PREISTORIA E PROTOSTORIA
Durante il Paleolitico, circa 40mila anni prima di Cristo, si riscontrano in Grecia tracce di
occupazione umana, di probabili cacciatori e raccoglitori seminomadi.
Con l’arrivo del Neolitico, sembrano formarsi in Grecia comunità stabili, riunite in villaggi di case,
di una popolazione dedita all’agricoltura e all’allevamento; compare anche la ceramica. Le
caratteristiche degli insediamenti neolitici, e in particolare della ceramica, inducono a ipotizzare
relazioni con il Vicino Oriente (Anatolia…).
La transizione dal Neolitico all’Età del Bronzo corrisponde a un notevole ampliamento dei circuiti
di scambio verso l’Egeo orientale e l’Europa centrale. I centri più importanti si spostano dalle zone
settentrionali (Tessaglia, Macedonia) a quelle meridionali (Peloponneso, Cicladi, Creta): qui si
svilupperanno le grandi civiltà dell’Età del Bronzo, minoici e micenei. Si formano centri proto-
urbani, dove vi è un passaggio da un’economia agro-pastorale di pura sussistenza a una
crescente utilizzazione delle risorse non agricolo e nell’insediamento in villaggi.
LA CIVILTA’ MINOICA
Verso la fine del III millennio (2000 ca), l’equilibro del Bronzo antico si rompe, dando luogo a
profondi cambiamenti. L’Egeo si scinde in due aree, che nel corso del Bronzo medio seguono
sviluppi diversi: Creta e le Cicladi si sviluppano mentre il Peloponneso e la Grecia centrale e
settentrionale regrediscono.
Creta svolge per tutta la prima metà del II millennio un ruolo di primo piano, sia durante il periodo
dei primi palazzi (2000-1700), edificati in forme relativamente semplici a Festo e a Cnosso, sia
soprattutto durante quello dei secondi palazzi (1700-1450) che rappresenta l’apogeo della civiltà
minoica. Quest’ultima fase è l’egemonia di Cnosso, che impone sull’isola unità culturale: la
denominazione deriva dal mitico re cnossio Minosse, ricordato da Tucidide nell’ “Archeologia”
come un “thalassokrator” > impero marittimo di Minosse.
Dal punto di vista architettonico, il palazzo ha una struttura complessa, che è alla base della
tradizione cretese sul labirinto (attorno ad un grande cortile centrale ci sono le varie stanze). La
mancanza di fortificazioni sembra indicare una certa sicurezza rispetto alle aggressioni esterne.
La scrittura, necessaria per la contabilità palaziale, già note in Mesopotamia e Egitto, qui ha un
sistema autonomo. Prima una scrittura ideogrammatica-geroglifica (presente in epoca
protopalaziale a Mallia e Cnosso), poi la cosiddetta Lineare A (non solo a Creta ma anche nelle
Cicladi e nella Samotracia): entrambe scrittura sillabiche, che esprimono una lingua non greca,
non decifrabile. Nel 1450 fa la sua comparsa la Lineare B, elaborata in Grecia continentale: la sua
presenza a Creta è ritenuta testimonianza della conquista dell’isola da parte dei Micenei 1450 ca.
LA CIVILTA’ MICENEA
Lo sviluppo della civiltà micenea muove dal’Argolide e dalla Messenia, per investire poi altre aree
regionali come la Laconia, l’Attica e la Beozia. Importanti centri in Argolide sono Argo, Tirinto,
Midea, Micene. Micene assume un’eccezionale importanza, come risulta anche dalle tombe “a
pozzo”, proprie di un’elite aristocratica di guerrieri che sembra volersi distinguere dal resto della
popolazione, cui sono riservate tombe più povere, del tipo “a fossa”. Importanti sono le tombe
dei circoli A e B: il circolo A, scoperto da Schliemann nel 1876, comprende la maschera di
Agamennone e dà ragione alla definizione omerica di Micene ricca d’oro; il circolo B quattro
tombe a fossa.
L’ascesa improvvisa dei primi Micenei, con la loro grande ricchezza, si collosa in un periodo che
corrisponde alla seconda fase palaziale cretese. Importante è il 1450, data dell’insediamento di un
dominio miceneo a Cnosso e, probabilmente, anche a Chanià (> Creta passa poi ai micenei).
Con la conquista di Creta, la cui civiltà declina dopo la distruzione del palazzo di Cnosso nel
1380 circa, i Micenei subentrano nella gestione delle rotte commerciali del Mediterraneo orientale.
I palazzi micenei sono il centro del potere, della vita religiosa, dell’amministrazione, dell’economia
e delle forze militari. Tutte le informazioni che abbiamo ci giungono da tavolette di registrazioni
amministrative. I palazzi sono fortificati dunque il timore di attacchi esterni è ben presente rispetto
ai minoici. L’esigenza principale che spinge i Micenei sulle vie del mare è la necessità di reperire
metalli, materiali preziosi come avorio e ambra, tessuti pregiati, legname, in cambio dei quali la
produzione micenea offre olio, vino, manufatti di bronzo e ceramica, lana e lino.
- WANAX: signore
Il wanax ha la sua struttura di rappresentanza nel MEGARON, cuore del palazzo. Sia wanax sia
lawaghetas hanno una porzione di terra, il TEMENOS.
- DAMOS: popolazione residente nelle singole unità territoriali e nei villaggi, che paga le tasse ed
è dotata di una certa autonomia
- DOULOI: servi
Nel corso del XIII secolo (1300-1200), la civiltà micenea comincia il suo declino, con la
distruzione e la caduta dei palazzi micenei (Pilo, Micene, Tirinto, Tebe). Si parla di due ondate
di distruzione, ma più propriamente è da sostenere l’ipotesi che vede nelle distruzioni la
conseguenza di terremoti e incendi, seguiti da carestie che avrebbero messo in crisi il sistema
centralizzato dell’economia palaziale. Infatti, decadono e scompaiono palazzi e fortificazioni, che
si sostituiscono con tipologie abitative più semplici. Cambiano pure gli stili ceramici e gli usi
funerari e tali cambiamenti sociali, economici e politici, tradizionalmente, sono collegati all’arrivo
di popoli invasori, i Dori. Quest’ipotesi sembrava anche coincidere con la distribuzione
linguistica dei dialetti dorici e nord-occidentali e la leggenda del ritorno degli Eraclidi nel
Peloponneso.
La fine della civiltà micenea sarebbe stata così l’esito di una serie di cause convergenti, che
provocarono una lenta e inesorabile recessione.
Ad ogni modo, le premesse per la ripresa che porterà alla fioritura della civiltà greca arcaica sono
comunque rintracciabili nel corso delle oscura e sono legate alla permanenza di forte
interscambio e soprattuto a flussi migratori importanti, come la migrazione ionica. La cosiddetta
migrazione ionica parte dall’Attica e dall’Eubea e porta al popolamento della Ionia d’Asia, tra
Smirne e Mileto. Aggiungendovi poi la grande colonizzazione dell’8 secolo verso l’Italia e la
Sicilia, secondo Tucidide, la Grecia ritrovo la sua condizione di tranquillità dopo l’”invasione
dorica”.
La Grecia, regredita, dopo l’apertura mediterranea del periodo minoico e miceneo, al regionalismo
dell’età oscura, torna così a imboccare, attraverso la ripresa della mobilità, degli scambi
commerciali e dei contatti culturali, la via che porterà allo sviluppo della città e della navigazione
transmarina, che Tucidide nell’Archeologia individua come il principale indicatore di progresso
della civiltà greca, che porta lo stile di vita dei Greci a differenziarsi da quello dei barbari.
- una Grecia centrale (Tessaglia, Locride, Beozia) relativamente unitaria sul piano culturale
La caratterizzazione regionale della Grecia di quest’epoca si riflette anche nella lentezza del
processo di formazione del nome con cui i Greci si definivano in età storica. In Omero, Elleni
identifica genti della Grecia settentrionale; per designare i Greci nel loro insieme, Omero usa
Danai o Argivi e soprattutto Achei.
La progressiva affermazione del nome Elleni sembra legata al fatto che esso comprendeva,
insieme agli Eoli e agli Ioni, anche i Dori, le tre grandi stirpi greche.
La Grecia di Omero riflette elementi dell’età micenea, dell’età oscura, e dell’epoca contemporanea
alla stesura dei poemi stessi. In Omero, il re non è sovrano assoluto, ma primus inter pares,
accanto al quale c’è un consiglio di anziani e un’assemblea del popolo in armi. E’ ragionevole
ritenere che questo mondo corrisponda ad alcune società greche dell’alto arcaismo. Il potere del
re dunque viene limitato dalla formazione di una aristocrazia.
I fattori evolutivi che segnano l’uscita dall’età oscura sono il progressivo superamento
dell’isolamento; la ripresa economica; la conseguente crescita demografica; lo sviluppo dei
santuari e delle prime comunità cittadine; l’acquisizione della scrittura alfabetica, derivante forse
dall’adattamento al greco dell'alfabeto fenicio. La conoscenza della scrittura in età oscura era
andata persa perchè non c’era bisogno, in un contesto di generale regressione, di far ricorso a
quei procedimenti di notazione che erano stati così importanti per la vita dei palazzi.
A problematizzare il quadro dell’origine della polis è Domenico Musti, che sostiene sia più corretto
parlare di “origine delle poleis”, al plurale: perchè quella che nasce nell’VIII secolo è la forma
comune delle poleis: è allora che i diversi rivoli di esperienze cittadine confluiscono in un fiume
che è la polis tipica, cioè essenzialmente la città aristocratica.
Il fenomeno, infatti, interessa l’intera Grecia e ha un carattere non soltanto urbanistico, ma anche
e soprattutto sociale. La polis è definibile come una società politica strutturata intorno alla
nozione di cittadinanza, nella cui formazione, più dell’assetto topografico e delle struttura
urbanistiche, svolgono un ruolo primario elementi ideali come il culto poliade (che esprime,
definisce e afferma l’identità della polis) e l’ideologia comunitaria.
L’ideologia della polis comporta che territorio e popolazione siano sentiti come una cosa comune:
che la popolazione debba partecipare alla sua gestione, che il potere debba essere conforme alle
regole fissate dalla legge (nomos: il termine è etimologicamente legato al verbo nemein e alla
nozione di “condivisione”).
La formazione della polis non può tuttavia prescindere dall’organizzazione dello spazio e delle
strutture urbanistiche. Si parla, infatti, di “sinecismo", l’unificazione di entità politiche
precedentemente indipendenti in una città ad organizzazione statale, partendo dall’idea che con
un movimento centripeto la realtà cittadina si organizza intorno a un centro, attraverso
l’aggregazione di diverse unità minori, i villaggi o komai. Il sinecismo più importante che si ricorda
è quello di Teseo che unifica tutta l’Attica attorno ad Atene, come ci racconta Tucidide.
Nel centro urbano, luogo politico e religioso, hanno sede le principali strutture funzionali (il
pritaneo, sede del focolare pubblico e delle magistrature; l’agorà, luogo di incontro e di mercato; il
bouleuterion, sede del consiglio, l’ekklesiasterion, sede dell’assemblea) e culturali (templi, focolare
comune, tomba del fondatore).
Va sempre tenuto presente che il centro urbano, protagonista del sinecismo, mantiene un
rapporto di stretta dipendenza con la sua chora (contado), anche perchè la città greca non
prescinde mai dall’attività agricola: la proprietà della terra è una delle modalità della
partecipazione del cittadino alla comunità, e la piccola proprietà (costituita da appezzamenti di
quattro-cinque ettari) è in genere ampiamente diffusa. La terra garantisce sia sussistenza sia
introiti per gli affitti demaniali.
Come Tucidide fa dire all’ateniese Nicia sulla base di un topos letterario ben consolidato, “sono gli
uomini a fare la polis, non mura o navi vuote di uomini.4”, a sostegno del fatto che la presenza di
un adeguato sviluppo urbanistico e architettonico non sembra aver mai avuto un ruolo
significativo né nella definizione della polis in quanto tale, né nella distinzione fra poleis “grandi” e
“piccole”.
La polis è basata su spinte propulsive di carattere egalitario: infatti quanto più ciascun cittadino si
sente partecipe del comune destino e a esso contribuisce fattivamente, tanto più richiede una
condizione partitaria rispetto ai concittadini, quella che i Greci chiamavano isonomia (“aver parte
uguale”), e la partecipazione alla gestione della comunità. La polis è, dunque, un modello
tendenzialmente inclusivo, che tende al progressivo inserimento degli uomini liberi nell’ambito di
un contesto politico paritario.
Importante è anche la "riforma politica” per ciò che riguarda l’affermazione delle tendenze
isonomiche: fu una riforma militare per cui il nucleo dell’esercito venne a essere costituito non più
dalla cavalleria, ma dai tanti fanti armati pesantemente, i cosiddetti “opliti”.
