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L e vie della civiltà

Giuseppe Cambiano

I filosofi in Grecia e a Roma


Quando pensare era un modo di vivere

I lettori che desiderano informarsi


sui libri e sull’insieme delle attività della
Società editrice il Mulino
possono consultare il sito Internet:
www.mulino.it Società editrice il Mulino
Indice

Introduzione P' ^

I. Le metamorfosi del filosofo ^

1. Filosofi o sapienti? ^
2. Socrate modello di vita filosofica e i sofisti 16
3 La felicità e il primato aristotelico della vita teo-
retica 22
4. Il filosofo epicureo e il sapiente stoico 28
5. La polemica contro i filosofi dogmatici e la vita
dello scettico 32
6. Roma: nuove figure di filosofo 36
7. 11 filosofo neoplatonico e la fuga verso l’alto 41
8. La vita cristiana e la fine del filosofo 46

IL I filosofi nelle città e neH’impero 55

1. Sapienti e sofisti. Vita politica e credenze co­


muni ^
2. Socrate, Platone e le ambivalenzedellapolitica 59
3. Marginalità politica delle scuolefilosofiche 64
4. Integrazione e status sociale dei filosofi nell età
ellenistica ^
5. L’autonomia dell’attività filosofica in Aristotele e
la fine della pòlis ^3
6. I paradossi del sapiente stoico, la metafora della
ISBN 978-88-15-24151-1 schiavitù e la rimozione epicurea delpolitico 78
7. I filosofi e il potere a Roma 82
Copyright © 2013 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti 8. Il filosofo collaboratore del principe e l’imperatore
sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotoco­
piata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o
filosofo ^
mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini 9. I filosofi tra la scuola e il cielo 93
previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si 10.1 cristiani e la marginalità dei filosofi 99
veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie
6 INDICE Introduzione
III. Gli strumenti dei filosofi: oralità e scrittura p. 107

1. Oralità e prime forme di scrittura filosofica 107


2. L’insegnamento dei sofisti e il dialogo filosofico 114
3. I trattati di Aristotele 123
4. Caratteri e forme della letteratura filosofica in età
ellenistica 127
5. A Roma: scrivere di filosofia anche fuori delle
scuole 134
6. Retorica filosofica, meditazione personale e testi
per la scuola 145 Nella cultura moderna i filosofi antichi sono apparsi di volta in volta
7. La scrittura filosofica come esegesi e salvaguardia educatori dell’umanità o depositari di un sapere ancora vergine, orga­
della tradizione 152 nizzatori di cultura o professori universitari, antesignani dello scienziato
8. La scrittura filosofica dei cristiani 156 o intellettuali organici e così via. È abbastanza probabile che nessuna
di queste immagini, costruite su esperienze successive, combaci perfet­
IV. I filosofi e l’uso del passato 165 tamente con i tratti del filosofo antico nelle sue metamorfosi storiche,
con ciò che egli era per sé e per gli uomini tra i quali viveva. Il punto
1. Dai presocratici a Platone 165 decisivo è che nel mondo antico, almeno a partire dal IV secolo a.C.,
2. Aristotele, l’uso dialettico e teleologico del passato la filosofia non fu mai soltanto un complesso di dottrine, un insieme
e la nascita della biografia 169 di procedure d’indagine e un arsenale di tecniche argomentative. La
3. La costruzione di tradizioni filosofiche in età filosofia mirò a presentarsi come un modo specifico di vita, un bios
ellenistica 174 distinto da altri. Se si perde di vista questo fatto, di per sé ovvio, la
4. Alla ricerca delle origini delle scuole filosofiche 178 filosofia antica finisce per essere considerata dall esterno alla luce di
5. Filosofi romani e tradizione filosofica greca 183 presunte continuità o discontinuità puramente concettuali.
6. Il problema dell’Accademia e l’invenzione del
primato del passato 188 Con queste parole iniziavo un piccolo libro intitolato La
7. Plotino e l’esegesi neoplatonica del passato 195 filosofia in Grecia e a Roma, pubblicato nel 1983. In seguito
8. Usi cristiani del passato filosofico 200
la tesi che la filosofia antica fosse in primo luogo un modo
di vita ha trovato ampia diffusione grazie all’opera di Pierre
Conclusione. Filosofo antico e filosofi moderni 211
Hadot, Che cose la filosofia antica? (1995). Pur condividendo
1. La filosofia e il filosofo 211 la tesi generale di Hadot, ritengo però che egli abbia fornito
2. Il caso Nietzsche 216 un’immagine un po’ evanescente e edificante, in senso ge­
3. Tutti gli uomini sono filosofi? 221 nericamente «religioso», del modo antico di vita filosofica.
4. Il filosofo: il tipo e il singolo 224 Cercherò di dare qui alcune ragioni che spieghino perché
ritengo essenziale riproporre, arricchita di ulteriori elementi
Cronologia 233 e capitoli, la mia prospettiva. Hadot ha mirato a cogliere il
denominatore comune ai modi di concepire la vita filosofi­
Abbreviazioni 239
ca, al di là delle differenze tra le varie scuole, e ha trovato
questo denominatore non solo nell’intento di distinguersi dai
Bibliografia 243
modi comuni di vita, ma soprattutto nella nozione di esercizi
Indice dei nomi 273 spirituali. Di fatto egli ha così esteso all’intera filosofia antica
alcuni tratti peculiari, oltre che dell’epicureismo, soprattutto
8 INTRODUZIONE INTRODUZIONE 9

dello stoicismo dei primi due secoli dell’impero, ai quali egli fica che la divinità possiede la totalità della sophia, ma il fatto
aveva già dedicato il suo precedente volume, Esercizi spirituali che il filosofo non sia in pieno possesso di questa totalità non
e filosofia antica (1981). In questa prospettiva la filosofia ap­ comporta che egli non aspiri a essa, né che qualche porzione
pare in primo luogo come pratica della meditazione interiore di essa non possa diventargli accessibile nella sua ricerca: il
volta alla formazione e trasformazione di se stessi, una vera e problema per il filosofo è piuttosto di dare ragione di ciò che
propria terapia dell’anima. Tra questi esercizi Hadot include egli ritiene conoscibile o conosciuto. Da questo punto di vista
anche quello di imparare a morire, ma si potrebbe includere mi pare che il filosofo antico più gravemente frainteso da Hadot
tranquillamente questo tipo di meditazione, per esempio, tra le sia Aristotele: dire che la vita teoretica dell’uomo è diversa da
preoccupazioni fondamentali di un filosofo come Aristotele? quella della divinità non significa che tale vita sia raggiungibile
Gli aspetti sottolineati da Hadot sono certo presenti in solo in alcuni momenti ineffabili, come avverrà per gli stati
alcuni momenti della filosofia antica e sono agevolmente rintrac­ mistici, secondo Plotino. Aristotele si limita ad affermare che
ciabili in Seneca come in Epitteto e soprattutto in Marco Au­ nell’uomo tale vita non può essere svolta con quella continuità
relio, che è autore prediletto da Hadot. Qui meditare significa totale, che è propria della vita divina: per Aristotele la sophia,
tentare di adattare i dogmi non solo dell’etica, ma anche della che costituisce il nocciolo della vita teoretica, non ha nulla a
filosofia della natura, propri della scuola, in questo caso stoica, che fare con l’intuizione mistica e mira invece alla conoscenza
alla pratica della vita, in una prospettiva prevalentemente, se del perché delle cose.
non esclusivamente, individuale. Nella tradizione monastica, Si capisce allora come Hadot possa introdurre nel corpo
dice Hadot, i «dogmi» filosofici sono sostituiti dai «comanda- delle filosofie antiche una divaricazione tra quello che egli chia­
menti» come regole di vita evangelica: questa affermazione può ma «discorso» e la pratica della vita filosofica, ritenendo che la
far capire il tono e la curvatura che egli imprime al concetto riduzione della filosofia a «discorso» sia invece una peculiarità
di vita filosofica. La parola dogmi presuppone che si tratti di di modi moderni di concepire la filosofia. Anche se a volte egli
dottrine ormai acquisite, ma in questo modo si dimentica o dice che la filosofia è contemporaneamente e indissolubilmente
passa in secondo piano il momento costruttivo della riflessione discorso e modo di vita, di fatto egli considera la scelta di vita
filosofica, così saliente nelle fasi di elaborazione comunitaria come il punto di partenza, rispetto a cui il discorso è successivo
dei contenuti concettuali, che sostanziano la pratica filosofica e strumentale. Ma in tal modo si rischia di generare la falsa
all’interno delle varie scuole, e nei tentativi di rafforzarli con impressione che l’elaborazione di dottrine, argomentazioni,
argomentazioni razionali e tecniche di persuasione sempre più confutazioni e così via non fosse una componente essenziale in
complesse, anche in risposta alle sfide e alle critiche elaborate molti modi antichi di praticare la vita filosofica. In realtà nella
da correnti e scuole filosofiche rivali. Se si trascura questa vita filosofica antica non c’è questo prima e dopo, entrambi
dimensione della pluralità e della competizione, si perde un gli aspetti sono coessenziali, si rafforzano reciprocamente: se
aspetto essenziale della vita filosofica antica. Il fatto è che si sceglie preliminarmente un tipo di vita senza procedere al
Hadot intende il termine sophia, che è oggetto dell’amore del tempo stesso ad argomentare sulla preferibilità di tale scelta
filosofo, essenzialmente come saggezza e non anche come e sulle ragioni che possono sostenerla, la scelta può risultare
sapere. Ma l’aspirazione al sapere e alla conoscenza è compo­ fallimentare e, in ogni caso, non si configura come una scelta
nente essenziale del filosofare platonico, aristotelico o stoico: filosofica. Non è un caso che nel suo ritratto di Socrate, che
sapere e saggezza, in vari modi e con diverse accentuazioni, si giustamente Hadot considera matrice del significato di «filo­
intrecciano inscindibilmente in molti filosofi antichi. Certo il sofia» elaborato dai filosofi greci, egli taccia completamente
filosofo non è mai possessore della sophia come lo è il dio, che della funzione della confutazione, che porta gli interlocutori
solo è sophós. In questo senso Hadot ha ragione di sottolineare di Socrate al riconoscimento della loro ignoranza. Egli pensa
la dimensione normativa del sophós per i filosofi antichi e di che essi arrivino a questo riconoscimento grazie a una forza
vedere nel dio l’incarnazione piena di tale modello. Ciò signi- irrazionale esercitata da Socrate. Ma la confutazione si costru-
10 INTRODUZIONE INTRODUZIONE 11

isce attraverso le domande di Socrate, con argomentazioni, determinante dei filosofi o una presunta universalità del loro
assunzioni di premesse, svolgimento di esse, e si conclude con discorso, diretto all’intero genere umano. È inoltre essenziale
l’accertamento che le credenze dell’interlocutore, espresse nelle prendere in considerazione le diverse forme in cui l’attività
sue risposte, sono in contraddizione tra loro e, quindi, che la filosofica antica si è esplicata, attraverso l’insegnamento o la
sua vita è fondata su credenze incoerenti, cioè sull’ignoranza predicazione orale e anche attraverso la ripresa o l’invenzione
spacciata per conoscenza. Che poi l’interlocutore si senta sgo­ di specifici generi letterari, ciascuno con destinatari peculiari,
mento o seccato o ammaliato dal procedimento socratico è solo tenendo conto anche in questo caso del cadere in desuetudine
una conseguenza dei risultati argomentativi e confutatori. La di certi generi e dell’emergere e affermarsi decisivo di altri,
vita dell’interlocutore, se cambia, è perché egli si rende conto come per esempio il commento e l’esegesi di testi. Ciò si lega
della necessità di trovare ragioni sulle quali fondare e costruire alle modalità di costruzione e di uso del passato praticate dai
la propria vita. In ballo sono sempre la ricerca della verità e filosofi antichi, un punto, questo, che è diventato negli ultimi
il «rendere conto» di ciò che si crede e di ciò che si fa. In ciò tempi ampio oggetto di esplorazione. A questo tema è dedicato
consiste la dialettica, che è dunque un aspetto essenziale della un capitolo, già presente nella precedente versione, mentre
pratica filosofica non solo di Socrate, ma anche di Platone e integralmente nuovo è il capitolo dedicato agli strumenti dei
poi di Aristotele e altri. In questo senso il dialogo socratico­ filosofi nell’insegnamento orale e nella comunicazione scritta.
platonico non è, come Hadot e molti altri studiosi, anacroni­ Questo volume non è dunque una storia della filosofia antica,
sticamente, a mio avviso, ritengono, un riconoscere i diritti intesa come esposizione sistematica delle principali dottrine
dell’interlocutore, in una sorta di scambio irenico alla pari di enunciate dai filosofi antichi. È piuttosto il tentativo di illustrare
discorsi, ma comporta un duro e difficile lavoro del concetto, alcuni aspetti di un problema, che nella migliore delle ipotesi
per usare un’espressione hegeliana. è trattato solo marginalmente nelle storie della filosofia, ossia
Al di sotto della patina di uniformità che Hadot tende a che cosa significava essere filosofi nel mondo greco e romano.
proiettare sulla vita filosofica antica, esistono modalità diffe­ Nella Conclusione sono poste alcune riflessioni volte a mostra­
renti di praticarla, che ho cercato di illustrare nel capitolo I di re in che senso, a mio avviso, il filosofo antico si differenzia
questo libro. Ma tale patina di uniformità dipende anche dal nettamente da figure moderne e contemporanee di filosofo.
fatto che egli non tiene conto delle differenti figure sociali che
di volta in volta hanno praticato la filosofia in contesti storici
per molti aspetti diversi come le città, in primo luogo la pòlis
ateniese, i centri delle monarchie ellenistiche e poi sotto il
dominio di Roma sino al trionfo del cristianesimo. Un conto
sono filosofi che operano e vivono la loro vita filosofica dentro
le scuole, insegnando e discutendo, un conto filosofi estranei
alle scuole, come Seneca o Marco Aurelio, che probabilmen­
te sarebbero inorriditi se si fosse loro proposto di dedicarsi
a tempo pieno alla vita filosofica dentro una scuola. Ma ciò
incide anche sui loro modi di praticare la vita filosofica, che
non possono diventare emblematici della vita filosofica antica
tout court. Per questo il capitolo II di questo libro è volto a
chiarire i rapporti - reali o immaginati dai filosofi stessi - tra
i filosofi e le differenti realtà storiche, politiche e sociali entro
le quali si sono trovati di volta in volta a vivere, senza enfa­
tizzare - anche qui anacronisticamente - un’influenza politica
Capitolo primo

Le metamorfosi del filosofo

1. Filosofi o sapienti?

Se per problema delle origini della filosofia s’intende il


problema della formazione di determinate dottrine o di deter­
minate tecniche d’indagine, è chiaro che bisogna risalire ben
alle spalle del IV secolo a.C. e certamente alle culture dell’an­
tico Oriente. È un percorso che è stato sovente compiuto con
esiti diversi e non è un caso che esso abbia dovuto attingere
ai patrimoni delle rappresentazioni religiose e dei racconti
mitici, delle esperienze dei viaggi e dei prestiti tecnologici, al
costituirsi di nuove formazioni politiche e sociali, in primo
luogo la pòlis, e al conseguente emergere di nuovi mondi di
credenze e di valori. Ma le figure del VI e del V secolo a.C.,
che sarebbero poi state considerate i primi filosofi greci, erano
forse qualcosa in più e qualcosa in meno rispetto ai filosofi
del IV secolo: essi si presentavano come personaggi dotati
di conoscenze e capacità eccezionali, talora taumaturgiche.
Perché li chiamiamo filosofi? Le risposte date dagli studiosi
moderni a questo interrogativo sono molteplici. Esse ravvisano
la dimensione filosofica di questi personaggi nell’elaborazio-
ne di spiegazioni degli eventi naturali e della loro regolarità,
* le quali escludono il ricorso agli dèi e al soprannaturale. O
I
anche nell’impiego di tecniche di osservazione e di indagine
razionale, nella pretesa di validità universale assegnata alle loro
tesi o nel tentativo di giustificarle con argomentazioni oppure
nel carattere pubblico del loro messaggio, anche quando lo
proclamano rivelato dagli dèi e inaccessibile ai più. Purtroppo
molti di questi aspetti non sono prerogativa dei soli «filosofi»,
ma appartengono anche ad altri personaggi, come medici o
storici, già nel V secolo a.C. Inoltre non è raro trovare in essi
i tratti del poeta veggente o del predicatore e del guaritore. Si
14 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 15

giunge allora alla malinconica scoperta che, nella storiografia a un’estensione puramente quantitativa del sapere, cioè alla
moderna, quegli antichi personaggi diventano «filosofi» per polymathìe, che significa letteralmente «l’aver appreso molte
motivi diametralmente opposti, in quanto iniziatori e fonda­ cose» —a suo avviso propria di Esiodo, Pitagora, Senofane
tori della razionalità moderna, soprattutto scientifica, o in ed Ecateo -, perché questa non insegna ad avere intelligenza
quanto portatori di un sapere eccezionale, ancora indiviso e (noùs). All’estensione del sapere egli sembrava preferire la sua
antecedente alla scienza e alla tecnica, intese come strumenti profondità1. In ogni caso l’affermazione eraclitea non sembra
di dominio della natura, e quindi immune dai loro difetti. implicare un riferimento a un gruppo ben definito e riconosci­
Occorre riconoscere il fatto che sotto il nome «filosofia» la bile di individui denominati filosofi, ma è una raccomandazione
nostra tradizione culturale occidentale cela nozioni diverse e rivolta a qualunque uomo desideri sapere. Si è anche pensato
talora contrastanti, ed è forse illegittimo in sede storiografica che con il termine filosofo egli intendesse riferirsi soprattutto
privilegiarne alcune ed espellerne altre. Al di là dei nostri più ai pitagorici e quindi che questi già usassero il termine per
o meno apprezzabili concetti di filosofia, credo che l’unica designare se stessi. Effettivamente un aneddoto risalente forse
ragione incontrovertibile che ci fa porre aH’inizio della storia a Eraclide Pontico, un filosofo del IV secolo a.C., attribuisce
della filosofia greca questi antichi personaggi, che con un a Pitagora l’invenzione di questo appellattivo per designare
termine arbitrario ma significativo chiamiamo presocratici, sia coloro che si dedicano alla vita contemplativa disinteressata,
il fatto che la stessa tradizione filosofica antica, soprattutto a i quali in quanto «amanti del sapere» si distinguono dall uni­
partire da Aristotele, li ha considerati filosofi. Ciò avvenne co vero sapiente che è la divinità2. È però sovente messa in
nel momento in cui il filosofo cominciò a essere una figura dubbio Γ attendibilità storica di questo aneddoto, che sarebbe
meglio definita e riconoscibile nel panorama culturale ellenico, la proiezione all’indietro nel tempo di una tematica relativa
grazie soprattutto alla dimensione scolastica che ne sorreggeva ai generi di vita, propria del IV secolo a.C. Occorre inoltre
fattività. Usando criteri dottrinali, in particolare i problemi ricordare che Erodoto chiamava Pitagora «sofista», mentre
concernenti il mondo della natura, Aristotele li fece diventare riservava il verbo «filosofare» al movente che guidava Solone
antesignani della propria ricerca, come vedremo, ma al tem­ nei suoi viaggi, intrapresi non per commerciare, ma allo sco­
po stesso separò alcuni di questi personaggi da altri, con la po di osservare e conoscere (theoréin). E questo stesso verbo
conseguenza che noi oggi siamo abituati a considerare Talete «filosofare» qualifica nello storico Tucidide l’atteggiamento
o Senofane più filosofi di Solone o di alcuni medici autori di degli Ateniesi, che amano il sapere, ma «senza mollezza», forse
scritti inclusi nel Corpus hippocraticum. nel senso che ciò non li estraniava dalla vita politica propria
Ciò non significa che in questi antichi personaggi fossero del cittadino libero3. Questo fa presumere che Tucidide fosse
assenti tratti o dottrine o forme di argomentazione che i filo­ ormai consapevole dell’esistenza di un modo di filosofare
sofi dei secoli successivi avrebbero fatto propri. Certo è che «con mollezza». Più che ai sofisti itineranti e professionisti
nei testi di cui disponiamo il termine filosofo è praticamente dell’insegnamento, non escluderei che Tucidide pensasse a
assente prima del IV secolo a.C. L’unico testo che ne docu­ personaggi come Anassagora, che aveva abbandonato la pro­
menti la presenza in un periodo antecedente è un frammento pria città Clazomene per dedicarsi aH’esercizio esclusivo di
di Eraclito, nel quale si afferma che «gli uomini filosofi devono attività puramente intellettuali in una città diversa dalla sua,
essere indagatori (historas) di molte cose». È difficile inten­ cioè Atene. HAntiope, una tragedia di Euripide rappresentata
dere pienamente il senso di questa affermazione, riferita da dopo il 412, testimonia della presenza in Atene di un dibattito
un Padre della Chiesa, Clemente Alessandrino. Forse Eraclito sulla preferibilità della vita attiva o di una vita politicamente
intendeva sostenere che per chi desidera sapere è necessario disimpegnata e dedita ai piaceri estetici e allo studio della
investigare (historéin) personalmente molte cose, in modo da natura. Anche qui quasi sicuramente affiorava il modello di
averne una conoscenza diretta, anziché fondare il proprio sapere Anassagora4. Ancora ai suoi tempi Platone avrebbe parlato
su ciò che si apprende da altri. Certo egli non era favorevole dell’esistenza di una forma di vita pitagorica5, ma è certo che
16 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 17

anche per lui non era passata invano l’esperienza di Anassago­ più liberi8. Ma per noi il maggior testimone di questo tratto
ra. Su questo sfondo si sarebbe costruita la figura del filosofo di Socrate rimane Platone, per il quale diventava essenziale
platonico, ma sin dall’inizio carica di altre dimensioni, che accentuare le differenze tra Socrate e i sofisti, dal momento
trovavano il punto di riferimento in Socrate. che l’atteggiamento corrente tendeva invece ad assimilarli.
Per indicare la vita, la lingua greca dispone dei termini
zoé, che designa il vivere inteso come processo naturale, e
2. Socrate modello di vita filosofica e i sofisti btos, che originariamente includeva anche il riferimento a ciò
che consente di vivere, in primo luogo il cibo, e qualifica più
L’emergere di Socrate come modello del filosofo è da in generale non il semplice vivere, ma il modo di vivere. La
imputare ai suoi discepoli. Che Socrate non apparisse alla medicina greca, soprattutto a partire dalla metà del V secolo,
maggior parte dei concittadini del suo tempo come una figura aveva posto al centro della sua pratica terapeutica la nozione
nettamente distinta da quella di altri «intellettuali», che oc­ di diaita, intesa come modo di vita fondato su determinate re­
cupavano la scena culturale ateniese, è provato dalle Nuvole, gole allo scopo di preservare o riacquistare la salute. Lo scritto
una commedia di Aristofane rappresentata nel 423, nella quale medico Sulla dieta, risalente con buona probabilità alla fine
Socrate assume tratti propri sia degli studiosi dei fenomeni del V secolo a.C., distingue due ingredienti della dieta - gli
naturali, sia dei sofisti. A lui è attribuita, fra l’altro, una delle alimenti che aggiungono, cioè nutrono, e gli esercizi (pónoi)
prerogative esibite da Protagora nel suo insegnamento, la ca­ che sottraggono —e ravvisa la salute in una situazione di equi­
pacità di rendere più forte, e quindi più persuasivo, il discorso librio tra alimenti ed esercizi fisici. A Platone, come sempre
più debole6. Gli interpreti hanno pensato a un fraintendimento attento alle trasformazioni culturali del suo tempo, non sfuggiva
voluto o inconsapevole da parte di Aristofane, ma, se egli in­ questo aspetto, che gli forniva un importante paradigma. Tra
sisteva su questi tratti comuni, è perché il pubblico ateniese i suoi obiettivi egli poneva appunto la costruzione di una vita
che assisteva alla sua rappresentazione non doveva distinguere filosofica, organizzata secondo una dieta fatta di alimenti ed
nettamente Socrate dagli altri, se non per il fatto che egli era esercizi. Al centro di questa egli non si preoccupava tanto di
ateniese, mentre gli altri provenivano in gran parte da altre porre divieti o prescrizioni analoghe al vegetarianesimo o al
città del mondo greco. Del resto, ancora nel IV secolo, il retore divieto di cibarsi di determinati animali o vegetali, per esempio
Isocrate e i suoi scolari avrebbero continuato a considerare le fave, come avveniva nel pitagorismo, che finalizzava que­
Socrate e i socratici dei sofisti7. E anche tra i socratici stessi i ste pratiche alimentari alla purificazione e all’ascesi secondo
modi di rappresentarsi Socrate, che non aveva lasciato alcuno comportamenti ritualizzati. Su un altro versante i cinici, ri­
scritto, erano tutt’altro che uniformi. In Senofonte Socrate chiamandosi anch’essi all’insegnamento di Socrate, avrebbero
non è tanto il filosofo che si distingue dai più e dai valori progressivamente sviluppato un’immagine del filosofo come
correnti, anzi è per certi versi il vero interprete ed esecutore atleta che combatte i piaceri, limita drasticamente i bisogni
di essi, un benpensante che mira al bene dei suoi concittadini fisici, ma anche quelli intellettuali, rifiutando per esempio lo
ed è ossequioso verso la città e i suoi dèi, con qualche punta studio delle discipline scientifiche. Del resto, sia Senofonte sia
antidemocratica, ma senza eccessi. Tuttavia anche Senofonte Platone attribuivano a Socrate un ridimensionamento radicale
non riusciva a esorcizzare del tutto gli aspetti più sconcertanti della rilevanza delle indagini sulla natura e delle discipline
della figura di Socrate. Il modo di vivere di Socrate, fondato scientifiche, che cominciavano allora a differenziarsi come
su un forte contenimento dei bisogni legati al corpo, dal cibo campi dotati di oggetti propri. Senofonte attribuisce a Socrate
all abbigliamento, appariva ad alcuni dei suoi interlocutori la tesi che discipline quali la geometria o l’astronomia possono
peggiore della vita di uno schiavo. Senofonte faceva rispondere essere apprese, ma limitatamente a quanto di esse può essere
a Socrate che la vera condizione divina consiste nel non aver utile nelle questioni pratiche, come misurare campi o orientarsi
bisogno di nulla e che pertanto questo modo di vita rende nella navigazione. Uno studio più ampio e approfondito dei
18 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 19

