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ARCHEOLOGIA E STORIA DELL’ARTE GRECA

Dove si sviluppa l’arte greca?

• Grecia
• Città delle coste dell’Asia Minore
• Città dell’Italia meridionale e della Sicilia

Cronologia: l’arta greca inizia a metà dell’XI sec e finisce nel 31 a.C.: inizia quindi con la scomparsa, o meglio
con il progressivo disgregarsi della civiltà micenea e finisce con la battaglia di Azio, combattuta tra
Ottaviano e Antonio.

• ETA’ PROTOGEOMETRICA= 1050-900


• ETA’ GEOMETRICA= 900-700
• ETA’ ORIENTALIZZANTE= 700-625
• ETA’ ARCAICA= 625-480
• ETA’ CLASSICA= 480-323
• ETA’ ELLENISTICA= 323-31

Età protogeometrica, geometrica ed orientalizzante rappresentano il periodo di formazione della cultura


greca, mentre l'età classica rappresenta l'akmé, la massima e sublime espressione dell'arte greca.

Molte di queste date sono importanti dal punto di vista storico-politico -----> il 480 a.C. è la data della
Battaglia di Salamina, quando il mondo greco sconfigge i persiani, il 323 a.C. rappresenta l'anno della morte
di Alessandro Magno e l'età ellenistica termina nel 31 a.C., data della battaglia di Azio.

CIVILTÀ MICENEA

Si sviluppa nel Peloponneso (Micene, Pilo, Tirinto, Nauplia) e nella Grecia continentale a partire dal XVI sec
e raggiunge il culmine nella prima metà del XIV sec= età del bronzo. Popolo con omogeneità culturale
evidente; grandi regni, monarca detiene potere politico e gestisce economia, che ha come sede centrale il
Palazzo. La civiltà micenea è organizzata in grandi regni, ciascuno dei quali ha un proprio monarca che
dirige l'economia; quest'ultima ha la sede principale nel palazzo, al quale fanno capo tutte le attività sia
economiche (attività artigianali, sede di raccolta e di redistribuzione dei prodotti) sia artistico-culturali. Il
centro del palazzo è costituito dal megaron. Spesso il palazzo è arroccato in posizione elevata ed è anche
protetto da strutture difensive, come il caso di Micene, che presenta il Palazzo all'interno di una rocca
fortificata.
La civiltà micenea fu una civiltà dedita soprattutto all'artigianato che produsse splendidi oggetti in oro e in
avorio e suppellettili preziosi.
Di estrema importanza è sicuramente il sito archeologico di Micene: monumentale è la famosa Porta dei
leoni che mostra la grande competenza architettonica di questa società; di notevole bellezza è anche la
Tomba monumentale di Atreo costituita da blocchi di pietra. Interessante è anche il complesso palaziale di
notevoli dimensioni di Pilo.
Porta dei leoni,
Micene

Tra la seconda metà del XIII secolo e gli inizi del XII secolo si assiste però al declino della civiltà micenea per
una serie di concause: calamità naturali, rivolte, guerre, generalizzata instabilità sociale. Così tra XII e metà
del XI secolo della società micenea iniziò a spegnersi: si interruppero i commerci, venne meno l'artigianato,
scomparve la lineare B, l’organizzazione palaziale, le pitture parietali dei palazzi minoici e micenei;
mutarono l'organizzazione della società, dell'economia, l'assetto urbano e la cultura architettonica e
figurativa. Siamo giunti all’età del ferro. Si assiste al passaggio dal bronzo al ferro, nella fabbricazione di
armi ed utensili, questo comporta:

1. Cambiamento delle aree di reperimento della materia prima, e quindi le linee di scambio e di
traffico
2. Richiesta agli artigiani di nuove competenze tecnico-metallurgiche.
3. Uso di armi in ferro nella tattica militare.
4. Cambiamenti culturali: passaggio dall'inumazione alla cremazione.
5. Cambiamenti territoriali: il dissolversi della forma socioeconomica di palazzo micenea porta allo
sviluppo progressivo della polis, città-stato. La città è guidata da un gruppo di aristoi, nobili-
aristocratici.
6. Cambiamenti economici: molti greci iniziano a spostarsi per mare per cercare ricchezza (cfr. padre
di Esiodo, Le opere e i Giorni) e, probabilmente, vengono a contatto con i fenici, da cui apprendono
l'uso dell'alfabeto.

In effetti, questi cenni li rinveniamo anche nella tradizione epica, che colloca alla fine del secondo millennio
la famosa spedizione contro Troia: quest'ultima, secondo Eratostene e Apollodoro, sarebbe avvenuta tra
il 1194 e il 1184 (ma abbiamo anche altre datazioni). Nonostante, secondo l'epica eroica la vittoria su Troia
spetta agli Achei/Micenei, tuttavia si registra periodo di instabilità del mondo greco ----> questo viene
testimoniato dai problemi incontrati dagli eroi greci, nel loro ritorno-nostos in Patria ----> Odisseo, dopo
circa 10 anni, arriva nella sua patria, Itaca, assediata dai Proci; Agamennone, signore di Micene ed Argo,
viene ucciso da Egisto, amante della moglie Clitemnestra: il racconto mitico ha probabilmente in se il
ricordo di un mondo che si sta a mano a mano sfaldando.
Inoltre, le fonti letterarie (Tucidide) sostengono che 80 anni dopo la guerra di Troia sia avvenuta di
invasione dorica, seppur l'archeologia non abbia fonti certe. Verso la metà del XI secolo avvenne la
colonizzazione Ionica: gruppi di greci, ciascuno con il proprio dialetto, occuparono le coste occidentali della
penisola anatolica alla ricerca di nuovi insediamenti e risorse (abitanti della Tessaglia e della Beozia si
spostarono a Lesbo, Smirne, Cuma= dialetto eolico; popolazione dell'Attica e dell'Eubea occuparono
Colofone, Efeso, Mileto, le isole di Samo e di Chio= dialetto ionico; dal distretto dorico invece si spostarono
verso Alicarnasso, Cnido, le isole di Rodi e Coo= dialetto dorico).

Il periodo, che va dalla fine del secolo XII a.C. a metà del secolo VIII a. C., viene definito convenzionalmente
"medioevo ellenico" o "secoli bui" o "dark ages" ---> effettivamente, anche l'archeologia riconosce questo
periodo come diverso da quello precedente: l'archeologica nota sul terreno una notevolissima riduzione
degli insediamenti, per cui è avvenuta chiaramente una grave crisi demografica (è stato calcolato che sui
320 insediamenti presenti nel periodo di massima espansione della civiltà micenea, ne sono rimasti solo 40,
nell'XI secolo, e gli oggetti, restituiti dal terreno, sono pochi e sicuramente meno pregevoli).
Ovviamente, i resti della civiltà micenea erano visibili anche nei secoli successivi, in quanto non potevano
essere completamente celati agli occhi delle generazioni successive, data la loro imponenza, ma questi resti
furono interpretati, nella memoria collettiva, come le testimonianze rimanenti delle abitazioni utilizzate
dagli eroi.

ETA’ GEOMETRICA

Primo periodo dell’arte greca che comprende anche una parte dei cosiddetti secoli bui, alla fine di cui si
assiste a una vera e propria rinascita. Il nome è stato dato sulla base dei motivi geometrici prevalenti
soprattutto sui vasi. Il periodo è diviso in due sottoperiodi:

• Età protogeometrica: 1050-900


Età del ferro
• Età geometrica: 900-700

Le costruzioni erano in materiali deperibili: muri e zoccoli di fondazione in pietre di piccolo taglio e ciottoli,
alzati in mattoni crudi (impastati in argilla e paglia ed essiccati al sole) inseriti in telai lignei, con tetti
straminei (in strame di paglia) e pavimenti in battuto. Il miglioramento della tecnica dipendeva dal livello
raggiunto nella lavorazione del legno: architekton = capo dei carpentieri (tektones). La sperimentazione
continua passava anche attraverso la costruzione delle navi.

Le soluzioni architettoniche, in area dorica, si sviluppano a partire de due modelli:

• il megaron miceneo = stanza di rappresentanza dell’anax. Questo diventa per i Greci il luogo più
adatto per ospitare la divinità.
• l’oikos: ambiente abitativo di dimensioni ridotte di forma quadrangolare. I Greci ne traggono i
naiskoi, edifici templari più piccoli.

Età protogeometrica

Sito di Lefkandi (nell’Isola di Eubea, grande isola a est dell’Attica): il sito ha restituito un edificio
architettonico monumentale, l’Heroon (prima metà X sec, lungo circa 50m). Ne rimangono i resti delle
fondazioni e pochi delle strutture. La pianta è stata ricostruita sulla base delle tracce sul terreno: edificio
rettangolare allungato con terminazione ad abside. A est abbiamo l’ingresso, poi un vano che porta
dall’ingresso ad un grande ambiente centrale, poi un corridoio affiancato da 2 ambienti. Attorno all’edificio
(tranne che all’ingresso) una serie di buchi, che ospitavano dunque una serie di pali (precursori della
peristasi dei templi), presenti anche all’interno lungo l’asse longitudinale. Questi sostenevano le strutture
del tetto, realizzate in materiali semplici; fondazioni e zoccolo sono di pietre di piccole dimensioni non
cavate ma raccolte. Le strutture murarie in mattoni crudi (di argilla) tenuti insieme da materiale ligneo.
Queste pareti non potevano reggere da sole il peso del tetto, realizzato in canne, rami, frasche, dunque
ecco spiegata la presenza dei pali.
Questo edificio mostra come in questo periodo le competenze tecniche si fossero abbassate di livello,
rispetto alle grandi strutture in pietra micenee. L’edificio è di per sé grandioso, ma i materiali per la sua
costruzione sono semplici, deperibili.
L’Heroon doveva essere la residenza di un basileos. Il nome deriva da una seconda fase dell’edificio: il
pavimento venne modificato, e nell’area centrale vennero scavate 2 fosse ed allestite delle sepolture: in
una fossa è stato rinvenuto grande vaso bronzeo (urna funeraria) con le ossa di un guerriero (poiché sono
presenti le armi: spada e punta di lancia). Accanto è sepolta una donna di alta levatura sociale, poiché ha
con sé una serie di ornamenti in oro e bronzo; nella seconda fossa i resti di 4 cavalli (con i loro finimenti),
probabilmente quelli che tiravano il cocchio del defunto. Queste sepolture determinano la trasformazione
dell'edificio in tomba, per celebrare una personalità passata dalla sfera dei mortali a quella degli eroi (da
qui il nome Heroon).
Edificio eccezionale per la documentazione, poiché abbiamo poche testimonianze delle architetture di età
protogeometrica, sia per la deperibilità dei materiali sia per le vicende successive che portarono alla loro
scomparsa. Ritroviamo i riti e la struttura della descrizione omerica dei solenni funerali in onore di Patroclo.

La tipica casa di età geometrica consiste nell'OIKOS, un ambiente quadrangolare monovano, ovvero privo di
suddivisioni interne, di estensione limitata (circa 15/20 mq) ----> forse lo spazio era così stretto, sia perché
abitato da una famiglia mononucleare, ma anche perché molte attività vengono svolte fuori dalla casa, in
tettoie, pergolati, adibiti ad orti, cortili.

La casa di famiglie aristocratiche ha invece dimensioni più notevoli, a pianta rettangolare absidata,
derivante dal megaron miceneo (cfr. Heroon di Lefkandì).

- Sito di Smirne: (X sec) casa con pianta ovale di cui rimane solo qualche traccia e sulla base della quali si è
fatta l’ipotesi di ricostruzione. Dimensioni modeste e materiali analoghi a Lefkandì: base in pietra non
lavorata, schegge di pietra, ciottoli, alzato in mattoni crudi e il legno che rende solida la struttura delle
pareti e per creare l’ossatura del tetto, pavimento in battuto. La città si presentava con centinaia di queste
case addossate le une alle altre e circondate da una cinta muraria, una tra le più antiche del mondo greco.
Verso la fine del VIII un incendio devasta la città, che verrà ricostruita in modo più regolare con case
disposte lungo le vie di percorrenza.

- Sito di Nichorià (Messenia): (IX sec) pianta rettangolare con terminazione ad abside, medesimi materiali
deperibili.

- Sito di Zagora (isola di Andros): pianta quadrangolare, ovvero quella che si andrà sempre più affermando
lungo l’epoca geometrica. Organizzazione insediativa, che prevede agglomerati di abitazioni, addossate le
une alle altre, raggiungibili tramite viuzze. Breve ingresso per accedere all’ambiente con banchina su 3 lati;
sulla banchina trovavano posto vasellame per la conservazione delle derrate alimentari. All’interno delle
case era tipica la presenza di vasellame: soprattutto i vasi dipinti, che erano i più preziosi, indicatori del
prestigio della famiglia, utilizzati duranti i banchetti e i simposi. Un ricco corredo era poi anche un’esigenza
dei defunti e cambiava in base alla condizione sociale. Sono le necropoli che hanno restituito i vasi meglio
conservati, che ci hanno permesso di creare una periodizzazione dell’età geometrica. Il sito che ha visto una
maggiore produzione nell’ambito della ceramica è Atene (Attica): attraverso i reperti ateniesi si è potuta
stabilire una periodizzazione.

- Sito di Emporion (Isola di Chio): (VIII sec) insediamento si installa sul pendio di un colle, con circa 100 m di
dislivello tra città alta e città bassa ----> l'acropoli viene posta sulla sommità del colle, accessibile attraverso
una stradina; di fronte a questa troviamo un grande ambiente a megaron (evidentemente la residenza di un
capo), e lungo il pendio la città bassa, costituita da abitazioni sparse senza un orientamento preciso, ma
adattandosi forse alle caratteristiche morfologiche del luogo.

È difficile capire il momento in cui si formano i grandi centri, che evolveranno poi nelle città, nelle polis: la
documentazione archeologica può solo registrare delle forme di insediamento diverse tra di loro, che non si
uniformano ad un unico modello.

- Insediamenti in aree coloniali: per l'VIII secolo a.C., insediamenti più ampi sono noti solamente in aree
coloniali. Es. Megara Iblea, Sicilia: colonia fondata a fine VIII secolo, risulta qui evidente, come i coloni, al
loro arrivo, andassero a suddividere il territorio in lotti, all'interno dei quali sono edificati case
quadrangolari ---> in seguito, vengono edificate abitazioni di dimensioni maggiori, accostando ambienti
monovano l'uno accanto all'altro, comunicanti tramite un corridoio trasversale cinto da un muro: questo
viene detto PASTÀS.

CERAMICA GEOMETRICA

La scelta dei motivi decorativi, la loro numerosità, la loro disposizione sul vaso ha permesso di stabilire una
griglia cronologica.

Questo periodo prevede 4 fasi:

1. stile protogeometrico (PG): 1050-900 a.C.


2. stile geometrico antico (GA): 900-850 a.C.
3. stile geometrico medio (GM): 850-760/50 a.C.
4. stile geometrico tardo (GT): 760/750-700 a.C.

Dobbiamo porre attenzione non soltanto all'analisi dei dati formali della ceramica, ma anche capirne il suo
uso:

• Ceramiche di uso comune: vasi usati per la conservazione di liquidi o derrate alimentari, vasi per
versare (brocche, oinokoi), cratere (grande vaso nel quale veniva miscelato vino con l'acqua, una
parte di vino e tre parti di acqua, utilizzato per la preparazione di questa bevanda, compito assunto
dal capo locale nei banchetti ufficiali o capo famiglia).
• Ceramiche di uso funebre: usate come segnacolo di tomba per segnalare tomba del defunto (il
sema).

Motivi utilizzati

Stile protogeometrico (PG): 1050-900 a.C.; decorazione: gruppi di linee, linee ondulate (di tradizione
micenea), triangoli, losanghe (rombi a lati uguali). Il tratto caratteristico sono le decorazioni circolari
(semicerchi e cerchi concentrici) tracciati con pennello multiplo e con l’ausilio del compasso. Gli elementi
non sono distribuiti casualmente sulla superficie del vaso, ma studiati per sottolineare e valorizzare i punti
di maggiore visibilità e snodo ----> la spalla del vaso e la massima espansione del vaso. Atene fu la prima a
riguadagnare un profilo culturale dopo il collasso miceneo: fin dall’età protogeometrica nella zona della
successiva Agorà sono stati rinvenuti reperti che indicano la presenza di impianti di produzioni ceramiche,
che si rifornivano di acqua e argilla probabilmente presso il vicino fiume Eridano.

Stile geometrico antico (GA): 900-850; vasellame con decorazione sistemata nei punti di maggiore visibilità,
così da scandire la dinamica del vaso: lungo il collo e nel punto della pancia di maggior espansione. Motivi
geometrici semplici: gruppi di linee, elementi obliqui, zig-zag, piccoli triangoli, meandri. Progressivo
scomparire delle forme a compasso, mentre si continua a verniciare di nero il resto della superficie.
Contatti con il Vicino Oriente: ricompaiono gradualmente l’oro lavorato a filigrana e l’avorio. Si afferma
soprattutto l'ANFORA (usata per raccogliere e trasportare acqua, corredo delle tombe femminili) e i
CRATERI (usate per miscelare acqua e vino nei banchetti, corredo delle tombe maschile).

Stile geometrico medio (GM): 850-760/50; predilige una decorazione più diffusa e più complessa e
numerosa. Si diffondono i semata (vasi monumentali usati come segnacolo tombale), il cratere su alto
piede e la pisside a scatola bassa e schiacciata, con coperchio ad impugnatura conformata a cavallini fittili
(ovvero in terracotta). Ai vasi in ambito funerario (semata o corredi) spetta un valore sociale: esaltare il
valore del defunto e della sua famiglia, nonché l’appartenenza sociale. Compaiono per la prima volta
raffigurazioni animali, mentre attorno all'800, appaiono per la prima volta raffigurazioni umane, resi a
silhouette.
Es: Atene, corredo della tomba della “Rich Lady” (metà IX, sito dell’Agorà, conservato al Museo dell’Agorà): anfora di
grandi dimensioni per le ceneri della donna + vasi di piccole dimensioni, orecchini in oro e collana in pasta vitrea + un
Un secondo esempio è lo Skyphos di Eleusi: datato attorno al 750-700 a.C. Esso ha raffigurate due scene: la
interessante modellino che riproduce un granaio: allusione alla ricchezza della famiglia derivante dallo sfruttamento della
prima mostra una nave, su cui poggia un uccello, che ha toccato terra ed i cui marinai, armati, sono pronti
campagna. Urna cineraria delle Rich Lady: forma slanciata, le decorazioni sono sempre nei punti più visibili, ma le fasce
per un attacco piratesco; la seconda mostra uno scontro con uomini armati di arco e frecce e due caduti.
decorative aumentano e le forme si fanno più complesse nei punti di massima espansione: meandri, reticoli, cerchi,
assemblati in modo originale e rigoroso, con grandissima precisione. Probabilmente l’anfora apparteneva ad un ricco
personaggio, che aveva partecipato a un attacco piratesco su un territorio straniero. Tra i più antichi documenti di
raffigurazione umana su ceramica.
Stile geometrico tardo (GT): 760/50-700; la decorazione si espande a occupare tutto il vaso e si
moltiplicano le scene figurate, contenute entro pannelli metopali o in fregi sovrapposti. Si distinguono
esposizioni (prothesis) e trasporti (ekphorà) funebri, ma anche scene narrative spesso riconducibili (ma non
chiaramente) a episodi delle opere omeriche. In questo periodo si afferma l’uso di creare anche molti vasi
appositamente per l’ambito funerario: sono vasi monumentali e fungono da segnali (sema = segno), ovvero
identificano la tomba.

Es: Anfora 804 o anfora del Dipylon (Museo archeologico nazionale di Atene, alt. 1,55m). Le dimensioni fanno sì che questo
non avesse una funzione pratica, ma fosse un sema (segnale), ovvero un vaso monumentale per identificare una tomba: la
decorazione si diffonde su praticamente tutta la superficie del vaso; l’opera è notevole per dimensione (richiedente grande
competenza tecnica) e per la decorazione diffusa, con motivi semplici (triangolo) e complessi (meandri su collo e ventre). Si
scorgono delle figure (es.: animali nel collo), ma notevole è la rappresentazione di figure umane tra le anse dell’anfora. La
scena è inerente al mondo funerario: esposizione di una defunta (prothesis), che compare al centro del campo metopale; la
defunta è stesa su un letto funebre con un lungo abito. Ai lati del letto un gruppo di figure che si portano le mani alla testa in
segno di compianto. Lo stesso fanno 2 figure femminili in primo piano, con vicino due figure maschili. C’è anche una figura di
dimensioni ridotte: forse il figlio della defunta, che si aggrappa dolorosamente al letto: grande evidenza narrativa della scena.
La figura umana non è concepita come unità, ma come pluralità di elementi dalle forme stilizzate da assemblare secondo un
criterio rigoroso: triangolo per il torso, mentre gli arti inferiori (di profilo) hanno le articolazioni più definite (sede della
vitalità), invece arti superiori sono lineari e la testa è sferica, con una leggera protuberanza, il collo è appena evidenziato.
Metodo additivo. Figura a silhouette e realizzata in vernice nera. Il fondale è riempito con piccoli motivi. Il vaso è un’anfora,
che, in quanto utilizzata come contenitore per acqua, liquidi e alimenti vari, è collegata al mondo femminile, la donna che
governa la casa e se ne occupa: l’anfora allude così al ruolo della donna. L’anfora 804 è detta anche anfora del Dipylon perché
attribuita al maestro del Dipylon che inizia la sua attività attorno al 760 a.C e prende il nome dalla necropoli di Atene. Non si
conoscono i nomi degli artefici, perché in questa fare nessuno dei pittori-ceramisti si firma, ma si usano nomi convenzionali.

Un vaso che riprende lo stile del “maestro del Dipylon” è il cratere 990 (GT) (Atene, Museo Arch. Nazionale, alt. 1,23m):
anche questo di dimensioni monumentali; mostra un intensificarsi della decorazione e della presenza di scene: 2 grandi
fasce decorative in posizione di maggior evidenza (tra le anse e nella parte sottostante). Meandri sull’orlo del cratere. Scena:
trasporto del defunto al luogo della sepoltura; questo è accompagnato dai membri della comunità aristocratica, opliti muniti
di scudo posizionati su carri trainati da cavalli. Anche i cavalli sono stilizzati alla maniera della figura umana. Un’altra lettura
potrebbe vedere una rappresentazione di giochi funebri in onore del defunto, membro eminente della comunità, su chiara
ispirazione omerica (giochi funebri per Patroclo). Il cratere si distingue per l’avere una vasca ampia e profonda con larga
imboccatura, sostenuta da un alto piede. La sua funzione era la preparazione del vino, che andava mescolato con 3 parti di
acqua: ciò era fatto dagli uomini, dunque il cratere è usato per identificare una tomba maschile.
Allo scadere del VIII sec. le ceramiche attiche perdono quella precisione e quella
raffinatezza incarnata dalla bottega del Dipylon e divengono man mano meno
competitive sul mercato, soppiantate dal diffondersi della ceramica protocorinzia.

Le ceramiche sono testimonianze del modus vivendi della società che le ha


prodotte. Le comunità del periodo geometrico sono numericamente ridotte e gli
insediamenti sono sparsi. L’economia è di tipo perlopiù pastorale e la comunità è
governata da un capo della casata (governo di tipo monarchico).

La polis e gli spazi per gli Dei

Nell’ultimo periodo dell’età geometrica (IX secolo e lungo l’VIII) si manifesta un aumento della popolazione,
dovuto ad un’economia che ora ingloba maggiormente anche l’agricoltura: l’archeologia constata che gli
insediamenti aumentano e i corredi funerari sono più ricchi; inoltre aumentano gli oggetti importati, che
indicano l’aumento di contatti e commerci. Gli insediamenti vicini stabiliscono delle unioni e si dotano di
strutture politiche comuni; si passa da un governo di tipo monarchico ad uno di tipo aristocratico. Ciò
determina la nascita di una nuova realtà sociale e istituzionale, destinata a essere fondamentale nella storia
greca: la POLIS; questa eredita dai micenei l’idea di ACROPOLI, ora non più centro di potere del re, ma
centro politico e sacrale che vive in contatto con l’ASTU, la città abitata ai suoi piedi, e la CHORA, ovvero il
territorio che fornisce le risorse. La polis dell’XI-VIII è aristocratica di matrice oplitico-contadina, guidata
dagli ARISTOI, il cui potere deriva dal loro valore militare, cioè l’esercizio della forza e virtù (aretè): "civiltà
dell'onore e della vergogna".

Dal punto di vista archeologico questo passaggio si osserva in insediamenti dell’VIII-VII, dove vi è una
sostanziale uniformità tra le case: nessuna struttura spicca sulle altre. I vasi monumentali sono
rappresentazione delle élite aristocratiche, simbolo di ricchezza che si fonda sulle terre (modellino granaio),
sul bestiame, sui cavalli (es: esibizione dei cavalli sul cratere GT 990) e sulle armi. Momento comunitario
per eccellenza è il simposio: il bere insieme, riservato agli uomini, il cui simbolo è il cratere. Anche
importante è la relazione di ospitalità, basata sullo scambio di doni, che sigillano alleanze, amicizie e
solidarietà. Gli uomini praticavano l’agricoltura e l’allevamento, ma anche si avventuravano per mare
(Esiodo in Opere e Giorni da una testimonianza autobiografica, parlando dei viaggi del padre). I Greci
ebbero così contatti con i Fenici da cui appresero l’uso dell’alfabeto: la testimonianza è la Coppa di Nestore,
GT, seconda metà VIII, con un’iscrizione che inneggia ai piaceri del vino e dell’amore e allude all’eroe
omerico: vaso tardo-geometrico, prodotto a Rodi, ma esportato in Occidente, rinvenuto ad Ischia;
rappresenta uno dei più antichi documenti di scrittura alfabetica greca.

Lungo l’VIII secolo muta anche la concezione del sacro. Se in età geometrica la devozione era gestita dai re
locali nelle loro dimore, ora abbiamo la definizione e la monumentalizzazione dei luoghi sacri, dedicati
esclusivamente alla divinità venerata; anche questo fenomeno è legato alla definizione delle poleis, che
sono realtà politiche ma anche religiose. Es: Atene si estende attorno all’area consacrata alla dea Atena
sull’Acropoli. Oppure i territori vengono marcati con luoghi di culto extraurbani, es: Argo, Santuario
dedicato ad Hera. Alcuni santuari come Delfi e Olimpia diventano luoghi di culto super-regionali, ovvero
accolgono devoti da tutto il mondo greco e perciò sono definiti panellenici: in essi i Greci si riconoscono
come membri di un’unica grande comunità accomunata da un passato eroico. Presso il santuario di Olimpia
si svolgevano i celebri Giochi Olimpici: la data offertaci dalla tradizione fissa l’istituzione dei giochi nel 776
a.C.

• santuari urbani
• santuari extraurbani
• santuari panellenici

A partire dalla metà dell'VIII secolo, l'archeologia documenta resti più chiari di edifici e strutture sacre. Il
tempio costituiva la casa della divinità e comincia a distinguersi per dimensione, forma, ricchezza
compositiva. Probabilmente, questi tempi contenevano immagini delle divinità venerate (agalma). L'edificio
sacrale deriva probabilmente dalla planimetria del MEGARON miceneo (edificio rettangolare allungato con
terminazione ad abside) ----> questa era la sala micenea, all'interno di cui l'anax, il signore, si mostra e al
quale è possibile sacrificare doni. Forse, proprio per quest'importante funzione cultuale, il megaron appare
come l'edificio più adatto per recingere lo spazio della divinità.

• Santuario di Apollo Daphnephorion, Sito di Eretria, Eubea: santuario sacro ad Apollo: infatti il dio
era innamorato della ninfa Dafne, che per fuggirlo aveva chiesto aiuto alla madre terra la quale
trasforma la fanciulla in alloro. Fasi:
1. Prima metà VIII sec.: attraverso i dati di scavo sono state ricostruite delle abitazioni, di cui
spicca quella centrale: struttura di medie dimensioni, con pianta absidata. L’ingresso è
preceduto da 2 sostegni che forse sostenevano un portico antistante. Le pareti erano
rafforzate da pali lignei esterni e interni ed erano realizzate con mattoni crudi e con foglie
di alloro (sacro ad Apollo). La copertura è in canne, frasche e foglie ed è sostenuta da 3 pali
interni. Non sono state rinvenute tracce di ambito votivo e sacrificale. La presenza di
questa abitazione (forse di un membro eminente della comunità) ha indotto alcune ipotesi
sulla sua funzione non solo abitativa ma anche cultuale: solo residenza personaggio di
spicco? O forse anche sede di celebrazione di culti gestiti dal medesimo proprietario della
dimora? Non c’è risposta certa, ma una linea interpretativa diffusa appoggia la seconda
idea. Infatti, in seguito si svilupperà un santuario vero e proprio.
2. Seconda metà VIII sec.: edificio di forma molto allungata e absidata (in alto nella
planimetria del santuario) che oblitera l’edificio 1. Questo è sicuramente un edificio di culto
di forma grandiosa e sono stati rinvenuti resti di sacrifici, ceneri e oggetti votivi. Presenta
un ingresso con portico antistante sostenuto da pilastri. La lunghezza è di 100 piedi
(superiore a 30 metri) > un hekatompedon (questa misura assumerà un valore sacrale). Lo
zoccolo era in pietra non lavorata e ciottoli e sosteneva un alzato in materiale leggero. Pali
lignei lungo l’asse longitudinale per sostenere la copertura. Altare a est dell’edificio.
3. VII sec.: edificio rettangolare: continuità del culto.
4. VI sec.: il culto prosegue e viene eretto un tempio periptero di dimensioni maggiori e di
forma rettangolare.
Ricostruzione
Tempio
Daphnephorion
periptero
seconda metà
fine VII sec.
dell’VIII sec.

• Sito di Mazaraki (Patrasso): datato attorno alla seconda metà del secolo VIII a.C. Santuario con
edificio allungato e biabsidato: la forma absidata viene replicata anche sul lato di ingresso, presso
cui troviamo una serie di sostegni. Un’iscrizione ci indica che è dedicato ad Artemide, qui venerata
con un particolare epiteto: Aontia (che soffia), per il luogo molto ventoso (a circa 1300m di quota).
Il tempio è un edificio notevole: è un hekatompedon. Il perimetro era circondato da pali in legno
(colonne lignee), che sostenevano il tetto e creavano un passaggio protetto attorno all’edificio.
L’ingresso è a nord-est ed era segnato da pilastri (di cui rimane la base in pietra) disposti a
disegnare una linea semicircolare ad abside (= al lato opposto). L’interno era suddiviso con un muro
a sud-ovest che disegnava un ambiente più piccolo, forse contenente un’immagine di culto.
Medesimi materiali di questo periodo: pietre, argilla, legno.

Altra forma templare di più modeste dimensioni e più diffusa era il NAISKOS, una sorte di “tempio di
villaggio” in legno e argilla di cui abbiamo rinvenuto i modellini fittili usati come dono votivo in vari
santuari. Es: modellino dell’Heraion di Argo (modellino databile attorno a fine VIII secolo a.C.) o modello
fittile dal santuario di Perachora. I modellini sono fonti utili per ricostruire le forme di questi edifici:
ingresso segnato da un portico, tetto a spioventi molto inclinati, le loro decorazioni con motivi geometrici in
voga come triangoli, linee e meandri a vernice nera che vivacizzano la superficie.

Modello
dell’Heraion di
Argo.
In area anatolica, per il sec. VIII, troviamo soluzioni quali l’Artemision di Efeso e l’Heraion di Samo: entrambi
mostrano l’idea di un recinto monumentalizzato che abbraccia uno spazio nel quale deve avvenire la
teofania del dio, questo è rappresentato con una statua esposta sotto una struttura protettiva.
L’Artemision di Efeso: periptero di 8 x 4 colonne, con peristasi lignea, che avvolge un tabernacolo, a
protezione dell'immagine della divinità.
Santuario dell'Heraion, Samo. Edificio datato attorno alla prima metà del secolo VIII a.C. hekatompedon
rettangolare di mattoni crudi, con tetto sostenuto da una fila centrale di colonne in legno, posto sull'asse
maggiore; all'edificio si accede da lato est, con tre colonne tra le ante (tristilo in antis).

Ciò testimonia che fin dall’VIII, si iniziano ad affermare edifici destinati al culto di una divinità, anche di
dimensioni monumentali, segni premonitori della più grandiosa architettura: il tempio greco. Nello stesso
periodo si vanno definendo le famose aree santuariali quali Olimpia e Delfi.

La piccola plastica: tripodi e bronzetti per gli Dei

La storia della scultura greca iniziava tradizionalmente con la microplastica in bronzo, terracotta, avorio, del
secolo VIII a.C. Oggi, invece possiamo far risalire questa almeno fino al X secolo a.C, con il cervo fittile,
proveniente da una tomba protogeometrica di Atene e il centuaro di Lefkandi (h 36 cm ca).

Centauro Cervo fittile


fittile di del Dypylon
Lefakandi

Non esiste ancora plastica di grandi dimensioni, ma oggetti realizzati da artigiani dotati di grande perizia
tecnica. Nella prima metà del secolo VIII a.C., figura umana è molto più rigida, mentre nella seconda metà
del secolo VIII a.C., figura umana ha una resa via via più fluida.

Come gli uomini si avvicinano agli Dei? A questo proposito, si possono ricordare le processioni, le danze, i
sacrifici e i doni. Il dono votivo per eccellenza e preziosità è il tripode; in origine usato per bollire le carni,
diventa poi un oggetto monumentale privo di funzione pratica.
Es.: Tripode di Olimpia: costituito dai tre piedi, che permettono il suo appoggio su un piano, e da un bacino
emisferico, che deriva da un contenitore, usato per le carni, dotato di manici, solitamente circolari-ad
anello. I manici ad anello sono decorati con motivi geometrici e sono arricchiti da APPLIQUES, elementi
plastici in bronzo ----> come in questo caso il cavallino, posto alla sommità del tripoide.
Un esempio di figura umana da applicare al tripode (come si evince dalla linguetta
inferiore) è il bronzetto di Olimpia, circa metà dell’VIII, 15 cm circa; guerriero nudo,
con capigliatura a calotta, portava delle armi (ora perdute) come si nota dai fori nelle
mani. La costruzione della figura segue un procedimento additivo (secondo il modello
figurativo di epoca tardo-geometrica), che non conferisce grande fluidità e unità:
busto triangolare, arti superiori filiformi e portanti lancia e scudo, busto si accordo ai
glutei ed arti inferiori attraverso una specie di cintura. Le parti si raccordano in modo
artificioso le une alle altre. Robustezza degli arti inferiori: qualità decantata da Omero.
Figura geometrica compatta e rigorosa. Bronzetto di guerriero da Olimpia confronto
con Vaso del Dipylon con scena di esposizione: medesimi criteri di stilizzazione basata
sull’addizione delle parti. Queste figurine riproducono un’ampia gamma di ciò che si
pensava fosse gradito alla divinità e incarnavano i valori fondanti della società di età
geometrica (la guerra è prima tra tutti) e dunque degli offerenti dei doni.

Il vero status symbol della società


Abbiamo anche un bronzetto di aristocratica era il cavallo, che pochi
Auriga (Olimpia), di maggior potevano permettersi; Es.: Cavallino in
complessità formale. Anche una bronzo (Berlino): l’animale è
parte di carro è rappresentata. Il schematizzato e le parti sono assemblate
donatore si identificava (= figura umana); collo possente, corpo
nell’oggetto donato: questi filiforme e gambe possenti con evidenti
oggetti sono espressione della articolazioni, simbolo di forza e vigore.
società aristocratica e guerriera. Abbiamo numerosissimi ritrovamenti di
questo genere. Anche i buoi erano diffusi,
come allusione alla ricchezza di mandrie.
Guerriero, dall'acropoli di Atene: datato La tecnica era quella della fusione piena.
alla fine del secolo VIII a.C. Notiamo una
maggiore dinamicità ed espressività:
Statuetta femminile, del Dypilon: datata
guerriero con lancia nella dx sollevata e
seconda metà del secolo VIII a.C.
scudo nella sinistra. Raccordo tra le diverse
Complesso di almeno cinque statuette
parti più morbido, meno netto e meno
femminili nudi, con braccia distese lungo
rigido, solchi alludono all'articolazione delle
il corpo. Il motivo a meandro che decora
spalle e delle anche, e il volto non è
il copricapo depone a favore di una sua
rigidamente frontale, ma poco sollevato e
realizzazione presso la bottega del
voltato verso sinistra.
Dypilon ad Atene.
ETÀ ORIENTALIZZANTE

VII sec. a.C.: 700 - 620/600

Precedentemente, non esistevano contatti tra gente della Penisola Greca e quella del Vicino oriente.
Ultimi decenni VIII: aumento influenze dal mondo anatolico, fenicio ed egizio attraverso gli scambi
commerciali > con gli uomini viaggiano anche le idee, le tecniche, le mode, le parole… Es.: parole orientali
(tyrannos), uso dei profumi, strumenti musicali, calzature… Allo stile di vita orientale, lussuoso e più
elegante rimasero più legate le città di area ionica ed eolica, accusate dalla madrepatria di “effeminatezza”.
Ne abbiamo tracce nelle liriche di Saffo, Alceo e Mimnermo, Semonide e Ipponatte, dove si indossano mitre
di lidia o profumi come il brentheion dei capelli dell’amata di Saffo, Attis. Inoltre, l’accresciuto prestigio di
santuari Greci come Olimpia, Delfi e Delo attirava doni dei dinasti orientali, come testimonia Erodoto. Ci fu
anche un vero e proprio spostamento di maestranza orientali in Grecia, in fuga dalla pressione assira.

In ambito artistico si affermano decorazioni che vedono protagonisti animali fantastici e mostri (sirene,
grifoni, centauri, chimere, sfingi e gorgoni), decori floreali che affiancano o sostituiscono il repertorio
geometrico. Mentre le città di Corinto, le Isole Cicladi e Creta, collocate al centro di vie di scambio
commerciale, recepiscono in maniera profonda questo repertorio decorativo orientale, invece Atene
reagisce chiudendosi orgogliosamente nel linguaggio di età geometrica, almeno per la prima metà del
secolo VII a.C.

L'influsso orientale sull'arte greca si coglie molto bene nei manufatti in bronzo, terracotta, avorio, per cui è
talvolta anche difficile capire se siano stati importati dall'Oriente o realizzati in Grecia. Dall’Oriente i Greci
imparano nuove tecniche riguardo la lavorazione della pietra (si diffonde la statuaria in pietra).

Es: al tradizionale tripode bronzeo di età geometrica si va a sostituire un nuovo tipo di


offerta, un calderone bronzeo (Olimpia) sostenuto da un piede conico di ascendenza siriaca
e con la vasca decorata da elementi alla moda, dei protomi (teste) di animali mostruosi
(grifi) di chiara derivazione orientale. Sono presenti anche altri esseri, delle sirene (essere
con corpo umano superiormente e inferiormente con corpo di uccello). No funzione pratica,
ma offerta votiva.

Lamina di bronzo, dall'heraion di Argo: datata attorno alla metà del secolo VII a.C. Placca di grandi
dimensioni (46 cm), che forse costituiva appliques di un manufatto in legno. Vengono raffigurate due
donne (forse Clitennestra che trafigge Cassandra). L'abbigliamento e l'acconciatura richiamano la Dama di
Auxerre e la Kore di Nikandre. Immagine p. 59.

Figura inginocchiata in avorio, da Samo: figura maschile inginocchiata in avorio, forse elemento decorativo
di una lira. Figura maschile nuda, con alta cintura alla vita (cfr. kouroi cicladici). Immagine p. 59.

Collana d'oro, da Camiro, isola di Rodi: da Camiro, Rodi, provengono suppellettili in argenti e gioielli
elaborati, come collana d'oro della seconda metà del secolo VII a.C, rappresentante Potnia theròn,
immagine p. 59.

Dalla metà del VII si assiste alla produzione di sculture di dimensioni maggiori (reali o anche più grandi) e
anche di materiali diversi (compresa la pietra).

Santuario di Apollo a Tebe, bronzetto di Apollo dedicato da Mantiklos, fine VIII inizio VII, circa 20 cm, a
fusione piena. Anticipa le novità della scultura a partire dal VII secolo a.C. Statua parlante: iscrizione nella
parte inferiore con parole di dedica al dio da parte dell’offerente, Manticlo, che chiede al dio una buona
sorte. “Manticlo mi dedicò come decima al (dio) lungisaettante dall’arco d’argento e tu, o Febo, concedi per
ricompensa una buona sorte” Rapporto tra fedele e dio instaurato tramite il dono, in questo caso
raffigurante il dio. Questo doveva avere anche arco a sx e frecce a dx.

La figura è ancora di piccole dimensioni (20 cm), realizzato nella tecnica del bronzo pieno fuso. La figura è
caratterizzata da una certa staticità e appare chiaramente costruita su un asse verticale, addirittura
materializzato sulla figura stessa, e attorno a questo asse, si costruiscono per simmetria le diverse parti
della figura, ancora concepite come suddivise una dall'altra. Schematizzazione ancora di stampo
geometrico (cfr busto in particolare). Novità: maggiore sensibilità per la plasticità della figura ----> parti del
corpo compongono un volume solido e potente (vedi pettorali, vedi glutei); figura viene arricchita dalla
caratterizzazione del volto e dalla particolarità della capigliatura.
Scultura dedalica

La nascita della scultura monumentale a tutto tondo è attribuita dalle fonti ad una figura leggendaria, che
incarna il “prototipo dell’artista”: Dedalo. Questo è presentato dagli antichi come un artista multiforme:
architetto, scultore, di grande ingegno e di varia applicazione. Dopo secoli di ricerche filologiche, si è
arrivati alla constatazione che Dedalo di Creta sia una figura leggendaria, mai esistita storicamente, ma
indice dell'importanza assunta dallo scultore e dalla scultura a partire dall'età orientalizzante. Egli viene
ricordato nell'Iliade da Omero come colui che fa creazioni per Arianna, figlia di Minosse e la tradizione
letteraria descrive Dedalo come architetto famoso ed affermato, ideatore del progetto del labirinto per il
sovrano di Creta; scultore di statue di grandi dimensioni in legno, materiali preziosi, ma anche in pietra, che
avevano una straordinaria vividezza nello sguardo e capacità di suggerire il movimento, per cui affinché non
scampassero era necessario legarle a terra; inventore della sega, ascia, piombo, trapano, e di invenzioni
straordinarie (come le ali artificiali che gli avevano permesso di fuggire dal labirinto del regno di Minosse,
insieme al figlio Icaro). Perciò la scultura monumentale di età orientalizzante è spesso definita dedalica. Le
fonti attribuiscono a Dedalo 2 tipi di statue:

• Xoana: statue di culto di vari materiali, perlopiù legno. Abbiamo alcuni rinvenimenti eccezionali
(poiché è raro che il legno si conservi); statuetta in legno da Samo (p. 48) (Santuario di Hera) che
riproduce una divinità, come capiamo dal copricapo (polos: sorta di corona che cingeva il capo di
divinità orientali e anatoliche e che i Greci adottano). 3 statuette da Palma di Montechiaro

(Siracusa), anche queste hanno il polos dunque sono divinità.

• Sphyrèlata: statue votive ottenute martellando e inchiodando una lamina di bronzo su un nucleo in
legno; tecnica di origine orientale. Questa tecnica consente di costruire statue di dimensioni
maggiori rispetto ai bronzetti a fusione piena, perché si risparmia grande quantità di bronzo. Si
sviluppa principalmente a Creta e sulle Isole Cicladi. Quindi, nonostante la veridicità o meno della
realtà storica di Dedalo, proprio da Creta provengono i più interessanti esempi di statue del VII
secolo a.C. Sphyrelata in bronzo da Dreros (Creta), inizio VII, (Museo di Heraklion), dal tempio
dedicato ad Apollo, oikos quadrangolare. Rappresentano una TRIADE DIVINA: divinità maschile, che
riconosciamo come Apollo, perché con ogni probabilità le braccia reggevano l'arco e le freccia,
attributi caratteristici di questa divinità, e accanto due divinità femminili (connotate dal copricapo,
pelos, come divinità), la madre Latona e la sorella Artemide. Queste statuette sono molto
importanti perché non sono offerte votive, ma sono tra le prime immagini di culto, raffiguranti
divinità venerate in questo piccolo sacello a Dreros. Lamina in bronzo martellata su anima in legno.
Il dio Apollo è di circa 80 cm ed è frontale. Le 2 donne sono di circa 40 cm, posizione frontale,
evidente rigidità, abiti aderenti e lunghi, mantellina sulle spalle. le statuette sono ancora
caratterizzate dalla staticità, propria delle opere di età geometrica (soprattutto le due figure
femminili), ma notiamo che i volumi sono più consistenti e la rotondità è più marcata, non solo
nella parte inferiore, ma anche nel busto, nel volto.
Scultura in pietra

Intorno alla metà del VII secolo, nel segmento centrale del periodo orientalizzante, si afferma la scultura in
pietra di grandi dimensioni, soprattutto a Creta, realizzate nel calcare locale. Es: Dama di Auxerre, da Creta:
una delle più riuscite manifestazioni dello stile dedalico. Prima statua in pietra di dimensioni considerevoli
(circa 70 cm). Il nome deriva dal fatto che fu rinvenuta a inizio 900 nei depositi di un piccolo museo ad
Auxerre in Borgogna; M. Collignon, che la scoprì, la fece portare al Louvre. La pietra calcarea e lo stile la
riconducono a Creta; è datata nella prima metà del VII. La Dama riproduce in forma ideale un’offerente
devota ad una divinità, il gesto di devozione è riconoscibile nel braccio portato al petto. Caratteristiche
dedaliche: volumi fortemente plastici raccordati tra loro in modo piuttosto rigido (busto raccordato tramite
una stretta cintura, mantellina che raccorda testa a busto). Materiale: pietra, materiale durevole. Figura
appare statica, con una dichiarata visibilità frontale. Dobbiamo immaginare come una decorazione
policroma si estendesse su tutta la superficie --- > infatti, oggi noi vediamo queste statue, nel colore
sbiadito del calcare e nel colore più candido del marmo, ma il loro aspetto originario era ben diverso, in
quanto erano completamente decorate: il colore è scomparso, ma ne rimangono dei resti, infatti le indagini
in laboratorio consentono a volte di individuare l'originaria policromia. Nella parte inferiore si notano le
incisioni che definiscono dei campi geometrici affiancati: sono i contorni di una decorazione che si
completava con il colore. Presenta una capigliatura così massiccia, che non esitiamo a riconoscere come
parrucca ----> questa parrucca ci riconduce a quel tipo di acconciatura, molto di moda nelle regioni del
Mediterraneo, come l'Egitto, la Fenicia. Acconciatura, caratterizzata da grosse e pesanti trecce e da una
frangia costituita da una serie di riccioli che si dispongono elegantemente sulla fronte ---> si riconosce un
forte gusto per la simmetria, nel modo in cui sono disposte le trecce ai due lati del volto, uguali da una
parte e dall'altra (il gusto per simmetria caratterizzava già lo stile geometrico, e continua con il nuovo stile
orientalizzante). Forma del volto appuntita verso il basso, con mento ben pronunciato, gote lisce, naso
allungato, occhi ben evidenziati, di notevoli dimensioni, che hanno come apparenza di occhio sbarrato,
ipnotico e bocca con angoli stirati verso l'alto: caratteristiche dello stile orientalizzante, ed in particolare di
quello dedalico cretese. Notiamo nelle opere di scultura di questo periodo, e anche nelle opere di periodo
arcaico l'espediente tecnico di portare verso l'alto le estremità della bocca: questo perché lo scultore
lavorava per piani, raccordati man mano gli uni agli altri, ma per non penalizzare la visione laterale e per
fare percepire la figura anche di 3/4, stira verso l'alto le estremità della bocca ---> prende il nome di
"SORRISO ARCAICO", che però sorriso non è: è un espediente tecnico.