L’importanza della politeia (costituzione) nella definizione della polis può desumersi dal fatto che
essa viene caratterizzata da Isocrate come “anima della città” (psychè poleos), che “ha la stessa
forza che ha l’intelletto sul corpo; decide su tutto, preserva i beni, evita gli insuccessi; da essa
dipende tutto ciò che accade nelle città.”; e da Aristotele come “vita” della città (bios poleos).
Il pensiero politico greco classifica le costituzioni sulla base di una tripartizione in monarchia,
oligarchia e democrazia, la cui prima attestazione articolata si trova del cosiddetto “Discorso
Tripolitico” di Erodoto. Il criterio utilizzato è quello dell’estensione alla sovranità, che si esprime
nella partecipazione. La democrazia appare qui come la migliore realizzazione delle tendenze
isonomiche insite nel concetto di polis.
Ma la Grecia non era fatta solo di poleis, ma anche di stati federali, denominati ethnos o koinon.
Questi erano caratterizzati dalla sympoliteia, cioè dalla coesistenza di una cittadinanza federale
con una locale. Lo stato federale fu, l’organizzazione politica caratteristica dell’”altra Grecia”,
quella periferica, di area prevalentemente centro-settentrionale, un po’ attardata culturalmente.
I valori principali della Grecia delle poleis sono stati identificati nei concetti di autonomia e di
eleutheria (autonomia e libertà), che esprimono la possibilità di governarsi con proprie leggi
liberamente accettate, senza lasciarsi condizionare da poteri più forti, e di svolgere una politica
estera indipendente. Questi valori si affermano pienamente con le guerre persiane, che come
risulta da autori come Eschilo e Erodoto, rivestono un carattere epocale da un punto di vista
culturale, oltre che storico: esse contribuiscono infatti alla presa di coscienza, da parte greca,
della propria diversità (culturale, più che etnica) rispetto ai barbari e a tutti gli altri uomini, e
dunque all’affermarsi di un’identità di carattere oppositivo, fondata sull’essere cittadini e quindi
uomini iberi. Il Greco è libero di fronte allo stato perchè è polites, laddove il barbaro è schiavo
perchè vive con lo stato un rapporto di sottomissione, non di partecipazione e di integrazione: la
civiltà greca viene così a configurarsi essenzialmente come civiltà della polis.
La ricchezza era basata sul possesso di terre, lavorate da personale dipendente, libero o schiavo.
Si traeva ricchezza anche dalla guerra e della pirateria, un’attività considerata normale e
onorevole nell’arcaismo.
La vita degli aristocratici è legata all’oikos, termine che designa la casa, la famiglia e la proprietà.
Infatti l’oikos è un’insieme di persone e di beni, che include, oltre al capofamiglia, la moglie, i figli
legittimi e talora anche quelli illegittimi, i servi, l’abitazione, il tesoro familiare, le terre e il bestiame.
Oikonomia è un termine che designa un’economia domestica disinteressata alla produzione.
- Guerra e politica, grazie alla disponibilità di tempo libero che deriva da non lavorare
- Simposio: gli uomini si riuniscono per bere insieme secondo una serie di regole e svolgono
attività culturali; è il luogo della discussione fra pari, dove si creano anche le “eterie”, società
segrete che si impegnano a sostenere i propri membri in ambito politico e giudiziario
- Xenia: forma di ospitalità fondata sulla reciprocità, che prevede vitto e alloggio e viene sancita
con lo scambio di symbola come strumento di riconoscimento e prova dei legami di ospitalità
stabiliti Questo favorì una fitta rete di rapporti al di fuori delle comunità di appartenenza e fu la
base per lo sviluppo di successive e più complesse forme di tutela giuridica dello straniero.
- Legami matrimoniali
- Inserimento dei membri delle aristocrazie nei circuiti atonali e propagandistici legati alle feste
religiose panelleniche (Giochi Olimpici, Pitici, Istmici e Nemei)
Sul piano militare, l’aristocrazia è legata al modello omerico, del duello eroico e all’uso del cavallo.
La crisi dell’aristocrazia coincide anche con quel nuovo modo di combattere che noi chiamiamo
riforma oplitica. Con questa riforma, incentrata sul ruolo dell’oplite, il fante armato
pesantemente, la funzione guerriera cessò di essere un privilegio aristocratico e si ampliò fino a
comprendere anche i membri del demos. La caratteristica nuova è che nella falange oplitica il
soldato combatte a ranghi serrati, difendendo se stesso e il proprio vicino, e quindi è
fondamentale che il fante mantenga il proprio posto nello schieramento (taxis), il che implica il
superamento dell’individualismo e una profonda integrazione del singolo gruppo. L’areté eroica
del guerriero aristocratico viene così superata e si affermano nuovi valori, come la virtù
dell’autocontrollo e della moderazione (sophrosyne) e il senso della solidarietà e della parità fra
uguali. Dall’oplitismo nacquero così comunità di cittadini più ampie e coese, che, sul piano
costituzionale, si diedero, in luogo delle aristocrazie, governi timocratici, cioè basati sul censo
(timè) e quindi potenzialmente più aperti e caratterizzati da una maggiore mobilità sociale.
Inoltre, le attività di carattere commerciale o artigianale venivano viste come inferiori perchè
dipendenti dalla domanda e quindi assimiliate a forme di servitù, contraddicendo dunque anche il
modello oplitico del cittadino libero e autarchico, capace di bastare a se stesso e di evitare forme
di dipendenza anche per quanto concerne la propria sussistenza economica.
IL MOVIMENTO COLONIALE
La colonizzazione dell’8 e 7 secolo è forse il fenomeno più notevole dell’alto e medio arcaismo e
conferma la grande importanza della mobilità umana e dell’interscambio culturale nel processo di
rotazione e sviluppo della città greca. Il movimento culturale, alla cui testa si trovano l’Eubea e
Corinto, si inquadra nella ridefinizione dei rapporti sociali, economici e politici dell’epoca della
formazione della città. La colonizzazione è vista come l’esito di sovrappopolazione, esigenze
commerciali, fame di terre, rivolgimenti politici collegati alla crisi delle aristocrazie, ma è anche un
fenomeno collegato con la natura del mondo greco, interessato costantemente da spostamenti e
migrazioni.
- Epoikiai: rincalzi coloniali, cioè l’invio di coloni a prendere possesso di comunità già in atto
- Colonie panelleniche:
La colonizzazione procede sulle rotte già battute dai Micenei e dalla navigazione precoloniale. I
coloni vengono dal’Istmo, dalle regioni settentrionali del Peloponneso (Corinto, Megara, Acaia),
dall’Asia minore (Mileto, Focea, Lesbo, Rodi), dall’Eubea (Calcide, Eretria); le destinazioni sono in
Occidente, l’Italia meridionale e la Sicilia, l’africa settentrionale, la Gallia, la Spagna, in Oriente la
Macedonia, la Tracia, la zona degli stretti e le coste del mar Nero.
770 > Calcide fonda Pitecussa (Ischia), più antica colonia greca d’Occidente; poi fonda Cuma
La spedizione destinata a fondare un colonia (apoikia) era guidata da un fondatore, l’ecista, di cui
spesso la tradizione conserva il nome e che era oggetto dopo la morte di un culto eroico. Egli
doveva consultare l’oracolo di Delfi e portare alla colonia il fuoco sacro tratto dalla città d’origine,
distribuire la terra ai coloni, fondare i santuari, stabilire le regole di convivenza e istituzioni nella
nuova comunità. I coloni erano per lo più maschi.
Le apoikiai di solito diventavano comunità del tutto indipendenti, mantenendo relazioni con la
madrepatria solo sul piano culturale, linguistico e religioso. Isolato è il caso di Corinto che
mantiene anche relazioni politiche.
A livello culturale, la colonizzazione incentivò l’estensione delle conoscenze geografiche dei greci,
il contatto con gli altri popoli e l’estensione in tutto il mediterraneo dello stile di vita cittadino (katà
poleis “per città” invece che katà komas “per villaggi”).
I rapporti dei greci con gli indigeni non era sempre pacifico, anzi si parla di vere e proprie guerre di
colonizzazione e di un accentuato ellenocentrismo, dovuto alla forte convinzione di superiorità
greca sugli indigeni.
LA LEGISLAZIONE
La crisi delle aristocrazie fece emergere il bisogno di procedere a una codificazione delle leggi,
resa possibile dall’acquisizione della scrittura e capace di garantire una maggiore certezza del
diritto anche ai non privilegiati.
Ad Atene, è importante Draconte, la cui legislazione è ricordata per la severità e per la legge
sull’omicidio: si toglieva spazio alla vendetta privata, lasciando alla famiglia del morto l’iniziativa
dell’azione penale, ma allo stato il diritto di irrogare la pena.
LA TIRANNIDE
Anche la tirannide viene storicamente vista come una conseguenza della crisi dell’aristocrazia, o
meglio, come una degenerazione. Il termine tiranno identifica il signore e comincia ad avere
significato negativo quando allude a un potere esercitato senza il consenso dei cittadini. I modelli
di tirannide possono essere: -il tiranno demagogo; -il tiranno ex magistrato; -il tiranno il cui potere
nasce dalla degenerazione di una monarchia o di una oligarchia.
La tirannide viene vista come un fattore evolutivo della polis perchè opera nel senso di
un’integrazione degli esclusi attraverso la ridistribuzione della ricchezza e di promozione della
potenza politica e militare della città: es. Tucidide racconta di Policrate di Siamo, la cui tirannide
fece di Samo una grande potenza marittima.
In Occidente, il fenomeno della tirannide non fu limitato all’età arcaica e fu legato all’instabilità
politica e sociale delle città coloniali e, in Sicilia, alla presenza incombente del pericolo
cartaginese.
*per la legislazione e la tirannide, studia bene gli appunti del prof. + capitolo Musti
Un primo tentativo fu quello delle anfizionie, leghe sacre di popoli vicini, che si riconoscevano in
un culto comune, e bisognose di reciproco aiuti, svilupparono legami di amicizia. Un esempio è
l’anfizionia ionica di Del oppure quella delfico-pilaica a carattere panellenico, composta dunque
da 12 popoli. Quest’ultima fu spesso l’unico organismo panellenico capace di operare stabilmente
e di fornire gli strumenti per un’azione comune.
Un tentativo su basi diverse fu quello delle simmachie, ovvero delle leghe militari di natura
difensiva, nelle quali un gruppo di poleis riconosceva la guida di un’altra polis. Esempi sono la
lega di Corinto, la lega del Peloponneso e le due leghe navali (Lega Delio-attica; seconda lega
ateniese). Il fatto di detenere l’egemonia non implica una condizione di superiorità, ma il compito
dell’egemone è amministrare i propri interessi sulla base dell’uguaglianza di diritti rispetto agli
alleati, riservando una cura particolare agli interessi comuni.
Dopo la conquista della Lidia da parte del re persiano Ciro il Grande, della dinastia degli
Achemenidi, che occupò Sardi nel 546, le città greche dell’Asia Minore passarono sotto il
controllo dei Persiani. Sul piano amministrativo, furono inserite nelle satrapie della Ionia.
Tra le isole greche, ricordiamo Egina, grande potenza commerciali, abitata da genti doriche e
perciò legata all’ambiente peloponnesiaco: era divisa dalla vicina Atene da una costante rivalità,
che trovò espressione in diversi conflitti. Importanti anche l’Eubea e Corcira.
Le isola Cicladi costituivano un ponte fra il continente greco e il Vicino Oriente, con la rotta che
giungeva a Mileto.
La piccola isola di Delo deve la sua importanza al fattore religioso: il grande santuario di Apollo,
sede di un’anfizionia di carattere ionico.
Infine, Creta, la più grand isola greca, in posizione strategica tra Asia, Egitto e Grecia, era abitata
da popolazioni doriche, che praticavano la pirateria e il mercenariato.
LA GRECIA CENTRO-SETTENTRIONALE
La Tessaglia era una delle zone della Grecia più ricche di risorse; popolazione dorica; hanno un
ruolo preponderante nella “prima guerra sacra”. Il ruolo dell’Anfizionia era quello di punire i
violatori delle norme anfizioniche e così fu attaccata guerra contro i Focesi della città costiera di
Circa, accusati di sacrilegio in sede anfizionica dal’ateniese Solone. La guerra durò dieci anni e si
concluse nel 582/1 con l’istituzione dell’agon stephanites, il primo dei Giochi Pitici.
I Tessali acquisirono così un ruolo panellenico rilevante e il territorio fu diviso in tetrodi, destinate a
fornire contingenti di opliti e cavalieri all’esercito federale, governate da tetrarchi o polemarchi e
sottoposte all’autorità centrale del tago. Il controllo dell’Anfizionia consentì ai Tessali di assumere
l’organizzazione dei Giochi Pitici e soprattutto di influire sulla’oracolo, avviando una politica
filospartana e antiateniese.
La Macedonia era uno stato federale poco coeso e riuscì con Alessandro I, detto Filelleno, a farsi
riconoscere come greca attraverso l’ammissione ai Giochi Olimpici. Ma restò comunque sempre
ai margini della storia greca, cercando, attraverso legami di alleanza con le diverse potenze
greche, di mantenere la propria unità e indipendenza.
