera orientale: venne annessa la provincia di Arabia (Giordania e penisola
del Sinai), grazie alla quale Roma poteva ora controllare la via commerciale di mare per l’India. Nel 114 d.C. infine
Traiano organizzò un grande campagna contro i Parti, durante la quale furono occupate Armenia, Assiria e
Mesopotamia e fu presa la capitale partica, Ctesifonte.
Morì in Cilicia, mentre tornava a Roma. Le truppe acclamarono imperatore il governatore della Siria P. Elio
Adriano, parente spagnolo del defunto.
Il regno di Traiano è comunque caratterizzato da un marcato interesse per i bisogni dell’Impero e dell’Italia

4.3 Adriano (117-138 d.C.)

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Traiano lo aveva voluto al suo fianco già nella prima guerra dacica come questore e in seguito lo aveva cercato
come fedele collaboratore nella guerra partica, assegnandogli l’incarico di governare la provincia di Siria e, quando
si ammalò, il comando dell’esercito per sedare la rivolta degli Ebrei in Mesopotamia e Cirenaica.
Adriano dopo la sua proclamazione e approvazione come imperatore, abbandonò la politica di controllo diretto
delle nuove province orientali, create da Traiano e preferì affidarle a sovrani clienti, inaugurando un sistema di
consolidamento interno e mettendo fine alle guerre di espansione volute dal predecessore.
Fu comunque un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare e creò nuove unità, dette numeri,
formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali delle popolazioni non
romanizzate tra le quali erano reclutati.
Per acquistare la pubblica benevolenza si preoccupò di alleviare il malessere economico, cancellando i debiti
arretrati contratti a Roma e in Italia, colla cassa imperiale. Fu poi uomo di grande cultura, favorendo l’arte, la
letteratura, le tradizioni e i culti, interessato specie al mondo ellenico, cui volle fare omaggio restaurando lo
splendore di Atene e delle poleis greche.
Si impegno nel controllo della situazione finanziaria + incoraggiò la promozione delle élites orientali nel senato di
Roma.
Gran parte del tempo lo passò nelle province ove fece costruire numerose fortificazioni che avevano lo scopo di
controllare gli spostamenti delle popolazioni nomadi e le attività economiche legate alla transumanza.
Nel 132 d.C. dovette affrontare una ribellione degli Ebrei, guidata da Simone Bar Kochba; questo fenomeno
sembra sia stato avvertito come una grave minaccia per l’Impero, come dimostra la violenta e spietata repressione.
Dodici, dei suoi ventuno anni a capo dello Stato, li trascorse fuori da Roma e dall’Italia, acquisendo una
conoscenza dettagliata delle situazioni locali e dei meccanismi del funzionamento finanziario e amministrativo
dell’Impero. Si preoccupò personalmente di dare una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei
governatori provinciali. Si adoperò poi per un’efficace amministrazione della giustizia e a tale scopo l’Italia fu
divisa in quattro distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare. Avvertì l’importanza del ceto equestre
per l’amministrazione finanziaria e ne riorganizzò la carriera e introdusse distinzione fra carriera politica e militare.
Come successore Adriano adottò il console Lucio Elio Cesare (136 d.C.), ma morto prematuramente costui, la sua
scelta s’indirizzò verso un senatore della Gallia Narbonese, Arrio Antonino, il quale adottò Lucio Vero, figlio di L.
Elio Cesare, insieme a un nipote della moglie, Marco Aurelio.

4.4 Antonino Pio (138-161 d.C.)


Ol suo regno fu in continuità con quello del predecessore, tuttavia rinunciò a grandi viaggi attraverso l’Impero. Il
suo regno è caratterizzato da un periodo sostanzialmente privo di avvenimenti significativi, un segno positivo delle
condizioni generali dell’Impero. Ebbe buoni rapporti col senato, dal quale riuscì non senza difficoltà a far
divinizzare il suo predecessore + fu un parsimonioso amministratore. Il vallo di Adriano in Britannia fu avanzato
nella Scozia meridionale, vallo di Antonino Pio.
Un retore greco, Elio Aristide, scrisse un elogio dell’Impero romano, durante il suo governo – venne celebrato in
questa occasione come un governo ideale dell’universo.

4.5 Lo statuto delle città

Nell’età di Antonino Pio, l’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le élites delle province e delle città.
Due elementi sembrano caratterizzare la Roma di quel periodo: il processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciali, attraverso il
conferimento della cittadinanza romana + il valore attribuito alla vita cittadina nella quale la cultura greca trovava la sua più compiuta
espressione.
Nell’Impero romano vi era una grande varietà di tipologie cittadine e una grande diversità di statuti. Civitates in Occidente e poleis in
Oriente erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali, a seconda del loro grado di integrazione nell’Impero:
1. Città peregrine – preesistenti alla conquista e alla riorganizzazione fatta al loro interno dall’Impero. All’interno di questo
gruppo si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma:
a. città stipendiarie (pagano un tributo);
b. città libere (con diritti speciali);
c. città libere federate (città libere che hanno concluso un trattato di eguaglianza con Roma).

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2. Municipi – città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai cui abitanti è accordato il
diritto latino o romano.
3. Colonie – in origine città di nuova fondazione con apporto di coloni che godono di cittadinanza romana su terre sottratte a
città o a popoli vinti.
Le città costituivano il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale, anche se bisogna considerare che le
condizioni della vita urbana erano molto diverse da provincia a provincia. La complessità delle situazioni giuridiche delle città è solo un
piccolo riflesso della molteplicità di culture, tradizioni. lingue religioni e identità che convivevano nell’Impero.
___________________________________________________________________________________________________________
Uno dei fattori che caratterizzano la storia economica dell’Impero è rappresentato dall’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma, una
vera e propria megalopoli. Nessuna circolazione di prodotti nel Mediterraneo antico è stata più rilevante qualitativamente e
quantitativamente, di quella determinata dal servizio annonario per la capitale.
La gestione del complesso dei servizio finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata ad un’apposita magistratura, la prefettura
annona: “Annona” – significa propriamente il rifornimento e conservazione di viveri essenziali necessari alla sussistenza della città,
specie di grano.
La circolazione di beni riguardava però anche l’esercito permanente, che assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero e ne
condizionava l’economia. I circuiti di scambi nel Mediterraneo sono il risultato di una raggiunta unità politica, che favorisce
l’integrazione economica in ragione di un sistema fiscale basato un larga misura sulla moneta.
Nelle province si andò realizzando, come avvenne in Italia, attraverso urbanizzazione e monetazione, l’incremento dell’area del mercato
a spese dell’autoconsumo.

4.6 Marco Aurelio (161-180 d.C.)


Salì al trono dividendo il potere con il fratello adottivo Lucio Vero, primo caso di “doppio Principato” con due
imperatori posti su un piano di completa uguaglianza.
All’inizio del suo regno si riaprì la questione orientale con la minaccia partica; la guerra fu condotta da Vero e si
concluse vittoriosamente nel 166 d.C. L’esercito però tornato a Roma, portò con sé la peste, causa di gravi travagli
negli anni successivi.
Lo sguarnimento della frontiera settentrionale permise le incursioni di Marcomanni e Quadi, sì che i due imperatori
furono prevalentemente impegnati nella difesa della frontiera danubiana e come risposta a questa situazione si creò
la “difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi”. Morto Lucio Vero mentre tornava dall’Illirico, Marco Aurelio riuscì a
respingere i barbari a nord del Danubio nel 175 d.C. dopo difficili campagne che si protrassero per dieci anni.
Sintomo di malessere nell’Impero fu la rivolta del governatore di Siria Avidio Cassio, che nello stesso anno si
autoproclamò imperatore, ma fu ucciso dalle sue stesse truppe.
Seguace della dottrina stoica e autore di un’opera di riflessione morale dal titolo A se stesso, passa alla storia come
l’immagine dell’imperatore-filosofo e con un’alta concezione del proprio dovere verso i sudditi.
Con lui si ritorna alla prassi della successione dinastica, al posto della cooptazione della persona più idonea.
Durante la sua reggenza significativo fu poi l’episodio dei giochi gladiatori a Lione, con la lotta di condannati
contro belve feroci e ove i magistrati locali inflissero ad alcuni cristiani questo supplizio (“martiri di Lione”).