Altre opere calcaree cretesi conservano le tracce di


colore. Es: Statua femminile da Gortina: nudo
femminile, di modello orientale, poiché nella Grecia
arcaica era raro (Museo di Heraklion).
Sculture del tempio A di Priniàs, Creta, (Museo di Heraklion); il tempio era decorato da fregi e da queste
sculture a tutto tondo. Fregi: ne permangono delle lastre con sequenza di cavalieri, le figure sono stilizzate,
ma c’è un interessante nuovo senso del volume e del movimento in questo periodo. Fregio dell’architrave
(che coronava la porta d’ingresso): teoria di felini e cervi di chiaro gusto orientale. Statue: collocate sopra
l’architrave. 2 divinità femminili, tra le quali era forse presente un’apertura per illuminare l’edificio sacro.
Dimensioni di poco inferiori al vero. Erano assise. Identiche l’una all’altra. Sono sculture architettoniche,
applicate ad un edificio. Probabilmente, al di sotto delle dee, era inserito orizzontalmente il fregio di teorie
di animali. Riconosciamo le cifre stilistiche del dedalico a Creta: frontalità, possenti volumi assemblati tra
loro, orecchie persino spostate in avanti per conferire centralità, viso triangolare, occhi grandi, pesanti
trecce simmetriche sulle spalle. Polos sulla testa > divinità. Decori sull’abito (= Dama) lasciano intuire la
presenza del colore.

Isole Cicladi, seconda metà VII sec.: alcune isole possiedono cave di marmo pregiato (Es: Naxos > marmo
con grana grossa, ma aspetto e lavorabilità eccellente, e Paros > tessitura più fine e aspetto brillante che
genera opere splendidamente levigate). L’influenza egizia (i Greci erano mercanti e mercenari in Egitto) è
evidente nella statuaria a tutto tondo. Es.: Isola di Delo, dal famoso santuario di Apollo, Kore di Nikandre
(Museo arch, Atene), realizzata in marmo di Naxos. Metà del secolo VII a.C; dimensioni di circa 2 metri.
Prima kore in marmo giunta fino a noi. Attraverso un'iscrizione, sappiamo che la fanciulla si chiamava
Nikandre ---> questa è infatti una statua parlante, con una dedica alla dea Artemide, probabilmente dopo il
matrimonio di Nikandre, in occasione del passaggio dall'età dell'adolescenza a quella della maturità; questa
fanciulla si qualifica come "figlia, sorella e sposa" e leggiamo i nomi delle tre figure maschili più importanti
della sua vita "padre, fratello, sposo" (probabilmente esponenti dell'alta società di Naxos). "Nikandre mi
dedicò alla (dea), che colpisce da lontano e gode delle frecce, la figlia di Deinodike il Nassio, eccellente tra le
altre (sorella di Deinomedes, e ora moglie di Phraxos)". Esprime in modo chiaro le cifre stilistiche di questo
periodo, ma anche differenze rispetto al dedalico cretese: i volumi sono relativamente deboli soprattutto se
visti di profilo, il peplo, cinto alla vita, è piuttosto piatto e fatto per essere visto frontalmente. Braccia stese
verticalmente ai lati del corpo. Capigliatura tipica: trecce che scendono sulle spalle. Cattiva conservazione
su viso e parte superiore della testa. Va ricordato che la kore è ideale: non è una statua ritratto di Nikandre,
ma riproduce un’immagine di giovane donna.
Kore di Thera, da Sellada. Kore simile, ma meglio
conservata, forse mai portata a termine. Kore di
notevoli dimensioni (2,30 m), raffigura fanciulla con
braccio sinistro lungo il fianco, mano destra piegata
al petto.

Testimonianze dello stile dedalico provengono anche dall'area del Peloponneso. Rilievo con busto
femminile da Micene (630 a. C.): stile orientalizzante-dedalico, raffigurazione di giovane non a tutto tondo,
ma a rilievo, volto caratterizzato da grandi occhi e forti sopracciglia, bocca larga, narici dilate, pesante
parrucca a ripiani orizzontali, coronata sulla fronte da diadema a rosette, sempre di ascendenza egiziana-
vicino orientale (cfr. diversa dalla Dama di Auxerre). Testa di Hera, dall'Heraion di Olimpia: inizio del secolo
VI a.C. forse rappresenta testa della dea Era, seduta accanto a uno Zeus stante, come descriverà poi
Pausania.

Rilievo con busto


Testa di
femminile
Hera

Figure maschili: pochi reperti, non documentati a Creta. Es.: Bronzetto di kouros (giovane) da
Delfi, Santuario di Apollo Piccole dimensioni. Figura maschile in nudità, fatta eccezione per l'alta
cintura, che accorda il busto alla parte inferiore, gamba sinistra in avanti. Sensibilità per i
volumi: pettorali, cosce, glutei, polpacci. Senso del movimento leggermente più accentuato
grazie alle braccia un po’ spostate in avanti e soprattutto dal leggero avanzamento della gamba
sx (movimento percepito esclusivamente in questa parte del corpo). Tipico volto triangolare,
parrucca a fasce orizzontali che incornicia il volto, tratti del volto simmetrici, cintura in vita che
accomuna figure femminili e maschili. Quello che ci permette la datazione è soprattutto la
capigliatura, con parrucca a più strati e il volto: VII sec.

Nel corso dell'età orientalizzante, in particolare nella seconda metà del VII secolo, nasce la scultura
monumentale in materiale durevole, e si affermano tipi statuari, destinati ad avere una fortuna duratura
nel corso dei secoli, ovvero il tipo della figura maschile e figura femminile giovanili, in posizione stante: il
kouros e la kore.
Es.: Delo, Frammento del Colosso dei Nassii: datata tra fine del VII e inizio del VI
secolo; la statua era addossata alla parete nord dell’Oikos dei Nassii (il più antico
dei templi di Apollo a Delos). Statua colossale maschile, riproducente il dio Apollo
(rimane solo il busto), marmo, dimensioni 4 volte superiori al vero. Pochi
frammenti rimangono di questa statua, tra cui spicca il busto insieme ad alcuni
brandelli della parte inferiore del corpo e della testa ---> statua doveva essere
ancora ben conservata nel 1400, quando Ciriaco d'Ancona visita il sito e propone
un disegno di questa statua colossale ---> dalla restituzione grafica, capiamo
come doveva apparire all'interno del santuario e lo rappresenta con lunghe
trecce sparse sul petto (non più parrucca) e arco e frecce. Notiamo come la
plastica greca si avvia a realizzazioni di grandissimo impatto visivo e fa sempre
maggior uso della pietra, assumendo competenze sempre migliori (uso della
pietra in forma di blocco, che va lavorato).
Alcuni kouroi sono lasciati incompleti nelle antiche cave di Nasso (es: Kouros di Melanes).

LA CERAMICA ORIENTALIZZANTE

Lungo il VII aumenta l’intensità degli scambi con l’oriente; dunque, si arricchisce il repertorio iconografico,
di cui abbiamo traccia sulla pittura vascolare: va esaurendosi la decorazione geometrica, e si affermano
motivi vegetali e animali, spesso fantastici. Due centri:

• Corinto: ricchissima, poiché ha il controllo sui traffici commerciali e impone dazi (Tucidide)
• Atene

Corinto e la ceramica protocorinzia

Nel VII secolo è un grande centro di produzione ed esportazione di ceramiche, che si classificano come
ceramiche protocorinzie, e hanno modelli orientali. Ceramica decisamente innovativa, e meno legata alla
tradizione geometrica. Plinio sostiene che il tornio ceramico sia stato inventato qui. Periodi distinti in base a
morfologia e stilizzazione dei vasi:

1. Stile protocorinzio antico (PCA): 720-690


2. Stile protocorinzio medio (PCM): 690-650
3. Stile protocorinzio tardo (PCT): 650-630

Tipico della produzione corinzia è L’ARÝBALLOS: un piccolo vaso destinato a contenere olii profumati.
Morfologicamente c’è un’evoluzione evidente: i più antichi hanno una forma globulare (inizi VII), poi corpo
conico ovoidale (prima metà VII), infine piriformi, ovvero allungati (metà VII).

Per la datazione della ceramica protocorinzia si fa riferimento alla fondazione di alcune città greche in
Sicilia. Le date di fondazione sono fornite da Tucidide nella sua Archeologia; gli aryballoi globulari sono stati
rinvenuti a Siracusa e dunque si collocano nella data di fondazione della città secondo Tucidide: il 734 a.C;
Gli aryballoi più recenti fanno riferimento ai livelli più antichi della città di Gela la cui fondazione è datata
nel 689 a.C. Esempi:

- Aryballos protocorinzio da Cuma, 6 cm, Napoli M. arch. Stile protocorinzio antico. Prima fase di
produzione, forma globulare e piccole dimensioni. Decorazioni tipiche di questa fase: i motivi geometrici
sono molto ridotti e si sono spostati nella parte superiore (triangoli a reticolo) e inferiore (linee parallele).
Nella parte di max espansione abbiamo figure animali reali (uccelli) e fantastici (grifone). Tra questi si
dispone una serie di motivi geometrici, ormai di valore secondario, usati solo come elementi separatori
(meandri, reticoli). Abbiamo poi delle rosette in vernice nera. Impulso decorativo, non narrativo.

-Aryballos protocorinzio (PCM) da Tebe, 6,8 cm, Boston. Vero salto qualitativo dal punto di vista tecnico e
delle scelte decorative (figure meglio connotate e allusioni a miti antichi) nel protocorinzio medio. La forma
si è fatta più snella, conica, ovoidale, quindi più slanciata; l’altezza invece è sempre ridotta e dunque
richiede una decorazione miniaturistica distribuita su più registri e molto particolareggiata. Motivi
decorativi su bocca e ansa. Sulla spalla palmette e fiori di loto. Sul ventre (max espansione) abbiamo una
complessa ed efficace scena figurata dal repertorio mitologico: Bellerofonte a cavallo del puledro Pegaso
(incontrato dall’eroe presso Corinto) che affronta la chimera dal corpo leonino con protome di capra sul
dorso e coda di serpente. Il fiato del mostro è infuocato. Ai lati della scena abbiamo 2 sfingi che fanno da
cornice e sono di evidente tendenza orientale. Di fronte a queste abbiamo 2 alberi stilizzati. Sul fondo
abbiamo una serie di motivi (rosette, volute, motivi a tremulo) arricchiscono la scena. Tra i due contendenti
c’è anche un piccolo dettaglio: una piccola lucertola. Tecnica di esecuzione: figure a silhouette > contorno
riempito di vernice nera; ma in più notiamo come i dettagli delle figure ed i contorni di alcuni elementi
siano resi tramite un’incisione eseguita con uno strumento appuntito: linea graffita. Rispetto all’aryballos
precedente (PCA) questa tecnica dà alle figure una maggiore nitidezza. Nella fascia inferiore abbiamo una
scena tipica: caccia > serie di cani che si avventano su una lepre: piccole dimensioni ma notevole efficacia e
vivacità. Triangoli in prossimità del piede.

-Kotýle protocorinzia (PCM) da Egina (Museo di Egina), del Pittore di Bellerofonte, 14 cm, Museo di Egina.
Medesima scena mitologica. La kotyle è una coppa profonda usata per bere. Decoro organizzato in campi
separati da fasce di linee verticali e contenenti motivi geometrici e vegetali. La scena di lotta è più vivace
dell’aryballos di Tebe: vengono infatti eliminati i riempitivi sul fondale, così da evidenziare le figure. La
mano del pittore definisce perfettamente i contorni e le linee incise creano precisi particolari. Le figure
mostrano una volontà narrativa che si esprime nella resa vivace del movimento.

-Olpe Chigi (PCT), Roma, Museo etrusco di Villa Giulia. Siamo nella fase tarda di produzione. L’olpe è una
brocca (vaso per versare liquidi, specialmente il vino). Il nome Chigi deriva dal fatto che a fine ‘800 fu
rinvenuto nella proprietà del principe Mario Chigi. L’opera proviene dall’Etruria del sud, nei pressi di Veio e
fu rinvenuta in un grande tumulo: fu dunque esportato dall’oriente all’Etruria, forse per un principe.
Celebre per ricchezza decorativa. Il vaso è alto 26 cm ---> notiamo come il decoratore, abituato a lavorare
su piccole dimensioni, non abbia creato un’unica scena figurata, ma abbia suddiviso la scena raffigurata in
tanti piccoli registri, in cui ha ritratto diverse scene figurate tratte dal mito. Nella parte alta la scena
presenta la vestizione delle armi da parte di 2 guerrieri, ma non definita a causa di una vasta lacuna. Segue
la raffigurazione di due schiere di opliti che si affrontano guidati dal suono del doppio flauto di un auleta.
Scena eseguita in modo notevole: le figure sono sapientemente definite dal contorno tramite l’incisione.
Uso di colori diversi: rosso e bruno > vivacità. Composizione meditata: i guerrieri sono sovrapposti >
profondità. Attenti sono i particolari: corazze, schinieri e scudi, i quali sono finemente decorati con motivi
quali volto di gòrgone, volatili, animali feroci. Le figure appaiono in modo schematico: volti e arti di profilo,
ma busto e occhi di prospetto. Nella zona di maggior espansione abbiamo la scena più complessa e ricca: 4
efebi a cavallo che tengono le briglie di un secondo cavallo e avanzano verso dx. Sono preceduti da un
auriga che guida il carro. Seguono una sfinge ed una complessa raffigurazione di 5 giovani durante una
caccia al leone: 4 si avventano colpendo la fiera, un quinto è stato azzannato ed è a terra > grande
movimento e vivacità resa con la sovrapposizione delle figure. Infine, una scena lacunosa riconducibile al
giudizio di Paride: un’iscrizione permette di riconoscere le 3 divinità (Era, Atena e Afrodite) che si
sottopongono al giudizio. Composizione anche qui molto meditata con figure sovrapposte. Figure di
profilo/prospetto a seconda delle parti del corpo. Linee a pennello o a incisione. Più in basso abbiamo un
ultimo pannello decorativo di dimensioni minori: scena tipica della caccia alla lepre e alla volpe con dei
giovani e i loro cani > molto vivace > i cani sono agili e nervosi.
C’è un programma figurativo portatore di un messaggio coerente o le scene sono casuali? Abbiamo
numerose ipotesi; la più convincente (Torelli): scene con riferimenti ai valori aristocratici della Corinto del
VII sec. Tra questi sicuramente l’aretè (virtù), che si esplicita nel coraggio dei giovani nella caccia, nel
coraggio in battaglia. Il giudizio di Paride esprime l’aspirazione del giovane ad un buon matrimonio per
consentire la continuità della casata ed il mito esprime un ammonimento, poiché le nozze di Paride con
Elena sono nozze sbagliate dalle conseguenze devastanti, la guerra di Troia, forse rappresentata dalla teoria
oplitica (ammonimento).

-Aryballos Macmillan, Londra: esempio di una produzione tipica > vasi con la parte superiore
rappresentante volti di fiere. Aryballos noto per la perizia tecnica nel rendere le forme. La parte superiore
del vaso vede un leone con le fauci spalancate.

-Aryballos a testa femminile, Louvre: la parte superiore è a forma di volto femminile, con aspetti simili alla
Dama di Auxerre (stile dedalico/orientalizzante), ciò ha permesso la datazione della Dama: volto di forma
triangolare, capigliatura con pesante effetto a parrucca. Capigliatura disposta a ripiani. Confronto con
Bronzetto di Delfi (capigliatura a pesanti fasce orizzontali). Queste opere (come anche l’unguentario a
forma di civetta) mostrano l’abilità di ceramisti e pittori corinzi.

-Aryballos del Louvre: unguentario plastico a forma di civetta.

Ceramica protoattica

Atene è inizialmente restia di fronte alle novità orientali. Ultimo esempio di produzione di ambito ancora
geometrico: Anfora attica (GT), fine VIII, Atene M. arch. Rispetto alle opere di piena età geometrica,
abbiamo qui delle novità: si perde la nitidezza dei profili, poiché su orlo e spalla vengono applicati degli
elementi plastici (qui serpenti sull’orlo). Motivi quali reticoli, linee, meandri, ma qui c’è una minor
precisione nella definizione e nella disposizione dei motivi geometrici rispetto alle opere del maestro del
Dipylon; ad esempio, sul collo abbiamo dei meandri meno definiti: le linee sono tracciate in modo più
approssimativo. Nella scena sul ventre il segno è più rapido e rivela alcune imprecisioni; le figure sono
meno precise. La scena vede un corteo di carri (in alto) e una teoria di guerrieri con scudi e lancia. Horror
vacui: imprecisi motivi decorativi sul fondo.

• Stile protoattico antico (PAA): 710-680, ancora un pò legato ai motivi geometrici


• Stile protoattico medio (PAM): 680-630, vengono recepiti gli spunti orientaleggianti e rielaborati
• Stile protoattico tardo (PAT): 630-600. Questa fase segna la svolta in senso qualitativo della
produzione di Atene e la sua affermazione sui mercati. I pittori guardano molto alla produzione
ceramica corinzia, dal punto di vista tecnico; inoltre, le fonti letterarie documentano che Solone, a
inizio VI secolo, incoraggia immigrazione di artigiani provenienti da altre località ad Atene:
probabilmente potrebbero essere giunti vasai e pittori corinzi ad Atene.
A differenza della ceramica protocorinzia, la ceramica protoattica antica e media non conosce ampia
distribuzione commerciale, infatti queste ceramiche provengono da Atene o da località molto vicine ad
Atene ---> questo è sintomo di una crisi politica, sociale, commerciale ----> molti artigiani emigrano nelle
colonie (cfr. Pittore della Schaccheria, attivo a partire dal 680 a.C. a Metaponto, a cui si attribuisce il Deinos
con Bellerofonte e la Chimera). Atene pare però riprendersi a partire dalle ceramiche protoattiche tarde
(630-600 a.C.).

Es: Anfora del Pittore di Analatos (PAA) da Atene, Louvre. Molto vicina all'Anfora 804
del periodo tardo-geometrico. Permane la decorazione geometrica. Ma sono aggiunti
elementi plastici sul collo. Le anse sono arricchite con decorazione a traforo.
Decorazione su tutta la superficie: scene figurative nei punti di max visibilità. -In alto
(sotto l’orlo plastico): fregio di carattere orientaleggiante > sfingi in teoria. Il fondo è
sempre decorato: zig-zag, rombi, piccole rosette. -Centro del collo: scena di danza con
giovinette e giovinetti. Le figure (in particolare quelle maschili) sono rese a silhouette
(confronto anfora del maestro del Dipylon). Le donne hanno corpo più volumetrico,
con vesti chiare con decori puntiformi. I volti sono resi con un contorno e con i
particolari realizzati a pennello e sono di profilo. -Ventre: teoria di guerrieri su carri
trainato da 2 cavalli. Arricchimento: i cavalli non sono resi a silhouette, ma hanno dei
dettagli realizzati con l’ausilio della punta metallica > il pittore ha recepito la tecnica di
Corinto.

Anfora del Pittore di Polifemo (PAM) da Eleusi (nei pressi di Atene). Nel protoattico
medio la decorazione si fa ampia e copre grandi superfici. L’anfora ha su collo e ventre
un’unica grandiosa decorazione. Anfora monumentale (1,40 m). L’anfora era il
sepolcro di un bambino. La scena del collo racconta dell’accecamento di Polifemo da
parte di Odìsseo e i suoi compagni; a dx Polifemo seduto di profilo mentre regge con
la mano dx la coppa con il vino che lo ha addormentato. Con la sx cerca di fermare il
colpo. Odìsseo ed i suoi si avventano su di lui con il palo rovente. Va notato che le
grandi dimensioni del ciclope sono risolte dal pittore rappresentando il gigante
seduto, mentre gli eroi sono in piedi. Differenza tra Odìsseo e i compagni, esaltata dal
pittura: i compagni sono resi a silhouette, mentre Odìsseo è reso con un contorno
modulato a pennello ma non è riempito di vernice nera > acquista visibilità. Motivi sul
fondo, alcuni geometrici altri orientaleggianti. Spalla: lotta tra due fiere. Ventre: scena
mitica nello stile detto “bianco e nero” > decapitazione di Medusa da parte di Pèrseo
Dell’eroe, reso a silhouette, rimangono solo le gambe. L’eroe è in fuga, dopo aver
decapitato Medusa. Accanto a lui c’è la sua protettrice (Atena) che sembra bloccare
le 2 sorelle di Medusa (Gòrgoni) che inseguono l’eroe: queste sono rese in modo
ingenuo, prive di un’iconografia definita. Il corpo e reso da spesse linee di contorno.
Gli arti inferiori sono in corsa, resi di profilo. Il busto è di prospetto. I volti sono
interessanti: il pittore si ispira a modelli orientali per rendere i volti incorniciati dai
serpenti > ricordano le applique dei calderoni orientalizzanti. Medusa è stesa a terra,
priva della testa e poggia su elementi floreali di derivazione orientale. Utilizzo di
tecnica, detta "a stile bianco e nero", per forte utilizzo del colore bianco sulla
superficie del vaso.
Anfora del Pittore di Nesso (PAT), Atene. Anfora monumentale (circa 1,20 m).
Tecnica a figure nere. 2 scene di grandi dimensioni: una sul collo (che dà il nome al
pittore) e una sul ventre: 1. Eracle uccide il centauro Nesso; l’eroe per attraversare
il fiume Acheloo aveva affidato la moglie Deianira al centauro, che però aveva
tentato di farle violenza. Nesso ha oltrepassato i limiti per la convivenza civile e va
punito. Scena del combattimento: Eracle si avventa sul centauro, lo immobilizza
con la gamba e lo trafigge, sebbene questo stia chiedendo pietà (mano portata al
mento dell’eroe). Scena con vigore espressivo. Tecnica elaborata dalle botteghe di
Corinto (particolari in punta metallica). Iscrizioni che identificano i personaggi e
funzionano anche da motivi decorativi, insieme a rosette e piccole spirali. 2. Scena
monumentale: decapitazione di Medusa. Questa è a sx ormai decollata. A dx
abbiamo le gòrgoni in corsa, con ormai l’iconografia definita, che sarà quella
canonica, chiamata “corsa inginocchiata”: la corsa è resa con una gamba piegata e
il ginocchio dell’altra posato a terra. Dettagli ben definiti. Valore dato al mito:
esaltazione di due eroi positivi (Eracle e Pèrseo) che vincono delle figure mostruose
che vanno a infrangere i limiti della convivenza civile. Spalla: fregio di loti e
palmette di derivazione corinzia e rosette di derivazione protocorinzia. Dal punto di
vista tecnico, egli guarda alla produzione corinzia, ma dal punto di vista tematico,
se ne allontana, ed è alla ricerca di novità, infatti non realizza una rappresentazione
su registri sovrapposti.

Nel corso dell’età orientalizzante (VII sec.) si afferma l’uso del mito, da accostare anche alla nascita dei
poemi epici (tra VIII e VII). Perché i miti diventano tanto importanti lungo il VII? Questi sono utili per una
forte coesione del mondo greco e dunque per la costruzione della polis. Questo senso di comunanza trova
fondamento in un passato comune, che è un passato mitico. L’apertura agli scambi estende i confini
geografici, dunque vengono delineati dei confini ideali: quelli della polis, ma anche quelli della stessa
“grecità”, entrambi tracciati sul possesso di un comune patrimonio di miti. Tra fine VIII e soprattutto nel VII
acquistano importanza i miti che narrano di eroi che fermano delle minacce esterne, rappresentate da
creature mostruose, che non si pongono nell’ordine delle cose (le leggi) viste come elementi ordinatori
della società. I trionfatori sono eroi positivi, greci > esaltazione della comunità ordinata del mondo greco. I
miti sono modelli autorevoli in quanto parte del passato, al quale il presente si può allacciare. La società si
riconosce nel mito e riconosce dei valori condivisi.

Architettura di eta' orientalizzante

Petrificazione /litizzazione: percorso di pietrificazione dell'edificio classico ----> ci permette di capire come
l'architettura del VII secolo è interessata a sostituire progressivamente l'uso di materiali meno nobili con
l'UTILIZZO DELLA PIETRA, alla realizzazione dell'edificio completamente in pietra.

Fino all'età geometrica e buona parte del VII secolo, i materiali utilizzati per edilizia sono molto semplici
(legno, pietra non lavorata, ciottoli, frasche, argilla per le coperture), ma il desiderio di dare durevolezza e
conferire un aspetto prestigioso alla casa della divinità, porta via via all'adozione di materiali più pregevoli e
più durativi. Da questo momento, si usano blocchi di pietra, di dimensione regolare, ben squadrati e
lavorati. Per dare maggiore durevolezza agli edifici, nel corso del VII secolo, viene riscoperta la TEGOLA ---->
"riscoperta" perché la tegola era già nota all'architettura micenea, ma con la scomparsa dell'economia di
palazzo, anche le competenze tecniche che ci volevano per realizzare le tegole vengono meno: tegola
realizzata con argilla, poi cotta in fornace. La tegola ha però un peso, quindi è necessaria un'orditura lignea
solida: la strutture muraria deve essere solida. Un tetto di tegole non può avere un'inclinazione ripida,
perché altrimenti le tegole scivolerebbero verso il basso: questo fattore comporta l'aumento dimensioni
dell'edificio.
Quindi una serie di fattori determina una serie di ricerche, che tra il VII e VI secolo, porteranno alla
realizzazione di quella tipologia architettonica, che noi chiamiamo "tempio".

Il nucleo più significativo dell'edificio templare, dal punto di vista culturale, perché qui trova posto
l'immagine della divinità, è il NAOS (la cella): corpo di fabbrica rettangolare. Il naos è preceduto da
ambiente, che si chiama PRONAO, sorta di anticamera, e simmetricamente sul lato opposto al pronao, si
colloca l'l'OPISTODOMO, in cui spesso trovano posto gli ex-voto (oggetti preziosi portati dai fedeli alla
divinità). I quattro lati di colonne che circondano il naos costituiscono la PERISTASI.

ARCHITETTURA NEL PELOPONNESO

Heraion di Argo: datato agli inizi del secolo VII a.C. Stando a Vitruvio, rappresenta il più antico dei tempi
peloponnesiaci con peristasi. In realtà, la città di Argo non ha restituito testimonianze particolarmente
eloquenti per gli inizi del secolo VII a.C ----> la planimetria del più antico edificio templare di Argo è in realtà
frutto di un'ipotesi, non universalmente riconosciuta. Sicuramente il tempio possedeva una peristasi lignea,
sormontata da capitelli in pietra molto piatti (rinvenuti seppure frammentari).

Tempio di Poseidon, Istmia: datato alla prima metà del VII


secolo. Nuovi materiali: pietra e terracotta > assetto e dimensioni
di notevole rilievo. Pianta rettangolare e allungata, di grandi
dimensioni. Tempio periptero. 7 x 18 colonne; l'opistomo non è
ancora presente. Fondazioni e stilobate in blocchi lapidei. In
questa opera pietra e legno sono associati: elementi tradizionali
(colonne lignee) ed elementi nuovi (pietra): siamo in una fase di
sperimentazione.
Cella preceduta da un pronao profondo, divisi da ulteriore serie di colonne lignee, utili per sostenere la sommità del tetto.
Sempre per scaricare il peso del tetto (costituito da tegole in terracotta), le pareti della cella sono irrobustite e hanno una
serie di pilastri. Fila centrale di colonne disposta lungo asse maggiore della cella, dividendo la cella in due navate. Le
pareti della cella sono realizzate in blocchi lapidei, mentre i pilastri esterni sono in legno e sostengono gli spioventi del
tetto. Anche la peristasi aveva funzione di sostegno. Le tegole del tetto (molte sono pervenute) avevano forma curvilinea,
erano di terracotta ed erano intervallate da coppi. La decorazione esterna della parete della cella era realizzata in affresco
bianco ed era molto vivace (ne rimangono dei frammenti). I capitelli non sono stati rinvenuti.

Tempio di Apollo a Thermos: datato attorno al 630 a.C. Struttura


piuttosto allungata, periptero, peristasi in legno 15 x 5 colonne >
l'allungamento della pianta è propria degli edifici più antichi.
L’edificio della cella comprende l’opistodomo (non il pronao);
colonnato longitudinale divisorio che concorre alla stabilità del
tetto. Realizzato in blocchi lapidei, mattoni crudi, legno
(trabeazione e le colonne della peristasi) e terracotta (metope):
ancora mix di materiali (non ancora completamente litico, ma la
tendenza va nel senso della progressiva trasformazione in pietra).
Da Thermos provengono delle interessanti lastre in terracotta
dipinte con soggetti mitici, considerate metope del fregio: es.,
cornice con rosette, che circonda la figura dell’eroe Pèrseo, in
corsa, con una sacca da cui compare il volto di Medusa. Un’altra
metopa raffigura forse Eracle. Una terza vede le due sfortunate
eroine, Procne e Filomela, trasformate in rondine e usignolo, dopo
la vendetta verso il marito di Procne, al quale vengono imbandite
le carni del figlio.
Confronto con l’Olpe Chigi, scena della caccia al
leone: le figure dell’olpe e quelle delle 2 eroine
sono confrontabili dal punto di vista stilistico.

Heraion di Olimpia, dedicato a Era: 6x16 colonne; notevoli dimensioni. Quest'edificio testimonia meglio di
tutti la transizione dall'edificio in legno-mattoni crudi a edificio in pietra. Nel 650 a.C, viene eretta una cella
di 100 piedi, preceduta da un pronao di 20 piedi, con due colonne tra le ante (distilo in antis). Alla fine del
VII, viene costruito l'opistodomo, simmetrico al pronao, con due colonne tra le ante (distilo in antis) e
costruita una peristasi lignea; queste colonne in legno della peristasi sono state gradualmente sostituite
con colonne in pietra, e nel II d.C., quando Pausania visita il tempio (egli descrive i luoghi più importanti
della Grecia, nella sua opera Periegesis thes Elassos) c'è ancora una colonna in legno nell'opistodomo:
l'edificio nasce con colonne della peristasi in legno, ma via via nel corso del tempo, le colonne della peristasi
deteriorate sono state sostituite con colonne in pietra (quelle che vediamo tutt'oggi). Non troviamo più il
colonnato centrale, che suddivideva in due parti la cella, ma viene introdotta una doppia fila di colonne che
suddivide il tempio in 3 navate. Sostituire il colonnato centrale con due colonnati ai lati della cella ha il
vantaggio di liberare il centro della cella e dare migliore visibilità all'agalma, dacché Pausania ci dice che
all'interno del tempio aveva potuto osservare due immagini cultuali di Zeus ed Era. Le colonne della
peristasi (oggi in pietra, un tempo in legno) posano su uno stilobate in pietra. Notiamo che c'è un solo
gradone a formare la crepidine, quindi l'edificio non è particolarmente staccato dal piano di calpestio (altro
dato architettonico che ci informa dell'alta cronologia). I reperti permettono di ricostruire il tetto
dell'edificio: tetto è costruito da tegole di terracotta. Tra una tegola e l'altra, sono posti dei coppi, perché
due tegole vicine necessitano di un'ulteriore copertura per far in modo che l'acqua non penetri da una
tegola all'altra. Al vertice del tetto, dove i due spioventi del tetto si congiungono, vengono collocate altre
coperture, ovvero coppi sommitali più grandi. Da un punto di vista estetico, vedere sul bordo del tetto o
sulla sommità del tetto, la forma di un coppo e il vuoto interno non era gradevole: perciò vengono poste
lastre più piccole coprenti sulle estremità dei coppi correnti, chiamate antefisse, e sulle estremità
dell'ultimo coppo sommitale, una lastra più grande, chiamata acroterio: acroterio presente dimensioni
notevoli e ricca decorazione (no facile plasmare e cuocere elementi di questa dimensione). Se osserviamo i
capitelli notiamo differenze, dovute al fatto che i capitelli sono stati realizzati in tempi diversi ----> dai
capitelli più antichi, rigonfi ed arrotondati ai capitelli più recenti, con una definizione conica e più rigida.
Dall'area di tempio di Hera ad Olimpia, proviene testa colossale che potrebbe essere parte dell'originaria
statua di culto: decori nei capelli, sorriso, schematizzazione per occhi (grandi e terribili) e orecchie (portate
in avanti), polos (tipico della divinità).

ARCHITETTURA IN AREA IONICA

Santuario dell'Heraion, Samo. 650 a.C. circa: in seguito ad una alluvione, il vecchio hekatompedon di età
geometrica viene sostituito con un nuovo edificio (hekatompedon II). La cella presenta un pronao tetrastilo
(quattro colonne), ma è priva di opistodomo. Non troviamo un colonnato lungo asse maggiore della cella,
ma le pareti della cella sono sostenute da pali. La cella viene circondata da una peristasi in legno. Non si
conserva il fregio, che probabilmente era continuo (ovvero senza alternanza di triglifi e metope).

Santuario dell'Artemision, Efeso. Fine secolo VII: viene distrutto il tempio periptero di età tardogeometrica
e si inizia a ricostruire un nuovo tempio, forse ancora incompiuto, quando, in età arcaica, verrà costruito un
tempio diptero.

ETÀ ARCAICA

600 - 480 a.C. > lungo arco di tempo; la data di termine coincide non a caso con l'anno della Battaglia di
Salamina, con la quale si concludono le Guerre Persiane. In quest’epoca si conclude il definirsi del modello
della polis. Il VI e il V sono secoli densi di avvenimenti salienti per il mondo greco:

• la redazione scritta di leggi in diverse polis, ad opera di famosi legislatori quali Solone; ciò evita il
perdurare delle leggi arbitrarie tramandate oralmente dagli aristocratici. Dunque, in alcune poleis si
segna il passaggio a regimi timocratici fino a governi di tipo democratico.
• Spesso prendono potere singoli personaggi, i tiranni, appoggiati da alcuni ceti emergenti (mercanti,
artigiani…) es: Pisistrato ad Atene; alla loro caduta in molte città si afferma la democrazia.
• Economicamente il VI secolo vede una diffusa ricchezza nelle poleis: ciò incrementa l’architettura e
la produzione artistica. Si ha l’affermazione dell’architettura in pietra e diventa canonica l’idea di
tempio, con l’affermazione dei suoi ordini: dorico e ionico.
• Nelle arti figurative si impone una resa sempre più realistica della figura umana: sia nella statuaria
sia nella pittura vascolare (la pittura vascolare è il riflesso della pittura parietale, per noi andata
perduta).

La scultura arcaica

In questo periodo si diffondono i due tipi statuari del kouros e della kore, che era già presente in età
orientalizzante. I kouroi erano o statue votive o avevano una funzione funeraria (semata). Non avendo dati
oggettivi, ovvero elementi datanti e chiari dal contesto, l'unico modo per proporre una datazione
relativamente alla statuaria di questo periodo è la VALUTAZIONE STILISTICA. Dagli anni 40 del Novecento,
inizia studio sistematico di queste statue e la studiosa tedesca Gisela Richter stabilisce una sequenza
cronologica dei vari kouroi: parte dal presupposto che la statuaria di età arcaica conosce un'evoluzione che
porta via via a una definizione sempre più naturalistica delle forme umane, sempre più vicino a quella reale
del corpo umano (sempre, tuttavia, una figura umana ideale). Quindi viene gradualmente meno la
schematizzazione, si afferma un'attenzione verso volumi, verso definizione più precisa della muscolatura e
della proporzione le tra varie parti.

Kouros dell’Attica (la provenienza specifica non è nota), New York (Metropolitan
Museum), primo decennio VI. L’immagine si presenta frontalmente: è una figura stante. Il
corpo è statico, con le braccia che scendono lungo il corpo aderenti al fianco e le mani si
stringono a pugno. Avanzamento di una gamba rispetto all’altra. Si colgono echi dedalici:
volumi raccordati gli uni agli altri, ma ora i raccordi sono più fluidi, più convincenti
(scompare la cintura di raccordo tra busto e gambe). La testa ha un volume solido, sul volto
spiccano grandi occhi con sopracciglia ad arco regolare, il naso è allungato e la bocca
serrata. La capigliatura è portata all’indietro con corpose trecce che scendono in modo
molto ordinato e frontalmente creano uno sfondo per il volto; alcuni elementi
arricchiscono la capigliatura, come nastri che stringono capelli sulla fronte e gioiello che
cinge il collo. Molta attenzione è data all’anatomia del busto, sia frontalmente che
posteriormente, ma con ancora alcune schematicità, ad esempio nella zona addominale
resa tramite l’incisione. Il volto, di profilo, presenta schematizzazioni es: l’orecchio, che
sembra un elemento decorativo. I raccordi tra parte frontale e parte laterale sono ancora
spigolosi.
Kouros n. 1 da Capo Sunio (punta sud dell’Attica), Atene Museo Arch.,
primo decennio VI (590). Proviene dal santuario di Poseidone > funzione:
dono votivo prezioso, poiché di ben 3 m. Medesime caratteristiche del
precedente: frontalità, gamba avanzata, braccia rigide lungo il corpo, mani
chiuse a pugno, zone più plastiche alternate a zone più schematiche.
Muscoli dell'addome e delle ginocchia sono evidenziati. Il corpo appare
molto più fluido-meno rigido nel raccordare i volumi. Ricercata
acconciatura, le cui trecce, suddivise in grosse perle, fanno da sfondo al
viso. Questo presenta dei riccioli spiraliformi sulla fronte. Questa statua
intende esprimere i valori su cui si fonda la società arcaica, in particolare il
VALORE DELLA KALOKAGATIA (kalòs kai agathòs), ovvero il valore della
bellezza esteriore e interiore.

Kouros n. 2 da Capo Sunio:


capigliatura elaborata e descritta in
modo accurato. Incisioni che
definiscono scapole e costole in
modo schematico.

Testa di Kouros del Dipylon, Atene Museo arch. La funzione era di


segnacolo per una tomba. Opera del Maestro del Dypilon. Di un kouros
colossale, rimane la testa di grande dimensioni, alta 44 cm. L’autore è
ancora legato alle geometrie del blocco di pietra. Schematizzazione
orecchie a voluta arretrate indietro, come se fossero due ornamenti dei
capelli e definizione della capigliatura stretta da un nastro con un
elaborato nodo posteriore.

L’uomo era raffigurato nudo e giovane: riflesso delle sue doti positive interiori, della sua bellezza morale.
Tutte le statue hanno una ricca capigliatura, simbolo di appartenenza aristocratica. Sono sempre e
comunque raffigurazioni ideali, non particolari.

Klobis e Biton, da Delfi: 580 a.C, coppia di kouroi gemelli provenienti dal santuario di Delfi. Statue di
dimensione leggermente superiore al vero. Realizzate in calcare. Questi due kouroi risultano più recenti
rispetto ai due kouroi di Kapo Sounion (600-590 a.C.), perché basandoci su un criterio stilistico (cfr Richter),
i due kouroi manifestano una definizione dell'anatomia, dei volumi del corpo molto più precisa (es.
pettorali, cosce, polpacci), ma non priva di alcune schematizzazioni (es. arcata epigrastica resa con una
semplice linea incisa e i tratti del volto hanno elementi di simmetria e rigidità ancora ben evidenti). A
queste due statue gemelle, potrebbe esser riferita un'iscrizione, in cui sembra di poter leggere il nome dello
scultore, ovvero Polymedes, scultore di Argo, anche se recentemente, la leggibilità è stata messa in dubbio.
Basandosi su questa lettura, gli archeologici hanno ricordato quello che narra Erodoto, ovvero la storia di
due fratelli figli della sacerdotessa di Era, presso il santuario di Argo, che, poiché la madre doveva
raggiungere il santuario fuori dalla città, e poiché i buoi che dovevano trasportare il carro, non erano giunti
in tempo, i suoi due figli avrebbero assunto il ruolo dei buoi, trascinando con grande fatica e energia il carro
della madre verso il santuario della Dea ----> gesto di amore verso la madre e di devozione assoluta nei
confronti della divinità ----> questo gesto merita una ricompensa, ovvero la dolce morte tra le mura del
Santuario.
E’ ben presente nella cultura greca arcaica il concetto della bella
morte, nel pieno vigore della giovinezza, senza conoscere le
sofferenze che accompagnano la vecchiaia e la malattia.
Teorie recenti indicano i kouroi come rappresentazione dei
Dioscuri, i due divini gemelli Castore e Polluce.

Kouros da Tenea, 550 circa, Monaco. Funzione di sema. Definizione


dell’anatomia più sensibile, naturalistica. Meno schematizzazioni, passaggio più
morbido nelle zone di raccordo. Il volto si arricchisce di tratti naturalistici: occhi
meno grandi ma più proporzionali; angolo interno con sacco lacrimale. Per
raccordare il piano frontale al piano laterale ha usato un espediente: ha alzato
un po’ gli angoli della bocca (cosiddetto “sorriso arcaico”): in realtà questo non
è la rappresentazione di un moto dell’animo, di un'emozione, ma è un
espediente tecnico per raccordare meglio piano frontale e piano laterale.
Visione prevalentemente frontale, braccia portate lungo il corpo, capigliatura
estremamente elaborata, con ricca serie di riccioli ondulati.

Statua di Kroisos, da Anavyssos (Attica), 530 circa Kouros in ricordo di


un giovane, Kroisos, funzione di segnacolo funerario e ricordava il
giovane Kroisos morto in battaglia con un'epigrafe che invita il
passante a soffermarsi sulla tomba di Kroisos. Si è distinto per il
coraggio (combatteva infatti in prima linea): valore dell’epoca > bella
morte eroica, di omerica memoria: "Fermati e piangi, presso il
monumento del defunto Kroisos, che Ares ha tolto, mentre
combatteva tra le prime file". Anatomia sempre più naturalistica, con
passaggi di piano sempre più morbidi e reali, sebbene una linea ovale
marca ancora l’arcata epigastrica (ciò scomparirà nell’Aristodikos).
Capigliatura lavorata, con serie di riccioli che incorniciano la fronte. I
capelli cadono morbidamente sulle spalle e sono decorati con forma
"lumachella" (superata la rigidità dei primi kouroi). Occhi di
dimensioni reali, naso ben proporzionato, sorriso arcaico.

In questo periodo, chi realizza statue, chi dipinge su tavola e vasellame, è innanzitutto un ARTIGIANO: egli
risponde alle esigenze di un committente e di una società ben definita di cui fa parte, e intervento
dell'artista è minimo rispetto alla richiesta del committente, il suo contributo è quella di migliorare,
elaborare, arricchire un modello, che è sempre lo stesso identico, proveniente dalla tradizione.

Dal santuario di Atena (Acropoli) ad Atene: Moschophoros (portatore di vitello),


circa 1,60 m, 550 circa. Interessante la raffigurazione: un offerente porta sulle spalle
un vitello da donare alla divinità; il giovane ha tutte le caratteristiche del kouros
(frontale, posizione stante, volumi a volte più morbidi altre più schematiche). Forse
realizzata e portata come dono votivo ad Atena negli anni successivi al 566, anno in
cui sono riorganizzate le feste più importanti di Atene (feste Panatenee). Membra
del corpo sembrano realisticamente contratte a sostenere il peso dell'animale. Il
moscoforo porta un abito leggero che copre spalle, braccia, ma l’anatomia è
comunque ben visibile. Le braccia creano una sorta di X con gli arti del vitello: ciò dà
risalto alla composizione e soprattutto al volto della figura, che è affiancato a quello
del vitello. Il volto era in origine completato da dettagli in pasta vitrea che
conferivano vitalità: occhi vivacissimi della figura maschile e quelli attoniti della
vittima sacrificale. Sensibilità decorativa nel volto e nella barba definita
minuziosamente. Sorriso arcaico. Accurata ricerca anatomica, con addominali ben
definiti e volumi del corpo arrotondati.

Cavaliere Rampin: datato attorno al 550 a.C. Statua di un cavaliere, in


parte frammentaria, che siede su un cavallo (frammentario). Della testa
(rinvenuta nella collezione Rampin, di cui il nome, e conservata al
Louvre) è stato montato il calco, dopo la felice intuizione
dell'archeologo Humphry Payne, che nel 1936, associa la testa e il resto
della statua, avendo memorizzato linea di frattura della testa e linea di
frattura del corpo. Cavaliere e cavallo sono una composizione
complessa. Figura umana in nudità. Il volto è ben levigato, mentre
chioma e barba sono più mosse. Il volto è leggermente ruotato per
essere meglio apprezzato. Raffinatissima capigliatura: corte trecce,
riccioli sulla fronte, frangia, corona con foglie di quercia (premio per il
vincitore delle gare Istmiche di Nemea): questo è il dono votivo di un
vincitore, che vuole venerare Atena.
Scultura ionica

Come vengono rappresentati i Kouroi nelle città greche della costa dell'Asia Orientale, in particolare
nell'area Ionica, che maggiormente ci interessa per la ricchezza dei rinvenimenti?

Kouros di Ischys, dal Santuario di Era sull’Isola di Samo, circa 560, dedicato ad Era, kouros
monumentale (4,8 m), tipica iconografia del kouros: stante, gamba in avanti, arti lungo i
fianchi con pugni chiusi, trecce che scendono lungo le spalle. Ma c’è una sensibilità
anatomica diversa, tipica della scultura arcaica delle Isole greche e della Ionia: maggiore
rotondità, superfici tondeggianti (es: il volto è molto arrotondato, morbido) e muscolatura
morbida. Contemporaneo al Moschophoros, ma sensibilità anatomica diversa.
Kouros di Samo. Tipico della Grecia orientale: perché è vestito. Stesse
caratteristiche tipiche dei kouroi, ma corpo non in nudità, ma celato da
un ricco abito con pieghe, che copre alcune forme e ne esalta altre.
Attenzione nella resa del panneggio. Rotondità del volto, forme gonfie
del corpo, muscolatura arrotondata; occhi allungati a mandorla. Ricca
acconciatura: mentre i kouroi attici presentano una capigliatura molto
ricca sulla fronte, questi portano i capelli completamente all'indietro.

Statua di Sacerdote dei Brachidi, da Mileto:


fisico imponente, dai volumi massicci, è
strettamente legato al trono, simbolo del
potere; il volto ieratico è rotondo, sbarbato,
dai cappelli ben acconciati indietro; corpo è
completamente ricoperto dal mantello.
Diverso ideale di ricchezza, e del lusso che
caratterizza le città orientali.

Le korai dell'area attica presentano un panneggio molto più morbido e soffice,


mentre queste korai dell'area ionica presentano pieghe del panneggio con gusto
più disegnativo-lineare.

Korai attiche

Acropoli di Atene, l'area sacra più importante di Atene, dove si celebra il culto di Atena, divinità protettrice
di Atene. La Kore imposta su schema ben definito, quello della figura stante, con una visibilità
prevalentemente frontale, caratterizzata da braccia portate lungo i fianchi, oppure disposte l'una lungo il
fianco, e l'altra mano a reggere offerta portata alla divinità. A differenza della figura maschile che esprime la
propria bellezza interiore ed esteriore, attraverso la nudità, la figura femminile è sempre abbigliata e spesso
ingioiellata. Un abbigliamento ricco a cui scultore lavora con grande attenzione, come anche alla realizzazione
dell'acconciatura, estremamente elaborata, spesso realizzata con un vero e proprio virtuosismo, con
capigliature lunghe, come dovevano essere lunghi i capelli delle giovani a cui gli scultori si ispirano,
componendo però un'immagine ideale. Possiamo ritenere dunque che le ricerche scultori arcaici si
indirizzassero allo studio e alla definizione in senso sempre più naturalistico dell'anatomia della figura per
quanto riguarda statue maschile, mentre dedicassero particolare attenzione al modo di disporsi del
panneggio sul corpo per la figura femminile. Korai sempre portatrici dei valori dell'aristocrazia, ovvero il
valore del matrimonio: il suo abbigliamento è infatti quello della sposa, custode della casa, secondo il
concetto omerico che pone la donna al centro della politica matrimoniale tra le grandi casate.