loro contenuti più complessi potrebbe impegnare l’intera vita ne della dialettica, cioè della tecnica del discutere per brevi
e impedire l’apprendimento di mathémata molto più utili. Lo domande e risposte? Nel Sofista Platone definisce la catarsi
stesso Platone nel fedone delinea una sorta di autobiografia di —letteralmente «purga» o «purificazione» —come la cernita
Socrate, che dall entusiasmo giovanile per questioni di filosofia del meglio, che è trattenuto, dal peggio, che viene espulso. La
naturale era passato alla delusione per esse e alla necessità di catarsi del corpo è operata da tecniche quali la ginnastica e la
investigare i lógoi, le ragioni addotte per spiegare le cose. Dal medicina, mentre la catarsi dell’anima mira a eliminare i suoi
canto suo, Isocrate, maestro di retorica ad Atene, aveva giusti­ mali peggiori, che sono l’ignoranza e l’ingiustizia. La tecnica
ficato questi studi soltanto a scopi ginnici, di addestramento in grado di eliminare l’ingiustizia è la politica, mentre quella
mentale e, quindi, sul piano puramente formale a prescinde­ in grado di eliminare l’ignoranza, in particolare l’ignoranza
re dai contenuti9. Platone invece trasferiva il modello della più grave che consiste nel credere di sapere ciò che non si sa,
dietetica medica sul piano intellettuale e ciò presupponeva è chiamata da Platone élenchos, confutazione. Secondo Platone
1 elaborazione di una dottrina dell’anima. Il sofista, secondo essa era lo strumento fondamentale della dialettica socratica,
Platone, è un commerciante o un venditore di merci di cui che mediante una sequenza di domande mostra il carattere
1 anima si nutre: esse sono i mathémata, ciò che viene appreso parziale o contraddittorio delle definizioni date via via in rispo­
anche attraverso un insegnamento. Come ogni buon venditore, sta dall’interlocutore su ciò che pretende di conoscere. In tal
il sofista loda le proprie merci, ignorando se esse siano utili o modo l’interlocutore viene a trovarsi di fronte al riconoscimento
dannose. E un identica ignoranza possiedono anche i potenziali che le sue risposte sono insufficienti o addirittura incoerenti
acquirenti. I cibi, però, possono essere conservati per un certo rispetto ad altre sue convinzioni ed è quindi costretto ad
tempo e controllati con 1 aiuto di esperti per conoscerne la ammettere la propria ignoranza. Da ciò scaturisce la catarsi
commestibilità e le condizioni di uso, mentre i mathémata sono come liberazione dall’ignoranza e può innescarsi il desiderio
immediatamente ingeriti e quindi avvantaggiano o danneggia­ di pervenire alla conoscenza di ciò che si ignora e di fondare la
no istantaneamente l’anima,n. Sull’importanza dei mathémata propria vita su questa conoscenza, anziché su credenze inco­
come ingredienti della dieta e del modo di vita filosofico erenti o erronee. Nel Simposio il filosofo è appunto definito,
Platone non aveva dubbi: nella Repubblica egli precisa che nelle parole che vengono attribuite a Diotima, come colui
le discipline matematiche sono una tappa fondamentale per che ama e quindi ricerca il sapere, non come colui che già lo
la formazione del filosofo e il culmine di tale formazione è il possiede, perché tale è soltanto il dio: la dimensione emotiva
màthema supremo, cioè l’idea del bene11. Tali discipline infatti propria del filosofo è èros, l’amore che mira a conseguire l’og­
10 avviano a riconoscere che il vero oggetto di conoscenza getto amato. L’élenchos era dunque considerato il preliminare
non sono gli oggetti sensibili, mutevoli e perituri, ma entità indispensabile per l’esercizio della vita filosofica, perché senza
puramente intellegibili, che egli chiama idee. Orientato verso riconoscimento della propria ignoranza non si aspira alla co­
la loro conoscenza, il filosofo può apparire ridicolo, incapace noscenza. Quelli che purificano i corpi, cioè i medici - dice
di orientarsi nelle faccende comuni della vita, ma in tal modo Platone —«ritengono che un corpo non possa trarre beneficio
egli può costruirsi un modo di vivere il più possibile simile dall’alimento somministratogli prima che qualcuno ne elimini
alla vita propria della divinità: il suo obiettivo è la homóiosis, gli ostacoli interni». Così è anche per l’anima13. Per diventare
11 rendersi simile al dio12. filosofi è dunque essenziale essere sottoposti a confutazione,
Ma il futuro filosofo deve anche esercitarsi in tali discipli­ ma prima di esercitare a propria volta la confutazione su altri
ne: il suo apprendimento dei contenuti del sapere non è mai occorre passare attraverso l’apprendimento delle discipline
puramente passivo. Qui entra in gioco il secondo ingrediente matematiche. Platone sottolineava che l’esercizio prematuro
essenziale della dieta filosofica: gli esercizi. La stessa dialettica della confutazione, sganciato dall’apprendimento dei mathé­
appare da questo punto di vita un esercizio, una gymnasia, un mata, può essere pericoloso per i giovani, che possono trarne
addestramento ginnico. Qual era in prima istanza la funzio­ la conclusione che non esistono verità e valori, dal momento
20 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 21

che tutto può apparire confutabile. Ma ciò significava ridurre parlare di una sorta di preparazione psicologica a quell’evento
la dialettica a un gioco sterile e non considerarla un pónos, un che è la morte, quanto dire che il filosofo, legato al corpo
esercizio faticoso utile all’anima14. come tutti gli altri uomini, deve cercare di prescindere il più
Probabilmente la confutazione era già un tema socratico. possibile da esso e dai sensi che lo impacciano nell’indagine
Nell’Apologia Platone fa dire a Socrate che «il bene massimo puramente razionale di quegli oggetti puramente intellettuali,
per l’uomo è discorrere ogni giorno della virtù e delle altre che sono le idee. Queste sono immutabili e costanti, a diffe­
questioni su cui mi sentite discutere, esaminando me stesso renza delle cose sensibili che mutano continuamente, anche
e gli altri, e che una vita senza ricerca non è degna di essere se la percezione è pur essa essenziale come punto di avvio per
vissuta»15. L insistenza sui mathémata dovette invece essere più innescare un processo di pensiero che punta a cogliere queste
propriamente platonica. Ma dov’era possibile l’addestramento idee. Infinite sono infatti le inquietudini che il corpo procura
matematico e dialettico? I dialoghi platonici presentano Socrate per le necessità del nutrimento, cui si possono aggiungere le
mentre conversa nei luoghi più diversi della città, in ginnasi malattie, dice Platone, e per le passioni, gli amori e le paure,
e palestre, davanti al tribunale o nel corso di banchetti. La che sono come chiodi che incatenano l’anima al corpo e le
soluzione platonica fu invece l’Accademia. Da allora, per se­ impediscono la ricerca del vero, anzi producono l’illusione
coli, a ritmi alterni e in varie modalità, con rare eccezioni, la che sia vero solo ciò che il corpo dice essere tale18.
scuola come luogo stabile d’insegnamento in ginnasi pubblici Erano i sofisti che avevano preteso di fornire una trasmis­
0 in case private, ma priva di status ufficiale riconosciuto da sione integrale del loro sapere o presunto sapere, secondo
autorità pubbliche, divenne un ingrediente essenziale della vita Platone, appunto come venditori di merci già confezionate.
filosofica. L’unica eccezione rilevante fu costituita dai cinici, Ma Platone rifiutava di ridurre la filosofia a una professione
che avrebbero preferito, come gli antichi sofisti, itinerare per le e il filosofo a un tecnico che scambia le proprie prestazioni
città e intrattenersi nei crocevia davanti a pubblici casuali. Ma con denaro o con prestazioni altrui. Il rapporto dei sofisti
non è un caso che essi negassero l’importanza dello studio dei con i destinatari del loro insegnamento era impersonale come
mathémata, preferendo insistere sulla virtù intesa come esercizio quello di un venditore con i propri acquirenti, tanto più che
faticoso di controllo dei bisogni e delle emozioni. Per Platone, essi itineravano di città in città e quindi mutavano continua-
invece, la filosofia, nella sua dimensione dialettica, richiede mente pubblico. L’esercizio della filosofia richiedeva invece
relazioni interumane costanti. Se Socrate andava in giro per relazioni costanti tra individui, ossia una forma di vita co­
la citta per trovare i propri interlocutori, ora erano gli altri mune. Il termine platonico che esprime questo stare insieme
a recarsi in un luogo determinato, la scuola, per incontrarvi conversando dialetticamente è synousia, letteralmente «l’essere
1 filosofi. Secondo Platone la filosofia non può costituirsi nel insieme». Soltanto in questa comunità ristretta, i ragionamenti
rapporto con la natura, che è muta —«i campi e gli alberi non dialettici - e le conoscenze cui eventualmente possono condur­
consentono a insegnarmi nulla, come fanno invece gli uomini re - possono riprodursi e trasmettersi. Si apre qui un nuovo
nella città»16- né con i soli testi scritti, che non rispondono alle territorio di metafore dei dialoghi platonici, quelle del parto
domande come persone in carne e ossa o, meglio, significano e della riproduzione. Com’è noto, per Platone la verità è in
sempre la stessa cosa e iterano sempre le medesime risposte. ognuno, ma allo stato latente e deve soltanto essere portata
Né d’altra parte l’apprendimento dei mathémata può avvenire alla luce. Ma ciò è possibile soltanto attraverso un contatto
come un travaso da un recipiente più pieno a uno più vuoto. reciproco e domande da parte di un interlocutore, che portino
Non si tratta di immettere nell’anima altrui una scienza che non alla generazione di ragionamenti belli e veri e all’allevamen-
c è, bensì di darle un diverso orientamento, indirizzandola dal to in comune di essi. La conseguenza è che «questi uomini
mondo degli oggetti sensibili a quello degli oggetti intellegibili hanno tra loro una comunanza molto maggiore che con i figli
e costanti, ossia le idee17. Quando Platone nel fedone descri­ e un’amicizia più salda, dato che hanno in comune figli più
ve la filosofia come un esercizio di morte, non intende tanto belli e più immortali»19. Solo in questo contesto comunitario il
22 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO
LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 23

filosofo può riprodursi, generando altri filosofi. Platone poteva il più possibile a essa. Su questa base la filosofia intendeva
cosi recuperare nella sua nozione di èros - di legame amoroso affermare il proprio primato. In tale contesto nascevano le
inteso come veicolo di ascesa filosofica e, quindi, strumento discussioni sul posto da assegnare ai piaceri o ai cosiddetti
essenziale per diventare vero uomo - quel rapporto tra adulto e «beni esterni» quali la ricchezza, la salute e così via o allo
giovane costitutivo nel mondo greco di allora della dimensione studio delle discipline scientifiche e della stessa dialettica. Si
pedagogica del rapporto omosessuale. Ma ciò gli consentiva poneva inoltre il problema se il filosofo dovesse insegnare e
anche di non dover più tenere rigida una radicale distinzione di trasmettere il proprio modello di vita solo con la prassi e oral­
funzioni tra i sessi, come avveniva nelTAtene del tempo. Nelle mente - come faceva Socrate e successivamente avrebbero fatto
città descritte nella Repubblica e nelle Leggi, maschi e femmine Pirrone o Arcesilao o Cameade - o anche scrivendo. Queste
attraversano un comune itinerario educativo per approdare da discussioni implicavano immagini diverse del filosofo ed erano
adulti, alle stesse funzioni, per le quali risultino adatti, ossia già all’ordine del giorno nei gruppi socratici. La polemica con­
forniti delle attitudini necessarie. Ciò valeva non solo per la tro la polymathìe, inaugurata da Eraclito, era ripresa in altra
musica e la ginnastica, ma anche per l’addestramento militare chiave da Aristippo di Cirene, allievo di Socrate, e soprattutto
e infine per quello filosofico. Certo l’Accademia platonica non dalla tradizione cinica. Qui sarebbe diventato proverbiale il
era la pòlis, neppure quella ideale. Ma ciò non significa che detto che coloro che si dedicano allo studio delle discipline
essa fosse una conventicola chiusa o iniziatica, con dottrine scientifiche sono come i Proci àeXLOdissea omerica, i corteg­
segrete alla maniera pitagorica, da seguire pedissequamente. giatori che, non potendo conquistare la padrona Penelope, si
Chiunque poteva esserne interlocutore: nella scuola sapere e accontentano delle sue ancelle20. Ma accanto alla questione
venta erano acquisibili, perché erano disponibili a chiunque, del rapporto della filosofia con le altre forme del sapere, un
anche a un semplice schiavo, ma soltanto attraverso una ricerca problema delicato era posto soprattutto dal piacere e dal posto
continua e comune, come mostra nel Menone l’episodio dello da assegnare a esso nel quadro della vita umana. Anche qui
schiavo che attraverso ripetute domande non arriva a dare si affacciavano soluzioni opposte, dal «vorrei impazzire piut­
da sé la soluzione, ma già comincia a riconoscere qual è la tosto che provare piacere» di Antistene, discepolo di Socrate
soluzione vera di un problema geometrico. L’Accademia non e considerato poi capostipite del cinismo, all edonismo totale
era dunque depositaria di un sapere dogmatico da elargire, dei cirenaici, che si richiamavano anch’essi all’insegnamento
come avrebbero dimostrato le frequenti divergenze tra i suoi socratico. Un topos tipico delle discussioni nell’età ellenistica
membri anche a proposito di tipiche dottrine platoniche, quali fu se il saggio potesse essere felice anche nei tormenti. Anche
la teoria delle idee.
qui alle risposte negative dei peripatetici si sarebbe opposta
quella nettamente positiva, anche se con motivazioni diverse,
degli stoici e persino di Epicuro21. I problemi del piacere e
3. La felicità e il primato aristotelico della vita teoretica della felicità furono al centro di una letteratura protrettica,
esortativa, destinata a un pubblico esterno alle scuole e mirante
Nel momento in cui mirava ad affermarsi come modo a mostrare la superiorità della vita filosofica. Ciò diventava
di vita alternativo rispetto agli altri modi di vita, la filosofia tanto più urgente, in quanto altre scuole, come quella di re­
si trovava nella necessità non soltanto di tracciare il proprio torica di Isocrate, istituita forse poco prima della fondazione
rit,ra.tto> ma di rendere questo ritratto competitivo e apprez­ dell’Accademia platonica, si mostravano rivali temibili. Iso­
zabile. I testi filosofici antichi sono sovente caratterizzati dalla crate non esitava a chiamare filosofia la propria attività, ma
presenza massiccia del tema della felicità, dei suoi ingredienti al tempo stesso metteva in discussione proprio il nucleo della
e dei modi per realizzarla. Ma ciò è quasi sempre collegato posizione socratica, nella lettura che ne offriva Platone, cioè
alla convinzione che la filosofia sia l’unico tipo di vita capace la connessione tra virtù —in cui consiste 1 eccellenza umana —e
di procurare la felicità in senso pieno o almeno di avvicinarsi scienza, e il conseguente peso attribuito anche delle matematiche
24 L E METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 25

nel quadro dell’addestramento filosofico e del suo itinerario già soddisfatti. È lo stesso itinerario conoscitivo degli uomini
conoscitivo. Alla scienza che è inutile, Isocrate contrappone nel tempo a mostrarlo: esso va dalla scoperta delle tecniche
le opinioni capaci di orientare positivamente la prassi. Que­ utili alla sopravvivenza umana a quelle che producono piaceri
ste sono gli strumenti fondamentali della convivenza umana estetici disinteressati e infine a scienze vere e proprie orientate
soprattutto nella sua dimensione politica, non una presunta all’indagine del mondo naturale e dei principi e cause prime
scienza irraggiungibile dall’uomo. E la capacità di pronunciare di ogni cosa. Ma queste ultime richiedono scholé, ossia tempo
discorsi persuasivi ciò che può condurre ad abbracciare opinioni libero dalla necessità di procurarsi di che vivere. Non era un
utili per la comunità, e questo è ciò che Isocrate prometteva caso, secondo Aristotele, che le matematiche fossero sorte per
di insegnare. Platone, invece, sin dall’Eutidemo, enunciava una la prima volta in Egitto, dove una casta di sacerdoti disponeva
concezione della felicità che poneva in primo piano l’uso del di tempo libero24. Ciò implica che la filosofia coincide con il
sapere. Nel Filebo avrebbe addirittura indicato nei mathémata, massimo possibile di autarchia, ma non intesa come drasti­
che Isocrate riteneva inutili, la fonte dei piaceri maggiori e più co contenimento dei bisogni, alla maniera dei cinici. Certo,
autentici, perché non legati a forme di mancanza e quindi di filosofare è meglio del dedicarsi agli affari, ma in una situa­
dolore. zione di scarsità è preferibile cercare di sopperirvi piuttosto
Su questa linea, in opposizione a Isocrate, si sarebbe mosso che filosofare25. L’esercizio dell’attività filosofica presuppone
anche Aristotele nel Protrettico, per noi perduto, attribuendo dunque l’uscita da una situazione di scarsità, che soltanto una
ai soli filosofi o soprattutto a essi la vita piacevole e felice. comunità come la pòlis può assicurare.
Tale tema viene pienamente sviluppato da Aristotele nei Più che per un uso diverso delle cose necessarie, l’attività
primi due capitoli del primo libro della Metafisica. Aristotele filosofica si caratterizza, secondo Aristotele, per l’esercizio della
arriva a ravvisare una delle ragioni del primato della filosofia theoria, un termine sovente tradotto con «contemplazione»,
proprio nella sua inutilità, nel fatto di non essere finalizzata ma che significa più propriamente osservazione e studio del
a usi esterni a essa. Infatti, il momento culminante del desi­ mondo. Il sapiente aristotelico, dedito alla theoria, è in bilico
derio umano di conoscenza e, quindi, dell’attività filosofica, tra l’umano e il divino. In quanto uomo è legato anch’egli alla
coincide per Aristotele nell’attività teoretica, che ha il pro­ sfera dei bisogni fondamentali e agli altri uomini, ma in quanto
prio fine esclusivamente in se stessa, così come la vista, che teoreta è ancorato al divino. In primo luogo perché gli oggetti
è il senso meno legato ai bisogni ed è quello maggiormente del suo sapere sono divini: si tratta delle cause e dei principi
dotato di poteri conoscitivi rispetto agli altri sensi, avendo che sono alla base dell’ordine del mondo. In secondo luogo
il proprio fine esclusivamente nel vedere. Nello scritto sulle perché la divinità stessa non è che la proiezione perfetta della
Parti degli animali Aristotele dice che qualsiasi cosa, anche la vita del sapiente: la theoria è l’attività propria della divinità e
più spregevole, è meritevole di essere studiata22. Il modello anche il sapiente esercita questa attività; quindi vive una vita
per queste considerazioni è rappresentato dall’attività libera più che umana, in quanto possiede in sé qualcosa di divino,
non sottoposta a vincoli esterni a essa. E ciò aveva una forte ossia l’intelletto26. Resta comunque nel sapiente una dimensio­
funzione protrettica, perché toccava un punto decisivo in un ne umana ineliminabile, che non può essere completamente
mondo in cui la divaricazione tra libero e schiavo era centrale. assorbita, sostituita o eliminata dall’attività teoretica. Solo nella
Il filosofo si ritira nella scuola, ma per acquisire la vera felicità vita integralmente beata della divinità questa sarà perfetta e
e il vero piacere, che accompagnano l’esercizio pienamente au­ ininterrotta. Questa distinzione fra il sapiente e la divinità solo
tonomo delle attività intellettuali. La conclusione di Aristotele apparentemente richiama la distinzione platonica tra il filosofo,
è netta. Se questa è la felicità, solo ai filosofi appartiene una che aspira al sapere, e la divinità sapiente che lo possiede nella
vita veramente felice. Perciò tutti coloro che ne sono in grado sua totalità. Certo già in Platone erano avvertibili i segni di uno
devono filosofare23. Per Aristotele, tuttavia, la filosofia può slittamento possibile della figura del filosofo verso quella del
essere esercitata solo se i bisogni legati alla sopravvivenza sono sapiente, per esempio per il rilievo assegnato alle matematiche.
26 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO
LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 27