Le regioni dell’Acarnania e l’Etolia erano stati federali, con una scarsa urbanizzazione e un
accentuato isolamento, che gli consentirono di mantenere la solidità del proprio koinon, ma
furono sempre culturalmente arretrate.
La Beozia, invece, ricca regione agricola, era caratterizzata sul piano istituzionale da antiche e
solide tradizioni federali. Proprio la vasta urbanizzazione costituì uno dei principali problemi della
federazione beotica, in quanto le ambizioni egemoniche di alcune città minacciarono
costantemente l’unità e l’equilibrio del koinon, che pure aveva un punto di forza nelle tradizioni
oligarchiche che accomunavano la città.
La zona degli Stretti, del mar Nero, del Bosforo era di vitale importanza per i greci, come mostra
l’intensa attività coloniale svoltavi da diverse città.
ATENE
L’Attica ha un territorio in buona parte montuoso, con poche zone pianeggianti. In età micenea,
l’acropoli ospitava un palazzo e Tucidide ricorda che, prima del sinecismo, “l’acropoli era la città”.
Gli Ateniesi coltivavano il mito dell’autoctonia, secondo cui il popolo di Atene era nato dalla terra
e aveva sempre abitato lo stesso territorio, diversamente della maggior parte dei Greci che erano
invece immigrati nelle loro sedi dall’esterno.
Lo storico sinecismo viene attribuito al mitico re Teseo: fu il processo che trasformò le antiche
poleis indipendenti dell’Attica in demi, cioè circoscrizioni territoriali di un’unica polis, Atene, con
istituzioni comuni, consiglio e magistrati.
La nostra fonte principale è la Costituzione degli Ateniesi di Aristotele. Conclusasi l’epoca dei
re, la monarchia sarebbe stata sostituita prima da “arconti” vitalizi, sorta di basileis come quelli
ricordati da Esiodo, poi da arconti decennali, infine da arconti annuali. Gli arconti erano 9:
l’eponimo, che dava il nome all’anno; il re, che conservava le competenze religiose; il
polemarco, incaricato della guida dell’esercito; i sei tesmoteti (custodi dei thesmoi, leggi divine).
Il collegio entrava in carica il primo giorno del mese di Ecatombene (luglio-agosto), che
corrispondeva all’inizio dell’anno ufficiale. I poteri degli arconti si ridussero col tempo a una serie
di competenze relative all’amministrazione della giustizia. Uscendo di carica, entravano nel
consiglio dell’Areopago e vi restavano a vita: l’Areopago aveva competenze su delitti di sangue e
in materia religiosa.
La popolazione era riunita in 4 tribù, ognuna guidata da un filobasileus e ogni tribù divisa in 3
trittie. Il potere era nelle mani degli Eupatridi, i ben nati, gli aristocratici.
SOLONE
Ad Atene vi erano molti problemi legati alla questione agraria: i piccolo contadini erano costretti a
chiedere in prestito cereali ai grandi proprietari aristocratici; finivano così per indebitarsi e
diventavano obbligatoriamente clienti, cadendo spesso in schiavitù dei grandi proprietari.
La sua opera più nota è la seisachteia, “lo scuotimento dei pesi”: questa indica l’annullamento
delle ipoteche da cui la terra era gravata. La terra liberata da questi obblighi sarebbe stata
restituita ai vecchi proprietari; si accostò a questo la soppressione della schiavitù per debiti.
Solone voleva realizzare un buon governo in cui ciascuno avesse diritti e doveri a seconda del
proprio ruolo e delle proprie capacità.
Sul piano economico, oltre alla seisachteia, egli mirò a ridurre i debiti e a favorire le attività
commerciali. Sul piano familiare ed etico, avrebbe legiferato sul matrimonio, sulla parentela, sui
funerali, sul lusso, mirando a tutelare l’oiokos come cellula della polis.
Sul piano giudiziario, istituì il tribunale popolare dell’Eliea, con la possibilità al cittadino di chiedere
il giudizio dei propri pari.
Fede anche una riforma costituzionale, che comportava la divisione della cittadinanza in 4 classi
di censo, valutate in base al prodotto della terra: i pentacosiomedimni; gli hippeis; gli zeugiti; i teti.
Terminato il suo mandato, egli depose la carica e lasciò la città, con aperto rifiuto di dare un
carattere tirannico alla propria autorità,avendo fatto leggi forti e valide uguali per “buoni e
cattivi”. Egli non fu un rivoluzionario, ma un mediatore che rafforzò i valori comunitari.
PISISTRATO
Le riforme di Solone, proprio per la loro impostazione equilibrata, lasciarono aperti molti dei
preesistenti conflitti. Ci fu un a fase di sostanziale anarchia, ma poi si aprì una fase di intensa
dialettica politica, tra 3 fazioni: i pediaci, con rappresentante Licurgo; i parali, con Megacle; i
diacri, con Pisistrato. [Tutto ciò lo spiega bene Vannicelli nella lezione del 17.11]
Pisistrato tentò 3 volte di prendere il potere: la prima volta fu cacciato da Licurgo e Megacle e la
seconda fu cacciato da Licurgo perchè, sposatosi con la figlia, non le dava figli per paura di
preoccupazioni dinastiche. Il terzo tentativo fu quello giusto, nel 546, con un intervento militare.
Egli viene ricordato in modo sostanzialmente positivo, “più cittadino che tiranno” dice Aristotele.
Ricordiamo l’introduzione della dracma, lo sviluppo delle attività artigianali e della piccola
proprietà agraria, l’istituzione di culti cittadini e popolari, una fitta rete di rapporti internazionali,
specialmente con l’Egeo settentrionale.
Da tutto ciò seguirono mutamenti sociali che portarono alla crescita di una popolazione rurale e
cittadina meno dipendente dalle clientele aristocratiche: potremmo dire, un demos più
consapevole, che costituirà l’interlocutore privilegiato del riformatore democratico Clistene.
Alla sua morte, il potere passò ai Pisistratidi, i figli Ippia e Ipparco. Quest’ultimo fu assassinato
nel 514 e Ippia cacciato nel 511. Sia per Erodoto sia per Aristotele, i veri protagonisti
dell’abbattimento dei Pisistratidi sono gli Alcmeonidi, non gli Spartani, perchè Cleomene di
Sparta voleva restaurare l’oligarchia ad Atene, invece arrivò Clistene che diede alla storia
costituzionale attenesse una svolta inattesa, istituendo la democrazia, un sistema politico in cui
tutti i maschi adulti di condizione libera avevano accesso ai pieni diritti di cittadinanza e quindi alla
partecipazione politica.
CLISTENE
Dopo la cacciata di Ippia (511), si contrastavano in Atene i gruppi guidati da Clistene e da Isagora.
Clistene reagì appoggiandosi al demos, il popolo che la politica di Pisistrato aveva fortemente
valorizzato come forza sociale.
Clistene fece del demos un elemento della fazione che a lui faceva capo e, quindi, uno dei
protagonisti del confronto politico, fino ad allora dominato da membri delle famiglie aristocratiche
e potè così ottenere la base del consenso per la sua riforma, all’origine della democrazia
ateniese.
L’aspetto centrale di tale riforma fu la riforma delle tribù. Ad Atene, le tribù, che erano le 4
tradizionali tribù genetiche ioniche, divennero 10. Ogni tribù comprendeva 3 trittie, circoscrizioni
territoriali tratte, rispettivamente, una dalla zona costiera (paralia), una dalla zona interna
(mesogaia) e una dalla città (asty); ogni trittia, a sua volta, comprendeva diversi demi; il demo,
unità preesistente alla riforma, costituiva la circoscrizione territoriale e amministrativa di base. La
residenza in un determinato demo definiva il cittadino insieme alla sua paternità.
Ogni tribù doveva fornire un reggimento di opliti e 50 buleuti per la boulè dei cinquecento:
questo nuovo consiglio, costituito da cittadini di età superiore ai 30 anni, sedeva in permanenza,
diviso in gruppi di 50 (i cosiddetti “pritani”) nelle dieci parti (“pritanie”, cioè turni) in cui era diviso
l’anno amministrativo; era presieduto ogni giorno da un pritano diverso; tutti erano sorteggiati.
La riforma di Clistene rmirava a spezzare i vincoli clientelari e ridurre il potere delle famiglie, che
però, mantennero una serie di privilegi.
Secondo Aristotele, fu Clistene a istituire l’ostracismo. Questo consisteva nel designare, con voto
espresso a maggioranza da almeno 6000 votanti, un cittadino ritenuto pericoloso per lo stato; il
voto era espresso una volta all’anno, scrivendo il nome dell’interessato su un coccio (ostrakon). Il
più votato veniva allontanato dalla città per 10 anni, perdendo i diritti politici e mantenendo invece
quelli civili. Questo era funzionale ad evitare l’instaurazione di una nuova tirannide e a favorire
l’allentamento delle tensioni politiche. Tale stabilità ad Atene va collegata anche col fatto che la
democrazia non nacque da una rivoluzione violenta, ma da una riforma accettata da tutti.
A partire da Erodoto, Clistene entra nella tradizione come colui che “istituì la democrazia”; per
Aristotele egli “consegnò la politeia al popolo”. Questa riforma garantì l’isonomia, l’uguaglianza di
diritti e l’isegoria, l’uguaglianza di parola, garantendo a tutti di partecipare agli organismi di
carattere deliberativo e giudiziario.
Ancora c’erano delle difficoltà però: il mantenimento dei requisiti censitari limitava l’esercizio del
potere da parte del popolo e il fatto che la carica non era retribuito costringeva ad abbandonare le
normali attività del cittadino.
La riforma di Cliente, con il pieno inserimento del demos nella vita politica, parve inaccettabile ad
aristocratici ateniesi come Isagora e al loro sostenitore Cleomene, che più volte cercò di abbattere
la democrazia ateniese. Ma fu sempre respinto, evidentemente perchè il popolo aveva acquisito
una consapevolezza sufficiente a difendere le opportunità di partecipazione che gli venivano
offerte.
SPARTA E IL PELOPONNESO
La città di Sparta, con un territorio già vasto, si accrebbe enormemente con la conquista della
Messenia, acquisendo una base economica sicura, ma fu costretta a impegnarsi costantemente
per il mantenimento di un notevole potenziale militare, pronta a fronteggiare eventuali rivolte dei
sottomessi.
Sulla figura di Licurgo come legislatore abbiamo tante incertezze, ma Erodoto gli attribuisce il
passaggio di Sparta da un pessimo governo all’eunomia, la cosiddetta rhetra. Questa consisteva
in una riforma costituzionale, che prendeva da una parte la divisione della popolazione in tribù e in
cinque suddivisioni territoriali dette obaì, dalla’altra l’istituzione degli organismi fondamentali, la
diarchia (i due re erano chiamati archeghetai), la gherousia (consiglio d’anziani) e l’assemblea del
popolo (apella).
A capo dello stato spartano erano i due re, provenienti dalle famiglie degli Agiadi e degli
Euripontidi, di discendenza eraclide. I loro poteri erano soprattutto di carattere militare e religioso,
ma anche giudiziario. Questi erano sempre accompagnati da due efori, con funzione di controllo.
Le funzioni di controllo degli efori si esercitavano sui re, sull’amministrazione del tesoro dello stato
e sull’educazione dei giovani. Gli efori erano 5 e venivano eletti dal’apella fra tutti i cittadini.
L’apella era l’assemblea del popolo, composta dagli Spartiati, i cittadini di pieno diritto, e si
riuniva una volta al mese. L’assemblea poteva solo approvare o respingere le proposte, votando
per acclamazione.
I cittadini, gli Spartiati venivano chiamati Homoioi, gli Uguali; lo stato di cittadinanza dipendeva
dall’essere digli di cittadini, dall’avere raggiunto i 30 anni, dall’aver seguito il ciclo educativo
previsto (agoghè), dall’essere in grado di dare la quota per la partecipazione ai pasti in comune
L’agoghè era un sistema educativo rigidamente controllato dallo stato e orientato, per i maschi,
alla formazione dei guerrieri dotati della virtù del coraggio, per le femmine alla generazione di
cittadini sani e forti.
La loro popolazione era composta da spartiati, cittadini a pieno diritto, perieci, cittadini periferici
senza pieni diritti che danno terre al sovrano, e iloti, servitù rurale.
Questo regime rigidamente egalitario della proprietà terriera è stato ritenuto alla base della
progressiva crisi demografica, e quindi militare e politica, di Sparta, in quanto le famiglie
avrebbero avuto interesse ad avere un solo erede e ciò avrebbe provocato una diminuzione
costante del numero degli Uguali.
Il risultato di questo sistema sociale fu una comunità di cittadini uniti da un forte sentimento di
reciproca uguaglianza e da una profonda solidarietà, ma in cui l’individuo era completamente
assorbito dalla collettività e chi si proponeva di emergere era visto come un pericolo; una
comunità tendenzialmente chiusa e immobilistica.