4.7 Commodo (180-192 d.C.)


Si dimostrò la perfetta antitesi del padre e segno di come il potere imperiale fosse in balìa a ogni sorta di
degenerazione. Per prima cosa concluse definitivamente la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Le
sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza e le innovazioni in campo religioso determinarono l’inevitabile
rottura col senato di cui egli perseguitò alcuni membri.
Dal 182 al 185 d.C. il governo fu in mano al prefetto del pretorio, Tigidio Perenne. Quando questi venne ucciso, il
suo posto fu preso da un liberto, Cleandro, che approfittò del disinteresse di Commodo nei confronti delle
istituzioni per promuovere dei liberti al senato e rovesciare le decisioni dei tribunali in cambio di denaro.
Fra il 190 e il 192 d.C., anno della sua morte, l’imperatore lasciò il governo in mano a un cortigiano, Eclecto, e al
prefetto del pretorio Leto, che completarono il dissesto delle finanze e ordirono la congiura che mise fine al regime.
Commodo non fu interessato alle province e all’esercito, mentre fu favorevole all’accoglimento di molte divinità
straniere che entrarono nel pantheon romano, per creare intorno a sé un carisma a motivo del quale volle
proclamarsi divinità in terra – un ulteriore elemento di dissenso nei suoi confronti. La tradizione senatoria che
valutava gli imperatori sulla base ideale di Augusto lo dipinse come il peggiore dei tiranni e propugnatore di un
regime depravato e sanguinario alla sua morte fu sancita la damnatio memoriae e il suo nome cancellato.

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4.8 L’economia romana in età imperiale


Uno dei fattori che caratterizzano in modo stabile la storia economica dell’Imperor è rappresentato dall’eccezionale
fabbisogno alimentare di Roma. La gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di Roma era
affidata a una magistratura apposita, la prefettura dell’annona, riservata a un personaggio di rango equestre. Annona
significa propriamente il rifornimento e la conservazione di viveri essenziali necessari alla sussistenza della città,
soprattutto il grano. Il servizio annonario coinvolgeva nelle sue disposizioni varie province e comportava un
regolare afflusso di merci dal mare. Il grano era fatto affluire soprattutto dall’Egitto e dall’Africa settentrionale.
Date le note difficoltà e l’alto costo del trasporto per terra, le rotte marittime erano particolarmente utilizzate. Lo
stesso apparato statale rappresentò un incentivo importante per la produzione e la circolazione di beni. In
particolare l’esercito permanente assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero e ne condizionava l’economia. A
partire dalla seconda metà del I secolo a.C. la forte presenza delle province sul mercato italico appare fuori
discussione. Il problema che allora si pone è quello di stabilire se tale presenza può aver determinato una crisi
dell’agricoltura. Nelle province si andò realizzando con gli stessi meccanismi che si erano già avuti in Italia, cioè
attraverso l’urbanizzazione e la monetizzazione, l’incremento dell’area del mercato a spese dell’autoconsumo.
L’intensificazione delle colture e la loro specializzazione sono riconducibili alla parallela organizzazione di aziende
agrarie di ‘’ville’’. La differenza rispetto all’Italia è che, la via percorsa da questo sviluppo non è quella della villa
schiavista. Le necessità di approvvigionamento alimentare di Roma e l’annona militare sono i due grandi fattori
propulsivi del commercio in età imperiale.
Data Evento Data Evento
69 d.C. Anno dei quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio 114/ Campagne contro i Parti di Traiano e massima
E Vespasiano. 117 d.C. Espansione dell’Impero.
79 d.C. Muore Vespasiano, gli succede Tito. 117 d.C. Muore Traiano, gli succede Adriano.
81 d.C. Muore Tito, gli succede Domiziano. 138 d.C. Adriano sceglie come successore A. Aurelio Antonino.
88 d.C. Guerra contro il re dacico Decebalo. 161 d.C. Muore Antonino Pio, gli succede Marco Aurelio.
89 d.C. Rivolta di L. Antonio Saturnino. 169 d.C. Muore Lucio Vero.
96 d.C. Domizio vittima di una congiura gli succede Nerva. 177 d.C. Martirii di Lione.
98 d.C. Muore Nerva, gli succede M. Ulpio Traiano. 180 d.C. Muore Marco Aurelio, gli succede Commodo.
101 d.C. Prima guerra dacica. 182 d.C. Tigidio Perenne assume il controllo.
105 d.C. Seconda guerra dacica + Dacia diventa 192 d.C. Muore Commodo, eliminato in una congiura, gli
provincia romana. Succede P. Elvio Pertinace.

Parte quinta
Crisi e rinnovamento (III-IV secolo d.C.)

1.1 Le crisi del III secolo e le riforme di Diocleziano


Già durante il regno di Marco Aurelio e poi durante quello del figlio Commodo, si erano manifestati diversi fattori
di crisi che divennero ben presto elementi di disgregazione. I settori che ne erano investiti comprendevano parti
essenziali della società e del governo romano: elementi di crisi che confluirono, nel corso del III secolo, l’Impero a
una gravissima condizione, le cui problemi fondamentali erano l’esercito all’interno e i barbari all’esterno.

1.2 Tendenze assolutistiche


È al ruolo dell’esercito, che si deve la trasformazione dell’ideologia del potere imperiale verso forme sempre più
marcatamente assolutistiche e cambia anche il rapporto fra senato e imperatore: se con l’ideologia del principato
augusteo il princeps era rispettoso dell’aristocrazia senatoria, ora al senato si riconosce solo la funzione di
organismo burocratico soggetto all’autorità assoluta dell’imperatore, dipendente dall’esercito, come base essenziale
del potere.

1.3 Il cristianesimo
E’ proprio la crisi morale dell’impero che favorisce il manifestarsi di nuove tendenze religiose che si propongono di
soddisfare i bisogni esistenziali dell’uomo in quella che è stata definita un’epoca di angoscia. Il III secolo è l’epoca

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decisiva per il definitivo costituirsi delle strutture primitive della Chiesa cristiana. Si fa piu’ dura ed evidente
l’avversione da parte dell’autorità politica: è significativo che proprio in un momento di grande difficoltà, quando
verso il 250 d.C. il pericolo barbarico si manifestò in tutta la sua gravita’, il potere imperiale decise di scatenare,
per reazione e per paura, la prima grande persecuzione sistematica dei cristiani.

4. Dinastia dei Severi


Dopo la morte di Commodo, la situazione politica non fu dissimile da quella degli anni 68-69 d.C. per cui dopo un
susseguirsi di regni effimeri, Pertinace tentò una restaurazione in senso filosenatorio, cercando l’appoggio dei
pretoriani la vera lotta per il potere riguardava chi aveva il controllo delle forze militari più ingenti: la
competizione era ristretta fra il legato della Pannonia Settimio Severo, il governatore della Siria Pescennio Nigro e
il governatore della Britannia Clodio Albino.
Il primo ottenne la vittoria sui rivali nel 197 d.C. e mosse con i suoi soldati alla volta di Roma, ove dopo essersi
impossessato del potere diede vita a una dinastia che resse le sorti dell’Impero fino al 235 d.C.
Ha inizio dunque con Settimio Severo quella che viene definita una “monarchia militare” nella quale l’autorità
dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti.
Egli rivolse la sua attenzione ai Parti, di cui conquistò e rase al suolo la capitale, Ctesifonte portò la frontiera
romana sino al Tigri, anche in virtù dei suoi obiettivi propagandistici manifestatisi nel titolo da lui assunto di
Partico Massimo. L’esercito poi proclamò Augusto il figlio maggiore di Severo, Antonino detto Caracalla, che si
trovò associato al padre; ma anche il figlio minore, Geta, fu proclamato Cesare.
Nel 208 d.C. si decise una spedizione in Britannia dove la situazione era assai precaria in ragione delle incursioni
della tribù dei Caledoni – nel 211 d.C. Severo trovò la morte a York.
La filosofia di governo di Settimo Severo si può riassumere nelle raccomandazioni date ai suoi figli prima di
morire: “andate d’accordo, arricchite i soldati e non preoccupatevi degli altri”. Sotto di lui infatti era aumentato il
soldo. Alla sua morte M. Aurelio Antonino e Geta lo successero, ma questa seconda diarchia ebbe vita breve, a
causa dell’immediata morte del secondo, fatto assassinare dal fratello.
Caracalla è un nome legato al famoso provvedimento del 212 d.C. (“editto di Caracalla”) in cui dispose la
concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero ad eccezione dei dediticii (“coloro che si sono
arresi”, i sudditi, barbari non ancora assimilati).
Alla base della Constitutio Antoniniana (o editto di Caracalla) non ci fu solo la legalizzazione di una
trasformazione di fatto della società romana, ma giocarono anche ragioni di ordine fiscale – aumentava infatti in
questo modo il numero dei contribuenti.
Anche Caracalla volle condurre un’ambiziosa campagna in Oriente contro i Parti, ma durante questa spedizione fu
assassinato a Carre, in Siria, durante una congiura militare.
Fu proclamato allora imperatore il prefetto del pretorio Macrino, per la prima volta un appartenente all’ordine
equestre saliva al trono; ma la progressiva sfiducia nell’aristocrazia muove gli imperatori a potenziare il ruolo dei
cavalieri, cui verranno affidati comandi militari e amministrazione delle province. L’opposizione del senato e la
scontentezza dello stesso esercito, insoddisfatto dalla pace sancita coi Parti, fecero sì che il suo regno durò solo un
anno.
Giulia Mesa, zia di Caracalla e cognata di Settimio Severo, riuscì a far acclamare dall’esercito nel 218 d.C. il nipote
Vario Avito Bassanio, noto come Elagabalo.