Ma sino alla fine per Platone la filosofia era rimasta dialettica, aspetti con la trasmissione dogmatica di un insieme di contenuti
aveva conservato una funzione terapeutica mediante argomen­ dottrinali. Aristotele è ben consapevole del carattere aporetico
tazioni, cioè operazioni intellettuali, che hanno anche efficacia che le cose presentano, ossia delle difficoltà di fornirne una
morale e non aveva mai coinciso interamente con la vita del spiegazione adeguata. La scienza per Aristotele è in primo
dotto. Per Aristotele, invece, il filosofo tende soprattutto a luogo un habitus, una disposizione che rende costantemente
questa condizione e rivendica a suo compito primario lo stu­ capaci di effettuare dimostrazioni, ma come ogni habitus deve
dio dell ordine dell universo fisico, uomo incluso, e celeste. In anch’essa essere acquisita29. È questo habitus che la scuola
questa prospettiva la dialettica viene a configurarsi come una tende a trasmettere.
tecnica argomentativa, essenziale per la filosofia, ma distinta L’attenzione alle tecniche argomentative e didattiche si
ste.sso essa’ c^e è conoscitiva27. Ciò non significa accentua nel momento in cui si viene a operare all’interno di
che Aristotele intendesse rinunciare alla dialettica. Essa svolge una scuola. Ciò da luogo non soltanto a una descrizione, ma
anzi una funzione essenziale nei suoi scritti, come discussione a una valutazione della funzione propria di tali tecniche, an­
preliminare sui dati di un problema. Ma mentre per Platone la che nel quadro di una competizione con altre scuole. D ’altra
dialettica si colloca oltre il piano delle opinioni e le disciplime parte, affermare che la scienza è un habitus significa collegarla
matematiche e si costituisce come via d’accesso alle idee per a uno spazio nel quale essa può essere appresa col tempo. Ma
Aristotele la dialettica trova il proprio campo d’azione nel l’esercizio di questo habitus, una volta acquisito, richiede ancora
disciplinamento delle opinioni discordi dei competenti o di necessariamente la scuola? Secondo Aristotele gli scopi che
quelle che insorgono tra i più o tra i più e i competenti. I Topici gli uomini perseguono nello stare insieme sono molteplici e
sono una preziosa testimonianza delle esercitazioni dialettiche vanno dal bere al fare ginnastica al filosofare. Nessuno, d altra
praticate nell’Accademia e nella scuola di Aristotele. Ma il parte, vorrebbe vivere senza amici e ciò implica una forma di
filosofo, secondo Aristotele, ha a disposizione non soltanto comunità. «Forse è assurdo —riconosce Aristotele —fare del
a dialettica, bensì anche tecniche argomentative più potenti beato un essere solitario {monótes)»i0. Forse è preferibile che
come quella dimostrativa, propria delle scienze matematiche.’ il sapiente svolga la sua attività teoretica con collaboratori, ma
Mentre la dialettica richiede la risposta e il consenso di un in linea di principio egli si trova nella condizione di massima
interlocutore, il filosofo, una volta pervenuto alla conoscen- autosufficienza possibile per un uomo e può quindi svolgere
za delk verità delle premesse di un ragionamento, non ha questa attività anche da solo31. Per Platone la synousia era una
piu bisogno di interlocutori e può svolgere la ricerca da sé dimensione imprescindibile dell’esercizio della vita filosofica;
attraverso la costruzione di catene dimostrative28. La scuola per Aristotele passa invece in primo piano la scholé, il tempo
filosofica diventa l’ambito sia delle esercitazioni dialettiche, sia libero che la theoria, volta a cogliere lo spettacolo dell universo
dell insegnamento del sapere acquisito attraverso costruzioni nel suo ordine finalistico, può anche trascorrere, se non altro
di dimostrazioni che consentono di spiegare il perché che in linea teorica, in solitudine. La tensione che attraversava il
sorregge le conoscenze dei dati di fatto. Il vero strumento ritratto platonico di Socrate nei rapporti con i suoi interlocutori
idattico, più che la dialettica, è la dimostrazione sillogistica, si era qui allentata. Il sapiente aristotelico si muoveva ormai
che procede da premesse a conclusioni e ha una funzione tra l’amicizia e la collaborazione all’interno della scuola e la
non tanto euristica, quanto di insegnare e far capire quali solitudine beata della divinità. Ma già nella scuola aristotelica,
sono le cause e i principi nell’ambito degli oggetti presi in il Liceo, il primato della vita teoretica non passava incontra­
considerazione. Matrice della filosofia, come già aveva detto stato. Dicearco di Messene propendeva piuttosto per una
latone, e la meraviglia, la molla che suscita la domanda sul concezione attiva della sapienza, che egli trovava esemplificata
perche le cose sono quello che sono e genera il desiderio di nelle figure dei primi filosofi e sapienti. Ed è significativo
conoscere la risposta a questi perché, cioè a trovare le cause che egli, contrariamente ad Aristotele il quale aveva ravvisato
e le spiegazioni di esse. Non si deve tuttavia scambiare questi nella scholé la condizione per la realizzazione di un’attività
28 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 29

teoretica, che si poneva ormai oltre il piano dei bisogni e mini e dalla paura della morte legata al conseguente desiderio
delle necessità, collocasse la scholé prima dell’invenzione delle di immortalità. Al filosofo non interessa la quantità della vita,
tecniche, nell età dell oro, quando gli uomini erano vicini agli ma la sua qualità. Lucrezio avrebbe sottolineato acutamente
dèi e godevano di una vita senza malattie, guerre e fatiche32. la stretta connessione, tipica della filosofia di Epicuro, tra
La sequenza cronologica di Aristotele si era capovolta: il più rischiarare e rasserenare: di pari passo vanno la liberazione
perfetto stava all’inizio. dai timori e la liberazione dalle tenebre35. Ma ciò significa
che le indagini naturali non sono soltanto un ingrediente della
vita teoretica, da perseguire in maniera disinteressata, a puro
4. Il filosofo epicureo e il sapiente stoico scopo conoscitivo, come aveva preteso Aristotele. Epicuro
non nutriva alcuna simpatia per le ricerche astronomiche e
I rapporti tra la filosofia, la sapienza, l’amicizia e la be- matematiche condotte dagli accademici, che ciononostante
atitudine divina sarebbero rimasti al cuore delle immagini continuavano a essere in preda ai loro timori e a una me­
del filosofo elaborate in età ellenistica. Una delle metafore raviglia insoddisfatta. Il lungo apprendistato scientifico che
preferite da Epicuro per indicare l’obiettivo della vita filoso­ l’Accademia e il Liceo richiedevano ai propri allievi non era
f a era il galenismós, la quiete del mare fuori dalle tempeste. affatto necessario. Nessuna età, secondo Epicuro, è inadatta a
Che il piacere, da lui indicato come bene perfetto e fine della occuparsi della salute dell’anima, ossia a filosofare. Anche da
vita umana, non consistesse nella dissolutezza era ben noto vecchi si può cominciare a dedicarsi alla filosofia, mirando a
a un autore così incline all’ascetismo come Porfirio, che nel raggiungere quell’atarassia, quell’assenza di turbamenti che fa
III secolo d.C. avrebbe riscontrato nella vita epicurea una vivere «come un dio tra gli uomini». Anche il modello di vita
forte componente di frugalità33. Il piacere a cui volgeva gli filosofica proposto da Epicuro riproduce la vita divina, ma con
occhi Epicuro era invece il segno di una situazione che non uno spostamento del suo baricentro, che non è più la theona
ha bisogno di cercare altro e nella quale il dolore è assente. come in Aristotele, ma una beatitudine priva di turbamenti.
Ma questa situazione di quiete è impedita o minacciata dalle Alla filosofia e alla sapienza di tipo aristotelico Epicuro torna
credenze infondate che gli uomini portano sovente con sé e a preferire la phrónesis, la condotta intelligente della vita36. Ma
procurano loro ansie e timori. La filosofia deve dunque assu­ la tranquillità e la sicurezza, se non sono minacciate dagli dèi
mere una funzione liberatoria e condurre in un porto sicuro, a né dalla natura, lo sono invece dagli uomini. Platone aveva
una vita senza turbamenti. In questo progetto le indagini sulla cercato la soluzione a questo problema nel modello di una città
natura conservano una funzione preziosa. Epicuro distingue due governata dai filosofi e quindi priva di conflitti, e Aristotele
ivelli di approccio ai fenomeni naturali: per quanto riguarda in una città garante della scholé necessaria per poter condurre
la struttura generale dell’universo la spiegazione è unica e l’attività teoretica. Epicuro ritrova invece un’ancora di sicurezza
poggia sull’ammissione di due principi costitutivi del tutto, nell’amicizia37. La scuola filosofica diventava un cenacolo di
gli atomi, entità indivisibili e impercettibili, e il vuoto, mentre amici al riparo dalle tempeste della vita e raggruppati intorno
^e,r 4uanto riguarda i fenomeni astronomici e meteorologici è al maestro.
sufficiente disporre di più spiegazioni possibili, purché siano In modi diversi, sia Aristotele sia Epicuro allentavano i le­
tutte conformi ai fenomeni direttamente osservabili e non gami tra la scienza e l’esercizio delle virtù morali. Per Aristotele
smentibili da parte di altri fenomeni34. In base a ciò si può il phrónimos o spoudàios, ossia 1 uomo moralmente buono, non
arrivare a concludere che la natura e gli dèi, che pure esistono, è necessariamente un teoreta, cioè un filosofo. Epicuro, dal
sono indifferenti all’uomo, non sono né minacciosi né benigni' canto suo, non accetta di riconoscere l’autonomia dell’attività
né un ordine protettivo nel quale inserirsi né una volontà alla teoretica, tanto meno di considerarla la dimensione più propria
quale adeguarsi. L’indagine fisica libera da credenze infondate della vita filosofica. Per gli stoici, invece, il sapiente e l’uomo
nell intervento degli dèi nelle faccende del mondo e degli uo- virtuoso tornano a essere indisgiungibili. L affermazione che
30 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 31

il sapiente è infallibile è un dato ricorrente nella tradizione prima e dopo, alto e basso, materia e forma e così via. Anche
stoica a partire da Zenone, il fondatore della scuola alla fine del per lo stoico il mondo è una totalità ordinata da una razionalità
IV secolo a.C. La conoscenza infallibile dell’ordine razionale divina e il sapiente l’espressione di questo ordine sul piano
e divino del mondo - della quale il sapiente è portatore - si antropologico. La stabilità è uno dei criteri di credibilità del
traduce necessariamente in un comportamento razionale del sapiente e la stessa dialettica diventa una virtù - non soltanto
tutto conforme a quest ordine. Il sapiente è dunque perfet­ una disciplina speciale - perfettamente integrabile nel ritratto
tamente inserito in quest’ordine e presenta una regolarità di del sapiente, che è di per sé inconfutabile, ma capace di doman­
comportamenti analoga a quella della natura, senza falle né dare e rispondere40. Si comprende come in questa prospettiva
oscillazioni. Ciò dipende dal fatto che il sapiente, proprio grazie diventasse facile equiparare la virtù degli dèi e degli uomini
al suo sapere, si è sottratto definitivamente all’area fluttuante sapienti41. Per Aristotele il sapiente aveva in sé qualcosa di
delle opinioni nella quale precipitano i più. E poiché alla base divino, ma all’interno di una dimensione umana ineliminabile.
della maggior parte delle emozioni e delle passioni, che sono Nel sapiente stoico il dislivello con la divinità sembra scomparso.
movimenti dell’anima irrazionali o contro natura, si annida L’equiparazione tra vita del sapiente e vita divina diventa ora
sempre un opinione, il sapiente sarà insensibile alle passioni, una potente affermazione del primato dell’attività filosofica,
che sono sempre fondate su giudizi errati, persino all’umiltà che trova il proprio modello nel sapiente. Questa concezione
e alla compassione38. In tal modo il sapiente stoico diventava stoica aveva il vantaggio di non lasciare fuori alcuna zona opaca
il vero erede della morale militare, colui che non abbandona di indeterminazione, non soltanto la distinzione tra ciò che è
mai il proprio posto all’interno dell’ordine razionale dell’uni­ bene e ciò che è male, ma anche la sfera dei cosiddetti «indif­
verso, resistendo agli attacchi dei nemici, delle passioni come ferenti», come la ricchezza o la salute. Tutto rientra nella sfera
della sorte. di controllo del sapiente, che opera scelte infallibili unicamente
k i ^ immagine popolare dello stoico imper­ dirette al bene, addirittura respingendo le ricchezze o la vita
turbabile, che nel linguaggio quotidiano, anche odierno, si è stessa, qualora esse rendano impossibile o ostacolino fortemente
trasformata nell’immagine del filosofo tout court, che non si l’esercizio della virtù. Questa immagine perfetta senza lacune e
scompone mai e affronta senza turbamenti e debolezze anche totalmente positiva era una figura limite. Gli stoici riconosce­
le peggiori disgrazie. Il nocciolo di questa immagine è la stabi­ vano che il vero sapiente non era mai esistito o, nel migliore
lità, che ha lasciato tracce vistose nel vocabolario della filosofia dei casi, era esistito pochissime volte: uno ogni cinquecento
stoica. La sapienza occupa una posizione incrollabile, è una anni, come la Fenice, avrebbe detto Seneca, meno frequente
condizione irreversibile e non suscettibile di incremento, è un dei parti di una mula, secondo Crisippo42. Ma, come per la
vertice oltre il quale non si può procedere. «Il sole aumenta città giusta delineata nella Repubblica di Platone, l’importante
forse la sua grandezza?», domanderà Seneca, e altrove preciserà: era non tanto la sua esistenza effettiva, quanto la sua funzione
«l’animo del sapiente è come il mondo sopra la luna: lassù è orientativa. Con la costruzione della figura del sapiente gli stoici
sempre sereno»39. La dottrina stoica del sapiente esorcizzava intendevano presentare ai destinatari del loro insegnamento un
completamente il movimento. Questo timore filosofico del modello, forse irraggiungibile, ma proprio per la sua globalità
movimento e del mutamento aveva ormai una tradizione alle e radicalità capace di fornire alla vita un orientamento comple­
spalle. Platone lo aveva eliminato sul piano epistemologico, tamente nuovo e senza incertezze. Di fronte a esso né la sorte
ritenendo il movimento una prerogativa costitutiva del mondo né le vicende storiche o le condizioni fisiche, politiche o sociali
sensibile, che non poteva quindi essere oggetto di scienza, che avevano alcun potere. Lo stoico che insegnava nella scuola non
è invece conoscenza stabile, non continuamente mutevole. Per era il sapiente, ma era almeno in grado di darne il ritratto e di
Aristotele la concezione finalistica della natura era anche stata indicarlo come norma.
un modo per riconoscere nel movimento una struttura ordinata,
orientata appunto verso un fine e secondo sequenze polari di
32 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO
LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 33

5. La polemica contro i filosofi dogmatici e la vita dello scet­ l’ugual peso e forza delle argomentazioni adducibili a sostegno
tico di tesi contrapposte o delle argomentazioni prò e contro una
stessa tesi, senza poterne privilegiare una. L’obiettivo dello
La figura del sapiente fu uno dei punti di maggior con­ scettico era di rimanere al di qua della soglia delle credenze
troversia tra gli stoici e la nuova generazione di accademici filosofiche, sul terreno dell’indecidibilità e dell’imparzialità
scettici. Il primo ad avere verosimilmente impresso questa che non reca ingiustizia ad alcuna delle schiere contrapposte.
svolta all’Accademia, Arcesilao, accettava il lato negativo della Era pienamente plausibile che lo scettico, dopo aver raggiunto
definizione stoica del sapiente —già formulata dal capostipite lo scopo con le sue critiche, distruggesse gli stessi argomenti
Zenone - come colui che non sbaglia né corre il rischio di farlo, che gli avevano consentito di raggiungere questo scopo, come
ma su questa base arrivava alla conclusione, apparentemente chi, salito in alto mediante una scala, butta poi giù la scala o
paradossale, che solo un atteggiamento scettico può salvaguar­ come un purgante che, dopo aver espulso gli umori cattivi dal
dare questo aspetto del sapiente stoico. Cicerone attribuisce corpo, espelle anche se stesso45. Ciò distingue la confutazione
tale ragionamento ad Arcesilao: 1) se il sapiente darà talvolta scettica dalle forme polemiche impiegate dalle altre scuole,
il proprio assenso a qualcosa, allora opinerà; 2) ma il sapiente perché non mira a confermare uno dei due corni di un’alter­
non opinerà mai; 3) dunque il sapiente non assentirà a nulla43. nativa attraverso la confutazione dell’altro, ma a confutare ogni
Sia per gli stoici, sia per gli accademici scettici il problema è alternativa possibile all’interno dell’atteggiamento dogmatico.
evitare di cadere nella trappola dell’opinione, per sua natura Solo la sospensione dell’assenso, Vepoché, può allora garantire
fluttuante e variabile. Per gli stoici il sapiente, in quanto pos­ quella libertà che tutte le filosofie intendevano ritrovare nel
sessore di scienza stabile, è per definizione estraneo all’ambito sapiente. In questo caso la libertà si configura come indipen­
dell opinione: il suo assenso, quando è dato, si colloca sempre denza da dottrine che, aderendo a una scuola, si è costretti a
fuori dello spazio dell’opinione. Per lo scettico, invece, lo stoico difendere. L’accademico scettico, diceva Cicerone, a differenza
si illude di sfuggire all’opinione, perché il sapiente è defini­ dei dogmatici, non aderisce a dottrine «come a una roccia».
tivamente fuori di essa solo evitando di assentire a qualsiasi Nella scelta di un orientamento filosofico soltanto lo scettico
asserzione. Per Arcesilao non c’era alcuna rappresentazione che non deve affidarsi ad alcuna autorità; se, come dicevano gli
non potesse diventare falsa: ciò apriva lo spazio all’opinione, stoici, soltanto al sapiente compete stabilire chi sia sapiente,
che è appunto l’assenso conferito a ciò che è inafferrabile44.' quale orientamento filosofico sceglierà chi non è sapiente, ma
Se non si voleva distruggere la figura del sapiente, occorreva aspira a diventarlo? Qualunque sia la sua scelta, sarà sempre
sospendere 1 assenso. Il rifiuto dell’assenso non era dunque da insipiente46.
soltanto una scelta epistemologica. Paradossalmente la so­ Su quali basi poggerà allora la condotta dello scettico?
spensione dell assenso del filosofo scettico diventava la vera Una tradizione aneddotica riferiva che Pirrone, considerato
realizzazione del modello del sapiente stoico, che non è mai in poi uno dei capostipiti della forma più radicale di scetticismo,
errore. Ma un sapiente che non dà l’assenso a nulla e quindi coerentemente al dettato di non avere opinioni, non si guar­
non pronuncia alcuna affermazione può ancora essere detto dava da nulla, non evitava carri o burroni o morsi di cani47.
propriamente un sapiente? Letti in chiave teorica, questi aneddoti sottolineavano che la
Le obiezioni che dal canto loro gli scettici dovevano affron­ sospensione dell’assenso non eliminava il problema dell’orien-
tare erano almeno due: 1) la possibilità di criticare le dottrine tamento nella condotta di vita. Si tratta di un punto decisivo,
altrui non implica 1 ammissione che esista un criterio di verità?; che ottenne risposte diverse. Secondo Sesto Empirico, Arcesilao
2) come può vivere lo scettico il suo scetticismo? L’esistenza avrebbe indicato il criterio della condotta in ciò che, una volta
di una molteplicità di filosofie discordanti fra loro costituiva compiuto, può essere difeso ragionevolmente. Per Cameade,
un arma fondamentale per la critica scettica alle filosofie dog­ invece, forse per rispondere a obiezioni stoiche, il criterio che
matiche. Ma queste critiche miravano a stabilire Visosthéneia, consente di evitare la paralisi sul piano della prassi è dato
34 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 35

dal pithanón, ciò che risulta persuasivo, secondo un modello poggia la vita ordinaria né pretende di caricarle di segno po­
di attività filosofica che richiama le procedure del medico sitivo o negativo. Egli può apparire come un terapeuta, ma
o del giudice. Su questa base egli elaborava una complessa non delle passioni che attanagliano i più, bensì della malattia
descrizione delle procedure che consentono di accertare e del dogmatismo che affligge i filosofi. Se c’è qualcosa che lo
rafforzare il grado di persuasività, ma è chiaro che in questo scettico può insegnare è che per natura non c’è nulla di bene
criterio continuavano ad annidarsi implicazioni epistemologi­ né di male. Attraverso questa generalizzazione ed estensione
che che lasciavano spazio alle obiezioni dei dogmatici48. Per della sfera di quelli che gli stoici chiamavano «indifferenti»,
evitare ciò, lo scetticismo posteriore si sarebbe discostato da 10 scettico riteneva di raggiungere quell’assenza di turbamenti
queste posizioni accademiche. Richiamandosi alla rappresen­ che i dogmatici si sforzavano invano di raggiungere. Ma questo
tazione che Timone aveva dato di Pirrone, Sesto ravvisava risultato non era perseguito dallo scettico intenzionalmente:
il criterio, a cui attenersi, in una vita libera da opinioni, nei all’epoché segue sempre «come ombra» l’atarassia. Lo scettico
fenomeni, ossia in ciò che appare, nelle consuetudini patrie, non può essere turbato dalla presenza o dall’assenza di quelli
nelle leggi, negli insegnamenti delle tecniche. In tal modo il che i filosofi dogmatici presumono essere beni o mali50.
filosofo scettico si differenziava radicalmente da tutte le altre Lo scetticismo sarebbe diventato in età imperiale anche
figure di filosofo, che sempre, pure se in modi diversi, aveva­ un’arma potente per smascherare le contraddizioni fra teoria e
no legittimato la propria identità anche attraverso la presa di prassi nei filosofi dogmatici. Ancora nel II secolo d.C. Luciano
distanza rispetto alle regole e ai modi della vita ordinaria. Lo attingerà ampiamente all’arsenale scettico per fornire una rap­
scettico invece restava radicato nella vita comune, non in una presentazione impietosa della vita dei filosofi dogmatici in una
pretesa autosufficienza ed eccezionalità. La sua eccezionalità serie di dialoghi. In Vendita di vite all’incanto egli rappresenta
si misurava rispetto agli altri filosofi, non rispetto agli uomini una sorta di mercato immaginario, dove, se i modelli di vita dei
comuni49. Erano soprattutto gli stoici a ravvisare nel sapiente filosofi fossero posti in vendita, nessuno li acquisterebbe o al
l’alternativa rispetto alla vita ordinaria, che essi relegavano massimo per pochi soldi. Il pescatore o i redivivi rappresenta
nell’ambito della semplice opinione, non del vero sapere. Lo i filosofi del passato che tornano in vita allo scopo di punire
scettico invece riteneva che l’opinione fosse lo spazio in cui Parresiade, ossia Luciano stesso, per aver parlato male di loro.
venivano a rinchiudersi proprio i filosofi che pretendevano 11 nome Parresiade è scelto per sottolineare la parrhesia di Lu­
di stabilire ciò che è e ciò che è vero, dando l’assenso a esso, ciano, il suo coraggio di parlare e criticare a viso aperto non
ma in tal modo non riuscivano a preservarsi dalla possibilità più i potenti, come nella tradizione cinico-stoica, bensì gli altri
dell’errore. Le tradizioni, le procedure delle tecniche e tutto filosofi. Di fronte alla Filosofia, scelta a giudice della contesa,
ciò su cui poggia la vita ordinaria non hanno invece bisogno di Parresiade-Luciano rivendica a sé il merito di aver smascherato
trovare una giustificazione. La passività nei confronti di tutto i falsi filosofi suoi contemporanei, scimmie che pretendono
ciò è una dimensione fondamentale per assicurare un atteggia­ d ’indossare la maschera di eroi, avidi solo di ricchezze come
mento distaccato riguardo alle pretese filosofiche. Il filosofo cani intorno a un osso. Il verdetto della Filosofia è l’assoluzione
dogmatico, non solo nel modello agonistico stoico, ma anche e a Parresiade è affidato il compito di giudicare chi siano i veri
in quello del ritiro epicureo, è sempre teso a perseguire o filosofi. Basta gettare dell’oro come esca e non c’è filosofo, di
fuggire qualcosa, ma da questa situazione non può nascere qualsiasi corrente, che non abbocchi. In altri scritti Luciano
che turbamento. I dogmatici finiscono così per scambiare una delinea il ritratto del filosofo parassita, che affolla le case dei
malattia con un’altra: indirizzando a quello che essi considerano ricchi, prono all’adulazione. Non doveva essere molto lontano
il vero bene e alla virtù coloro che tendono alla ricchezza o dall’immagine che ne avevano i più. Il testo di Luciano in cui
alla gloria, essi non li liberano dal fatto di inseguire qualcosa. sono più argomentate le ragioni del rifiuto in blocco delle fi­
Il vero liberatore è invece il filosofo scettico e lo è proprio losofie dogmatiche è il dialogo Ermotimo. A Ermotimo, stoico
perché non mette in discussione le consuetudini sulle quali convinto, Licino - altro nome sotto cui si intravede Luciano
36 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 37