I membri della lega erano autonomi, ma accettavano il comando in guerra di Sparta, che a sua
volta si impegnava a soccorrerli in caso di aggressione: l’obiettivo della lega era la difesa della
libertà degli stati peloponnesiaci da ogni minaccia esterna. Ogni membro rispondeva di un voto
nell’assemblea degli alleati, il sinedrio; la procedura prevedeva che l’apella spartana scegliesse
autonomamente.
La lega del Peloponneso disponeva del maggior esercito terrestre della Grecia.
Da tale lega, restarono esclusi gli Achei, abitanti di uno stato federale affacciato sul golfo di
Corinto, e Argo. Intorno alla metà del 6 secolo, Sparta strappò ad Argo, in seguito alla battaglia
dei campioni, che vide 300 spartani combattere 300 Argivi, la Cinuria, costantemente contesa fra
le due città. Nel 494, Cleomene inflisse una dura sconfitta a Sparta. E’ certo che da ciò prese le
mosse un processo di democratizzazione che portò Argo a diventare il punto di riferimento delle
forze antispartane del Peloponneso.
I GRECI D’OCCIDENTE
Il movimento coloniale aveva portato i Greci in tutto il Mediterraneo occidentale.
Nel VI secolo, lo spartano Dorieo, fratello di Cleomene I, tentò un’impresa coloniale verso l’Africa
e la Sicilia, ma fu ostacolato dagli indigeni Punici ed Elimi.
La tirannide siceliota ebbe una svolta con l’ascesa al potere di Ippocrate di Gela. Suo precursore
fu Cleandro, tiranno di Gela. Quando egli venne ucciso in una congiura, il potere passò a
Ippocrate, che creò una vasta zona di influenza nella Sicilia orientale, un vero stato territoriale
comprendente Greci e Siculi. Con le ricchezze sottratte alle città Ippocrate avviò la coniazione
della moneta geloa. Ricordiamo anche la dinastia dei Dinomenidi.
In Italia Meridionale, le colonie achee ebbero una forte unità culturale ed economica, che trovò
espressione nel concetto di Magna Grecia, che nella sua complessità incide elementi diversi,
culturale, economici e politici, proprio in riferimento all’influenza achea.
La colonia più antica è Sibari (720) e poi, dopo la sua distruzione, subentrò Taranto, la più
importante colonia greca dell’Italia meridionale.
La colonizzazione focea interessò anche l’Italia. Ricordiamo la fondazione di Elea, sede della
scuola filosofica elegiaca di Parmenide, Zenone e Melissa.
Il passo di Erodoto rivela una forte consapevolezza identitaria: l’uomo greco, oltre che come
cittadino della polis, vi appare come membro di una più ampia comunità, omogenea sul piano
etnico, linguistico e culturale, in cui i contrasti interni lasciano spazio alla contrapposizione con un
mondo altro, caratterizzato da un’opposta visione dell’uomo e dello stato. Europa e Asia, Greci e
barbari, libertà e servitù.
La formazione del grande impero persiano di colloca alla metà del 6 secolo, quando Ciro il
Grande conquista la Lidia, uccidendo Creso, dopo aver preso Sardi. L’assestamento definitivo
dell’impero si ebbe poi con Dario I, che lo estese dall’Asia Minore al Caucaso, dall’India all’Egitto.
La struttura era quella di un grande impero sovranazionale, molto decentralizzato, in cui il Gran Re
delegava la propria autorità a governanti locali, i satrapi, incaricati dell’amministrazione,
dell’esazione fiscale e del mantenimento del rapporto col potere centrale. Erano 20 le satrapie.
Verso il 500 a.C, dunque, la Persia di Dario I controllava l’intero bacino orientale del Mediterraneo.
LA RIVOLTA IONICA
I Greci d’Asia Minore avevano convissuto abbastanza felicemente con il regno di Lidia; l’avvento
dei Persiani nel 546 costituì una svolta negativa. Dopo la caduta di Sardi, i Persiani imposero agli
Ioni il versamento del tributo, causando un malcontento generale alla base della rivolta ionica.
L’evento cruciale avvenne, secondo Erodoto, per mano di Aristagora di Mileto: egli propose al
satrapo di Sardi, Artaferne, una spedizione contro Nasso, ma l’impresa fallì ed egli depose la
tirannide. Stabilì così l’isonomia a Mileto e invocò la ribellione contro la Persia. Aristagora si recò a
chiedere aiuti ad Atene, la quale, ingannata secondo Erodoto, aderì con 20 navi e ciò fu causa di
sventure (archè kakon) per i Greci e per i barbari. Gli episodi che sedarono la rivolta furono la
sconfitta degli Ioni a Lade nel 494 e la presa di Mileto nel 494, duramente punita. Erodoto
suggerisce di ricercare in questa rivolta le cause della guerra persiana, attribuendone la colpa agli
Ioni ribelli.
La prima guerra Persiana prese avvio con una spedizione punitiva di Dati e Artaferne nel 490
contro Atene ed Eretria, colpevoli di aver aiutato gli Ioni ribelli, ma anche con l’obiettivo di
estendere il controllo persiano nell’Egeo. Furono distrutte Nasso ed Eretria e i cittadini
sopravvissuti deportati in Asia centrale.
Dall’Eubea, passarono in Attica sbarcando a Maratona con almeno 20mila uomini. Secondo
Erodoto, sarebbe stato Ippia a consigliare ai Persiani di scendere nella piana, adatta alle manovre
di un esercito così grande: egli sperava forse di riottenere la tirannide.
Lo stratego Milziade convinse gli Ateniesi ad uscire dalla città e a farsi incontro ai nemici a
Maratona. Vennero chiesti rinforzi a Sparta ma tardarono e arrivarono a battaglia terminata. Gli
Ateniesi sfondarono l’armata persiana e la costrinsero a ritirarsi in mare.
Dati, allora, imbarcò i superstiti sulla flotta e doppiò il Capo Sunio, con l’intento di sbarcare a
Falero e andare direttamente Atene, sguarnita di Truppe. Ma l’attacco fu impedito dalla rapidità
con cui Milziade rientrò da Maratona.
- 488: primo ostracismo contro Ipparco di Carmo, un parente dei Pisistratidi; poi Megacle e
Santippo, ritenuti responsabili della sconfitta contro Egina
- 482: legge navale di Temistocle. Egli propone di impiegare i proventi delle miniere d’argento
del Laurion e di prestare un talento ad ognuno dei cittadini più ricchi affinché si costruisca una
flotta ateniese. Furono costruite 200 navi e la svolta fu radicale, sia sul versante estero sia
interno, perchè Atene d’ora in poi cercherà la sua fortuna sul mare.
Nel 480 l’esercito passò l’Ellesponto su un ponte di barche, per poi raggiungere la Grecia per via
di terra, attraverso la Tracia e la Macedonia; la flotta avrebbe dovuto accompagnare l’esercito
lungo la costa, evitando il pericoloso aggiramento dell’Athos (dove già Mardonio aveva naufragato
nel 492). L’imponenza dei messi e il carattere quasi sacrilego dei lavori per il ponte sull’Ellesponto,
che sembravano voler violare la natura stessa, furono all’origine delle accuse di hybris che
colpirono i Persiani dopo la sconfitta.
Nel 481, i Greci si riunirono all’Istmo di Corinto, con l’intenzione di organizzare la resistenza: 31
membri formavano la lega degli Hellenes tra cui Atene, Sparta e Corinto. In Grecia si determinò
una frattura fra quanti erano determinati a resistere e quanti invece a collaborare con i persiani
(medizein: colpa di collaborazionismo soprattutto di Tessali, Beoti e Argivi). Ci furono diversi
dubbi tra i greci stessi circa la linea di difesa, che poi si assesta alle Termopili, per l’insistenza di
Atene e dell’Eubea. Le Termopili erano lo stretto passaggio tra il mare e le pendici del monte Eta
che collegava la Tessaglia con la Grecia centrale.
Nell’agosto del 480, furono inviati lì 4000 opliti, tra i quali 300 Spartiati guidati dal re Leonida.
Dopo tre giorni di resistenza, dove rimasero solo Leonida e i 300 spartiati, Leonida fu accerchiato
dai Persiani giunti attraverso un sentiero, la via Anopea, mostrato loro dal traditore Efialte. Le
Termopili sono una sconfitta per i Greci, ma vengono viste come una vittoria morale.
La flotta greca, intanto, si era attestata a Capo Artemisio, infliggendo molte perdite ai Persiani e
costringendoli a ritirarsi a Salamina. Nel frattempo, l’esercito persiano devastò la Focide e invase
l’Attica. La battaglia di Salamina viene vista da Erodoto come la vittoria che salvò la Grecia dai
Persiani, perchè se non fosse stato per gli Ateniesi e per la flotta di Temistocle, nessuno si
sarebbe opposto al re per mare. I Persiani non poterono far valere la propria superiorità numerica
e le loro navi che, non riuscendo a manovrare, vennero in gran parte distrutte. A Temistocle va il
merito di aver optato per il confronto navale e di aver scelto opportunamente il luogo dello
scontro.
La vittoria di Salamina fu decisiva secondo i greci per le sorti della guerra, ma ci furono altre due
battaglie importanti. La battaglia di Platea, del 479, distrusse l’accampamento persiano e uccise
Mardonio. Nel frattempo, a Capo Micale, la flotta greca guidata dallo spartano Leotichida e
dall’ateniese Santippo, ebbe la meglio su quella persiana: le navi furono tirate in secca e bruciate.
La flotta greca, dopo Micale, va verso gli stretti (Sesto e Abito) e, mentre i peloponnesiaci
svernano, gli Ateniesi espugnano Sesto, controllata dai Persiani. Erodoto fa concludere la
narrazione delle Storie con la presa di Sesto, nel 478, per mano degli Ateniesi e di Santippo,
come a voler metaforicamente rappresenta il passaggio di ruolo di guida da Sparta ad Atene
(quad).
Seguì Ierone, il cui obiettivo non furono i Cartaginesi, ma gli Etruschi, che ambivano al controllo
del basso tirreno. La battaglia di Cuma del 474 fu decisiva per cacciarla e per eleggere Siracusa
a protettrice degli interessi greci in area tirrenica e magnogreca. L’egemonia di Siracusa ora era al
centro di un impero non più soltanto siceliota, ma davvero occidentale. Dopo Nerone, arrivò
Trasibulo, ma entrò in contrasto con i Siracusani, causando la fine nel 471 la dinastia
Dinomenide.
Gli Ateniesi non fecero un atto di forza nel passaggio di potere degli spartani, ma gli stessi
spartani fecero un passo indietro. Sparta cede l’egemonia, anche con la sollecitazione degli
alleati, perché tutti riconoscono l’autorevolezza di Atene. Ma le due città ancora sono amiche.
LE LEGA DELIO-ATTICA
Fu lo strumento principale dell’egemonia ateniese, istituita nel 478/7: i moderni la chiamano lega
Delio-Attica, in quanto l’egemone era Atene e la sede nell’isola di Delo. Si trattava di un’alleanza
militare difensiva, nata dalla volontà di continuare la guerra contro la Persia, condivisa dagli
Ateniesi e dagli Ioni d’Asia e dell’Ellesponto, ma non da Sparta. In origine, dunque, la lega
corrispondeva perfettamente ai canoni previsti per le leghe militari egemoniche di carattere
difensivo, in cui l’egemonia era conferita volontariamente e gli allegati erano autonomi.
Questa lega prevedeva un contributo fiscale, in basa a chi poteva contribuire con navi o chi,
invece, con denaro. Il tributo in denaro si chiamava phoros e la cassa era a Delo, nel santuario di
Apollo, antico centro religioso ionico, dove si svolgevano anche le periodiche riunioni tra gli alleati.
Atene usò la lega navale come strumento atto a costruire un’egemonia contrapposta a quella di
Sparta, e la continuazione della guerra contro la Persia assunse un carattere eminentemente
propagandistico. Poi la lega fu attiva contro i persiani, contro gli alleati ribelli e contro i
Peloponnesiaci che intralciavano gli affari di Atene.
Ma piano piano la lega degenera da alleanza difensiva a strumento imperialistico di Atene. Per
esempio, viene spostata ad Atene la cassa della lega, con il conseguente uso delle risorse comuni
per gli interessi ateniesi. Fu fatto un decreto sulla monetazione, che imponeva in tutto l’impero
l’uso della dracma e dei pesi e delle misure ateniesi, dando al sistema una forte unità dal punto di
vista economico. Inoltre, furono mandate cleruchie o colonie militari per controllare gli alleati, e
capiamo quindi che la presenza di Atene nel territorio degli alleati si faceva così oppressiva,
violando alcuni dei principi fondamentali dell’autonomia.
Cambiò dunque l’obiettivo della lega: dalla continuazione della guerra contro la Persia si passò
alla tutela di interessi diversi, alcuni comuni, come il controllo della libertà dei mari dalla pirateria,
altri prevalentemente ateniesi come la contesa con Sparta per l’egemonia della Grecia. Si passò
da un’alleanza di carattere militare paritario a un impero, un’archè in cui gli alleati divennero
sudditi. I rapporti diventarono di potenza e non di collaborazione.