Arrivato quattordicenne al trono, il giovane


caratterizzò il suo regno da innumerevoli
stranezze, compreso lo sperpero di ingenti risorse
– è ricordato soprattutto per il suo intenso
misticismo e per il tentativo di imporre come
religione di Stato un culto esotico, venerato in
Siria.
Di fronte al risentimento generale suscitato a
Roma da un comportamento irresponsabile, la
stessa Giulia Mesa impose al nipote di associare al

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potere il cugino Bassanio. La soluzione non


impedì la nascita di una congiura: nel 222 d.C.
Elagabalo fu ucciso dai pretoriani, che
proclamarono imperatore il cugino, il quale gli successe col nome di Severo Alessandro.
Il suo regno, trasse profitto dal fatto che l’azione di governo fu in mano, almeno nei primi anni, al grande giurista
Ulpiano, prefetto del pretorio.
Nel 224 d.C. in Persia, alla dinastia partica degli Arsacidi era succeduta quella dei Sasanidi, la quale pretendeva di
discendere dai sovrani contro i quali i Greci avevano combattuto a Maratona e Salamina. I Persiani scatenarono
dunque un’offensiva contro la Mesopotamia romana, minacciando anche la Siria, ma vennero fermati grazie
all’intervento di Severo in Oriente, poi richiamato in Gallia minacciata dalle incursioni barbariche.
Nel 235 d.C. impegnato a fronteggiare questa situazione di crisi, fu assassinato a Magonza insieme alla madre nel
corso di una nuova congiura di militari.
Finiva in modo brusco e violento la dinastia dei Severi, che aveva provocato un indebolimento della classe
dirigente tradizionale e accentuato la forza dell’esercito, divenuto padrone dei destini dell’Impero.

5. Anarchia militare
Al posto di Alessandro Severo l’esercito proclamò imperatore un ufficiale di origine tracia, Massimino. Col suo
regno incomincia l’epoca considerata di massima crisi; un periodo in cui si succedono circa venti imperatori
definito come la fase dell’anarchia militare (235-284 d.C.).
Durante il regno di Massimino il Trace, dotato di uno scadente curriculum militare ma di eccezionale forza fisica,
si ottennero dei successi nelle campagne contro i barbari. La durezza dei suo regime impose una forte pressione
fiscale per far fronte alla grave situazione militare, che spiega la ritrovata forza di coesione del senato, il quale
giunse a dichiarare l’imperatore nemico dello Stato (hostis publicus).
Venne proclamato Gordiano, proconsole in Africa, ma trovò la morte subito dopo per mano dei soldati fedeli a
Massimino; il quale mosse alla volta dell’’Italia e cadde però assassinato dai suoi stessi soldati ad Aquileia.
Si successero una serie di imperatori fra cui Filippo l’Arabo e il senatore Messio Decio, ultimo dei quali volle
difendere le frontiere imperiali + rafforzare i culti tradizionali, specie quello dell’imperatore, inteso come strumento
di coesione interna.
Chi non accettava di sacrificare agli dèi e al Genio dell’imperatore veniva condannato a morte: Decio fu per questo
responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani nel 250-251 d.C. Morì lo stesso anno combattendo
contro i Goti, sui Balcani.
Nel 253 d.C. dopo una serie di imperatori effimeri, salì al trono Valeriano, un anziano senatore che ebbe
l’accortezza di associare al potere il figlio Gallieno, cui affidò il compito di difendere le province occidentali.
Nonostante questo la sua campagna contro i Persiani finì tragicamente, fu sconfitto a Edessa e fatto prigioniero del
re Sapore. Morì in cattività nel 260 d.C.
Gallieno fino al 268 d.C. restò da solo a reggere le sorti dell’Impero, riuscendo a fermare l’avanzata dei Goti e
degli Alemanni, anche se fu costretto a perdere la Dacia.
Di fronti alle ribellioni degli usurpatori e alle tendenze delle province a governarsi da sole, Gallieno, dovette
tollerare che all’interno dell’Impero si formassero due regni separatisti: quello delle Gallie e quello di Palmira.
Notevole fu poi la sua innovazione nella concezione strategica dei confini: invece di dislocare truppe lungo la
frontiera, privilegiò la concentrazione di alcuni contingenti all’interno del territorio imperiale con la funzione di
unità mobili di difesa.

6. Gli imperatori illirici


L’uccisione di Gallieno nel 268 d.C. in una congiura ordita dai suoi ufficiali, portò al potere il suo comandate di
cavalleria, Claudio II, il primo di una serie di imperatori detti “illirici”.
Egli conseguì alcuni successi contro Alemanni e Goti. Morto Claudio II di peste nel 270 d.C. la sua opera fu
completata da Aureliano che riuscì ad avere ragione delle popolazioni barbariche penetrate nella pianura padana.
In seguito riuscì a sottomettere i due Stati autonomi costituitisi negli anni precedenti: s’impadronì di Palmira, in
Siria (272 d.C.) e due anni dopo sconfisse il sovrano del regno separatista delle Gallie. L’unità dell’Impero risultava
così ricostituita.

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Restituì poi un certo prestigio alla figura del sovrano e promosse una decisa riorganizzazione dello Stato in tutti i
settori essenziali della vita economica; con lui l’autocrazia militare diventava quasi una teocrazia e il culto solare si
identificava con quello dell’imperatore.
Ucciso Aureliano nel 275 d.C. ci fu il breve regno di Tacito (275-276 d.C.) e di Probo (276-282 d.C.) con una
rinnovata pressione barbarica sulla frontiera renana e danubiana. Il successore Caro condusse invece a felice esito
la campagna contro i Persiani, conquistando la capitale nemica, Ctesifonte; morì però vittima di una congiura
militare, come i figli Numeriano e Carino.