Busto di kore, dall'acropoli di Atene: più antica kore


rinvenuta nell'Acropoli di Atene, opera di scultore
dell'isola di Naxos. il volto ovale, piuttosto massiccio,
con occhi triangolari e naso largo richiama la Sfinge
dedicata dagli abitanti di Naxos al santuario di Delfi,
intorno al 580-570 a.C.
Kore del Peplo, dal Santuario di Atena (Acropoli), museo dell’Acropoli, circa 1,20
m, intorno al 540 a.C. Visione frontale, stante, un braccio lungo il corpo e uno
proteso a stendere l’offerta. Abiti decorati e gioielli. Il peplo veste la figura, ma
lascia intravedere le forme (i seni); raffinata lavorazione nell'acconciatura; lunghe
trecce cadono sulle spalle e posteriormente. Tracce superstiti di policromia (nella
capigliatura, negli occhi e in alcune zone dell’abito). Degli studi a raggi UV hanno
permesso un’ipotesi di ricostruzione: colori vivaci, accesi, decori pittorici raffinati
che impreziosivano il peplo. Queste statue erano parte dell'arredo di un
santuario, ma non all'interno dell'edificio, ma erano sistemate all'esterno, per
arricchire il territorio sacro con la loro vivacità ----> quindi questi colori così vivi
permettevano alle statue di essere visibili, anche alla luce bianca caratteristica dei
paesi mediterranei. Particolare restituito dalla costruzione: parte sommitale della
testa della figura reca un foro che doveva ospitare un foro metallico con elemento
di riparo della statua. Secondo alcuni lo scultore è lo stesso del Cavaliere Rampin,
in base alle caratteristiche simili: contorni occhi, arcate sopraccigliari, trattamento
morbido delle superfici del volto.

Kore di Phrasikleia da Mirrinunte, Attica, Funzione di sema; iscrizione: “[...]


sempre mi chiamerò fanciulla [...]” > la ragazza era giunta alle soglie del
matrimonio, ma gli Dei le hanno accordato una morte prematura. L’iscrizione ci
informa anche del nome dello scultore: Aristion di Paro (scultore insulare: questo
offre la testimonianza di scultori itineranti). Il braccio di questa kore non è proteso,
ma si chiude sul petto; la mano stringe un bocciolo di loto: allusione alla sfera
funeraria; mano dx raccoglie parte della stoffa; non indossa peplo, ma il CHITONE
stretto alla vita, realizzato meravigliosamente: pieghe che cadono ai piedi, zone più
aderenti. Sopra indossa l'IMATION, una mantellina ----> questo è un abbigliamento
tipico dell'area Ionia, che diventa di moda a partire dalla seconda metà del VI
secolo. L'imation permette di studiare il movimento delle pieghe. Gioielli:
coroncina, bracciali e collana > donna aristocratica; capigliatura elaborata. Tracce
di colore hanno favorito una possibile ricostruzione.

Kore n. 682: dimensioni un poco maggiori del Kore n. 674: chitone e himation,
vero; abbigliamento diverso: indossa abiti sapientemente modulati in pieghe più o
tipici del mondo greco orientale > una tunica meno fitte a seconda di come cade la veste;
molto leggera, il chitone e un mantello gioielli realizzati in modo raffinato. Volto con
(himation) che dalle spalle scende lungo il cospicue tracce di policromia.
busto creando una lunga cascata di pieghe.

Kore n. 675: si segnala per il virtuosismo nella definizione del panneggio, con serie
di increspature e pieghe che animano la figura, anche nella parte superiore
dell'abito. Si distingue dalle altre korai, per questo compiacimento decorativo nella
definizione della frangia, che diventa una sorta di merletto.
Kore di Antenore, siamo in grado di datare l'opera con precisione,
attorno al 520, perché conosciamo l'autore di quest'opera, ovvero lo
scultore ANTENORE: la statua viene accompagnata da una base iscritta,
che dà il nome del dedicante e nome del maestro, che ha realizzato
l'opera di dimensioni importanti, sostanza plastica molto più
accentuata rispetto alle precedenti: ampiezza spalle, muscoli delle
gambe più torniti, busto con volumi ben evidenti. La mano sx fa un
gesto nuovo: scosta la veste. Visione di profilo.

Buona parte delle opere rinvenute sull’Acropoli proviene da un contesto che gli archeologi chiamano
colmata persiana: scarico (fossa scavata) per contenere parte degli edifici e dei resti delle opere di età
arcaica; fu scavata dagli Ateniesi superstiti dopo la distruzione del santuario di Atena nel 480 a.C., per mano
dei Persiani. La colmata persiana è un deposito sigillato: le opere, essendo doni votivi, non potevano
lasciare il santuario. Il terminus ante quem per tutto ciò che contiene è il 480 a.C.: le opere sono state poi
messe in ordine cronologico, ma mai oltre il 480.

Korai area ionica

2 Korai di Cheràmyes, donate alla dea Era, titolare del grande santuario
a Samo (una al Louvre e una a Samo), 560 crica. Statue gemelle: la kore
del Louvre è stata rinvenuta nel 1855, l’altra più recentemente (1984).
Entrambe offerte da Cheramyes; concezione diversa rispetto a quelle
Ateniesi, la figura è comunque stante e riccamente abbigliata, con
mano sx al petto in segno di devozione, ma le figure sono più
tondeggianti, volume cilindrico animato dal panneggio: gli abiti lasciano
lievemente trasparire le rotondità del corpo; abito finemente
pieghettato (piccole pieghe verticali. Indossano un leggero chitone
stretto da cintura e un mantello più spesso (himation) che dalla spalla
dx cade sul busto e dobbiamo immaginare anche sulla testa.

Gruppo di Genèleos: rappresenta i componenti di


una famiglia (padre, madre, 3 figlie e un figlio), 540
circa. Particolare delle 2 korai: gesto diverso
rispetto a Cheramyes > le braccia sono stese verso
il basso e la mano è intenta a sollevare il
panneggio: ciò permette di variare l’andamento
delle pieghe. Capigliatura finemente cesellata con
grande sensibilità decorativa, notiamo i capelli che
spiovono sulle spalle e poi si dispongono
ordinatamente sul corpo.
ARCHITETTURA DI ETA' ARCAICA

Tra VII e VI l’edificio di culto assume una forma canonica, che lo distingue dalle altre architetture. Elemento
rappresentativo dell'arte greca; di grande importanza nelle poleis: presupponeva volontà politica, impegno
economico, risorse tecniche e intellettuali di alto livello.

Nel mondo greco distinguiamo 2 forme templari (seguendo il De Achitectura di Vitruvio), riconducibili alla
Grecia continentale e a quella orientale:

1. ordine dorico (Grecia propria e colonie occidentali)


2. ordine ionico (Grecia orientale)

Ordine dorico

La composizione dell'ordine dorico deriva con ogni probabilità da


elementi originariamente lignei. Nell’assetto dorico il tempio più
monumentale è il tempio periptero: ovvero quando presenta su tutti e
quattro i lati delle colonne. Cella (naòs): ospita la statua di culto. Il
tempio nel mondo greco è visto come la casa della divinità, che vi
risiede con un'immagine, spesso evidenziata su un basamento. Di
norma i templi sono orientati verso est: il vano che precede la cella e vi
consente l’accesso è il pronao; il vano opposto è detto opistòdomo. Il
colonnato che circonda su tutti i lati la cella è la peristasi.

Alzato dell’edificio templare:

• crepidine (o crepidoma): consente un elevazione dell’edificio sacro rispetto al calpestato


circostante
• colonne
• trabeazione: composta da membrature orizzontali, collocato al di sopra dei capitelli, comprende dal
basso verso l'alto l'architrave, il fregio, la cornice-gocciolatoio-geison.
• frontone: copre l’edificio e ne definisce la forma

L’ultimo gradino della crepidine è lo stilobate, su cui poggiano le colonne:

- colonne: fusto che va assottigliandosi verso l’alto


- capitello: elemento di raccordo tra fusto (elemento cilindrico, caratterizzato da una serie di
scanalature) e architrave; 2 parti del capitello: l’echino (forma dolce che si allarga verso l’esterno) e
l’abaco (che raccorda il capitello con l’architrave); l’echino a funzione di slancio, l’abaco invece è un
raccordo.

Negli edifici templari più antichi, l’architrave e la parte sovrastante erano realizzati in strutture lignee, che si
andavano a raccordare con le strutture del tetto. Con l’adozione della pietra, le antiche forme lignee
vengono riprodotte e si codificano in 2 elementi:

✓ fregio, formato da: - triglifi (=tre scanalature): forse a riproduzione delle tavole protettive che in
origine coprivano gli elementi lignei: elementi aggettanti, i femori, ed elementi rientranti, i glifi; -
metope, eredi delle tavole che riempivano i vuoti tra gli elementi lignei portanti. Possono essere
lisce o ospitare una rappresentazione figurata a rilievo. Tenia: fascia aggettante su cui poggiano
triglifi e metope, è posta tra architrave e fregio. Al di sotto di ogni triglifo c’è la regula (tavoletta
aggettante), con degli elementi cilindrici che pendono verso il basso (gutte = gocce).
✓ gocciolatoio (geison): cornice con elementi aggettanti, detti mutuli, che presentano delle gutte,
gocce (forse riproduzione dei chiodi che permettevano il fissaggio delle strutture lignee delle
origini).

La sommità dell’edificio è definita sima: sui suoi lati


lunghi vi erano dei gocciolatoi (spesso con forme
preziose, come teste di leone a fauci spalancate).
Geison (cornice) e sima costituiscono il contorno del
triangolo frontonale. All’interno del triangolo
frontonale poteva collocarsi una decorazione.

Architettura in Magna Grecia.

All'inizio del secolo VI a.C., le colonie greche d'Occidente raggiungono una grande stabilità economica,
politica, sociale tanto da costruire grandi realizzazioni architettoniche. Siracusa e Corcica (Corfù), entrambe
colonie fondate da Corinto, sono le prime poleis capaci di edificare un tempio interamente in pietra.

Tempio di Apollo, nord di Ortigia-Siracusa (colonia di Corinto), inizi VI a.C.


Edificio periptero, 17 x 6 colonne: molto sviluppato in lunghezza. Colonnato
interamente lapideo > progresso. C’è di più: le colonne sono anche
monolitiche (realizzate in unico blocco lapideo, alte più di 8 m) > grande
impegno tecnico ed economico. Ulteriore colonnato prima del pronao,
quest’ultimo è distilo in antis (due colonne). Poi la cella seguita non
dall’opistodomo, ma dall’adyton (ambiente chiuso, caratteristico degli edifici
templari di Sicilia), dove viene esposta la statua di culto. Le colonne della cella
erano invece in legno, funzione di sostegno della copertura. Alta crepidine di
3 gradini, che stacca notevolmente il tempio dal suolo (cfr Heraion di Olimpia,
ancora un solo gradino). Le colonne della peristasi sono collocate sullo
stilobate, molto vicina una all'altra e sostengono architrave in pietra, alto più
di 2 metri; per diminuire l'impressione di un'opprimente gravità, le colonne
sono movimentate da scanalature e si rastremano verso l'altro. I capitelli
hanno sagome piuttosto rigonfie. Al museo di Siracusa è proposta una
ricostruzione, secondo cui nella parte interna dell’architrave vi poteva essere
una trave lignea. E si ipotizza che gli elementi sovrastanti l’architrave fossero
in legno e che, a protezione delle parti lignee e sporgenti del tetto, fossero
poste delle lastre in terracotta (chiamate cassette). Anche la sima era in
terracotta. Queste lastre erano supporto per una vivace decorazione. Nella
sima del lato maggiore erano disposti dei gocciolatoi dai quali pioveva
l’acqua.
Il frontone era decorato da una lastra in terracotta
riproducente il volto terribile della gòrgone (figura
mostruosa, occhi sbarrati, dentatura ferina, zanne e
fauci, lingua che pende, chiome in forma di
serpentelli) con funzione apotropaica (protettiva) o
per far sì che il devoto considerasse la potenza
degli Dei (Clemente Marconi). La terracotta
ripropone in modo più completo questa figura di
Medusa, qui accompagnata dal figlio Pegaso.
Notiamo la vivacità dei colori che è la stessa del
tetto, lastre protettive del tetto ----> L’imponenza era riconosciuta anche dai contemporanei
immaginiamoci anche gli altri colori dell'edificio (dedicanti e costruttori); infatti sullo stilobate corre un’iscrizione:
templare che non era lasciato nel colore naturale “Kleomenes, figlio di Knidieidas, fece il tempio per Apollo e
del calcare, ma rivestito di stucco bianco, e in innalzò i colonnati, opere belle”. Vi è dunque il nome di
corrispondenza delle varie membrature Kleomenes (dedicante aristocratico o architetto?) e del
architettoniche, ricoperto di colore. destinatario; dell'edificio è sottolineato il colonnato lapideo,
opera bella.

Artemision di Corcira: datato attorno al 580. Questo edificio segna un ulteriore traguardo nella definizione
e litizzazione del tempio: è interamente in pietra, dalla crepidine fino all’intero frontone, il quale reca una
decorazione ad alto rilievo interamente lapidea. Edificio grandioso; la pianta mostra che è periptero, con
ben 8 x 17 colonne. Lo spazio tra la peristasi e la cella è davvero ampio, per motivi legati al culto:
processioni e cerimonie sacre che richiedevano il passaggio del fedele. La cella ha la forma ormai divenuta
canonica: il pronao è scandito da 2 colonne presso le ante, la cella è articolata in 3 navate da un doppio
colonnato, l'opistodomo ha anch’esso 2 colonne alle ante. Al centro dello spazio frontonale campeggia la
figura della gorgone, nel tipico schema iconografico della corsa inginocchiata. Ai suoi lati 2 pantere
simmetriche. Ai limiti estremi abbiamo 2 scene mitiche. Medusa si presenta frontalmente (viso e corpo),
mentre le gambe sono rese di profilo e accompagnate nella corsa dalle braccia, che suggeriscono il moto
verso dx. Corto abito che lascia scoperte le gambe, calzari alati, ali aperte sul fondo. A sx notiamo il resto
delle gambe di un cavallo: nella ricostruzione è stato interpretato come Pegaso. A dx una figura di giovane,
Chrysaor, nato dal sangue della Gorgone (= Pegaso), con una spada aurea, da qui il nome. In questa
raffigurazione vi è una sintesi narrativa: ci comunicano della decapitazione avvenuta, poiché abbiamo le
creature nate dal suo sangue. Viso: occhi sbarrati, guance deformi, bocca aperta da cui esce la lingua,
serpenti che si intrecciano alle sue chiome e formano delle spirali sulla fronte (grande senso decorativo),
altri serpenti più grandi scendono ai lati, seguiti da trecce simmetriche > senso di mostruosità. La gorgone
ha una funzione apotropaica nei confronti del tempio. Ma c’è anche un’altra lettura: quest’immagine
suscita nel devoto un timore reverenziale necessario per potersi accostare alla sfera del sacro. Le due fiere
potrebbero riferirsi alla dea, spesso venerata come Potnia theròn (signora degli animali). Pantera sx:
notiamo un raffinato gusto decorativo nel rendere il pellame con una serie di cerchi concentrici; muscoli e
articolazioni sono definiti con una certa schematizzazione, tipica della prima metà del VI. Chrysaor ci
riconduce alla tipologia statuaria del kouros della prima metà del VI, quando la statuaria si concentra sulla
definizione della figura umana: sensibilità plastica unita ancora ad una certa schematizzazione, come
nell’artificiosa congiunzione tra parte frontale e parte laterale degli arti inferiori. Capigliatura che spicca per
ricercatezza e raffinata esecuzione. Raffigurazioni dello spazio più esiguo del triangolo frontonale: - dx >
scena tratta dal mito della gigantomachia: Zeus, identificato dal fascio di fulmini nella mano dx, affronta un
gigante (nello schema della corsa inginocchiata) e lo sovrasta. Figura di un gigante caduto, che completa il
racconto. - sx > ancora presente un gigante caduto. A lato c’è una scena tratta dal mito, che vede una figura
seduta, con un braccio appoggiato alla coscia e l’altro proteso verso una seconda figura; figura seduta di
dubbia interpretazione (non si è conservato il mento: non sappiamo se è una figura maschile o femminile),
dunque 2 ipotesi: 1. La figura seduta (uomo) sta supplicando (mano protesa) il suo avversario: dunque
potrebbero essere Priamo, che sta per essere ucciso da Neottòlemo. 2. La figura seduta potrebbe essere
Hera (lettura della studiosa Horn) che sta per essere affrontata dal gigante Porfirione: interverrà Zeus in suo
soccorso. Se seguiamo la prima ipotesi, allora abbiamo 2 episodi mitici diversi, se invece ci affidiamo alla
seconda, allora i due episodi appartengono alla stessa vicenda e sono meglio collegati. La scena è portatrice
di messaggi, trasmessi attraverso l’autorevolezza del mito, che può interpretare la realtà ed è uno
strumento che induce a meditare e riflettere. La gigantomachia è un tema che porta importanti messaggi:
vittoria dell'ordine sul caos, delle regole sulla barbarie, della stabilità sull'anarchia > adatto a ricordare tutti
gli ideali della polis.

Acropoli di Atene

Area sacra, importantissima nella storia di Atene, di cui il Partenone diventa il protagonista assoluto della
sua monumentalizzazione, a partire dall'epoca di Pericle (V secolo). Vediamo l’Acropoli in età arcaica:
l’Atene del VI è segnata dalla tirannide di Pisistrato (al potere dal 560-527, con alcuni intervalli), e poi dai
figli Ippia e Ipparco, fino al 510 (cacciata di Ippia e uccisione di Ipparco). Dominanti sono anche importanti
famiglie, come gli Alcmeonidi. La centralità dell'acropoli si rafforza lungo il VI, ma non abbiamo dati precisi
per l’Acropoli arcaica, rimangono alcuni resti da cui trarre considerazioni:

• Ovest: propileo di accesso al santuario


• Nord: antico piccolo edificio di culto (di età geometrica): Tempio di Atena Poliàs, protettrice della
città. Probabilmente lì trovava posto l’antico simulacro di Atena, in legno di ulivo.
• I resti degli edifici dell'età arcaica provengono dal sottosuolo, ed in particolare da un deposito
lungo il lato Sud: la colmata tirannica, sigillata verso la fine del VI; in essa vennero raccolti i resti di
strutture e statue andate distrutte, obliterate dal nuovo edificio sacro.
• Lato Nord: colmata persiana
definiti da Holtzmann come "architetture
erranti", in quanto non siamo in grado
riferirli a edifici localizzati sull'Acropoli.
Dalla colmata tirannica provengono i resti della decorazione
frontonale di un edificio monumentale, il Frontone del Barbablù:
le dimensioni del lato di base raggiungono i 16 m. Complessa
decorazione scultorea, molto efficacie: al centro c’è un gruppo
dal valore apotropaico > 2 leoni che divorano un toro, ormai
morente, con la precisa definizione dei fiotti di sangue: molto
drammatico. Lati del frontone: - sx: lotta di un eroe contro un
mostro, metà umano e metà pisciforme > forse lotta di Eracle
contro Tritone; abilità nell’adattare la forma del mostro allo
spazio stretto del frontone. L’eroe ha una possente muscolatura.
Tracce del colore. - dx: figura di un mostro tricorpore, che dà il
nome al frontone: esso conserva nei suoi 3 visi cospicue tracce di
colore, in particolare il blu, che interessa le 3 barbe; la parte
umana dei 3 corpi si dispone in progressiva visione di prospetto:
Dove collocare l’edificio? 2 ipotesi: 1.
uno di prospetto, uno di tre quarti, uno quasi frontale rispetto
potrebbe essere stato realizzato a nord,
all'osservatore. Allo spazio più stretto si adatta la parte finale del
zona prima occupata da un edificio di
mostro, che è un serpente le cui spire si avvolgono su se stesse.
culto più modesto e antico (età
Spiccano anche i resti delle ali di questa singolare figura.
geometrica). 2. ipotesi più seguita: era
Intravediamo i lembi di un panneggio, forse era raffigurato un
collocato a sud (area del partenone di
eroe. Molte ipotesi interpretative, nessuna molto convincente:
età periclea), poiché è stato riconosciuto
forse l’eroe è nuovamente Eracle, che affronta Nereo, creatura
un cavo nella roccia relativo alle
marina con la capacità di assumere più forme (aria, acqua, fuoco:
fondazioni dell’edificio. Quando?
forse rappresentate dalle 3 teste). Altri hanno dato
Possiamo solo dare una valutazione
interpretazione più squisitamente politica, secondo cui Eracle
stilistica delle figure: momento poco
rappresenta alter ego di Pisistrato, eroe positivo e civilizzatore. In
successivo al frontone di Corfù, quindi
ogni caso, c’è nuovamente l’esaltazione dell’eroe positivo Eracle,
560-570 a.C.
che riceve molta attenzione in questo periodo ad Atene.

Dalla colmata abbiamo anche decorazioni di edifici più piccoli, forse tesori, oppure destinati alla
celebrazione del culto o allo svolgimento di banchetti (tutti punti interrogativi); ne rimangono dei frontoni.
Periodo del secondo quarto del VI.

Frontone con Eracle che combatte l’Idra, forse 560-550 a.C. > l’Idra di
Lerna aveva un corpo terminante con numerosi serpenti. Eracle la
combatte assistito dall’amico Iolao. La metà della destra del triangolo è
occupata dal corpo del mostro Idra, che si dispiega con le sue teste e
spine. A sinistra: Eracle di dimensioni superiori, aiutato dall'amico Iolao
che sale sul carro. Nell’estrema sinistra, un grande granchio mandato da
Era per difendere l’Idra. Si sono conservate tracce di una policromia
vivace. Composizione meditatissima. Di nuovo l’eroe che incarna valori
e ideali del mondo greco e della polis.

Frontone con apoteosi di Eracle, forse 550 a.C. Eracle, al termine delle
sue imprese, giunge tra gli immortali. Sull’Olimpo è accolto da Zeus, di
profilo, in trono. Accanto a lui, la consorte, Era, di pieno prospetto.
Spazio dove forse va collocato Hermes. A dx Eracle, identificato dal suo
attributo, la pelle di leone di Nemea. Lo accompagna la sua
protettrice, Atena (titolare del santuario). Volto di Zeus, con tratti
salienti della scultura di metà VI: senso decorativo di barba e capelli >
confronto con il Cavaliere Rampin: barbe descritte con minuzia e senso
decorativo, definizione degli occhi.
Frontone dell’ulivo, 560-550 a.C.; infatti nella lastra frontonale a sx è inciso un
ulivo. La scena è di difficile interpretazione, ma la sua presenza ha indotto molti
studiosi a pensare che questo indichi un luogo specifico; infatti, la dea Atena
aveva fatto nascere un ulivo dal suolo dell’Acropoli e d un ulivo sacro a lei era
venerato nell’Acropoli all'interno di un giardino, il Pandroseion. Qui forse è
dunque raffigurato il giardino di Pandroso con l’ulivo sacro. Se è così, nelle figure
che compaiono, potremmo riconoscere le figlie del mitico re di Atene Cecrope,
accompagnate forse da Hermes; sono solo suggestioni. La figura conservata
meglio propone un confronto con le korai contemporanee, ciò fornisce ipotesi di
datazione (un po’ vaghe, perché mancano molti elementi di prova).

Fondazione Dorpfeld/Tempio di Atena Poliàs: zona nord (tra Partenone ed Eretteo). L’edificio va ad
occupare l’area o dell’edificio del Barbablù (se seguiamo l’ipotesi 1) o del piccolo edificio di culto di età
geometrica (se in relazione all’edificio del Barbablù seguiamo l’ipotesi 2). Dorpfeld: primo studioso che lo
ha studiato. Permangono le fondazioni, fu datato agli anni 20 VI (iniziativa dei figli di Pisistrato).
Recentemente si è proposta una datazione più bassa (ultimo decennio VI: età della democrazia dopo la
cacciata dei tiranni). Ricostruzione > tempio periptero; pronao che introduce un ambiente quadrato con
doppio colonnato; sul lato apposto abbiamo un ambiente che si apre su un’altra cella divisa in 3 ambienti >
ricchezza di molti ambienti > si spiega con un culto tributato a più divinità: Atena Poliàs, ma anche
Poseidone ed Efesto. Della decorazione si è conservato il frontone orientale, che (novità) è realizzato in
marmo: raffigura una gigantomachia (tematica tipica). Al centro campeggiava la quadriga di Zeus, mentre a
fianco si è conservata bene la dea Atena, che combatte un gigante (di cui rimane solo il piede sx). Ai lati dx
e sx ci sono dei giganti caduti. Soggetto unico, molto efficace e meditato: proporzioni identiche delle figure.
La scena è coinvolgente, molto dinamica, ma soprattutto è coerente nelle sue proporzioni. Impressionante
la dea, di cui è reso il movimento veloce di slancio attraverso le gambe divaricate, dal panneggio e dalla
disposizione delle braccia. Il braccio sx evidenzia l’Egida (mantella della dea, sulla quale essa vi fissa la testa
di Medusa), con le terribili terminazioni serpiformi. Il volto è morbido ed è incorniciato dalla ricca
capigliatura che scende sulle spalle e completato dall'elmo -----> serie di fori rivela la presenza di un elmo,
che era verosimilmente in metallo, come anche le armi della Dea e del gigante. Le chiome scendono sul
busto e spiovono sulla fronte. Il gigante caduto evidenzia uno studio attento della torsione del busto: lo
scultore vuole superare le schematizzazioni dell’età arcaica, e vi riesce soprattutto nella visione posteriore,
molto vicina alla realtà. Mostrare come la scena della Gigantomachia sia particolarmente efficace per
trasmettere un messaggio particolarmente chiaro: vittoria di un ordine, fondato sulle leggi e sulle norme
del vivere civile e sconfitta del caos, di ciò che non rientra nelle leggi e valori collettive. Lettura politica:
divinità olimpie impersonificherebbero coloro che reggono sorti di Atene (Tiranni, o se diamo una
datazione più bassa, il nuovo ordine che si instaura ad Atene, dopo la cacciata di Ippia e l'uccisione di
Ipparco).
Delfi

Delfi è nella Focide; vi risiede il Santuario panellenico di Apollo, sulle pendici meridionali del Parnaso e
delle sue rocce incombenti (rocce fedriadi). Dal santuario la vista spazia fino alla piana di Itea ed i suoi
uliveti. Il santuario è costruito su diverse quote: 1. Ingresso 2. teatro 3. stadio Analizziamo il santuario in età
arcaica. La tradizione vuole che Apollo non fosse il primo dedicatario; in origine vi governavano la Dea Terra
e suo figlio, il serpente Pitone. Vi era una zona dedicata al loro culto, dove risiedeva anche la tomba di
Pitone (sconfitto da Apollo). In questa zona, centrale, vi era un monumento: la sfinge dei Nassii, poggiante
su una colonna; fu portata come dono votivi dagli abitanti di Nasso intorno al 560. Colonna snella e alta di
ordine ionico, con le volute sul capitello; la sfinge, creatura mostruosa con corpo alato di felino e volto
umano, sorveglia la tomba di Pitone. La sfinge incarna i tratti scultorei della prima metà del VI: gusto
decorativo nei tratti del corpo, nella capigliatura e nelle ali. Il tempio ora visibile NON è quello arcaico, ma è
quello costruito dopo il rovinoso terremoto del 373.

Tempio di Apollo degli Alcmeonidi, 510 a.C. Il tempio va a


sostituire un precedente edificio, bruciato in un incendio nel
548; furono gli Alcmeonidi a finanziare in parte l’edificio: essi
erano stati esiliati da Pisistrato, ma volevano mantenere viva la
loro importanza. Tempio periptero 6 x 15 colonne; pronao che
precede la cella e simmetrico opistodomo. La cella è divisa in
cella vera e propria e adyton, ambiente riservato alle attività
della Sacerdotessa, la Pizia, che faceva i vaticini. Importante è
quanto rimane della decorazione dei frontoni, in particolare il
frontone est, realizzata nel prezioso marmo di Paro; si ritiene
che lo scultore fosse il celebrato Antenore. Al centro del
triangolo, il Dio Apollo, sul suo carro trainato da 4 cavalli; Sfinge dei Nassii
raffigurazione del dio che arriva nel suo santuario. Viene accolto
da giovani e giovinette (kouroi e korai) gioiosi per il suo arrivo.
Nei lati più angusti, gruppi apotropaici: leone che azzanna cervo
e leone che azzanna toro (= soggetti Acropoli Atene).
Potrebbero anche intendersi come allusioni alla natura
selvaggia, poi ammansita dall’arrivo del dio.

Interessante il panneggio ricco e definito della Kore meglio conservata: pieghe dell’himation, che sottolineano le sue
forme robuste. più lievi le pieghe inferiori. Confronto dalla kore di Atene, sempre realizzata da Antenore: molti tratti
simili, come la definizione delle pieghe di himation e chitone, la robustezza della figura e la rappresentazione delle
trecce. Anche la statua femminile che funzionava da acroterio (posta sul vertice del triangolo frontonale) ha tratti
simili: è una Nike alata in corsa. La decorazione frontonale, nell’insieme, vede figure poste frontalmente.

Lungo la via sacra e attorno al tempio erano presenti donari preziosi e thesauroi, con la funzione di ospitare
i doni preziosi portati dai fedeli. Thesauroi: rappresentavano ed erano tangibile espressione di determinate
poleis e determinati offerenti, che così acquistavano prestigio e riconoscimento.

Il primo thesauros che si incontra salendo la via sacra è il Thesauros di Sicione, che ha sostituito i resti di
due precedenti edifici, forse danneggiati nell’incendio del 548, utilizzandone in parte le strutture. Questi
due edifici erano una tholos (edificio circolare) e un monoptero. Monoptero = edificio che comprende una
semplice peristasi, privo di una cella. Assomiglia ad un baldacchino prezioso, con la funzione di proteggere
un dono importante. Il monoptero di Sicione si data intorno al 560. Interessante è il fregio dorico che
corona l’edificio; le metope presentano dei miti. Es.: razzia di buoi da parte dei Dioscuri (Castore e Polluce)
e dei cugini Afaridi (Ida e Linceo); grande senso ritmico, con alternanza delle figure degli eroi e dei bui. Gli
eroi incedono con ampio passo, portano una doppia lancia sollevata nella mano sinistra. Composizione
elaborata: ritmo, movimento e simmetria. Es. 2: Ratto di Europa, principessa fenicia è in groppa al toro
(Zeus); Europa è lievemente china. Senso del movimento, il toro si dirige verso il mare o forse lo sta già
attraversando. Le metope del fregio dorico si prestano ad una decorazione di forte impatto visivo.

Tesoro di Sifno. Raffinatissimo piccolo edificio, voluto dagli abitanti di Sifno. Datazione precisa data da
Erodoto: lo storico ci dice che Sifno viene distrutta nel 524 dal tiranno di Samo Policrate > dunque il tesoro
non può essere più recente del 524 > la datiamo tra 530-525. L’edificio è molto originale: nella fronte ovest,
tra le due ante decorate in modo raffinato si pongono una coppia di korai sorrette da un alto plinto; queste
sono sovrastate da un elaborato capitello. Questo tipo di soluzione avrà grande eco: la ritroveremo ad
Atene. La kore rivela l’iconografia consueta: posa stante, chitone, himation che crea delle pieghe corpose;
la capigliatura ha un forte intento decorativo, quasi leziose sono le ciocche che incorniciano la fronte.
L’edificio era meravigliosamente decorato: fregi diversi correvano su ogni lato; su questo (lato ovest)
abbiamo una scena riconducibile al giudizio di Paride. Nelle divinità che salgono e scendono dai propri carri
sono state riconosciute Atena, Era e Afrodite. Atena sta salendo o scendendo sul carro, affiancato da
Hermes, arbitro della contesa. Ritmo di pieni e vuoti ben gestito: i carri si collocano negli spazi tra le ante e
tra le korai. Lato sud: forse ratto delle Leucippidi (ma non abbiamo dati ben conservati) Lato est: meglio
conservato > riunione di divinità che assistono alla guerra di Troia, bilanciando con la raffigurazione più
concitata della battaglia. Dettaglio: a sx Latona con i suoi figli, ovvero, al centro, Artemide, a dx Apollo
(titolare del santuario): Latona poggia le mani sulle spalle di Artemide, e questa fa lo stesso con Apollo.
Compaiono poi le altre divinità che osservano i combattimenti. Lato nord: scena di gigantomachia, molto
concitata e complessa. Si riconoscono Eracle, che si affianca al carro di Cibele, trainato da leoni, uno dei
quali azzanna un gigante. Apollo e Artemide combattono con i loro archi e con le faretre sulle spalle. Un filo
di collegamento del fregio nel suo insieme è il tema della hybris, punita secondo l’etica apollinea, che si
pone contro il superamento dei limiti. Il fregio era sovrastato da una modanatura elaborata, con elementi
vegetali che si alternano a perline. Tutto l’edificio era molto raffinato > grande impegno costruttivo.

L'Isola di Egina

Si afferma come potenza marinara e commerciale, tra VII e VI secolo. L'isola è anche patria di serie di
bronzisti, ricordati dalle fonti per aver realizzato offerte votive per santuari, di cui purtroppo non si è
conservato nulla.

Pianta Tempio di Aphaia, Egina


Santuario di Aphaia, Egina: antichissimo luogo di culto di dea cretese, in seguito identificata come Atena. Verso la
fine del VI secolo il tempio viene ricostruito. Tempio di ordine dorico, con peristasi 6 X 12 colonne, pronao ed
opistodomo, cella suddivisa in tre navate da un duplice colonnato (pianta dell'edificio oramai canonica, ma si
differenzia per forme più compatte). Non presenta ancora la curvatura dello stilobate, ma presenta serie di
correzioni ottiche, infatti gli interassi angolari sono contratti di 22 cm, colonne angolari sono più spesse rispetto
alle altre. Rimangono ampie tracce di policromia, sia nell’alzato sia nelle sculture che decoravano il frontone;
prevalgono il rosso e il blu, alternati nelle nervature. Il blu copriva il fondo frontonale, evidenziando le sculture. Tra
i due frontoni di Egina, c'è uno scarto cronologico di circa 20 anni, il frontone ovest viene datato attorno al 510-500
a.C., mentre il frontone est attorno al 490-480 a.C. -----> il ritrovamento di frammenti di un terzo frontone, databili
attorno al 510-500 a.C, hanno fatto pensare che questi dovrebbe costituire i frammenti del frontone est originale,
che in seguito fu, non sappiamo come e perché, ricostruito attorno al 490-480 a.C. I frontoni rappresentano scene
di battaglia della prima e della seconda spedizione di eroi grechi contro Troia ; in entrambe prendono parte due
eroi di Egina, nella prima Telamòne padre, e nella seconda Aiace figlio: si vuole esaltare la città di Egina, attraverso i
suoi due eroi. Le sculture di Egina sono quindi opera di due scultori, che manifestano una diversa sensibilità
artistica: quello del frontone ovest continua la maniera arcaica; quello del frontone est rappresenta stessa tematica
ma con estetica diversa che sfocerà nello "stile severo”.

Frontone ovest: le sculture vennero alla luce nel 1811 e furono acquistate dal principe di Baviera e dunque oggi sono
esposte a Monaco. Realizzati nel prezioso marmo insulare. Il soggetto è una delle spedizioni contro Troia, con l’eroe Aiace
(che veniva da Egina: viene qui esaltato perché caro agli Egineti). La dea Atena, al centro, guarda (invisibile agli occhi degli
eroi) lo svolgimento del combattimento. La dea è titolare del tempio, ma è anche garante della giusta vittoria da parte dei
greci. Atena è di dimensioni maggiori, è posta frontalmente, il movimento è leggermente suggerito dai piedi, impugna
lancia e scudo. 6 combattenti alla sua dx e alla sua sx. Vicini alla dea 2 greci vincono 2 troiani. Seguono, simmetrici a dx e
a sx, 2 arcieri. Alle estremità abbiamo i guerrieri colpiti dai 2 arcieri. Composizione molto meditata, basata su criteri di
simmetria. Atena è possente, maestosa e campeggia al centro; la figura doveva essere completata da elementi metallici
come la lancia, inserti metallici sull’egida (vi sono i fori) e sull’elmo: questi la rendevano più vivace, scintillando alla luce.
Uno studio attento ha consentito una ricostruzione della policromia dell’egida e dei decori del panneggio. Particolare
dell’arciere, vestito con abiti sciiti, che nella ricostruzione appaiono decorati in modo vivace. Le figure fanno riflettere il
devoto sulla guerra e sull'affermazione (secondo i Greci) della giusta causa. Particolare del caduto di dx: anatomia della
figura nuda, nella posizione del caduto. Lo scultore vuole realizzare in modo naturalistico la torsione del busto. Si
concentra sull’anatomia del basso ventre, che non è ancora del tutto fluida, ma ci sono grandi passi avanti.

Frontone est: 490-480 a.C. Raffigura la prima spedizione troiana (precedente a quella narrata da Omero): protagonisti
sono il padre di Priamo (Laomedente) e il padre di Aiace (Telamone). Al centro predomina la figura della dea Aphaia-
Atena, quasi totalmente perduta: ne rimane la testa, avambraccio sinistro e piedi, che ci permettono di capire come lo
scultore abbia reso la dea in movimento: testa frontale, avanbraccio sinistro e piedi rivolti verso destra. Ai lati della
Dea, si collocano due gruppi di opliti: 10 in tutto. La complessa disposizione delle figure di combattenti fanno sì che i
due lati del campo triangolare dialoghino tra di loro (arciere che si trova a sx colpisce avversario che cade ad estremità
dx del frontone). A dx, in questa figura di arciere è riconoscibile Eracle, per la leontè. Nello spazio angolare sx, la figura
del guerriero caduto.
Confronti:

Atena frontone ovest Atena frontone est Caduto frontone ovest Caduto frontone est
caratteristiche ancora l’ovale della testa è più raccordo tra parte raccordo più fluido,
arcaiche: bocca morbido. Raccordi superiore e parte naturalistico. Nel
sollevata ai lati per fare meno marcati. Bocca inferiore del busto più volto scompare il
il raccordo tra i piani. con migliore marcata. Nel volto profilo arcaico.
Capigliatura definizione, sia di permangono le Muscolatura definita
schematizzata in modo prospetto sia nel caratteristiche con passaggi più
decorativo. raccordo. arcaiche. morbidi. prossimo
Arciere frontone ovest Arciere frontone est alla morte, si
raffigurato interamente arciere (Eracle) è di 3/4, appoggia sullo scudo,
di profilo con la gamba destra ma la mano ricade a
proiettata all'infuori. terra, priva di forza.
Movimento più fluido.

Sculture ateniesi coeve al frontone est di Egina: Kore di


Euthydikos (dalla colmata persiana, Acropoli), 480 circa (poco
prima della sigillatura della colmata): ultimi esiti della scultura di
età arcaica; forme morbide. Volto che richiama l’Atena del
frontone est di Egina: morbidezza, passaggi di piano lievi, bocca
con angoli addirittura un po’ incurvati verso il basso. Chiome
corpose, chiaroscuro, che contrastano con il volto. Viene meno il
forte gusto decorativo delle chiome. Il panneggio lascia
intravedere le forme degli arti inferiori.

Stessa morbidezza del volto e corposità delle chiome presente


ancor di più in un kouros detto Efebo biondo (Museo
dell'Acropoli); capigliatura alla moda nell’età tardo arcaica: trecce
non più ricadenti sulle spalle, ma vengono avvolte attorno alla
nuca e allacciate sulla fronte, dove la frangia le copre. Contrasto
cercato tra la capigliatura chiaroscurale e la fronte levigata.
Capigliatura morbida. Tratti ammorbiditi. Bocca più naturalistica
(= kore di Euthydikos, detta “kore triste” poiché ha gli angoli della
bocca un pò rivolti verso il basso e perde quella leziosità tardo-
arcaica). Tuttavia si tratta sempre di figure idealizzate.
Intorno al 480 a.C. (verso la fine dell’età arcaica) si pone
l’Efebo di Kritios, esemplificativo della svolta della scultura
verso il movimento della figura. Gli arti inferiori sono
leggermente divaricati, con la gamba dx in avanti, un po’
piegata, mentre quella sx poggia salda al suolo e assorbe il
peso. Ciò si riflette sull’assetto del busto: i fianchi non sono
simmetrici, ma l’anca sx è sollevata rispetto alla dx >
accompagna il movimento e sorregge il peso; questo
movimento però NON si riflette ancora sulle braccia, una delle
quali doveva essere stesa, mentre l’altra porgeva un’offerta. La
capigliatura è la stessa dell’Efebo biondo. Il modellato è molto
morbido, fluido nel caratterizzare il torace e la muscolatura
anteriore e posteriore (≠ primi kuroi).

Ordine ionico

Nelle Isole Cicladi e nelle città ioniche sulle coste dell’Asia Minore, l’aspetto degli edifici templari e dei loro
aspetti decorativi si differenzia da quello degli edifici della Grecia propria: questa tipologia prende il nome
di ordine ionico, da Vitruvio.

Alla base vi è sempre la crepidine, la colonna poggia sullo stilobate non direttamente con il fusto, ma ha
un’elegante base che fa da elemento transitorio tra stilobate e fusto (≠ ordine dorico). La colonna è più
affusolata e slanciata e reca un numero superiore di scanalature. Queste sono separate le une dalle altre da
sottili listelli, non da uno spigolo vivo. Particolare è il capitello, con due ampie volute.

Le basi delle colonne sono svariate, ma


possiamo distinguerne, in particolare, 2
tipologie:

- base attica: presenza o meno di un


plinto (parallelepipedo) di base. Al di
sopra vi può essere una membratura
costituita da un toro (elemento
aggettante dal profilo curvilineo), un
elemento rientrante (scozia) e un toro
superiore più piccolo di quello
sottostante. Il raccordo con il fusto può
essere ulteriormente interessato da
decori (es.: elementi vegetali)

- base asiatica: vi può essere o meno un


plinto (parallelepipedo) di base, sopra vi è
la scozia: elemento con due (o più)
concavità separate da elementi aggettanti
(tondini, più o meno numerosi); il fusto è
raccordato mediante un profilo incurvato
detto toro, che può avere o meno delle
scanalature.
Il capitello: la parte superiore del fusto si conclude con l’echino, elemento rigonfio che nei capitelli ionici è
preziosamente decorato (es: con ovoli, astragali, cioè perle e dischetti alternati); la parte più in alto del
capitello è l’abaco: basso e svasato. Tra l’abaco è l’echino si dispone la voluta, che nel raccordo con l’echino
può recare elementi decorativi (es.: palmette).

Al di sopra della colonna abbiamo la trabeazione, che


comprende: -architrave tripartito -fregio continuo -geison
(gocciolatoio o cornice). Queste varie fasce orizzontali
hanno, nella trabeazione ionica, un aspetto diverso rispetto
a quella dorica: architrave tripartito articolato in 3 fasce con
progressiva sporgenza: l’una sporge di più rispetto alla
sottostante. Fregio continuo > no metope e triglifi, ma
andamento continuo che può ospitare una decorazione
figurata. Il raccordo tra architrave e fregio avviene
attraverso una modanatura decorata spesso con elementi
vegetali raffinatamente scolpiti; lo stesso accade tra il fregio
e il geison. Sopra il geison, c’è la sima, decorata con protomi
animali (come i leoni). Non sempre, ma a volte negli edifici
ionici, troviamo fascia di dentelli, elementi triangolari,
alternativamente rientranti ed aggettanti, al di sopra geison
e sima. L’insieme è molto raffinato ed elaborato.

Nel mondo ionico, nel corso del VI secolo, vengono eretti edifici di dimensioni meno ambiziose dei grandi
dipteri ionici, ma che anticipano l’uso del marmo locale. La maggior parte dei tempi cicladici presenta forma
ad OIKOS: struttura cubica, chiusa su 3 lati e aperta sulla fronte, con fronte prostila.

Tempio di Dionisio a Uria, Naxos: gli scavi,


effettuati negli anni Settanta del Novecento,
mostrano molto bene l’evolversi delle forme
dell’edificio sacro tra i secoli VIII e VI a.C. I-II)
due costruzioni appartengono all’età
geometrica con pianta ad oikos e a tetto piano,
dapprima sostenuto da una sola fila di colonne
centrali, in seguito, dalla metà dell’VIII secolo,
da tre file di colonne. III) In seguito ancora, a
inizio VII secolo, il tempio viene trasformato in
tempio prostilo (con due colonne davanti).
IV) Ultima costruzione risale al 570 a.C.
Realizzata in marmo, materia di pregio
reperibile nelle cave dell’isola. Dimensioni
contenute. Fronte prostila: fronte scandita da 4
colonne ioniche, con forme slanciate e capitello Il capitello ha forme espanse: le volute si allargano verso
a volute (prostilo tetrastilo). Colonne hanno l’esterno > tratto che indica una cronologia piuttosto alta;
base attica. La cella divisa in 3 navate da 2 file questo genere di capitello così ricercato richiama quello della
di 4 colonne; da qui si accede all’adyton, che Colonna dei Nassii (ex voto portato a Delfi), con ampie volute
ospitava la statua. unite all’echino da 2 preziose palmette.
Anche il Tesoro dei Sifni a Delfi richiama la raffinatezza ed il senso decorativo dell’ordine ionico,
soprattutto nelle modanature decorative tra architrave e fregio e tra fregio e geison. Es: modanatura con
foglie alternate a bastoncelli e con alla base delle perle in rilievo: questo motivo si chiama KYMATION.

Telesterion di Sangrì, Naxos: eretto nel 530, tempio con pianta ad oikos, ma con tetto sostenuto da 5
colonne slanciate.

L’ordine ionico esprime anche degli edifici grandiosi, in particolare nelle grandi città costiere dell’Asia
Minore.

Isola di Samo: sede di un santuario extraurbano dedicato alla dea Era. Nel VI Samo è una città vivace,
potente e ricca, e tra il primo e il secondo quarto del VI (575) si concretizza la volontà di rinnovare il
Santuario di Era. Prende vita l’Heraion III, che va a sostituire i due edifici precedenti. La costruzione viene
iniziata intorno al 575 a.C. Conosciamo i nomi dei 2 architetti grazie alle fonti (Erodoto: “i Samii sono gli
autori “delle tre più grandi opere di tutta la Grecia”, ovvero un lunghissimo acquedotto, un molo e “un
tempo più grande di tutti i templi”): Rhoìkos e Theòdoros. L’edificio ha dimensioni colossali: il lato “corto” è
di circa 52 m, quelli lunghi sono circa di 105 m. Ha una doppia peristasi (TEMPIO DIPTERO) su tutti e quattro
i lati: diptero, 8 (x2) X 21 (x2). Tra le colonne del lato di ingresso intercorre uno spazio maggiore, mentre sul
lato opposto sono più fitte. Progetto grandioso: erano 132 colonne totali, di ordine ionico, in calcare, con
un’altezza calcolata intorno ai 18: Plinio ne parla come di un labirinto. La grande cella ha un profondo
pronao, entrambi sono in 3 navate con 2 file di colonne. Le colonne sono perfettamente allineate in una
griglia nord sud che comprende anche le pareti degli spazi interni. Il progetto conferisce a Samo un grande
fama, ed esalta la polis: il tempio è l’immagine stessa della potenza della Samo del VI. Con i resti superstiti,
possiamo ricostruire anche alcuni dettagli: le colonne avevano fitte scanalature e tondini aggettanti, che
creavano effetti chiaroscurali e davano mobilità e visibilità. Non conosciamo molto dell’alzato, per via delle
vicende edilizie successive. Capitelli e trabeazione ancora in legno.

Di fronte fu realizzato l’enorme altare di


Rhoìkos: intorno al 560; aveva una struttura a
pi-greco che aveva una gradinata che
permetteva l’accesso alla mensa dove erano
compiuti i sacrifici. I resti dell’altare mostrano
uso del marmo sia per elementi strutturali e sia
per elementi decorativi.