stesso - pone la domanda decisiva: che cosa lo ha guidato fra teoria e prassi e i pericoli di una loro disarticolazione e
nella scelta dello stoicismo come unica filosofia vera? Le varie di una filosofia rinchiusa soltanto nelle scuole e incapace di
risposte di Ermotimo si scontrano tutte di fronte all’obiezione tradursi in una forma di vita fuori della scuola. Certo in Ci­
che la scelta motivata di una filosofia dovrebbe presupporre cerone la prassi in senso forte rimane quella politica: a questa
una conoscenza adeguata e diretta di tutte, non per via di ma­ egli guarda con nostalgia nel momento in cui un ozio forzato,
nuali dossografici o nelle esposizioni degli avversari. Altrimenti per le mutate condizioni politiche, lo sottrae a essa. Ma anche
si arriva all’assurdo dell’Etiope che, non essendo mai uscito in questo momento egli continua a polemizzare contro una
dal suo paese, sostiene che tutti gli uomini sono neri. Se non filosofia solo ostentata e non tradotta in bios\ tra i rimproveri
si compie preliminarmente questa ricognizione globale, c’è il che egli muove agli epicurei c’è anche quello dell’incoerenza
rischio che, operata la scelta, diventi difficile tornare indietro. fra la teoria e la prassi, nel loro caso di agire meglio di come
Da buoni giudici occorre invece lasciare la parola a tutti. Per parlano51. Questo motivo della coerenza fra l’insegnamento
compiere questo esame totale, però, non bastano gli anni della teorico e la vita da condurre fuori della scuola dei filosofi
vita umana, né si può escludere che la verità possa trovarsi fuori diventa centrale in Seneca. Secondo un antico modello stoico,
da tutte le filosofie attualmente esistenti. In questa situazione che egli trovava anche nell’insegnamento del romano Quinto
la cosa migliore, secondo Luciano, è sì continuare a cercare Sestio, la vita è letta come una metafora bellica, come agone
la verità, ma sospendendo per ora l’assenso incondizionato a e guerra, dove però non solo il filosofo, ma addirittura il sa­
qualsiasi filosofia. Nell’Icaromenippo compare addirittura uno piente appare il miglior gladiatore, sempre in addestramento
Zeus scettico, che sospende l’assenso, alla Pirrone, di fronte a per impedire alla virtù di marcire. Ciò significa che l’etichetta
preghiere contrastanti degli uomini. In un orizzonte in cui la di filosofo è dimostrata dai fatti, dal modo di comportarsi,
verità non si è ancora mostrata, la vita migliore da condurre soprattutto nelle situazioni limite del dolore e della morte52.
torna a essere quella dei più, non quella ammantata da vane Il sapiens ha sotto controllo spazio e tempo e quindi non c’è
pretese di superiorità dei filosofi. Nel Menippo Luciano imma­ spazio né tempo futuro da cui possa venire qualcosa che lo
gina Tiresia che nell’Ade dichiara la vita della gente comune la minacci realmente, neppure la morte: egli è pronto a restituire
migliore, che non si perde dietro inutili sillogismi, investigazioni alla natura ciò che non è propriamente suo, ma solo prestato.
meteorologiche, tesi su principi e fini. Questo aveva già detto l’antico stoicismo, ma Seneca aggiun­
ge anche la considerazione delle condizioni in cui la virtù è
esercitata, quasi privilegiando le situazioni difficili rispetto a
6. Roma: nuove figure di filosofo condizioni tranquille, come se il sapiente stesso dovesse essere
messo costantemente alla prova proprio per esibire la sua virtù,
Penetrando nel mondo romano, l’attività filosofica, più che la quale diventa pienamente visibile solo in mezzo agli assalti
dar luogo all’acquisizione di contenuti teorici radicalmente nemici. Ma se ciò vale per il sapiente, a maggior ragione varrà
nuovi, aveva cessato di essere monopolio delle scuole. Per gli per colui che, come Seneca stesso, cerca di progredire sulla
stessi filosofi greci si erano aperti spazi extrascolastici nelle via della virtù, tenendo davanti agli occhi questo modello di
case dei potenti signori romani, come consiglieri o consolatori sapiente e al tempo stesso cercando di esibire al meglio questa
o anche soltanto figure da esibire come segno di prestigio. Ma sua immagine di sé, senza scadere a semplice spettacolo. La
anche rappresentanti dei ceti più elevati della società romana filosofia delle scuole mostrava invece, secondo Seneca, una
si erano presentati in determinati momenti della loro vita tendenza crescente a farsi rappresentazione teatrale in cerca
come filosofi. I casi più noti sono per noi quelli di Cicerone di applausi, un luogo dove si andava soltanto per ascoltare o
e di Seneca, che non si sarebbero mai abbassati a esercitare apprendere tecniche della discussione, non come vivere. Nella
l’insegnamento, magari retribuito, della filosofia. Questa nuova migliore delle ipotesi, questo tipo di insegnamento trasfor­
situazione poneva in primo piano il problema delle relazioni mava la filosofia in pura e semplice filologia e rendeva dotti,
38 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 39

non buoni. Il discepolo di un filosofo, invece, non è soltanto cui sono testimonianza le Questioni naturali - il sapiente spazia
l’inquilino di un filosofo; egli deve tornare a casa ogni giorno liberamente per l’universo come un artigiano che esce all’aperto
più sano o più sanabile. Il fatto che ciò avvenisse sempre più dal chiuso della sua bottega. Ma così facendo egli spezza in
raramente era segno che la filosofia aveva perso il suo vero qualche modo i limiti della propria corporeità e trova il vero
prestigio, prostituendosi. Trasformata in esercizio puramente se stesso. In Seneca affiora frequentemente l’auscultazione della
intellettuale, essa era scaduta al rango di una professione re­ propria interiorità come campo d’azione del filosofo. Il sommo
tribuita, di un’arte liberale utile soltanto a preparare l’ingegno, bene deve essere cercato all’interno dell’anima, perché gli altri
ma che non insegnava più a vivere53. non sono che beni apparenti. Cercare la felicità all’esterno, fuori
Nell’epistola 88 Seneca prende atto con raccapriccio di di sé, significa porsi in balìa di esso: «il saggio si rinchiude in
questa tendenza della filosofia del suo tempo e nell’epistola 90 sé e vive in compagnia di se stesso»55.
rifiuta a chiare lettere di istituire la benché minima connes­ Anche in Epitteto, che pure avrebbe insegnato filosofia,
sione tra la filosofia e il sapere tecnico. Lo stoico Posidonio era centrale il rapporto tra la scuola e la vita filosofica fuori di
aveva fatto scendere il sapiente nel mulino e aveva indicato essa. Egli riconosce l’importanza dell’addestramento dialettico
negli antichissimi filosofi gli inventori delle tecniche, che poi e della conoscenza delle teorie logiche di Crisippo, ma avverte
avevano lasciato esercitare agli altri uomini. Contro queste tesi che la scuola filosofica è qualcosa in più, è una casa di cura,
Seneca ribadisce la distanza abissale esistente ai suoi occhi tra dove non basta avere i farmaci predisposti dalla dialettica,
la sapienza, che risiede più in alto e non addestra le mani, ma ma occorre anche sapere dove e come applicarli. Se ciò non
l’anima, e le tecniche, che nel migliore dei casi sono soltanto avviene, la filosofia ne esce irrimediabilmente screditata56. Epit­
strumenti per la vita. Come poteva Posidonio porre sullo stes­ teto non rinunciava dunque alla scuola, ma per tener ferma la
so piano il cinico Diogene e Dedalo scultore? Se la filosofia è saldatura fra teoria e prassi doveva trasformare la scuola in un
arte della vita nella sua globalità - come insegnava la scuola luogo di terapia, riprendendo un antico disegno, già presente
stoica - e non può scadere in un’attività tecnica retribuita, il nei gruppi socratici, della filosofia come diagnosi e cura delle
vero filosofo non è una figura che possa stare a fianco delle malattie dell’anima. Ciò gli consentiva di rivendicare l’utilità
altre: ognuno, dal principe al mendicante, può essere filosofo. della scuola nel momento in cui la filosofia come puro esercizio
Ciò comporta la concezione dell’inessenzialità della posizione intellettuale tendeva a separarsi dalla condotta. Secondo Fa­
e dei ruoli occupati nella società e, al tempo stesso, quella del vorino, egli avrebbe chiamato la maggior parte di quelli che si
primato esclusivo della filosofia. Su questo presupposto, del dichiaravano filosofi, filosofi solo a parole, non nei fatti57. Ma la
resto, si erano fondate le immagini «popolari» della filosofia, saldatura con la condotta avviene per Epitteto, ex schiavo, nel
divulgate soprattutto dai cinici, che proprio nel I secolo d.C., raggiungimento di uno spazio estraneo al dominio degli uomini
l’epoca di Seneca, trovavano spazi alla loro predicazione. La e delle cose che li circondano. Ciò comportava una drastica
filosofia non era faccenda esclusiva di intellettuali che si dedicano riduzione di questo spazio. Per garantirsi un’area immune dalla
allo studio. Coincidendo con la vita buona, affermava Musonio schiavitù verso l’esterno, il filosofo diventa protagonista di un
Rufo, il cavaliere di Volsinii, maestro di Epitteto, essa riguarda processo di crescente autospogliazione. Distinguendo tra ciò
tutti, uomini e donne, vecchi e giovani, ricchi e poveri54. Ma che dipende da noi e ciò che non dipende da noi, Epitteto
nonostante queste dichiarazioni di principio, c’è da dubitare riconosce come integralmente nostro, perché datoci dagli dèi,
che la filosofia penetrasse in vasti strati della società e della l’uso corretto non tanto delle cose, che di per sé non dipendono
politica. Fuori della scuola, ma a causa di Nerone costretto a da noi e non sono beni, quanto dalle rappresentazioni che ci
essere ormai lontano anche dalla politica, Seneca ridiventava facciamo delle cose. Questo è l’obiettivo della filosofia, che
filosofo e trovava dinanzi a sé da una parte la natura - come porta ad applicare correttamente le nozioni comuni a tutti gli
oggetto da contemplare e studiare nel suo ordine -, dall’altra, uomini - per esempio di bene e di male - ai casi particolari
e soprattutto, la propria interiorità. Nella contemplazione - di della vita58.
40 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 41

In questo stesso orizzonte si muoveva anche un filosofo mento della morte, qualcuno che gioisca del triste evento»62.
collocato all’altro estremo della scala sociale, l’imperatore Mar­ La corte era la matrigna, la filosofia era la madre. Solo nel
co Aurelio. Il suo maestro di retorica Frontone aveva cercato seno di quest’ultima egli trovava la pace, perché proprio la
di distoglierlo dalla filosofia, ma alla fine essa aveva avuto il filosofia era l’unica capace di far apparire sopportabili la corte
sopravvento. Esplicitamente Marco dichiara di voler essere a Marco Aurelio e Marco Aurelio - aggiungeva - alla corte. La
filosofo e non si proclama mai uno stoico, né prova alcun vera anachóresis, il ritorno al proprio luogo di appartenenza,
interesse per le dispute tra i vari indirizzi filosofici. Anche in non avveniva spostandosi in luoghi lontani, ma all’interno di
lui la filosofia confermava la sua finalità non dottrinale, ma di se stessi, nello spazio della propria interiorità, dove risiede il
strumento di vita. Secondo la consuetudine egli aveva ricevuto vero sapiente, ossia il demone interiore assegnato a ciascuno
lezioni da filosofi di varie scuole - a eccezione forse degli da Zeus. Ritrovare questo demone significa vivere con gli dèi
epicurei - come pare confermato dall’elenco dei personaggi e integrarsi organicamente al tutto63. Il problema di Marco
ai quali egli esprime nel I libro la sua gratitudine. Giunto Ru­ Aurelio era non tanto di ritagliarsi un’isola di autonomia, una
stico, in particolare, che fu due volte console e praefectus urbi sorta di zona franca e padrona di sé attraverso una contrazione
nel 165, è ringraziato per avergli prestato dalla sua biblioteca della propria interiorità - com’era avvenuto nei nobili stoici
le Diatribe di Epitteto59. Ma per Marco la distinzione tra ciò del I secolo d.C. - quanto di ritrovare i legami della propria
che dipende e ciò che non dipende da noi era molto meno interiorità con la totalità cosmica, quasi un’uscita dai confini
drammatica che per l’ex schiavo Epitteto o per i senatori in troppo ristretti dell’impero. La propria identità poteva essere
conflitto con un potere che li sovrastava. Per l’imperatore il ritrovata solo nel momento in cui, grazie alla filosofia, ci si
termine di riferimento verso l’alto diventava il cosmo intero. riconosce parte minuscola della razionalità cosmica presente
Da un autore che gli è caro, Eraclito, Marco Aurelio attinge in ognuno e in ogni cosa. All’io ipertrofico dell’antico sapiente
una concezione del mondo nel suo perenne fluire e mutare: stoico, Marco Aurelio oppone l’io infinitamente piccolo di
anche il tempo è come un fiume, un «abisso infinito» in cui ciascuno. La solitudine dell’imperatore poteva essere superata
tutto si annulla60. L’arroganza umana nasce, a suo avviso, dalla solo con questa immersione nell’universo. Tornava a riecheg­
presunzione di essere immortali. Occorre invece comportarsi giare nelle sue parole l’antica immagine del Fedone platonico
sapendo di non esserlo, in attesa del segnale di uscita dalla della filosofia come esercizio di morte, in attesa del suono
vita. Il risultato è un radicale ridimensionamento di sé e del della tromba per uscire dalla vita e ricongiungersi al tutto.
mondo che ci circonda. Se il cosmo nella sua eterna vicenda Ma nell’attesa è inutile cercare rifugio in campagna o altrove,
non riserva nulla di nuovo, la vita stessa nella sua ripetizione poiché è possibile ritirarsi - anachoréin - in se stessi64. Ma
non può che provocare il disgusto, come lo spettacolo dei quanti cercavano aiuto e speranza di protezione già in questa
giochi nell’anfiteatro61. Nelle pagine di Marco Aurelio si vita difficilmente potevano essere rassicurati dalla consapevo­
avverte la presenza ossessiva del pensiero degli altri, ma con lezza di essere legati a una razionalità cosmica universale, ma
una prospettiva capovolta rispetto al precedente stoicismo. impersonale. Con Marco Aurelio lo stoicismo cedeva forse
Qui l’altro era visto come sorgente potenziale di pericoli e definitivamente le armi al platonismo e soprattutto a nuove
minacce di asservimento o traviamento. Per Marco, invece, è forme di religiosità, ricche di promesse di un rapporto perso­
l’altro che dipende da lui: dall’altro egli non si attende nulla o nale con la divinità.
ben poco; l’altro è da sopportare, non da combattere. Marco
Aurelio provava fastidio e insofferenza per il corpo umano
e il contatto con gli altri uomini. Soprattutto non si attende 7. Il filosofo neoplatonico e la fuga verso l’alto
dagli altri la trasparenza. Egli rinuncia a penetrare nei loro
pensieri, sa che il mondo degli altri è il mondo della maschera: Nel III secolo d.C. il filosofo di Plotino si pone alla con­
«Nessuno è così favorito da non avere accanto a sé, al mo­ fluenza, da un lato, della filosofia delle scuole, dominata in
LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 43
42 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO

misura crescente dalle correnti platonizzanti, che concepiscono Al cuore delle considerazioni di Plotino vi è una concezione
l’itinerario filosofico come un progressivo avvicinamento alla cosmica dell’attività teoretica. Secondo Plotino tutte le cose
verità e a Dio, e, dall’altro, dell’esercizio personale della filoso­ tendono alla theoria, non soltanto gli esseri razionali, ma tutto
fia come direzione delle coscienze e ripiegamento su se stessi. l’ambito dei viventi, i vegetali e la terra stessa. La prassi e le
Anche Plotino elabora un concetto di filosofia come ritiro, attività produttive non sono che forme imperfette e deboli,
come anachóréis, ma senza che ciò implichi l’uscita dalla città ombre di theoria. Per Aristotele l’attività teoretica era la forma
o dal proprio corpo mediante il suicidio, come aveva fatto in eminente di prassi e una prerogativa della divinità stessa e, in
maniera spettacolare e pubblica Peregrino Proteo nel 165 d.C., misura minore, del sapiente. Per Plotino, invece, la prassi è
e com’era stato tentato di fare il suo discepolo Porfirio, dissuaso una forma indebolita della theoria, che è prerogativa di ogni
da Plotino stesso. Più che al mondo, per Plotino il problema gradino della scala dell’essere, anche se in misura differente. In
era di sottrarsi al sortilegio, alla goetéia esercitata dal mondo. tal modo tutta la realtà viene ad assumere connotati «filosofici»
E celebre l’immagine con cui Porfirio apre la sua biografia di e appare protesa a realizzare quella forma più alta di theoria che
Plotino: era come uno che si vergogna di essere in un corpo65. è la filosofia. La continuità che attraversa il tutto, a partire dal
Ma questa vergogna non concerneva tanto il corpo in sé, che principio, l’Uno da cui tutto deriva, garantisce che la theoria
come tutto l’esistente, contrariamente a quanto pensavano percorra tutto ciò che deriva dal principio, secondo una linea
gli gnostici, ha la sua bellezza e la sua ragione di essere. Essa di imperfezione e indebolimento crescenti67. L’aumento di the-
nasceva piuttosto dalla consapevolezza che il corpo è immerso orìa comporta dunque una sottrazione progressiva al sortilegio
e preda della goetéia. Da tempo ormai il mondo degli uomini della molteplicità e quindi anche una crescita progressiva di
colti e incolti dell’impero si era sovrappopolato di dèmoni, oblio di tutto ciò che è inferiore, il quale nella sua debolezza
forze nascoste, influenze astrali e simpatie cosmiche. Plotino non è che traccia, orma e segno di ciò che sta più in alto. La
credeva nella magia, anche se non la praticava, ed era convinto memoria infatti è segno di imperfezione e di indigenza, è legata
che il corpo e gli stessi dèmoni, quanto più erano vicini alla alla molteplicità frantumata del tempo, mentre la contempla­
terra, fossero inseriti in una catena di influssi, ripercussioni e zione punta verso il presente unitario. Le anime che riescono
dipendenze generate dalla simpatia che lega tra loro le cose. a trovarsi nella posizione più elevata vedono il dio ininterrot­
Secondo Plotino, infatti, tutto ciò che è in relazione con altro tamente e non hanno bisogno di ricordarlo. Sono le anime che
ne subisce l’azione, il sortilegio; solo ciò che è in relazione a se si sono intonate all’intelletto, perché l’anima è ancora sempre
stesso rimane indenne, agoéteuton. Ma ciò significa che ogni in bilico tra sensibile e intellegibile. Il massimo di pensiero si
forma di prassi e tutta la vita dell’uomo «pratico» si svolgo­ accompagna al massimo di interiorità, che è al tempo stesso
no nell’area del sortilegio e si sono talora trascinate verso le il minimo di soggettività e il massimo di oggettività. Alla base
tecniche, che hanno per oggetto la natura, la quale con i suoi di queste considerazioni vi è una concezione dell’io stratificato,
filtri inganna e incatena una cosa all’altra. Agire nel mondo e dove il corpo costituisce un’aggiunta, che non definisce l’io vero
per il mondo fisico significa essere implicati nella molteplici­ e proprio. Anche senza corpo l’uomo è «uomo»; noi siamo di­
tà, dove ogni agire è anche sempre subire. Alla corporeità, al ventati questo «insieme di due». Il corpo vive una vita propria,
mondo fisico, alla molteplicità e alla magia che li percorre non non quella dell’uomo saggio, che opera con la parte migliore
è la prassi a sottrarre, tanto meno le attività tecniche, bensì di sé e risiede nell’ambito degli oggetti intellegibili. Le anime
la theoria, che è propria dell’anima e consente di raggiungere sono dunque «anfibie»: in esse può preponderare la vita di
l’unità e l’indipendenza da altro. Chi esercita la theoria è uno e quaggiù o quella di lassù, la molteplicità ο 1 unità, la prassi o
coincide con il proprio oggetto, ma nulla di ciò che è soltanto la teoria, il senso o l’intelletto, l’esterno e ciò che sta in basso
in relazione a se stesso può subire il sortilegio da altro. Invano o l’interno e ciò che sta in alto. Indenne da sortilegi rimane
Olimpio di Alessandria aveva tentato di attrarre su Plotino soltanto ciò che non è trascinato verso la molteplicità, il corpo,
l’influenza maligna degli astri66. la prassi68. Si tratta dunque di abbandonarli, fuggire e tornare
44 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 45

come Odisseo alla propria patria, ossia al punto in cui il vero per coincidere con l’Uno. Plotino teorizzava come fine ultimo
10 coincide con l’Uno e non è più un uno. Imprendendo una della filosofia la morte della filosofia stessa, il ritorno alla vera
metafora già presente nell’aristotelico Alessandro di Afrodisia, patria dopo tanto vagabondare, una fuga «da solo a solo», alla
Plotino afferma che siamo come raggi di un cerchio convergenti presenza di ciò che è al di là deH’intelletto71. Plotino non aveva
verso un punto che è unico e dal quale dipendono le proprietà più remore a oltrepassare l’ambiente comunitario della scuola,
del cerchio stesso69. Finché si resta immersi nel mondo fisico, che per Platone era stato l’orizzonte della ricerca filosofica,
si rimane alla periferia decentrata, piena di sortilegi. e a recidere lo stesso esile filo della condizione umana, che
Quali conseguenze aveva questa concezione per l’imma­ inevitabilmente aveva ancora segnato il sapiente aristotelico.
gine del filosofo? Secondo Plotino il filosofo, pur essendo Porfirio riferiva di avere raggiunto una volta sola il dio che
nel mondo, è già separato dal mondo, purificato sul piano non ha forma ed è oltre l’intelletto, mentre Plotino l’aveva
intellettuale e morale, e proteso verso il centro del tutto, per raggiunto quattro volte72. D ’altra parte, Plotino non indicava
rendersi simile al dio, come aveva indicato il Teeteto plato­ mezzi al di sopra della filosofia per arrivare a ciò che è sopra
nico. Questo tipo di vita è autosufficiente, non ha bisogno la filosofia, né pensava alla possibilità di un’esperienza mistica
di altro, analogamente a quella del sapiente stoico. Ma muta pre-filosofica. L’unione mistica, quando avveniva, era come
11 presupposto di fondo: in Plotino l’autosufficienza poggia un evento naturale, che non sostituisce, ma corona l’attività
non tanto sullo sforzo e sul dominio del corpo e delle cose filosofica.
esterne e delle loro rappresentazioni, quanto sulla fuga e sul­ A partire da Giamblico, invece, i neoplatonici furono
la separazione da esse e sulla scissione dell’io profondo dal convinti che sopra la filosofia esistessero pratiche e tecniche
corpo. E ridicolo - afferma - pensare che la felicità si estenda cultuali o magiche capaci di condurre a questa assimilazione
all’intero essere vivente: essa riguarda soltanto l’anima e nep­ all’Uno. Mentre Porfirio, soprattutto nella Lettera ad Anebo,
pure tutta. Il fatto è che noi immaginiamo la felicità in base prende le distanze dalle arti teurgiche, continuando a ravvi­
alla nostra debolezza e insufficienza. Ma le altre forme di vita sare nella filosofia la vera tecnica di distacco dal mondo73,
sono incompiute e soltanto immagini di vita. Il sapiente non con Giamblico il passo è definitivamente compiuto e cessa
sarebbe veramente tale se non fosse come diventato «altro»70. la tradizionale ostilità dei filosofi nei confronti della magia. I
In Plotino la gerarchia dei modi di vita non è solo antropo- misteri di Egitto - titolo dato da Marsilio Ficino a questa che
logica, ma assume una dimensione cosmica. La filosofia è la probabilmente è opera di Giamblico - costituiscono un’ac­
realizzazione di quella theorìa che negli altri livelli della realtà curata confutazione di Porfirio a sostegno della teurgia, delle
è presente in gradi più deboli, ma in tal modo essa si presenta preghiere e delle pratiche religiose tradizionali. Per Giamblico il
come un episodio nel processo intemporale della derivazione limite del discorso di Porfirio era appunto di rimanere soltanto
dall’Uno e del ritorno a esso. Il filosofo si trasforma in una delle sul terreno della filosofia. Ma non è l’intelletto ciò che mette
molteplici figure assunte dall’Uno nella sua perenne epifania. in contatto con gli dèi, bensì le pratiche teurgiche, altrimenti
In ultima analisi il vero protagonista è il centro divino a cui anche coloro che esercitano la filosofia - theoretikós - po­
tutto tende, un centro inconscio che si colloca al di là dello trebbero raggiungere l’unificazione con gli dèi. Questa era
stesso intelletto, che è già un moltiplicarsi e sdoppiarsi in ciò invece assicurata dall’esecuzione di azioni ineffabili, che non
che conosce e ciò che è conosciuto. Se il dio di Aristotele possono essere compiute con l’intelletto. Se ciò fosse possibile,
era un dio teoreta, l’Uno di Plotino non è un dio filosofo. Il saremmo noi gli operatori di tale unificazione. Ma in realtà il
linguaggio presuppone molteplicità, parla sempre di ciò che successo o l’insuccesso delle stesse operazioni teurgiche non
è dopo l’Uno. Così la filosofia, se è connessa al linguaggio dipende da noi, tanto più che la stessa filosofia, fin dall’inizio,
e alla dialettica, cessa nel momento in cui raggiunge l’Uno. com’era provato dal caso esemplare di Pitagora, era stata un
Come il corpo deve annullarsi nella memoria perché il vero io dono degli dèi74. In tal modo Giamblico reintroduceva la cau­
diventi integralmente filosofo, così il filosofo deve annullarsi salità e attribuiva agli dèi la volontà che invece Plotino aveva
46 LE METAMORFOSI D EL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 47