7. Diocleziano e il dominato
Si trovò nel 285 d.C. detentore del potere e proclamato imperatore dall’esercito l’anno precedente. Il suo regno
durò fino al 305 d.C., anni in cui egli riuscì a riorganizzare lo Stato romano e a creare le condizioni per la sua
sopravvivenza.
Col suo regno inoltre si chiude l’età buia nota come crisi del III secolo. La sua è un’età di riforme e novità,
cominciando da quella che dava diversa organizzazione al potere imperiale centrale: da questo momento si fa
tradizionalmente iniziare la forma di governo del cosiddetto “Dominato”, rispetto alla precedente del “Principato”.
Per garantire una miglior difesa alle regioni più minacciate, Diocleziano stabilì la propria sede in Oriente, a
Nicomedia, capitale della Bitinia. Inoltre, concepì un sistema in base al quale al vertice dell’Impero c’era un
collegio imperiale composto da quattro monarchi, detti tetrarchi, due dei quali detti Augusti, erano di rango
superiore ai secondi, detti Cesari. Questo sistema aveva come fine quello di fronteggiare meglio le varie crisi
regionali, attraverso una ripartizione del potere e di garantire una successione ordinata, senza ulteriori lotte
intestine. I due Augusti cooptavano i due Cesari e così era previsto che facessero divenuti loro volta Augusti.
Venne nominato prima Cesare e poi Augusto, Massimiano cui spettò il governo in Occidente, in relazione al
Cesare, Costanzo Cloro – Domiziano invece esercitava il suo governo in Oriente, affiancato da Galerio.
Roma cessava di essere residenza abituale dell’imperatore. Massimiano infatti si stabilì a Milano.
L’esercito in questi anni fu potenziato e le truppe migliori messe a disposizione dei tetrarchi e anche il numero delle
province aumentò, mentre si riduceva l’estensione del loro territorio.
Diocleziano di s’impegnò molto anche nella riorganizzazione del sistema economico e nel riordino del sistema
fiscale, con l’imposizione di un’imposta sul reddito agricolo.
Per bloccare la continua ascesa dei prezzi di merci e servizi, tentò di imporre un calmiere con il quale si indicava il
prezzo massimo non superabile – provvedimento che prese il nome di Edictum de pretiis.
Lo spirito conservatore di Diocleziano si manifesta anche in altri due editti, circa la tutela del matrimonio e la
messa al bando della setta dei Manichei, una nuova religione di origine persiana.
Egli aveva inoltre promosso un’intensificazione del culto imperiale, facendosi chiamare Iovius (figlio di Giove) e la
sua volontà di rafforzare l’unità dell’Impero anche sul piano religioso si tradusse nella violenta persecuzione dei
cristiani nel 303-304 d.C. Il fenomeno conobbe fine quasi subito in Occidente e nel 311 d.C. in Oriente per volere
di Galerio.
Nel 305 d.C. Diocleziano e Massimiano abdicarono come previsto dal sistema tetrarchico: i due Augusti
nominarono loro volta come Cesari, Severo per l’Occidente e Massimino Daia per l’Oriente; ma il comando dei
due nuovi Augusti entrò subito in crisi. Nel 306 d.C. trovò la morte a York Costanzo Cloro, a questo punto
l’esercito proclamò imperatore il figlio Costantino, ma anche il figlio di Massimiano, Massenzio rivendicò per sé il
potere.

Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la cristianizzazione dell’Impero


2.1 Un’età di rinnovamento e non di decadenza
La storiografia moderna denomina questo periodo ‘’Tarda antichità’’. Il pregiudizio di un’epoca buia legato alla
tarda antichità può considerarsi oggi superato, al suo interno troviamo infatti un periodo significativo, dal regno di
Costantino I sino alla morte di Teodosio Magno (395 d.C.) – con il definitivo affermarsi del cristianesimo come
religione ufficiale dell’Impero. Il governo dello Stato è diretto dai detentori delle piu’ alte cariche civili e militari,
secondo rapporti gerarchici che con il tempo si definiscono sempre piu’ precisamente. L’imperatore non risiede piu’
a Roma, il che comporta il distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere. L’aristocrazia è impegnata
a difendere la propria identità di ceto e i propri interessi, che si concentrano in special modo nell’Italia meridionale.

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Il senato ha sempre meno potere reale e con esso le varie magistrature vengono meno al potere decisionale che un
tempo le caratterizzava: molto spesso, si limitano a organizzare i ludi.

2.2 Costantino (272-337 d.C.): condusse per alcuni anni una politica prudente, che conobbe una svolta nel 311
d.C. quando abbandona ogni legame coi presupposti ideologici della tetrarchia: a partire da questo momento egli
mostrerà di propendere per una religione di tipo solare, monoteistico.
Mentre Galerio moriva nel 311 d.C. Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C. nella battaglia del ponte
Milvio, sul Tevere, alle porte di Roma impadronendosi della città. La sera prima della battaglia, avvenuta il 28
ottobre, diverse fonti riferiscono della visione/sogno avuto da Costantino di porre un “segno di Cristo” sullo scudo
dei soldati (Lattanzio). Una vittoria dunque cha ha significato trascendente la sola natura politica perché ottenuta
nel segno di Cristo (“In hoc signo vinces”) – la conversione di Costantino significò l’inserimento delle strutture
ecclesiastiche in quelle dello Stato con l’imperatore che poteva intervenire in questioni dottrinali.
All’inizio del 313 d.C. Licinio (subentrato a Severo in Oriente) e Costantino si incontrarono a Milano dove si
accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa. Quest’accordo, noto come “editto di Milano”,
secondo l'interpretazione tradizionale concesse a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le
proprie divinità.
I contrasti fra i due Augusti incominciarono però molto presto: lo scontro finale si ebbe nel 324 d.C. quando presso
Adrianopoli, Costantino divenne il solo imperatore. Costantino fu poi preoccupato di salvaguardare l’unità interna
della Chiesa, come mostra il fine per cui fu convocato il concilio di Nicea (325 d.C.), che egli presiedette
personalmente: il problema in questo caso era di natura teologica, Ario negava la natura divina di Cristo, al
contrario di Alessandro.
Allo scopo di rendere più efficiente l’amministrazione provinciale, le diocesi, in cui l’Impero era stato suddiviso da
Diocleziano, furono raggruppate in quattro prefetture delle Gallie, dell’Italia e Africa, dell’Illirico e dell’Oriente,
rette ciascuna da un prefetto del pretorio.
Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli ci fu la fondazione di Costantinopoli, quale nuova Roma nel 330
d.C.
Tra le riforme attuate da Costantino, una delle più significative riguardava l’esercito: a lui si deve la creazione di un
esercito mobile detto comiatus perché “accompagnava” l’imperatore. I soldati questo gruppo, i comitatenses,
ricevevano una paga più alta, così i soldati che finivano sulla frontiera, il limes, detti limitanei, risultarono essere di
secondo ordine e mal pagati.
Per sopperire poi alla mancanza di soldati nell’esercito si ridusse l’altezza richiesta alle reclute, si incrementò la
caccia ai disertori, si rafforzò l’ereditarietà della professione militare e si concessero privilegi ai veterani per
attirare volontari.

2.3 La morte di Costantino e la fine della dinastia costantiniana


In punto di morte Costantino riceve il battesimo e morì durante la pentecoste del 337 d.C. quindi, venne sepolto
nella basilica dei santi Apostoli come imperatore isoapostolo e vescovo universale.
Sebbene la sua azione politica si stata decisiva per la riforma dello Stato, non si occupò della successione1, così
apparve poco chiaro quale atteggiamento l’Impero dovesse assumere nei confronti di un sempre delicato
argomento: un collegio imperiale con sovrani sullo stesso piano era infatti poco plausibile Costantino aveva
concepito la sua missione come ristabilimento dell’unità statale attraverso la figura di uno solo.
I soldati si mostrarono favorevoli a una successione di stampo dinastico: Costantino II + Costante I + Costanzo II
= si accordarono per un governo congiunto, ma precario, dell’Impero.
Rimarrà solo Costanzo II a regge le sorti dello Stato, che cercò un collega per la parte più occidentale del regno, sì
la scelta ricadde sul sopravvissuto, cugino, Giuliano, nominato Cesare nel 355 d.C.
Cinque anni più tardi Giuliano fu nominato imperatore, restando poi solo dopo la morte di Giuliano nel 361 d.C. –
morì due anni più tardi in una campagna contro i Persiani.

1 La fine della dinastia di Costantino I pone in evidenza il problema della non coincidenza del destino dell’Impero
con quello della Chiesa – due dimensioni separate nonostante la cristianizzazione della società.

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Giuliano è ricordato principalmente per l’effimero tentativo di reintrodurre la religione pagane all’interno della
struttura statale: ordisce infatti un programma di ampio respiro che aveva i propri capi saldi nell’amministrazione
onesta e efficiente delle città e una rivitalizzazione del loro ruolo.
Passa alla storia come l’apostata (rinnegato), un epiteto che gli fu dato da alcuni cristiani, i quali ebbero a temere
che potesse far tornare il tempo delle persecuzioni.
Usa misure discriminatorie nei confronti dei cristiani per dare adito alla sua riforma e riconosce il proselitismo
nella nuova religione in virtù della sua organizzazione, da qui nasce il suo impegno ad affermare il primato pagano
anche in questa realtà.