Successivamente fu innalzato il Tempio di Hera IV, a sostituire il precedente Heraion. Infatti intorno al 525
a.C. quest’ultimo mostrò cedimenti e crolli, dovuti alla natura incoerente del terreno di Samo, soggetto
spesso ad infiltrazioni di acqua. A Samo governa il tiranno Policrate: volontà ed i mezzi di realizzare un
grande edificio. La costruzione dell’edificio verrà parzialmente completata dopo la uccisione di Policrate nel
532, i lavori del cantieri proseguono nel corso del V secolo, ma non raggiungeranno il suo completamento
nelle forme volute da Policrate. Per evitare crolli e dissesti si creano fondazioni profonde, con l’ausilio di
letti di sabbia e pietrame per renderle resistenti. Edificio diptero, ma ulteriormente potenziato in
grandiosità da un’ulteriore fila di colonne sul lato di ingresso e su quello opposto; dimensioni eccezionali
(circa 112 m per il lato lungo, 8 x 24 colonne). Grande cella, con profondo pronao, entrambi divisi in 3
navate da 2 file di colonne. Base delle colonne molto scanalate, dunque effetto chiaroscurale.
Le volute dei capitelli avevano palmette e
fiori di loto. La parte sommitale del fusto
era decorato anch’esso da palmette e
fiori di loto. Il tempio divenne un modello
da imitare: altre potenti città della Grecia
dell’est (Mileto ed Efeso), desiderose di
avere edifici in rappresentanza del loro
prestigio, inaugurano cantieri importanti
nelle aree santuariali.

Artemision di Efeso. La costruzione inizia intorno al 560, durante il primo anno di regno di Creso, re della
Lidia, e finanziatore della costruzione. Gli architetti sono Chersiphron, Metaghenes, con la stessa
collaborazione di Theodoros. Tempio di dimensioni un pochino maggiori rispetto all'Heraion di Samo: è
infatti un tempio diptero, ma con triplice colonnato in fronte; cella resta ipetrale (priva di copertura),
perché statua della dea continua ad essere ospitata da naiskos a cielo aperto (“ipetrale”), al centro della
cella. Edificio orientato ad ovest, e non ad est per ragione di culto, ovvero perché vengono svolti culti
notturni.
Edificio è realizzato completamente in pietra e in modo
particolare viene utilizzato il marmo per le colonne.
Probabilmente, nel timpano sono aperte tre finestre, sia per
collocare immagini divine, sia per alleggerire il peso
dell’architrave (calcolato attorno a 25 tonnellate). Il capitello
delle colonne della facciata formati da un toro con fascia a ovuli
e palmette laterali, su cui poggiano le due volete rosette a otto
petali. Inoltre, la decorazione si accresce, interessando anche
parte inferiore della fusto della colonna, con fregi figurati
(figure ad altorilievi): alcuni frammenti sono conservati al British
Museum, es: frammenti di figure maschili nel momento di una
Artemision di Efeso diventa una delle sette processione; frammento di testa femminile illustra i tratti
meraviglie del mondo greco e secondo la salienti della scultura ionica, con occhi allungati a mandorla.
casistica degli antichi, si presenta in forme
ancora più ambiziose dell’Heraion di Samo. Si
racconta che viene risparmiato dai conquistatori
persani, dopo la rivolta delle città greche, mentre
nel 356, anno di nascita di Alessandro Magno,
viene distrutto da Erostrato. Il Nuovo Artemision
verrà ricostruito in seguito, anche con il sostegno
di Alessandro Magno, che considerava questo
uno dei luoghi più emblematici della grecità.

Tempio di Apollo, Didyma-Mileto. La costruzione inizia intorno al 560 a.C. (cfr. gli stessi anni di costruzione
dell’Artemision di Efeso). Prevalentemente oggi, vediamo i resti del Tempio di Apollo nella sua fase
ellenistica, ma i resti in situ hanno permesso di avere idea anche della fase del VI secolo. Tempio diptero, di
grandi dimensioni, realizzato in marmo. Pronao profondo e cella suddivise in tre navate da un duplice
colonnato (opistodomo sempre assente). Tempio conserva all’interno un precedente, più antico, santuario
di Apollo: un’area ipetrale, costituita da un boschetto sacro, una fonte, piccolo sacello del Dio, dove era
costudita statua del Dio in bronzo (questo perché edificio ha culto oracolare). Capiamo come gli elementi
strutturali sono considerati come un vero e proprio recinto che circonda gli edifici dedicati al culto della
divinità. Le colonne mostrano ricche basi, capitelli
preziosamente decorati, e decori plastici sulle
colonne del fronte dell’edificio: presenza di sculture
affisse alla parte inferiore del fusto della colonna, es.:
figure femminili ad alto rilievo, verosimilmente le
sacerdotesse del dio, in atto di offrire alla divinità. Ne
rimangono i frammenti: volti arrotondati tipici della
scultura arcaica di queste aree orientali. Hanno un
accenno di sorriso arcaico (espediente). Rilievi di
gorgoni e leoni su alcune parti dell’architrave.

Questi templi ci informano della ricchezza, prestigio delle poleis della Grecia orientale, che hanno i mezzi
economici oltre che ambizione di realizzare edifici che diventano simbolo palpabile della loro ricchezza,
potenza economica. Questi edifici vanno visti sia come capitolo importante nella storia dell’architettura
antica, sia come elementi tangibili di tributare particolare celebrazione alla divinità, sia come prova del
prestigio di alcune città dell’area ionica, che influenzeranno sia architettura della madrepatria sia della
grecità della Magna Grecia (Locri, Sicilia), dove inizierà stagione dedicata all’adozione dell’ordine ionico.

Es: Eolia, metà del secolo VI, tempio di Assos, fregio ionico continuo e fregio dorico con metope e triglifi
convivono in stesso edificio (nel secondo lotta di Eracle contro Tritone).

L'ARTE DEL VASAIO

Materia prima: argilla (pinax fittile corinzio raffigurante artigiani che estraggono questa preziosa materia
prima). Dalla natura geologica delle varie zone dipende il colore dell'argilla ----> quella corinzia è molto
chiara e depurata, di toni verdii-giallognoli; quella attica ha colore più rossastro, per alta percentuale di
ferro. L'argilla deve subire una serie di interventi:

1. FASE DI PULITURA.
2. FASE DI DECANTAZIONE ----> cioè viene sciolta in acqua in grandi vasche, per lunghi periodi, in
modo tale che le particelle più pesanti si depositano sul fondo, mentre corpi estranei più leggeri,
come rami e foglie, salgano im superficie.
3. FASE DI SGRASSATURA ----> sabbia e chamotte (cocci di argilla cotti) sono mescolate all'argilla, per
ottenere una sgrassatura necessaria a migliorare la cottura.

Strumento: TORNIO-RUOTA DA VASAIO: costituito da tavola circolare fissata su un perno verticale, che
ruota su sé stessa al di sopra del perno, con il movimento circolare impresso dalle stesse mani del vasaio. Al
di sopra del perno, viene posta una piccola massa di argilla, e imprimendo il movimento circolare al tornio,
si inizia ad abbozzare la sua forma circolare. FASE DI ESSICAZIONE ----> argilla viene staccata dal tornio, e
lasciata ad essiccare: il vaso deve rimanere per un po’ di tempo all’aria, in modo che l'acqua contenuta
nell’argilla evapori, fino a raggiungere una certa consistenza “consistenza cuoio”. FASE DI APPLICAZIONE -->
Parti del vaso, come le anse, i manici, il piede, sono eseguite separatamente: il vasaio spennella le parti su
cui devono aderire le anse e il piede, attraverso un po’ di argilla diluita che fa da collante. Dopo ancora una
breve essicazione, i vasi sono lisciati con un concio di pelle e pronti per la decorazione pittorica.

TECNICHE DI DECORAZIONE: disegno a mano libera (raramente


si tracciava sulla superficie uno schizzo preparatorio); a volte
motivi geometrici (linee, cerchi concentrici, semicerchi) sono
eseguiti con pennelli montati su compassi. Il vasaio stende sulla
superficie del vaso la "VERNICE": è un termine improprio,
perché dal punto di vista tecnico-chimico non è una vernice,
ma si tratta di argilla molto depurata, mescolata con terre, che
contengono ferro, che la rende un pochino più scura dell'argilla
pura. Le cosiddette SOVRADDIPINTURE di rosso, paonazzo,
giallo (molto diffuse nella ceramica corinzia) sono delle terre,
che vengono stese sopra il precedente rivestimento, e che in
cottura assumono diverse tonalità.
Il vasaio campisce completamente la figura, con tecnica detta “a silhoutte” (vasi geometrici). In seguito, nella TECNICA A
FIGURE NERE, il vasaio definisce i particolari o contorni con LINEA GRAFFITA, attraverso punta metallica: lo strumento penetra
in profondità nell'argilla, cosicché le linee dopo la cottura risaltano in maniera chiara sul rivestimento nero lucido. A questo
punto, il vaso è ancora ben lontano dall’aver assunto il colore brillante, infatti il vaso l'assumerà, solo dopo l'ultima fase, la più
difficile e delicata, ovvero la cottura in fornace. Alcune fornaci antiche sono state rinvenute nel corso di scavi in Grecia e in
Italia meridionale. Fornace deve essere stata messa a punto dai ceramisti corinzi nel VII secolo, quando appunto si inizia ad
usare tecnica a figure nere. Fornace= Forno a pozzo di forma vagamente cilindrica (per fornaci più grandi forma
quadrangolare), alta tra 1,5-3 metri. Si sviluppa su due camere: nella camera inferiore, ovvero la camera di combustione,
vengono inserite le frasche, in quella superiore il vasellame da cuocere. Le due camere sono separate da una GRIGLIA, cioè
tavola in argilla cotta, con una serie di fori, attraverso cui passava il calore per cui cuocere il vasellame; su questa griglia i vasi
sono impilati gli uni sugli altri, ponendo anelli distanziatori per garantire uno stabile impilaggio (per impilare i vasi all’interno
della fornace operazioni richiedono intera giornata lavorativa). Il giorno dopo, la camera di combustione viene riempita di
frasche, sterpi, carbone, e inizia la vera e propria cottura dei vasi -----> i vasi iniziano a cuocere già intorno ai 500 gradi, MA la
decorazione pittorica si inizia a fissare soltanto raggiuta una temperatura di 900 (per cui occorrevano 8-9 ore). FASE DI
OSSIDAZIONE ----> la fornace viene aperta attraverso due fori per far circolare ossigeno, e in questo modo l'ossigeno alimenta
il fuoco e l'ossido di ferro conferisce una tonalità rossa alla superficie del vasi, quindi in queste fase i vasi sono interamente
rossi. FASE DI RIDUZIONE ---> la fornace viene chiusa, e non circolando più ossigeno, si forma fuliggine-fumo, ovvero il
monossido di carbonio, che rende questi vasi interamente neri e lucidi. FASE DI SEPARAZIONE ---> la fornace viene riaperta, di
nuovo circola l'ossigeno e le parti delle superficie non verniciata si ossidano nuovamente, diventano quindi rosse, mentre le
parti verniciate rimangono nere, impermeabili, solidissime.

CERAMICA ARCAICA

Non abbiamo alcuna documentazione relativa alla pittura di grande formato, come pittura su tavola di
legno; riconosciamo quelli che sono i temi e le tecniche della grande pittura, solo attraverso forme “meno
nobili” della pittura, come pittura vascolare e pittura su pinax (piccole tavolette in argilla), che ci forniscono
un pallido eco di quella che doveva essere pittura di grande formato.
Nell'Ottocento, a Penteskpuphia, viene ritrovato un ricco deposito di PìNAKES in terracotta con iscrizioni e
scene dipinte, databili a cavallo tra età orientalizzante ed età arcaica; queste pinakes sono doni votivi alle
divinità, di cui evidentemente sorgeva un santuario nell'area. Sono realizzate nella tecnica a figure nere, e
tra queste spicca il frammento con cacciatore e cane, firmato da Timonidas.
A Pitsà, presso Corinto, è stato rinvenuto un frammento di pittura su tavola lignea, con scena di sacrificio,
databile attorno il 540-530 a.C ---> possiamo notare come siano presenti le stesse tecniche, stile, schemi,
temi della pittura vascolare (come convenzione di dipingere incarnato femminile con toni chiari, e maschile
con toni bruni).

Ceramica corinzia (630-550 a.C.)

Nella seconda metà del VI secolo, dopo alcuni tentativi dei ceramisti corinzi di aggiornare il proprio
linguaggio ormai ripetitivo, la fortuna dei vasi di Corinto si esaurisce, limitandosi ad ambito locale, mentre
la produzione attica si afferma in tutto il Mediterranea. Eredita da ceramica protocorinzia la tecnica
(tecnica a figure nere, linea graffita) e il repertorio orientalizzante di fregi animalistici, ma non si interessa di
scene narrative (cfr Olpe Chigi). Gli elevati ritmi di produzione trasformano un manufatto, prima realizzato
con grande ricercatezza, in prodotti, in cui il pittore dimostra sì perizia tecnica, ma si limita a riproporre il
monotono repertorio di fregi animalistici, senza ricercatezza di dettagli-particolari. Cambiano le dimensioni
e la forma: non vengono più prodotti aryballoi miniaturistici, ma unguentari monumentali, anche di 20-30
metri, come aryballoi, privi però del piede ed alabastro, contenitori di origine egiziana priva del piede.
Inoltre, un recentissimo studio della produzione ceramica corinzia documenta che esistono centinai di
pittori, ma ognuno di questi non ha una propria bottega, ma molto spesso lavorano all'interno di una
bottega, specializzata in una gamma ristretta di forme vascolari (Bottega del Pittore di Delfino si specializza
in produzione di unguentari).

1) Stile Transizionale (TR): 630-620 a.C. (il passaggio dallo stile "protocorinzio" allo stile "corinzio")

2) Stile Corinzio Antico (CA): 620-590 a.C.

3) Stile Corinzio Medio (CM): 590-570 a.C.

4) Stile Corinzio Tardo (CT): 570-530 a.C.

Cratere corinzio, Eracle ed Eurito. Di solito, la raffigurazione attinge al


patrimonio orientalizzante di fregi animalisti, molto rari sono quindi gli
episodi mitici ----> noi ci concentriamo sulle rarità e uno di questi casi è il
Cratere Corinzio con Eracle ed Eurito (CA): cratere proveniente da
Cerveteri. Cratere a colonnette, con scene dipinte su più registri
sovrapposti. Fregio superiore raffigura combattimento di opliti e fregio
inferiore cavalcata. Nel fregio centrale, le iscrizioni in alfabeto corinzio
rivelano che i convitati, ritratti a banchetto sui klinai sono Eracle (primo a
dx), Eùrito, con i due figli Ifito e Iole: Eracle ucciderà Eurito e i due figli.
Segmento con Eracle, Iole, e gli altri convivati nell'atto di consumare le
loro bevande. Notiamo come la tecnica figure nere sia portata oramai a
piena maturità, con numerose sovradippinture in bianco e paonazzo, che
arricchiscono il vaso, e uso della linea graffita nei minimi dettagli
(dettagli dei klinai, tavoli, particolari anatomici dei personaggi e dei cani).
Aryballos Corinzio con comasti, Oxford. Nel
Corinzio Antico, compare una nuova iconografia,
che sarà adottata anche dalla ceramica attica:
quella dei COMASTI, ovvero gruppi di figure
maschili, ritratti in danze rituali, con sedere e
pancia visibilmente imbottiti.

STILE CORINZIO MEDIO. A partire dal Corinzio Medio (no dal Corinzio Antico), inizia produzione di
unguentari monumentali, ovvero aryballoi ed alabastro, alti fino a 20-30 metri, con decorazione che si
stende in altezza e superficie tutta occupata da riempitivi (cfr. Alabastron corinzio da Delo, con Potnia
Theron- cfr Alabastron corinzio con leoni, Pittore del Delfino, Gela).

GRUPPO DELLA CHIMERA: i maestri riuniti sotto il nome di gruppo della chimera, dal nome del pittore più
dotato, ovvero il Pittore della Chimera, producono, con ricca policromia e grande perizia tecnica, vasi di
grandi dimensioni, come tondi centrali di coppe e piatti (cfr Piatto Corinzio con leone, gruppo della
Chimera, Louvre).

Aryballos di Polyterpos: proveniente dall'Apollonion di Corinto, donato come


premio per gara musicale. Raffigura soggetto inconsueto: auleta suona il doppio
flauto e maestro del coro danza di fronte a coppie di coreuti. Noi definiamo
questo vaso "aryballos", ma sul vaso stesso troviamo iscritto "olpe": questo ci
permette di capire che le forme-funzioni dei vasi da noi adottate sono del tutto
convenzionali, e non corrispondono spesso a quello che gli antichi additavano
come tale.

STILE CORINZIO TARDO. Mentre alcuni ceramisti si limitano a riproporre il monotono repertorio di fregi
animalistici, altri portano avanti tentativi di "svecchiamento", tentando di rivaleggiare ed imitare i prodotti
attici, con invenzione del cratere a colonnette. Es. Cratere corinzio, con corteo nuziale, Roma musei
vaticani: proveniente dall'Etruria, la scena nuziale rivela uso particolarmente insistito del bianco per
conferire vivacità alla decorazione. Cratere a colonnette.

Ceramica Attica

Si definisce "attica" la ceramica prodotta ed esportata ad Atene tra fine del VII-corso del VI secolo-
530/525, quando assistiamo ad un cambiamento tecnico (figure rosse). Le officine di Atene, che per tutto il
VII secolo hanno avuto ruolo regionale, nel corso del VI secolo, raggiungono eccellenza tecnica tale da
sostituire sui mercati i prodotti corinzi. Da inizio VI secolo, si inizia ad affermare la firma degli artefici delle
opere più rilevanti: firma il vasaio, di solito proprietario dell’officina, che si firma con il proprio nome, e con
il verbo fare, poieo; firma anche il pittore con il proprio nome e il verbo “grapho”.
Frammento di deinos firmato Da Sophilos (prima
generazione 580-570 a.C.). Sophilos, attivo tra il 580-
570 a.C, è allievo di un pittore che si era formato presso
il Pittore di Nesso ed è il primo maestro attico di cui si
abbia la firma; fu sia ceramista sia pittore. Con lui
assume grande perfezione la forma del deinos, grande
vaso globulare con sostegno. Decorazione su 2 registri:
-Inferiore: animali ed elementi vegetali (ispirazione
ancora corinzia) -Superiore: soggetto dal mito, corsa di
carri per i funerali di Patroclo. Nel frammento vediamo
una delle quadrighe in corsa, con il tifo entusiasta di
alcuni spettatori in tribuna. Tecnica a figure nere.
Vivacità delle figure sugli spalti, sovrapposizione dei
cavalli da un grande effetto di profondità, con il cavallo
in primo piano in bianco, mentre quelli retrostanti sono
neri. La linea è sicura.

Frammento di kàntharos firmato da Nearchos (seconda


generazione). Nearchos è attivo tra 570-560 a.C., anch'egli è
vasaio e pittore, di cui pure si conservano le firme. Autore di
forme vascolari nuove, come quella del KANTHAROS, ovvero
coppa profonda su alto piede con due grandi anse verticali che
superano l’orlo, è uno degli attributi di Dioniso. Nel frammento
sono raffigurati Achille ed i suoi cavalli; Achille è pensoso, mentre
accarezza i destrieri. Achille è un eroe di grande bellezza e
audacia, ma sarà ucciso sotto le mura di Troia, ma gli sarà
riservata una fama eterna: si assiste a uno dei primi esempi di
espressione dei sentimenti individuali, nella figura di Achillle, eroe
consapevole della brevità della sua vita, mentre accarezza
pensoso i suoi destrieri immortali ---> scena composta con molto
sapienza, che fornisce profondi spunti di meditazione. Linea
graffita molto raffinata, che definisce barba, capigliatura di Achille
e criniera dei cavalli. Con il colore bianco, il pittore dà evidenza ai
destrieri. Uso di diversi colori sovraddipinti. L’opera è firmata con
orgoglio, tra Achille ed i cavalli: “Nearchos me graphe”.

A partire dalla prima metà del secolo VI a.C., la tecnica a figure nere viene pienamente acquisita, come
anche la tecnica della linea graffita e le sovraddipinture; la vivace vocazione narrativa spinge le maestranze
a prendere progressivamente le distanze dagli insegnamenti corinzi, in crisi alla metà del secolo, rilegando
in secondo piano decorazioni zooforme e fitiforme, a favore di scene mitologiche: emblema di questo ed
erede dell'esperienza di Sophilos è il Cratere Francois (per dettagli pp. 188-189).

Cratere Francois, da Chiusi (Etruria), 570-560, conservato al M. Arch. di Firenze; Venne rinvenuto nel 1845, da
Alessandro Francois. Cratere di grandi dimensioni, alto circa 66 cm. Ha una forma che è molto originale: creazione delle
botteghe attiche > cratere a volute, poiché la anse poggiano sull’orlo con due volute. Il repertorio decorativo è
straordinario, sull’intera superficie, comprende numerosi fregi, circa 270 figure. L’opera è firmata dal vasaio (Ergotimos)
e dal ceramografo (Kleitias). Scene (dall’alto): - orlo e collo: due fregi figurati - spalla e ventre: altri fregi - decoro a
spicchi - piede: scena - anse: altre immagini. Lato 1: episodio mitico noto: Caccia al cinghiale calidonio, al centro della
scena, il cinghiale inviato da Artemide si mostra nelle sue grandi dimensioni e la sua forza. Attorno i vari personaggi che
lo cacciano, con i loro nomi (es: Meleagro, Atalanta, Peleo futuro padre di Achille). Scena articolata, con personaggi su
più piani. Altro episodio mitico: Guerra di Troia, corsa dei carri per le cerimonie funebri in onore di Patroclo, con
allusione all’eroe Achille, compagno di Patroclo. Scena costruita sapientemente, che ci indica il luogo, ovvero le mura, e
ci mostra i carri che gareggiano. Definizione nitida dei particolari a graffito di aurighi e destrieri. In evidenza anche il
tripode, premio della gara.
Spalla: racconto che interessa ambo i lati > Nozze di Péleo e
Teti; Peleo accoglie sulla soglia della casa varie divinità che
portano dei doni; riconosciamo Zeus sul suo carro e Dioniso
che porta il vino in un’anfora: scena solenne, con le divinità
che incedono in fila, sapientemente descritte dalla linea
graffita. Altro episodio da Troia: agguato di Achille a Troilo >
l’eroe (mal conservato) rincorre Troilo, che invano tenta di
sfuggirgli a cavallo. Il mito narra che Achille, nascondendosi
dentro la fontana del santuario di Apollo timbreo, cerca di
uccidere Troilo > vi riesce, e si macchia di una colpa che gli è
fatale: ha ucciso l’ultimo figlio di Priamo in un luogo sacro >
sarà Apollo a guidare la freccia di Paride nell’unico punto
vulnerabile di Achille. Scena ricca di pathos e movimento.
Fregio con animali fantastici e reali (gusto corinzio). Piede:
episodio di gheranomachia, ovvero la lotta tra pigmei e gru.
Perizia tecnica nell’uso della linea graffita nei particolari dei
volti, acconciature, abiti.

Lato 2: Continuano le nozze di Peleo e Teti (spalla) e la gheranomachia (piede). Diversi sono i soggetti della parte
alta e del corpo: 1. Mito caro al mondo ateniese: l’arrivo di Tèseo a Delo, con la nave carica di giovani ragazze e
ragazzi, liberati dal minotauro. I giovani e le giovani festeggiano la loro salvezza, appena sbarcati a terra danzano
festosamente, mentre i marinai alzano le mani al cielo in segno di giubilo. Iconografia che ricorda quella di kouroi
e korai contemporanee. All’estremità della scena abbiamo i protagonisti Teseo e Arianna. 2. Centauromachia, alla
quale partecipa anche Teseo, eroe caro agli Ateniesi. Scena complessa, con duelli sempre diversi tra uomini e
mostri: grande fantasia creativa. 4. Ritorno di Efesto all’Olimpo, accompagnato da Dioniso e dal suo corteo, una
serie di Sileni. Dioniso convince Efesto a tornare tra gli Dei, dopo che Efesto, per vendicarsi della madre Era, le
aveva regalato un trono aureo che aveva avvolto la dea in catene. Con uno stratagemma (l’uso del vino) Dioniso
fa tornare Efesto così che liberi Era. Episodio per certi aspetti divertente, piacevole anche da raffigurare:
sequenza di divinità che vanno verso l’Olimpo, dove sono attese da Zeus ed Era.

Anse: figurate nella parte piatta; 3 soggetti: - vicino all’orlo: Gorgone nello schema arcaico della corsa
inginocchiata. - Artemide come signora degli animali, affiancata da un cervo e un felino: grande raffinatezza nelle
decorazioni del peplo, delle ali e degli animali. - scena drammatica: Aiace porta il cadavere di Achille, eroe che
sarà ricordato per sempre. Criterio della sovrapposizione per dare l’idea di spazio e volumetria.

Piede: lotta tra Pigmei e Le Gru ----> una scena vivace, che "sdrammatizza" la solenne drammaticità delle scene
precedenti.

Kleitias è un pittore abilissimo nella definizione delle scene, dei piccoli particolari e della linea graffita. Due
correnti di pensiero: 1) Da un lato, alcuni studiosi ritengono che la scelta dei miti non risponda a un preciso ed
unitario programma iconografico, ma sono serie di miti particolarmente famosi, particolarmente cari alla stessa
officina, o cari al destinatario-committente. 2) Dall’altro, altri studiosi ritengono che la scelta di numerosi miti
risponda a un preciso ed unitario programma iconografico, per i cui i diversi i miti costituiscono le parole di un
discorso di senso compiuto.

Mario Torelli ha tentato di dare una risposta: il cratere raffigura una serie di episodi esemplari del ciclo di vita di
un aristocratico del tempo: la caccia, la gara con i carri e la centauromachia possono essere viste come prove
giovanili per entrare nel mondo adulto e per formarsi. Il premio sono le nozze, che gli consentono di avere
discendenza (ecco le nozze di Peleo e Teti). La vita adulta deve essere fondata sulla metis (senno, sapienza,
capacità di operare bene): ecco gli exempla, uno positivo e uno negativo. La geranomachia e le due gorgoni sono
raffigurazioni che si pongono oltre i confini del mondo, così come Artemide (nell’ansa), rappresentante della
natura selvaggia: contemplazione dei limiti del mondo. Ed ecco a coronare il tutto la bella morte di Achille, che gli
consente di sopravvivere attraverso la memoria.
Caccia al cinghiale (con Peleo) Sbarco di Teseo e danza dei giovani ateniesi
Gara di carri per Patroclo Centauromachia (con Teseo)
Prove difficili in cui sembrano definirsi le presenze di 2 eroi: Teseo e Achille
Nozze di Peleo e Teti
Agguato di Achille a Troilo Ritorno di Efesto sull’Olimpo
Episodi che mostrano un uso diverso del senno. Achille compie un atto sacrilego, insensato; invece,
Dioniso usa il senno in modo astuto, per un buon fine.
Gheranomachia

Sotto la tirannide dei Pisistratidi, la produzione e il commercio delle ceramiche attiche sono in grande
espansione, inoltre i ceramisti godono di buona considerazione sociale e prendono coscienza di questo
prestigio; questo si desume dagli stessi vasi, dove a partire dalla metà del secolo VI a.C., si registra la
comparsa di immagini artigianali, in cui si è innanzitutto notato come cambi la raffigurazione del lavoro, che
non viene più connotato nei suoi connotati più materiali-duri, ma inteso come espressione di creatività
formale; inoltre spesso i pittori tendono a rappresentarsi come cittadini ateniesi, ritratti nei convivi o
nell’agorà. Un esempio è Nikosthenes, ceramista e proprietario di bottega, che si ritaglia uno spazio
commerciale significativo presso la clientela etrusca, di cui è in grado di assecondare le esigenze, creando
forme vascolari nuove, come l’ANFORA NICOSTENICA, con anse larghe e piatte a imitazione di un prodotto
etrusco (cfr. Anfora attica a figure nere di tipo nicostenico, Roma, Museo Etrusco di Villa Giulia).

3 grandi pittori vascolari di spicco, attivi tra 560-525:

1. Lydos (560-540 a.C.) selezionano un’unica grande scena destinata alla parte più importante del
2. Pittore di Amasis vaso, superando quell’organizzazione su più registri sovrapposti, che
3. 3. Exekias vediamo ben esemplificata nel Cratere Francois.

Lydos è autore di numerosi vasi; ama moltissimo il mito e soprattutto gli episodi più tragici e solenni. Il
primo è noto e si firma come Lydos, forse un nomignolo “Il Lidio”, perché immigrato o figlio di una famiglia
immigrata dalla Lidia, non sappiamo se nasce proprio ad Atene, ma dal suo stile, capiamo che si forma
presso le officine ateniesi del Ceramico. Es: Anfora con scena della Guerra di Troia, al Museo di Berlino; è
una sorta di sintesi della vicenda; al centro, seduto sull’ara, il re Priamo, che inutilmente chiede pietà a
Neottolemo, protendendo al mento di lui la mano. A prefigurare il tragico destino della città c’è il piccolo
Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca, che Neottolemo tiene per la caviglia, pronto a gettarlo dalle mura
di Troia. A lato, 2 figure disperate dolenti, di Ecuba (moglie di Priamo) e Andromaca; a sx Agamennone ed
Elena. Scena efficace, tragica e sintetica. Le figure sono monumentali, ben costruite, con un disegno nitido
ed efficace. L’osservatore era indotto a riflettere sulla vicenda e sul senso della vita.
Detto il Pittore di Amasis perché decora vasi firmati dal ceramista Amasis, forse è un’unica personalità.
Eccellente decoratore. Ci sono diverse ipotesi riguardo la sua origine: poiché infatti Amasis è il nome del
faraone egiziano, favorevole alla presenza greca in Egitto, alcuni credono sia greco, ma cresciuto in Egitto, e
poi trasferitosi ad Atene; altri ritengono invece che non fosse greco, ma nato in Egitto, dalla pelle scura,
come i due guerrieri etiopi dipinti da Exechias e chiamati proprio Amasis ed Amasos. Inoltre, è proprio
Amasis a introdurre ad Atene la forma di un unguentario tipicamente egiziana, ovvero l’alabastron. Attivo
tra 550-520 a.C., non mostra alcun interesse per la nuova tecnica a figure rosse. Predilige temi di tono
familiare e temi dionisiaci.

Grande anfora di Parigi con Atena e Poseidone recante firma: “Amasis me poiesen”. Su un lato, le figure di
2 divinità care agli Ateniesi: Atena e Poseidone, recanti i loro nomi. Le due divinità sono le protagoniste
della vicenda delle origini stesse della città, che porterà alla famosa gara, in cui Atena vincerà e avrà il
possesso dell’Attica. Poseidone ha il tridente; particolari definiti con punta metallica; più particolareggiata è
Atena, a sx. La composizione è semplice, con le due figure poste l’una di fronte all’altra, con posa solenne e
maestosa. I criteri sono quelli del periodo: Poseidone è interamente di profilo, Atena alterna profilo e
prospetto (come tipico del VI).
Anfora attica a figure nere con Dionisio e Menadi, Parigi. In questo caso, trova
spunti nel mondo dionisiaco. Troviamo raffigurazione Dionisio, con lunga barba e il
Kantharos (coppa profonda con i due manici, simbolo stesso di Dionisio) e accanto
a lui due menadi, nell’atto di danzare (danze orgiastiche dopo assunzioni di vino).
Menadi, abbracciate, che si muovono verso il dio. Una delle due mostra il capretto
a Dioniso, mentre in primo piano abbiamo rami di edera, in allusione al dio.
Notiamo un particolare del Pittore di Amasis nel modo di rappresentare le mani,
che permette di identificare le sue opere, anche se non firmate le mani hanno
palmi molto ampi e dita estremamente allungate. Notevolissimo uso della tecnica
a figure nere e dell’uso della linea graffita, che anima ogni dettaglio, come gli abiti
di Dioniso e delle menadi (fino a definizioni delle pelli ferine, che fanno parte
dell’abbigliamento delle menadi), e definizione con la linea graffita della corona di
edera sui capelli.

Letykoi attica a figure nere, con corte nunziale, Moma.


Rappresentazione di tono familiare. Sulla prima viene
raffigurato una processione nuziale, dove due carri,
trainati dai muri, accompagnano i novelli sposi verso la
loro nuova dimora, raffigurata con le porte spalancate,
oltre le quali si intravvede una figura femminile in
attesa. Sulla seconda, il Pittore di Amasis raffigura scena
del mondo femminile, dove alcune fanciulle sono
nell’atto di filare e tessere.

Exechìas. Attivo tra 540-525 a.C., come il Pittore di Amasis, non mostra nessun interesse per la tecnica a
figure rosse. Opposto al mondo di Amasis, il suo è un mondo pervaso dello spirito eroico dei poemi omerici.
Exechias è pittore e vasaio, estremamente innovativo in entrambi i campi, infatti, gli si attribuisce
l’invenzione di due nuove forme vascolari, il cratere a calice e la coppa a occhioni (cfr Kylix attica a figure
nere con navigazione di Dionisio, Monaco).
Anfora Di Exechias con Achille e Aiace, Roma, Su una superficie semplicemente campita a vernice nera; abbiamo i
Musei Vaticani. Unica raffigurazione su ciascuna dei 2 eroi più forti, Achille e Aiace, qui però raffigurati in un momento
due lati in pannello che si colloca nel punto più tranquillo della loro vita di guerrieri: giocano a dadi. Achille (a sx)
importante del vaso. Qui, forse Exechias crea una reca l’elmo, Aiace no. Scena meditatissima, secondo uno schema
nuova iconografia: egli dipinge questo soggetto non geometrico: dal centro (segnato dal tavolino) partono le doppie
è noto da fonti letterarie, non noto dall’Iliade e né lance che gli eroi tengono in mano sx. Opposto al movimento delle
da altre fonti che raccontano la guerra di Troia lance è quello dei loro corpi, che sono portati verso il centro.
Attenta è la costruzione dei piani, per suggerire lo spazio: 1. lance di
Aiace, piede di Aiace 2. tavolo 3. lance di Achille, piede di Achille
(dietro lo sgabello) Il tutto è visivamente accattivante. Accurata la
definizione delle figure: Exechias è un maestro della linea graffita,
rende in modo fluido le dita dei 2. Senso decorativo arcaico
presente nella raffinatezza di tessuti, armi, capelli e barbe. Achille
sta vincendo: lo dice l’iscrizione > Achille ha 4 tessere, Aiace 3.
Lato opposto: Scena che racconta della famiglia dei Tindaridi: Leda
e Tindarèo accanto ai figli Castore e Polluce. Castore è accolto
festosamente dal cane (a sx), Polluce è in partenza accanto al
destriero ed è salutato dai genitori.

Anfora attica a figure nere con suicidio di


Aiace: Exechias mostra una grande simpatia
per Aiace, raffigurandolo anche nel momento
del suicidio. Aiace, solo sulla spiaggia, sta
preparando il suo suicidio, e una ruga profonda
gli solca il viso, ad esprimere il dramma di un
eroe valoroso e il suo suicidio in una tragica, ma
dignitosa solitudine ---> sensibilità del maestro
che ama soffermarsi sugli aspetti psicologici e
dramma degli eroi.

Anfora Di Exechias con Achille e Pentesìlea, British Museum: scena


statuaria nel punto più importante del vaso. Raffigura la lotta tra Achille
e Pentesilea, la Regina delle Amazzoni: i due combattono e nel momento
culminante della loro battaglia, nel momento in cui si incontrano i loro
occhi, scocca la scintilla d'amore, ma è troppo tardi, perché nel momento
in cui i due si innamorano, le armi di Achille hanno ormai trafitto il corpo
esangue di Pentesilea. Fa riflettere sul tragico destino che nega ai mortali
il raggiungimento pieno dei propri desideri. L'autore crea una cornice
molto lieve, semplicemente con elementi a spirali, per conferire maggior
rilievo alla monumentalità della scena. L'incrocio fa da elemento
compositivo della scena: le due lance dei combattenti si incrociano e gli
sguardi viaggiano su schema parallelo a quello delle lance--> l'autore è
riuscito a comunicarci lo “scambio di sguardi". Pittore usa tutte quelle
convenzioni pittoriche, proprie della pittura vascolare del suo tempo,
come sovraddipingere in bianco incarnato femminile e uso abilissimo
della linea graffita.
Kylix di Exechias, 530-525, Monaco; coppa ad occhioni
(invenzione dell'autore). Scena del solitario viaggio di
Dionisio da una coppa, da cui fioriscono tralci di uva,
accompagnato da una gioiosa danza di delfini, che
suggeriscono la presenza del mare. Sulla superficie
della coppa, l'autore stende quella brillante vernice
rosso-corallino per dare maggior vivacità al fondo della
scena, ma è anche una grande raffinatezza ---> queste
coppe venivano usate durante i banchetti, quindi
venivano riempite di vino, e il colore rosso-corallino
avrà giocato splendidamente con il colore del vino
versato.

Età arcaica: la ceramica attica a figure rosse

Attorno al 530 a.C., viene sperimentata ad Atene una nuova tecnica per decorare il vasellame, ovvero la
TECNICA A FIGURE ROSSE: questa tecnica produce un effetto di ribaltamento, per cui il fondo viene campito
a vernice nera, mentre le figure restano risparmiate nel colore rosso dell'argilla quindi i particolari interni
delle figure non vengono più realizzati attraverso la linea graffita, ma attraverso il pennello, intinto nella
“vernice” nera. Quali sono i vantaggi? La maggior duttilità del pennello, in quanto esso può essere diluito in
vernice, creando una linea a piacere più sottile o più spessa; per le sue possibilità di variazione, la linea può
meglio costruire la plasticità delle figure, suggerire la trasparenza dei panneggi, diversificare meglio i colori.

Il primo a cimentarsi nella tecnica a figure rosse è il Pittore di Andocide (530-525), nei cosiddetti vasi
bilingui: decorati su un lato con tecnica tradizionale a figure nere, sull’altro con nuova tecnica a figure
rosse.

Anfora Attica bilingue del Pittore Di Andocide con Eracle a


banchetto, Vulci: stesso soggetto su ambo i lati: uno a figure
rosse, l’altro a figure nere. Il soggetto è Eracle, steso sulla
kline (letto da banchetto), in compagnia della protettrice
Atena, di Hermes e di un servo che a lato prepara il vino.
Eracle stringe il kantharos con il vino. Le figure nere hanno
efficaci anatomie e panneggi. Sul lato opposto abbiamo la
versione a figure rosse, con i personaggi ridotti, come se il
decoratore non avesse grande familiarità con le nuove
soluzioni tecniche: abbiamo Eracle e la dea Atena. Sebbene
gli iniziali impacci nella resa delle anatomie, già notiamo la
potenzialità della nuova tecnica: infatti il panneggio
permette di far intravedere, al di sotto, le forme del corpo
umano. Definizione particolareggiante nell'ornare la veste
della Dea Atena, il cuscino e il materasso della kline. Non
sappiamo se sia la stessa personalità a decorare i due i lati:
alcuni studiosi chiamano in causa il Pittore di Lysippides (per
la parte delle figure nere), la questione è irrisolta.

Anfora (bilingue) di Andocide. Eracle, con i suoi attributi


(pelle e clava) conduce un grosso bue Cerbero al
sacrificio. Entrambi incedono verso destra. L’anatomia di
Eracle si avvale di segno modulato (sottile o spesso) per
distinguere i volumi (questo non era possibile con il segno
inciso).
Dopo questa fase sperimentale, nell’ultimo quarto del VI, la nuova tecnica si impone e sostituisce l’altra
soluzione in molti casi (tranne che in casi più tradizionali, come le anfore-premio delle Panatenee). I pittori
vascolari dell’ultimo ventennio del VI sono detti pionieri e costituiscono la prima generazione dei pittori a
figure rosse: realizzano opere notevoli. Questi pittori sono noti attraverso i nomignoli con cui si firmano, e
della loro storia ricostruiamo molto a partire dai vasi, su cui leggiamo scritte, battute, motteggi che si
scambiavano. Uno di questi è Euphronios "il saggio" - attivo tra 520-470 a.C. - decora vasi di grandi
dimensioni, soprattutto crateri: inizia come pittore per poi diventare proprietario di bottega. L’interesse per
lo studio della figura maschile nuda è un tema ricorrente nelle opere di Euphronios.

Cratere di Euphronios. Al centro di una questione legale, poiché era giunto


al Metropolitan di NY attraverso il mercato clandestino, e dopo una lunga
trattativa diplomatica è stato restituito all’Italia, ora è al Museo di
Cerveteri. Sul lato principale abbiamo un episodio dell’Iliade: la morte di
Sarpedonte, figlio di Zeus, del contingente dei Lidi (alleati dei Troiani);
viene ucciso da Patroclo. Hermes sovrintende il trasporto del cadavere del
figlio di Zeus, che viene trasportato da due figure alate: il Sonno e la Morte
(abbiamo i nomi nelle iscrizioni). La scena è incorniciata da due figure di
guerrieri che suggeriscono anche il contesto bellico.

Euphronios pone al centro il cadavere del giovane, dal quale ancora sgorga il sangue: scena tragica. Molto attenta la
definizione dell’anatomia. Euphronios è abile nel definire i volumi con il pennello > linea più o meno spessa, pittura più o
meno fluida. La capigliatura è resa in modo preciso, con maggiore o minore densità di vernice nera. Le due figure alate si
inclinano verso il centro, scandito dalla verticalità di Hermes, che osserva il trasporto tragico. Notiamo la sapiente
composizione impostata su una serie di linee geometriche: la linea verticale di Hermes, quella orizzontale del corpo di
Sarpedonte, e i due corpi curvilinei dei guerrieri alati che focalizzano l'attenzione sul cadavere di Sarpedonte. Nel piede
sx si intravede anche un tentativo di scorcio. Grande abilità nel disegno, che rende perfettamente i versi di Omero, Iliade
XVI: “...dallo da portare ai rapidi portatori, al Sonno e alla Morte...”, che lo deporranno in Licia, dove sarà onorato da
fratelli e compagni, secondo il dovuto onore dovuto ai morti.

Cratere di Euphronios 2, Louvre Lotta tra Eracle ed il gigante Anteo; l’episodio dà


la possibilità di studiare il corpo maschile in tensione. Anche le pose delle due
figure vedono uno studio meditato. Linee modulate e con diversa densità di
vernice danno plasticità alle figure. Vernice densa è usata per i ricci di Eracle, che
addirittura appaiono in rilievo sulla fronte. Vernice diluita va a delineare le chiome
del gigante: sono scomposte, indice di barbaria, forza, crudeltà, diversamente da
Eracle (barba composta, capelli composti, con riccioli sulla fronte e sulla nuca):
eroe civilizzatore che sconfigge Anteo, che come gigante incarna il mondo incivile,
lontano dal mondo greco.
Il gigante, che sta cedendo, sospira dalla bocca dischiusa che mostra i denti, occhi
realizzati con pupilla frontale, accenno delle ciglia che rendono più forte
espressività. Imperturbabilità di Eracle (volto ideale che non viene scalfito
neanche dallo sforzo e dalla fatica immane).

Cratere di Euphronios 3 con scene di palestra, Berlino. Esibisce su uno dei lati una scena di palestra, dove
gli atleti si preparano per gara o si detergono, assisiti dai paidotribes. Ciò permette di esibire figure in
svariate pose (frontale, profilo, da dietro) e posizioni. es: figura di atleta con braccio alzato, con evidente
difficoltà del pittore nel rendere il raccordo tra braccia e busto. In un’altra figura, a dx, si tenta di raccordare
diversi piani con lo scorcio del piede. Scene di palestra sulla base del muro di Temistocle, confronto non
solo tematico, ma anche di studio anatomico delle figure.

Psykter di Euphronios con donne al simposio, Ermitage. Rappresenta donne al banchetto, forse etere o
donne di rango elevato, impegnate in rituali saffici.
Psykter di euphronios con corteggiamenti, Malibu : su questo pskyter, lo stesso Euphronios raffigura sé
stesso, nel momento del banchetto, vestito come un raffinato cittadino ateniese .

Seconda generazione:
Accanto ai decoratori di grandi vasi, operano anche artigiani che dipingono soprattutto kylikes e vasi di
piccole dimensioni (come Oltos e Epiketos).
I Pionieri delle figure rosse porteranno al rapido compimento di tutte quelle ricerche che vediamo prima
impostate e poi sviluppate in questi anni e già intravediamo nella seconda generazione dei pioneri delle
figure rosse le premesse del primo periodo di età classica. Rivale di Euphronios, è Euthymides (il buono).

Anfora di Euthymides, Monaco. Su quest'anfora,


troviamo la famosa scritta "Come mai Euphronios",
dove si è voluta leggere il vanto di superiorità di
Euthymides nei confronti dello stimato concorrente.
Da un lato, troviamo figure di comasti, che ballano
dopo un banchetto: consente al pittore di studiare
forme del corpo in movimento, con grande eleganza;
scorcio costituito dalla colonna vertebrale obliqua
della figura centrale, quindi leggermente inclinata
verso l’interno, con gambe e glutei più vicino allo
spettatore, e busto e testa piani più arretrati verso
profondità.
Dall'altro, la vestizione delle armi da parte di
Ettore,alla presenza della madre Ecuba e padre
Priamo.

Hydria di pinthias con audizione musicale.


Phintias è altro pioniere delle figure rosse,
e in quest'hydria raffigura a sua volta lo
stesso Euthymides nell'atto di suonare la
cetra davanti al maestro.

Ci sono anche pittori che lavorano su vasi più piccoli, soprattutto coppe, ad esempio Oltos. Kylix di Oltos,
Museo Arch. di Tarquinia. Il soggetto è il concilio degli Dei, seduti accanto a Zeus, il quale porge al coppiere
Ganimede un contenitore in cui versare il vino. Ogni divinità ha il proprio attributo. Oltos è abile
nell’utilizzare la linea del pennello, che descrive panneggi morbidi e figure aggraziate.

Terza generazione: tardo arcaismo


Primi vent’anni del V secolo, il periodo drammatico delle guerre persiane, che segnerà il mondo greco.
Tuttavia la produzione attica non diminuisce, il vasellame viene prodotto per banchetti, simposi, offerte
votive e corredi funerari. Tra i pittori, distinguiamo 2 personalità: 1. Pittore di Kleophrades 2. Pittore di
Berlino.

Anfora di Kleophrades, Monaco. Questo pittore


opera presso la bottega del vasaio Kleophrades.
Anfora con componenti di un corteggio dionisiaco:
accanto al dio ci sono 2 menadi; sul lato opposto
campeggia un sileno con altre 2 menadi ai suoi lati.
Figura di Dioniso: riccamente dettagliata, con un uso
ormai disinvolto della tecnica. La vernice più densa va
a definire le chiome, rivolto a sx. Le chiome scure
sono separate dal nero del fondo da una linea
risparmiata dalla vernice. Una vernice aranciata
delinea la pelle felina che il dio porta sulle spalle.
Marcate le linee che delineano il panneggio del manto
del dio. Foglie di vite in colore paonazzo demarcano il
fondo. Sull’altro lato il pittore mostra tutta la sua
abilità; un sileno suona il doppio flauto. Una delle
menadi colpisce per l’arditezza dello scorcio del piede.

Ma è nei particolari che si mostra la piena maturità del pittore nell’uso della tecnica: la vernice diluita permette di
creare nella veste delle linee quasi in trasparenza che permettono di vedere le sinuosità del corpo. Per realizzare i
capelli chiari dell’altra menade, il pittore usa abilmente il pennello e la vernice diluita, e divide la capigliatura dallo
sfondo nero tramite una linea risparmiata. Effetti cromatici molto belli.