LA PENTECONTETIA
Tucidide chiama pentecontetia i 50 anni compresi tra il 478 e il 431, tra la presa di Sesto e l’inizio
della guerra del Peloponneso.
Ad Atene si fece avanti Cimone, il più importante politico ateniese tra 471 e 462, di impronta
moderata. Condusse una vittoria terrestre e navale presso il fiume Eurimedonte e fu impegnato
della rivolta dell’isola di Taso: i Tasi chiesero aiuto agli spartani, ma il loro intervento fu impedito
dal terremoto del 464 che provocò la terza guerra messenica o “guerra del terremoto”. Gli
Spartani chiesero così aiuto agli Ateniesi, di cui erano ancora formalmente alleati; in assemblea si
scontrarono il democratico Efialte, sfavorevole all’intervento, e Cimone che convinse a inviare una
spedizione in soccorso agli Spartani. Gli Spartani, diffidenti, in un clima di sospetto tra potenze di
carattere profondamente diverso, l’una statica e tradizionalista, l’altra intensamente dinamica e
innovativa, rimandarono a casa l’esercito degli Ateniesi.
L’umiliazione di Atene causò una reazione immediata. Cimone fu ostracizzato e Atene strinse
un’alleanza con Argo, nemica di Sparta, e si sottrasse alla logica del bipolarismo.
La caduta di Cimone aprì la strada a Efialte e Atene potè rivendicare l’egemonia sull’intera Grecia
e completare il suo processo di democratizzazione.
Atene e la Persia si attennero ad un tacito accordo di non interferenza, con la pace di Callia del
449. Ma così la lega Delio-attica si svuotò di significato agli occhi degli alleati, consapevoli del
fatto che fosse uno strumento di oppressione imperialistica.
Ricordiamo la battaglia di Enofita, dove gli Ateniesi ripresero il controllo della Grecia centrale. In
questo clima di successi militari, gli ateniesi spostarono la cassa della lega da Delo ad Atene.
Nel 446, fu conclusa tra Sparta e Atene una pace trentennale, che prevedeva che Atene
rinunciasse a Megara, ma conservasse Egina; che le città neutrali restassero libere di aderire
all’una o all’altra coalizione, che fosse assicurata la libera circolazione, che ci si riconoscessero le
zone di egemonia. Nonostante le oggettive difficoltà, l’accordo funzionò.
EFIALTE
L’ostracismo di Cimone creò le condizioni per la riforma democratica di Efialte, figlio di Sofonide,
leader del partito democratico. Aristotele definisce Efialte incorruttibile e giusto. Egli fece una
riforma che consistette nel sottrarre all’Areopago tutte quelle competenze “aggiunte” che il
consiglio aveva accumulato nel tempo in materia di controllo della vita politica e costituzionale e
che gli consentivano di essere “guardiano della politeia”, ma che i democratici ritenevano non
originarie e quindi non conformi alla tradizione patria. Dalla riforma gli organismi democratici
uscirono fortemente potenziati, in particolare il tribunale popolare, costituito da 6000 giudici,
sorteggiati annualmente fra tutti i cittadini, che operavano divisi in corti più ristette, presiedute
dagli arconti. Efialte morì assassinato poco dopo la riforma, ma la sua eliminazione non potè
tuttavia arrestare il processo di evoluzione democratica innescato dalla riforma.
-La parola Democrazia è un termine che deriva dal greco, (démos): popolo e (cràtos): potere,
etimologicamente significa governo del popolo.
-Sono trascorsi 2500 anni quando Pericle, nel 461 a.C., fece il suo discorso agli Ateniesi su come
la democrazia venisse applicata ad Atene.
“Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene
chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Le leggi qui assicurano una giustizia
eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo
Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non
costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende
anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il
nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere
proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un
cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma
soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi
facciamo così. Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di
che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che
risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così. Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo
innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad
Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla
via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il
frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese
cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare
qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai
uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così.”
L’IMPERO TIRANNICO
Pericle è costretto ad ammettere che Atene, reprimendo duramente le rivolte degli alleati e
trasformandoli da alleati in sudditi, ha finito per diventare una polys tyrannos, come le
rimproverano aspramente i Corinzi. Il discorso dei Mitilenesi, ribelli ad Atene, è importante per
capire “l’impero tirannico” di Atene. I Mitilenesi rivolgono questo discorso ai Peloponnesiaci ad
Olimpia per chiedere aiuto e così propongono una breve storia della lega: nata per liberare i greci
da persiani, essa si è lentamente trasformata in uno strumento di asservimento per i Greci.
A partire dal 435, la situazione precipita e le cause dichiarate apertamente furono i conflitti relativi
a Corcira, a Potidea, e il blocco imposto dagli Ateniesi a Megara, mentre la grande causa generale
era il timore che l’egemonia di Atene incuteva su Sparta.
- CORCIRA: Nel 435 c’è un colpo di mano nella colonia corinzia di Epidamno, dove i democratici
prendono il potere e scacciano i ricchi possidenti > così gli ex governanti si rivolgono a
Corcira, che per respinge le richieste e dunque si rivolgono a Corinto. Ma nemmeno Corinto
rispose e così Corcira si rivolse ad Atene, stringendo un’epimakia contro Corinto > I corinzi si
ritirano e vogliono vendicarsi contro Atene. L’intervento Ateniese nel conflitto tra Corcira e
Corinzio fu ritenuto dagli Spartani una violazione del trattato di pace.
- POTIDEA (colonia corinzia ma anche interna alla lega Delio-attica): Atene chiede di non
accogliere più il magistrato corinzio e di abbattere le mura verso la Pallene > Potidea rifiuta >
inizio conflitto tra Atene e potidea.
Gli Spartani vengono così accusati dagli alleati di condurre una politica immobilistica, lenta,
irresponsabile e noncurante dei propri alleati che vengono sottomessi da Atene. Così l’assemblea
spartana si espresse a favore della guerra, convenendo che gli ateniesi avevano violato il trattato.
Ma anche ad Atene Pericle e gli Ateniesi erano ormai determinati a combattere la guerra
inevitabile.Gli Spartani chiesero di togliere l’assedio a Potidea, lasciare autonoma Egina e togliere
l’embargo a Megara. Al rifiuto di Atene, Sparta inviò un ultimatum (di sciogliere la lega Delio attica
e lasciare libera la grecia) e Atene rifiutò. Sparta entra idealmente in guerra per la liberazione di
quanti erano stati asserviti dagli Ateniesi.
LA GUERRA ARCHIDAMICA
La guerra del Peloponneso viene tradizionalmente divisa in 3 fasi: guerra archidamica (431-421),
guerra “fredda” (pace di Nicia, 421-413) e guerra deceleica (413-404).
Con Sparta, stavano tutti i Peloponnesiaci (eccetto Argo e gli Achei), i Megaresi, i Beoti, i Locresi, i
Focesi, le colonie corinzie di Ambracia, Leucade e Anattorio. Con Atene, stavano i Chi, i Lesbi e
tutte le città della Ionia, della Tracia, dell’Ellesponto, gli isolani tranne Tera e Melo, i Pratesi, i
Messeni, gli Acarnani, i Tessali, Corcira e Zacinto.
Si parla di guerra archidamica dal nome di Archidamo, responsabile della strategia spartana di
invadere l’Attica. All’invasione dell’Attica, Pericle reagì con una strategia che puntava sulle
possibilità di Atene di ricevere rifornimenti dal mare: raccolse tutta la popolazione dell’Attica entro
le mura della città, ma nel 430 scoppiò l’epidemia di “peste” e il contagio dilaniò Atene. Pericle
morì di peste e Atene venne governata d’ora in poi da uomini politici inadeguati, che commisero
molti errori: Cleone, una sorta di anti-Pericle, e il conservatore Nicia.
Nel 427 cadde Platea e Atene sedò la ribellione a Mitilene. Il dibattito su Mitilene è per Tucidide
un modo per riflettere sull’alternativa tra l’uso della forza e della clemenza. Cleone propone un
imperialismo spregiudicato, che si traduce in un’esibizione di forza fine a se tessa, fino a porsi in
contrasto con gli stessi principi dell’utile. Diodoto appare può moderato e l’assemblea si convinse
che per punire i ribelli mitilenesi, Mitilene dovette consegnare la flotta, abbattere le mura e
accogliere 2700 cleruchi ateniesi.
La prima spedizione in Sicilia avvenne nel 427, in cui Atene approfittò del conflitto tra Siracusa e
le città calcidesi di Reggio e Leontini, per evitare che i siracusani potessero inviare a Sparta i
soccorsi richiesti. Ma si concluse una pace a Gela, in cui gli ateniesi dovettero tornare in patria
senza aver concluso nulla.
Contemporaneamente ci fu l’assedio di Sfacteria, dove gli spartani furono assediati da una flotta
ateniese.
Si richiedeva una tregua, sia dagli Spartani, sia degli Ateniesi. I primi erano preoccupati dal
fallimento della strategia delle invasioni periodiche, dalla disfatta di Sfacteria e dalle difficoltà degli
alleati; i secondi temevano la defezione degli alleati dopo le perdite di Anfipoli e della Calcidica.
Nella primavera del 421 si giunse alla pace di Nicia, che doveva ristabilire lo status quo ante e
un’alleanza bilaterale fra le due potenze, che riproponeva la logica del bipolarismo, ma ciò non fu
rispettato.
Nel 416, Nicia fece una spedizione contro Melo, colonia spartana, che capitolò nel 415 e venne
trattata con estrema durezza.
Nel 416/5, Segesta richiese l’intervento ateniese contro Selinunte e Siracusa, prospettando rischi
di un asse Sparta/Siracusa e così Alcibiade ottiene il permesso della spedizione in Sicilia. Egli fu
nominato stratego autokrator con pieni poteri, insieme a Nicia e Lamaco, e aveva in mente di
conquistare la Sicilia e Cartagine. Mentre si procedeva ai preparativi, una notte ci fu la
mutilazione delle Erme, colonnine raffiguranti il dio Ermes in diversi luoghi di Atene, di cui fu
accusato Alcibiade, per la sua tendenza alla trasgressione che lo rese sospetto di cospirazione
antidemocratica e alla tirannide. Egli partì comunque per Catania, ma poco dopo arrivò una nova
ricaricata di riportarlo indietro a processo. Alcibiade fuggì e passò a Sparta; venne così
condannato a morte, ma egli sosteneva che il vero amor di patria si esprime nell’ardente desiderio
di riconquistare a qualsiasi costo il proprio ruolo nella vita della polis. In realtà, fu spinto dal
risentimento per non aver ottenuto i riconoscimenti che si attendeva. Egli diede consigli preziosi
agli spartani, tra cui quelli di inviare le truppe in Sicilia e di occupare stabilimenti Decelea in Attica.
La spedizione fortemente voluta da Alcibiade rimane nelle mani di Nicia e Atene fu sconfitta
pesantemente, perdendo due dei suoi migliori strateghi, Lamaco e Demostene, la flotta e migliaia
di uomini fra opliti e equipaggi.
LA GUERRA DECELEICA
L’ultima fase della guerra prende il nome dall’occupazione spartana della fortezza di Decelea.
La fortificazione di Decelea fu un danno enorme per Atene perchè la privava di ogni risorsa
agricola, rendeva difficili le comunicazioni con l’Eubea e i rifornimenti e aveva provocato la fuga di
20000 schiavi e un aumento delle spese di guerra
La disfatta di Sicilia determinò una grave crisi e gli Spartani capirono che Atene andava capita
nell’impero, incoraggiati dalla Persia che tornò a interferire con la Grecia e a finanziare la guerra
contro Atene. Ai Persiani fu riconosciuto il diritto sui Greci d’Asia e Sparta rinunciava così alla
liberazione dei Greci, in nome della quale era entrata in guerra.
Nel 411, ad Atene ci fu il colpo di stato di Pisandro: egli parlò in assemblea prospettando
l’alleanza del re, purché si fosse richiamato Alcibiade e ci si fosse governati con una “democrazia
diversa”. La città accettò perchè non aveva scena e così fu messo in atto il colpo di stato in
accordo con le eterie oligarchiche. L’assemblea instaurò al governo il consiglio dei
Quattrocento, che avrebbero poi nominato i 5000 “quando fosse loro piaciuto”. Fu sciolta poi la
boulé dei 500 e i 400 si installarono al suo posto (Pisandro, Antifonte, Frinico, Teramene). Era una
oligarchia estremista, quasi una tirannide di gruppo.
Ma l’esperimento oligarchico fu breve e cadde sia per la resistenza della flotta di Samo e dei suoi
capi, sia per i dissidi interni fra le diverse correnti oligarchiche. Quando nel settembre 411 giunse
la notizia della perdita dell’Eubea, il regime cadde e fu sostituito dal governo dei Cinquemila, che
Tucidide ritiene l’unico buon governo ateniese dei suoi tempi, in quanto moderata mescolanza di
oligarchia e democrazia. Nel febbraio del 510, tornò in vigore la democrazia.