escluso dall’Uno. Questi presupposti non sarebbero mutati Platone quella della comunanza delle donne ed Epicuro si era
in Proclo: i veri agenti sono gli dèi e la teurgia è superiore a espresso empiamente sugli dèi77. Da ciò Tertulliano conludeva:
ogni sapienza umana75. La gerarchia che ormai contava agli «In che cosa sono simili il filosofo e il cristiano, i discepoli della
occhi di Proclo era teologica: qui appariva un mondo fitto Grecia e quelli del cielo?», e altrove: «Che cos hanno dunque
di dèi, dèmoni e angeli, dove il filosofo trova la sua sede più in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa 1 Accademia e la
propria e riafferma il suo primato. La catena degli esseri si era Chiesa?»78. Questi atteggiamenti drastici coinvolgevano nella
allungata ben oltre il campo del sensibile, ormai sempre più loro condanna sia la vita, sia le dottrine dei filosofi. Lo stesso
esiguo e marginale. Il segreto del divino, della sua conoscenza punto di partenza dell’indagine filosofica aveva un difetto in­
e dell’assimilazione a esso era nelle mani del filosofo-teurgo. trinseco. I filosofi avevano sovente ravvisato nella meraviglia di
Marino avrebbe tracciato un ritratto della vita di Proclo, scan­ fronte alle cose la molla che spinge a filosofare. Così per Plato­
dita in tutti i suoi momenti significativi dall’intervento degli ne, come per Aristotele. Ma con il crescere del peso assegnato
dèi. Era la vita del più felice tra gli uomini, perché dotato di alla divinità in ogni iniziativa, la meraviglia aveva cominciato
tutte le virtù, da quelle corporee a quelle connesse alle pratiche a trasformarsi anche in ambienti pagani in «curiosità importu­
caldaiche e orfiche sino alle contemplative e alle teurgiche. Il na»79. Per Ireneo di Lione e Tertulliano la curiosità dei filosofi
nobile Rufino, assistendo una volta a una lezione di Proclo, diventava la matrice delle eresie teologiche e l’ignoranza vicina
aveva asserito di averne visto la testa circonfusa di luce76. In a Dio risultava incomparabilmente superiore alla condizione del
una delle sue estreme apparizioni il filosofo pagano assumeva, dotto, ma blasfemo nel porre problemi che non bisogna porre
ma invano, l’aura del santo cristiano. o nel ricercare ciò che non è necessario sapere. «E meglio non
sapere, per volontà di Dio —afferma Tertulliano —ciò che egli
non ha rivelato, che imparare da congetture umane». E altro­
8. La vita cristiana e la fine del filosofo ve: «Noi non abbiamo bisogno di curiosità dopo Cristo né di
indagini dopo il Vangelo». Nel cuore della curiosità filosofica
Esistevano infatti ormai da tempo ben altri tipi di vita capaci si annidano la superbia e il desiderio di gloria nella presun­
di contrapporsi con successo a tutti i modelli di vita filosofica, zione di aver scoperto da soli la verità. Ma «chi può scoprire
anche a quello neoplatonico sempre più strettamente associato al la verità senza Dio?»80. Già nel racconto che negli Atti degli
divino. Solitamente il problema dei rapporti fra cristianesimo e Apostoli si fa della visita di Paolo ad Atene, dove nell’Areo­
filosofia pagana è stato studiato dal punto di vista degli apporti pago si intrattiene con filosofi stoici ed epicurei, si mette in
delle varie filosofie, soprattutto del platonismo, al cristianesi­ rilevo che gli Ateniesi tutti e gli stranieri che visitavano la città
mo, alla costruzione di una teologia cristiana. Sarebbe forse - anche per ascoltare i filosofi, potremmo aggiungere - non
il momento di dedicare qualche attenzione all’altro versante miravano ad altro che a dire e ascoltare cose nuove81. L’unica
della questione, ossia a ciò che significò il cristianesimo per lettera di Paolo in cui ricorre la parola filosofia è la lettera ai
i filosofi antichi. Generalizzando al massimo, si può dire che Colossesi - della cui autenticità a volte si è dubitato - in un
il cristianesimo segnò la fine della figura del filosofo e della contesto polemico, in cui egli esorta i suoi destinatari a non
pretesa di primato avanzata dalla vita filosofica. Fin dagli inizi farsi ingannare da discorsi puramente persuasivi {pithanologia),
i cristiani furono convinti che il vero bios è quello cristiano. a non farsi depredare dalla filosofia e da un vuoto inganno,
Il filosofo pagano non poteva più apparire come modello di secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del cosmo,
vita. Già negli scritti degli apologisti, a partire dalla metà del non secondo Cristo82. La filosofia è dunque una faccenda
II secolo d.C., in Taziano, in Teofilo di Antiochia o Tertulliano puramente umana, apportatrice di inganno grazie al potere
si sottolineano l’arroganza, rimpudicizia, la slealtà dei filosofi persuasivo dei suoi discorsi fallaci, che legano al mondo e ai
pagani. Teofilo ricorda che nei loro libri gli stoici Zenone, Cle­ suoi elementi. Nella Lettera ai Romani egli si pronuncia contro
ante e Crisippo avevano insegnato la liceità dell’antropofagia, coloro che non riconobbero Dio, pur manifestandosi egli nelle
48 LE METAMORFOSI D EL FILOSOFO LF. METAMORFOSI DEL FILOSOFO 49

cose del cosmo da lui prodotte, le quali mostrano la sua potenza baro, giudeo, greco, maschio, femmina sono termini che non
e divinità: costoro, dicendosi sophói, furono così resi stolti e valgono più». Siamo di fronte a un uomo nuovo, trasformato
servirono le creature, anziché il fondatore di esse. Costitutivo dallo Spirito Santo. Clemente poteva definire il cristianesimo
di questa loro sapienza puramente umana è il dialogismós, il come un nuovo bios, una nuova diaita, concessa in dono da
procedere argomentativamente, che li porta a disconoscere la Dio e rivelata all’uomo tramite il Verbo84. Questa nuova vita
vera natura di Dio e a forme di antropomorfismo e addirittura si poneva all’insegna di un nuovo maestro, il dio didàskalos,
di teriomorfismo, ed è chiaro che questa presunta sapienza che già nella cultura ebraico-alessandrina aveva pervaso le
umana non può che essere in contrasto con la vera sapienza pagine di Filone nella prima metà del I secolo d.C.85 I filosofi
del divino: unico sophós, dice Paolo, è Dio83. Questa contrap­ pagani avevano sovente descritto l’attività del dio in termini
posizione non può non richiamare la distinzione platonica tra di sapienza e provvidenza, ma non le avevano assegnato in
il dio, unico sophós, e il filosofo che aspira alla sapienza e la maniera così rilevante la dimensione dell’insegnamento. Con
tradizione aneddotica che assegna a Pitagora l’invenzione del il cristianesimo ciò assume invece ampia estensione. Anche
termine filosofo proprio per distinguere questa figura umana in Clemente, pur così disponibile verso la cultura filosofica,
dal dio unico sapiente. Ma la cosa interessante è che tale di­ Dio appare maestro totale di dottrina e di vita. Gli «scolari
stinzione è utilizzata da Paolo per creare non un legame tra di Dio» non hanno bisogno di rivolgersi a scuole umane, dal
il filosofo e il dio, bensì un’opposizione tra sapienza divina e momento che grazie al Verbo l’universo è diventato un Atene
falsa sapienza umana. e una Grecia86. Le stesse Confessioni di Agostino sarebbero
A partire dal II secolo d.C., in altri contesti culturali e so­ apparse per un certo verso come l’itinerario di scoperta e di
ciali, soprattutto in Oriente, nel momento in cui si rivolgevano abbandono dello scolaro Agostino, inquieto, malato e pecca­
anche a un pubblico colto, per il quale la filosofia era una realtà tore, nelle braccia del Dio maestro, terapeuta e illuminatore87.
più familiare e più apprezzabile che non in Occidente, gli scrit­ Nel dialogo Sul maestro, richiamandosi a san Paolo che aveva
tori cristiani davano il via a una sottile distinzione, gravida di identificato Cristo con la verità che abita nell’«uomo interiore»,
conseguenze, tra il btos filosofico e le sue dimensioni dottrinali. egli chiama espressamente Dio l’unico vero maestro di tutti88.
In questi casi lo stesso btos filosofico - nel quale si era disposti Ciò non impediva che anche in ambiente cristiano alcune co­
a riconoscere la vetta più alta raggiunta dal paganesimo - poteva munità si dotassero - in analogia con le scuole filosofiche - di
essere accolto per determinati suoi aspetti morali e intellettuali un didaskaléion, una scuola, il cui obiettivo era la catechesi,
come compatibile con il cristianesimo, e gli stessi termini filosofo ossia la trasmissione della dottrina cristiana anche attraverso
e filosofia potevano essere impiegati per designare la nuova la lettura e il commento dei testi biblici.
realtà cristiana, la «nostra filosofia», per esempio in Giustino I filosofi però non erano modelli di vita neppure quando
o Clemente di Alessandria sino a Giovanni Crisostomo. Ma avevano enunciato dottrine compatibili con il cristianesimo.
ciò significava al tempo stesso che la vera filosofia, la filosofia Anche quelli che avevano concepito la verità su Dio, non ave­
globale, era impossibile fuori del cristianesimo. La ricerca di vano assunto una condotta religiosa conforme a essa - com’era
stabilità in un mondo sempre più precario poteva ormai essere avvenuto allo stesso Platone - e avevano continuato a venerare
soddisfatta, secondo Clemente, soltanto in un luogo dove non le divinità pagane, e pertanto subivano, secondo Origene, il
esistono ladri o predoni, ma solo «l’inesauribile donatore di castigo dei peccatori. Agostino avrebbe affermato che Seneca,
ogni bene». Il modello del sapiente stoico che cerca in se stesso essendo un illustre senatore romano, aveva continuato ad attri­
le garanzie di stabilità e di sicurezza era nettamente rifiutato: buire un culto a ciò che biasimava, ma proprio per questo era
il soddisfacimento dei bisogni di protezione era ritrovato in più condannabile, perché compiva riti in cui non credeva, ma
Dio e nei suoi santi e martiri, mediatori tra Dio e gli uomini. in modo che il popolo credesse che egli li eseguiva convinto
A più riprese Clemente sottolinea la novità e la globalità del della loro verità89. Ciò introduceva nella figura del filosofo
messaggio cristiano: «l’intero Cristo non si può dividere: bar­ antico una netta separazione fra il piano della teoria e quello
50 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 51

della prassi. Già Seneca, Epitteto e altri avevano constatato che per tendere all’imitazione di Dio si allontana dalle faccende
con preoccupazione la discrepanza crescente tra rinsegnamento della città. Ma secondo Teodoreto questa figura non aveva
filosofico e le sue applicazioni nella vita, ma non per sostenere mai trovato realizzazione presso i pagani, neppure in Socrate
la necessità di un abbandono del bios filosofico, bensì per che aveva invece discusso in ginnasi e botteghe, combattuto
invitare a ripristinarlo nella sua totalità. Ora invece diventava in guerra, partecipato a banchetti e spettacoli teatrali. Ma se
possibile teorizzare l’abbandono della vita filosofica nella sua non in Socrate, in nessun altro. Teodoreto scorgeva ormai
autonomia e, insieme, la conservazione di alcuni suoi elementi nel ritratto platonico del filosofo la prefigurazione di nuovi
dottrinali, nei casi in cui coincidevano con la tradizione delle personaggi, degli innamorati della filosofia evangelica, i quali
Scritture, come vedremo in seguito. Ciò significava accettare non per vanagloria, ma per il bene in sé si ritirano lontano dai
proprio quella dissociazione che per i filosofi era stata depreca­ tumulti, sui monti o nel deserto, a contemplare, senza donne,
bile e abbandonare quella dimensione che essi avevano inteso bambini, ricchezze91. Il monaco eremita diventava il vero erede
ripristinare. A ciò si aggiungeva il fatto che il cristiano a un del filosofo puramente ideale del Teeteto platonico.
certo punto sarebbe arrivato a considerare vera vita solo quella
dopo la morte. La vita dei mortali, avrebbe detto Agostino,
deve essere chiamata più morte che vita. Il sommo bene è la
vita eterna, nella quale non si nasce né si muore, mentre la Note al capitolo primo
vita di quaggiù è soltanto un pellegrinaggio fuori dalla vera
patria, che è quella celeste. Ciò si collega alla dottrina della 1 Cfr. Eraclito ir. 35, 40, 129 e, per il tema della profondità, fr. 45,
resurrezione, che porta a una rivalutazione del corpo, sia contro 101, 116.
l’ascetismo di ascendenza platonica, che tra l’altro non si ren­ 2 Diogene Laerzio I 12; Cicerone, Tusculane V, 3, 8.
deva conto dello iato esistente tra Dio e l’uomo peccatore, sia 3 Erodoto I, 30, 2 e IV, 95, 2; Tucidide II, 40, 1.
contro 1 apàthcia stoica, che celava in sé la superbia di volersi 4 Cfr. lo scritto ippocratico Antica medicina 20, dove il termine filosofia
rendere felici da sé, anche in mezzo ai mali fisici. Ma godere compare per qualificare negativamente un tipo di discorsi, esemplificati
di una vita beata quaggiù è impossibile: qui, per Agostino, da Empedocle, i quali pretendono di fare asserzioni generali su che cosa
la vita è sempre intrisa di debolezze, infelicità e sofferenze. sia l’uomo e da quali elementi si sia formato.
Nell’orizzonte di questa nuova temporalità la vita terrena può 5 Platone, Repubblica 600 a-b.
essere soltanto attesa, speranza e preparazione nella carità alla 6 Aristotele, Retorica I I 24,1042 a 23-25. Anche il poeta comico Eupoli
vera vita. Il problema tradizionale dei tre modi di vita - con­ fr. 353 K. chiama Socrate sofista.
templativa, attiva e mista —perdeva allora quella rilevanza che 7 Così faceva anche Androzione (FGrHist. 321 F 69).
aveva avuto nei dibattiti filosofici. Alla città di Dio non importa 8 Senofonte, Memorabili I, 6, 2-10; cfr. anche II, 1.
il tipo di vita con cui ciascuno pratica la fede. Ciascuno, salva 9 Ibidem IV, 7, 3-5; Platone, Fedone 96 a - 100 a; Isocrate, Antidosis
fide, può scegliere il modo che preferisce. Il filosofo, una volta 261-269; Panatenaico 26-30.
divenuto cristiano, non è costretto ad abbandonare l’attività 10 Platone, Protagora 312 b ss.; Sofista 224 b.
contemplativa e gli studi assegnati tradizionalmente alla filo­ 11 Platone, Repubblica 537 b-c.
sofia, anche se è invitato a contemperarli con il beneficare il 12 Platone, Teeteto 173 c-177 b.
prossimo90. Ma esisteva ormai anche un modo della vita cri­ 13 Platone, Sofista 226 d, 230 c-d; cfr. Simposio 204 a-b.
stiana che in alcuni ambienti poteva apparire la trasposizione, 14 Platone, Repubblica 538 c ss.
sul piano divino, di quella vita contemplativa, che nel mondo 15 Platone, Apologia di Socrate 38 a.
pagano era stata prerogativa di alcuni indirizzi filosofici. Nel 16 Platone, Fedro 230 d.
V secolo Teodoreto, vescovo di Cirro, un luogo sperduto a 17 Ibidem 275 d; Simposio 175 d; Repubblica 518 b-c.
oriente di Antiochia, lodava il ritratto platonico del filosofo, 18 Platone, Fedone 66 b-c, 83 d-e.
52 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO 53

19 Platone, Simposio 209 c. 48 Sesto Empirico, Contro i dogmatici VII 158, 166-184, 435 ss.; V ili
20 Diogene Laerzio II 71 e 79. 51 ss.; Cicerone, Lucullo 99-101.
21 Cfr. Cicerone, Tusculane V 24 e, per Epicuro, Diogene Laerzio X 118. 49 Sesto Empirico, Contro i dogmatici VII 30; IX 49; Lineamenti pirro-
22 Aristotele, Le parti degli animali I 5. niani I 19-23, 226-227. Cfr. anche Diogene Laerzio IX 102-104.
23 Aristotele, Protrettico fr. 14 e 15. 50 Sesto Empirico, Contro i dogmatici V ili 157-158, XI 118, 133, 135,
140, 147, 165, 171; Lineamenti pirroniani I 8-10, III 280-281, nonché
24 Aristotele, Metafisica I 1, 981 b 13-25.
Diogene Laerzio IX 107.
25 Aristotele, Topici III 2, 118 a 6-15. 51 Cicerone, Tusculane II 11-12; I termini estremi del bene e del male
26 Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea VI 7; VII 12, 1152 b 35 -1153 a 2· II 81.
X 7-8; Metafisica I 2. 52 I passi sono innumerevoli: cfr. per esempio Sulla provvidenza I I 1-4; Epi­
27 Aristotele, Metafisica IV 2, 1004 b 22-26. stole a Lucilio 37, 2; 51, 6-9; 99, 7-8; 64, 5; 96, 5 («vivere militare est»).
28 Aristotele, Topici V ili 1, 155 b 7-16; V ili 14, 163 b 9-16 e V ili 53 Seneca, Epistole a Lucilio 20, 2; 52, 8-15; 106, 11-12; 108, 4-6, 23,
36.
29 Aristotele, Etica Nicomachea VI 3, 1139 b 25-32. 54 Epitteto, Oiatribe II p. 7, 3-8; IV p. 19, 13-14.
30 Ibidem V ili 1 e 5; IX 9 e 12. Per il tema della meraviglia cfr. Platone, 53 Anche su questo punto i passi sono innumerevoli: cfr. Seneca, Epistole
Teeteto 155 d; Aristotele, Metafisica I 2, 982 b 12-21 e 983 a 12-21; Sulle a Lucilio 9, 16; 10; 65, 16-22; 74 ecc.
parti degli animali I 5, 645 a 17-19; Sulla generazione degli animali IV 4, 56 Epitteto, Oiatribe I, 26, 3-9; II, 11, 24-25; II, 16, 34; III, 21, 1-22;
771 b 26-27.
III, 23, 30-32.
31 Aristotele, Etica Nicomachea X 7, soprattutto 1177 a 3 2 -b 1.
37 Fr. X Schenkl.
32 Cfr. Dicearco fr. 49 Wehrli e, per il primato della vita attiva, fr. 25. 38 Epitteto, Oiatribe I, 1, 7-8; I, 18, 17-18; I, 20, 5-9; I, 22, 1-10; II,
33 Cfr. Epicuro, Epistola a Meneceo 130-132 e fr. 465-466 Usener. 11, 7-8; II, 17, 7-9.
34 Epicuro, Epistola a Pitocle 87, 94-95. 39 Marco Aurelio, A se stesso I 7.
35 Cfr. per esempio Lucrezio, La natura delle cose II 59-61. 60 Ibidem 3.3; 3.5; 4.22; 4.43; 4.48; 5.23; 7.49; 8.25; 8.31; 9.30.
36 Epicuro, Epistola a Meneceo 132 e 135; Epistola a Pitocle 85. 61 Ibidem 6.46; 7.1.
37 Massime capitali 28. 62 Ibidem 10.36; cfr. anche 2.1; 2.5; 3.4; 4.18; 5.10; 5.28.
38 SVF I 52-54, III 548-581. Per la stabilità degli atti compiuti secondo 63 Ibidem 2.13; 2.17; 5.27; 7.59.
virtù un precedente è in Aristotele, Etica Nicomachea I 10, 1100 b 12-22.
64 Ibidem 3.5; 4.3.
Seneca, Epistole a Lucilio 79, 8; 59, 16; 75, 8 ss., dove ammette però 63 Porfirio, Vita di Plotino 1, 1-2. Di conseguenza Plotino rifiutava di
la possibilità di un progresso morale, come forse aveva già fatto Panezio. farsi ritrarre (ibidem 1, 4-9). Per l’episodio del tentato suicidio di Porfirio
Crisippo, a sua volta, riteneva che la virtù potesse essere persa per cause
esterne, come malattia o ubriachezza (Diogene Laerzio VII 127). ibidem 11, 11-19.
40 Diogene Laerzio VII 47-48. 66 Ibidem 10, 1 ss.; Plotino, Enneadi IV, 4, 229-233.
41 SVF III 245-254. 67 Plotino, Enneadi III 8.
88 ìbidem III, 4, 19; IV, 3, 162-163; IV, 4, 27 e 59; IV, 8, 24 e 39-40; V,
Seneca, Epistole a Lucilio 42, 1; Cicerone, Sulla divinazione II 61;
Plutarco, Gli stoici dicono cose più assurde dei poeti I p. 1057 DE, e Sulle 2, 6 e 12; V, 3, 23, 52 e 68 ss.; VI, 4, 110-113; VI, 7, 45.
nozioni comuni secondo gli stoici 24 p. 1070 BC, 33 p. 1076 AB; Sesto 69 Ibidem I, 7, 6; V, 1, 69; VI, 8, 160-161.
Empirico, Contro i dogmatici VII 432-435. 70 Ibidem I, 2, 35; I, 4.
43 Cicerone, Lucullo 66-67. 71 Ibidem VI, 7, 284 ss.; VI, 9, 18-24.
44 Sesto Empirico, Contro i dogmatici VII 154-157; cfr anche VII 409- 72 Porfirio, Vita di Plotino 23, 7-8.
410, 416.
73 Cfr. anche Porfirio, Sull’astinenza II 52, e Agostino, La città di Dio
Ibidem V ili 480-481 e VII 440-444 e Diogene Laerzio IX 76. X 9 e 11.
46 Cicerone, Lucullo 8-9, 60, 117; Tusculane IV 7, IV 47. 74 Giamblico, I misteri di Egitto II 11, e Vita pitagorica I l e XXI 95 ss.
47 Diogene Laerzio IX 62. 75 Proclo, Teologia platonica I 1 e I 26.
54 LE METAMORFOSI DEL FILOSOFO
Capitolo secondo