Hydria del pittore di Kleophrades, Nola, Napoli: Scena di Ilioupersis; scena costruita forse ispirandosi ad un
opera ad affresco o su tavola, infatti la composizione è estremamente ricca ed elaborata per essere frutto
della bottega di un ceramista. Va tenuto in conto che sono gli anni delle guerre persiane: la guerra è tema
attuale, seppur qui trasposta nella mitologia. C’è anche un elemento del paesaggio, palma, per alludere alla
posizione di Troia, in Oriente; la palma è resa in scorcio. Alla sua dx abbiamo la drammatica scena
dell’uccisione di Priamo da parte di Neottolemo: l’anziano, seduto sull’ara, si copre il volto disperato,
poiché ha sul grembo il cadavere di Astianatte. Una serie di ferite indica la barbarie della guerra. Impietoso
si scaglia Neottolemo. A dx abbiamo una donna troiana che si difende, facendo cadere a terra un greco. A
sx della palma abbiamo un altro episodio tragico, lo stupro di Cassandra, la quale sta abbracciando l’antico
simulacro di Atena, il Palladium, ma ormai Aiace l’ha afferrata per i capelli. Il corpo di lei è nudo (iconografia
rara per la figura femminile in questo periodo). Ma abbiamo anche una scena di speranza: vediamo Enea,
con il padre Anchise e il figlio. Composizione ritmica, che contrappone lo slancio delle figure in piedi al
raccoglimento dei corpi accucciati o inginocchiati.

Pittore di Berlino: attivo tra il 500-480 a.C. La sua particolarità è quella di dipingere figure singole, o gruppi
di figure sovrapposte gli uni agli altri.

Anfora del Pittore di Berlino, Berlino, Musei Statali. Sovrapposizione di tre


figure, Hermes, un satiro, un cerbiatto che alza la testa a causa del rumore e
del movimento che lo circondano. Si concentra sull'immagine virile; su un lato
abbiamo un satiro, un cerbiatto ed Hermes. Sull’altro lato abbiamo un
secondo satiro, ad alludere al corteggio di Dioniso. Nel gruppo del lato 1, il
pittore si impegna a distinguere le varie figure; Hermes ha un kantharos ed
un oinochoe: il cerbiatto guarda verso il kantharos, mentre il satiro è
sovrapposto ad Hermes, entrambi raffinatamente panneggiati.
Cratere del Pittore di Berlino, Louvre. Un lato ha la figura di Zeus, il lato opposto ha il coppiere amato dal
dio, Ganimede. Figura umana di Zeus in moto verso dx, accompagnata dal panneggio. Sull’altro lato
abbiamo Ganimede, che si muove con ampia falcata, accompagnato dalle braccia. L’attenzione alla resa del
movimento e della muscolatura (tesa a reggere il peso nelle parti inferiori) trova confronto con la Statua di
Efebo di Kritios. Il fondo è ricoperto da una semplice verniciatura nera, molto lucente: lo spazio è riservato
totalmente all’anatomia della figura in movimento.

Coppa della fonderia, da Vulci: coppa presenta una


vivace scena di bottega, ricca di particolari e di
oggetti ripresi dal vero: assistiamo infatti alla
lavorazione di due grandi statue in bronzo, di un
guerriero e di un atleta.

L'ETÀ SEVERA (480-450 a.C)

Segna il passaggio tra Età arcaica ed età classica.

• 480: battaglia di Salamina


• 479: battaglia di Platea

Con queste due battaglie si conclude la seconda guerra persiana

• 450: fa schematicamente riferimento alla conclusione effettiva dei conflitti con i Persiani, con una
pace firmata nel 449.

Questo breve periodo è molto vivace e ricco di raggiungimenti nel campo delle ricerche di scultori e pittori.
Perché età severa? L'aggettivo "severo" ha una sua storia: traduce nella nostra lingua due termini, sia i
termini "durus, rigidus, austerus", usati nelle fonti antiche latine sia il termine tedesco "streng", usato da
Winckelmann per definire la scultura precedente a Fidia, grande studioso dell’antichità classica, autore di
"La Storia delle arti figurative nell’Antichità" (1764). Questo aggettivo deriva dall’osservazione delle opere,
in particolare le opere della statuaria, che hanno perso quel caratteristico "sorriso" della scultura arcaica e
hanno soprattutto perso ogni tipo di manierismo tardoarcaico (cfr panneggi delle figure, capigliatura): si
prediligono forme più essenziali, che meno indulgono alla decorazione, ma più attente all’armonia delle
parti e allo studio del movimento. In questo periodo, nasce un'arte figurativa che affronta i primi tentativi
di introspezione: l'uomo non viene più solo rappresentato nella sua essenza fisica, ma come essere
pensante (siamo non a caso nel periodo in cui nasce la tragedia). Nella statuaria viene progressivamente
abbandonata l'assialità arcaica, infatti ora il tronco è bilanciato sulle gambe, una portante e una flessa, e
tutte le membra si muovono in conseguenza assecondando la diversa distribuzione del peso corporeo. La
semplicità dei panneggi riflette una nuova armonia, mentre la cura riservata alla resa delle vene, arterie,
muscoli rivela le conquiste della nuova scienza medica.

Nascita della pittura monumentale.


A detta degli antichi, l’arte, che, meglio di tutte, sa esprimere l’uomo e il mondo in cui vive è la pittura (il
poeta Simonide definisce la pittura "poesia muta"). In età severa, nasce la pittura monumentale,
pienamente autonoma e non più completamento dell'architettura o scultura.
Nella perdita totale della pittura di questo periodo, una preziosissima documentazione è costituita dalle
fonti letterarie: esse indicano come gli iniziatori della grande pittura Polignoto di Taso e Micone di Atene
(ricordato dalle fonti per le sue scene di battaglia ricche di scorci e di movimento, come l'affresco con la
battaglia di Maratona)

Polignoto di Taso. Nulla ci è giunto delle sue opere, ma le fonti letterarie lo citano come l'autore di pitture
su tavola, collocate in luoghi importanti come presso Atene, il Grande Portico dipinto, la Stoà poikile, con la
scena dell'Ilioupersis o come presso il Santuario di Delfi, nella Lesche degli Cnidi, con la scena
dell’Ilioupersis e della Nekyia di Ulisse (ovvero la sua discesa agli Inferi). Aristotele: sottolinea la capacità di
Polignoto di delineare l’indole, la natura morale dei personaggi da lui dipinti. Plinio il vecchio: nella sua
Naturalis Historia, afferma che Polignoto è il primo a rendere la differenza dei caratteri e degli stati
d'animo, a raffigurare uomini con la bocca aperte che lasciava intravedere i danti, a rappresentare donne
con abiti trasparenti. Pausania: egli descrive puntualmente le pitture ad Atene e a Delfi, soffermandosi su
come il pittore, piuttosto che raffigurare gli episodi più drammatici di un evento preferisce raffigurare il
momento che li precede o li segue. Da Pausania, comprendiamo qualcosa in più, quando si sofferma su un
aspetto compositivo della pittura di Polignoto, ovvero che i personaggi sono raffigurati su diversi livelli e a
gruppi, nascondendo parzialmente alcune figure dietro la linea irregolare del terreno, ovvero le cosiddette
quinte di terreno: lo comprendiamo meglio, perché quest’osservazione trova un riscontro nella pittura
vascolare di età severa.

Uno dei pittori dell’età severa (intorno al 460-450 a.C.) il Pittore dei Niobidi, usa questo espediente
compositivo delle quinte di terreno, attribuito dalle fonti a Polignoto.

Cratere del pittore dei Niobidi. Il cratere, su un lato, raffigura la strage dei
Niobidi (figli di Niobe), attuata da Apollo e Artemide, poiché Niobe (pecca di
ubris) si era vantata di aver avuto una prole ben più numerosa di Latona. Le
figure sono su più livelli (come dice Pausania a proposito di Polignoto); a
indicare i livelli ci sono delle linee chiare, su cui poggiano le figure. Ci sono poi
elementi paesaggistici, come un esile alberello. Non vi è alcuna correzione
ottica in base alla prospettiva. Tutte hanno lo stesse dimensioni, ma in ogni caso
la composizione ha una sua efficacia. Ben definita l’anatomia maschile ed il
panneggio femminile, a testimonianza delle ricerche di effetti naturalistici.
Sull’altro lato abbiamo una scena di difficile interpretazione, con protagonisti
alcuni eroi, disposti su più livelli su un terreno accidentato e ricco di asperità. Si
riconoscono con certezza solo Eracle con la leonte e la clava e a sx la dea Atena:
secondo alcuni discesa di Eracle agli inferi, ispirata alla Discesa di Odisseo agli
Inferi, che sappiamo fu raffigurata da Polignoto a Delfi, secondo altri, gli
Ateniesi alla vigilia della battagli di Maratona, o impresa degli Argonauti.
Costruzione attenta dell’anatomia. Scena sapientemente costruita con livelli e
quinte di terreno: figure disposte più liberamente in uno spazio costruito:
osservando questa scena, ci rendiamo conto che le figure in alto si dispongono
in posizione più arretrata, mentre le figure in basso in posizione più vicina a noi.
Notiamo inoltre, come i personaggi abbiano un volto serio e pacato, ognuno
chiuso nel proprio mondo interiore.

Pittura parietale della Magna Grecia

Alcune pitture parietali originali sono giunte fino a noi dalle poleis dell'Italia meridionale, come la
decorazione della tomba del truffatore, a Paestum (480-470 a.C.). La tomba prende il nome dalla scena
raffigurata sul coperchio della tomba (tuffo simbolico dal mondo della vita a quello dell'oltretomba),
mentre sui lati corrono le immagini del simposio. Ritroviamo l'attenzione nei confronti della resa anatomica
di età severa, e la vivacità dei gesti, che trovano riflesso nella coeva pittura vascolare a figure rosse.
Ceramica: stile severo
L'interesse nei confronti della ponderazione e di una resa più naturalistica del corpo umano si riflette anche
nella pittura vascolare: l'occhio si apre verso l'interno spostando in avanti la pupilla, i panneggi presentano
pieghe verticali e pesanti, i volti perdono le loro angolosità arcaiche. Uno dei principali pittore dello stile
severo, attivo tra il 480-470 a.C, è pittore di Brygos: ama il movimento e l'animazione.

Skyphos del pittore di Brygos con comasti, da Nola.


Le due coppie procedono a ritmo cadenzato come in una
danza, i corpi inclinati all'indietro, i visi accostati, con
netto contrasto tra i corpi nudi maschili, coperti solo da un
mantello, e i corpi femminili, coperti da panneggi che
ricadono in pieghe pesanti e pastose.

Kylix del pittore di Bhrygos con ilioupersis, da Vulci. In


questo kylix, il Pittore di Brygos sceglie di raffigurare la
distruzione della città di Troia, con un chiara allusione al
periodo delle guerre persiane. Al centro gruppo concitato
formato da Priamo e Neottolemo, a sinistra Menalao ed
Elena. La drammaticità della scena è enfatizzata
dall'enorme scudo rotondo e dal grande tripoide al
centro della scena.

Storia del santuario:

Santuario panellenico, collocato nella regione dell'Elide, nel Peloponneso. Il cuore del santuario è costituito
dalla tomba di Pelope, che rappresenta punto di partenza delle gare, prima della costruzione dello stadio.
Olimpiadi dal 776 a.C. al 394 d.C., quando l'editto di Teodosio abolisce le Olimpiadi; in seguito, il santuario
sarà abbandonato.

Olimpia, Tempio di Zeus. Uno degli edifici più famosi dell’antichità, ancora visibile in età romana, in quanto
descrittoci puntualmente da Pausania, nel II secolo d.C., ma completamente crollato a seguito di un
terremoto nel VI secolo, tuttavia le rovine in loco permettono restituzione della pianta e dell’alzato.
Pausania riporta che l'edificio viene costruito nel 472 a.C., con il bottino della vittoria degli Elei sulla città di
Pisa, antica capitale della regione, quindi il 472 a.C. costituisce importante terminus ante quem.
Inoltre, riferisce che sul frontone del tempio, come acroterio centrale, c'era una Nike dorata sotto la quale,
c’era uno scudo dorato portato ad Olimpia dagli Spartani dopo la vittoria a Tanagra contro gli Ateniesi nel
457: lo scudo viene collocato quando il tempio è già finito: 457 a.C. costituisce importante terminus post
quem. Quindi, tempio viene costruito tra il 472-457 a.C. Pausania riporta anche il nome dell'architetto,
ovvero Libon dell'Elide, la regione in cui si trova Olimpia (uno dei primi nomi di architetti dell'antichità).

La novità per dare maggior armonia sia all’insieme e sia a tutte le parti che costituiscono l’insieme, sia nelle dimensioni della
pianta sia nell’alzato è l'adozione di un modulum, (ovvero l'unità di misura alla base dei rapporti tra le varie parti
dell'edificio), costituito dalla lunghezza dell'interasse delle colonne, ovvero la distanza, calcolata alla base, nel punto di
appoggio, tra il centro di una colonna e il centro dell'altra colonna: tutte le misure del tempio sono multipli o sottomultipli di
questa misura di base. Come ad Egina, sono messe in opera correzioni ottiche per alleggerire la pesantezza dell'ordine
dorico: i fusti delle colonne hanno un leggero rigonfiamento al centro, con linee non perfettamente oblique, ma
leggermente convesse verso parte centrale (entatis), e sono leggermente inclinate verso l’interno, perché l’occhio le
percepisce come perfettamente verticali. Edificio in calcare locale, con membrature architettoniche e parti aggettanti della
trabeazione sottolineate da ricca policromia, e tetto in marmo. La Sima si caratterizza per presenza di un gocciolatoio in
forma di protoma leonina, realizzata in marmo insulare (acqua si incalana attraverso le fauci del leone). Una delle colonne è
stata rialzata in occasione delle Olimpiadi del 2004 in Grecia. Va naturalmente integrata con lo stucco bianco, che protegge
le superfici calcaree dagli agenti atmosferici, ed una decorazione dipinta. L’edificio arrivava ad una ventina di metri di
altezza, era dunque molto imponente: i lati lunghi superano i 64 m di lunghezza.

Sono decorate le metope del pronao e dell'opistodomo, i frontoni, mentre le metope della peristasi sono lisce.
Probabilmente costruzione inizia attorno al 460 a.C. e dapprima vengono realizzate le metope. I frontoni dell’edificio erano
interessati da una ricca decorazione scultorea, con statue a tutto tondo che raccontano leggende inerenti al tempio e si
fanno portatrici di messaggi per l’osservatore. Frontone est = raffigurazione della leggenda dell’eroe di Olimpia, Pelope;
secondo questa leggenda, Enomao, re di Pisa, aveva ricevuto un profezia: il genero (sposo di Ippodamia) sarebbe stato causa
della sua morte; perciò, il re sfidava tutti i pretendenti in una corsa di carri: faceva partire prima i giovani, poi li raggiungeva e
li trafiggeva con la lancia. Fino a che non arriva Pelope, che non si fa raggiungere da Enomao: o perché i cavalli erano donati
dal dio Poseidone o, in un’altra versione, aveva corrotto l’auriga di Enomao. Enomao allora si uccide, e Pelope diviene
signore dell’Elide. La leggenda, tanto cara agli abitanti dell’Elide, viene qui raffigurato il momento precedente alla gara,
momento teso e denso di ansia: l’osservatore, che sapeva la storia, riflette sul senso del destino e la sua ineluttabilità. I
protagonisti sono tutti posti frontalmente, garante del destino è Zeus (Titolare del tempio), che scandisce con la sua
monumentalità l’asse del frontone. Ne rimangono i resti: corpo nudo, avvolto intorno ai fianchi c’è un panneggio dalle poche
pieghe, ben corpose. Quest'iconografia ha lo scopo di far meditare l'osservatore sulla ineluttabilità del destino, sul fatto che
l'uomo non può cambiare in nessuno modo il proprio destino. Si intuiscono i tratti dello stile dello scultore detto Maestro di
Olimpia (a noi non noto): le proporzioni sono coerenti, la resa della muscolatura è morbida ed essenziale, i panneggi sono
sobri ma pesanti, consistenti. Zeus va immaginato con i fulmini nella mano sx. Si sono fatte varie ipotesi circa la disposizione
dei protagonisti, attorno a Zeus: Enomao, Pelope, Ippodamia, Sterope (moglie del re). Nella ricostruzione del Museo di
Olimpia si è scelto di porre a sx (ovvero dx di Zeus) Enomao e Sterope, a dx Pelope e Ippodamia. La soluzione più
convincente, oggi, è opposta. Statua di Enomao e statua di Pelope: Enomao con barba appare come un nudo possente, con
muscolatura morbida, ben resa nei passaggi di piano. Anche il panneggio è ben reso, con gonfie pieghe; la bocca dischiusa ne
indica forse la crudeltà. Pelope ha gli stessi tratti stilistici, in particolare nell’anatomia. Statua di Ippodamia e statua di
Sterope: Ippodamia è colta nell’atto di svelarsi il capo: secondo l’iconografia delle spose.
Il panneggio prevede dei pepli piuttosto pesanti, definiti in modo sobrio ed essenziale, che non cade nell’eccessivo
decorativismo.
Ai lati del frontone: dx: quadrighe disposte allineate e aurighi; sx: personaggi seduti e inginocchiati. Agli estremi dx e sx
abbiamo due figure distese che personificano dei fiumi di Olimpia: Alfeo e Cladeo, che danno l’indicazione geografica.
Permangono anche i resti di cavalli, aurighi ed una figura di anziano interpretato come indovino, spunto che non sarà
utilizzato nei secoli successivi, fino almeno all’età ellenistica, quando la figura dell’anziano verrà nuovamente studiata.
Questa figura di anziano, con il palmo portato al volto, sembra sapere l’esito dell’impresa (ecco perché ritenuto un indovino).
Ben realizzati i dettagli che ne determinano l’età avanzata. Anche di uno dei fiumi si conservano i resti. Lo stile dello scultore
è deducibile: impostazione semplice, con figure immobili, dunque drammatiche e suggestive: si può presagire l’intera
vicenda. La Regina indossa un panneggio più movimentato.
Frontone ovest = la composizione ha qui invece una ricca serie di movimenti. Racconta il mito della Centauromachia
connesso con le nozze di Piritoo con la figlia del re dei Lapiti (antico popolo della Tessaglia); alle nozze partecipa anche
Teseo, amico dello sposo. I centauri, durante il banchetto, ubriachi, assaltano la sposa e le donne partecipanti alla festa.
Questo assalto è l'elemento cardine della raffigurazione. Intervengono Piritoo e Teseo. Al centro del frontone, la figura di
Apollo, garante del giusto esito: il trionfo dell’ordine e delle regole sul caos. La figura di Apollo campeggia nella scena: è
nudo, con un breve mantello dell'esiguo panneggio sulla spalla destra, scende sulla schiena e si avvolge al braccio sx. Tesa è
la mano dx, il volto guarda a sx: nel corpo notiamo bene lo stile del Maestro di Olimpia. Notevole la definizione del volto e
della capigliatura: contrasto tra levigatezza del volto e la resa chiaroscurale delle chiome, molto morbide. Apollo si pone tra
Teseo, che combatte con la doppia ascia, e Piritoo (sx); Piritoo tenta di difendere la sua sposa dal Re dei centauri, che l’ha già
afferrata, ma questa gli ha dato una gomitata. Il centauro accusa il colpo ed è sotto sforzo, mentre il volto della donna è
imperturbabile, a segnare la diversa statura morale: i buoni hanno tutti volti sereni, a sottolineare la razionalità. A sinistra,
abbiamo altri gruppi, travolti da grande dinamismo, con figure disposte in modo complesso 3 a 3; es.: gruppo con lapitessa
afferrata per i capelli da un centauro ed un lapita che corre in aiuto. Sconcertate appaiono le figure di donne anziane che
osservano la scena. A destra, dopo la statua di Teseo che combatte, abbiamo un lapita che combatte con un centauro, il
quale gli morde il braccio (gruppo del morditore). Poi ancora un analogo gruppo con centauro, lapitessa afferrata per la vita
dal centauro ed il lapita che con forza trafigge il mostro. Questo frontone induce a meditare sull’ordine garantito dal dio
Apollo, sul trionfo che ha la meglio sul caos e sull’anarchia brutale dei Centauri, che qui violano la legge dell’ospitalità e del
rapporto reciproco, i valori fondanti della comunità sono inerenti ai compiti di Apollo. Invita a riflettere su come non devono
essere violate le norme della legge civile, come legge ospitalità.

Il tempio ospitava ancora molte sculture architettoniche, ad esempio sulle fronti di pronao e opistodomo vi erano delle
metope scolpite, con soggetto le 12 fatiche di Eracle (6 sul pronao 6 sull’opistodomo). Ricordiamo che è Eracle che fonda i
Giochi, va dunque qui celebrato. Il programma figurativo era ricchissimo. Eracle è un modello, che con le sue imprese
acquisisce l’immortalità. Non tutte le metope sono in buono stato di conservazione. Sono ad altissimo rilievo ed organizzate
secondo schemi geometrici. Pausania descrive puntualmente i soggetti, partendo da lato est, procedendo da sx verso dx.
Lato orientale, da sx verso dx:
1) Cattura del cinghiale di Erimanto.
2) Cattura delle cavalle di Diomede.
3) Eracle e Gerione.
4) Eracle e i pomi delle Esperidi.
5) Cattura di Cerbero.
6) Pulizia delle stalle di Augia, re dell'Elide.

Lato occidentale, da sx verso dx:


1) Cattura del leone di Nemea.
2) Uccisione di Idra.
3) Eracle e gli uccelli Stinfalidi.
4) Eracle e il toro di Creta.
5) Cattura della cerva di Cerinto.
6) Conquista del cinto di Ippolita, Regina delle Amazzoni.

Queste metope permettono di capire le nuove ricerche dell’età severa: studio attento dell’anatomia della figura in
movimento, ricerca di essenzialità sia nelle acconciature sia nei panneggi delle figure femminili, senza nulla di superfluo, senza
nessun elemento decorativo. Inoltre, si è notato come la figura di Eracle sembri passare dall'atteggiamento di incertezza della
prima metopa all'atteggiamento deciso ed eroico delle successive, mentre la Dea Atena dall'aspetto giovanile della prima
metopa si avvia ad una maturità sempre maggiore.
“Eracle sconfigge gli uccelli di Stinfalo”, città in Arcadia sul lago omonimo
(uccelli con ali, artigli e becco di bronzo) e li consegna alla protettrice Atena.
Eracle si staglia a dx seguendo una linea verticale. Atena, seduta su una
roccia, sta per afferrare una della preda; il panneggio appena mosso da una
serie di pieghe essenziali a costruire la figura e sottolinearne il movimento e
anche acconciatura è essenziale. La quinta di paesaggio, dunque, interessa
anche gli scultori, non solo i pittori. Sobrietà e forza tipiche del Maestro di
Olimpia. Eracle teneva l'arco nella mano sx e un uccello nella dx, che come
ricorda Pausania erano entrambi in bronzo.

“Pulizia delle stalle di Augia”. Vediamo Eracle nella sua impresa di


pulizia delle stalle del sovrano, che in passato non erano mai state
pulite; accanto a questo, la Dea Atena, in tutta la sua potenza, che è
partecipe e compagna all'azione. L’eroe è disposto su una linea
diagonale, mentre Atena su una linea verticale. Ben conservato il
panneggio del pesante peplo della dea, con pesanti pieghe a canna
d’organo che evidenziano il movimento della gamba destra.

“Conquista dei pomi delle Esperidi”; nella scena, Eracle


sostituisce Atlante, mentre Atlante è andato a recuperare i pomi.
Eracle al centro, su una linea verticale, mentre Atena a sx lo aiuta.
A dx, verticale, Atlante, che regge i pomi nelle mani.

Nel tempio vi era la statua di culto, sistemata dopo la


costruzione: famosa e celebrata dagli scrittori antichi. Fu
realizzata dal celebre Fidia, con una tecnica che assemblava oro
e avorio. Era dunque una statua crisoelefantina: nucleo in
legno, le parti nude in avorio e le parti panneggiate e gli
elementi decorativi erano in lamina d’oro. Era una statua
enorme (come dimostra il basamento); il dio era in trono
(decorato da episodi mitici) con lo scettro nella sx e una Nike
nella dx. Ancora nel II sec. d.C. alcune monete romane ne
riproducevano il volto barbato, con il capo cinto dalla corona
d’ulivo e l’espressione imperturbabile, con i tratti idealizzati a
sottolineare bellezza e potenza.

Magna Grecia

Alcuni edifici meglio conservati, in età meridionale e in Sicilia, ci aiutano nel ricostruire l'aspetto originario
del Tempio di Zeus e cogliere le nuove norme dell'ordine dorico: perfetta simmetria della cella, con
opistodomo che corrisponde a pronao, cadenza regolare delle colonne della peristasi, messa a punto del
conflitto angolare, rapporto tra le parti e il tutto, fondato sul modulo, un'unità di misura.

Tempio di Nettuno, Paestum: molto vicino al tempio di Olimpia, ma rivela una sua autonomia nella scelta
di una peristasi di 6 x 14 colonne, che si discosta dal canone greco, ma diventerà canonica nei templi della
Magna Grecia e della Sicilia. Cella, dotata di pronao e opistodomo distili in antis, è suddivisa in tre navate da
due file di 7 colonne ciascuna e alla cella si accede tramite una grande porta posta tra due muri, che celano
le scale per accedere al soffitto dell'edificio, per le necessarie operazioni di manutenzione. Né i frontoni né
il fregio erano interessati da una decorazione scultorea.

Tempio di Hera, Selinunte: pianta molto allungata, legata forse alla necessità religiosa di mantenere
l'adyton insieme all'adozione dell'opistodomo, che regolarizza la pianta della cella: la peristasi risulta di 6 x
15 colonne, molto fitte e slanciate, compensate da una trabeazione particolarmente alta. A differenza di
Paestum, la cella è priva di colonnati interni e il tempio era interessato da una decorazione scultorea.

Tempio della Concordia, Agrigento: costruito attorno al 440 a.C. L’ottimo stato di conservazione del
tempio si deve al fatto di essere stato trasformato in una chiese cristiana alla fine del secolo VI d. C. Pianta
canonica con peristasi di 6 x 13 colonne, cella, dotata di pronao e opistodomo distili in antis, a cui si accede
tramite una grande porta posta tra due muri, che celano le scale per accedere al soffitto dell'edificio, per le
necessarie operazioni di manutenzione.

Scultura bronzea

La perdita quasi totale della statuaria in bronzo, genere preferito dei grandi maestri dello stile severo, ci
obbliga a studiare su un ridotto numero di originali e su un più ampio numero di copie di età romana: le
statue in bronzo giunti fino a noi sono preziosissime, non perché non esistevano statue in bronzo, ma
perché il bronzo è materiale difficilmente giunto fino a noi, perché il bronzo poteva essere fuso e
rimpiegato per valore intrinseco del metallo. I Romani, particolarmente nell'età tardo-repubblica ed età
imperiale, commissionano delle copie di opere greche famose, per sistemarle all'interno delle loro ville e in
spazi e edifici pubblici: questo è il riflesso dell'ammirazione dei romani per arte greca e queste copie ci
permettono di conoscere, seppure a grandi linee, buona parte della produzione artistica del mondo greco,
andata perduta, soprattutto quelle opere realizzate in bronzo.

All’inizio del V viene perfezionata la tecnica delle statue in bronzo di grandi dimensioni, che permetteva
figure più morbide, più dinamiche, più complesse (come ricordano le fonti letterarie).

Statuetta di atleta, da Sicilia. Tra gli originali, un


bronzetto di atleta (19 cm), rinvenuto in Sicilia: gamba
destra sostiene il peso del corpo, che si contrae sul lato
destro, testa rivolta verso destra, pettinatura liscia ed
essenziale. Questa statuetta, datata tra 470-460 a.C.,
potrebbe riflettere la statuaria della scuola di Pitagora
di Reggio, molto citato dalle fonti, ma di cui non si
conservano opere firmate e quindi attribuibili.
Un altro esempio molto famoso sono le due statue bronzee
rinvenute nel mare di Riace, in Calabria.
Statua di guerriero A da Riace, 460, Reggio Calabria, M. Arch.:
figura stante con movimento dell’arto inferiore che si riflette
nella parte superiore del busto: la gamba sx è avanzata e
flessa, libera dal peso, che è sostenuto della dx. La
muscolatura del torace riflette il movimento: il fianco dx si
contrae, quello sx è rilassato. Ancora inespresso è il
movimento nella parte alta del torace (spalle e pettorali sono
allineati), invece la testa è voltata a sx. Molto ben espressa è
la muscolatura. Meticolosa l’indicazione delle ossa e delle
vene. La testa è idealizzata, nell'intento di rappresentare la
bellezza maschile; riccioli fortemente chiaroscurale in capelli e
barba. Inserti vitrei negli occhi, lamina in rame per le labbra e
argento per i denti conferiscono vivacità al viso. Il guerriero va
completato con lancia e scudo.

Statua di guerriero B, 430, da Riace. Più tarda nella datazione, poiché appare più sinuosa: gamba destra portante e lato
destro del corpo è decisamente contratto, provocando il conseguente abbassamento della spalla destra. Il guerriero va
completato con lancia e scudo.

Per le differenze stilistiche, sono state prodotte da due diversi scultori e in due luoghi diversi. Il Bronzo A viene attribuito ad
Aghedalas di Argo, mentre il Bronzo B ad Alcamene di Atene, entrambi citati dalle fonti. Probabilmente raffigurano due eroi
eponimi, collocati sul monumento degli eroi eponimi nell'Agorà di Atene.

Statua di auriga, Delfi: statua in bronzo di dimensioni superiori al vero,


rinvenuta nel Santuario di Apollo a Delfi, probabilmente giunta fino ai
nostri giorni, perché viene sepolta da una frana, nel terremoto del 373
a.C. Statua appartenente al monumento celebrativo per la vittoria ai
Giochi Pitici. Comprendeva anche carro, cavalli e figura di palafreniere (di
cui abbiamo frammenti: tre gambe di cavallo, una coda, un braccio di
giovane fanciullo, forse un inserviente che teneva il cavallo). L'auriga è
posto saldamente sul carro, su una linea verticale; solo la parte superiore
del volto, ha una lieve torsione, mentre la testa segue la direzione del
busto; il momento è quello in cui l’auriga, dopo la vittoria, fa un giro del
campo per ricevere le acclamazioni del pubblico. L’auriga veste una lunga
tunica (soffici le pieghe superiori, longitudinali e tese quelle inferiori) con
una cintura in vita. Il volto è molto curato, presenta la pelle levigata, che
contrasta con i riccioli, che incorniciano il volto. Per evidenziare gli occhi,
sono stati posti degli elementi in pasta vitrea. Abbiamo una base
frammentaria, che si può porre in relazione con l’auriga, con un’iscrizione
con il nome di Polyzalos, tiranno di Gela dal 478 al 473, dunque da una
conferma di datazione in età severa.

Copia dei Tirannicidi. Si tratta di due statue di chiaro significato politico: nel 514 Armodio (più giovane) e Aristogitone (più
anziano) avevano attentato alla vita di Ipparco, riuscendo, mentre Ippia sopravvisse. Nel 510 Ippia viene cacciato e ai
tirannicidi è eretto un monumento, commissionato al famoso scultore Antenore (= Kore Acropoli e frontone est a Delfi). Il
monumento era collocato in ottima evidenza, nell’Agorà (Piazza di Atene, cuore pulsante della politica e dell’economia). Nel
480 i Persiani invadono la città e portano via il gruppo. Nel 477 si provvede al suo rimpiazzamento, con un nuovo
monumento commissionato a Kritios e Nesiotes. I due tirannicidi vengono presentati l’uno accanto all’altro, spalla a spalla,
nell’atto di colpire uno dei tiranni. Aristogitone protegge il compagno che sta calando il fendente. Figure in movimento di
slancio, arti inf. divaricati e accompagnano il gesto delle braccia. Il busto delle figure segue il movimento, con una
descrizione attenta della muscolatura in funzione del gesto. Il bronzo era più elastico del marmo e dunque conferiva
maggior sbilanciamento alle figure; la copia in marmo necessita invece di un sostegno, realizzato dal copista in forma di
albero. Spesso sostegni e puntelli sono indicativi del fatto che si tratta di una copia di un originale in bronzo.
Statua di divinità da capo Artemision (Eubea), 460 circa. Notevole
per la resa del movimento. O Poseidone (se nella dx impugna un
tridente) o Zeus (se impugna un fascio di fulmini): prevale l'ipotesi
che si tratti del Dio Zeus, perché la disposizione delle dita della
mano sembra più adatta a tenere un fascio di fulmini, che il tridente.
Le gambe sono divaricate, la sx è piegata, mentre la dx tocca il suolo
solo con la punta. Il gesto delle braccia è accompagnato dalla
posizione delle gambe. La sx accompagna la mira per il lancio, ed è
tesa. Il volto guarda in direzione del lancio. La muscolatura risponde
bene alla tensione, con un’anatomia molto meditata. La testa è
sapientemente costruita attraverso il consueto contrasto tra volto
fermo e movimento di chioma e barba. Raffigurato in un veloce
movimento. il capo è particolarmente curato dalla scultore, nei
lunghi capelli raccolti sul capo e nella definizione delle ciocche della
barba. Ritroviamo lo stesso slancio in un bronzetto di Diodoma, che
raffigura Zeus nell'atto di lanciare un fulmine (=si tratta di piccola
offerta, che riflette le conquiste della grande plastica in bronzo).

2 copie del Discobolo, di cui Discobolo “Lancellotti” (da Mirone), Roma Museo Nazionale.
Non conosciamo l'originale greco in bronzo, attribuito dalle fonti a Mirone, scultore che
predilige la raffigurazione di atleti, e in modo particolare di atleti in movimento, nel gesto
della loro attività sportiva. Una delle copie migliori è la Copia Lancellotti, dal nome della
famiglia bolognese che l'acquistò; essa risale al II d.C. Capiamo che si tratta di copie di
originali in bronzo per la presenza dei sostegni, come il tronco di albero e puntello che
collega la mano sinistra al polpaccio destro. L'atleta non viene raffigurato nell'atto di
scagliare il disco (cfr. Cratere del Pittore di Kleophrades), ma nell'atto di compiere una
semirotazione, che porterà all'esplosione del gesto finale: autore cerca di condensare in
unico momento tutti i successivi attimi del gesto atletico. Corpo, in appoggio su gamba dx,
esegue una semirotazione, il braccio dx è sollevato e proteso all'indietro, il braccio sinistro
è invece abbassato; il torso, piegato in avanti, con i muscoli contratti e testi, sta ruotando
verso la sua destra per seguire l'ampia gesto del braccio; la testa segue il movimento del
corpo. Si nota una leggera deformazione rispetto alla realtà, ovvero una leggera forzatura
nella disposizione delle gambe e del torace, ma l'intento dello scultore non è rappresenta
la realtà, ma condensare tutte fasi del movimento in un'unica immagine. Confrontro tra il
volto dell'Auriga di Delfi, volto di Armodio del Gruppo dei Tirannicidi, volto di Discobolo, ci
dà l'idea dello stile dell'epoca severa, che accumuna i grande maestri dello stesso periodo.
Gruppo di Atena e Marsia, attribuito a Mirone e collocato
sull’Acropoli: le 2 statue sono state riconosciute in due copie
romane, oggi divise in 2 musei: Atena a Francoforte, Marsia ai
Musei Vaticani. Atena ha appena gettato a terra il doppio
flauto (aulos): la dea ha inventato lo strumento, ma si è
indispettita, perché suonarlo comporta una deformazione del
volto. Marsia si avvicina allo strumento, incuriosito, mentre la
dea di scatto lo sorprende e lo blocca. Raffigurazione di un
momento sfuggevole: dunque lo scultore lavora sulla figura
panneggiata di Atena, che si volge di scatto; mentre Marsia è
bloccato in una mossa dubitante e sospesa, sotto lo sguardo
della dea. Episodio invita sia a riflettere sul ruolo importante
della musica: al centro della composizione vi è il flauto, sul
quale si concentrano gli sguardi dei due protagonisti. La
contrapposizione tra queste due figure è data anche dal
contrasto tra il morbido panneggio di Atena e il corpo nudo e
nervoso di Marsia.

Nel panorama degli scultori di età severa va collocato Fidia, il più celebrato degli scultori greci, le cui prime
opere si collocano negli ultimi anni dell’età severa. Egli inizia la sua carriera come bronzista e a lui vengono
commissionate numerose opere, con cui si fa conoscere e si afferma.

Copia, da Fidia, di Statua di Apollo Parnopios (sterminatore di cavallette), museo di


Kassel (noto come “Apollo di Kassel): la statua era in bronzo, forse, dorato. Il dio
portava nella sx arco e frecce, nella dx la cavalletta, allusione alle calamità naturali, che
il dio era in grado di placare. Si presenta stante, idealizzato, con il corpo mosso dal
passo in avanti della gamba dx e la sx leggermente arretrata. Figura solenne, poco
interessa l’azione, ma si vuole sottolineare l’epifania del dio in tutta la sua bellezza e la
sua potenza. La copia di Kassel vede la presenza di un sostegno, tipico delle copie dal
bronzo. Ottima la resa curatissima della capigliatura, con chiome più fluenti che
scendono sulle spalle e riccioli mossi che delimitano la fronte e scendono sulle tempie;
morbidezza del volto. Il Dio Apollo si appoggia sulla gamba sinistra, mentre la destra è
flessa; il bacino è contratto in corrispondenza della gamba portante, mentre tutto il lato
destro è sciolto; la testa si rivolge verso sinistra, protesa a reggere l'arco.

Purtroppo perduto è un bronzo di Fidia di


dimensioni colossali, l’Atena Promachos
(combattente): il bronzo superava di molto il vero e
spiccava nel panorama dell’Acropoli.
Statua di Atena Lemnia (450), dedicata dai coloni ateniesi di Lemno, che, in
ringraziamento alla dea, collocarono l’opera sull’Acropoli. L’aspetto è ricostruito
tramite due copie romane, il corpo si trova a Dresda, la testa della seconda copia è
a Bologna. La divinità guerriera si appoggia alla lancia e contempla l‘elmo, tenuto
nella dx. La figura è impostata verticalmente, ma lo sguardo è rivolto lateralmente.
L’egida, disposta trasversalmente, è più mossa ed anima la figura. Notevole è la
bella testa a Bologna, con superfici levigatissime del volto in voluto contrasto con la
folta chioma ricca di chiaroscuri, accentuati dalla benda che fissa i capelli in alto,
lasciando libere le ciocche che incorniciano il volto. L'opera allude alla pacifica
colonizzazione di Lemno: la dea guerriera Atena viene ritratta come fanciulla
nell'atto di contemplare le armi, che ha posato. Panneggi pesanti con grosse
pieghe, mentre la ponderazione risulta evidente con gamba portante e gamba
flessa e movimento conseguente del busto. Una testa giovane, quasi androgina, per
sottolineare il lato maschile della vergine guerriera.

Peplophoros. Figura femminile, letteralmente "portatrice di peplo". Donna


indossa un'ampia tunica, priva di cintura, fermata da borchie sulle spalle,
con un risvolto che cade sul dorso e sul petto. Questa figura era usata come
sostegno di un bruciaprofumi

Atena di Anghelitos. Atena dedicata da Anghelitos


sull'Acropoli di Atene, datata attorno al 480 a.C. Anche se
nascosto dal pesante panneggio, il ritmo del corpo
riflette la ponderazione dello stile severo, con gamba sx
portante, su cui la stoffa ricade in rigide pieghe verticali,
e la gamba destra libera e flessa, sollevando il panneggio.
Il braccio dx, alzato, impugnava la lancia, mentre il
braccio sinistro era abbassato, con la mano lungo il fianco
sinistro.

Stele Funeraria da Paro. Statua Di Aspasia, da Napoli. Un altro


Fanciulla con colombe,
tipo statuario è quello dell'Aspasia,
porta un peplo, aperto sul
conosciuto solo tramite copie di età
fianco con pieghe ampie e
romana, che presenta donna
morbide, e che ricade
verticale tra le gambe, interamente avvolta in un ampio
aderendo al ritmo della mantello, portato sopra un chitone
gamba flessa. Il fatto di leggero a fitte pieghe; riconosciamo
raffigurare la fanciulla in sotto il mantello la consueta
un momento giocosa ponderazione. La statua di età
rende ancora più romana è probabilmente la copia
struggente la sua morte. dell'Afrodite Sosandra (salvatrice di
uomini) di Calamide, donata da Callia,
genero di Milziade, e quindi datata
attorno al 460 a.C.
Nike di Paro. Scultura insulare: si caratterizza per la
delicatezza del modellato e l'eleganza delle forme.
Modellato è molto sfumato, con effetti luminosi
esaltati, ai nostri occhi, dalla bianchezza del marmo
locale; la statua era però verosimilmente dipinta.

Stele funeraria di fanciulla con colomba: presenta una delicata


fanciulla, che reca una colomba nella mano destra e indossa un morbido
chitone coperto da un mantello. Si nota come la lavorazione a fitte
pieghe del panneggio abbia un sapore ancora un po' arcaicizzante.

Rilievi del trono Ludovisi, Roma.


Monumento complesso, in marmo
insulare, raffigurante scene legate
ad Afrodite e al suo culto. Il
monumento viene probabilmente
commissionato dalla città di Locri a
un artista di area Ionica.

Metope del tempio e di Selinunte. Ciclo figurativo complesso


commissionato verosimilmente ad artista del Peloponneso,
rientra pienamente nell'età severa per la ricerca dell'ethos sui
volti dei personaggi raffigurati. Nella metopa della ierogamia tra
Zeus ed Hera, mentre Hera indossa un panneggio di gusto ancora
un po' arcaicizzante, invece Zeus rientra pienamente nello stile
severo, e richiama immediatamente lo Zeus di Capo Artemision.

ETÀ’ CLASSICA (450-423 a.C)

• 450: conclusione età severa


• 423: morte di Alessandro Magno

Questo periodo è detto età classica, secondo la tradizione degli studi del XVIII e XIX secolo, perché, più di
tutti, lo stile delle opere di quest’epoca riflette i caratteri di eccellenza definiti propri del mondo greco e
romano. Aggettivo latino "classicus"= "della prima classe", in riferimento a chi combatteva nella prima
classe dell'esercito: da qui classico prende il significato di primordine, eccellente, e nella storia dell'arte il
termine "classico" è stato utilizzato per indicare l'arte greca di questo periodo, considerata come il culmine
della perfezione e della bellezza, ineguagliabile ed inegualita, dagli studiosi del Settecento e Ottocento.
Sono classiche le opere nelle quali la ricerca dell'ordine, proporzioni, simmetria, prevale sull'amore per il
movimento, sull'effusione lirica.

Dal 447 a.C. alla sua morte, 429 a.C., Pericle esercita il ruolo di stratega ad Atene, e in questi anni si avvia
un'intensa politica di costruzione di opere pubbliche, per difendere ed abbellire la città, e anche per
assicurare un lavoro pagato a molti artigiani.
Dopo la sua morte, gli Ateniesi commissionano a Cresila una statua in
bronzo, da porre sull'Acropoli: ne possediamo solamente alcune copie di età
romana, relative alla sola testa, con l'elmo sollevato sulla fronte per lasciare
scoperto il viso.

Nel 447 a.C, Pericle affida a Fidia l'incarico di coordinare la ristrutturazione dell'Acropoli, in qualità di
episkopos, sovraintendente. Il Partenone viene costruito sulle fondamenta del cosiddetto PRE-PARTENONE:
quest’ultima costruzione inizia poco dopo la battaglia di Maratona (circa 490-488 a.C), su solide fondazioni
calcaree che estendevano e livellavano la parte meridionale dell'Acropoli, sostituendo l'antico tempio di età
arcaica del frontone del Barbablù (il cosiddetto proto-partenone).
Si comincia a edificarne l'alzato, ma l'edificio non viene portato a compimento: i Persiani nel 480 a.C.
mettono a ferro e fuoco Atene e distruggono l’Acropoli. In seguito alla distruzione dei Persiani, tutti gli
edifici sono stati danneggiati, l’unica struttura che restaurano perché è almeno in parte sopravvissuta è il
Tempio di Atena Polias, dove viene collocata la statua di Atena Pathenos che gli Ateniesi avevano portato
con sé a Salamina. Per lungo tempo, l'Acropoli rimane con questo solo edificio di culto parzialmente
restaurato, mentre tutto il resto in stato di rovina, perché gli Ateniesi volevano che costituisse un monito,
ricordando ciò che era avvenuto. L'archeologia conferma la veridicità di una fonte tarda del IV secolo, che
riferisce un giuramento fatto dagli Ateniesi per cui fino a quando i Persiani non fossero stati finalmente
debellati, nulla poteva essere ricostruito: solo dopo la Pace di Calia (449 a.C.), si inizia a progettare una
risistemazione dell'Acropoli, che viene iniziata nel 447 a.C. per volere di Pericle. Relativamente tutti gli
edifici del V secolo costruiti sull’Acropoli, sono giunte fino a noi iscrizioni su pietra che documentano anno
per anno l'acquisto dei materiali, la paga degli operai, l'avanzamento dei lavori.

Il Partenone viene costruito sull’Acropoli, lungo la fascia sud. Pericle affida il progetto a due architetti:
Ictino e Callicrate (nomi tramandati dalle fonti). Dai rendiconti delle spese, fissati su pietra, sappiamo le
date: i lavori iniziano nel 447, quelli per le parti architettoniche terminano nel 438, mentre le decorazioni
frontonali sono terminate nel 432. L’edificio è dedicato ad Atena con l’epiteto Parthenos, la vergine
guerriera. L’edificio non è un tempio, infatti è privo di altare, ma è concepito come casa della divinità e ad
essa offerto, onorandola di una statua realizzata da Fidia: una sorta di "SCRIGNO DI MARMO PER ATENA". il
Partenone è in marmo pentelico (marmo del vicino monte Pentelico, materiale di grande bellezza e di facile
lavorabilità).
Periptero, ha 8 x 17 colonne; breve pronao a est con 6 colonne sul fronte. La grande cella è suddivisa in 2
ambienti: cella a est, la più grande, ospitava la statua di Atena Parthenos, particolarità nell’allestimento
delle navate, dove i due ordini di colonne doriche sono qui disposte per la prima volta a pi greco/U, e
addossati alla parete della cella; cella ovest: ospitava tutte le preziose offerte alla dea, suddivisa in tre
navate da due coppie di colonne ioniche, queste essendo più alte e slanciate potevano raggiungere senza
sovrapposizioni il tetto della cella.
L’opistodomo è scandito da 6 colonne sul fronte. L’edificio ha una serie di correzioni ottiche che ne
garantiscono una perfetta concezione geometrica: tutte le linee orizzontali sono leggermente convesse,
così da ingannare un difetto dell’occhio umano. Tutte le colonne sono leggermente inclinate verso
l’interno, così da apparire perfettamente in asse.
L’edificio doveva ospitare nella cella la statua colossale di Atena Parthenos: realizza quest’opera Fidia > era
una statua crisoelefantina (avorio, mentre veste, corona, armi in lamine d'oro, il tutto disposto attorno a
nucleo di legno); doveva raggiungere i 12 m di altezza. Conosciamo l’immagine grazie alle fonti letterarie e
alle copie, tra cui una di età imperiale presso il Museo Arch. di Atene. Ricco peplo panneggiato, le armi
(lancia, elmo e scudo, decorato con rilievi della amazzonomachia all’esterno e della gigantomachia
all’interno). Regge la Nike alata poggiata su una colonna nella mano dx e con mano sinistra tiene il grande
scudo. Il peplo a pieghe rade, pesanti, pastose, che cadano verticali sulla gamba portante e sono aderenti
sulla gamba flessa. La dea è accompagnata dal serpente Erittonio (nato dall’amore di Efesto per lei, la dea
lo alleva: diventerà re di Atene) che si intravede vicino allo scudo. L’elmo sulla testa è sormontato da una
sfinge e due grifoni. Sul basamento doveva essere rappresentato il mito di Pandora. 2 finestre (originali in
questo contesto) nel muro tra pronao e cella illuminavano la cella e rendevano visibile la statua.