2.4 Dalla morte di Giuliano a Teodosio Magno


Con la morte di Giuliano in Persia (364 d.C.) fu acclamato imperatore un ufficiale di origine pannonica –
Valentiniano, il quale si associò al potere il fratello Valente, cui affidò l’Impero orientale.
È un momento di relativa unità interna, che durerà fino a Teodosio, sebbene non manchino tentativi di usurpazione
e occasioni di scontro con le popolazione barbare.
Valentiniano attua una politica di tolleranza e sostegno circa le classi meno abbienti + riesce a instaurare un
efficace contenimento dei barbari, sempre più numerosi sulle frontiere, durante il suo regno.
Nel 375 d.C. combattendo contro i Quadi, muore, cedendo il trono al figlio Graziano ancora giovane + viene
proclamato Augusto anche il fratello minore Valentiniano II.
Dall’altro lato, in Oriente, Valente dovette scontrarsi più volte con le minacce insistenti di Unni e Goti; dopo che
fallirono i tentativi di insediarli pacificamente entro i confini della Tracia, ove verranno affrontati in campo aperto.
Nel 378 d.C. risulterà sconfitto presso Adrianopoli e quivi morirà in battaglia.I giovani imperatori cui spettava il
governo dello Stato, decisero di chiamare un generale spagnolo, Teodosio, il quale era ben consapevole
dell’impossibilità di cacciare Goti oltre il Danubio e con i quali stabilisce dunque una pace nel 382 d.C.
I Goti ricevevano terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma (detti foederati), mantenendo i loro
capi e le loro leggi, ma con vincolo di fornire soldati se necessario.
Nel 383 d.C. intanto, in Britannia, un ufficiale spagnolo, Magno Massimo, tenta di sovvertire le gerarchie di potere
con in tentativo di usurpazione che vede la propria genesi nell’invasione della Gallia, ove Graziano si tolse la vita.
Ma fu in seguito sconfitto da Teodosio, una volta giunto in Italia.
Teodosio nonostante gli impegni sul fronte militare, si dimostra attento anche al problema religioso: nel 380 d.C.
infatti emana un editto, per il quale la religione cristiana diventava quella ufficiale dell’Impero.
L’anno successivo (381 d.C.) il concilio ecumenico di Costantinopoli, stabilisce una severa legislazione nei
confronti dei seguaci del paganesimo.
In ordine a questo stato di cose, specie in ambiente teologico/religioso, una figura di spicco negli ultimi anni del IV
sec. è il vescovo di Milano, sant’Ambrogio, figlio di un prefetto del pretorio e acclamato vescovo nel 374 d.C.
mentre era governatore in Emilia.
Egli affrontò con successo i tentativi dell’ariana Giustina, di ottenere riconoscimenti per la sua confessione e
impose al sua autorità anche a Teodosio.

2.5 La vittoria del cristianesimo e la risposta pagana


La svolta che in questo momento caratterizza il cristianesimo è corroborata da una legislazione ostile ai pagani,
emanata dagli imperatori successivi – sebbene a Roma, l’aristocrazia senatoria difese il paganesimo anche per
tutelare la propria identità politica, intavolando una polemica culturale contro la religione ormai diffusa in tutto lo
Stato.

2.6 La crisi economica


Fra il II e il III secolo poi vi è un’evidente trasformazione nei sistemi di gestione delle aziende agrarie: sintomo di
una crisi in atto. La vita schiavistica aveva ormai esaurito il suo ciclo come centro produttivo autonomo. Le
incursioni barbariche colpirono città e campagne, determinando una rottura dei confini imperiali e realizzando, di
fatto, una chiusura dei circuiti commerciali mediterranei, ora più circoscritti. Nelle campagne, nasce una nuova
figura, sul piano giuridico, il colono, di stato libero ma vincolato alla sede dove lavora. Sin dal III secolo d.C.
Roma cessò di essere residenza dell’imperatore quando Massimiano, L’augusto, trasferì la sua residenza a Milano.

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Tale trasferimento creò in questa città un accresciuto fabbisogno, dovuto alla presenza in essa del personale
burocratico e dei soldati. Una circolazione limitata di beni fu garantita dall’emergere di nuove classi sociali,
magistrati e funzionari statali, ecclesiastici che mantenevano un alto livello di potere d’acquisto. La
frammentazione politica seguita alle invasioni barbariche provocò nel V secolo d.C. la definitiva rottura delle
relazioni commerciali all’interno del Mediterraneo, che determinarono un rapido abbassamento delle condizioni di
vita e un netto declino demografico.

2.7 Che cosa si intende per Tarda Antichità


Si riflette in questo periodo l’immagine di un’epoca portatrice di valori positivi. Come momento conclusivo
dell’età tardoantica si è accettata in genere l’invasione longobarda per l’Occidente e la fine del regno di Giustiniano
per l’Oriente.

2.8 L’ideologia dell’imperatore tardoantico


Per un sovrano, dopo la crisi del III secolo, si trattava di trovare una sorgente di legittimità alternativa al senato cui
si potesse appellare per tenere a freno gli eserciti. Il popolo poteva fornire un sostegno diretto con acclamazioni e
manifestazioni di consenso di vario tipo. Ma era necessario trovare uno strumento che fissasse in termini chiari e
stabili origine e finalità di chi deteneva il potere. Il cerimoniale acquista cosi il ruolo delicato di riassumere in un
codice di comportamento quello che il popolo si attendeva dal sovrano. Un compito del buon sovrano consiste
nell’incrementare il sentimento morale dei suoi sudditi. Per questo si deve presentare loro come una sorta di
riflesso della divinità. L’imperatore tardoantico è tale per grazia divina.

2.9 Costantino: una figura controversa


Gli eventi smentivano la propaganda costantiniana: l’impero era di nuovo lacerato da conflitti di natura religiosa
oltre che politica. La Tarda antichità è un’età di forti contraddizioni. E’ innegabile che essa presenti, malgrado la
cristianizzazione della società caratteri autoritari e repressivi. A Costantino si deve una costituzione che estendeva
la tortura ai membri dell’élite provinciale i cosiddetti curiali, in caso di falsificazione dei documenti. Ci fu un
miglioramento nella posizione delle donne e delle mogli, dei figli e degli stessi schiavi.

2.11 La riforma del paganesimo promossa da Giuliano


Giuliano tentò di promuovere il ritorno al paganesimo. Oltre a ricorrere a misure discriminatorie nei confronti del
cristianesimo, si impegnò in un complesso disegno di riforma della religione pagana tradizionale che si ispira ad
alcune forma organizzative della Chiesa cristiana.

2.12 Pagani e cristiani alla fine del IV secolo d.c.


Il dibattito che oppone cristiani e pagani ha il suo momento intellettualmente piu’ alto nella controversia che nel
384 d.c. oppose il prefetto di Roma al vescovo di Milano, Ambrogio.

Parte sesta
La fine dell’Impero romano d’Occidente e Bisanzio

1.1 L’impero romano e i barbari


A metà del IV sec. d.C. i Goti erano la forza predominante nel Ponto, divisi in due raggruppamenti: Greuntungi e
Tervingi (forse Visigoti e Ostrogoti), i cui rapporti con Roma sono dettati dal trattato del 332 d.C. di Costantino,
secondo il quale erano uno Stato-cliente dei Romani. Il trattato contiene un importante elemento di novità perché
poneva le condizioni per l’impiego di barbari goti come soldati al servizio di Roma.
Queste popolazioni entrarono in crisi in ordine alla pressione esercitata dagli Unni: i Tervingi chiedono di essere
trasferiti a sud del Danubio, in Tracia, promettendo soldati se necessari.
Il disastro di Adrianopoli del 378 d.C. in cui trova la morte lo stesso imperatore Valente, è una delle pagine piu’
drammatiche della storia del Tardo Impero e le conseguenze sono decisive per la sopravvivenza dell’Impero
romano e finì per consentire definitivamente l’insediamento di Goti in Tracia, all’interno dunque delle frontiere
dell’Impero romano. La società e l’esercito sono ormai sempre più intersecati con la realtà dei barbari, i quali

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hanno un forte influsso sulla politica interna romana, anche in virtù della loro posizione nella gerarchia militare. Il
processo di integrazione non era però mai completo del tutto e solo eccezionalmente veniva concessa la
cittadinanza; vengono create leggi per evitare contaminazioni, sebbene la separazione sia già marcata dal
mantenimento della loro struttura tribale, pur essendo tenuti a pagare tasse e a prestare servizio militare. L’influsso
dei Germani sulla politica interna romana si basa quasi esclusivamente sulla loro
posizione guadagnata all’interno della gerarchia militare.