76 Marino, Proclo o della felicità 23. I filosofi nelle città e nell’impero


77 Taziano, Contro i Greci II-III; Contro Autolico II 5-6; Tertulliano,
Apologetico 39, 12-13; 46, 10-16, e Minucio Felice, Ottavio 38.
78 Tertulliano, Apologetico 46, 18; La prescrizione degli eretici III 6,
VII 9. Una fonte di questa opposizione è san Paolo, Seconda lettera ai
Corinzi 6, 14-16.
79 Per il nuovo atteggiamento verso la «curiosità» cfr. lo scritto del
Corpus hermeticum, Asclepio 14.
80 Ireneo, Contro le eresie II, 26, 1-3; Tertulliano, Apologetico 47, 3-4;
Sull’anima I 4, I 6, II 3; La prescrizione degli eretici VII 12, XIV 3-5. Cfr!
anche Agostino, Confessioni X 35.
81 Atti degli Apostoli 17, 21. 1. Sapienti e sofisti. Vita politica e credenze comuni
82 Lettera ai Colossesi 2, 4 e 8; 8, 20-22. Cfr. anche Lettera agli Ebrei
13, 9. L'affermazione del primato della vita filosofica si è quasi
88 Lettera ai Romani 1, 18-27. Cfr. anche Prima lettera ai Corinzi 1 sempre accompagnata, nei filosofi antichi, all opposizione nei
22-30.
confronti dei modi di vivere, delle credenze e delle tradizioni
84 Clemente, Protrettico X 105, XI 112, XII 122; Pedagogo I, 1, 1-2; I che guidano la maggior parte degli uomini. Ctò non significa
26, 1, I, 54, L I, 98, 3; I, 99, 1; I, 100, 3; II, 1, 1; II, 14, 3; Stromati V,
98, 5-8. Non è difficile rintracciare affermazioni simili anche in Origene: che i filosofi respingessero o fossero insensibili all approvazione
cfr. per esempio Commento al Vangelo di San Giovanni II, 16, 115· II 17 del gruppo sociale nel quale operavano, ma che più sottilmente
118; Contro Celso VII 7 e 53. essi aspiravano a una forma di riconoscimento proprio nel
85 Cfr. per esempio Filone, Chi sia l’erede delle cose divine 19, 27, 67. proporsi come modelli alternativi di vita eccezionale. La tra­
86 Clemente, Protrettico I 7, XI 112-113; Stromati I 20; II, 16, 2; II, 24, dizione biografica e aneddotica ha lasciato varie notizie sulla
3 ecc. Cfr. anche Origene, Commento al Vangelo di Giovannil25, 163-166· partecipazione dei cosiddetti «presocratici» alla vita politica
I, 29, 201; II, 15, 109.
delle loro città; Talete aveva consigliato la costituzione di una
87 Cfr. anche Agostino, Sul maestro 45-46; La città di Dio XI 25. federazione tra gli Ioni dell’Asia minore; Parmenide aveva dato
88 Agostino, Sul maestro 39. leggi ai suoi concittadini di Elea; ad Agrigento Empedocle,
89 Origene, Contro Celso VI 3-4, VII 47; Agostino, La città di Dio VI 10. secondo Timeo, era stato un leader democratico; Melisso di
90 Agostino, La città di Dio V ili 10, XIV 5-9, XIX 4 ss. Samo, seguace di Parmenide, era stato stratega nella sua città,
91 Teodoreto, Terapia dei morbi pagani XI 9 ss., XII 19 SS. sconfìggendo gli Ateniesi in una battaglia navale nel 441 a.C.
Accanto a notizie di questo genere ne possediamo altre che
presentano altri personaggi che, al contrario, si ritirano dalla vita
politica o in polemica con i loro concittadini - come Eraclito,
che aveva rifiutato di dare leggi agli Efesini ormai dominati
da una costituzione che egli non approvava e, preferendo la
compagnia dei bambini, si era ritirato nel tempio di Artemide
a Efeso - oppure per perseguire più liberamente la propria
attività intellettuale, come Democrito o Anassagora, che a
questo scopo aveva addirittura abbandonato la propria città
per stabilirsi ad Atene1. Si tratta di notizie suggestive, ma che
hanno lo svantaggio di non consentire un controllo adeguato
della loro attendibilità, anche perché sappiamo che molte di esse
circolavano e forse avevano origine assai più tarda in dibattiti
56 I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL’IMPERO 1 FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 57

interni all’Accademia e al Liceo, come pezze d ’appoggio per non assomigliare agli altri. Lo stesso proliferare di molteplici
sostenere il primato della vita teoretica o di quella politica. Nel modelli esplicativi del cosmo, con pochi principi e un alto
caso poi dell’attività politica di questi antichi sapienti ignoriamo grado di immaginazione, non è del tutto estraneo a questo
non soltanto se essa aveva carattere saltuario o continuativo, modo di concepire la propria attività. Per Parmenide i mortali
ma soprattutto se già esistessero precise linee di demarcazione restano intrappolati nelle catene erronee dell’opinione e del
fra l’essere cittadino e l’essere sapiente, e se la politica fosse linguaggio contraddittorio della quotidianità, e si collocano
già concepita come campo di applicazione di teoremi elaborati quindi a un’irrimediabile distanza rispetto alla vita percorsa
da una sapienza autonomamente caratterizzata. dal sapiente in virtù di una rivelazione diretta da parte di una
Le uniche testimonianze su un’attività politica sistematica divinità. In Eraclito questo atteggiamento assume una coloritura
di un gruppo di «filosofi» riguardano la comunità pitagorica, più esplicitamente politica, come nell’affermazione che «uno
una vera e propria oligarchia al potere a Crotone, dopo la è migliore di diecimila, se è àristos»\ L’accentuazione della
vittoria contro Sibari nel 510 a.C., sino alla metà del V secolo dimensione pubblica del loro insegnamento era forse ciò che
a.C., quando i suoi avversari incendiarono l’edificio in cui essa avrebbe distinto maggiormente i sofisti da queste figure di
si riuniva e ne costrinsero i membri a lasciare la città. Che la sapienti. Un segno tangibile del mutamento era che i sofisti si
connessione tra sapienza e politica fosse una costante della facevano pagare le loro prestazioni, attribuendo una dimensione
tradizione pitagorica è provato dal fatto che, ancora ai tempi professionale e tecnica alla propria attività. Il loro obiettivo
di Platone, il pitagorico Archita sarebbe stato stratega a Ta­ primario era non tanto di formare altri sofisti e quindi anche
ranto fra il 367 e il 360 a.C., e sarebbe intervenuto a strappare concorrenti potenziali, quanto fornire strumenti linguistici e
Platone stesso dalle mani di Dionisio, tiranno di Siracusa2. retorici a cittadini che rimanevano e intendevano rimanere
L’impressione dominante è comunque che gli antichi sapienti sempre meglio nei loro ruoli all’interno della comunità. Non si
non fossero ai margini delle città in cui operavano. Nella tra­ trattava dunque di trasmettere un sapere inaccessibile ai più, ma
dizione si sarebbe formata l’immagine di un gruppo di sette di mettere a disposizione di un pubblico di condizione agiata
sapienti, che includeva lo stesso Talete e l’ateniese Solone, al gli strumenti che consentivano di far valere le proprie opinioni
quale venivano attribuite massime di saggezza etica e politica. nei consessi pubblici, giudiziari e politici. D altra parte, proprio
L isomorfismo tra città e universo, che attraversa le costruzioni con alcuni sofisti si consumava la frattura radicale, già presente
cosmologiche di questi primi pensatori, è forse segno dei loro per esempio in Senofane, rispetto alle credenze religiose dei
legami con il mondo della pòlis. Se si isolavano dalla città, lo più, soprattutto con Protagora che enunciava rimpossibilità
facevano a volte perché costretti ad andarsene a causa della di pervenire alla conoscenza degli dèi, e con Prodico e Crizia,
tirannide dominante nella loro patria, come avveniva a Seno­ che ravvisavano negli dèi o la divinizzazione di entità benefiche
fane di Colofone e allo stesso Pitagora, originario di Samo. per gli uomini o l’invenzione di uomini astuti per esercitare
La vera eccezione è costituita da Anassagora, che non sembra un controllo sulle azioni umane. Ma è difficile che queste
avesse avuto moventi di questo genere per abbandonare la sua posizioni radicali trovassero grande diffusione; nonostante
città, Clazomene, ma soltanto l’esigenza di dedicarsi ai propri tutto l’età dei sofisti non fu un’epoca di illuminismo. I più
studi, cosa che verosimilmente riteneva di poter perseguire continuarono a vivere con le loro credenze né si convertirono
meglio soggiornando in maniera permanente ad Atene. Ed alla spregiudicatezza di alcuni sofisti, come in seguito non si
era un’eccezione anche rispetto ai suoi contemporanei sofisti, sarebbero convertiti alla filosofia.
che andavano invece itinerando di città in città a fornire le Il problema dei rapporti della filosofia con la politica può
loro prestazioni. essere posto più adeguatamente nel momento in cui la figura
Anche rimanendo all’interno delle città d ’origine, gli antichi del filosofo comincia ad assumere contorni più definiti. Questo
sapienti rivendicarono generalmente la loro eccezionalità. Al ha luogo a partire dal IV secolo a.C. e trova il suo riferimento
di là della varietà delle posizioni, l’elemento importante era cruciale in un evento traumatico, quale fu la condanna e la
58 I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 59