La scultura architettonica dell’edificio era ricchissima: tutte le metope (sui 4 lati) erano decorate,
tutt'intorno corre un fregio continuo ed entrambi i frontoni hanno una decorazione con statue a tutto
tondo.
Soggetti metope: lato est = Gigantomachia: Dei olimpi vittoriosi; lato ovest = amazzonomachia: Teseo
vittorioso; lato nord = Ilioupersis: Greci vittoriosi; lato sud = alcuni miti attici e la centauromachia: Piritoo e
Teseo vittoriosi. Miti che alludono alla vittoria dei Greci sui barbari, i quali rappresentano caos e disordine >
allusione ai Persiani sconfitti. Le metope sud sono le meglio conservate, e mostrano più mani di scultori,
alcuni più legati all’età severa, altri decisamente più innovativi, partecipi della nuova sensibilità degli anni
successivi alla metà del V secolo: figure più elastiche, anatomia meno marcata. Le metope del lato est,
ovest e nord sono molto danneggiate: Partenone in età post antica subisce particolari trasformazione,
diventa chiesa cristiana, poi diventa moschea, e nel Seicento, durante la lotta tra turchi e veneziani, viene
colpita dal fuoco dei veneziani e buona parte delle strutture vengono polverizzate. 92 metope scolpite a
rilievo su tutti i quattro lati dell’esterno dell’edificio, in marmo pentelico, scolpite ad altorilievo,
verosimilmente ravvivati da una ricca policromia di blu e rosso.

Metopa 31: un centauro afferra per il collo un lapita,


che reagisce colpendo con il ginocchio. Nudo molto
essenziale e molto marcato, tipico dell’età severa
(cfr. metope di Olimpia); il volto del centauro viene
raffigurato come un mascherone di toni arcaicizzanti.

Metopa 27: metopa indicativa di un


nuovo modo di scolpire la pietra: nudo
del Lapita è più plastico e più sfumato,
con caratterizzazione meno marcata dei
muscoli.
Fregio continuo sulla sommità di tutti i lati della cella: viene raffigurata la più importante festa religiosa
celebrata ad Atene: LE PANATENEE, celebrate ogni quattro anni, per celebrare il culto della Dea Atena, e in
quest'occasione veniva portato in donno alla dea, un nuovo peplo tessuto dalle fanciulle delle più nobili
famiglie ateniesi. Quindi, non viene rappresentato un soggetto mitico, ma un momento in cui tutta
collettività ateniese è riunita per la celebrazione della sua divinità più importante: cavalieri, uomini e
donne, vecchi e giovani, intellettuali e popolani, inservienti che conducono gli animali al sacrificio, potevano
identificarsi. La processione si immagina divisa in due file di personaggi, una fila che converge dal lato sud
verso est, e la seconda dal lato nord e ovest verso est, proprio perché il lato est è la fronte dell’edificio,
parte più importante dell’edificio, dove si collocano gli "spettatori", ovvero gli eroi ateniesi e gli Dei.
Tutte le figure sono fortemente idealizzate nel portamento e nei volti: calma, solennità, compostezza, non
provano fatica, ideale compostezza, dimensione atemporale e irreale (no indici di età), sono simili agli Dei:
è un’autocelebrazione del popolo ateniese, che si pone accanto alla divinità protettrice. Poi le figure degli
Dei, che sono simili per aspetto ai mortali, ma la loro altezza è maggiore: da seduti sono alti come i mortali.
Si riconosce qui lo stile di Fidia: definizione morbida e fluente dei corpi, panneggio con trasparenze che
lascia intendere le forme anatomiche di ciascuna figura.

Es: lastre del fregio con la cavalcata dei cavalieri verso la sommità dell'Acropoli. Particolare con cavalli al
galoppo, montati dai cavalieri. Grande senso del movimento. Esaltazione della gioventù ateniese, secondo il
principio della kalokagatia. Cavalieri vengono colti in diversi atteggiamenti, dando idea del movimento e
della concitazione, con vesti che immaginiamo gonfiate dal vento; nel punto dove la cavalcata si fa più
serrata, i giovani si avvicinano gli uni agli altri e destrieri si impennano.

Es. Portatori di hydriai, vasi contenenti acqua; sia in


coloro che conducono gli animali al sacrificio sia nei
portatori di hydriai, il volto è imperturbabile, calmo,
pacato, non traspare lo sforzo che stanno compiendo:
calma tratto salienti dell'arte di Fidia.

Es. Fanciulle e accompagnatori. Giovani spose e madri


ateniesi sono accompagnati da magistrati, persone di età più
avanzate, ma caratterizzati da corpi giovani idealizzati, come
espressione di una giovinezza atemporale.

Es. Gli Dei: Poseidone, Apollo, Artemide. Divinità


che assistono alla processione. Volto di Artemide:
trasmette gli elementi salienti dello stile fidiaco-
partenonico.
Sculture frontonali. Realizzate in marmo pentelico. Frontoni fortemente danneggiati da un’esplosione
durante la guerra tra Veneziani e Turchi nel 1687. Abbiamo dei disegni realizzati da eruditi nel corso del
tempo. I resti sono tutt’oggi esposti al British museum. Ultime in ordine di tempo a essere realizzati, tra il
438-432 a.C.
Raffigurano 2 miti riguardanti Atena:

-Frontone est: nascita di Atena dalla testa di Zeus; al prodigio assistono tutte le divinità; ai lati del gruppo
centrale (dove dovevano esserci Atena, Zeus ed Era) possiamo scorgere, da sx, il carro di Helios (che sorge
dall'orizzonte). Poi una figura maschile, forse Dioniso, e due femminili, forse Kore (Persefone) e Demetra.
Le sta raggiungendo Iris, la messaggera pronta a diffondere la buona notizia della nascita. Il particolare
mostra la saldezza strutturale e l’elaborata definizione del panneggio consistente nelle figure sedute e
mosso da fitte pieghe nella figura in movimento di Iris. La figura di Dioniso mostra un’attenta definizione
anatomica: fluidi passaggi sul piano costruiscono un corpo fortemente elastico. Da dx, il carro di Selene:
inizia la notte. Verso il centro, 3 divinità sedute: Hestia, Dione (sposa di Zeus e madre di Afrodite, secondo
Omero) e Afrodite. Afrodite è semisdraiata, è originale la raffigurazione del panneggio, che è soffice e lieve,
ed intravediamo le forme della dea: definito panneggio bagnato, tratto distintivo dell’arte fidiaca e dello
stile partenonico. Notevole è la definizione dei cavalli dei carri di Helios e Selene, con attento studio della
impalcatura ossea e delle superfici del muso dell'animale, definito da Goethe "urpferd”.

-Frontone ovest: gara tra Atena e Poseidone per il possesso dell’Attica. Le due divinità erano al centro, con
una composizione che le vede disporsi a costituire una V, su due linee fortemente divergenti. Ai lati si
segnalano le figure di Cecrope e Pandroso: Cecrope, mitico re dell’Attica, era testimone della gara. Atena
aveva fatto spuntare sul suolo arido un ulivo, Poseidone una fonte di acqua salmastra; la gara è vinta da
Atena, che diviene infatti signora dell’Attica. Le figure di Cecrope e della figlia Pandroso sono ben
rappresentate anatomicamente ed il panneggio cade con le sue pieghe, facendo intravedere le forme. Le
figure agli estremi determinano il luogo dell'evento: sono i due fiumi di Atene, Cefiso e Ilisso. I corpi delle
divinità fluviali sono distesi e completano il triangolo frontonale. A dx è presente Iris in volo (rimangono
resti frammentari): il corpo è messo in evidenza dal panneggio bagnato, che accompagna lo slancio della
figura.

Cecrope e
Pandroso Iris
L'Acropoli era un "museo all'aperto", ricca di donari e di ex-voto pubblici e privati.

PROPILEI: il secondo edificio ad essere costruito, affidato all'architetto Mnesicle, costruito tra il 437-433
a.C: costituisce l'ingresso monumentale dell'Acropoli; per superare il dislivello del terreno, il corpo centrale
è attraversato da una rampa in salita verso est. È costituito da un corpo centrale rettangolare con due
facciate simmetriche esastile, da cui si accede a nord ad ambiente con funzione di sala per i banchetti
ufficiali e pinacoteca e ad est al Tempietto di Atena Nike.

TEMPIETTO DI ATENA NIKE: il terzo edificio ad essere costruito sul piccolo bastione meridionale, costruito
tra il 430-420 a.C. Tempio di ordine ionico, ad unica cella, anfiprostilo tetrastilo, con fregio continuo, con
scene di battaglia tra Greci e Orientali.

ERETTEO: l'ultimo grande edificio ad essere costruito, tra il 421 e il 413 (anno della tragica conclusione della
spedizione in Sicilia); negli ultimi decenni del V i lavori riprendono e sono conclusi. Conosciamo i nomi dei 2
architetti: Filocle e Archiloco. L’Eretteo fu commissionato per dare una sede monumentale per una serie di
culti professati nella parte nord del santuario. Agli architetti si impongono dei problemi notevoli dovuti alle
preesistenze, tra cui i resti occidentali del tempio di Atena Polias (sopravvissuta ai Persiani), e alle
irregolarità del terreno della zona nord, che aveva grandi salti di quota, che l’edificio risolse in modo
brillante. L’edificio ha una serie di corpi, raccordati. 1-2-2 = corpo centrale + due parti; la parte est si apre
con un colonnato di 6 colonne ioniche, che costituiva l’ingresso per lo spazio dedicato al culto di Atena (1).
2 = vano per il culto di Bute, il primo sacerdote di Atena; 2 = vano per il culto di Efesto; 9 = Santuario per il
culto di Poseidone-Eretteo. A questo corpo centrale si collega, a nord, un ambiente con colonnato esterno
di 4 x 2 colonne (3), dedicato a Poseidone e che ospitava la roccia sulla quale il dio aveva battuto il proprio
tridente per far scaturire la sorgente di acqua salmastra nella gara contro Atena. A sud vi è un edificio
aggettante verso l'esterno con un porticato, noto oggi come Loggia delle Cariatidi (10), le cui colonne sono
costituite da figure femminili: qui è presente la tomba di Cecrope. Le Cariatidi (attribuite all'officina di
Alcamene di Atene) sono delle copie, poiché gli originali sono conservati al museo archeologico. Figure
femminili: sono salde, con forte volumetria, stanti. Le caratterizza quella ponderazione che distingue gamba
portante e gamba flessa, ed il panneggio del peplo sottolinea ciò: fitte pieghe coprono la gamba portante,
mentre sontuose trasparenze evidenziano le forme di quella flessa. Il peplo ha un’ampia piega al di sotto
della vita, che copre la cintura; diventa poi sottilissimo nel busto ed evidenzia le forme anatomiche. Le
braccia erano portate una a reggere un lembo del panneggio, l’altra a reggere una fiale (coppa allusiva al
sacrificio). Il sostegno come immagine femminile era già stato adottato nel Tesoro dei Sifni a Delfi. I
particolari del panneggio ricordano le figure femminili del fregio e dei frontoni del Partenone. Confronto:
come si elabora il panneggio negli anni finali del V? Statua del frontone est di Olimpia: figura di Sterope. Il
peplo è sempre solido nel rendere la stoffa, ma, allo stesso tempo, in grado di suggerire con delle
trasparenze le forme sottostanti. Queste figure trovano un ulteriore confronto con una statua marmorea
rinvenuta sull’Acropoli: è un originale ed era uno dei tanti ex voto: Procne e Iti: il gruppo è frammentario,
ma è attribuita ad Alkamenes, collaboratore fidato di Fidia. È Pausania a parlare di un’opera di Alcamene
posta tra Partenone ed Eretteo. Le figure sono Procne e Iti, protagonisti di una storia tragica: la donna
uccide il figlio per vendicarsi del marito; Procne sta qui per alzare il coltello, mentre il figlio si aggrappa
ignaro al suo abito. Interessante il panneggio, che richiama le korai dell’Eretteo: consonanze nella
definizione del panneggio. Dunque le Cariatidi, si suppongono essere attribuite o ad Alcamene o alla sua
bottega.
A Ovest un alto basamento aggiusta il dislivello di quota: questa zona aveva un giardino, il Pandroseion,
dove era conservato l’ulivo sacro ad Atena, che le aveva concesso la vittoria. Oggi l’edificio mostra bene la
facciata est, con le 6 colonne ioniche ed il salto di quota che distingue il piano di calpestio di questa parte
da quello della parte nord.
Agoràcrito, altro collaboratore di Fidia nel cantiere,
realizza una statua di culto raffigurante Nemesi, per il
Santuario di Ramnunte in Attica. L’opera è nota grazie
ad una copia romana. Lo stile partenonico (della
bottega di Fidia) si riconosce nel panneggio bagnato. Per
quanto riguarda il panneggio: chitone ampio e leggero,
che ricade in molli pieghe sul petto, svelando le forme,
con mantello gettato sulla spalla sinistra: stesso abito
indossato da Afrodite e la madre Dione nel gruppo
scultoreo del frontone est del Partenone, quindi si
colloca attorno al 430 a.C. e quindi è sempre più
verosimile un intervento diretto di Agoracrito di Paro
nelle sculture dei frontoni del Partenone.
URBANISTICA
IPPODAMO DI MILETO: uno dei principali teorici dell'urbanistica antica, inventore della ripartizione
funzionale dell'impianto urbano, più che inventore dell'urbanistica ortogonale, che nasce invece con la
fondazione di città coloniali, fondate ex novo in territorio libero da precedenti strutture.
URBANISTICA ORTOGONALE: consiste nella suddivisione regolare e geometrica dello spazio urbano,
servendosi di una serie di assi ortogonali (incrocio di larghe strade di scorrimento con una serie di strade
minori a esse ortogonali). Questa pianta si ritrova a Poseidona, in Campania: città costruita al centro di una
vasta pianura, attorno al 600 a.C. All'interno di questa pianta, lo spazio centrale è riservato alla vita religiosa
e civile della città (agorà e santuari).

Ippodamo di Mileto: ricostruzione della città di Thurii, non più tracciato


ortogonale, ma "a scacchiera", basato sull'incrocio di strade larghe
molto distanti le une dalle altre. I nomi delle strade, che di norma nel
mondo greco sono legati a luoghi pubblici di carattere o sacro o civile,
consentono di ipotizzare una diversificazione funzionale delle varie
aree della città, per cui luoghi civili e luoghi sacri non si trovano più
insieme in un unico spazio centrale (cfr. Poseidona) e i santuari sono
distribuiti nelle strade della città, e non più tutti in un unico grande
santuario. A questi stessi principi si ispira anche la pianta del Pireo.

ARCHITETTURA: INSIEME DI ORDINE DORICO ED ORDINE IONICO NELLO STESSO EDIFICIO .

Acropoli di Atene: una delle caratteristiche del Partenone è quella di riunire in un solo edificio elementi di
ordine dorico (peristasi e tutto l'alzato) ed elementi di ordine ionico (quattro colonne al centro della sala
occidentale e fregio continuo su tutti i quattro lati della cella) e Propilei (sei colonne di ordine ionico, tre
per parte, nelle due entrate dell'edificio, perché essendo più alte delle colonne ioniche, riescono a colmare
il dislivello tra le due entrate). Invece, il Tempietto di Atena Nike e l'Eretteo adottano interamente l'ordine
ionico per le proprie strutture.
Poseidonia, Athenaion: costruito alla fine del VI secolo. Anche qui ordine dorico ed ordine ionico sono
riuniti in unico edificio, in quanto edificio è edificio dorico, ma il pronao presenta sulla fronte quattro
colonne ioniche e sui lati due colonne ioniche, accentuando la frontalità tipica dell'architettura della Magna
Grecia.

Atene, Tempio di Efesto: costruzione inizia nel 449 a.C, ma termina dopo il Partenone, sul KOLONOS
AGORAIOS, la collina che sovravasta il lato occidentale dell'Agorà. Pianta prossima a quella del Partenone,
di dimensioni più ridotte, con peristasi di 6 x 13 colonne. Dal Partenone, la cella ripropone: 1) la
disposizione dei due colonnati di ordine dorico a pi greco; 2) la decorazione scultorea, composta dalle
metope scolpite sulla peristasi e dal fregio continuo sul pronao e sull'opistodomo (centauromachia e
gigantomachia).

Capo Sounion, Tempio Di Poseidone: tempio periptero dorico, ma con fregio ionico continuo
sull'architrave dei quattro lati interni del pronao (centauromachia ed imprese di Teseo).

Bassai-Arcadia, Tempio di Apollo Epicurio: fine del V secolo; esternamente tempio dorico, ma forti
innovazioni: 1) La cella non viene più suddivisa in tre navate, ma sui due lati lunghi, vengono addossate 8
colonne ioniche, che fungono quindi da semicolonne, dunque con funzione decorativa più che portante.
Sopra il colonnato interno, correva fregio continuo (amazzomachia e centauromachia), con riprese di
schemi policletei per i nudi maschili e ampio gioco di panneggio per le figure femminili. 2)L'adyton è
accessibile anche dall'esterno lungo il lato orientale del tempio. 3) L'adyton è separato dalla cella tramite
due semicolonne oblique, e una colonna centrale, che adotta per la prima volta, il capitello corinzio a
kalathos coperto da foglie d'acanto.

Eleusi, Santuario di Demetra: edificio destinato alla celebrazione dei culti misterici; ricostruzione a metà V
secolo: aula a pianta quadrata, fornita di gradinate su tutti quattro i lati e due coppie di porte sui lati nord-
sud-est; copertura sostenuta da sei file di colonne, disposte in modo da liberare la vista verso il centro.
Questi edifici, destinati a riunioni, sia religiose sia private, presentano il problema di posizionamento dei
sostegni, che devono lasciare spazio alle gradinate per il pubblico, e il problema di illuminazione, risolta solo
in parte con la luce che arrivava dagli ingressi.
Scultura
La scultura della seconda metà del V secolo è dominata dalle personalità di Fidia e di Policleto, dunque con
essi la ricerca dell'elemento passionale, realistico, terreno, introdotto dal Maestro di Olimpia, viene
abbandonato a favore di una visione idealistica che tende ad assimilare gli uomini agli dei.

FIDIA (nato intorno al 500-490 a.C. e attivo fino al 420 a.C) a capo della scuola attica.
Fasi salienti della sua carriera:

1. Atena Promachos, Donario di Maratona a Delfi, Apolo Panopios, Atena Lemnia (460-450 a.C.)
2. Concorso per l'amazzone di Efeso (435 a.C.)
3. Atena Parthenos (438-437 a.C.)
4. Decorazione scultorea del Partenone (438-432 a.C.)
5. Zeus di Olimpia (435-425 a.C.).

POLICLETO (Argo, nato intorno al 490 a.C. e attivo fino al 420 a.C.)

Altro grande scultore del V secolo, oltre Fidia. Policleto è scultore di Argo, come la sua famiglia: maggior
rappresentante della scuola peloponnesiaca. Lavora soprattutto in bronzo e realizza figure singole e stanti o
in movimento, rappresentanti atleti vincitori, che esemplificano la sua ricerca di ritmo ed equilibrio della
figura. Non abbiamo nessuna opera originale, ma numerose sono le copie di età romana. Nelle fonti
antiche, viene anche ricordato come autore di canone, in cui affronta il problema della costruzione della
figura umana, del tutto ideale, attraverso calcoli proporzionali.

Copia del Doriforo, metà V, da Pompei, Napoli museo arch. Varie copie, questa è la meglio
conservata. Il doriforo è il portatore di lancia, secondo molte tesi è Achille. Il sostegno a tronco
ed il puntello tra braccio destro e figura dimostrano che è una copia. Il portatore di lancia si
accinge a camminare, per questo movimento è ben illustrato dalla diversa posizione delle
gambe: la gamba sx appoggia solo la punta del piede a terra, il movimento è accompagnato
dalla mano che porta la lancia. La gamba dx sostiene il peso. Questa ponderazione va ad
influenzare tutta la figura: le anche, ma anche le spalle (la spalla della gamba portante si
abbassa, quella della gamba in movimento si alza). La linea alba assume un’evidente sinuosità
ed accompagna in modo evidente il movimento della figura; anche la testa si piega verso
destra. Corrispondenza tra la gamba destra portante e la gamba sinistra flessa; al fianco destro
contratto corrisponde il sinistro abbassato; al braccio destro lungo il fianco, il braccio sinistro
piegato. Le spalle hanno movimento opposto alle anche, lo stesso vale tra ginocchia e caviglie:
ritmi chiastico e corrispondenze contrapposte caratterizzano il canone di Policleto. Schema
geometrico che dà equilibrio e modulo di base che da uniformità: il modulo è la lunghezza del
piede, che corrisponde all’altezza della testa. La figura è il moltiplicarsi per 7 volte del modulo di
base e tutte le misure sono multipli o sottomultipli del modulo. Si raggiunge un equilibrio
perfetto tra le membra del corpo ma esso non ha nessuna aderenza alla realtà. Questa ricerca
di armonia può essere dovuta anche ad un’influenza dei pitagorici. Il nudo di Policleto ha una
muscolatura più prestante rispetto alle opere di Fidia.
Abbiamo anche una copia del Doriforo da Ercolano. Il volto incarna i tratti ideali della bellezza.
Elaborata è la chioma che incornicia l'ampia fronte; simmetria delle ciocche che spiovono sul
volto; le teste di Policleto sono piuttosto massicce.
Copia in marmo del Diadumeno, 420 a.C.: realizzata una trentina di anni
dopo il Doriforo, Atene museo arch. La copia proviene da Delo. Il
Diadumeno è l’atleta vincitore che cinge attorno al capo le bende della
vittoria. Qui il copista ha aggiunto il tronco, su cui poggia una stoffa,
forse il mantello della figura, trasformando l'atleta nel dio Apollo.
Ponderazione stabilita dal canone con gamba destra portante, a cui
corrisponde la spalla sinistra sollevata e gamba sinistra flessa e portata
indietro, a cui corrisponde spalla destra abbassata. La linea alba
conferisce stabilità. Il movimento è qui più complesso, con le braccia
alzate nell’atto di stringere le bende. Testa girata verso destra, con
sguardo rivolto verso il basso e braccia aperte e sollevate in modo da
reggere le estremità della benda. Notiamo inoltre che il corpo è percorso
da un ritmo sinuoso.
A Kassel abbiamo la testa di un’altra copia: caratterizzazione ideale della
bellezza > copie elaborate e qui strette dalla benda.

In questa ricerca della sinuosità va inserito anche il guerriero B da Riace.

Efebo Westmacott: giovane atleta vincitore, raffigurato stante,


nell'atto di togliersi dal capo la corona per offrirla alla divinità;
forse copia di età romana di originale in bronzo da identificare in
Kyniskos di una base di Olimpia, vincitore del pugilato per efebi
(460 a.C.). Gamba sinistra portante contrapposta al braccio destro
sollevato; gamba destra flessa contrapposta al braccio sinistro
disteso. Testa girata verso destra e per equilibrare le forze, il
bacino è leggermente girato verso sinistra. Schema compositivo
differente dal Doriforo, dal momento che nell'Efebo, la gamba
portante è la sinistra e non la destra, quindi si discute se attribuire
l'originale a Policleto o alla scuola, come sembrerebbe suggerire il
ritmo aperto.

Statua di Diomede, Cuma: opera di fine V secolo, realizzata ad


Argo, che ripropone lo schema di Policleto; nota attraverso
copia di età romana. Il corpo dell'eroe richiama quello del
Doriforo, anche se il movimento della gamba sinistra libera è
più accentuato e la testa è volta decisamente verso sinistra:
ritmo tende ad aprirsi verso l'esterno.

Le fonti antiche raccontano di una gara (435) per realizzare un’Amazzone ferita (non sappiamo se sia
avvenuta davvero), concorso bandito dal santuario di Artemide ad Efeso; vince la gara Policleto. La vittoria
fu determinata con il dare la possibilità ai partecipanti di esprimere un paio di voti e ciascuno aveva messo
al primo posto se stesso e la maggior parte mise al secondo posto Policleto (Plinio). Si è voluta riconoscere,
tra le copie pervenute, la mano dei 4 scultori partecipanti: Fidia, Policleto, Fralmone e Cresila.
L’Amazzone di Policleto è La maggior parte degli
stata riconosciuta in una studiosi ha voluto
copia dei Musei Capitolini: si riconoscere nelle Amazzoni
scopre per alleviare il di Villa Adriana e di Villa
dolore, solleva il braccio dx Mattei l’Amazzone di Fidia,
ed è caratterizzata da un che, ferita al seno scoperto,
attento studio della si appoggia alla lancia, con
ponderazione > il movimento di
movimento delle gambe è ponderazione. Attento
riflesso in tutto il corpo. Ha studio del panneggio
forza e solidità. Oppone il (chitone).
movimento della spalla
destra a quello delle gambe.
Cresila Policleto Fidia

Copia Romana dal Moma: amazzone che si appoggia a un pilastro e alza a fatica il braccio destro verso la testa,
reclinata per il dolore; attribuita a Cresila, autore della statua di Pericle, poiché non può essere attribuita a
Policleto, perché la posizione in appoggio rompe con il canone che voleva che il centro di gravità di una figura
immobile ricadesse nella zona inquadrata dai piedi.

Ultimo trentennio V secolo: “stile ricco”: aggettivo usato per indicare particolare panneggio, ricco di pieghe
curvilinee, rigonfie, di effetti chiaroscurali, che dà esiti di virtuosismo e manierismo delle statue femminili.

Statua di Nike, da Olimpia, la statua faceva parte di un monumento nel


santuario: era posta su un alto pilastro quadrangolare (9 m); i dedicanti sono i
Messeni e i Naupatti, dopo la vittoria sugli Spartani nel 421. Nike, dea alata, è
la Vittoria. Il pilastro era di fronte al tempio di Zeus. L’autore è uno scultore di
Tracia: Paionios di Mende. La scultura è suggestiva: la dea alata si impone per il
movimento rapido, immaginata mentre frena leggermente il volo per
discendere. Il movimento è suggerito dalla gamba sx che sta per posare il
piede, la dx è leggermente piegata, mentre il panneggio evidenzia il
movimento nell’insieme. Definizione del panneggio, che aderisce fortemente al
corpo, proprio per il contrasto tra il movimento della figura e il movimento
dell'aria, inoltre l'autore crea sorta di fondale costituita dal mantello della
figura, che si apre a conchiglia, per enfatizzare la velocità del volo. Mancano
purtroppo le ali, che erano funzionali al movimento. Anche le braccia, che
trattenevano il panneggio, non sono pervenute. Viene qui elaborato il
panneggio bagnato fidiaco; idea di trasparenza, aderenza, addirittura in alcune
parti il panneggio si slaccia, mostrando gamba sx, seno sx e braccia.
Quest’opera mostra a che punto arriva la sperimentazione del panneggio,
sull’ispirazione delle sculture del Partenone. Confronto di Nike con Iris
(frontone ovest Partenone).
Statua di dea, rinvenuta nell’Agorà
Statua di Dea di di Atene. Panneggio con
Morgantina. Proveniente da trasparenza evidenti che danno
Morgantina, sito che si trova sensualità e morbidezza alla figura.
nel cuore della Sicilia, vicino Qui abbiamo un panneggio più
consistente che avvolge i fianchi
a Piazza Armerina. Notiamo
della figura, mentre il resto del
il panneggio bagnato fidiaco
corpo è evidenziato da un
ulteriormente arricchito dai
panneggio aderente. Figura stante,
maestri che lavorano
ritroviamo questa esasperazione
nell'ultimo quarto del V manieristica dei panneggi bagnati.
secolo.
Balaustrata del Tempio di Atena Nike, ultimo decennio V. Uno dei pannelli della
balaustrata, che proteggeva il tempio di Atena Nike; vengono qui ritratte figure di Nikai
intente a compiere diverse attività collegate al culto della dea o riprese in gesti abitudinari
come nel caso di questa nike che si slaccia un sandalo, dove il panneggio cade verticalmente
sulla spalla sinistra alzata, segue il movimento delle gambe con pieghe curvilinee, con
effetto di trasparenza sul busto. Forse ancora di più rispetto alle statue a tutto tondo,
vediamo gli elementi salienti dello stile ricco: panneggio estremamente curato teso ad
enfatizzare forme del corpo femminile. Cfr. Hydria del Pittore di Meidisas, confronto con
pittura vascolare contemporanea, che si cimenta anch'essa in panneggi estremamente
elaborati.

Menadi danzati di Callimaco. Menadi in vari


atteggiamenti di danza nel pieno del delirio dionisiaco, che
favorisce il gioco del panneggio.

Steli funerarie (ultimo trentennio V): monumenti privati o realizzati da scultori che parteciparono ai rilievi
del Partenone o da scultori che si ispirarono a questi.

Stele funeraria di Egina, Atene museo arch. segnacolo della tomba di un


giovane defunto colto in momento quotidiano, mentre sta aprendo la gabbia
per sistemare l'uccellino che ha nella mano sinistra, e sotto la gabbia su un
pilastrino un gatto; giovane raffigurato con fattezze ideali. Il compianto resta
affidato al piccolo schiavo, che guarda lontano mestamente Chiaro il
riferimento al fregio est del Partenone: panneggio ed espressione calma,
imperturbabile del volto (= teste del Partenone, come Apollo nel fregio est).

Stele funeraria da Hegesò. Chiara


ispirazione alle sculture del Partenone.
Abbiamo una giovane donna che prende
dal cofanetto, portato dall’ancella, i
gioielli per adornarsi. Gesto quotidiano
che allude alla giovane età della
defunta, che con infinita tristezza sceglie
ancora una volta un suo gioiello, perché
sta diventando sposa di Ares Immediato
il confronto con il fregio del Partenone,
es: volto di Artemide dal lato est per
capigliatura, profilo del volto,
particolari.
Stele Funeraria da Rodi: stele
funeraria di due fanciulle, Krito
e Timarista, abbracciate nel
comune destino. Notiamo, le
gambe esterne divergenti che
contrastano con le teste
convergenti.

Nuovi cantieri del Peloponneso.


Nel decennio della supremazia tebana, Messeni ed Arcadi rifondano le proprie capitali, rispettivamente
Messene e Megalopoli (369-368 a.C.). Una caratteristica delle città di questo periodo sono le nuove
POSSENTI MURA, ormai necessarie, perché le tecniche belliche hanno conosciuto un enorme sviluppo, con
uso sempre maggiore di macchine da guerre, come le catapulte. Le mura di Messene sono oggi tra le
meglio conservate, che si estendevano su un circuito lungo più di 9 km, alternando tratti rettilinei a
numerose torri quadrangolari.

Tempio di Asklepios, ad Epidauro. A inizio IV secolo, il santuario di


Epidauro, che ospitava il culto di Asklepios, divinità salutare, viene
restaurato; edificio più importante, eretto da Teodoro, tra 380-370 a.C.
Tempio dorico, relativamente piccolo, di 6 x 11 colonne, privo
dell'opistodomo; al suo interno era posta la statua crisoelefantina del
dio, realizzata da Trasimede di Paro, descritta da Pausania. Realizza la
decorazione scultorea Timoteo (ricorda: acroterio centrale del frontone
occidentale di Timoteo).
Tholos: 350 a.C. Costituito da 3 cerchi concentrici: una peristasi di 26
colonne doriche, un secondo cerchio formato dal muro della cella, e un
terzo cerchio di 14 colonne corinzie: forma poco frequente, che avrà
grande successo in seguito (cfr. Tholos della terrazza del Marmarià di
Delfi, Philippeion di Olimpia). Esso si caratterizza come un vero
capolavoro dello stile decorativo: tutto ornato di marmo, dalla cornice
con gocciolatoi a protomi leonine tra girali di acanto a cassettoni
marmorei al pavimento, in marmo bianco e pietra nera di Argo.
Teatro: poco dopo il 350 a.C. Pianta a ventaglio, divisa in due zone da un
corridoio semicircolare: la zona superiore, forse aggiunta in un secondo
momento, sta all'inferiore in rapporto aureo; una leggera incurvatura
favorisce l'acustica, considerata eccezionale anche dagli antichi.
Santuario di Atena-Alea a Tegea. Il tempio viene ricostruito a inizio
IV secolo e i lavori sono affidati a Skopas, in qualità di architetto e
scultore. Tempio di ordine dorico con peristasi di 6 x 14 colonne.
All'interno della cella, vengono abolite le due file di colonne,
lasciando il compito di sorreggere il tetto della cella a 7 semicolonne
d'ordine corinzio, appoggiate alle pareti, sulle quali poggiava
trabeazione riccamente decorata (cfr Tempio di Apollo Epicurio,
Bassai, Arcadia). Ricca decorazione scultorea, affidata sempre a
Skopas: conosciamo i soggetti dei frontoni, perché descritti da
Pausania: frontone est: caccia al cinghiale calidonio da parte di
Melagro ed Atalanta; frontone ovest: lotta tra Achille e Telefo, eroe
di Tegea.

I grandi scultori (IV secolo)

Premesse storiche: Metà V: la politica antispartana condotta da Atene, portò ad uno scontro aperto tra
Atene e le alleate della Lega delio-attica e Sparta con la Lega peloponnesiaca > Guerra del Peloponneso, che
termina nel 404. Questa data segna l’affermarsi di Sparta a discapito della supremazia di Atene, che
tramonta. Tuttavia le condizioni di pace non sono stabili e la Grecia nel IV è teatro di molte guerre locali e
regionali, spesso tra Sparta e Atene con le nuove alleate Tebe, Argo e Corinto. Vanno aggiunte le ingerenze
da parte della Persia; nel 386 si giunge ad una pace provvisoria voluta dai Persiani, la Pace di Antalcìda. I
conflitti riprendono, fino al 338, quando Filippo II re di Macedonia, a Cheronea, affronta e vince Atene,
Tebe e poleis alleate: definitivo tramontare dell’indipendenza delle poleis greche. Il IV secolo è spesso
ricordato come il “periodo dell’individualismo”, in contrasto con il forte senso civico del periodo
precedente. Nel campo delle arti figurativo, il IV è segnato da grandi personalità, in particolare gli scultori.
Uno di questi è Kephisodotos, al quale Atene affida la realizzazione di un monumento per celebrare la Pace
di Antalcìda del 386; il monumento traduce questa speranza verso il futuro di una duratura pace e di nuova
floridezza economica.

Copia di Eirene e Ploutos, dall’originale bronzeo di Kephisodotos, Monaco. Subito


dopo la Pace di Antalcide (386 a.C.), Atene vuole celebrare l'avvenimento con statua
di grande valore propagandistico. Si personificano 2 concetti. Eirene è sostantivo
femminile, dunque è raffigurata una donna. Ploutos è sostantivo maschile ed è qui un
bimbo. Eirene e Ploutos sono strettamente dipendenti l’uno dall’altra. Eirene
custodisce ed alimenta il neonato Ploutos, alludendo allo stretto rapporto tra pace e
ricchezza nella vita della polis, per cui solo grazie alla pace è possibile avere il
benessere, stabilità economica per la polis. Il capo è inclinato verso il bambino, che
protende il braccio verso di lei. Eirene con il braccio destro si regge allo scettro, e con
il braccio sinistro, regge il neonato Ploutos, dalle forme arrotondate. Novità: 1) Il
volto sembra un pochino più raccolto, con gli occhi estremamente ravvicinati, la
bocca piccola, ed espressione piuttosto intensa.
2) figure interagiscano ed esprimono anche in parte le loro emozioni. Richiamo alla
tradizione del cantiere del Partenone nel panneggio: nella parte inferiore, sulla
gamba sinistra portante il panneggio ricade verticalmente con pieghe pesanti, ricche,
pastose, mentre aderisce alla gamba sinistra flessa, nella parte superiore, il
panneggio aderisce segnando con sensualità la rotondità dei seni (cfr. statue
frontonali del Partenone, korai dell'Eretteo, Gruppo Procne ed Iti).
PRASSITELE: figlio di Kephisodotos; si forma alla bottega del padre e presto diventa una personalità di
spicco: ama lavorare il bronzo, ma soprattutto il marmo, al quale conferisce levigatezza, brillantezza e
particolari vibrazioni, coadiuvato da Nicia, il pittore della sua bottega, che conferiva grazia alle opere con il
suo pennello. È lo scultore più celebrato del mondo antico. Non abbiamo opere originali (forse uno, ma
attribuzione controversa), ma conosciamo le sue opere attraverso descrizione puntuale delle fonti e opere
di età romana. Gli stessi antichi lo definirono sia per gli oggetti delle suo opere sia per il modo di scolpire
"maestro della charis".
Copia dell’Afrodite Cnidia, circa metà IV, detta “Venere Colonna”, Roma
Musei Vaticani. Statua di culto di un santuario a Cnido, realizzata in marmo:
numerose copie fatte poi in età romana. Per la prima volta, con una soluzione
ardita, la divinità femminile è in completa nudità! Inoltre, altro tratto
originale, la dea è presentata in un momento di quotidianità: si è appena
tolta le vesti e sta per fare il bagno: la divinità non è più concepita come
depositaria di un potere terribile. Novità della figura: vi è la consueta
ponderazione, ma la figura sposta anche il suo peso verso il lato sx; la figura
poggia con la mano sinistra su un elemento esterno, il vaso spostandosi oltre
il suo baricentro: ciò determina un ritmo A S (sinuoso) che conferisce
sensualità. Le braccia accompagnano il movimento sinuoso: la destra è in
avanti a coprire il pube. Anche la testa è lievemente inclinata. Solo intuibile il
modo di lavorare il marmo di Prassitele, quella "sfumusità" di cui parlano le
fonti e la capacità di Prassitele di trattare il nudo attraverso morbidi passaggi
di piano, che non segnano nettamente i confini dei muscoli e delle forme
anatomiche.

Testa dell’Afrodite Cnidia,


Copia 2 detta “Venere del
copia del Louvre. Accentua
Belvedere”, musei vaticani;
quella disposizione dei tratti
variazioni nell’assetto del
del volto già presente
panneggio e le dimensioni del vaso
nell'Eirene di Cefisotodo: occhi
dell’acqua. Complesso è
ravvicinati, bocca piccola e
riconoscere, solo con le copie, i
semichiusa; parte superiore
tratti salienti di Prassitele. Possiamo
della fronte ha forma
intuire la lavorazione virtuosistica
triangolare, definita da
del marmo, che dava uno
cappelli molto mossi che
straordinario effetto di morbidezza
permettono allo scultore di
e lucentezza tanto celebrato dalle
giocare con le luci.
fonti antiche.

Copia in marmo dell’Apollo Sauroctono (originale in bronzo), Louvre. Ritroviamo i tratti stilistici dell’Afrodite. Sauroktònos =
uccisore della lucertola. Innovazione dello scultore, che presenta un dio con le fattezze di un fanciullo: Apollo, da immaginare
con una freccia nella dx, sta per colpire la lucertola, simbolo di malattia e impurità, che si sta arrampicando su un tronco.
L’azione terribile del dio sembra qui un semplice gioco, grazioso. Studio della posizione: ancor si gioca con la posizione delle
gambe che subiscono gli effetti della ponderazione. Il dio viene raffigurato in piedi, con il peso scaricato sulla gamba destra
portante. Si appoggia con il braccio sinistro al tronco di albero, e si porge in avanti a sinistra, quindi il baricentro della figura
viene spostato al di fuori dello spazio occupato dai piedi e la figura è caratterizzata dal RITMO A S. La novità è la forte
oscillazione del corpo di lato. Il ritmo è sinuoso e da vibrazione e morbidezza alla figura (= Afrodite).
Copia 2, sempre ai Musei Vaticani. Anche qui il dio sposta il peso oltre il baricentro e l’unica stabilità è offerta dall’elemento
esterno, il tronco. Variazioni del copista rispetto alla copia 1, ma lo schema è identico. Rappresentare il dio come fanciullo
consente di caratterizzare il nudo con effetti morbidi: lievi passaggi di piano, volumi delicati, morbidi.
Possiamo fare un confronto con l’Apollo Parnopios di Fidia, per mostrare come la mentalità sia cambiata: Fidia lo presenta
con le terribili armi, ne sottolinea la presenza solenne, la lontananza inarrivabile; Prassitele lo rappresenta come un fanciullo,
che quasi gioca con la sua piccola vittima.
Hermes e Dioniso, Olimpia museo arch. Riscontriamo di nuovo questo modo di
rappresentare la divinità, nel quotidiano e più vicina all’uomo. Hermes sta facendo
giocare il piccolo bimbo, Dioniso, sollevando un grappolo d’uva, al quale il bimbo
tende le braccia. Momento del viaggio di Hermes verso le Ninfe del Monte Nisa, che
alleveranno Dioniso. Questo gruppo è un originale, ma non siamo certi che sia di
Prassitele; Pausania parla di un Hermes con il piccolo Dioniso nel santuario ad Olimpia
ed è in virtù di ciò che è stata fatta l’attribuzione. Ma alcuni studiosi, in virtù di alcuni
particolari stilistici, negano l'attribuzione. Se seguiamo la prima tesi, notiamo come
Hermes proponga il ritmo sinuoso, peculiare di Prassitele: il peso è sbilanciato e
Hermes poggia su un tronco coperto da un panneggio. Unione di figura adulta e
bambino (= Eirene e Ploutos), collegati da gesto e sguardi. Le superfici sono trattate in
modo morbido e levigato. Anche nella visione posteriore notiamo lo sbilanciamento
della figura ed il ritmo A S ad essa impresso. Viso di Hermes: occhi molto ravvicinati,
bocca piccola, capelli mossi che creano un bel gioco chiaroscurale con la levigatezza
del viso Confronto con il Doriforo di Policleto: possente e robusto, con muscoli ben
marcati è il nudo di Policleto, esile, snello, con muscolatura sfumata il nudo di
Prassitele.

Copia del Satiro in riposo, di Prassitele, Roma. Giovane satiro (pelle ferina-orecchie a
punta) che è saldo sulla gamba portante, ma anche si appoggia ad un tronco. Ritmo a S,
sinuosità accentuatissima, evidenziata dalla diagonale del mantello, che scende dalla
spalla destra verso il fianco sinistro; fianco sinistro è sollevato a causa dell'appoggiarsi di
tutto il corpo sulla gamba sinistra. Le chiome chiaroscure contrastano con la levigatezza
della pelle di volto e corpo. Tali caratteri sono visibili anche nella copia di Monaco. Lievi
differenze, ma perfetta traduzione, in entrambe, delle nuove soluzioni di Prassitele.

SKOPAS, altro grande scultore del IV, proveniente da Paro. Poche sono le opere a lui attribuite con certezza,
attraverso le opere. Relativamente scarsi, dunque, gli elementi per tratteggiare i suoi valori espressivi:
stando alle fonti, era un grande maestro soprattutto nel rappresentare le emozioni, il pathos, facendo uso
del movimento e della torsione. Si cimenta anche nel raffigurare Dioniso, molto amato nel quarto secolo. Al
corteggio di Dioniso si accompagna una Menade danzante, che Pausania dice di aver visto nel Santuario di
Dioniso a Sicionee.

Copia della Menade (in dimensioni minori), a Dresda; forse si tratta


della stessa menade vista da Pausania nel Tempio di Dionisio a
Sicione. La Menade viene colta nel momento più movimentato della
sua danza vorticosa e frenetica: forse il braccio sinistro reggeva un
capretto contro la spalla sinistra e il braccio destro impugnava il
coltello per il sacrificio del capretto. Il movimento vorticoso viene
suggerito dalla torsione, che percorre tutto il corpo, dalla gamba
sinistra passa per il busto e il collo fino alla testa, gettata all'indietro
e rivolta verso sinistra a seguire lo guardo. L'abbandonarsi del corpo
alla passione è sottolineato dalla massa scomposta dei capelli e dal
lungo chitone, che si spalanca nel movimento, lasciando scoperto il
fianco sinistro. L'intensità dello sguardo viene suggerita attraverso
palpebre molto sporgenti e occhi infossati: l'ombreggiatura, data
dalle palpebre molto sporgenti agli occhi infossati, conferisce al
volto pathos: questa tecnica per fare gli occhi avrà grande seguito
nelle opere di età ellenistica. Bocca doveva essere dischiusa.

Sappiamo che Skopas è attivo come architetto a Tegea. L’incarico dato all’artista è
la ricostruzione del Tempio di Atena Alea, di cui Skopas, o la sua bottega, realizza le
sculture frontonali. Siamo poco dopo la metà del IV. Frontone Est: caccia al
cinghiale calidonio; frontone Ovest: lotta tra Telefo (eroe di Tegea) e Achille,
vicenda del viaggio di Telefo, Achille ed altri greci verso la Troade. Le sculture sono
molto frammentarie. Selezionando alcune teste (es. Telefo o Eracle) notiamo come
l’emozione sia resa attraverso la profondità delle orbite sulle quali viene a crearsi
una zona ombreggiata. L’inclinazione di lato delle teste, lo sguardo verso l’alto, la
brevità della fronte convessa e le linee della bocca aumentano il pathos. Testa che
si volge con violenza verso sinistra, con fronte caratterizzata da diversa sporgenza,
più arretrata nella parte superiore e più aggettante nella parte inferiore. La bocca è
piccola, semichiusa.

TIMOTEO, attivo presso il Santuario di Asklepios a Epidauro (circa 370-350 a.C.). Da Epidauro, provengono
frammenti del frontone con amazzonomachia e acroteri del frontone occidentale. La definizione del
panneggio è molto vicino alla tradizione fidiaca.

Acroterio di Epidauro, Epione, figura femminile che


funge da acroterio, rappresentato con animale volatile
nella destra: probabilmente, raffigura Epione, che
porta l'oca, animale a lei sacro. Epione viene colta in
rapido movimento, con la veste che aderisce alle
forme del corpo con sensualità, rieccheggendo i
panneggi fidiaci e la statua di Nike di Paionios ad
Olimpia (421 a.C.).
LEOCARES. Attivo tra il 350-320 a.C. Scultore menzionato dalle fonti come particolarmente interessato alla
raffigurazione dell'epifania delle divinità. Egli realizza per Filippo II, padre di Alessandro Magno, le statue
crisoelefantine per il Philippeion di Olimpia (338-336 a.C.): statue realizzate in oro e avorio.

Copia dell’Apollo (Apollo del Belvedere), musei Vaticani. L’originale è attribuito a


Leochares da Winckelmann. Abbiamo rappresentata l’epifania di Apollo, che si mostra
agli uomini a seguito di una corsa, con addosso la sola faretra; viene presentato come
uno splendido giovane, dinamico, con un movimento esteso nello spazio. Apollo guarda
lontano, a sottolineare il distacco solenne del suo apparire. La tradizione vuole che
l’originale fosse ad Atene, nel tempio del Dio, nell’area dell’Agorà. Nella parte inferiore,
la rapida apparizione viene espressa dall'ampia falcata dei piedi, con il piede sinistro,
rimasto fortemente indietro, che poggia a terra solo con la punta, e tutto il peso del
corpo scaricato sulla gamba destra. Nella parte superiore, la rapida apparizione è
indicata dal mantello, che fermato sulla spalla destra, scendendo da dietro le spalle, si
avvolge attorno al braccio sinistro. La testa è rivolta verso sinistra e lo sguardo sembra
guardare lontano, del tutto indifferente alla presenza di uno spettatore. Il modello della
rappresentazione del nudo maschile è lo stesso scelto da Policleto, ma la forma del nudo
è più slanciata e snella rispetto agli atleti realizzati da Policleto.

Artemide di Versailles. L'Apollo del Belvedere viene accostato a questa


statua della sorella gemella, copia di età romana di un originale forse
attribuibile a Leocare. Lo scultore rappresenta l'epifania di Artemide, la
sua rapida apparizione. Corpo eretto, gamba sinistra portante, piede
destro rimasto molto all'indietro, che poggia a terra solo la punta, testa
rivolta verso destra: posizione simmetrica rispetto all'Apollo del
Belvedere. Mano sx accarezza capriolo, mano dx prende freccia.