1.2 Cristianesimo e mondo barbarico


La risposta della chiesa alla questione barbarica vede i cristiani poco interessati ai barbari in quanto tali, ma solo
indirettamente per eventuali eresie; Ambrogio è generalmente conciliante e disponibile con questi popoli,
rilevandone l’utilità per funzioni di difesa.

1.3 La divisione dell’Impero; Stilicone


Teodosio, morto nel 395 d.C., lascia l’Impero territorialmente diviso in due parti, che affida ai suoi figli: Arcadio
(Oriente) e Onorio (Occidente). Uno smembramento piuttosto rovinoso per l’Occidente, minacciato da sempre più
frequenti incursioni barbariche, mentre l’Oriente poteva concentrare i suoi sforzi contro il problema persiano.
Nelle intenzioni di Teodosio, in realtà, la dimensione unitaria dello Stato doveva essere mantenuta viva da un
generale di origine vandalica Stilicone, cui affidò i figli, ma la situazione militare non permise un semplice decorso
di successioni, specie all’inizio del V sec. quando una serie di incursioni barbariche giunsero anche in Italia, ove i
Goti entrarono con Alarico e Radagasio troppe sono le invasioni su fronti diversi.
Stilicone verrà messo a morte a Ravenna nel 408 d.C. accusato di ordire un’intesa coi barbari, da parte di Onorio –
sebbene stesse solo cercando di trovare un compromesso coi Goti, troppo vicini a centri di potere della Penisola.

1.4 Il sacco di Roma


Privata del suo difensore l’Italia risultava abbandonata alla mercé di Alarico, che nel 410 d.C. entra a Roma e la
saccheggia e in seguito i Goti si stabiliranno nella Gallia meridionale, dando vita a uno Stato con capitale Tolosa. Il
successore di Alarico, Ataulfo sposò Galla Placidia (sorella di Onorio) che diventò così regina dei Visigoti.
In Occidente ha un ruolo importante Flavio Costanzo, che nel 417 d.C. dopo la morte di Ataulfo, sposa Galla
Placidia e nel 421 d.C. si fece proclamare imperatore, morendo però l’anno stesso.
A capo poi dell’Impero d’Occidente fu insediato Valentiniano III, con la reggenza dell’Impero affidata però a G.
Placidia che regnava per conto del figlio, attraverso il generale Ezio.
In Romania il pericolo degli Unni guidati da Attila, fu affrontato dallo stesso Ezio; essi giunsero prima in Grecia,
poi marciarono verso Occidente, invadendo la Gallia: vennero sconfitti nel 451 d.C.

5. Vandali e Unni
Nei decenni iniziali del V secolo d.C. si segnalano per il loro dinamismo e pericolosità alcune popolazioni che però
non si rivelano capaci di dar vita a organizzazioni stabili. I vandali posero fine alla storia dell’Africa romana,
occuparono un lungo tratto di costa nel 430 d.C. Nel 439 d.C. cadde anche Cartagine e il re vandalo Genserico
ottenne il riconoscimento del suo regno da parte della corte ravennate. Il regno dei Vandali non riuscì mai ad
organizzarsi su basi stabili. Privo di una forte coesione interna, il regno vandalico durò poco piu’ di un secolo: fu
conquistato da Giustiniano nel 534 d.C e inglobato nell’Impero d’Oriente. Contemporaneamente nella Pannonia
incombeva il pericolo rappresentato dagli Unni, guidati da Attila. In un primo tempo essi si diressero contro
l’oriente penetrando sin nella Grecia centrale, ma in seguito indirizzarono le loro mire verso Occidente dove
regnava il debole Valentiniano III. Quando Attila nel 452 d.C. mosse alla volta dell’Italia si verificò un evento
inatteso. Gli unni lasciarono improvvisamente la penisola dopo aver incontrato una delegazione guidata dal papa
Leone I. La morte di attila provoò la rapida dissoluzione del suo regno.

1.6 La fine dell’Impero romano d’occidente


La situazione all’interno dell’Impero verso metà del secolo si faceva sempre più precaria, nel 455 d.C. Roma fu
saccheggiata una seconda volta ad opera dei Vandali, Genserico e sempre nello stesso anno muore Valentiniano III.

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Maggioriano, imperatore dal 457 al 461 d.C. è considerato l’ultimo detentore del potere in Occidente, che abbia
tentato una riscossa militare e una serie di riforme economiche per alleviare la crisi.
Dopo il suo tentativo si succederanno una serie di imperatori effimeri, privi di vero potere. Ricimerio, un generale
barbaro che sconfisse Maggioriano, assediò poi a Roma Autemio, voluto imperatore da Costantinopoli, dopo la
morte del predecessore.
In seguito, l’imperatore d’Oriente Zenone nomina Giulio Nepote, contro il quale si ribello un generale, Oreste (474
d.C.) – il figlio di Oreste, Romolo insediato sul trono imperiale, fu scacciato dal capo barbaro Odoacre (476 d.C.),
il quale non rivendica per se il titolo di imperatore.
Formalmente la fine dell’impero romano d’occidente si ebbe nel 476 d.C. quando Romolo, detto scherzosamente
Augustolo per la sua giovane età, il figlio che Oreste aveva insediato sul trono imperiale, fu scacciato da un capo
barbarico, lo sciro Odoacre.

1.7 Sant’Agostino e il problema della caduta dell’impero romano


Si è cercato di dare due generi di spiegazione della caduta dell’Impero romano d’Occidente:
1. Mono-causale – la ragione fondamentale è la crisi interna e esterna (economica e politica) + la presenza dei
barbati.
2. Pluri-causale – ricerca fattori che parallelamente possono aver determinato il declino imperiale, come la
crisi economica determinata dalla crescente quantità di risorse per fronteggiare la minaccia barbarica.
Agostino, vescovo di Ippona, si trovò nella necessità di rispondere all’attacco frontale recato dai pagani con le loro
tesi sulla responsabilità dei cristiani per il sacco di Roma e la crisi dell’impero. A Cartagine poi, sant’Agostino si
confronta con gli intellettuali d’élite per far fronte a cristiani poco convertiti, senza per questo evitare il problema
della città o dello Stato nel De civitate Dei. Se le due città, la città terrena e quella celeste, nel pensiero agostiniano
hanno un valore metafisico ed escatologico, per cui non possono essere a rigore identificate né con Roma né con la
Chiesa, elementi dell’una e dell’altra sono comunque be presenti in entrambe. Ne è un buon esempio la
considerazione di Agostino secondo cui è l’amore di sé che ha costruito la città terrestre, mentre è il disprezzo di sé
che ha originato quella celeste. Agostino avverte come nella città terrena sia immanente la volontà di sopraffazione.
E’ quindi lo stesso Impero romano che finisce per costituire un problema perché la formazione di un dominio
universale corrisponde a un disegno di Dio. Egli respinge la linea di principio le motivazioni imperialistiche: gli
ampliamenti territoriali, che si fondano solo sulla sopraffazione e l’ingiustizia, sono sempre da condannare.

I regni romano-barbarici
2.1 Il regno di Teodorico in Italia
Il re dei Goti Teodorico aveva familiarità colle istituzioni romane grazie al periodo di tempo trascorso alla corte di
Costantinopoli, giunse poi in Italia col titolo di patricius, con la missione di eliminare Odoacre. Dopo varie
vicende, nel 493 d.C. Odoacre fu sconfitto e ucciso.
Le sue intenzioni volte a cercare di mettere in atto una collaborazione tra Goti e Romani premettono l’emanazione
di un complesso di leggi per regolare i rapporti fra le due comunità etniche su una base di eguaglianza. Egli fece
restaurare molti monumenti in decadenza in varie città, concentrando i propri sforzi sulla capitale, Ravenna. Nel
complesso il periodo di regno di Teodorico rappresentò un momento positivo per la penisola italiana. Purtroppo
però alla lunga, la collaborazione tra Goti e Romani si rivelò impraticabile.
Rimane tuttavia una forte diversità sul piano ideologico e dottrinale, in ordine alla presenza di cattolici romani che
si opponevano alla confessione ariana dei Goti: questa dicotomia prevalse sulle ragioni di tolleranza che Teodorico
aveva espresso nei confronti dei cristiani. In un certo momento sembrò che si realizzassero le condizioni per una
convergenza antiariana di cattolici e di Bizantini. Il sovrano reagì facendo imprigionare papa Giovanni I e mettendo
a morte gli uomini che avevano preso parte al suo programma di governo: nel 524 d.C. fu giustiziato Severino
Boezio, nel 525 d.C. Simmaco, l’anno seguente poi morì lo stesso Teodorico lasciando il regno alla figlia,
Amalasunta.