La svolta in favore di Sparta arrivò con l’invio del navarco spartano Lisandro nella Ionia. Egli
aveva una grande visione della politica egemonica e stabilì rapporti con Ciro di Persia. Il nuovo
navarco fu Callicratida, che fu per sconfitto da Atene nella battaglia delle Arginuse. Affondarono
però anche 70 navi ateniesi e, a causa di una tempesta, non fu possibile recuperare i naufraghi.
Questo scatenò una campagna contro gli strateghi che furono deposti dalla carica, condannati e
giustiziati. Dopo le Arginuse, Sparta avrebbe chiesto la pace, ma Atene, rifiutando, perse così la
possibilità di chiudere il conflitto a proprio favore.
Nell’estate del 405, Lisandro colse ala sprovvista la flotta ateniese nella battaglia di Egospotami
e l’impero ateniese crollò: solo Samo restò ancora fedele ad Atene, ottenendone in cambio un
trattato di isopoliteia (scambio bilaterale dei diritti di cittadinanza). Atene fu assediata per terra e
per mare, senza più navi né alleati né grano. Teramene fu nominato, senza scelta per gli ateniesi,
ambasciatore e tornò da Sparta con le durissime condizioni per Atene: abbattimento delle
Lunghe Mura e le fortificazioni del Pireo, la consegna delle navi tranne 12, il richiamo degli esuli, la
sottoscrizione di un’alleanza offensiva e difensiva con Sparta.
Persa ogni possibilità di ulteriore resistenza, tradita all’interno da quanti aspiravano a un potere
che la democrazia non poteva assicurare loro, nel 404 Atene capitolò: Lisandro entrò al Pireo, gli
esuli rientrarono e le mura furono distrutte al suono del flauto, “tra grande entusiasmo, giacché
si pensava che quel giorno fosse per la Grecia l’inizio della libertà” (Senofonte).
IL QUARTO SECOLO
L’egemonia passò a Sparta, la quale, tra 404 e 371, impose un imperialismo assai più pesante di
quello ateniese, ma il mondo greco del IV secolo non è più un mondo bipolare, ma un mondo
policentrico, caratterizzato dalla ricerca fallita di un equilibrio.
L’EGEMONIA SPARTANA
Il principio dell’egemonia era stata la bandiera del blocco spartano nel corso della guerra del
Peloponneso, ma la questione dell’autonomia veniva utilizzata da Sparta in chiave di politica di
potenza, per bloccare l’espansione di altri popoli peloponnesiaci e favorirne il mantenimento
nell’area oligarchica di influenza spartana.
Per quanto riguarda l’autonomia dei Greci d’Asia, ci furono 3 campagne spartane guidate da
Tibrone, Dercillida e Agesilao.
L’egemonia spartana era destabilizzante perchè gli spartani costrinsero i suoi alleati a alleanze di
carattere offensivo e difensivo e trovarono difficoltà nel controllare efficacemente l’impero
marittimo ereditato da Atene, imponendo tributi e insediando propri capi nelle città guarnigioni:
l’imperialismo ateniese si riproponeva così nei suoi aspetti peggiori. “Gli spartani avevano fatto
assaggiare ai Greci la dolce bevanda della libertà e poi avevano versato loro da bere dell’aceto.”
Ad Atene, viene messo un collegio di 30 membri, tra i quali Teramene e Crizia, ma la durezza di
questa oligarchia meritò ai suoi esponenti il nome di “Trenta Tiranni”: inaugurarono un clima di
terrore, che colpì i cittadini democratici, condanne a morte, sottrazione di diritti, confische.
Questo governo durò un anno circa, ma si ruppe per fratture interne dato che Teramene si
dissociò dalle condanne a morte di innocenti di Crizia. Teramene fu mandato a morte, ma nel 403
l’esercito di Trasibulo sconfisse i Trenta a Munichia e restaurò la democrazia, impegnandosi a
mantenere l’alleanza con Sparta e a concedere l’amnistia ai cittadini compromessi con i Trenta,
con il giuramento di non vendicarsi. Dopo la restaurazione della democrazia, ci si dedicò alla
ricostruzione dello stato ateniese sul piano della convivenza civile, dell’organizzazione politica e
amministrativa, del ripristino della situazione economica e finanziaria. (Arcontato di Euclide).
LA GUERRA CORINZIA
Beoti e Corinzi erano stati nel V secolo tra i più fedeli alleati di Sparta ed erano giunti a chiedere,
dopo la resa di Atene, la sua distruzione e si istituirono alleanze con Atene.
Le città coalizzate contro Sparta, cioè Tebe, Atene, Argo e Corinto, costituirono un sinedrio
comune, con sede a Corinto: iniziò così la cosiddetta guerra corinzia, denominata dalla sede
principale delle operazioni, dove morì Lisandro nel 395.
Uno scontro importante fu la battaglia di Cnido, dove la flotta ateniese sconfisse quella spartana
e sancì la fine dell’egemonia navale spartana. Atene stabilì un’alleanza con alcune città (Rodi,
Chio, Mitilene…) e una rete di relazioni che darà poi luogo alla seconda lega navale.
I persiani sostenevano le potenze antispartane, perchè avevano appreso quanto fosse utile per
loro dividere il mondo greco e tenerlo impegnato in guerre intestine. La guerra corinzia si concluse
con la pace del 387.
Le difficoltà che Sparta incontrava la indussero a cercare un accordo con la Persia, la pace di
Antalcida del 387, dove Sparta rinunciò alle città greche d’Asia in cambio dell’autonomia su tutte
le altre città e isole. La decisione di trattare con la Persia fu un grave colpo per il prestigio
panellenico, ma Sparta fece ciò perchè non voleva che Atene facesse una nuova lega né che Tebe
controllasse la Beozia. Così gli Spartani sciolsero tutte le forme di accorso sovranazionale, con
esclusione, ovviamente, della lega del Peloponneso. Anche la Lega Beotica fra Argo e Corinto
fu sciolta. Sparta poi violò la Cadmea, la rocca di Tebe, con un gesto dal carattere empio e
sacrilego e Tebe con un colpo di stato si ribellò al governo “tirannico”, istituendo un governo
democratico e rifondando la lega beotica. Gli Ateniesi conclusero così un’alleanza con Tebe e
protessero la seconda lega navale, con cui si imponevano nuovamente sulla scena politica greca.
Nel 375 Sparta fu indotta a cercare la pace, che fissava l’egemonia ateniese sul mare e la
divisione delle sfere di influenza. I Tebani, nel frattempo, avevano rifondato la Lega Beotica e rotto
i legami con Atene, con l’attacco a Platea. In Atene il movimento in favore della pace con Sparta
in funzione antitebana ebbe consensi. Nel 371, il congresso di Sparta affermò nuovamente la
divisione delle sfere d’influenza tra Atene e Sparta, una punto di riferimento per la Grecia
continentale e conservatrice, l’altra per la Grecia marinara e democratica, garantendo così
equilibrio internazionale stabile per il mondo ellenico. Si stabilì la concessione dell’autonomia alle
città, il ritiro degli arrosti e lo scioglimento delle forze navali e terrestri. Tebe restò fuori
dall’accordo.
Atene era così messa in una posizione privilegiata e si sostituì a Sparta come garante della pace.
La pace di Atene del 371 riconobbe l’autonomia anche degli alleati di Sparta e così anche la lega
del Peloponneso cessò di esistere.
Ma l’inattesa vittoria a Leuttra e l’esitazione degli ateniesi candidarono Tebe ad un ruolo egemone,
i cui principali artefici furono Pelopida ed Epaminonda.
EPAMINONDA E IL PELOPONNESO
Epaminonda voleva organizzare il Peloponneso in funzione antispartana, incoraggiando lo
sviluppo del federalismo democratico. La prima spedizione nel Peloponneso fu disastrosa per
Sparta, che fu costretta a liberare 6mila iloti e affrontare la rivolta di 200 spartiati. Fu devastata la
Laconia e liberata Messene. Fu fondata una nuova capitale della Lega arcadica, Megalopoli. Così
a questo punto Sparta si rivolse ad Atene, ottenendo aiuto.
La seconda spedizione del 369 consistette a Corinto nello scontro tra i Tebani e gli Ateniesi,
dove fu fermato Epaminonda, perchè l’opposizione interna e le rivendicazioni degli alleati
cominciavano a mettere in crisi la continuità e l’efficacia della sua politica peloponnesiaca.
PELOPIDA E LA TESSAGLIA
La seconda direttrice dell’azione tebana fu verso la Grecia settentrionale (Tessaglia e Macedonia).
In Tessaglia, si era affermata la potenza di Giasone di Fere, che era riuscito a unificare la Tessaglia
sotto di sé, ma egli fu assassinato con la paura che diventasse un tiranno.
Alla sua morte, il potere fu assunto da Alessandro, che fu tiranno di Fere ed egli, con Pelopida,
condusse la prima spedizione in Tessaglia (396) che lo impegnava a non attaccare le città
tessaliche e a ristabilire l’influenza tebana in Macedonia.
La terza spedizione in Tessaglia avvenne nel 367 e qui Epaminonda liberò Pelopida.
Nel 366, ci fu la terza spedizione nel Peloponneso di Epaminonda, che voleva unire gli Achei
nella alleanza tebana, ma gli Arcadi conclusero un’alleanza difensiva con Atene.
Sempre nel 366, Tebe indusse l’Anfizonia a condannare Sparta a una multa per la violazione
dell’autonomia commessa nel 382 per la presa della Cadmea. Questa quarta spedizione in
Tessaglia si concluse con la battaglia di Cinoscefale e con la morte di Pelopida.
Nel 365 ci fu la quarta spedizione nel Peloponneso, dove Epaminonda, preoccupato che
Mantinea si riavvicinasse a Sparta, scese sul campo nella battaglia di Mantinea ma perse la vita.
Subito Filippo si impegnò a gestire i barbari confinanti e riorganizzò l’esercito di fanteria sul
modello del battaglione sacro tetano, armandolo di lunghe lance, le sarisse e inserendoci soldati
di fanteria pesante. Poi, egli si volse contro gli Ateniesi, eliminando la presenza ateniese dai porti
macedoni e sottomettendo Anfipoli. In pochi anni, Filippo aveva liberato la costa macedone dalla
presenza ateniese e si era espanso verso la zona degli Stretti, dando alla Macedonia una
continuità territoriale all’interno di confini sicuri.
Filippo conquistò Olinto, senza ottenere resistenza, forse perchè ad Atene il pericolo macedone
veniva sottovalutato.
La terra guerra sacra si concluse con la sconfitta dei Focesi, ai quali fu riservato un trattamento
durissimo, in quanto sacrileghi e la pace di Pella, che offriva a Filippo il controllo dell’Anfizionia.
CHERONEA
Atene, questa volta preoccupata dell’espansionismo macedone, inviò Demostene nel
Peloponneso alla ricerca di alleati. Nacque la Lega Ellenica, di carattere difensivo nel 340, fatta
non solo di poleis ma anche di città e federazioni.
Durante la quarta guerra sacra, Atene e Tebe si allearono, ma nella battaglia di Cheronea
Filippo sconfisse la lega ellenica, umiliando i Tebani e compiacendo gli Ateniesi, in modo da
dividere la coalizione.
Si votò per la guerra contro la Persia, elemento che legittimava l’unificazione dell’Ellade, ma
Filippo morì assassinato in Asia nel 336. Egli attendeva un figlio, Alessandro, che fu cresciuto e
educato da Aristotele. Il discorso di Alessandro a Opis nel 324 riconosce il lavoro del padre
Filippo, ma tra i Greci vi sono pareri discordanti, chi lo vede come il distruttore della Grecia, della
libertà, dell’autonomia, chi invece come l’unificatore e il pacificatore di una Grecia dilaniata.
Dionisio aveva ottenuto il potere ponendosi come difensore dalla minaccia cartaginese. Dopo la
SECONDA GUERRA contro CARTAGINE, in cui ottenne un iniziale successo, concluse con i
Cartaginesi una pace (nel 392) che per circa un decennio riuscì a tenere lontano il pericolo punico.
Pur senza riuscire a espellere i Cartaginesi dalla Sicilia, Dionisio riuscì a ridurre notevolmente il
dominio.
La spedizione in Asia iniziò nella primavera del 334, quando il re mossa da Pella verso Anfilpoli,
dove le forze militari erano state concentrate, e da qui verso l’Asia, sbarcando con 40mila uomini.
Il primo gesto di Alessandro fu di visitare Ilio e di onorare la tomba di Achille, nell’intento di dare
un’intonazione omerica alla spedizione e di richiamarsi al precedente benaugurante della
vittoriosa guerra di Troia. La spedizione si presentava come una guerra di vendetta contro i
Persiani, invasori dell’Ellade nel 481.