morte di Socrate nel 399. Con esso veniva drammaticamente 2. Socrate, Platone e le ambivalenze della politica
alla ribalta la questione del rapporto del filosofo con la pòlis e
nasceva l’alternativa tra l’uscita dalla propria città o il restarne La vocazione al potere era stata invece il nocciolo delle
all interno. La tentazione più forte, almeno nei primi momenti, conclusioni che Platone aveva tratto dalla morte di Socrate.
dovette essere il distacco dalla politica. La tradizione aneddotica Nel Simposio Platone faceva affermare ad Alcibiade che So­
presenta uno dei discepoli di Socrate, Aristippo, come un tipi­ crate non assomigliava a nessuno degli uomini del passato e
co filosofo di corte, a cui rinfacciare i rapporti con un tiranno del presente. Fin dall 'Apologià uno dei tratti tipici di questa
come Dionisio di Siracusa. Ma al tempo stesso gli era attribuita eccezionalità di Socrate era il suo essere marginale rispetto
1 affermazione che i filosofi sarebbero vissuti ugualmente, anche alla politica. Talora ciò veniva configurato da Platone come
se tutti i nómoi, ossia l’insieme delle consuetudini e delle leggi estraneità alla vita pubblica, nei modi in cui era praticata ad
sulle quali poggia la vita delle città, fossero stati distrutti. Certo Atene, o come sua incapacità nel districarsi in essa senza correre
questa affermazione di Aristippo era un topos impiegato per sot­ pericoli, sia sotto governi democratici, sia sotto la tirannide
tolineare 1 indipendenza del filosofo, ma forse descriveva anche dei Trenta. Nel Gorgia Socrate dichiara espressamente di non
l’atteggiamento di vari socratici. Infatti non molto dissimile è essere un politico: quand’era stato pritane nel Consiglio della
un affermazione attribuita a un altro discepolo di Socrate, An- città, non aveva neppure saputo far votare. D altra parte egli
tistene: il sapiente deve vivere non secondo i nómoi stabiliti, ma non aveva mai tramato congiure o partecipato a consorterie e
secondo quelli della virtù. Di qui si sarebbe sviluppata l’autarchia a conflitti politici o sociali. Con queste affermazioni Platone
cinica - attraverso un recupero della distinzione già sofistica tra già rispondeva alle accuse che verso il 384 in un suo libello il
natura e nómoi- la quale avrebbe condotto a un drastico rifiuto sofista Policrate avrebbe mosso a Socrate, soprattutto sui suoi
delle convenzioni e dei tabù sessuali e alimentari, oltre che di rapporti con antidemocratici come Crizia, uno dei Trenta, o
valori correnti come la ricchezza, il prestigio, la gloria. Il sapiente personaggi sospetti alla democrazia come Alcibiade. Nel Tee-
cinico, che trovò la raffigurazione più icastica in Diogene, si teto queste linee del ritratto di Socrate sarebbero state estese
sarebbe mosso tra Yépater esibizionistico e l’alternativa, nella a raffigurare il filosofo in generale, che ignora la strada che
pratica quotidiana, alla vita del cittadino integrato nella pòlis, conduce all 'agorà e alla sede del tribunale e del consiglio e
cercando piuttosto i propri modelli nella natura, nel mondo appare ridicolo perché inesperto delle cose della città. Il fatto
animale e nel comportamento dei bambini non ancora corrotti è che il vero spazio del filosofo non è la città: «Il suo corpo
dai falsi bisogni indotti dalla vita associata. La massima libertà si sta e risiede nella pòlis, mentre il suo pensiero, considerando
realizzava per Diogene nella massima distanza rispetto ai modelli tutto ciò cosa da poco, anzi nulla, disdegnandolo se ne vola
correnti di vita e ai quadri istituzionali che li sorreggevano, per via»5. Tuttavia, nonostante il suo estraniarsi dalla vita politica,
porsi deliberatamente in una situazione che era, al tempo stesso, Socrate è processato e condannato con l’accusa di aver in­
di eccezionalità e di marginalità. Il cinico poteva essere una trodotto divinità nuove nella città e di corrompere i giovani.
figura fastidiosa o anche rivoltante, poteva essere considerato Nonostante tutto Socrate —stando al racconto di Platone nel
un pazzo, un mendicante per scelta propria che raccatta resti Critone - accetta questa condanna, rifiutando di fuggire come
di verdure al mercato e a cui lanciare ossa come a un cane, ma vorrebbe il suo discepolo Critone, in quanto, trascorrendo la
non doveva essere considerato politicamente pericoloso, perché sua vita quasi esclusivamente in Atene e conformandosi alle
non pretendeva di porsi al centro o al vertice della città, né sue leggi, egli ha di fatto contratto un patto con le leggi della
cercava forme alternative di organizzazione politica. La libertà città. . c
di parola, la parrhesia, che negli aneddoti sui suoi rapporti con Il rovescio della medaglia rispetto all’estraneità del filosofo
Alessandro il Macedone Diogene rivendicava, era quella di alla politica è costituito dall’incapacità delle città storicamente
parlare francamente anche ai potenti, non il diritto politico di esistenti di produrre deliberatamente filosofi. I canali tradi­
esprimersi in organismi politici e istituzionali4. zionali della politica ateniese, come l’assemblea e il consiglio,
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o i tribunali, composti da cittadini sorteggiati giornalmente, essere accettata solo nei limiti della paidéia giovanile, non certo
erano la sede di discorsi lunghi, che non rendevano possibile come un ingrediente costitutivo della politica. Nei dialoghi
l’esercizio della dialettica, ossia della tecnica filosofica per platonici, invece, Socrate è presentato di volta in volta come
eccellenza, incentrata sullo scambio di domande e risposte. un giovane, un adulto e un anziano alla vigilia della morte, che
La politica stessa non era stata ad Atene una tecnica capace continua però sempre a desiderare di apprendere. E anche i
di autoriprodursi. Platone imputava anche ai politici ateniesi suoi interlocutori sono di volta in volta giovani o anziani, come
più illustri, a Pericle stesso, di non aver saputo rendere buoni il fedele discepolo Critone. L’attività di Socrate viene quindi
politici i propri figli. A maggior ragione si poteva concludere descritta come una sorta di paidéia permanente per tutte le
che la città non era finalizzata alla riproduzione dei filosofi, età. A un’Atene scuola di democrazia e di giustizia Platone
che apparivano sempre come figure di eccezione. Il dramma di opponeva la tesi radicale che gli stessi cittadini ateniesi, ben
Socrate era stato di esercitare una sorta di politica alternativa, lungi dall’essere educatori, dovevano essere educati a prendersi
coincidente con la trasformazione educativa dei singoli, nella cura della propria anima. La trasposizione del modello della
stessa città di Atene. Nella Repubblica Platone costruisce un’in­ dietetica medica dal corpo all’anima consentiva a Platone di
teressante fenomenologia di come in questa situazione storica concepire la filosofia come una tecnica educativa di preven­
si potesse diventare filosofi. Tutti questi modi implicano una zione e terapia indispensabile a ogni età. L unica eccezione era
sottrazione attraverso canali diversi - l’esilio, la malattia o la costituita dall’età infantile, generalmente considerata dai filosofi
ristrettezza dello spazio politico o professionale - all’esercizio antichi come un’età incompiuta, caratterizzata dall’assenza di
effettivo della politica nelle città6. Abbiamo tuttavia una pre­ ragione e all’inizio anche di parola. A conclusione dell Etica
ziosa testimonianza sul modo in cui la filosofia poteva essere Nicomachea Aristotele asserisce perentoriamente, esprimendo il
reintrodotta e tollerata nella pòlis. Oggi, dice Platone, alla punto di vista di gran lunga più diffuso, che «nessuno sceglie­
filosofia si dedicano i ragazzi, che se ne allontanano prima di rebbe di vivere per tutta la vita con la ragione (diànoia) di un
essersi avvicinati alla sua parte più difficile, e da vecchi non si bambino». Eppure proprio a una posizione di questo genere
riaccendono più per essa. Questa descrizione di uno stato di sembravano approdare le punte più radicali del cinismo, che
fatto richiama alcune considerazioni svolte nel Gorgia da uno auspicavano una deliberata regressione all infanzia, parallela
dei protagonisti, Callide, il quale ammette la filosofia come a un ritorno dalla cultura alla natura. I concetti di innocenza,
ingrediente della paidéia giovanile, ma ritiene un adulto che spontaneità e semplicità del bambino non sembrano diffusi
filosofa un uomo che viene meno alla sua funzione di uomo tra gli antichi. Né lo era l’idea che si potesse diventare buoni
e di cittadino, fugge il centro della città e Yagorà e sta fermo ritornando bambini. Alcuni aneddoti su Diogene il cinico, che
in un angolo, come Socrate, a bisbigliare con tre o quattro dall’esempio di bambini che bevevano nel cavo delle mani
ragazzi, nulla che sia degno di un uomo libero7. Il discorso o, rotto il piatto, ponevano lenticchie nel pane era indotto
di Callide, attraverso la metafora periferia-centro, esprime a buttar via e fare a meno di ciotole e recipienti8, riflettono
nel modo più chiaro la marginalità della filosofia nel modo in un’inversione rispetto a questo punto di vista, un ritorno alle
cui era praticata da Socrate, quella marginalità che con altre sole funzioni essenziali determinate dalla natura. Non a caso
tecniche era già stata messa in ridicolo dai poeti comici sulla nel cinismo, accanto al bambino, erano gli animali a costituirsi
scena. Nelle Nuvole Aristofane rappresentava Socrate nel chiuso come modello per diventare veri uomini.
di un phrontistérion, un pensatoio, attorniato da pochi iniziati. Per Platone la marginalità della filosofia rispetto alla pòlis
Forse Callide è una finzione letteraria, ma non c’è ragione di storica era, al tempo stesso, il segno della sua massima politi­
dubitare che il suo ritratto del filosofo, identificato con So­ cità. E Apologia individua come ambito dell’attività di Socrate
crate, riflettesse un atteggiamento diffuso nei confronti della il privato. Ma il privato, se era l’antitesi rispetto all esercizio
filosofia. Anche nei ceti più elevati, in linea di principio non della politica ad Atene, non lo era rispetto a un significato
ostili verso attività non manuali né lucrative, la filosofia poteva più radicale di politica. Socrate compendiava la sua missione
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nel tentativo di persuadere i singoli cittadini a prendersi cura, da Platone come paradossale. Tuttavia egli affermava che la
prima che delle cose della città, della città stessa, ossia di se prassi del filosofo deve sempre essere in rapporto alla vera
stessi, i veri costituenti della città, per diventare i migliori e pòlis, a prescindere dalla sua realizzazione empirica. Nella
più saggi possibile. Egli era come un tafano che stimola quel vera città sarebbe spettato a essa il compito di generare
pigro cavallo che è la città alla cura della propria anima. Su sempre nuovi filosofi e da ciò sarebbe derivata la richiesta
questa base egli poteva essere presentato paradossalmente legittima dei loro servizi, costringendoli a scendere a turno
da Platone come «l’unico tra i contemporanei a dedicarsi alla nella caverna in cui restava rinchiusa la comunità cittadina.
vera tecnica politica». Ciò presupponeva un nuovo concetto Occorreva una costrizione, perché il bios filosofico possiede
di politica come terapia dell’anima e un’interpretazione della un tal grado di autosoddisfacimento da generare l’impulso
situazione storica della politica ateniese in termini di malattia. della theoria a scindersi dalla prassi. Gli uomini desiderano il
Mandando a morte Socrate, Atene si era mostrata refrattaria potere e se lo contendono, mentre il filosofo ha un più alto
a questa terapia. Da ciò scaturiva l’impossibilità di mutare la oggetto di desiderio, il sapere, e proprio per questo è il più
malattia in salute attraverso i canali istituzionali della pòlis. Atene adatto a governare, perché non desidera governare e deve
era una città malata che cercava di conservarsi prolungando anzi essere costretto a farlo, anche se per un tempo limitato.
la propria malattia. Essa era contrassegnata dall’inversione dei Anche nella città ideale, infatti, i filosofi avrebbero abitato
valori, della salute con la malattia e, quindi, dall’inversione della insieme per la maggior parte del tempo, occupando lo spazio
struttura dell’anima, avente al vertice la ragione, e della gerar­ puro dell’indagine filosofica10. Anche in essa, pur mutando la
chia del potere modellata su essa. Solo il possesso del sapere, funzione sociale della filosofia, la scuola filosofica come forma
e del sapere massimo, che ha al suo vertice l’idea del bene, di convivenza e ricerca comune non sarebbe affatto scomparsa.
era per Platone il titolo autentico di legittimazione all’esercizio Ma anche fuori della città ideale la scuola non si configurava
del potere. L’emarginazione della filosofia era la conseguenza come un organismo di azione politica immediata, né abbiamo
necessaria del fatto che la città poggiava sull’inversione dei ragione di credere che si trasformasse in una vera e propria
valori: in un mondo capovolto veniva a trovarsi ai margini ciò eteria, una consorteria politica. Orientata verso la vera pòlis,
che avrebbe dovuto essere al vertice9. ma marginale rispetto a quella empirica, la vera destinazione
La scuola filosofica appariva a Platone un luogo dove porsi dell’attività filosofica era di opporsi all’estinzione della figura
al riparo dalla cattiva educazione impartita dalla città e dai del filosofo, tenendo in vita mediante la scuola le condizioni
sofisti, che non facevano che riprodurre i valori dominanti in di possibilità di una coincidenza tra politica e filosofia.
essa e, quindi, perpetuare la sua malattia. Se attraverso i canali Ciò segna nettamente i limiti di tutta l’azione politica, at­
istituzionali non era possibile rendere sana la città, in quest’altro tribuita nella tradizione a Platone e a membri della sua scuola,
ambito, la scuola, era possibile salvaguardare e riprodurre la gli accademici. I destinatari di quest’azione, quando ci furono,
vita filosofica e, in tal modo, la formazione dei vertici possi­ furono individui già al potere alla periferia tirannica del mondo
bili di una città sana. A tale scopo Platone fondò la propria greco - in primo luogo Dionisio di Siracusa - presso il quale
scuola, l’Accademia, un’istituzione privata, acquistando un si recarono, oltre a Platone stesso, anche altri socratici, come
appezzamento di terreno con giardino e dotandola di locali Eschine e Aristippo, oppure individui destinati a sostituirli
dove si svolgevano lezioni e attività comuni. Sul piano teorico come Dione, ma non propriamente Atene11. Ma in questi casi
era possibile rintracciare, attraverso una ricostruzione razio­ l’azione dei filosofi o si concluse con l’insuccesso, come avven­
nale, il modello della vera città come una sorta di inversione ne allo stesso Platone nei suoi viaggi siracusani, o condusse
rispetto alla realtà politica esistente. Il carattere «utopico» a diventare tiranni o supporto del tiranno, come avvenne a
che è stato sovente attribuito alla pòlis della Repubblica è Erasto e Corisco con il tiranno Ermia di Atarneo. In ogni caso
anch’esso un’altra faccia della marginalità della filosofia. Un sarebbe semplicistico considerare il modello dell’aristocratica
governo nelle mani dei filosofi era chiaramente riconosciuto e antidemocratica città platonica della Repubblica come il ri-
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specchiamento puro e semplice degli interessi dell’aristocrazia fi, ossia retori, sofisti e demagoghi13. Era dunque importante
terriera del tempo e un programma di azione politica diretta. per il filosofo dare un’immagine veritiera e accettabile di sé,
E ciò non soltanto per il fatto che il fondamento del potere anche perché questa era la condizione per convincere i più
era riposto da Platone nel sapere e non neU’origine sociale ad affidare il potere ai filosofi. Isocrate, invece, era esplicito
o nel possesso della proprietà, ma soprattutto per la scarsa nella polemica contro coloro che esortavano a un tipo di vita
appetibilità di questo modello. Quanti aristocratici sarebbero ignoto alla maggior parte delle persone, anzi radicalmente
stati disposti a seguire Platone sulla via della rinuncia alla pro­ opposto a quello condiviso da tutti. La scienza a cui costoro
prietà, della limitazione drastica dei bisogni personali e dello intendevano collegare la virtù era per Isocrate impossibile da
studio intensivo e prolungato per vari anni delle matematiche acquisire e, se anche fosse stata possibile, difficilmente sarebbe
e della dialettica, prima di accedere, e per di più a turno, al riuscita a dimostrare la propria utilità. Questo invece era in
potere? Platone era un intellettuale «organico» dell’aristocrazia grado di fare la retorica, insegnando a parlare in modo utile
o piuttosto un filosofo aristocratico marginale all’aristocrazia rispetto alle varie circostanze della vita privata e soprattutto
stessa? Le Leggi, riponendo il criterio della cittadinanza nella pubblica14. La filosofia platonica pretendeva di ritagliarsi un
proprietà della terra, potrebbero sembrare un modello più ambito distinto dalla sfera della dóxa proprio attraverso la
vicino a certi ideali dell’aristocrazia. Ma anche quest’opera pretesa di accedere a una scienza inaccessibile ai più. Per
non rinunciava al progetto di assegnare ai filosofi una funzione Isocrate ciò significava porsi deliberatamente fuori della città.
direttiva o di controllo. La grande differenza rispetto alla Re­ Uscire dall’ambito della dóxa e del linguaggio con cui essa è
pubblica è che qui la comunità filosofica assumeva i contorni comunicata significava disancorarsi dai costumi, dalle tradizio­
inquietanti del Consiglio notturno, dedito allo studio della ni e dalle credenze di una comunità, sui quali doveva invece
dialettica, dell’anima e degli astri e supervisore delle leggi, poggiare un’azione politica veramente utile alla città e ai Greci
necessarie per gli uomini imperfetti, ma anche duro censore in generale. Per questo sono costanti in Isocrate i riferimenti
e repressore di ogni credenza antireligiosa12. all’illustre passato di Atene. L’uso retorico della storia era uno
strumento di legittimazione per una retorica ancorata ai valori
tradizionali della città.
3. Marginalità politica delle scuole filosofiche La posta in gioco nel conflitto tra retorica e filosofia era
anche la sopravvivenza delle rispettive scuole. Mostrare l’utilità
Nella fondazione di una scuola, forse verso il 387 a.C., del proprio insegnamento anche sul piano politico contribuiva
Platone aveva un rivale pericoloso in Isocrate, che pochi anni a garantire un afflusso di allievi. Prendeva così inizio nell’Ac­
prima aveva aperto in Atene una scuola di retorica. Il rapporto cademia, proprio all’interno della competizione con Isocrate
del filosofo con la città, il potere e la politica sarebbe sempre e la sua scuola, la ricerca dell’appoggio dei potenti, dai re di
stato nel mondo antico un episodio nella competizione tra la Macedonia a quelli di Cipro, Evagora o Temisone. Si pone­
filosofia e la retorica, che si sarebbe quasi sempre risolta con vano le premesse per la costituzione del filosofo di corte o in
il successo della retorica. Questa competizione aveva presup­ rapporto con la corte, del pedagogo e consigliere di principi
posti teorici, ma traeva anche origine dal modo diverso di e potenti. Sull’altro versante Teopompo, che aveva studiato
concepire la destinazione della propria attività. Il nucleo di con Isocrate, e più tardi Democare, nipote di Demostene, da­
tale contrasto era rappresentato dal problema dell’opinione, vano il via a una tradizione ostile all’Accademia, imputandole
la dóxa. Per Platone era impossibile che i più fossero filosofi, di produrre tiranni. Forse su questa linea Ermippo avrebbe
ossia realizzassero quell’unione di virtù e scienza su cui si co­ composto un’opera, per noi perduta, intitolata Su coloro che
struisce la figura del filosofo. I più erano fondamentalmente dalla filosofia sono passati alla tirannide e al dispotismo15. Le
cattivi o incapaci di pervenire alla conoscenza e avevano una notizie sull’attività politica dei filosofi antichi devono dunque
cattiva opinione dei filosofi, dovuta all’esistenza di falsi filoso­ essere considerate con grande cautela, proprio perché nascono
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in gran parte da questi contesti polemici e tendono a estendere e forse influì anche sulle riforme agrarie introdotte da Cleomene,
l’appellativo di scuola anche a suoi semplici frequentatori. e Blossio di Cuma, che alcuni consideravano responsabile delle
Così, se si voleva biasimare l’Accademia, si poteva ricorrere al riforme agrarie introdotte a Roma da Tiberio Gracco durante il
discepolato in essa di un Chairon di Pellene, il quale, diventato suo tribunato nel 133 a.C.18 Sarebbe errato trarre da questi due
tiranno nella sua patria, ne aveva espulso i migliori cittadini, casi la conclusione che la teoria politica stoica prevedesse in
assegnando i loro beni e le loro donne ai loro schiavi: ecco generale la necessità di una spartizione più o meno egualitaria
l’applicazione pratica delle dottrine della Repubblica e delle delle terre. Il caso di Panezio, vicino a Scipione, mostra che
Leggi «contrarie alle leggi»16. Se invece la si voleva elogiare, nella seconda metà del II secolo a.C. si poteva anche essere
si poteva ricorrere al virtuoso Focione, cittadino ateniese, stoici e conservatori. Gli stessi dubbi possono essere sollevati a
anch’egli discepolo dell’Accademia, antidemocratico e filo­ proposito della tradizione peripatetica. Nel 323 a.C., alla morte
macedone. Era più emblematico della politica dell’Accademia di Alessandro, Aristotele era costretto a fuggire da Atene, per
Chairon o Focione? O Dione, ostile alla tirannide di Dionisio impedire - avrebbe detto - che fosse commesso un altro crimine
di Siracusa e contrario ai programmi di spartizione delle terre verso la filosofia, e a rifugiarsi a Calcide. E difficile sostenere
avanzati dai suoi avversari siracusani?17 E probabile che que­ che ciò dipendesse da una presunta pericolosità dei suoi scritti
ste domande siano mal poste. Nel caso dell’Accademia non politici: chi potrebbe oggi inferire senza titubanze dalla lettura
abbiamo notizie di un’attività politica ufficiale e sistematica, della Politica di Aristotele un suo atteggiamento univocamente
non sporadica. Al tempo stesso paiono documentabili, per filomonarchico, anzi filomacedone? È molto più probabile che
personaggi che avevano ruotato intorno a essa, sia l’opposizione l’ostilità ateniese nei suoi confronti nascesse dalla constatazione
alla tirannide sia l’accesso alla tirannide. Lo stesso carattere dei legami di amicizia del meteco Aristotele con la corte macedo­
antidemocratico, che pure è chiaramente dominante in Platone, ne, in particolare con Antipatro, che egli avrebbe indicato come
ha creato qualche perplessità nel caso di Senocrate, diventato suo esecutore testamentario. Né credo sia facile trovare qualcosa
poi caposcuola dell’Accademia stessa. Occorre infine ricordare di tipicamente peripatetico nella carriera di Atenione, raccontata
che in questa scuola non regnava alcuna ortodossia. Se la stessa con toni ostili da Posidonio. Nato da una schiava egiziana e
dottrina delle idee non impegnò nessuno degli allievi di Platone iscritto con inganno dal padre nel registro dei cittadini ateniesi,
a aderirvi, perché mai un’adesione del genere avrebbe dovuto si arricchisce insegnando la filosofia peripatetica. Tornato poi
valere per i modelli politici elaborati dal maestro, i quali per ad Atene, è inviato come ambasciatore da Mitridate, riesce a
di più variavano tra loro, nella Repubblica, nel Politico e nelle convincere gli Ateniesi che con l’aiuto di questo re avrebbero
Leggi? A maggior ragione dunque l’ortodossia non dovette potuto riacquistare la democrazia. Eletto stratega, si fa tiranno
valere per personaggi che non erano rimasti nella scuola, ma di Atene, si abbandona a uccisioni e confische e costringe la
si erano limitati a soggiornarvi per qualche periodo. Non è città a schierarsi nell’87 a.C. con Mitridate contro Siila, ma la
dunque inverosimile supporre che l’attività politica di costoro cosa finì male e Siila saccheggiò Atene19.
si svolgesse secondo programmi e interessi legati a specifici Ancora più noto è il caso di Demetrio Falereo, discepolo
contesti sociali e politici, che devono essere valutati di volta di Teofrasto. Filomacedone, con il sostegno di Cassandra aveva
in volta, senza pretendere di dedurli meccanicamente da una dominato ad Atene dal 317 al 307, quando era stato cacciato
teoria filosofica. da Demetrio Poliorcete e costretto a rifugiarsi prima a Tebe e
Queste considerazioni generali valgono anche per le altre poi ad Alessandria presso il re Tolomeo Sotere. Il nucleo della
scuole filosofiche. Oggi per esempio si tende a dubitare sull’una­ sua politica in quel decennio sembra essere consistito nel varo
nimità della tradizione stoica nella condanna di Alessandro. Così di una costituzione su basi censitarie20. Questo modello mode­
abbiamo notizia dell’attività politica diretta di due stoici: Siero di rato, imperniato sul sostegno dei ceti medi, trova certamente
Boristene, allievo di Zenone, il quale nel decennio fra il 235 e il corrispondenza in alcune pagine della Politica aristotelica, ma
225 fu ispiratore a Sparta della riforma dell’educazione giovanile aveva anche alle sue spalle una lunga tradizione risalente alla
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fine del V secolo, ai tempi di Teramene, e ancora più indietro, salvezza della città. E Licone non era ateniese, ma originario
a Solone. Ad Atene esisteva una cultura politica ed è un errore della Tracia. Né era ateniese il fondatore della Stoa, Zenone
di ottica ritenere che il suo punto focale fossero necessariamente originario di Cizio nell’isola di Cipro, onorato anch’egli da un
gli scritti politici dei filosofi. I filosofi erano greci, non i Greci. decreto, il cui testo è riferito da Diogene Laerzio:
Ho il sospetto che l’impronta peripatetica fosse molto più forte
negli interessi antiquari e grammaticali di Demetrio, che non Poiché Zenone di Cizio, figlio di Mnasea, per molti anni si è
nelle sue realizzazioni politiche. Quel che è certo è che i suoi dedicato alla filosofia nella città e la sua condotta è stata per ogni
legami col Peripato, se da una parte consentirono a Teofrasto, riguardo costantemente irreprensibile; poiché esortando i giovani che
successore di Aristotele nella direzione della scuola, di porre si affidavano a lui per essere istruiti alla virtù e alla moderazione, li
guidava alle mete più alte indicando come esempio a tutti la sua stessa
il Liceo su basi istituzionali, perché grazie all’aiuto di Deme­ vita, modello di coerenza con la dottrina da lui professata, il popolo
trio Falereo il meteco Teofrasto ottenne il diritto di énktesis, sovrano ha decretato - con buona fortuna - di tributare lode a Zenone
cioè di possedere fondi in un paese straniero, dall’altra fecero di Cizio, figlio di Mnasea, di incoronarlo con una corona d ’oro, secondo
correre pericoli, quando Demetrio fu cacciato da Atene. Nel la legge, per la sua virtù e la sua moderazione, e di costruirgli anche
306 Teofrasto con altri filosofi dovette allontanarsi da Atene, un sepolcro nel Ceramico a spese pubbliche22.
in seguito a un decreto proposto da Sofocle di Sunio, secondo
il quale l’insegnamento filosofico, che aveva un carattere fon­ Talvolta questo atteggiamento di favore si traduceva nella
damentalmente privato, anche se avveniva in luoghi pubblici concessione della cittadinanza, come avvenne con Crisippo e
come i ginnasi, doveva essere sottoposto all’approvazione del Cameade. La filosofia cominciava a diventare parte integrante
dèmos, ossia al controllo pubblico. Ma già nell’anno successivo, dell’apparato educativo della città. L’efebia era una sorta di
in seguito all’accusa di graphè paranómon, di proposta illegale, servizio militare obbligatorio di due anni per i giovani ateniesi,
mossa contro Sofocle da Filone, anch’egli forse discepolo di prima di diventare cittadini a pieno titolo. Già nel III secolo
Aristotele, i filosofi poterono rientrare ad Atene. Nonostante l’aspetto militare fu integrato in misura crescente da un’istru­
l’opposizione di Democare, che aveva preso le difese di Sofocle, zione di tipo superiore, impartita nei ginnasi, attraverso lezioni
gli Ateniesi avevano annullato il decreto, imposto una multa e conferenze di filosofi e retori, talora anche di medici. Tra
a Sofocle e votato per il ritorno dei filosofi21. Dopo i processi il 208 e il 204 fu eretta in uno di questi ginnasi, il Tolemeo,
che ad Atene dopo la metà del V secolo avevano subito Anas­ una statua allo stoico Crisippo, che forse vi aveva insegnato.
sagora e poi Socrate, questo fu uno dei momenti più critici nel Con ciò faceva la sua comparsa anche il libro: biblioteche di
rapporto dei filosofi con la città. Ma fu crisi di breve durata, efebi sono documentate per Teo, Cos, Atene.
che si risolse in un sostanziale mutamento dell’atteggiamento In ogni caso la presenza dei filosofi ad Atene era ormai
ateniese verso i filosofi. considerata un fattore di prestigio, che contribuiva ad attirare
allievi e visitatori da ogni parte del mondo ellenico e, presto,
anche da Roma. Se i monarchi di Alessandria di Egitto ospitava­
4. Integrazione e «status» sociale dei filosofi nell’età elleni­ no nelle loro istituzioni, in particolare nel museo, studiosi delle
stica più varie discipline e talora anche filosofi, come il peripatetico
Stratone di Lampsaco, Atene conservò il monopolio incontra­
Nel III e nel II secolo a.C., infatti, i filosofi sembrano godere stato dell’insegnamento filosofico. Epicuro, che già aveva tenuto
del favore non soltanto dei sovrani, successori di Alessandro, scuola a Mitilene e Lampsaco, appena aveva potuto era tornato
ma anche di Atene. Alla morte di Teofrasto si diceva che ad Atene, nel 306, e verso il 300 anche Zenone apriva la sua
tutti gli Ateniesi avessero partecipato al suo funerale. Licone, scuola. Una delle pedine che nel IV secolo Senofonte aveva
successore di Stratone nella direzione del Peripato, fu onorato individuato per la ripresa economica della città erano stati i
dagli Ateniesi con un decreto per aver contribuito al bene e alla meteci, cioè gli stranieri residenti in città. Egli aveva indicato
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una serie di incentivi e di misure per attirare ad Atene meteci, prosopografica complessiva dei filosofi di età ellenistica, ma
il cui numero era calato rispetto al secolo precedente23; ma non è probabile che le difficoltà incontrate da Senocrate per pa­
aveva previsto che la filosofia sarebbe diventata uno di questi gare il metóikion, la tassa annuale dei meteci25, fossero ormai
incentivi. Se si considerano gli scolarchi delle grandi quattro sconosciute ai filosofi meteci dal III secolo in poi. Quando la
scuole filosofiche ateniesi, non si può non rimanere colpiti tradizione successiva vorrà ricordare casi di filosofi poveri o
dalla netta prevalenza di meteci. Il caso di Anassagora, che nel di umili origini o costretti a lavori manuali, non avrà grandi
V secolo si era trasferito dalla natia Clazomene ad Atene per scelte. Casi tipici erano Socrate, che già Platone aveva presen­
risiedervi stabilmente, si era ormai generalizzato. Il Peripato e tato come vissuto in povertà; Fedone, che schiavo in una casa
la Stoa non presentano scolarchi che non siano meteci. Epicu­ di malaffare sarebbe stato riscattato da Alcibiade o Critone su
ro, nato a Samo, era di famiglia ateniese, ma i suoi successori invito di Socrate stesso; Cleante, che la povertà aveva costret­
Ermarco e Polistrato erano di Mitilene e di Samo. L’eccezione to a un lavoro salariato (attingere di notte acqua dai pozzi o
in questo quadro sembra essere stata l’Accademia. Platone, impastare farina), e soprattutto i cinici, che però non di rado
suo nipote Speusippo, Polemone e Cratete erano tutti ateniesi. erano poveri per scelta propria26. Erano tuttavia eccezioni in
Ma si tratta di un’eccezione solo parziale, perché non erano un quadro di figure benestanti. Dai testamenti dei filosofi pe­
ateniesi Senocrate, Arcesilao, Lacide, Cameade e Clitomaco, ripatetici, conservati da Diogene Laerzio, emergono personaggi
originario quest’ultimo addirittura di Cartagine. Nel I secolo in possesso di beni mobili, somme di denaro e terreni fuori
a.C. Cicerone poteva ormai far affermare a Crasso che Atene Atene e immancabilmente di schiavi, che talvolta erano liberati,
da tempo era solo «il domicilio degli studi», di cui usufrui­ soprattutto in occasione della morte del testatore27. L’esercizio
vano quasi esclusivamente gli stranieri, catturati dal prestigio dell’attività filosofica era ritenuto perfettamente compatibile
della città. Il fatto che filosofi stoici come Zenone, Cleante e con il possesso di schiavi28 e fu considerato, soprattutto dagli
Crisippo, pur sostenendo la necessità di onorare la patria e di epicurei e dagli stoici, compatibile almeno sul piano teorico
occuparsi di politica, avessero abbandonato le loro città per anche con la condizione di schiavo, in particolare per gli schiavi
vivere in Atene, dove lo spazio politico veniva a restringersi posseduti dallo scolarca e quindi presenti di fatto nella scuola.
radicalmente per essi, avrebbe continuato a meravigliare Dio­ Casi noti erano quelli di Pompilo, schiavo di Teofrasto, e di Mys,
ne di Prusa. Per il platonico Plutarco questa diventava una schiavo di Epicuro, entrambi liberati successivamente29. Ma è
delle contraddizioni degli stoici: scrivere di politica, ma non opportuno non sopravvalutare queste notizie su schiavi filosofi.
esercitarla, anzi porsi deliberatamente nella condizione di non Per quel che ne sappiamo, essi non insegnarono nella scuola
poterlo fare, andando in una terra straniera a vivere di libri e né lasciarono scritti. L’unico caso di filosofo di origine servile,
di discorsi, senza dover nulla rimproverare alla propria patria, di cui sono stati conservati gli insegnamenti, è nel I secolo d.C.
era una delle manifestazioni più vistose di quella che a Plutarco Epitteto, ma si tratta di insegnamenti che risalivano all’epoca in
appariva la schizofrenia stoica fra teoria e prassi24. cui egli, ormai liberato dalla schiavitù, insegnava a Nicomedia.
La prevalenza di meteci è uno dei segni tangibili che la Né il caso di Epitteto deve essere considerato una prova della
pretesa platonica dei filosofi al potere era ormai fortemente diffusione dello stoicismo anche nei ceti umili, perché è molto
indebolita, se non tramontata. Le classi al potere non avevano più probabile che potessero accedere a un’istruzione filosofica
ragione di ravvisare nei filosofi la matrice teorica o pratica di schiavi posseduti da ricchi padroni - com’era il caso del liberto
alternative politiche ad Atene e potevano accogliere positiva- Epafrodito, padrone di Epitteto - che non cittadini poveri e di
mente il loro contributo all’educazione dei giovani e al prestigio umile origine, costretti a lavori manuali per sopravvivere. Un
della città, anche perché l’appoggio dei monarchi macedoni discorso parallelo dovrebbe essere fatto anche per la presenza
tendeva a favorire l’esercizio del potere da parte dei ceti più di donne nelle scuole filosofiche. Questa presenza è attestata
abbienti. Del resto, gli stessi filosofi, cittadini o meteci, erano per l’Accademia e per il Giardino di Epicuro, mentre non lo
in gran parte di condizione agiata. Manca purtroppo un’analisi è per il Peripato e la Stoa. Anche i cinici accolsero donne tra le
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loro fila, come Ipparchia che convisse con Cratete. Del resto terreni o giardini per la scuola31. Ma l’atteggiamento di bene­
il matrimonio non dovette essere una pratica molto diffusa tra volenza dei sovrani poteva dimostrarsi anche in altre forme,
i filosofi antichi, anche se eccezioni vistose sono costituite da ugualmente bene accette, come l’appoggio per il conferimento
Socrate e da Aristotele. Anche nel caso delle donne, tuttavia, della cittadinanza. Il decreto ateniese in onore di Zenone aveva
è difficile dire quante insegnarono o addirittura scrissero di avuto come promotore Trasone, inviato come legato ad Atene da
filosofia. Platone nella Repubblica riconosce anche alle don­ Antigono Gonata, che era dunque il suo vero ispiratore, anche
ne, che ne avessero attitudine, pieno titolo a governare, al se Zenone aveva rifiutato di recarsi alla sua corte32. Così, più
pari dei maschi, ma nelle Leggi le donne, pur usufruendo di di due secoli dopo, Cicerone avrebbe ottenuto da Cesare, già
un curriculum educativo simile, non accedono più al ruolo al potere, la cittadinanza romana per il peripatetico Cratippo
supremo di guardiani delle leggi. Un’eccezione pare Leonzio, e dal Consiglio ateniese dell’Areopago l’invito a rimanere ad
che ruotava intorno alla scuola di Epicuro e alla quale si at­ Atene per insegnare ai giovani33. Questi episodi di evergetismo
tribuisce uno scritto Contro Teofrasto30. Nel I secolo d.C. lo conferivano prestigio sia ai donatori sia ai beneficiati. In ogni
stoico Musonio Rufo avrebbe valorizzato il matrimonio e la caso la reputazione e la notorietà acquisite dai filosofi erano,
vita familiare e insistito sull’uguaglianza dei due sessi, anche unitamente alle loro capacità oratorie e argomentative, motivi
sul piano dell’attività filosofica, ma con accentuazione per le che inducevano le città nelle quali operavano a inviarli come
donne della finalità della filosofia per l’«economia», cioè per ambasciatori presso i sovrani ellenistici o il senato di Roma a
il governo della casa. Il caso più celebre è dato da Ipazia, che perorare e dirimere questioni particolarmente delicate, come
svolse attività di insegnamento ad Alessandria e fu lapidata l’ottenere che fosse tolto l’assedio dalla città o la restituzione di
nel 415 d.C. E significativo però che le donne dell’antichità, prigionieri di guerra o la riduzione dell’entità di tributi. L’affi­
per le quali sono attestati interessi filosofici, siano in netta damento di queste missioni proseguiva una pratica già diffusa
prevalenza ascoltatrici, dedicatarie di scritti o patronesse più nella seconda metà del V secolo a.C. a proposito di sofisti e
che praticanti estensivamente l’attività filosofica, tanto meno retori come Gorgia, che nel 427 era giunto ad Atene quale
di insegnamento o scrittura. La filosofia rimase sempre in gran ambasciatore della sua città natale, Leontini, o Ippia di Elide.
parte un’attività maschile. La più celebre di queste ambascerie, anche per le ripercussioni
Essere di condizione agiata era anche una condizione che ebbe negli ambienti tradizionalisti romani, ben impersonati
essenziale per poter frequentare una scuola filosofica, soprat­ da Catone il Censore, fu quella dell’accademico Cameade, dello
tutto per coloro che intendevano proseguire l’attività filosofica stoico Diogene di Babilonia e del peripatetico Critolao - tutti di
insegnando a loro volta in una scuola, perché ciò comportava nascita non ateniese - presso il senato romano nel 155 a.C. allo
lunghi soggiorni, durante i quali occorreva sostentarsi. Le scopo di ottenere il condono di una multa imposta ad Atene per
scuole filosofiche antiche non erano caratterizzate, come le la distruzione di Oropo34. Che filosofi di diverse scuole potessero
università medievali, da esami, carriere e stipendi. A un certo operare fianco a fianco in questa missione è anche segno del
punto, nonostante il divieto implicito nell’immagine del filosofo fatto che, al di là dei dissensi teorici, la competizione fra queste
socratico, si cominciò a esigere qualche tributo dagli allievi che scuole non era più così drammatica come nel passato e che il
le frequentavano e questo garantì la loro autonomia finanziaria. conflitto tra filosofia e retorica non era più così radicale.
Più tardi, soprattutto in età imperiale, ciò divenne una pratica
diffusa. Per lungo tempo, tuttavia, fonte rilevante di nuove
ricchezze per i filosofi delle scuole furono, oltre ai tributi degli 5. L’autonomia dell’attività filosofica in Aristotele e la fine
allievi, anche i donativi di monarchi e potenti. Anche qui occor­ della «pòlis»
rerebbe un’analisi complessiva di queste forme di evergetismo,
documentata già per l’Accademia. Tali donativi consistevano Il peso dei filosofi nella società ateniese era cresciuto nel
in cospicue somme di denaro o in contributi per l’acquisto di momento in cui minore era diventato lo spazio politico a loro
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disposizione. I filosofi non sembravano più in contrasto con erano affatto una prerogativa esclusiva di queste filosofie, ma
la città, com’era successo a Socrate o a Platone. E opinione erano stati temi centrali di discussione già nei circoli socratici
diffusa che le filosofie dell’età ellenistica accentuassero la di­ e negli stessi Platone e Aristotele.
mensione etica a causa dell’indebolimento o del crollo della Una svolta decisiva era avvenuta piuttosto con Aristo­
pòlis di fronte alle grandi monarchie, accompagnati da guerre tele, nel suo tentativo di costruire una nuova immagine del
e crisi di vasta portata, che producevano un forte senso di in­ filosofo, più accettabile alla città, perché meno carica delle
stabilità e di insicurezza. Da questa situazione sarebbe emerso minacce, anche se soltanto teoriche, del filosofo-politico pla­
in primo piano il problema della salvezza individuale, con un tonico. L’opera di Aristotele può anche essere letta come un
conseguente declino dell’attività politica diretta. Ma da più parti grandioso tentativo di disinnescare le micce del platonismo e
comincia a nascere il sospetto che questo quadro esplicativo di costruire i lineamenti di un filosofo che non intende porsi
generale dei caratteri assunti dalle filosofie ellenistiche non in competizione con la città storicamente esistente, ma coesi­
sia molto attendibile. In primo luogo occorre sottolineare che stere pacificamente con essa. Pur con le dovute cautele, non
non esiste prova che la percezione di un mutamento coincida è del tutto errato scorgere, dietro le concezioni platoniche
immediatamente o a breve distanza con il mutamento stesso. e aristoteliche dei rapporti tra filosofia e politica, i profili
Ossia non c’è prova che quella che a noi pare la caduta irri­ rispettivamente del cittadino e del meteco. Ma è ugualmente
mediabile e definitiva della pòlis apparisse tale anche a coloro significativo che i pericoli di persecuzione subiti da Aristotele,
che vi si trovavano immersi. Il richiamo al passato, per esempio molto più moderato di Platone sul piano teorico nei confronti
alle guerre persiane, poteva invece confermare che la pòlis era della democrazia ateniese, non avessero toccato Platone. An­
riuscita a superare indenne gravi pericoli e non era escluso che cora una volta emerge che le vicende storiche in cui i filosofi
anche ora ciò fosse ancora possibile. Questo stesso passato venivano a trovarsi coinvolti non erano una deduzione o una
poteva presentare periodi almeno altrettanto colmi di crisi e di conseguenza necessaria delle loro teorie. Nella Politica Aristo­
insicurezza, come i crudeli decenni della guerra del Peloponne­ tele muove una serie di critiche decisive aU’immagine platonica
so. In secondo luogo, i grandi mutamenti ridimensionavano sì del filosofo-politico, in particolare alla comunità delle donne
nettamente il peso di Atene sulla scena internazionale, ma non e dei figli, alla comunità dei beni - che, secondo Aristotele,
trasformavano radicalmente la sua vita interna, anche sul piano ha anche l’inconveniente di rendere impossibile l’esercizio di
politico, per quanto il controllo macedone si facesse sentire. virtù essenziali per il buon cittadino, come la liberalità e la
Inoltre per filosofi che erano in gran parte stranieri residenti magnificenza, che presuppongono il possesso e l’uso corretto
in città e preferivano dedicarsi alla filosofia ad Atene piutto­ di beni e ricchezze - e agli stessi progetti educativi. Aristotele,
sto che essere cittadini politicamente attivi nel proprio luogo infatti, se era disposto ad attribuire un carattere pubblico, non
d’origine, la perdita di potenza da parte di Atene non doveva privato, com’era nella realtà storica, all’insegnamento della
comportare una diminuzione del loro ruolo. Un confronto grammatica, della ginnastica e della musica, non lo estendeva
della loro situazione con quella del IV secolo a.C. sembra anzi a quello delle matematiche e della filosofia, come aveva preteso
confermare una diminuzione progressiva della loro marginalità. Platone per la sua città ideale35. D ’altra parte, egli condivideva
I filosofi sconfiggevano tale marginalità, non andando al pote­ il presupposto platonico che la natura fornisce attitudini per
re, come aveva auspicato Platone, ma ritagliandosi uno spazio l’esercizio di una sola attività, proprio come un organo è per­
progressivamente crescente nella città sul piano educativo e fetto, quando non è piegato a molti compiti ma a uno solo36.
rinunciando al sogno platonico. Se poi consideriamo due tratti Questo vale anche per la vita filosofica: un pieno esercizio di
che paiono tipici delle filosofie ellenistiche, ossia la centralità essa non è compatibile con quello di altre attività, se non a
del problema etico e la discussione sul posto da assegnare nella scapito della sua perfezione. Il punto decisivo era se la vita
vita e nell’insegnamento filosofici alle discipline scientifiche filosofica includesse al suo interno anche l’attività politica e anzi
e alla cultura enciclopedica, è facile constatare che essi non fosse l’unica legittimata a praticare l’esercizio del potere, come
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aveva voluto il Platone della Repubblica. Già distinguendo tra filosofo, nel senso che solo la città, garantendo il soddisfaci­
vita filosofica, vita politica e vita fondata sui piaceri, Aristotele mento dei bisogni dei suoi abitanti, è la condizione necessaria
poneva le basi per distanziarsi dalla punta più radicale del per la realizzazione della loro felicità e, quindi, anche di quella
platonismo. Vita politica e vita filosofica richiedono entrambe forma suprema di felicità, che consiste nell’attività teoretica.
scholé, tempo libero dalla necessità di lavorare per vivere. Se Se il necessario non è assicurato, la sapienza è costretta a
l’attribuzione di valore alla scholé non era una scoperta dei regredire in tecnica per procurarselo. La rinuncia alla pretesa
filosofi, la considerazione dell’attività teoretica disinteressata, di dominio nella città era correlata all’esigenza di un esercizio
volta all’esclusiva ricerca del sapere per il sapere, era un tratto indisturbato della theoria. Ciò che distingue il filosofo dagli
tipico di Aristotele. Per Aristotele l’uomo non è l’entità più altri uomini è appunto la theoria, la quale però non interferisce
alta nell’universo e pertanto la politica, che ha come costitu­ con la prassi. Il filosofo è in bilico tra l’umano e il divino: in
tivo il rapporto con uomini, non può detenere il primato37. quanto teoreta ha in sé qualcosa di divino, la sapienza, ma in
Ma ancora più importante è non tanto la gerarchia fra questi quanto uomo deve esercitare le virtù pratiche e, se cittadino,
due tipi di vita, quanto il riconoscimento che non si tratta di anche la politica. Su questo piano il filosofo non si distingue
due attività propriamente cumulabili. Ciò colpiva al cuore la affatto dagli altri cittadini e dagli altri abitanti della città:
concezione socratico-platonica dell’indisgiungibilità di virtù anch’egli sarà un uomo moralmente buono, virtuoso, phró-
e scienza. Per Socrate conoscere la definizione di giustizia ed nimos o spouddios come gli altri. Pericle, che Platone come
essere giusti coincidono. Ma, obietta Aristotele, nell’ambito massima concessione aveva relegato tra coloro che agiscono
della virtù l’importante è non tanto conoscere che cos’è la in base a un’opinione corretta, ma non in base al sapere vero
virtù, quanto essere virtuosi38. Così è in generale per la politica, e proprio, in Aristotele diventa un esempio tipico di uomo
dove l’essenziale è la prassi. phrónimos40. La theoria di per sé non conferisce dunque alcun
Ma la scuola è sufficiente da sola a rendere virtuosi quanti titolo a governare. Quando elenca le parti costitutive della città,
la frequentano? Aristotele sapeva che la virtù richiede eser­ Aristotele non menziona i filosofi: essi non risultano né parti
cizio, esperienza e tempo, oltre che relazioni interumane. E necessarie alla sopravvivenza della città, in quanto impegnati
legittimo dubitare che egli pretendesse di assicurare tutto ciò nel soddisfacimento dei bisogni primari dei cittadini, né parti
attraverso il solo soggiorno nella sua scuola. In realtà, la scuola di per sé politicamente costitutive. Se un filosofo ha titolo a
non è l’unico veicolo di formazione e trasmissione della virtù, governare, non è in quanto filosofo e in base al sapere che lo
come pretendeva Platone. Ciò intanto sembrava escluso per i distingue come filosofo, ma in quanto cittadino dotato dei titoli
giovani, ai quali Aristotele attribuisce la possibilità di diventare che abilitano gli altri cittadini a partecipare alla vita politica,
geometri competenti, ma non politici, in quanto inesperti delle governando ed essendo governati a turno.
faccende della vita e della città. Per diventare politici occorre Questo mutamento di prospettiva è legato anche a un di­
una saldatura con l’esperienza, un contatto ripetuto con i fat­ verso atteggiamento di Aristotele nei confronti dei più. Certo,
ti, che può essere assicurato più che dalla scuola, dalla pòlis la vita della maggior parte degli uomini è sovente imperniata
stessa39. Il cittadino colto può anche avere una preparazione sui piaceri, che essi scambiano per felicità, e sull’opinione, che
filosofica, ma per svolgere la sua attività di politico non deve è priva dei connotati di universalità e necessità, che caratte­
essere necessariamente un teoreta. In tal modo Aristotele ac­ rizzano la scienza. Ma ciò non toglie che, secondo Aristotele,
cettava che la filosofia potesse diventare un ingrediente della tutti gli uomini tendano per natura alla conoscenza, come
paidéia generale del cittadino, ma al tempo stesso legittimava suona il celebre incipit della Metafisica41. Il filosofo deve tener
l’autonomia della vita filosofica. Il filosofo può essere felice conto di questo fatto. Rispetto a Platone, Aristotele allargava,
anche senza essere politico, restando ai margini della città, anche sul piano teorico, l’area dei destinatari del suo discorso:
come succede a chi è nella condizione di meteco. La città non soltanto i filosofi potenziali, ma anche gli uomini colti, i
tuttavia continua a essere un elemento indispensabile per il pepaideuménoi, che possono formulare giudizi adeguati anche
I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL’IMPERO 79
78 I FILOSOFI NELLE CITTA E NELL’IMPERO