2.2 I regni romano-barbarici d’Occidente

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Le invasioni barbariche posso dividersi in due fasi fondamentali:


1. popoli penetrati all’interno dell’Impero dopo lunghe peregrinazioni, attraverso gruppi poco numerosi e in
zone limitate delle province occupate essi si regolarono secondo norme tradizionali loro proprie, sebbene
la popolazione romana stanziata nel medesimo territorio continuasse a vivere in conformità colle istituzioni
giuridiche precedenti: la coesistenza di due componenti da adito alla formazione dei cosiddetti regni
romano-barbarici;
2. popoli stanziati già da tempo ai confini e una volta entrati imposero la propria organizzazione alla
popolazione romana. (Longobardi in Italia, Franchi in Gallia e Angli e Sassoni in Britannia).

Nel 407-407 d.C è la prima volta che ai barbari si dava, oltre alla possibilita’ di insediarsi legittimamente all’interno
dei confini dell’Impero, anche quella di esercitare una piena autorità sulle terre in cui si insediavano. Il regno
ostrogoto in Italia durò poco piu’ di mezzo secolo, dalla fine del V alla seconda metà del VI sec. d.C. Coincide in
larga misura con il regno del re Teodorico. Il piu’ importante regno barbarico è quello dei Franchi e la figura
centrale di questo periodo è Clodoveo, della dinastia Merovingia, re nel 481 d.C. che grazie alla sua conversione al
cristianesimo, favorì l’integrazione dei Franchi con gli esponenti dell’aristocrazia gallo-romana. Quasi la totalità
della Gallia era sotto il dominio dei Franchi.

2.3 La società romano-germanica


L’installazione dei barbai sul suolo romano avvenne secondo modalità molto differenti. In Britannia si era trattato
di una conquista pure e semplice, senza alcuna copertura giuridica e senza forme di intesa tra invasori ed indigeni.
Nella Gallia meridionale, in Spagna e in Italia l’insediamento dei Germani avvenne sulla base della copertura
giuridica di un trattato. Oltre alle modalità giuridiche hanno avuto peso le realtà religiose. A momento delle
invasioni tra i Romani i ceti socialmente piu’ elevati avevano aderito al cristianesimo. La maggioranza dei barbari
con l’eccezione dei Franchi era cristiana ma di credo ariano. Gli invasori della Britannia erano addirittura pagani.
Ogni regione quindi conobbe realtà differenti. In alcuni casi si realizzò un dualismo amministrativo tra Romani e
barbari.

2.5 L’integrazione tra Romani e barbari nei nuovi regni


Un secondo personaggio di rilievo è Cassiodoro, presso i Goti, il quale si sforzò di trasporre l’ideologia romana
nelle realtà politiche del regno ostrogoto, facendone così un prolungamento dell’Impero romano d’Occidente vuole
esprimere l’idea di una nazione romano-gotica. La decisione di Cassiodoro di scrivere una Storia dei Goti
rappresenta una grande novità rispetto alla tradizionale storiografia latina. Essa implica una doppia apertura: da una
parte si trattava di concepire i Goti e il loro passato al di fuori dal quadro dell’Impero e della storia romana, in cui
figuravano come barbari, dall’altra ci si disponeva a considerarli in termini ad essi propri, come una nazione
dall’origine lontana nel tempo e nello spazio.

2.6 Il monachesimo
Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo in varie
forme. Le piu’ importanti furono quelle del monastero di Lerins. Questo monachesimo provenzale si caratterizza
per una mescolanza tra vita in solitudine e in comunità’ e per le forme moderate di ascesi. I monasteri ebbero
inoltre una funzione importante come centri di cultura. Con la fine dell’impero romano in occidente era entrato in
crisi anche il sistema scolastico. Nel VI secolo gli unici centri di vita culturale e di istruzione furono i monasteri. In
occidente non esistevano scuole superiori cristiane. Questa carenza fu affrontata da Cassiodoro che aveva
abbracciato la vita monastica ritirandosi a Vivarium dove fondò un monastero. All’incirca contemporaneo di
Cassiodoro è san Benedetto, il grande fondatore della vita monastica in Occidente. Anche se alla base della sua
conversione alla vita ascetica c’era il rifiuto di ogni commistione con lo studio della letteratura pagana,
nell’organizzazione monastica benedettina è lasciato spazio alla cultura, almeno allo scopo di far si che i monaci
sapessero leggere le Scritture. Questa risulterà una via importante per la trasmissione del sapere. La necessità di
una formazione adeguata anche per il clero fece si he sorgessero delle apposite scuole episcopali e presbiteriali.

2.7 Le trasformazioni della città alla fine del mondo antico

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Nella maggior parte della città il Foro romano continuò a svolgere la sua funzione di centro economico in quanto
sede del mercato, ma perse il suo ruolo di direzione politica con il venir meno dei consigli cittadini. Con il
medioevo si affermano in alternativa il palazzo regio e la cattedrale. In generale l’età tardoantica è caratterizzata
dalla costruzione di chiese di notevoli proporzioni non solo nelle capitali ma anche in città minori.

2.8 Un nuovo tipo di alimentazione


In Occidente la fine dell’Impero romano segnò un regresso di tutte le colture che avevano il loro centro di
organizzazione nel sistema razionale della villa e che potevano contare su una fitta rete commerciale. Le
popolazioni settentrionali dell’impero, vivendo in condizioni climatiche umide e fredde e avendo adottato solo
parzialmente un sistema di vita stanziale, avevano un’economia nella quale i cereali e gli ortaggi integravano i
prodotti fondamentali del bosco e della foresta. Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero romano la struttura
ben organizzata del paesaggio agrario dell’Europa occidentale andò incontro a una forte decadenza. Nell’area
mediterranea le crescenti difficoltà della vita urbana, prvocarono un declino demografico. Si assiste ad una drastica
riduzione della policultura. Zone prima coltivate divennero abbandonate, anche per l’insorgere della malaria,
prodotta dall’acqua dei fiumi che ristagnavano dopo aver invaso le pianure costiere. Il sistema economico che si
definisce con il nome di ‘’silvo-pastolare’’ si impose anche nell’Area mediterranea durante i primi secoli del
Medioevo. Il declino demografico favorì l’impaludamento di molte zone costiere e l’allargarsi del territorio incolto.
Proprio gli spazi incolti si rivelarono ben presto una risorsa importante di sostentamento. I pascoli servivano
all’allevamento del bestiame. L’allevamento ovino era senza dubbio preponderante anche per ragioni climatiche
nell’Italia centro-meridionale.

2.9 L’Italia durante la guerra tra Goti e Bizantini


L’età di Teodorico nel complesso aveva significato un periodo di relativa ripresa economica per l’Italia.
L’agricoltura e il commercio poterono profittare del periodo di pace e di una migliorata viabilità.