Nel 334, presso la battaglia del Granico, egli sconfisse l’esercito persiano e occupò Dascilio e
Sardi. Le città greche dell’Asia Minore si schierarono con il liberatore Alessandro, che provvide ad
instaurarvi governi democratici al posto delle tirannidi e delle oligarchie filopersiane.
Nel 333, tagliò il famoso nodo di Gordio, “chi lo avesse sciolto sarebbe diventato re
dell’ecumene”, cioè di tutto il mondo abitato. Sempre nello stesso anno ci fu la battaglia di Isso
dove egli sconfisse Dario III, prendendo l’accampamento, il tesoro e la stessa famiglia reale,
tranne Dario.
Dopo Isso, egli si dedicò alla conquista delle città della costa siriaca, Sidone, Tiro e Gaza per
togliere porti e basi alla flotta nemica.
La seconda fase della spedizione inizia con la conquista dell’Egitto nell’inverno del 332. Egli
fondò Alessandria e fece visita l’oracolo di Zeus-Ammone, riconosciuto dal sacerdote come figlio
di Zeus: l’episodio scatenò molte polemiche.
Alessandro si diresse poi verso la Mesopotamia nella battaglia di Gaugamela sconfisse Dario,
che fuggì e si nascose nella Battriana dal satrapo Besso. Questo uccise Dario e Alessandro,
atteggiandosi a suo successore legittimo, diede a Dario una sepoltura regale. Poi vendicò la
morte di Dario facendo giustiziare Besso.
Si diresse così a conquistare le satrapie superiori e si unì in matrimonio con Rossane, la figlia
del satrapo Ossiarte.
Nel 327, ci fu però un grave episodio di rottura con i Macedoni, perchè durante un banchetto,
Alessandro in preda al vino uccise Clito, che gli aveva salvato la vita nella battaglia del Granico,
perchè questo si era messo a celebrare le imprese del padre e a denigrare Alessandro. Un altro
elemento di discordia era il suo atteggiamento orientalizzante, con l’introduzione della
proskynesis, un inchino profondo accompagnato da un cenno di bacio che equivaleva, nel
costume greco-macedone, alla concessione di onori divini, in contrasto con la visione del sovrano
come il primus inter pares e più vicino alla visione orientale di eccezionalità quasi sovrumana.
Nel 326, Alessandro penetrò in India e sconfisse il re Poro, che fu reso vassallo. Ma l’esercito
rifiutò di seguirlo in ulteriori avventure, richiamando il re ai suoi limiti umani e invitandolo alla
moderazione nella buona sorte. Il ritorno a Babilonia avvenne tramite la traversata del deserto
della Gedrosia, subendo gravi perdite durante la marcia.
Al ritorno, Alessandro volle dare un chiaro segnale della sua volontà in merito ai rapporti fra le
diverse nazionalità nell’immenso regno sottratto agli Achemenidi. Nelle nozze di Susa 80
compagni e 10000 soldati presero in moglie donne persiane e lo stesso Alessandro sposò Satira,
con l’intento di creare un’aristocrazia mista di elementi greco-macedoni e asiatici, in posizione
identica di fronte al sovrano.
Ma questa politica trovò scarso consenso presso i Macedoni e nell’estate del 324 il problema si
manifestò drammaticamente con la rivolta di Opis, sul Tigri, lungo la via che da Susa conduceva
a Ecbatana. Alessandro cercò di suscitare in loro i sensi di colpa per il fatto che intendevano
abbandonare il loro re, affidandolo alla protezione dei barbari sconfitti: riuscì così a riconquistare
la fiducia del suo esercito, ma provvide anche a punire in modo esemplare i responsabili della
rivolta.
Ad Olimpia, Alessandro fece due richieste: il richiamo di tutti gli esuli e la concessione di onori
divini alla propria persona. La prima venne vista come una violazione degli impegni di non
interferenza nelle vicende interne sanciti con la Lega di Corinto; la seconda invece fu vista come
una grave offesa ai Greci, che ritenevano che il rendere culto divino a una persona fosse lesivo
della dignità dell’uomo libero. Ma gli ateniesi non furono d’accordo e in generale tutti i Macedoni
lamentavano la corruzione dovuta a contatto con il lusso dell’Oriente e l’adulazione dei barbari.
Alessandro morì improvvisamente a Babilonia nel 323, probabilmente per cause naturali.
Egli lasciava un figlio illegittimo, Eracle, mai riconosciuto e sua moglie Rossane in cinta di quello
che poi sarà Alessandro IV, che verrà ucciso.
Fu acclamato re, col nome di Filippo III, Arrideo, il fratellastro di Alessandro, un uomo poco
stabile mentalmente per gestire l’impero.
Egli diversamente dal padre, fu meno sensibile ai valori del mondo greco, di cui apprezzò la
cultura, ma senza condividerne profondamente i contenuti politici e ideologici. Impose a tutti una
monarchia universale, esercitata su un territorio vastissimo ed eterogeneo sul piano etnico e
culturale, che, nel suo carattere divino, tradiva e insieme superava sia i valori della tradizione
macedone, sia quelli della polis greca, destinata a sopravvivere solo come realtà culturale e come
luogo di uno specifico stile di vita.
I conflitti che si creano in questo periodo dei diadochi, ovvero dei successori, sono tra coloro che
vogliono assicurare una continuità alla dinastia e si lotta tra due concezioni diverse dell’impero:
se proseguirlo in modo unitario oppure accettare una frammentazione in regni diversi.
-Antipatro, vecchio generale, compagno d’armi di Filippo II, ha il controllo delle regioni europee.
-Cratero, colui cui Alessandro aveva affidato i veterani rivoltosi a Opis, ha la funzione di
prostates, difensore e tutore del regno di Filippo III Arrideo.
Perdicca vuole sposare la sorella di Alessandro Magno ed è sentito subito come un pericolo > si
crea una coalizione contro di lui > egli compie una spedizione contro l’Egitto > Perdicca muore.
Cratero muore. Antipatro muore.
Antipatro lasciò il potere al generale Poliperconte e non al figlio Cassandro > conflitto tra
Cassandro e Poliperconte: la macedonia è la Grecia sono lacerate da ciò.
Cassandro si afferma in Grecia e fa uccidere Rossane e Alessandro IV. Quando Cassandre morì, il
regno fu conteso tra Lisimaco, Pirro e Demetrio.
Antigono Monoftalmo, dopo Perdicca, è l’ultimo che cerca di difendere l’idea di uno stato unitario.
Ma progressivamente tutti i diadochi (successori) si coalizzano contro di lui.
Dopo 40 anni di guerre e spartizioni, i 4 stati territoriali nati dalla divisione dell’impero di
Alessandro si erano ridotti a tre: l’Egitto era stabilmente guidato da Tolomeo II (Lagidi); la Siria da
Antioco I (Seleucidi); la Macedonia da Antigono Gonata.
In Sicilia Agatocle si proclama basileus. Siracusa ritornò ad essere centrale per la Sicilia e
divenne la capitale di un grande regno ellenistico e la sua prosperità economica crebbe.
La presenza di tradizioni locali influì sullo sviluppo del tipo di MONARCHIA presente nei singoli
regni. In Egitto e in Siria, dove accanto ai Greco-macedoni vi erano grandi masse di indigeni, si
svilupparono monarchie di tipo personale, in cui il re era un individuo eccezionale, era egli stesso
legge incarnata e spesso oggetto di divinizzazione. In Macedonia invece restò in vigore una
monarchia di tipo nazionale in cui il sovrano era re non di un territorio, ma di un popolo. Ad ogni
modo il SOVRANO ellenistico è prima di tutto un re per diritto di vittoria. La monarchia si regge
dunque sulla capacità del sovrano di guidare il suo esercito e di amministrare nel modo migliore. Il
sovrano fa uso di emblemi della regalità, come il diadema e il manto di porpora, e si circonda di
una guardia reale; vive isolato dal popolo nella sua corte, dove si circonda di philoi, dignitari che
gli si affiancano, che spesso sono uomini di cultura, organizzati in una complessa gerarchia. La
corte, così, sostituì la polis come centro propulsivo, in senso politico e culturale, della vita del
mondo ellenistico.
La MACEDONIA, sotto gli Antigonidi, ebbe ottimi sovrani, un valido esercito e fu immune dal
dualismo tra Greci e indigeni che caratterizzò le altre due monarchie. Nel III secolo però fu
travagliata dalla resistenza opposta dalle città greche alle sue pretese di egemonia (guerra
cremonidea, battaglia di Cos).
In EGITTO, sotto i Lagidi, i Greci vennero attirati da campi privilegi economici e giuridici, mentre
la grande massa degli indigeni rimase in una posizione subalterna. Le condizioni dei contadini
erano molto dure e tanti di loro si dedicarono al brigantaggio. L’obbedienza veniva imposta da un
esercito composto in buona parte da mercenari. (Tolomeo II,III,IV, e le 5 guerre siriache).
In SIRIA il regime fu meno rigido rispetto a quello dell’Egitto. Per ellenizzare il popolo, i Seleucidi
favorirono un’intensa attività coloniale, assicurando l’unità del regno così esteso ed eterogeneo.
Il regno di Pergamo, con Attalo I, si rese indipendente dalla Siria nel 263. La capitale, Pergamo, fu
caratterizzata da un eccezionale sviluppo urbanistico e architettonico, e fu anche un importante
centro culturale che con la sia biblioteca rivaleggiava con Alessandria. Molto prospero sul piano
economico, il regno di Pergamo riuscì a mantenere l’indipendenza attraverso l’alleanza coi Lagidi,
e dopo attraverso il rapporto con Roma.
• Aspetti economici, come il desiderio di proteggere i mercanti italici in Adriatico • Aspetti politici,
possibile formazione di un potente stato illirico
Prima guerra illirica 229-228 a.C: gli Illiri praticavano la pirateria in Adriatico disturbano
seriamente i commerci dei mercati italici. I romani sollecitati dalle loro lamentele inviarono alla
regina Teuta un’ambasceria per tentare l’accordo diplomatico, che non ebbe successo, anzi uno
dei delegati fu ucciso: questo decise Roma all’intervento, e con l’appoggio del dinasta Demetrio
Faro ebbe la meglio, costituendo sulle coste illiriche un protettorato romano (gli illiri costretti a
versare un tributo, e a navigare non con più di 2 navi.. la pirateria fu stroncata!). Ma al di la delle
motivazioni più strettamente commerciali, non si esclude l’incidenza di altre strettamente
politiche, un vuoto di potere in cui Roma era chiamata a intervenire come maggiore potenza
adriatica in seguito alla vittoria contro Pirro. Fu per Roma la presa di contatto con i diversi stati
greci, con etoli, achei, corinzi, con Atene in un clima di generale accoglienza, ammessa anche ai
giochi Istmici del 228 a.C.
Seconda guerra illirica 220-219 a.C: dieci anni dopo, mentre in Grecia scoppiava la guerra
sociale, Demetrio violò il trattato costringendo Roma all’intervento, console Lucio Emilio Paolo. Il
problema non fu tanto la guerra illirica di per sé, ma questa scoppiava nell’imminenza della guerra
annibalica: Roma cercò di evitare un possibile accordo illirico-cartaginese, ma il primo pensiero fu
assicurare la posizione dell’Italia. Che non ci fu volontà espansionistica fu dimostrato dal fatto che
non fece ricorso ad annessioni territoriali, e non furono stanziati presidii.
così difficile con Roma invasa dai cartaginesi. Iniziò a muoversi con la flotta già nel 216 a.C,, nel
214 a.C si aprirono le ostilità, con alcune sconfitte per Filippo. I romani non potevano
impegnare in Illiria molte forze, quindi optarono per cercare alleati in Grecia che lo avrebbero
isolato e tenuto occupato li, piuttosto di eventuale interventi a fianco di Annibale, quando ormai
l’accordo era noto. I primi a rispondere furono gli etoli con i quali venne stipulato un trattato: la
terra sarebbe rimasta degli etoli, a Roma il bottino (spartito solo in caso di conquiste comuni) che
chiese non priva di un atteggiamento di durezza, ma in effetti i romani non erano ancora
intenzionati ad assumere un corrente atteggiamento filellenico, ne a condurre in Grecia una
politica di ampie e lungimiranti prospettive. Roma, schierata con Galba in Egeo con una flotta, si
disimpegnò progressivamente dal campo greco, dove rientrò Filippo. Gli etoli non si trovarono
sufficientemente appoggiati da Roma, questo li spinse a trattare con Filippo, cosa che fu
percepita da Roma come violazione del trattato del 212 a.C; preoccupati inviarono in Grecia un
contingente: la pace di Fenice del 205 a.C fu un a sorta di compromesso; il problema riguarda la
sua probabile natura di “pace comune”, perché
• se così fosse Roma entrava a pieno titolo e stabilmente nell’universo politico greco come
garante di una pace comune sottoscritta da un’ampia serie di contraenti e acquisiva il diritto/
dovere di intervenire nelle vicende politiche greche ogniqualvolta la pace venisse violata, e alla
sua autorità di faceva appello
• se invece non si trattò di pace comune ma semplicemente accordo bilaterale tra Roma e Filippo,
solo l’effettiva violazione delle clausole avrebbe autorizzato Roma all’intervento militare
La valutazione della legittimità del comportamento romano all’epoca dello scoppio della seconda
guerra macedonica dipende strettamente dalla natura di questa pace e dalle sue clausole
giuridiche. Molto probabilmente fu una pace comune. La politica romana, inserendosi nelle
migliori tradizioni greche, diventava a questo punto una politica di tutela della Grecia nella sua
totalità ereditando quel diritto/dovere alla difesa dei valori della libertà e autonomia che avevano
guidato la Grecia delle poleis.