Piccolo bronzo che raffigura Alessandro Magno (forse una copia ridotta
dell’Alessandro del Philippeion?): il giovane Alessandro è in nudità eroica, con
un panneggio, una disposizione degli arti e uno sguardo rivolto lontano che
riprendono quelli dell’Apollo. Ci si chiede dunque se questa sia una copia della
statua di Alessandro di Leochares

Mausoleo di Alicarnasso: attorno al 360 a.C., Mausolo, satrapo di Caria, governatore in nome del re di
Persia, si rende autonomo dal re di Persia Artaserse e dà inizio alla costruzione di nuova capitale sul mare,
Alicarnasso; essa viene costruita secondo un progetto unitario, che pone al centro il palazzo e l'immenso
monumento onorario di Mausolo. Subito, l'edificio viene incluso nelle sette meraviglie del mondo antico,
ma cade rovina nella tarda antichità. L'edificio viene in parte distrutto, quando nel XV secolo i Cavalieri di
Rodi utilizzano parte del materiali per costruire il Castello di S. Pietro, ancora esistente. Nell'Ottocento,
iniziano le ricerche archeologiche a Bodrum (l'attuale Alicarnasso), che portano alla luce frammenti della
decorazione scultorea dell'edificio, consistente in un fregio con amazzonomachia e resti di almeno 300
statue più o meno frammentarie; presto si scatena una corsa all'attribuzione delle singole lastre del fregio:
non possibile da svolgere, dal momento che noi oggi abbiamo solo una piccola parte dell'intero fregio. Il
monumento è destinato a diventare una delle 7 meraviglie del mondo; ne rimangono pochi resti, poiché il
monumento è stato distrutto ed i resti reimpiegati in buona parte. Si può ricostruire grazie alle fonti di
Plinio e Vitruvio, i quali indicano in Piteo di Priene l’artefice del progetto + 4 scultori, Timotheos, Leochares,
Skopas e Briasside: su un enorme podio, suddiviso in tre gradini, si innalza tempio circondato da 36 colonne
di ordine ionico, concluso da un tronco di piramide, sul quale viene posta una quadriga reale: altezza di
circa 45 metri. Tra le sculture rinvenute nei numerosi frammenti è quasi impossibile riconoscere la mano
degli scultori citati tra le fonti. Il fregio presenta il tema dell’Amazzomachia: è composto da figure di
guerrieri e di amazzoni, che formano continue diagonali, formando gruppi piramidali.

Segmento attribuito a
Segmento attribuito a Leocare: due guerrieri
Skopas: L'amazzone che finiscono
centrale che combatte l'amazzone ormai a
contro guerriero greco; terra. Figure piuttosto
amazzone poggia snelle, slanciate, con
saldamente sulla panneggi che si
gamba destra, ruota muovono in modo
busto, braccia e testa, vorticoso ad
che appaiono di profilo, accompagnare il
in un brusco dinamismo delle figure.
movimento che apre la
veste, lasciando
scoperte le parti
inferiori del corpo: eco
della Menade di
Dresda.

Giovane, da Ancitera: statua in bronzo,


Le tradizioni dei grandi maestri datata attorno al 340 a.C. Costruita basandosi
sul Canone di Policleto; gamba sinistra
1) L'influsso di Policleto: portante e gamba destra libera, che poggia a
terra la sola punta del piede. Consueto ritmo
chiastico, con gamba sinistra portante-gamba
destra flessa, braccio sinistro disteso-braccio
destro sollevato; la figura regge qualcosa con
la mano destra: la testa di Medusa (Perseo?) o
una mela (Paride?).

Atleta da Efeso/Atleta da Lussino.


due copie di età romana in bronzo dello stesso
originale; raffigurato un atleta nell'atto di ripulire lo
strigile, apposito arnese che serviva per togliere il
sudore dalla pelle. Statua conserva il consueto
schema policleteo, ma un minore attenzione alle
proporzioni, e liberà di movimento, come la testa
fortemente piegata in avanti, concentrata nella sua
azione, che conserva assai poco di Policleto.
Efebo da Maratona: giovanotto stante, stante e
con il peso sulla gamba sinistra, mentre con la
mano destra si appoggia a un sostegno esterno;
nel complesso, una figura molto simile all'Apollo
Sauroctono, e in particolare a una statua di
2) L'influsso di Prassitele:
Prassitele, citata dalle fonti antiche: il satiro
intento a versar del liquido da una brocca in una
tazza. Inoltre caratteristiche di Prassitele, come le
superifici levigate e la scelta di rappresentare una
divinità giovanissima. probabilmente, opera di un
allievo formatosi alla sua bottega, e operante
nella seconda metà del IV a.C

3) L'influsso di Skopas: Stele Funeraria dalla Necropoli dell'Illisso: sulla sinistra, corpo muscoloso di un giovane
atleta si appoggia all'indietro, guardando malinconicamente lo spettatore. La bocca
semiaperta, gli occhi infossati, il movimento a spirale rieccheggiano le opere di Skopas. A
destra il vecchio padre pensoso, e il cane, che gli era stato compagno nella caccia e ora
tocca con il muso il terreno, sottolineano l'atmosfera di tristezza e malinconia.

Pittura
Di tutti i pittori del V secolo, conosciamo solo le notizie tramandate dalle fonti, sappiamo che molti furono
costantemente in viaggio ed autori di trattati teorici, e che cercarono di rendere attraverso il disegno e il
chiaroscuro la tridimensionalità della realtà:

• Agatarco di Samo: intorno alla metà del V secolo, dipinge una scenografia per la trilogia di Eschilo,
l'Orestea, nella quale figurano edifici e paesaggi con effetti di sporgenze e rientranze; come prassi,
pubblica anche un trattato sulla metodologia che gli aveva consentito di arrivare a una pittura
tridimensionale, tramite calcoli geometrici.
• Apollodoro di Atene: compie studi sui colori e sul chiaroscuro per aumentare la profondità.
• Zeusi: uno dei pittori più famosi dell'antichità, ricordato per i suoi monocromi a fondo bianco, dove
usava il colore rosso.
• Parrasio di Efeso: si racconta che con il disegno, riusciva a rendere il volume e il movimento dei
corpi.

Le ricerche dei pittori trovano eco nella ceramica contemporanea:


Coppa del Pittore di Pentesilea: 460-450 a.C. Questa scena dell'uccisione di Pentesilea da parte di Achille è
chiaramente ispirata a una megalografia, ma sacrificata dalla ristrettezza dello spazio disponibile: la figura
dell'amazzone caduta e morente a dx, che dovrebbe essere stesa a terra, si allunga in maniera innaturale seguendo
la curvatura del tondo e il guerriero, che sulla sinistra sta abbandonando il campo, allude a un secondo piano.
Il pittore si concentra di più sulla drammaticità del momento, rispetto che alla composizione in genere: donna colta,
mentre cade al suolo, cerca come ultimo appiglio il braccio dell'uomo, e guarda dal basso il suo uccisore, mentre
quest'ultimo resta isolato nella sua dimensione eroica.
PITTORE DI ACHILLE: pittore che predilige scene semplici con figure solide,
tranquille, che sembrano emanare una forte serenità. Inoltre, egli dipinge
numerosi lekythoi a fondo bianchi, una classe di vasi con destinazione funeraria
(lekythos contiene infatti gli unguenti per ungere i corpi dei defunti nei riti di
sepoltura): vediamo come il clima sia quello della pittura, infatti il fondo bianco del
vaso richiama l'imbiancatura dei pannelli lignei.

Anfora del pittore di Achille, con Achille e Briseide: 440 a.C., Achille e Briseide; in
questo caso l'Achille appare come una scultura a tutto tondo.

Lekythos Del Pittore Di Achille, con scena di gineceo . Questa giovane donne
trasmette la serenità dei personaggi delle stele funeraria.

PITTORE DI PRONOMOS. Contemporaneo del Pittore di Meidias, dipinge vasi di grandi


dimensioni affollati di personaggi.

Cratere Del Pittore Di Pronomos da Ruvo di Puglia : gruppo di attori che si prepara per
recitare un dramma satiresco: al centro Dionisio ed Arianna, e nel registro inferiore il
flautista Pronomos che prende gli accordi con il doppio flauto; risente dell'influsso della
grande pittura.

Pelike della cerchia del Pittore Di Pronomos con Gigantomachia, da Tanagra.


Attribuita all'officina del pittore la pelike con gigantomachia da Tanagra. Risente
dell'influsso della grande pittura, in particolare per le figure viste di schiena e di scorcio,
disposte su più piani e in parte sovrapposte. La presenza di rocce e piante in ordine
sparso alluderebbe a modello di maggiori dimensioni. Fidia ha dipinto la superfice
interna dello scudo dell'Athena Parthenos, con concitata gigantomachia, che deve aver
lasciato un grande eco nell'artigianato contemporaneo.

PITTORE DI TALOS

Cratere Del Pittore di Talos, da Ruvo Di Puglia: raffigura il gigante di bronzo, eroe di
Creta, ucciso dalle arti magiche di Medea sul suo unico punto debole, una vene del piede,
per aven tentato di impedire lo sbarco degli Argonauti sull'isola. Dal momento che,
questa raffigurazione compare su altri vasi, è probabile che il ceramista guardi sempre a
una megalografia: il ceramista dimostra una grande perizia tecnica, nel rendere la
monumentalità delle figure e gli arditi scorci.

Influenza dello Stile Partenonico: stile partenonico caratterizza le opere di Polignoto e del Pittore di
Kleophon, attivi attorno al 430 a.C. Ecco alcuni esempi:

1. Staminos Del Pittore Di Polignoto, con il ratto di Elena.


2. Staminos Del Pittore Di Kleophon, con scena di partenza. Viene raffigurata la partenza di un
guerriero: scena molto rappresentata in questo periodo, forse dettata dalle guerre incombenti o
leggibile come partenza definitiva per l'aldilà. Figure presentano una dignità statuaria assimilabile a
quella delle stele funerarie e purezza dei lineamenti e sobria scioltezza dei panneggi riflettono nei
modi e nello stile il rilievo fidiaco.
3. Lekythos Del Gruppo R, con guerriero davanti alla stele: guerriero seduto davanti a una stele
funeraria, con lo sguardo perso nel vuoto; il pittore dipinge facendo largo uso della linea, con tratti
sicuri e veloci: l'uso della linea ha fatto pensare che questo lekythos sia eco della pittura di Parrasio,
celebrato nell'antichità per uso della linea con cui riusciva a rendere la tridimensionalità delle
figure.
Influenza dello Stile Ricco: lo stile ricco dell'ultimo trentennio del V secolo caratterizza anche alcune opere
di ceramica, come la produzione del Pittore di Meidias (dipinge vasi di grandi dimensioni con figure
disposte su diversi piani; due sue hydriai facevano parte del corredo funerario della città di Populonia, in
Etruria, tomba datata tra fine V e inizio IV secolo) e questo epinetron con scene di gineceo:

Epinetron con scene di Gineceo: oggetto particolare, tipicamente


femminile, che veniva appoggiato sul ginocchio per arrotolare la
lana. Da una parte, giovane sposa che riceve visita delle amiche,
sull'altra scene di gineceo con la padrona di casa circondata da
personificazioni amorose. Ripresa del raffinato manierismo nel
panneggio bagnato degli scultori dell'ultimo trentennio del V
secolo, con panneggi resi con sottili linee ravvicinate. Si segnala per
il cosiddetto "stile fiorito": per la ricchezza delle scene con
personaggi colti in atteggiamenti sempre diversi.

Hydria Del Pittore Di Meidias, con Faone E Demonassa. Viene


raffigurato Faone, seduto sotto una fronda dell'alloro accanto a
giovane donna, Demonassa. Ai lati, da una parte Apollo e Latona,
dall'altro lato le ninfe quasi sospese nell'aria. Al di sopra, Afrodite
guida un carro trainato da due personificazioni amorose.

Hydria Del Pittore Di Meidias con Afrodite e Adone: Adone,


giovane e sfortunato cacciatore amato da Afrodite, titolare di
culto praticato esclusivamente dalle donne.

Entrambi i due vasi sono arricchiti di dorature, per rappresentare


in modo più realistico i gioielli delle figure dipinte; forte
manierismo e virtuosismo nella resa dei panneggi.

CERAMICA MAGNA GRECIA: con questi vasi termina la grande stagione della ceramica attica, che continua
nel secolo successivo, con opere più modeste; poco dopo la metà del V secolo, inizia la grande produzione
ceramica della Magna Grecia: lo stile partenonico di ceramisti, come Polignoto e il Pittore di Kleophan, si
ritrovano in pittori lucani, come il PITTORE DEI PISTICCI e in pittori dell'Apulia, come il PITTORE DELLE
CARNEE.

ETA' DI ALESSANDRO (336-323 a.C.)


Nel 359 a.C., Filippo II sale sul trono di Macedonia, Pella diventa la nuova capitale, dove si reca il filosofo
Aristotele che prende parte all'educazione di Alessandro, figlio di Filippo II. Nel 338, Filippo II sconfigge
un'alleanza di poleis greche nella Battaglia di Cheronea, e nel 336 cade vittima di una congiura di palazzo,
lasciando al trono il figlio ventenne, Alessandro che regnerà fino al 323. In Macedonia, le di questo periodo
mostrano sempre una maggiore ricchezza e adesione ai modelli greci.

Cratere di Derveni, Salonicco. 330-320 a.C. A Derveni, presso Salonicco, una tomba,
scoperta nel 1962, mostra un corredo particolarmente ricco di oggetti in metalli: tra
questi, spicca un grande cratere a volute, in bronzo dorato, ricoperto da decorazioni a
rilievo o applicate. Un'iscrizione indica che venne usato come urna cineraria di un certo
Astion, figlio di Anaxagaros di Larisa, in Tessaglia. Il corpo del vaso ospita la
rappresentazione delle nozze di Dionisio ed Arianna, circondati da personaggi del komos
dionisiaco, quali satiri e menadi. Sulle spalle, sono applicate quattro figure a tutto tondo,
quali Dionisio, due menadi e un satiro. Nelle volute, sono inserite quattro teste barbate.
Tomba di Kazanlak: ultimo terzo del secolo IV a.C; tomba della necropoli di
Kazanlak, in Tracia (attuale Bulgaria). Tomba a tumulo, la cui cupola interna è
stata dipinti da pittori probabilmente venuti dalla Grecia: testimonianza del
diffondersi della cultura figurativa greca in area periferica. Sopra un fregio di
scudi, viene raffigurata su fondo bianco, una scena con la coppia di defunti al
banchetto, accanto una serie di servitori, e poi due quadrighe; nella lanterna, una
corsa di tre bighe; ciascuna figura proviene da repertori classici, ed eccetto le due
figure di ancelle in scorcio, le altre sono semplicemente accostate le une alle altre.

I Tumuli di Verghina. A partire dal 1950, sono state esplorate alcune tombe nell'attuale località di Verghina, in
Macedonia, e una di queste tombe è stata da alcuni studiosi interpretata come la tomba di Filippo II: tomba composta
da una camera con copertura a volte a botte, preceduta da anticamera, leggermente più piccola. Datata tra 350-325
a.C: se un re è stato sepolto in questa tomba, non può non essere Filippo II, ucciso a Verghina nel 336 a.C.
CAMERA: all'interno di sarcofago, è stata rivenuta uno scrigno in oro, con quattro piedi leonini, fregi e rosette e con la
stella a 16 punte di Macedonia, a rilievo sul coperchio, al suo interno si conservano le ossa combuste del proprietario
della tomba; stata rinvenuta una corona d'oro di foglie di quercia e ghiande che identifica il proprietario come
appartenente alla dinastia regale. Inoltre, si trova vasellame in argento e in bronzo, armatura, un letto, le cui strutture
lignee si sono dissolte, ma si sono conservate alcune decorazioni in avorio che lo ricoprivano, come piccole teste
maschili e femminili, alte 3 cm. In una testina in avorio, di un uomo apparentemente tra i 40-45 anni, barbato, è stato
proposta una possibile identificazione di Filippo II, anche perché è parso di vedere i segni del colpo di freccia che
avevano sfigurato il volto del re e l'aveva reso cieco, durante una battaglia; invece, in una testina più giovane, una
possibile identificazione di Alessandro Magno, per sguardo patetico ed espressione intesa.
ANTICAMERA: qui, è stato rinvenuto sarcofago, contenente anch'esso cassetta d'oro, all'interno di cui si trova veste di
porpora ed oro: resti di una giovane defunta, forse Cleopatra, ultima moglie di Filippo.

La facciata di questa tomba monumentale si presenta come facciata di edificio sacro o palazzo, aperta tra due
semicolonne doriche tra ante, sormontate da fregio dorico, ed ampia fascia dipinta: episodio fondamentale nella storia
dell'arte greca, perchè presenta una tra i pochi originali dipinti della grande pittura greca. Viene raffigurata una scena di
caccia rappresentate 4 diverse cacce: ai cervi, al cinghiale, al leone, all'orso, servendosi di numerosi cani e cavalli,
rappresentati in scorcio. I due partecipanti della caccia al leone, un giovane e un maturo uomo barbato sono stati
identificati come Filippo II ed Alessandro Magno. Il senso del movimento, l'uso di cavalli come elementi di profondità e
l'ambientazione paesaggistica hanno fatto pensare ad opera giovanile di Filosseno di Eretria, ma l'uso del chiaroscuro,
per rendere la luminosità, fa pensare al pittore Apelle.

TOMBA DI PERSEFONE: 320 a.C; affresco con il ratto di


Persefone attribuito a Nicomaco di Atene. Rappresentazione
molto mossa e complessa: il carro di Ade ha appena rapito
Persefone, e procede con forte impeto, come dimostra la
rappresentazione di 3/4 del carro che sembra uscire dalla
parete; Ade ha espressione molto intensa, e chioma
scompigliata, come quella di Persone, che invano tenta sottrarsi
dall'abbraccio di Ade, e si rivolge verso la compagna, atterrita.
Questi affreschi ci permettono di osservare l'uso sapiente del
colore, i giochi di luce e di ombra, che ben si inseriscono in
questo quadro della pittura di scorcio del secolo IV a.C.
I palazzi macedoni
Sempre a Verghina, è stato scoperto un grande palazzo: caratteristico tipo del palazzo ellenistico; si accede
dal lato est, superando tre vestiboli, e si giunge a una corte centrale quadrata, questa è ornata su ciascun
lato da un portico di 16 colonne di ordine dorico, ed attorno ad essa si distribuiscono una serie di stanze
quadrangolari. Accanto all'accesso, si colloca un ambiente, quadrato all'esterno, con pianta circolare,
coperta da cupola, probabilmente sala di rappresentanza. Lo stesso schema del palazzo di Verghina si
ritrova nei palazzi della città di Pella, che sono inseriti all'interno di una sistemazione urbanistica ad assi
perpendicolari. Alcuni di questi palazzi presentano mosaici pavimentali, rappresentanti scene di caccia.
Esempio di mosaico: scena di caccia al leone, con un personaggio che sta per avere la peggio, ma viene
salvato dall'intervento del suo compagno: allusione al celebre episodio in cui Alessandro viene salvato
dall'intervento di Cratero.

Olinto e Priene: la casa greca nel secolo IV: esempio più chiaro di normale abitazione greca alla metà del
secolo IV a.C. Di norma, sistemazione urbanistica ad assi perpendicolari, con isolati che presentano otto
unità abitative, mentre nel nucleo centrale, trovano posto i principali edifici pubblici (a Priene: Agorà,
Santuario di Zeus e Santuario di Atena, opera di Piteo, cfr. Mausoleo di Alicarnasso). Il nucleo centrale è
sempre costituito da un cortile interno, l'aulè, al quale si accede dalla strada tramite una porta e stretto
passaggio; attorno all'aulé, si sviluppa apre l'abitazione vera e propria, che si sviluppa su 2 piani: al piano
inferiore, si trova l'andron, il locale dove il padrone di casa poteva ricevere gli ospiti, e al piano superiore gli
ambienti per le donne e camere da letto. L'acqua viene di norma presa da fontana pubblica, in quanto
nessuna delle case greche ha acqua corrente.

Scultura della seconda metà del secolo IV a.C.


LISIPPO: si dichiara seguace di Policleto, ma scrive un canone, in cui afferma di voler raffigurare il corpo
umano non come deve essere, ma come è. Proprio come Policleto, Lisippo ritiene che il corpo umano sia
regolato da rapporti matematici, ma questi rapporti non sono rigidi come quelli del maestro: le figure sono
più snelle, i movimenti più liberi, l'espressione del volto più intensa: ciò non impedisce una idealizzazione,
ma si avvicina di più alla realtà, diminuendo l’uso di schematizzazioni e formule numeriche.
Museo Archeologico, il Donarco di Daochos, 340; monumento offerto ad Apollo dal
tetrarca di Tessaglia nel 340 circa. È in marmo e raffigura Apollo e gli esponenti più
significativi della famiglia del tetrarca, identificati da un’iscrizione: Daoco, il figlio, e
sette suoi antenati vincitori in gare atletiche. quest'originale in bronzo non è giunto fino
a noi, ma poco dopo, queste vengono replicate in marmo in un monumento presso il
Santuario di Delfi. La meglio conservata è la figura di Agias. La statua di Agias di Delfi ci è
d’aiuto nel conoscere lo stile di Lisippo prima che diventi lo scultore ufficiale di
Alessandro. Nuova è la concezione strutturale della figura, che non è caratterizzata dalla
gamba che sostiene il peso e dell’altra libera: qui il peso è sostenuto da entrambe, in un
dinamismo elastico. Il busto appare più allungato, gli arti sono più lunghi, la figura è
molto più snella ed elastica e la testa più piccola rispetto alle proporzioni degli scultori
precedenti. I tratti del volto denotano un’enfasi dello sguardo, lievemente ombreggiato,
secondo l’insegnamento di Skopas. Ciò intensifica l’espressività. Occhi ravvicinati, bocca
piccola e leggermente dischiusa, capigliatura mossa che crea giochi di luce e ombra e
contrasta con la levigatezza del volto di Prassitele.

Opera più famosa di Lisippo: copia dell'Apoxyomenos, Musei Vaticani. Ce ne parla Plinio. L’opera
raffigura l’atleta che si deterge mediante lo strigile (in bronzo), asportando sudore, polvere e
l’unguento spalmato prima della gara, momento successivo alla gara. Per la prima volta la visione
del busto è interrotta dal movimento delle braccia. Altra novità è la distribuzione del peso su
entrambe le gambe, seppur in modo diverso. Ciò dà vita ad una figura sinuosa ed in movimento,
accentuato dalle braccia, di cui la dx è avanti, la sx è piegata a detergere. Figura è sbilanciata in
avanti. La testa, piccola, guarda lontano. Occhi, naso e bocca sono molto più piccoli e ravvicinati, e
concentrati in un triangolo, la fronte è lievemente corrugata, la bocca è appena dischiusa, le
ciocche di capelli sono un po' scomposte: il tutto conferisce l'impressione di un patetismo appena
accenato, per ricordare lo sforzo compiuto dalla figura. Movimento nello spazio: Prassitele;
espressività nello sguardo: Skopas.

Opera nota ed attribuita alla maturità è l’Eracle in riposo, copia romana rinvenuta nelle
Terme di Caracalla (Eracle Farnese perché prima faceva parte della collezione Farnese). Il
copista ha accentuato la muscolatura, ma questa era sottolineata già da Lisippo. L’eroe è
stanco e si riposa appoggiato sulla clava che poggia sulla roccia; la clava è coperta dalla
pelle del leone di Nemea. Eracle sembra meditare su quanto ha appena compiuto ed è
stanco al termine delle imprese. Entrambi i piedi poggiano a terra ma sbilanciamento verso
l’esterno, bilanciato dalle braccia: il sx cade verso il basso, il destro è portato dietro la
schiena. La testa volge verso il basso, pensierosa. Occhi infossati, palpebre sporgenti,
ombreggiatura degli occhi, fronte solcata da ruga orizzontale, contrasto ancora molto
evidente tra la capigliatura mossa e le ciocche della barba che creano notevoli chiaroscuri.
Posteriormente vediamo cosa ha comportato questa fatica: sono i pomi delle Esperidi, che
Eracle tiene in mano, dietro di sé. La figura è fatta per essere guardata da tutti i lati, penetra
nello spazio circostante.

Il Socrate del Pompeion. Tra il 330-320 a.C., Atene commissiona a Lisippo, una statua
di Socrate, da collocare nel Pompeion: esisteva già un ritratto di Socrate che
ricordava più l'immagine dai tratti silenici data da Aristofane, piuttosto che quella
data dal suo discepolo Platone, ma a fine del secolo IV a.C. Socrate non è più il
condannato, ma simbolo della comunità ateniese. Originale in bronzo di Lisippo è
andata perduta, ma nota attraverso riproduzione di età romana, e una riproduzione
eseguita, già a fine del secolo IV a.C. Figura eretta, con mantello avvolto sotto il petto
e sulla spalla sinistra; gamba sinistra portante e gamba destra flessa, braccio sinistro
sollevato e braccio destro disteso lungo il fianco. Lisippo lascia alcuni tratti silenici,
per renderlo immediatamente riconoscibile, ma sottolinea l'anzianità con folta barba
e la saggezza del filosofo con sguardo pensoso e raccolto.
Alessandro Magno nasce a Pella nel 356 a.C. e regna dal 336 al 323 a.C., durante il suo regno, conquista il regno di Persia
(battaglia di Isso, 333 a.C., contro Dario), l'Egitto, dove fonda Alessandria, e si dirige verso l'Indo. Per Plinio, la figura di
Lisippo è strettamente collegata a quella di Alessandro: probabilmente Alessandro conosce Lisippo attraverso la corte
filomacedone di Tessaglia, di cui Lisippo è l'artista preferito: è l'unico che poteva ritrarlo in opere scultoree e l'unico a
seguirlo nella sua spedizione in Oriente. Realizzazioni per Alessandro.
L'Alessandro a cavallo. Dopo la prima vittoria contro la Persia, presso il fiume
Granico (334 a.C: prima e difficile battaglia contro il re di persia, nella quale
Alessandro rischia la vita e muoiono molti cavalieri della sua stretta cerchia),
Lisippo riceve l'incarico di realizzare un monumento commemorativo per
celebrare la vittoria e ricordare l'eroismo dei cavalieri macedoni periti in
battaglia, da porre presso il Santuario di Zeus a Dione. Gruppo scultoreo in
bronzo di Lisippo è andata perduto, ma abbiamo riproduzioni del solo re a
cavallo, come il bronzetto di Ercolano. Il cavallo (Bucefalo) si impenna,
poggiando a terra solo le due zampe posteriori, quando improvvisamente il
cavaliere tira le redini. Alessandro, vestito di corazza leggera, armatura
caratteristica della cavalleria macedone di questo periodo, ruota di tre quarti
verso destra, con il braccio sinistro tiene le redini, mentre il braccio destro è
sollevato per sferrare un colpo con la spada, qui perduta. Accuratezza dei minimi
dettagli, che Plinio cita come una qualità tipica di Lisippo. Lisippo crea una nuova
iconografia per Alessandro, che diventerà poi canonica: giovane con capigliatura
mossa a lunghe ciocche e divisa a metà della fronte, anastolè ed espressione
decisa ed eroica; il tema del sovrano a cavallo, elaborato da Lisippo, diventerà
Copia del ritratto di Alessandro, Ginevra. modello ampiamente imitato in tutta età ellenistica e in tutta età imperiale.
Mostra tratti in parte idealizzati: giovane
con capigliatura scomposta con ciocche
innalzate verso l’alto.

Copia ridotta dell’Alessandro con la lancia, da Velleia, Parma; il sovrano è in nudità,


come gli eroi, appoggiato ad una lancia. Corpo con dinamicità elastica tipica delle figure
stanti di Lisippo. Figura stante, appoggiata alla lancia con braccio sinistro; peso su ambo le
gambe, torace sinuoso, sguardo portato lontano. Braccio sx poco lontano dal fianco,
steso, il dx regge la lancia. Il volto del re è proposto in innumerevoli ritratti (es. Ginevra:
più vicini all’originale lisippeo, mentre Istanbul, Copenhagen sono più tardi e in essi vi è
accentuata la lieve inclinazione della testa e lo sguardo un po’ rivolto verso l’alto, tutte
caratteristiche che Lisippo realizzava per il sovrano). La ponderazione, postura,
proporzioni sono gli stessi dell'Aghias di Delfi, ma i tratti distintivi sono quelli di
Alessandro, che volge lo sguardo a destra verso il cielo, come se appartenesse a una sfera
sovraumana.

L'Alessandro con la folgore di Zeus di Apelle; originale dipinto del pittore Apelle è
andato perduto, ma è noto attraverso le fonti letterarie, che descrivono un
Alessandro che tiene il fascio di fulmine, e attraverso una sua riproduzione su una
pittura parietale di Pompei. Personaggio seduto, mentre tiene con mano destra lo
scettro e con mano sinistra il fulmine: essendo la posizione tipica dello Zeus di
Olimpia di Fidia, si è dapprima creduto che si trattasse di Zeus, ma si è subito
notato che il volto non è quello barbato di Zeus, ma è volto imberbe, dai capelli
mossi, ovvero il ritratto di Alessandro, che mostra di essere uno Zeus reincarnato.
Rispetto a questo, Plutarco racconta anche un aneddoto, secondo cui Lisippo
avrebbe rimproverato Apelle per aver osato troppo, raffigurandolo direttamente
come un dio: scelta iconografica molto forte e piena di significati rivoluzionari.
Questo ci permette di capire il cambiamento di valori che inizia proprio con le
imprese di Alessandro, ovvero l'esaltazione di un singolo connotato con delle
caratteristiche superumane, addirittura assimilato al padre degli Dei.
Filosseno: Mosaico della Casa del Fauno (copia da Filosseno), Pompei.
Celebra Alessandro nelle sue imprese, in questo caso, verosimilmente, la
Batt. di Isso contro Dario III re di Persia. Filosseno, pittore vissuto dopo
Alessandro e famoso per aver dipinto la battaglia. La guardia imperiale
difende fino all'ultimo il sovrano, mentre l'auriga sterza violentemente
per consentire a Dario di lasciare il campo di battaglia. Il campo di
battaglia è ormai disseminato di cadaveri, con il cielo vuoto solcato dalle
sarisse ed unico elemento paesaggistico, che completa ed allude al luogo
dove si è svolta la battaglia.
Grande rilievo è dato alla figura di Alessandro che si trova proprio al centro dello schieramento macedone: monta Bucefalo
ed è seguito dai suoi cavalieri, egli scompiglia le file nemiche, fa cadere i primi persiani forte drammaticità, con persiani
sorpresi da questo attacco repentino, in parte trafitti, in parte caduti, con armi che volano, e a destra si colloca il re Dario sul
il carro di guerra, che guarda Alessandro attonito, indicandolo l'apparizione con il braccio destro. Dell'esercito viene
sottolineata la confusione, generato dall'irrompere di Alessandro. Molto efficace è la rappresentazione del campo di
battaglia, con l’organizzazione dei pieni, suggeriti dalle figure, dalle sarisse macedoni e dall’albero secco, nota che domina il
paesaggio. Movimento concitato sottolineato anche dal colore. Il volto di Alessandro ha tutte le caratterizzazioni introdotte
da Lisippo: capelli scomposti, anastolè, grandi occhi che guardano verso l’alto. Il volume è reso con un colpo di luce (es: sulla
guancia del re, sul posteriore del cavallo di Dario...): tratto tipico di Filosseno. La profondità della scena è data dalla presenza
di tanti personaggi e delle loro armi, dall'audace rappresentazione di scorcio dei cavalli e dal grande corpo del cavallo
disarcionato rappresentato addirittura da dietro. Le fonti sottolineano la capacità di Filosseno di Eretria di creare la plasticità
e il volume della figura, attraverso la luce di alcuni colori sapientemente sistemati sulla superfice delle figure: anche dalla
copia intuiamo questa sua caratteristica, come nel corpo di Alessandro o nel posteriore del cavallo disarcionato.
Copia delle Nozze di Alessandro, da Pompei. Il dipinto originale è di Ezione,
probabilmente proprio ad occasione del matrimonio tra Alessandro e Roxane, nel
327 a.C., è andato perduto, ma è noto attraverso la descrizione puntuale di
Luciano (II d.C.), che sottolinea che la scena è ambientata in ambiente chiuso, con
abbondanza di personaggi e l'effetto della luce, che provocano continue
luminosità. Si è cercato di riconoscere l'originale di Ezione in riproduzione di una
pittura parietale di Pompei, ma non è affatto sicuro che si tratti delle nozze tra
Alessandro e Roxane, anche perché recentemente si è proposto che qui siano
rappresentate le nozze di una principessa della Persia, come mostrano gli abiti
delle figure attorno solitamente usati per indicare i Persiani. Dominano due figure,
una maschile e una femminile; a destra, figura maschile ha le armi e le posizioni di
Ares, a sinistra quella femminile la tipica posa di Afrodite ma i tratti del volto non
sono quelli idealizzati delle due divinità, ma sono tratti particolari e fisionomici.

La figura maschile presenta l'espressione intensa e decisa tipica di Alessandro, in nudità eroica, che si ispira
all’Alessandro con la lancia di Lisippo. La cuspide è rivolta verso il basso, a segnalare che egli ha conquistato il territorio.
Accanto abbiamo la sposa, che stringe a sé uno scettro; disposte tra i due abbiamo l’elmo e lo scudo, retto da un piccolo
Eros: dunque queste nozze alludono a nozze divine, quelle tra Ares ed Afrodite, che si può ritrovare nell’iconografia di
Statira. La scena è ambientata in ambiente chiuso, anche se i personaggi non sono molto numerosi, ma ovunque sono
utilizzati effetti di luce, che rimbalza sui volti, corpi, vestiti, armature. L’opera ricorda uno degli atti politici più noti ed
efficaci del sovrano: unire attraverso il matrimonio i Macedoni con le donne persiane, così da creare un impero
universale dal sangue macedone, impresa che non porterà a termine, poiché morirà a Babilonia nel 323.

L'iconografia creata da Lisippo per Alessandro passa a rappresentare la regalità (Gaio Pompeo si farà
ritrarre con l'anastolé) ed Alessandro stesso continua ad essere ritratto in tutta età ellenistica, con stili
diversi, ma tratti distintivi ritornano sempre costanti, che permettono di identificare facilmente il
personaggio. Es. Ritratto di Alessandro Magno del II a.C., rinvenuto a Pergamo, e oggi conservato al Museo
archeologico di Instabul. Alessandro resta riconoscibile per i capelli scomposti e divisi a metà sulla fronte,
espressione intensa e decisa, anche se lo stile è quello pergameno del secolo II a.C., attento ai chiaroscuri e
al gioco delle masse.
APELLE. Nella totale scomparsa dei suoi dipinti, restano molti aneddoti. Plinio scrive che Apelle "superò
tutti quelli che erano stati prima" e che Apelle stesso dava giudizi sulla pittura degli altri e sulla propria
"Sono bravissimi tanti miei contemporanei, ma io ho due cose in più: la charis e so dove togliere la mano
dal quadro" cioè "so finire, non vado avanti a perfezionare all'infinito": Apelle era infatti famoso per la sua
charis, la stessa di Prassitele, e Plinio cita anche come sua caratteristica lo splendor, da intenere come un
forte contrasto tra punti illuminati e punti meno illuminati. Opere:

1. Afrodite che esce dalle acque (opera più celebre), noto solo attraverso descrizioni, che ispirarono
Botticelli stesso per la sua nascita di Venere.
2. Ercole visto di spalle: si nota la corrispondenza tra l'Ercole narrato da Plinio e dipinto di Pompei,
in cui Eracle contempla il figlio Telefo che viene allattato da una capretta; ci sono molti particolari
aggiunti a posteriore, ma questo tipo di raffigurazione di Eracle potrebbe risalire al quadro di
Apelle.
3. Ritratto di Alessandro con scettro e fulmine.

NICIA. Dalle fonti letterarie, conosciamo il nome di altri pittori, come Nicia. A questo, viene
attribuito Liberazione di Andromeda da parte di Perseo: soggetto molto riprodotto nelle
pitture parietali di Pompei, e in particolare alcune sono probabilmente delle vere e proprie
copie dell'originale di Nicia. Scena si svolge in uno scenario di scogli, dove si intravede
l'azzurro del mare. Dominano la scena due figure, quella di Andromeda, che scende su un
masso, dalla roccia alla quale era stata incatenata, con la veste in disordine, che le scopre il
seno destro, e il braccio sinistro sollevato e il polso che porta ancora il ferro con cui era stata
incatenata. Perseo, indicato dalle ali che gli spuntano alle caviglie e dalla testa recisa della
Gorgone, con corpo muscoloso e solido, viene ritratto nel momento in cui la aiuta a scendere,
con il mantello che gli ricade dietro le spalle, appena sollevati, dall'alzarsi della gamba destra.
In basso a sinistra, il grande corpo del mostro marino, appena ucciso da Perseo, sottolinea la
drammaticità dell'evento. Anche dal punto di vista stilistico, possiamo identificare originale di
Nicia, per i forti chiaroscuri e luminescenze.

ATENIONE DI MARONEA. Sempre Plinio parla di un altro pittore, ovvero Atenione di Maronea, che dipinge un "Comandante di
cavalleria" nel Tempio di Eleusi e un "Gruppo di Famiglia" e "Achille vestito da donna mentre Ulisse lo scopre" e "Un
palafreniere accanto al suo cavallo" ad Atene. Riguardo agli altri quadri sappiamo poco, ma non è stato difficile riconoscere in
una serie di pitture parietali a Pompei molte copie del suo "Achille vestito da donna" mentre a Sciro, viene scoperto da Ulisse.
Mito: Achille, per sfuggire a un oracolo, che gli aveva predetto che nell'assedio di Troia avrebbe trovato la morte, si rifugia
sull'Isola di Sciro, nascondendosi tra le fanciulle del Re Licomede, ma ai Greci è necessaria la sua presenza, e Odisseo e
Diomede partono per cercarlo e lo scoprono facendo risuonare le armi, a cui l'eroe non può non resistere.
Achille a Sciro, dalla casa dei Dioscuri di Pompei: riproduzione di originale di Atenione di Maroneo, con più pathos e
drammaticità. Dominano due figure, poste specularmente, con gesti bruschi e ginocchia piegate nella folla; a destra, Odisseo,
indicato dal copricapo da marinaio, afferra con la mano destra Achille, con vesti e biancore tipici di fanciulla, ma con spada
stretta nella mano destra, che ha sguardo inteso, afferrato da dietro da Diomede. Chiaroscuri molto forti e profondità dello
spazio, aperto in un colonnato, in cui si vedono posti su diversi piani, Licomede e i suoi armati e a destra Deidamia, che fugge
attonito, con il petto scoperto dai veli.
Achille da Sciro, da una casa della ix regia: esempio meglio conservato, ma più statico, privo di pathos e drammaticità, dove è
più dominante la figura del re Licomede.

OPERE DI AUTORI SCONOSCIUTI: Scena di Teseo che libera i fanciulli ateniesi dal labirinto
del Minotauro è riprodotta in pitture della Basilica di Ercolano e in alcune case di Pompei.
Basilica di Ercolano: quadro dominato dalla figura di Teseo, simile a una statua di Lisippo,
che volge lo sguardo a sx; i fanciulli ateniesi lo festeggiano uno gli bacia la mano destra, un
altro gli abbraccia la gamba sinistra; steso sul terreno, senza vita, il corpo del Minotauro, il
tutto su un fondale di mura e rocce.
Casa di Gavio Rufo, Pompei. Mentre la pittura di Ercolano fu realizzata da pittore di grande
capacità tecnica, qui si parla di un semplice artigianato, che esegue per un cliente senza
pretese lo stesso originale. Il fondale diventa anonimo muro di città, il corpo di Teseo è
disorganico, il Minotauro è piccolo, capace di incutere più pietà che spavento, e il gruppo a
destra, è stato paragonato da Bandinelli a "un gruppo in gita scolastica".
ETÀ ELLENISTICA (323 - 31 a.C.)

Età molto lunga, dalla morte di Alessandro fino alla sconfitta dell’ultimo regno ellenistico, il Regno d’Egitto.
L’area di interesse è molto vasta, poiché va a comprendere tutti i regni formatesi nei territori conquistati da
Alessandro. È difficile presentare un quadro unitario del panorama culturale: questo vede nascere molte
scuole artistiche, nascono diverse correnti e si intrecciano reciproche influenze. Dal punto di vista della
cultura, il sogno visionario di Alessandro si concretizza: la cultura greca penetra e dialoga in tutte quelle
realtà "altre" dell'Oriente. Quando si parla di età ellenistica, non si parla solo di città della Grecia, ma di
altre tante città di nuova fondazione, come Alessandria d'Egitto, Antiochia, fondata in Siria dai Seleucidi,
Rodi, Pergamo, dunque gli artisti sono spesso al servizio di committenti diversi. In età ellenistica maturano
un grande numero di interessi:

• ritroviamo tutti elementi trasmessi dalla cultura classica alle culture successive (ponderazione,
esprimere stato d'animo del personaggio tramite gli occhi);
• fiorisce la fiorente produzione di copie, o meglio la rielaborazione di modelli del passato di età
classica;
• fiorisce la produzione di statue di divinità, in particolare di Afrodite e di Dionisio;
• fiorisce la produzione della "statua ritratto”;
• fiorisce la produzione di monumenti più squisitamente polici, alcuni proprio per celebrare grandi
vittorie

Scultura età ellenistica

ARTE DEI DIADOCHI.


Tolomeo, Egitto: Statua di Serapide, Briasside. Viene qui creata una nuova divinità, SERAPIDE, in cui
confluisce lo Zeus ellenico e l'Osiride egiziano. Statua crisoelefantina del "nuovo" dio viene
commissionata a Briasside: colossale statua simbolo del sincretismo tolemaico. Come lo Zeus di
Fidia, è presentato barbato, seduto su un trono e con la mano sinistra regge lo scettro. Sui capelli è
posto il modio, tipico recipiente destinato al grano e quindi simbolo di fertilità, come Ade poggia la
mano destra sulla testa di un cerbero, mostro infernale a tre teste. Le forme solidi e possenti lo
avvicinano stilisticamente a Mausolo del Mausoleo di Alicarnasso.

Copia della Tyche di Antiochia, di Eutichide, 300 a.C., Musei vaticani. Attorno al 300 a.C.,
Seleuco di Siria, dopo aver fondato una nuova città, Antiochia, commissiona ad Eutichide,
allievo di Lisippo, una statua riproducente l'immagine stessa della città. Questo la realizza in
bronzo, di dimensioni colossali: 5 volte oltre il vero. Presenta la dea seduta su una roccia,
poggiando la mano sx e con le gambe accavallate. Con la dx tiene delle spighe, allusione a
fertilità e prosperità. La corona turrita che indossa è allusione alla città ed alle sue mura.
Alla base si dispone il busto di un fanciullo che nuota: è la personificazione dell’Oronte,
fiume della città.

Efebo Getty, da Fano. Altro esempio di scultura della scuola


di Lisippo. Statua in bronzo, conservata al Getty Museum di
Malibu, al centro di contesa tra museo di Malibu e stato
italiano; atleta che solleva il braccio destra per incoronarsi,
conferendo al corpo movimento sinuoso: ispirazione
certamente lisippea, nelle proporzioni, movimento nello
spazio, trattamento del volto.
Il sarcofago di Alessandro. Uno dei più celebri originali della scultura ellenistica, cosiddetto, perché compare la figura di
Alessandro, ma non era destinato alla sepoltura di Alessandro, sepolto invece ad Alessandrio d'Egitto. Rinvenuto a Sidone,
antica città fenicia, datato attorno alla fine del secolo IV a.C: plausibile che vi fosse sepolto ABDALONIMO, designato come
satrapo di Sidone dallo stesso Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (333 a.C.) e forse morto verso il 305 a.C. Grande
sarcofago marmoreo, con coperchio a doppio spiovente e i quattro lati della casa, ornati a rilievo. Su uno dei lati lunghi, è
rappresentata una battaglia tra Greci e Persiani, così indicati dagli indumenti che indossano, in cui irrompe Alessandro, figura
più a sinistra, riconoscibile dai caratteri lisippei (cfr Alessandro a cavallo), mentre al centro figura in nudità eroica potrebbe
essere il compagno Efestione o il cavaliere Demetrio. Sull'altro lato lungo, grande scena di caccia, in cui al centro un cavaliere
viene assalito da un leone, mentre da destra e da sinistra, giungono cavalieri greci e persiani: non più scena di battaglia, ma
cooperazione tra greci e persiani per unico scopo comune, ovvero la caccia.

A partire dal "ritratto d'arte" elaborato da Lisippo per Alessandro, si afferma abitudine di riprodurre il ritratto di singoli: ogni
dinasta avrà il suo ritratto, che richiama il ritratto di Alessandro, a metà tra atleti ed eroi e inoltre, nascono nuovi ritratti, che
elaborano la fisionomia di alcuni personaggi, come filosofi, oratori, poeti, per esprimere concetti e valori morali sempre validi.
Esempi ritratti postumi sono il ritratto di Omero e il ritratto di Demostene, dove la maturità viene indicata dalla barba e dal
pesante mantello. Il ritratto per il mondo greco è quello che ritrae la figura nella sua totalità, volto e corpo, infatti saranno i
Romani ad operare quella mutilazione, che prevede per il ritratto il solo busto o la testa.

Ritratto Di Demostene, Polieutto. Statua in bronzo, nota attraverso copia di età romana. Ritratto
postumo di Demostone, oratore e politico, avverso ai macedoni, viene eretta nell'Agorà di Atene,
attorno al 280 a.C., circa 40 anni dopo la sua morte. Non si tratta della precisa definizione della
fisionomia di Demostene, ma si sovrappone una rielaborazione che intende suggerire i valori della
personalità di Demostene, che travalicano il singolo: onestà, dedizione alla propria città,
pensosità di persone d'intelletto. Uomo maturo pensoso, barbato come il costume dell'epoca,
con il corpo avvolto in un semplice mantello, porta le mani sul ventre, la testa in avanti, con
espressione concentrata del volto, con scopo di rappresentare valori morali sempre validi.

Ritratto di Crisippo, Posidippo. Statua in bronzo, nota attraverso copia di età


romana. Ritratto di Crisippo, allievo di Zenone, fondatore della scuola stoica,
realizzata poco dopo la sua morte (206 a.C.). Si sottolinea il contrasto tra il
corpo oramai vecchio, e la realistica vivacità del volto ossuto e rugoso, con
mano destra sollevata nell'atto di spiegare il ragionamento.

In questo periodo, vengono realizzate molte statue di due divinità, Afrodite e Dionisio, e in particolare
Afrodite. Si tratta di statue che si ispirano alla tradizione prassitelica, alla sua Afrodite Cnidia, ma non si
tratta di una vera e propria copia, perché gli artisti rielaborano ed innovano l'opera, creando per esempio di
Afrodite intente in occupazioni, come allacciarsi un sandalo, o cingersi il capo con una benda. a causa della
sempre più ridotta importanza della sfera pubblica e politica: prevalgono gli aspetti privati della vita, dunque
la dea dell’amore è un soggetto interessante.
Copia romana: “Afrodite Capitolina”, Afrodite di Capua; una delle
l’originale è di III o II secolo a.C. Essa varianti dell'Afrodite Cnidia,
elabora il modello di Prassitele, un po' più recente rispetto
riproponendo il ritmo sinuoso, ma alla prima, nota attraverso
cambia la disposizione della gamba copia di età romana;
portante e di quella flessa, cambia la presenta corpo più eretto,
posizione delle braccia e la per consentire alle braccia
capigliatura si fa più elaborata, ma lo di muoversi liberamente:
schema dell’Afrodite Cnidia permane: queste braccia sono andate
la Venere si copre le nudità, nel perdute, e sono state
momento del bagno, la veste è integrate in età moderna,
ripiegata su una hydria. ma dovevano reggere forse
uno specchio.
Copia dell’Afrodite accovacciata, originale di Doidalsas, metà III. Molto innovativa. La dea,
senza veli, sta per fare il bagno, ma è accovacciata, pronta per scendere in acqua, ma nel
contempo si volge, creando una torsione che è evidente sul busto, che appare molto
sensuale per le pieghe del corpo morbido: sedendo sul tallone destro, ruotando verso la
sua destra, e portando la mano sinistra sulla coscia destra e la mano destra sulla spalla
sinistra. Altre copie restituiscono anche l’idea delle braccia: la dx nasconde i seni, la sx è
rivolta verso il basso, disposta tra le gambe. Il volto guarda all’indietro, di lato.