Bisanzio
3.1 L’impero d’Oriente fino al regno di Giustiniano
Le vicende dell’Impero d’Oriente sono distinte da quello occidentale, dal 395 d.C. colla morte di Teodosio. Molti
parlano in questo senso di una storia a sé, una “storia bizantina” avente caratteristiche sue proprie con un inizio
(330 d.C.) e una fine (1453 d.C.).
Arcadio morì nel 408 d.C., gli successe Teodosio II, ma in sua vece governa il prefetto del pretorio, fino al 450 d.C.
Anche in Oriente si dovette poi affrontare il pericolo barbaro, da parte degli Unni, che minacciavano
Costantinopoli. Sebbene l’Oriente uscì da questa fase senza grosse perdite e mantenendo una compattezza interna,
a travagliare la vita politica di Bisanzio ci furono diverse controversie di natura religiosa.
Teodosio II è ricordato per la sua attività di riordino della giurisprudenza, nel 438 d.C. promulgò una raccolta delle
leggi imperiali da Diocleziano in poi (Codice Teodosiano).
A travagliare la vita interna di Bisanzio in questo periodo furono soprattutto le controversie di natura religiosa
relative alla natura di cristo. I problemi di ordine finanziario emersi nei regni di Leone, Marciano e Zenone (457
d.C. 491 d.C.) verranno in seguito affrontati da Anastasio che realizzò un’importante opera di riforma delle
strutture fiscali e blocca l’offensiva lanciata dai persiani nel 502-503 d.C.
Alla sua morte gli successe un ufficiale, Giustino, che deceduto nel 527 d.C. lasciò il trono imperiale a Giustiniano .

3.2 Il regno di Giustiniano


Giustiniano (527-565 d.C.): rappresenta l’estrema conclusione del mondo antico.
Intavola grandi riforme + un progetto di riunificazione dell’Impero; il suo nome inoltre è legato all’attività di
riordino della giurisprudenza: nel 528 d.C. una commissione con un giurista ebbe il compito di predisporre una
nuova raccolta di costituzioni imperiali (Codex Iustinianus).
Una seconda commissione nel 533 d.C. lavorerà per la pubblicazione il cinquanta libri (digesto o pandette) e un
manuale (Istituzioni) con i fondamentali princìpi giuridici ad uso degli studenti. L’insieme di queste parti forma il
Corpus Iuris Civilis.

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Ha grande rilievo anche l’attività edilizia di Giustiniano e cerca di reprimere gli abusi fiscali, ma come detto posto
d’eccellenza va lasciato alle questioni dottrinali. Forte fu l’impulso dato anche al commercio e a nuove attività
economiche, tra le quali spicca la produzione della seta.
Una delle principali opponeva l’ortodossìa ribadita nel concilio di Calcedonia (451 d.C.) per cui la natura umana e
divina coesistono in Cristo e di contro, il credo monofisita che accentuava la Sua natura divina.
Nel 533 d.C. il generale Belisario sconfisse l’ultimo sovrano vandalico, Gelimero, sì che l’Africa del nord,
Sardegna e Corsica passarono sotto il dominio bizantino; mentre più lunga fu la guerra per la conquista dell’Italia
(dal 535 d.C. al 553 d.C.) che infine diventò una delle prefetture dell’Impero d’Oriente. La restaurazione
giustinianea in Italia però fu interrotta tre anni dopo, coll’arrivo nella Penisola dei Longobardi.
All’interno del mondo cristiano poi ci sono diversità dottrinali tra Costantinopoli e il papato: gli equilibri si fanno
sempre più precari, eliminando l’ultimo fattore di unificazione ereditato dal mondo antico, la religione.

3.3 Costantinopoli
Costantinopoli, la nuova capitale inaugurata da Costantino nel 33° d.C. al posto dell’antica Bisanzio sul Bosforo,
contava una popolazione di 100.000 abitanti. Durante il regno di Teodosio II la sua superficie fu piu’ che
raddoppiata. Una tale densità abitativa si spiega con le distribuzioni gratuite di generi alimentari, ma soprattutto
con un’intensa attività della legge. A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria,
isolati dal resto della città. La vita quotidiana del sovrano si svolgeva secondo un cerimoniale minuzioso.

3.4 La società bizantina


La società bizantina ha avuto inizio quando l’Impero romano dovette far fronte alla grave crisi che lo afflisse nel
corso del III secolo d.C. L’oriente dimostrò maggiore capacità di reazione e di ripresa rispetto all’Occidente; la
diversità di questo processo fu anche la causa del distacco progressivo dei due mondi. Nel passaggio dal mondo
romano al mondo propriamente bizantino si realizzò in primo luogo l’affermazione di insaldo e autonomo apparato
burocratico. Il funzionario è perciò una figura tipica della società bizantinissima. La sua entrata in servizio era
suggellata da un rituale preciso che aveva il suo momento piu’ alto nel giuramento di fedeltà all’imperatore.
All’inizio dell’impero d’Oriente, l’imperatore conserva ancora i connotati del capo scelto per volontà popolare. Da
parte sua l’esercito mantiene la propria posizione autonoma e una sua capacità di entrare nella dialettica politica.
Progressivamente però si rafforzò l’idea che l’investitura dell’imperatore fosse in realtà concessa dalla grazia di
Dio. La distanza tra l’imperatore e i sudditi veniva costantemente ribadita. Gli abitanti dell’Impero non sono
cittadini ma sudditi.

3.5 La Chiesa bizantina


Nel mondo bizantino un ruolo di grande rilievo fu svolto dalla Chiesa. Nelle città operavano i vescovi, nelle città
importanti gli arcivescovi, mentre i vescovi delle tre maggiori città dell’Impero, Costantinopoli Antiochia e
Alessandria assunsero il titolo di patriarca. Il patriarca doveva in teoria essere eletto dal clero, dal popolo della sua
città e dai metropoliti: in realtà la sua nomina soprattutto a Costantinopoli, era di stretta competenza
dell’imperatore. Il monachesimo e l’ascetismo apparivano come l’unica via di ricerca della perfezione cristiana
rimasta dopo che la conversione di Costantino aveva tolto la possibilita’ del martirio. Già il primo imperatore
cristiano, Costantino, come si è visto, dovette convocare un concilio ecumenico a Nicea per procedere alla
condanna dell’eresia ariana che negava la natura divina alla persona di Cristo. Due furono le scuole teologiche che
si contrapponevano in modo piu’ netto: una era quella di Antiochia, che privilegiando la natura umana di Gesù,
sosteneva che Maria non poteva dirsi ‘’madre di Dio’’, ma solo ‘’madre di Cristo’’ in quanto coesistono due nature
distinte: l’altra scuola invece, quella mistica di Alessandria affermava la piena unità della natura divina e umana di
Gesù.

3.6 L’assistenza verso i poveri nel mondo bizantino


Già nei primi secoli dell’Impero bizantino furono create delle specifiche istituzioni assistenziali. Nella legislazione
giustinianea, scritta in greco, fu riservato un notevole spazio ai poveri: essi furono guardati come una categoria
sociale il cui statuto giuridico era determinato da una collocazione che si afferma sempre piu’ chiaramente
nell’ordine economico. Proprio per questo si rese necessaria una definizione giuridica della povera’ per giustificare,

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da una parte, alcune misure politiche e dall’altra i privilegi e le limitazioni che determinano proprio in funzione
dell’assistenza, la condizione speciale dei beni ecclesiastici e con essa l’eccezionale potenza economica della
chiesa. La legislazione si preoccupò soprattutto di un aspetto, e cioè dei riflessi che la povertà e l’impoverimento
potevano avere anche sull’ordine pubblico. L’afflusso disordinato degli uomini nelle grandi città e soprattutto nella
capitale era destinato a far crescere le file dei poveri. La legge favorì tanto la costituzione, presso le chiese e i
monasteri, di un patrimonio destinato ai poveri quanto la costruzione di edifici a scopo assistenziale.

3.7 La fine del mondo antico


La crisi del III secolo trasformò l’imperatore in un soldato professionista, un autocrate dallo status sovraumano. Il
principato augusteo aveva un fondamento carismatico: l’epiteto stesso di ‘’Augusto’’ conferito ad Ottaviano
suggerisce l’idea di una persona posta al di sopra degli uomini comuni. Il sovrano aveva ormai l’esigenza di una
dimensione sacrale. L’impero bizantino fece propria questa ideologia. In occidente si realizzarono preso le
condizioni per un’organizzazione del tutto nuova. Iniziava allora un’età nuova, che per convenzione chiamiamo
Medioevo. La società risentì delle trasformazioni del quadro politico: la civiltà da urbana divenne prevalentemente
rurale e l’economia naturale iniziò a predominare su quella monetaria. Una delle grandi realizzazioni dell’impero
romano era stata l’unificazione politica del Mediterraneo e la sua pacificazione. Tra la fine del VI e l’inizio del VII
secolo, questo quadro risulta irrimediabilmente compromesso.

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