Una Roma ancora esitante che per il momento sembra reagire alle provocazioni, senza incorrere
in comportamenti troppo impopolari, ciò esclude l’esistenza di una politica propriamente
imperialistica, del resto incomprensibile in un momento in cui Roma era gravemente impegnata
per la propria sopravvivenza in Italia, e tra poco in Spagna. Negli anni successivi la pace di
Fenice, Filippo V si rivolse verso l’Oriente, impegnandosi attivamente nell’Egeo settentrionale, in
Tracia, negli Stretti, in Asia minore, atti di ingiustificato brigantaggio che fecero si che Rodi e
Pergamo si alleassero contro di lui e dichiarassero guerra. Filippo fu sconfitto in battaglia navale a
Chio, ma attaccò prima Pergamo e poi l’entroterra di Rodi, che si rivolsero a Roma con una
ambasciata che denunciava Filippo come violatore della pace. Roma propose ai comizi la guerra,
ma fu rifiutata, piuttosto furono incaricati alcuni esponenti politici di esplorare la situazione dei vari
stati greci; Appiano racconta che l’ambasceria rodio-pergamena portò la notizia di un accordo
segreto tra Filippo e Antioco III per la spartizione del regno tolemaico, in un momento in cui il
regno era agitato da tensioni etniche e gravi problemi economici.
La seconda guerra macedonica iniziò nel 200 a.C: di certo Filippo aveva già ampiamente
violato la pace comune attaccando le città greche libere, non tenne conto degli ultimatum e
conquistò Abido ma le campagne del 200 e del 199 a.C furono molto inconcludenti, la svolta
arrivò nel 198 a.C, l’esercito romano superiore inflisse una pesante sconfitta mantenendo l’idea di
non volendo però distruggere la monarchia macedone e annettersi il suo territorio, giunse alle
trattative conclusive.
Nel corso della guerra il problema del rapporto di Roma con la Grecia e con la difesa dei principi
di libertà e autonomia conobbe una significativa evoluzione, forse avendo pienamente compreso il
significato profondo di quella pace comune e degli impegni. I romani si assunsero pienamente il
patrocinio dei greci e della loro libertà e autonomia: a Filippo si chiedeva di ritirarsi dall’intera
Grecia e dai possedimenti tolemaici che erano venuti in suo possesso, libertà si, ma impedendo la
rinascita macedone e tenendo a bada l’impero seleucidico per ristabilire l’equilibrio egeo e
mediterraneo, obiettivo che sembrava essere stato raggiunto; la Grecia, la cui riconquistata libertà
era dovuto ad un grazioso dono dei Romani, si trovava sotto il loro patrocinio. Roma come
difensore
• del diritto dei greci alla libertà e autonomia sancito dalla pace di Fenice
Cosa indusse i romani a gettarsi in una nuova guerra, dopo quella annibalica? Secondo
l’impostazione liviana (viziata? Tradizione annalistica romana) le prime due guerre sarebbero da
intendere come fenomeno unitario, la pace di Fenice una sorta di tregua che permetteva di
concludere la guerra annibalica, quindi dopo Zama il conflitto con la Macedonia riprese, con gli
stessi generali protagonisti. Chiaro che questa ipotesi metterebbe in luce l’atteggiamento
dichiaratamente interventista (quindi già nella seconda guerra macedonica la svolta nella politica
romana). Forse Roma manteneva un atteggiamento disponibile più la dove non aveva ancora
maturato un progetto autonomo, o forse intervenne nella paura di questa mancanza di equilibrio,
o per compiacere ai suoi alleati (l’asse siro-macedone problematico per Pergamo e Rodi); una
politica non propriamente imperialistica, ma almeno interventistica e comunque non certo
difensiva ma piuttosto offensiva. Il momento appare in realtà molto complesso, Roma sembra
muoversi tra i più diversi condizionamenti, dai problemi della smobilitazione dopo la conclusione
del conflitto annibalico, alle preoccupazioni per l’equilibrio generale nel Mediterraneo, alla propria
sicurezza, al non volere ignorare le rimostranze degli alleati, l’indifferenza di Filippo il quale
riteneva che forse a Roma sarebbe bastato non venire danneggiata in Illiria, a far decidere i
romani all’intervento militare.
LA GUERRA SIRIACA (192-188) Uno dei motivi che indusse Roma a concludere rapidamente la
pace con Filippo fu l’attività di Antioco III in Ansia minore, un re che era rimasto come promesso
neutrale durante la guerra ma che ora cercava di espandersi, mirando espressamente a ricostruire
l’impero di Seleuco I; ma ora c’erano i romani. Dopo aver attaccato i possedimenti tolemaici in
Asia minore e Tracia, aveva attaccato prima Pergamo e poi Abido, passati gli Stretti aveva
attaccato una serie di città libere che non si sottomisero, ma si rivolsero a Roma. Roma veniva
invitata ad un nuovo intervento cui era dovuta nella sua posizione di garante dell’equilibrio
internazionale greco, intimò agli ambasciatori di Antioco di non procedere ad attaccare le città
libere; probabilmente è intorno al 196 a.C che presso Antioco arrivò Annibale, esule da Cartagine:
quanto influì questa presenza difficile dirlo, certo è che l’asilo fornito al nemico di Roma non
poteva favorire una evoluzione positiva dei rapporti romano-siriaci. Ad un avvertimento del 196
a.C seguirono 4 anni di conflitto finchè la situazione degenerò nella guerra siriaca: Antioco fermo
nelle proprie posizioni rivendicava la legittimità delle proprie aspirazioni, rifiutandosi di riconoscere
qualsiasi autorità sui territori di area asiatica; lui più di Roma doveva garantire la libertà. Sembra
qui proporre Antioco una sorta di divisione delle sfere di influenza
• L’Europa ai Romani
A Roma la possibilità di risolvere in questo modo il problema. Dallo sviluppo delle trattative tra
196 e 193/2 a.C sembra che nessuna delle parti fosse davvero intenzionata ad arrivare alla guerra,
che sarà però inevitabile ed iniziò con una serie di sconfitte per Antioco; la svolta tanto nella
guerra quanto più in generale nella politica orientale romana si ebbe nel 190 a.C, quando gli
Scipioni, il console Lucio e il fratello Publio (l’Africano) che lo accompagnava in qualità di legato,
decisero di passare in Asia e seguire Antioco sul suo territorio. Il re chiese la pace, disposto a
lasciare libere le città greche d’Asia, ma la situazione era cambiata ormai, non gli si chiedeva solo
questo ma anche di ritirarsi al di la del Tauro. Nella battaglia di Magnesia 189 a.C Antioco fu
sconfitto definitivamente; a Sardi si trattarono i preliminare della pace. Il testo della pace di
Apamea del 188 a.C ci è conservato da Polibio: la Siria fu trasformata in un regno asiatico isolato
dall’Egeo; clausole navali e finanziarie particolarmente pesanti. I territori abbandonati nelle mani di
Roma furono in parte dichiarati liberi, in parte redistribuiti tra Pergamo e Rodi, vuoi per premiare
gli alleato o evitare eccessive frammentazioni. Si chiude una guerra dominata da una sorta di
timore reciproco, il pericolo che il protettorato romano fosse esteso sul suo regno (anche se non
si ravvisano minacce in questo senso), meno giustificata Roma che non aveva da attendersi nulla
di
più della ricostituzione dell’impero di Seleuco; più che timore forse il sospetto reciproco. Anche in
questo caso Roma non procedette ad annessioni territoriali e non distrusse il suo nemico (lo
spinse lontano!); ma qualcosa cambiò nel suo atteggiamento proprio nello scegliere di gratificare
quegli alleati più fedeli, così come si adeguava al principio della politica ellenista secondo cui
acquistava pieno potere su un territorio che aveva conquistato con le armi. Forse è in questo
momento che i romani avvertirono la possibilità di costruire un impero universale.
• Difensivi: timore che avesse potuto invadere l’Italia (una chimera, non aveva flotta) Insomma, un
guerra questa volta certamente voluta dai romani come preventivo contro un nemico
potenzialmente pericoloso. Roma si mosse in modo molto provocatorio contro Perseo,
ingannandolo; dal canto suo ci fosse stata la guerra era pronto ad affrontarla, mentre il resto del
mondo greco rimaneva sostanzialmente indifferente, preferendo non schierarsi; nel 171 a.C i
romani guidati da Publio Licinio Crasso occuparono la Tessaglia per giungere in Macedonia
dove nel 168 a.C il console Lucio Emilio Paolo sconfisse a Pidna l’esercito di Perseo, in una
battaglia catastrofica, con morti, prigionieri in numero enorme. Finiva così la monarchia
macedone che venne divisa in 4 repubbliche autonome, isolate dal divieto di matrimonio e
commercio, sottoposte a tributo per poter sfruttare il territorio tenendolo sotto controllo, non
annettendolo. Furono anni di cambiamenti nei rapporti con le monarchie ellenistiche: Roma si
era decisa ad essere riconosciuta come maggior potenza mediterranea e arbitra indiscutibile del
destino degli stati che gravitavano sul Mediterraneo (nessuno più libero di esercitare la propria
sovranità).
A Pidna seguì un quarantennio in cui Roma scelse di ricorrere all’ordinamento provinciale per
rendere stabilmente governabile la situazione dell’Oriente ellenistico, si scelse la direzione in
Grecia di interferire e procedere con l’annessione diretta, in Oriente piuttosto incoraggiare i
processi di disgregazione (imperi seleucidico e tolemaico).
• 147/6 a.C provincia di Macedonia, completata con annessione di Illiria ed Epiro, e poi dello stato
acaico • 129 a.C cade il regno di Pergamo e nacque la provincia d’Asia comprendente Lidia,
Frigia, Caria, Efeso (...) • 63 a.C provincia di Siria con Pompeo, dopo aver fatto deporre l’ultimo
sovrano seleucide • 31/31 a.C battaglia di Azio l’Egitto cadde sotto il dominio romano dopo la
battaglia di Azio e la morte di
Cleopatra VII: divenne proprietà personale dell’imperatore, amministrata dal praefectus Aegypti
Roma aveva a lungo cercato di evitare l’esercizio di una dominazione diretta sulla Grecia, aveva
provato come Filippo II a capire i principi greci, a inserirsi in schemi già esistenti, intervenendo
però solo come garante della pace, libertà, autonomia. Ma l’irriducibile
conflittualità del mondo greco (la stessa che aveva reso debole la Grecia delle poleis e delle
federazioni spesso divise all’interno per la voglia di autoaffermazione delle singole città, la stessa
delle grandi monarchie in perenne guerra) aveva convinto Roma a procedere a quegli interventi di
annessione territoriale (ordinamento provinciale) che soli potevano garantire pace e stabilità. Fu la
difesa esasperata dell’autonomia e porre fine all’indipendenza della Grecità intera.
-La fase romana della conquista degli stati ellenistici si conclude di fatto con Pidna per la
Macedonia, con il 63 per il regno Seleucidico, con il 30 con il regno di Macedonia.
-battaglia di Sellasia (222): lo sostiene Droysen. E’ più che altro un evento simbolico che
epocale. Questo è l’epilogo della storia spartana. Sparta è entrata in una crisi profonda
(isolamento, irrilevanza). Cleomene III promuove delle riforme come un ritorno alla costituzione di
Licurgo > ingloba tanti nuovi Spartiati, ridistribuisce le terre. Questi cambiamenti suscitano timori
nella Lega Achea che, sostenuta dai Macedoni, sconfigge gli Spartani di Cleomene III a Sellasia.
Questa è la fine per Sparta perchè è la prima volta che un esercito straniero entra a Sparta; non
era mai successo. 217 pace di Naupatto: ultima pace che i greci concludono tra di loro prima di
un intervento di Roma.
-battaglia di Pidna (168): è l’evento che segna la fine della vitalità degli stati ellenistici per il
pesante intervento di Roma. Grande sconfitta che Lucio Emilio Paolo infligge nel 168, al culmine
delle guerre macedoniche. Questo segna lo stanco sopravvivere degli stati ellenistici nei decenni
successivi. Il periodo che va da Sellasia a Pidna, quindi dal 222 al 168, è quel periodo cui Polibio,
nel progetto iniziale delle storie, dedica la sua narrazione: dunque è registrato anche dalla
storiografia antica.