Venere di Milo. Originaria ellenistica rinvenuta a Milo, datazione


non è chiara, forse avanzato II secolo a.C. (cfr forte classicismo, che
dà alla testa maggiore simmetria). Sempre derivante dal modello
prassitelico, ma l'anonimo scultore enfatizza la ponderazione,
accentuando il ritmo sinuoso a s, veste la sua dea di un panneggio,
che copre soltanto la parte inferiore, e che aderisce molto al corpo,
tanto da assomigliare al panneggio bagnato. Panneggio permette
come sempre di giocare attraverso i contrasti, superficie liscia del
nudo e quella più mossa del panneggio.

“Afrodite del sandalo”, circa 100 a.C.; Atene. Gruppo statuario; la


venere ricorda sempre la Cnidia, ma qui è affiancata da Pan, qui con
le forme di un capro nelle gambe e nella testa (con le corna). Il corpo
della dea contrasta con quello animalesco del Pan. La dea si difende
dall’assalto esibendo uno dei suoi sandali, pronto a colpire. C’è
anche un piccolo Eros, che, giocoso, allontana il Pan.

Santuario della Dea Despoina a Licosura, Demofonte di Messene. Uno dei più celebri
scultori di statue di culto è Demofonte di Messene. Pausania racconta di aver veduto
all'interno della cella di questo santuario, un gruppo statuario, che con il basamento,
doveva raggiungere circa i 5 metri, raffiguranti al centro le due statue sedute di Demetra
con la fiaccola e Despoina con lo scettro; e ai lati stanti, le figure di Artemide, che per il
culto locale era anch'ella figlia di Demetria, e Anito, titano che aveva allevato Despoina. Di
questo gruppo, sono rimasti alcuni frammenti, come le teste colossale di Demtra, Despoina
ed Anito: mostrano tutte una forte aderenza alla tradizione classica, con un
"aggiornamento" nella capigliatura: si propone una datazione attorno al 215 a.C.

Ad esse è stilisticamente accostabile la grande testa di divinità barbata proveniente da


Egira: testa contornata da grandi ciocche fluenti della capigliatura e della barba, ha occhi e
bocca sottolineati dalla nettezza del taglio: opera di Euclide di Atene, sempre datata attorno
al 210 a.C.
Posidone di Mileto, Firomaco. Autore della scuola attica, a cui viene
attribuita la grande statua di Posidone di Mileto: ritrovato a Milo, con la
celebre Venere di Milo, tipo consueto di divinità barbata, stante, destra
sollevata per reggere il tridente, con il mantello che copre parte
inferiore del corpo; epifania sottolineata dall'amppia falcata, con piede
sinistro notevolmente arretrato; gli occhi infossati e vicini conferiscono
al volto quel pathos di Skopas.

Nike di Samotracia. Grande statua di Nike Alata proveniente dall'isola di Samotracia, nell'Egeo settentrionale, datata tra III
e II secolo a.C., dedicato nel Santuario dei Cabiri, divinità protettrice dei navigatori. Intero monumento era costituito da una
base realizzata come grande prua di nave, che dominava lo specchio d'acqua di una vasca, e dalla figura della dea Nike, che
scendeva ad appoggiarsi sulla prua, portando vittoria ai committenti. Quindi, presenza della vasca e della prua di nave
indicano chiaramente che si tratti di vittoria ottenuta sui mari e forse, osservando alcune prue di nave sull'isola di Rodi, e in
particolare a Lindos, si è pensato che i committenti potrebbero essere di Rodi, se così è l'occasione per la costruzione di
questo grande monumento potrebbe essere la battaglia navale di Side vinta da Rodi su Seleuco, nel 190 a.C. La rapidità
dell’apparizione è sottolineata dalla grandezza delle ali dalle penne rigonfie minuziosamente definite e dall’ampiezza del
passo (cfr Apollo del Belvedere di Leocares). Si guarda ancora ad un modello classico, ovvero la Statua di Nike Alata di
Paionios ad Olimpia (421 a.C.), ma vediamo una rielaborazione originalissima: definizione del panneggio che accompagna il
movimento vorticoso della figura, soprattutto nella parte inferiore, dove si nota un movimento a spirali di entrambi i
fianchi, e il panneggio si schiaccia contro le parti più avanzate del corpo, con effetto di panneggio bagnato di Fidia.

Architettura ellenistica

Tempio di Apollo a Dydima. Tempio di età arcaica, distrutto dai Persiani, viene
ricostruito attorno al 313 a.C., sotto Seleuco. Tempio ancora più maestoso,
tempio di ordine ionico diptero: riprende la decorazione del rocchio inferiore
delle colonne e delle trabeazioni di età arcaica, arricchendole ancora di più, ed
all’interno sempre spazio centrale scoperto, con fonte sacra, boschetto, statua di
culto di Apollo, e poiché il tempio ha una funzione oracolare, presenta una “porta
delle apparizioni”, da cui tornavano i sacerdoti, riportando i responsi oracolari ai
fedeli.

Artemision, Sardi. Anche qui, tempo di età arcaica viene ricostruito, con forme ancora più maestose di 8 x 21 colonne. La
decorazione delle basi richiama quelle di Dydima.

Nuovi sviluppi dell’ordine ionico.


A inizio del secolo II a.C., l’ordine ionico ha un nuovo grande teorizzatore: ERMOGENE DI ALABANDA, autore di un trattato: la
lunghezza dell’intercolumnio costituisce l’unità di misura che sta alla base delle varie parti dell’edificio (cfr. Tempio di Zeus di
Olimpia, interasse delle colonne), e cella circondata da ampio peristilio di 2 intercolumni, che conferiva forte ariosità al
monumento. A lui sono attribuiti il tempio di Dionisio a Teo e il tempio di Artemide Leucofriene a Magnesia.
Santuario di Atena, a Lindo. Il Santuario di Atena, a Lindo, una città
dell’isola di Rodi, viene ricostruito a inizio III secolo a.C. Ingresso avviene
attraverso grande scalinata, in cima alla quale troviamo facciata
monumentale, che richiama i propilei dell’Acropoli di Atene, da qui si
accede al cortile del tempio, con altare posto al centro, e tempio di ordine
dorico anfiprostilo tetrastilo.

Santuario di Asklepios, Isola di Coo: a inizio del secolo III a.C., viene ricostruito l’altare e
un piccolo tempio su una terrazza mediana. Nel corso del secolo II a.C., viene creato un
grande piazzale, circondato su tre lati da un portico dorico e destinato alle feste, su una
terrazza più bassa. In seguito viene creata un’altra terrazza superiore, con portici sui tre
lati, aperta verso le altre due sottostanti terrazza attraverso scalinata, che conduce dal
vecchio altare al nuovo tempio dorico periptero, di dimensioni maggiori del primo:
schema di santuario disposto su terrazze coassiali.
La nuova attenzione per gli spazi civili è una delle caratteristiche dell’Ellenismo. In questo periodo, le nuove fondazioni di
Alessandro e dei diadochi presentano come fondali dei nuovi grandi portici, spesso a due piani le STOAI: consentono il
prolungarsi delle attività dell’agorà anche con la pioggia o il sole torrido ed inoltre, per il loro costo elevato e il loro impatto
visivo, sono uno dei monumenti preferiti dai sovrani per dar prova della loro filantropia.

Stoà di Attalo II, Atene: nel secolo II a.C., l’Agorà di Atene è conclusa
verso sud da una stoà a due piani colonnati offerta da Tolomeo IV e
verso est da un’analoga stoà a due piani colonnati (di ordine dorico il
primo e di ordine ionico il secondo), offerta dal re di Pergamo, Attalo II.

Bouleuterion, Agorà di Priene: presso l’Agorà di Priene, attorno al 150 a.C.


viene costruito un edificio a pianta quadrata, con tre gradinate sui tre lati è
questo il luogo di riunione della Boulé, il consiglio cittadino, detto perciò
BOULEUTERION, che viene collegato all’Agorà da una grande stoà di un solo
piano colonnato, ma molto vicino alla stoà di Attalo II ad Atene.

Una nuova capitale culturale: Pergamo e l’arte pergamena.


La città di Pergamo è sede della nuova dinastia degli Attalidi, che va dal 240 al 133 a.C.
ATTALO I (241-197 a.C.) - EUMENE II (197-160 a.C.) - ATTALO II (160-138 a.C.) - ATTALO III (138-133 a.C.): ultimo re di
Pergamo, morendo senza eredi, sceglie come male minore di nominare come suo successore il popolo romano.
Verso nord, si collocano gli edifici militari e la residenza del dinasta, mentre verso sud, su una serie di terrazze, si colloca il
Santuario della Dea Atene, fiancheggiato su tre lati da stoài. Pergamo è rinomata per il suo famoso BAROCCO PERGAMENO:
circoscritto nella capitale di Pergamo non dura a lungo, e termina con il 133 a.C., ma viene fatto rivivere a Roma da artisti di
Rodi, alla fine della Repubblica o nel primo periodo imperiale di Roma.

Il donario di galata. Per celebrare la vittoria sulla popolazione barbarica dei


Galati, presso il fiume Caio (230 a.C.), Attalo I dedica ad Atena, nel cuore del
suo santuario, un grande donario composto da diverse statue, riproducenti i
"barbari vinti", poste su un piedistallo cilindrico. Due delle statue sono state
identificate in riproduzione di età romana, forse copie commissionate da
Giulio Cesare per celebrare la sua vittoria contro i Galati. Il monumento
doveva avere un alto basamento cilindrico, dove si posavano verosimilmente
4 galati feriti e morenti, attorno ad un gruppo centrale con un Galata
rappresentato nell’atto di suicidarsi, sorreggendo il corpo della moglie.

Galata suicida: facente parte della collezione Ludovisi, Museo Nazionale Roma, Palazzo
Altemps. Barbaro nell'atto di suicidarsi dopo aver ucciso la moglie: allusione alla
volontà di non farsi prendere vivi dai vincitori, come le fonti narrano. Opera di grande
drammaticità: la figura maschile di guerriero barbaro, rappresentato in tutto il suo
vigore fisico, che tiene con il braccio sinistro una figura femminile, la moglie,
abbandonata alla morte, mentre con il braccio destro, si trafigge con la spada, nell’atto
estremo del suicidio. Particolari che fanno riferimento all'etnia: capigliatura dell’uomo
e della donna, con uso di ungersi con grasso capelli distinguendo varie ciocche l'una
dall'altra, e l’uso di portare i baffi dell’uomo li connotano chiaramente come barbari.
Estrema attenzione per anatomia che traduce bene attraverso la muscolatura il gesto
compiuto dal barbaro, sia il panneggio sia lo sguardo enfatizzano la drammaticità
(occhi infossati, palpebre sporgenti, zona ombreggiata).
Galata morente. Grande corpo muscoloso del guerriero, totalmente nudo, ormai a
terra; la testa è piegata verso il basso, il volto concentrato, con il braccio destro
sembra voler cercare di rialzarsi, ma capiamo che questo sarà il suo ultimo sforzo: il
braccio destro sembra voler fermare il sangue che sgorga da una ferita sulla coscia
destra, mentre ben evidenziata è la ferita sul costato. Particolari che fanno
riferimento all'etnia: si vede molto bene nella capigliatura, l'uso di olio e grasso per
distinguere i capelli in tante ciocche e la caratteristica collana alla base del collo.
Fiotto di sangue esce dal busto. La testa è rivolta verso il basso: anche qui
caratterizzazione etnica (capelli a ciocche, baffi e torques, il collare tipico di questa
etnia) ed elemento drammatico (forte ombreggiatura degli occhi e bocca semiaperta
e tesa nel dolore). Accanto alla figura, si trova tromba di guerra questa non è affatto
comune nella statuaria, quindi si è richiamato passo di Plinio che ricorda come una
figura di trombettiere era stata creata da EPIGONO, scultore al servizio di Attalo I,
quindi potrebbe essere proprio lui l’autore di questo gruppo. Queste opere
enfatizzano con notevole drammaticità situazioni, gesti, figure, in senso per così dire
"barocco": termine usato per descrivere scultura pergamena, barocco ante litteram,
in quanto si enfatizza ed esaspera il pathos: cogliamo ancora in modo chiarissimo la
lezione di Skopas, sempre uno scultore di età classica, che la scuola di Pergamo
enfatizza in senso ulteriormente drammatico.
Altare di Pergamo

Successivo è un altro monumento di una nuova vittoria sui Galati, forse quella definitiva del 166. Protagonista è il re
Eumene II, che fa erigere un monumento ancora più ambizioso, sempre sull’Acropoli, dove viene costruita una terrazza per
ospitare un Altare monumentale. Gli scavi tedeschi dell’800 hanno fatto sì che i resti dell’altare, ricostruito, siano nel
Museo di Pergamo, a Berlino. L’altare è in realtà il nucleo di un monumento ben più vasto: su basamento quadrangolare di
circa 36 x 34 metri, poggiano 5 gradini, sui quali si elevano alto zoccolo di marmo, che a sua volta sorregge lo spazio su cui
sorge l’altare, cinto su tre lati da un portico ionico, che si prolunga verso occidente in modo da fiancheggiare la grande
scalinata d'accesso. Intorno al basamento corre un fregio, la cui lunghezza e circa 120 m, animato da figure ad altorilievo
ben superiori al vero (2 m e più): il soggetto è uno solo, la Gigantomachia. Chiara è l’equivalenza tra le due vittorie: sui
giganti e sui Galati > attraverso un mito si celebra un fatto storico, secondo la tradizione classica: Est: Dei olimpi - nord: Dei
della notte - ovest. Dei del mare - sud: Dei della luce. Lavorarono sicuramente numerose maestranze, ma seguendo unico
linguaggio stilistico, forse sotto la guida di FIROMACO DI ATENE, già chiamato dalla dinastia degli Attalidi a Pergamo, tra il
180-170 a.C., per realizzare la statua di culto di Asklepios: sguardo inteso dagli occhi infossati, ciocche rigonfie e
scompigliate della barba e dei capelli, drammaticità richiamano effettivamente lo stile della gigantomachia. L'altare viene
presto annoverato tra le meraviglie del mondo antico, ma viene abbandonato in epoca bizantina e alcune lastre del fregio
sono state rimpiegate come materiali da costruzione. Tutte le rappresentazioni del fregio sono improntate alla
drammaticità: volte patetici, concitazione, gesti enfatici, teatrali, muscolature rigonfie e panneggi fitti e svolazzanti. Si è
parlato per questo fregio e in generale per l’arte di Pergamo di Barocco ante litteram, Barocco pergameno. La lotta è colta
attraverso singole monomachie, dove una o più divinità vincono sui giganti, dalle caratteristiche mostruose; ciascuno
personaggio è definito da un nome un nome, tratto dai dotti scritti di teogonia e gigantomachia, che si stavano scrivendo in
quel periodo presso la biblioteca di Pergamo. Le divinità principali sono poste sul lato orientale (quello opposto alla
gradinata, ma quello meglio visibile). 2 divinità dedicatarie dell’Altare: Zeus soter e Atena nikephoros. Alcuni particolari:

Zeus si presenta qui su una linea diagonale, con un corpo possente e con
muscolatura accentuata. Il panneggio, che dalle spalle va ad avvolgere le
gambe, sottolinea l’impeto della lotta. Il gesto delle braccia è enfatizzato.
Drammatica è la scena, ricca di movimento, evidenziato dalla
disposizione delle figure, dai gesti e dai panneggi. Il dio sta vincendo, ed è
accompagnato dall’aquila. I giganti stanno soccombendo.

Atena vs Gigante Encelado. Anche Atena è disposta su linea diagonale. La veemenza è sottolineata dal movimento veloce
del panneggio, con fitte pieghe ombreggiate, e dal movimento delle braccia. Atena è accompagnata dalla Nike alata, che
le incorona il capo. A sx il gigante è posto diagonalmente, ormai accasciato al suolo. Un serpente avvolge il corpo del
gigante, che non ha scampo. La dea Terra spunta dal suolo, a dx, ma non può fare nulla per proteggere il figlio. La Terra e il
gigante hanno espressione drammatica, con una forte ed esasperata ombreggiatura dello sguardo rivolto verso l’alto, la
fronte corrugata e la testa inclinata.
Artemide si lancia impetuosamente contro
un nemico, calpestandone il corpo, con
movimento sottolineato dal violento aprirsi
del panneggio, e si insiste su particolari
cruenti, come uno dei cani che azzanna alla
testa un gigante.

Particolare (nord) con i giganti con forme a


serpente al posto delle gambe.

Un secondo fregio è disposto all’interno del portico che circonda l’altare. I frammenti ceramici, trovati presso le fondazioni
dell'altare, hanno dimostrato che il fregio viene iniziato dopo la vittoria contro i Galati del 168-165 a.C., durante il regno di
Eumene II (197-159 a.C.), ma dalla morte di questo (159 a.C.), non doveva essere ancora finito, e fu completato solo il
grande fregio, mentre quello di Telefo rimase ed è tutt'ora incompiuto. Quindi, essendo collocato dopo la battaglia di Pidna
(168 a.C.), al tempo del raffreddamento dei rapporti tra Pergamo e Roma, risulta più chiaro l'elemento filellenico e
antiromano. Il soggetto è qui la vicenda di Telefo (figlio del grande Eracle), considerato l’eroe fondatore di Pergamo e
antenato degli attalidi. Il Fregio racconta la nascita dell’eroe in Arcadia, l’arrivo in Misia con la madre, la sua lotta in difesa
della nuova patria contro gli eroi greci diretti a Troia e infine la sua eroizzazione dopo che egli stabilì alcuni culti che
avranno continuità nella regione dove sorgerà Pergamo. Il fregio è più piccolo e l’atmosfera è diversa: pacata e misurata, di
tenore classico in linea con lo stile partenonico. Per la prima volta abbiamo una rappresentazione continua: in un unico
fregio continuo abbiamo lo svolgersi di tutta una vicenda, tramite vari episodi. Questa soluzione avrà poi successo,
soprattutto nel mondo romano. La separazione tra i vari episodi avviene disponendo le figure di spalle oppure attraverso
colonne o attraverso alberi. Alcune scene ricorrono anche alla rappresentazione su più livelli. Forte valore politico: origini
della dinastia che si nobilita poiché ha tra gli antenati un discendente dell’amato eroe Eracle.
Particolare: Costruzione dell'imbarcazione con cui Auge sarà abbandonata in mare, e approderà in Misia, regione in cui si
trova Pergamo: Auge appare seduta sulle rocce che costituiscono il paesaggio, accanto a lei due ancelle le mostrano degli
oggetti, grazie ai quali, riconoscerà il figlio che le era nato da Eracle, Telefo, quando questo adulto giungerà anch'egli in
Misia.
Piccolo Donario. Pausania parla di un secondo monumento, fatto erigere da Re
Attalo, che rappresenta gigantomachia, amazzonomachia e guerra tra Galati e
Persiani, riconosciuto in diverse copie di età romana. Così chiamato, perché le
statue del fregio sono alte 1/3 del naturale. Restano aperti molti problemi
rispetto alla cronologia: Pausania non precisa quale Attalo eriga questo
monumento: O Attalo I (241-197 a.C.), quello che ha fatto erigere il Donario di
Galata o Attalo II (160-138 a.C): datazione varia di molto. Motivi storici: per
questi, si preferisce Attalo I, perché ebbe più peso. Motivi stilistici: per questi, si
preferisce Attalo II, perché stile oscilla dal Donario di Galata (230 a.C.) all'Altare
di Pergamo (168-165 a.C.): si tratta forse di monumento costruito dopo l'Altare
di Pergamo, e quindi da Attalo II.

Torso del belvedere: torso di una possente figura virile, ormai priva della testa,
braccia, gambe da sopra il ginocchio in sù, seduta su una pelle ferina gettata su
una roccia. A causa della muscolatura e della pelle ferina, per secoli si è
identificata la figura di Ercole, ma alcune osservazione sull'animale, hanno fatto
pensare che si tratti di una pantera: quindi, potrebbe essere Marsia, anche
perché un foro praticato per l'innesto di un elemento bronzeo, poco sopra il
coccige, ha fatto pensare ad innesto per saldarvi la tipica coda di un fauno. Lo
stile è sicuramente quello pergameno, infatti si nota una grande somiglianza con
Laooconte, non solo stilistica, ma stessa posizione del torso, con gambe tese e
muscoli rigonfi del tronco. Diversa posizione della parte superiore, infatti qui,
l'addome non si distende, ma segue un arco opposto, come per rinchiudersi in
avanti, portando in avanti verso la sinistra anche la testa.
Echi di età romana: Il gruppo di Pasquino. La stessa contrapposizione tra
personaggio stante e figura ormai senza vita che egli cerca di sostenere, si
ritrova nelle numerosissime riproduzioni di età romana, che possono ben
essere accostate al Galata suicida. Un esempio è il Gruppo di Pasquino
della Loggia dei Lanzi a Firenze: corpo muscoloso di Menelao porta fuori il
campo di battaglia il corpo del giovane ed imberbe Patroclo.

Il supplizio Di Marsia. Gruppo statuario di forte drammaticità, che conosciamo attraverso


numerose riproduzioni di età romana. Il sileno Marsia è appeso per i polsi ad un albero, con tutti i
muscoli allungati in senso verticali, dal basso lo guarda uno scita, che sta affiliando la lama con cui
lo scuoierà viva punizione per aver osato sfidare Apollo nella musica e per aver perso. Forse, il
gruppo statuario viene creato per celebrare la vittoria di Antiochio III contro l’usurpatore Acheo,
reso prigioniero e sottoposto ad un atroce supplizio, attorno al 210 a.C., quindi monito verso
qualunque tentativo di sovversione.

Il principe delle terme. Statua in bronzo rinvenuta in una cantina dell'Esquilino a Roma e
conservata al Museo delle Terme di Roma. Giovane uomo, stante in nudità eroica, con
gamba destra portante e gamba sinistra flessa, braccio destro lungo il fianco e braccio
sinistro sollevato. La postura richiama l’Alessandro con la lancia di Lisippo. La testa somiglia
molto ai numerosi ritratti di Attalo II. Lo stile è quello di ambiente pergameno della prima
metà del secolo II a.C: muscoli estremamente rigonfi, sguardo inteso, capigliatura con
effetti chiaroscurali. Si è quindi proposto che si tratti del ritratto di un principe di Pergamo,
quale Attalo II , ma tutti i dinasti ellenistici sono sempre rappresentati con la sottile tenia
sul capo, che qui manca: alcuni studiosi ritengono si possa trattare di uno dei primi ritratti
di generali romani vittoriosi, ma potrebbe trattarsi di una rappresentazione di Attalo II,
quando non era ancora re, quindi inevitabilmente raffigurato senza tenia; da datare
attorno al 170 a.C., data che si accorda con lo stile.

Arte rodia

Il nome di Rodi in età ellenistica è collegato al famoso Colosso di Rodi: la gigantesca statua di fine IV inizio
III, creata da un allievo di Lisippo: Carete di Lindo. Essa raffigurava Helios (il Sole), dio protettore di Rodi;
doveva essere alta intorno ai 32 m e funzionare da Faro presso il porto. La tecnica prevedeva un nucleo in
blocchi di pietra, legno e ferro sul quale erano applicate lamine in bronzo. A Rodi si afferma un gusto per
grandi composizioni a tema mitico, spesso inserite in ambito naturale per evidenziare la monumentalità.

Il toro Farnese. Originale in bronzo, databile attorno al 250 a.C., realizzato a Rodi,
noto attraverso numerose riproduzione di età romana. I gemelli Anfione e Zeto, figli
di Zeus e Antiope, legano Dirce, regina di Tebe, ad un toro selvaggio: supplizio per
punirla dalle persecuzioni inflitte alla loro madre, Antiope. I corpi di Anfione e Zeto,
di Dirce e del toro individuano linee ascensionali che culminano nella testa del toro,
legata tramite una linea verticale alla testa disperata di Dirce, mentre la figura
femminile che osserva la scena è probabilmente un’inserzione del copista romano.
Anche in questo caso, si è ipotizzato che il gruppo possa essere stato realizzato per
celebrare l’amicizia tra Pergamo e Rodi, grandi alleati "gemelli di Roma" nell’area
egea. L’osservatore è colpito dalla drammaticità e dal groviglio delle figure. Il gruppo
termina verso l’alto nella figura del toro, protagonista del supplizio. Un gruppo con
tale soggetto è menzionato da Plinio, che lo attribuisce ad Apollonio e Taurisco.
Statua di Apollo-Elios, Carete. Sempre attorno al 300 a.C., Rodi commissiona a
Carete, allievo di Lisippo, una statua colossale in bronzo (circa 32 m) di Apollo-
Helios, che doveva essere posta nel punto più appariscente del porto di Rodi, e le
fonti ricordano che le navi, entrando, gli arrivassero appena alle ginocchia. Dunque
ci rendiamo conto del desiderio di realizzare opere colossali, anche se ora note sole
attraverso riproduzioni di piccolo formato di età romana, come quella rinvenuta
presso Santa Marinella (Roma). Dio avanza nudo, con passo ampio (cfr Apollo del
Belvedere, Leocares), tenendo l'arco nella mano sinistra, e nella mano destra la
fiaccola, che allude alla luce del sole, con la corona radiata (cfr. opere moderne,
Statua Della Libertà New York).

Laocoonte, II a.C.- I d.C., Musei Vaticani. Gruppo celebre, fu rinvenuto nel


1500 nell’area delle Terme di Tito. Da alcuni ritenuto un originale, da altri una
copia: ciò determina le oscillazioni della sua cronologia. Alcuni lo ritengono un
originale del tardo ellenismo (I sec. a.C.); altri lo ritengono una copia di età
romana dell’originale bronzeo (del II a.C), che incarnava tutte le caratteristiche
dello stile pergameno. Secondo Salvatore Settis è un originale, dunque
collocato tra la fine del I a.C e l’inizio del I d.C. Plinio stesso ne parla,
affermando che era un'opera da anteporre a qualsiasi capolavoro precedente,
averlo visto "in domo Titi", e che era fatto "ex unico lapide", ovvero in unico
blocco di marmo, da tre scultori di Rodi, Agesandro, Polidoro, Atanodoro. La
scena è altamente tragica e raffigura la morte di Laocoonte, il sacerdote che
voleva opporsi all’entrata del cavallo di Troia, dono degli Achei e per questo,
fu stritolato da due mostruosi serpenti usciti dal mare (Virgilio, Eneide).

Egli va contro il tragico fato di Troia, dunque dal mare escono 2 serpenti che uccidono l’uomo e due suoi figli: giovinetti
rappresentati di diversa età, il più piccolo, a sinistra, reclina la testa all'indietro, incapace di opporsi, quello di destra sembra
invece riuscire a liberarsi le gambe, forse sarà l'unico a liberarsi come riporta una secondaria versione della guerra di Troia.
Il gruppo fa meditare sull’impossibilità di opporsi al destino. L’opera vuole stupire: composizione costruita su una potente
diagonale creata dal corpo muscoloso e vibrante di Laocoonte, che invano lotta contro le spire per sfuggire al fatale morso,
come stanno facendo anche i due bambini. Il corpo, ancora seduto sull'altare, completamente nudo, disegna una grande
diagonale, che inizia dalla possente gamba sinistra tesa continua con il torso dai muscoli rigonfi e dalla linea alba
profondamente disegnata e finisce con il braccio destro che si protende; il gomito sinistro e la testa sono improvvisamente
ripiegati all'indietro, tentando di fuggire il morso del serpente. Rappresentazione patetica dei volti; Laocoonte ha folti
capelli e barba. L’uomo sta soffrendo, la bocca è spalancata in una smorfia di sofferenza, la fronte è corrugata e gli occhi,
fortemente ombreggiati, sono volti verso l’alto. Immediato il confronto con il gigante sconfitto da Atena sul fregio di
Pergamo: volto di Laooconte e volto di Alcioneo, vinto da Atena, dell'Atlare di Pergamo; grosse ciocche di capelli scomposti
dai profondi chiaroscuri, volto profondamente solcato nelle rughe, sguardo rivolto all'insù, bocca aperta in smorfia di
dolore. L’arte di Pergamo è ispirazione per lo scultore.

Grotta di Tiberio, Sperlonga. Presso Sperlonga, sulla costa del Lazio meridionale
(provincia di Latina), si apre direttamente sul mare, una grande caverna naturale
che era stata artificialmente adattata come NINFEO di una villa romana, in cui
mare viene fatto entrare artificialmente con la costruzione di un primo bacino, che
dà poi in ampia vasca circolare più interna. Sappiamo che questa grotta
apparteneva all'imperatore Tiberio. Ricca decorazione scultorea, con statue, che
vengono fatte volutamente a pezzi in epoca tardo antica, e buttati poi nelle
vasche, dove sono state ritrovati negli scavi degli anni Cinquanta. Si è abbastanza
sicuri che si è di fronte a copie in marmo di età romana, di originali in bronzo di età
ellenistica, come dimostra la presenza di molti puntelli nel gruppo di Scilla.

Inoltre, sulla nave del gruppo di Scilla, corre la firma degli scultori: Agesandro, Atanodoro, Polidoro di Rodi, che avrebbero
scolpito il Laooconte, che qui firmano una copia. L’arredo prevedeva 4 gruppi scultorei, con alcune imprese di Ulisse come
soggetto. Al centro di uno specchio d’acqua artificiale, un’ampia base ospitava Scilla che attacca la nave di Ulisse. Ai lati
dello specchio d’acqua abbiamo Ulisse che trasporta il cadavere di Achille e Ulisse che ruba con Diomede il Palladio; sul
fondo della grotta abbiamo il gruppo con Ulisse, i compagni e Polifemo.
Vediamo il mostro, Scilla, con la parte superiore femminile e la parte inferiore come lunghi tentacoli che terminano in
protomi canine. Questa attacca la nave: i compagni di Ulisse sono precipitati in mare e divorati dalle protomi canine. Con il
braccio dx Scilla afferra il timoniere. Scena dinamica, elaborata, ricca di pathos e drammaticità. I frammenti hanno
permesso una ricostruzione, ospitata al Museo di Sperlonga. Nel gruppo con Ulisse che trasporta Achille (poco conservata)
abbiamo una chiara influenza di gruppi pergameni, come quello di Agamennone che trasporta il cadavere di Patroclo.
Anche il gruppo con Ulisse e Diomede è mal conservato. Vediamo nei particolari alcuni gruppi scultorei:

Gruppo di Scilla: al centro della vasca circolare, troneggia su sostegno, il gruppo di Scilla.
Il mostro emerge dalle acqua, simile a una donna dall'inguine in su, e assale la nave di
Odisseo, il timoniere cerca disperatamente di sfuggirle, aggrappandosi alla nave, ma
Scilla l'ha già afferrato con la mano destra per i capelli e sta per trascinarlo in mare, dove
altri compagni di Odisseo sono ormai preda delle teste canine che le spuntano dalle
pinne del ventre; testa di timoniere con testa dei due figli di Laooconte e corpi di greci
che cercano di svincolarsi con figli di Laooconte, che cercano di svincolarsi dai serpenti.

Odisseo e Achille e Il ratto del Palladio. Tra le due vasche, da una parte troviamo un
eroe che trascina un secondo fuori dal campo di battaglia, interpretato come Odisseo
che regge il corpo di Achille (noto attraverso riproduzioni di età romana, come il Gruppo
Pasquino della Loggia dei Lanzi, Firenze ) e dall'altra parte, il ratto del Palladio, ovvero il
furto dell'antica statua di Atena da Ilio, ad opera di Diomede ed Odisseo (testa di
Diomede e la statua del Palladio, che sta afferrando).

Gruppo di Polifemo. Oltre la vasca circolare, sul fondo della caverna,


si trova il gruppo più colossale. Il corpo del ciclope Polifemo, disteso
obliquamente su una roccia, con il capo abbandonato all'indietro,
addormentandosi per il troppo vino bevuto: ne è stata ritrovata la
gamba sinistra, che disegna una diagonale che percorre tutto il corpo
(cfr. Laooconte, Alcioneo, Torso del Belvedere). Alla sua sinistra, i
compagni di Odisseo spingono in direzione del suo unico occhio il palo
appuntito, a cima di cui si trova Odisseo: ne è stata ritrovata la testa,
coperta dal caratteristico pileo, copricapo del navigante.
Caratterizzazione patetica del volto di Ulisse, con capigliatura e barba
mosse e l’espressione concentrata e tesa, con fronte corrugata, occhi
ombreggiati e bocca dischiusa.

La scultura del medio e tardo ellenismo.


In periodo di grande difficoltà per la Grecia, si possono individuare dei "GENERI DI EVASIONE", ovvero di
evasione dalle difficoltà del momento, tipico delle corti:

1. Immagini di genere e realismo bozzettistico


2. Le muse
3. Composizioni erotiche e il mondo di Dioniso
4. Il mondo dei ginnasi

1) IMMAGINI DI GENERE E REALISMO BOZZETTISTICO. Soprattutto presso la corte di Alessandria d'Egitto,


tutta la scultura del Medio Ellenismo viene caratterizzata dal gusto per il curioso, sorprendente, diverso,
bizzarro, strano, grottesco, turpe, che si concretizzano in opere, spesso connotate da un crudo realismo. Gli
epigrammi, così diffusi in questo periodo, sembrano essere il corrispettivo letterario di questi generi
rappresentativo, proprio perché con la loro immediatezza, permettono all'intellettuale di cogliere diversi
momenti in ambiti sempre diversi.
Vecchio pescatore, molte copie di età romana, che riproducono un origine ellenistico: fine III-
prima metà II. Allo scultore interessa mostrare la povertà e la vecchiaia dell’uomo, che, con il
cesto dei pesci cerca di sopportare la durezza della vita e la vecchiaia. Lo scultore ben
rappresenta il busto cadente, abbandonato e mostra tutti i segni dell’età: stempiato, con
copricapo che solo in parte cela le calvizie, che procede piegandosi in avanti, parzialmente
coperto da un trasandato mantello anche il volto rispecchia la triste vecchiaia: occhi infossati,
barba disordinata, pelle avvizzita sullo scarno petto e sui lati dell'addome; tema dell'anziano
non elaborato dall'età classica, ma presente in frontone est del Tempio di Zeus ad Olimpia.

Nano danzante, seconda metà II. Bronzetto, rinvenuto a Tunisi, una copia di età
romana di una statua di maggiori dimensioni; scultore si sofferma su quelle
deformità che caratterizzano un'umanità diversa rispetto a quella "ideale".

Copia romana della Vecchia ubriaca, originale della fine III. La vecchia è seduta a terra, con le
gambe incrociate, e stringe l’unico oggetto che allevia la sua triste vecchiaia: i contenitore per il
vino. Lo sguardo è rivolto verso l’alto, il volto rivela le pieghe della pelle e le rughe. La bocca
semi aperta rivela tutti i segni del tempo e deforma il viso. Bocca si apre in un ghigno che
l'avvicina alla rappresentazione delle menadi e soprattutto dei satiri, ma qui si inserisce il tema
della vecchiaia, resa evidente dal disfacimento delle carni, con pelle che pende dall'ossatura,
portando in superficie gli zigomi, clavicole, mento.

Fantino dal Pireo, bronzetto originale proveniente da Capo Artemision, datato attorno alla
metà del II secolo a.C., dove le ciocche scomposte, il naso camuso, le labbra rigonfie lo
caratterizzano come un piccolo personaggio di pelle scura.

2) LE MUSE: personificazioni delle arti.

Rilievo di Archelao con l'apoteosi di Omero: rilievo scolpito nella seconda


metà del II secolo a.C., firmato da Archelao di Priene. Scena si svolge su più
registri, in uno stesso ambiente montuoso: nel registro più in basso,
troviamo l'apoteosi di Omero, alla presenza delle personificazioni dell'Iliade
e dell'Odissea, al centro altare, nei due registri superiori si dispongono 9
figure femminili, dominate dalla loro guida, ovvero l'Apollo Citadero, al suo
lato probabilmente statua dello stesso dedicante del rilievo, cultore delle
arti. Definizione del panneggio guarda sempre a modelli di età classica.

Polimnia, Musei Capitolini: un tipo di Musa, che ha molto successo, è


quello della Musa Polimnia, di cui abbiamo copie di età romana. Figura
femminile, avvolta in un pesante mantello con immensa
concentrazione, ruota su se stessa, perduta nei suoi pensieri.
Cleopatra e Dioscuride, Delo: esempi di ritrattistica familiare, come simbolo di virtù, livello
culturale, intellettuale, economico della famiglia; trovate nella loro casa di Delo, datate grazie
all'epigrafe al 138 a.C.

3) COMPOSIZIONI EROTICHE E IL MONDO DI DIONISO, si afferma l'importanza della


sfera privata e dell'elemento erotico.

Eros e Psiche (noto attraverso copie di età romana, come Musei


Capitolini). All'inizio della serie dal punto di vista cronologico,
viene concepito l'iconografia di Eros e Psiche, i cui corpi salgono a
spirale per ricongiungersi nel bacio finale. Panneggio di Psiche
guarda sempre a panneggio di Afrodite, schiacciato sul corpo.

Satiro ed Ermafrodito (copia di età romana, Museo di Dresda).


Dalla rappresentazione di Eros e Psiche, si passa a
rappresentazione più complesse e sorprendenti, come quella che
ritrae un satiro ed un ermafrodito. Si nota il movimento delle due
figure, con l'intrecciarsi dii gambe e braccia in un vortice.

Afrodite callipigia (copia di età romana, Museo Archeologico di Napoli). A metà del II
secolo a.C., il modello prassitelico di Afrodite stante subisce una variazione, con la nascita
del tipo dell'Afrodite Callipigia, che presente una sofisticata capigliatura fermata da un
nodo sopra il capo (cfr Afrodite Capitolina) e si spoglia, compiendo una torsione a spirale,
che inizia dal piede destro, sale ai fianchi e al torso e si conclude con il braccio sinistro
sollevato e la testa volta verso il basso.

Ermafrodita dormiente (copia di età romana, Roma, Museo Nazionale delle


Terme). Sempre, a metà del II secolo a.C., nasce il tipo dell'Ermafrodita
dormiente, con un avvitamento a spirale molto simile a quello dell'Afrodite
Callipigia.

Invito alla danza. Nascono gruppi statuari, in cui si scelgono momenti curiosi come quello dell'invito alla danza,
ricostruito attraverso i calchi delle due figure: un satiro muove sinuosamente il proprio corpo, accennando ad un passo di
danza, forse con uno strumento nella mano destra, mentre una ninfa sta seduta su una roccia, con le gambe accavallate
in maniera ben più disinvolta rispetto alla Tyche di Antiochia.

Afrodite con il sandalo (originale, da Delo). Statua rinvenuta a Delo, e datata


attorno al 100 a.C. Il corpo nudo dell'Afrodite prassitelica è posto accanto a
quello di un piccolo Pan, che afferra il braccio con cui lei si copre pudicamente il
ventre, mentre Afrodite cerca di difendersi dall'avance di Pan, impugnando un
sandalo, tra i due, si colloca il piccolo Eros, svolazzante e divertito: rielaborazione
del modello prassitelico, con allusione al gioco erotico, divertimento. Inoltre, lo
scultore ha voluto giocare sul contrasto tra figura seducente di Afrodite e quella
animalesca di Pan, in parte uomo e con zampe, coda, muso da caprone.
Satiro danzante (originale in bronzo, Mazara del Vallo). Si tratta
chiaramente di un satiro, come mostrano i capelli scomposti, le
piccole corna che spuntano dalla testa, e che doveva appartenere
ad un gruppo di soggetto dionisiaco, ma molto discussa è la
cronologi, che oscilla dall'età di Prassitele ad Augusto.

3) IL MONDO DEI GINNASI: lo studio della figura umana e del movimento di questa nello spazio porta a
rappresentare numerose scene di palestra, come dimostra una copia di età romana di un originale in
bronzo, al Museo degli Uffizi, di Firenze.

Bronzo del Pugilatore, prima metà I. Ottima realizzazione tecnica. L’uomo è


seduto, stanco dopo l’incontro appena terminato, rilassa la sua muscolatura
possente: il busto si inarca, le braccia sono inerti, poggiate sulle gambe. L’unico
elemento di vivacità è dato dalla testa voltata, come a guardare un osservatore
esterno. Lo scultore evidenzia, tumefazioni e ferite sul volto e sul corpo (zona
attorno agli occhi o nella fronte): crudo realismo.

Le case di Delo.
A patire dalla metà del II secolo a.C., l'isola di Delo diventa sede di un'importante
rete di commerci tra Asia e Roma, e qui si trasferiscono molti commercianti e
armatori da tutto il Mediterraneo, soprattutto da Roma, costruendo ricche
abitazioni. Schema comune: centro della casa è costituito da grande spazio
scoperto, spesso circondato da un colonnato su più lati, accesso avviene
direttamente dalla strada in questo cortile, per mezzo di un corridoio, a volte con
vestibolo. Dal cortile si passa all'andron, destinato al ricevimento degli ospiti e ai
simposi. Tra queste abitazioni, spiccano la Casa dei Commedianti e la Casa
dell'Hermes (= abitazione con un notevole sviluppo in altezza. Quasi tutti i locali
hanno una decorazione consistente in pavimentazione a mosaico, pareti dipinte,
statue), Casa delle maschere: molto ricca, da cui proviene il mosaico, raffigurante
Dionisio con la pantera: dio, avvolto in un ampio panneggio, siede sull'animale a lui
sacro, tenendo con la mano destra il tirso, mentre lo sguardo è diretto verso la
pantera. Modello: decorazione pittorica parietale.

Delo è un centro importante per comprendere il "fenomeno delle copie", momento in cui il nuovo
mondo greco-romano guarda al passato. Infatti, da Casa del Diadumeno, proviene copia in marmo di
originale bronzeo di Policleto, il Diadumeno (420 a.C.). Da un'altra casa, proviene la Statua dello
Pseudo-Atleta, che ricalca lo schema di Policleto. Nell'Agorà degli Italici, erano collocate parecchie
riproduzioni marmoree di originali bronzei, come la Statua di Ofellio Fero, firmata da due scultori
Dionisio e Timarchide, realizzata attorno al 100 a.C. per committenti romani e che sempre guarda ad
originale bronzeo di età classica. Provengono anche opere di età romana, riproducenti generali
vittoriosi, con schema policleteo, come Statua di generale da Tivoli.

Ad Atene, si colloca la Scuola di Pasitele, scuola neo-attica, che guarda


all'età classica, che lavora per la nuova committenza romana, nelle
ultime generazioni della Repubblica e i primi anni dell'età imperiale. A
Stefano, un allievo di Pasitele, viene attribuito l'Atleta Albani e il
Gruppo di Oreste ed Elettra da Pozzuoli, in quanto figura maschile è la
copia dell'Atleta Albani. A Menelao, un allievo di Stefano, viene
attribuito il Gruppo di Oreste ed Elettra da Roma di tradizione classica.

Pozzuoli Roma
La pittura del medio e tardo Ellenismo.

Temi:

1. Ambulanti e fattucchiere: anche nella pittura, si sviluppa il gusto per lo strano, il bizzarro.
2. Animali
3. Paesaggi

1. Ambulanti e fattucchiere: Quadretti pavimentali a mosaico, rinvenuti nella Villa


di Cicerone, a Pompei, realizzati nella prima metà del secolo II a.C. Poiché lo
scultore proviene da Samo, e poiché si nota il gusto per la luce e i riflessi, si
potrebbe guardare ad un modello della pittura successiva poco dopo la morte di
Alessandro, attorno alla prima metà del secolo III a.C. Il primo rappresenta due
commedianti nell'atto di suonare e danzare, sulla sinistra una donna suona il
flauto e un piccolino assiste allo spettacolo, nel secondo una scena di teatro da
ricollegare ad una commedia di Aristofane (cfr i gradini e le quinte teatrali), dove
due donne sembrano forse consolare una fattucchiera.

SOSO: l'unico mosaicista ad essere ricordato dalle fonti, vissuto probabilmente nella
prima metà del secolo II a.C. Plinio gli attribuisce l'invenzione della composizione,
riprodotta all'infinito nell'antichità, delle "colombe che, posatesi sull'orlo di un bacile,
si abbeverano specchiandosi nell'acqua" e della "stanza non ancora spazzata, dopo
che vi sono caduti i resti del banchetto, con molluschi, pezzi di frutta, e anche un
topolino": da una parte "natura viva", dall'altra "natura morta".

2. Animali: puntigliosa riproduzione della natura nei suoi aspetti più minuti: nascono veri e propri cataloghi illustrativi, con
intento didascalico (cfr il "catalogo pei pesci" o "cataloghi di papere").

3. Il paesaggio. Nella pittura del Tardo Ellenismo, il paesaggio diventa il protagonista, si può trattare di scene di genere (cfr.
capretta sospinta verso santuario campestre) o scene del mito (cfr. Odisseo incontra i Lestrigoni, casa dell'Esquilino), dove le
piccole figure narrano la particolare vicenda, ma non sono più le vere protagoniste, poiché protagonista diventa il paesaggio
fantastico.

Pittura proveniente da villa augustea di Boscotrecase, presso Pompei, rappresentante il mito


di Perseo ed Andromeda; fanciulla è ancora legata al grandioso faraglione, che occupa tutta la
parte centrale del quadro, in basso a sinistra, spunta il drago marino, mentre Perseo giunge in
volto da sinistra, minuscola figurina perduta nella vastità del paesaggio marino. Nello stesso
dipinto, si mostra racconto continua (cfr. Telefeia dell'Altare di Pergamo). Pittura di Perseo ed
Andromeda di età alessandrina.
Il mosaico nilotico di Palestrina. Grande mosaico di età ellenistica, eseguito presso il Santuario della
Fortuna Primigenia, a Palestrina (vicino Roma) da bottega di Alessandria, verso la fine del secolo II a.C:
dunque, sempre bottega ellenistica che lavora per committenza romana. Il Nilo è il grande protagonista,
che risale dal porto di Alessandria fino ad ambienti popolati di animali esotici, a volte fantastici,
rappresentanti con minuzia di particolari. Nella parte più bassa, arrivo presso il porto di Alessandria di una
nave, di fronte in edificio, protetto da grandi teloni, soldati stanno concludendo un rito, forse in onore di
Iside, altrove un banchetto agreste, altrove ancora contadini intenti al lavoro.

Tazza Farnese. Nelle corti di età ellenistica, fiorisce il gusto per oggetti raffinati, come gioielli e gemme.
Grande cammeo, in agata sardonica, prodotto presso la corte tolomeica di età ellenistica, e passato per
Bisanzio, per la collezione di Federico II, dei Medici, della Collezione Farnese, oggi al Museo Nazionale di
Napoli. In primo piano, una sfinge accovacciata, rappresentante Osiride, su cui siede la dea Iside rivolta
verso le personficazioni delle stagioni della piena del Nilo e delle messi, come mostrano i loro attributi;
dietro Iside, una figura maschile in movimento, Oro-Trittolemo, sulla sinistra siede la grande figura barbata,
personificazione dello stesso fiume Nilo, con cornucopia, che allude all'abbondanza, in alto due giovinetti,
alludono ai venti, che anch'essi favoriscono l'abbondanza: visto che Osiride, Iside ed Oro-Trittolemo
presentano tratti fisiognimici di alcuni dinasti tolomaici, si può datare l'opera tra il 180-170 a.C.

Figure di uomini in età ellenistica: nei luoghi pubblici e nei santuari si diffonde la presenza di statue di
cittadini che si vogliono autorappresentare o vengono omaggiati dalla comunità. Es.: Delos, “gruppo
scultoreo di Cleopatra e Dioscuride”, 138 a.C. L’iscrizione offre i nomi e le informazioni per la datazione.

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