su questioni in cui non sono professionisti, per esempio medici va sul piano della theoria, più che su quello della prassi etica
o filosofi in senso tecnico. Inoltre la dimensione dialettica, e politica. Per gli stoici, invece, la distanza tornava a essere
presente nel filosofare aristotelico, poggia sul riconoscimento globale, come in Platone. La tradizione attribuisce a Zenone
che anche le opinioni dei più, non solo quelle dei sapienti, e a Crisippo alcune delle tesi più paradossali della Repubblica
possono costituire premesse da discutere e possono contene­ platonica, fatte proprie anche dal cinico Diogene, come la
re verità. Talora Aristotele prescrive addirittura di assumere comunità delle donne. La Repubblica, scritta da Zenone forse
come premessa l’opinione dei sapienti, ma a condizione che mentre era ancora allievo del cinico Cratete, conteneva con­
essa non contrasti con le opinioni dei più. Egli era dunque cezioni che dovevano apparire sconcertanti, se non repulsive,
particolarmente attento a evitare l’assunzione di premesse quali l’incesto o, in caso di necessità, l’antropofagia. Non sem­
paradossali o a indagare problemi contrari a credenze o valori bra tuttavia che queste diventassero ingredienti della condotta
correnti ampiamente condivisi. Sul piano etico il consenso di di Zenone. Nonostante la carica d’urto sul piano teorico, lo
tutti può essere un buon indizio di verità e l’indagine filosofica stoicismo si sarebbe progressivamente avvicinato a posizioni
è destinata allora a fornirne la piena legittimazione. Al tempo di rispettabilità, tanto da sottoporre a censura questo scritto
stesso egli si mostra particolarmente sensibile alle differenze di Zenone. È probabile comunque che queste tesi paradossali
di livello culturale e alle capacità intellettuali del suo uditorio. fossero legate da Zenone e poi anche da Crisippo allo sta­
Induzione e sillogismo si differenziano sul piano epistemologico, tuto di eccezionalità del sapiente, radicalmente distante dai
in quanto inferenze a partire dal particolare o dall’universale, più, considerati phàuloi, dappoco o addirittura folli. Zenone
ma anche per la loro differente capacità persuasiva in relazione arrivava infatti a sostenere che solo gli uomini eccellenti, gli
a un uditorio comune o costituito da giovani oppure di dialet­ spoudàioi, sono cittadini, amici tra loro e liberi. Si trattava qui
tici esperti42. Il filosofo deve dunque dosare i suoi strumenti di una città di soli sapienti; e come il sapiente era una figura
in relazione all’uditorio, non considerarsi in alternativa totale normativa che molto raramente trovava esistenza empirica,
rispetto al mondo dei più e delle credenze diffuse. così la città, nella quale i veri cittadini sono soltanto i sapienti,
era una città normativa, dove i più, inevitabilmente cattivi e
ostili tra loro, non potevano aver parte. Il legame tra i sapienti
6. I paradossi del sapiente stoico, la metafora della schiavitù e costituiva una comunità che poteva allargarsi a una dimensione
la rimozione epicurea del politico cosmica e scavalcare le città storiche. Più che scoprire 1 unità
del genere umano, gli stoici teorizzavano l’unità dei sapienti.
La tradizione successiva ostile aU’aristotelismo, soprattutto Quando enunciavano il precetto che il sapiente parteciperà
la tradizione di matrice stoica, avrebbe considerato l’etica alla vita politica, essi intendevano non tanto determinare il
peripatetica la più vicina al volgo, perché arrivava a condivi­ contesto istituzionale della sua azione, quanto differenziare i
dere, per esempio in Teofrasto, l’opinione comune, secondo caratteri di essa da quella dei più44. È questa la dicotomia che
la quale povertà, malattia, schiavitù e dolori sono mali e una governa gran parte del pensiero stoico. Affermando che solo
compiuta felicità non può prescindere dalla presenza dei beni il sapiente è re, Crisippo non rilanciava la tesi platonica del
cosiddetti «esterni». La conseguenza di questa critica sarebbe filosofo come unico candidato legittimo al potere, ma indicava
stata espressa da Seneca: ammettere che il sapiente non sia nel sapiente l’unico personaggio in grado di esercitare il potere
privo di passioni, ma si limiti a smorzarle, equivale a vantarsi su se stesso, senza dipendere da alcun altro, e sugli atteggia­
di essere veloci a paragone di uno zoppo. Il problema non è menti da assumere in qualsiasi circostanza, anche quando si
che i difetti siano piccoli, ma che non ce ne siano: solo così si detiene il potere.
sarà sapienti43. La distanza rispetto ai più era il punto chiave Il territorio della politica e della società si trasformava per
che differenziava la concezione peripatetica del sapiente da gli stoici in una grande metafora del sapiente e dello stolto di
quella stoica. Per Aristotele la distanza massima si raggiunge - fronte a se stessi e alla propria vita. Essi deistituzionalizzano la
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terminologia politica greca, assegnandole una dominante etica. assunta da Epicuro poggiava sulla rimozione del politico stesso.
Attraverso questo spostamento metaforico il sapiente diventa L’epicureismo separava nettamente ciò che Aristotele aveva
l’unico polites, l’unico cittadino autentico, mentre il phàulos è solo distinto. Lo spazio assegnato da Epicuro al filosofo era
àpolis, estraneo propriamente alla pòlis. Lo stesso discorso vale un’isola di quiete fuori dalle tempeste della città. Il filosofo
per le dicotomie re-suddito, ricco-povero e libero-schiavo. La epicureo era agli antipodi di quello platonico: la marginalità
schiavitù in questione nel pensiero stoico non era quella istitu­ che questi aveva inteso sconfiggere era ora deliberatamente
zionale, giuridica, bensì quella metaforica45. Su questa via si era perseguita. Diventare politici significa, infatti, per Epicuro
già mosso in parte lo stesso Platone nel suo ritratto del filosofo perdere i requisiti che fanno il filosofo, il quale è pur sempre
come unico libero di fronte a schiavi. Aristotele aveva esteso la il modello della massima indipendenza. Ma se «la libertà è il
concezione della libertà, come non subordinazione, alla stessa massimo frutto dell’autarchia», la vita politica è «un carcere»,
sapienza filosofica, l’unica attività del tutto autofinalizzata e dal quale occorre evadere. Ciò comportava il rifiuto sia della
autosufficiente. Ma mentre per Platone e Aristotele l’autarchia posizione cinica, che identificava la vita migliore con l’andare
del filosofo era irrealizzabile fuori della città, già i cinici ave­ mendicando, sia della posizione accademica, che poneva al
vano mirato a scindere i legami di dipendenza nei confronti centro l’attività politica e il diventare tiranni47. Se l’obiettivo
della comunità. Su questa linea gli stoici concludevano che la del filosofo è il raggiungimento dell’atarassia e la liberazione
schiavitù giuridica rientra nel dominio dell’accidentale e non è dai timori e dalle tempeste della vita, la politica non può essere
una condizione naturale. Ciò potrebbe apparire rivoluzionario, un ingrediente della sua attività. Dagli uomini infatti possono
perché comporta una drastica riduzione, sul piano teorico, del venire gravi minacce alla serenità della vita filosofica. In pri­
peso attribuito nelle società antiche alla condizione servile. Ma mo luogo attraverso le opinioni fallaci, condivise dai più, per
sarebbe errato ritenere che se ne traessero implicazioni egualitarie esempio sulla morte o sugli dèi. Esse sono fonti di turbamento
sul piano della prassi e che lo stoicismo diventasse tout court la e il filosofo deve dunque allontanarsi da esse. Ma anche la
base per un progetto di eliminazione della schiavitù. La schiavitù vita politica non può non essere fonte di turbamenti. Nella
che lo stoico intende eliminare è quella vera ai suoi occhi, ossia filosofia di Epicuro un particolare rilievo è assunto dal pro­
la schiavitù metaforica, l’unica capace di soggiogare chiunque blema del patto sociale, dove l’obiettivo primario è non subire
indipendentemente dall’accidentale posizione giuridica e sociale danni. La nozione di danno si oppone a quelle di garanzia e
in cui si può trovare. Apparentemente la teoria stoica era uno di protezione. Mentre per Platone e Aristotele la città nasce
strumento di liberazione, ma di fatto essa poteva funzionare dalla necessità di soddisfare i bisogni che l’individuo non è in
altrettanto bene come strumento di conservazione: rendendo grado di soddisfare da solo e implica dunque forme più o meno
irrilevante la schiavitù istituzionale rispetto alla schiavitù indivi­ estese di cooperazione, per Epicuro il problema centrale non
duale nei confronti delle passioni, essa rendeva irrilevante anche è la cooperazione, bensì la protezione. Paradossalmente egli
il problema della sua rimozione. Come avrebbe detto Seneca, consentiva l’attività politica solo nei casi in cui, se si rimane
pochi sono schiavi per necessità, i più lo sono volontariamen­ fuori dalla politica, questa protezione non è assicurata. Detenere
te e nessuna schiavitù è più vergognosa di quella volontaria. il potere diventa una condizione positiva, quando esso è l’unico
L’unica cosa che all’uomo non può essere tolta è l’anima, e in mezzo per ottenere sicurezza e liberarsi dal timore di danni
essa la ragione. Lo stesso ex schiavo Epitteto sarebbe arrivato possibili provenienti da altri uomini. Ma in generale la vera
a dichiarare che di per sé l’affrancamento può essere soltanto fonte di sicurezza per Epicuro non è la politica, bensì l’ami­
un mutamento della forma di dipendenza: anche diventando cizia48. L’unico porto in cui approdare al riparo era la scuola,
senatore, si sarebbe pur sempre trattato di uno schiavo che va che diversamente dall’Accademia e dal Liceo non operava in
in senato46. Il vero affrancamento è solo quello interiore. luoghi pubblici come i ginnasi, ma in un giardino appartato,
Se la strada percorsa dallo stoicismo consisteva soprattutto dove si rifugiavano i membri della scuola legati tra loro da
nella riduzione del politico a metafora del sapiente, la posizione vincoli ancor più stretti di quelli esistenti nelle altre scuole.
82 I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL’IMPERO 83

Erano questi legami che assicuravano la vera autosufficienza, nuova figura di filosofo, non più radicato nella scuola, ma una
che la città non era in grado di garantire. Ciò significava non sorta di «cappellano di casa», con il quale conversare o viag­
tanto rompere i legami con la città alla maniera cinica, quanto giare, un consolatore nei lutti o una sorta di «confessore» nel
non ricercare nella città ciò che soltanto l’amicizia poteva dare. momento del suicidio ancora nel I secolo d.C.49 A Lucullo si
Scrivendo un’opera intitolata Che presso di noi c’è maggiore legò un importante esponente della scuola platonica, Antioco
ragione di essere felici che non partecipando alla vita politica, di Ascalona, un vero e proprio filosofo di casa, ma non per
Metrodoro era in perfetta sintonia con il maestro Epicuro. Sol­ questo suo consigliere politico. Ben presto il risvolto patetico e
tanto nel I secolo a.C. a Roma l’epicureismo avrebbe avuto un sordido di questa figura sarebbe diventato il filosofo parassita
sussulto di attivismo politico, non in vasti ceti popolari, come che popola le case dei potenti negli scritti di Luciano, i quali
talvolta si è pensato, ma presso membri delle classi superiori, tracciano un quadro impietoso di questo desolante servilismo.
in parte favorevoli e in parte ostili a Cesare. Ma si trattò di Tutti questi fenomeni, uniti anche all’apertura di scuole filoso­
una fiammata di breve durata, che non a caso si era accesa in fiche, contribuivano a fare di Roma stessa un rilevante centro
un momento di grave insicurezza. Con Ottaviano le minacce di attività filosofica, in sempre più forte concorrenza non solo
si sarebbero diradate allo sguardo di questi nobili epicurei e con Atene, ma anche con Rodi - dove Panezio era nato ePo-
la politica sarebbe quindi rientrata nell’ombra. sidonio dirigeva un importante centro di insegnamento della
filosofia stoica - o Alessandria. Lucullo metteva la propria
biblioteca a disposizione di chiunque e «la sua casa era un
7. I filosofi e il potere a Roma po’ il focolare e il pritaneo di tutti gli Elleni che giungevano
a Roma». Quando lo scolarca dell’Accademia platonica, Filone
Soltanto a partire dalla fine del II secolo a.C. la filosofia di Larissa, a causa della guerra mitridatica, dovette allontanarsi
greca aveva cominciato a essere guardata con minor sospetto da Atene, si rifugiò appunto a Roma50.
a Roma. Prima le resistenze non erano mancate: basti pensare La filosofia come forma di vita legata alla scuola e all’in­
al caso emblematico di Catone il Censore che, pur non igno­ segnamento non poteva competere con il modello di una vita
rante di cultura greca, scorgeva in essa un potenziale pericolo impiegata al servizio della grandezza e della potenza di Roma.
per i valori che stavano a sostegno delle istituzioni e della Nella migliore delle ipotesi le dottrine filosofiche potevano essere
società romana. Nel II secolo a.C. in ben due riprese si erano soltanto un ingrediente di questa vita. Nasceva allora un’ulte­
avuti decreti di espulsione di filosofi da Roma, soprattutto di riore figura di filosofo, quella del nobile cittadino romano che
epicurei. Ma nello stesso periodo lo stoico Panezio si legava a un certo punto decide non solo di leggere libri di filosofia e
a Scipione, che lo sceglieva come accompagnatore nella sua di filosofare per organizzare la propria condotta o per amore
missione in Oriente. E nel I secolo a.C. epicurei come Sirone e dello studio, ma anche di scrivere di filosofia, soprattutto per
Filodemo potevano ormai svolgere indisturbati la loro attività i ceti elevati e colti ai quali appartiene egli stesso. Anche se
nelle ville di campagna di nobili romani, Filodemo in quella di costretto a ritirarsi dalla scena politica e a rifugiarsi nella filoso­
Lucio Calpurnio Pisone, suocero di Cesare, a Ercolano, dove fia, Cicerone continuava a considerare la politica la dimensione
portava da Atene anche la sua biblioteca. Gradualmente la fondamentale, sulla linea di quella connessione tra eloquenza e
filosofia divenne un ingrediente importante nell’educazione filosofia che egli aveva sempre teorizzato, in particolare nello
di membri dei ceti superiori. La visita alle scuole filosofiche scritto Sull’oratore. Nell’opera Sulla repubblica egli aveva soste­
ateniesi da parte di funzionari stabili o di passaggio e il sog­ nuto che le leggi realizzano in grande ciò che la filosofia limita
giorno prolungato in esse per la propria formazione retorica e a pochi destinatari: le leggi hanno detto a tutti ciò che i filosofi
filosofica divennero abituali. Già con Emilio Paolo era inoltre hanno detto a pochi. Mentre condannava l’epicureismo per il
iniziata la pratica di avere in casa un filosofo personale o per suo disimpegno politico e i filosofi che, sotto la dichiarazione
l’educazione dei propri figli. Ciò portava alla diffusione di una di disprezzo per le cariche politiche, celavano in realtà le loro
84 I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 85

paure, Cicerone, in quel breviario del gentiluomo intitolato Sui Nello scritto Sull’ira Seneca presenta l’ira come incompatibile
doveri, non condannava i filosofi che si erano ritirati a vita privata con un corretto uso del potere: ai suoi antipodi sta appunto la
perché non avevano potuto tollerare la condotta di popoli o clementia. Nelle sue tragedie, per esempio nel Tieste, il furor
capi. Infatti l’ideale di questi filosofi - ed è inevitabile pensare compare sempre come caratteristica del tiranno. Rientrato
a Cicerone stesso - coincideva con quello dei re e consisteva dall’esilio nel 49, Seneca diventa precettore di Nerone, nono­
nel non essere soggetti a nessuno. L’unica differenza era che, stante la madre di Nerone, Agrippina, tentasse di distogliere il
mentre il ritiro filosofico era la via più sicura per realizzare figlio dalla filosofia, incompatibile ai suoi occhi con il futuro
questo obiettivo, la vita politica era più utile, più prestigiosa rango di imperatore. Del resto, lo stesso Nerone mostrò pre­
e dimostrava una capacità di disprezzo delle cose umane e di dilezione per le arti più che per la filosofia: Tacito racconta
imperturbabilità superiore a quella dei filosofi stessi51. che si sarebbe poi divertito ad assistere dopo cena a zuffe
La pace di Augusto fu anche una pace filosofica. Il principe dottrinali tra filosofi52. Senza arrivare al punto di Trimalcione,
si attorniò di aristotelici quali Senarco e Nicola di Damasco, che nel suo epitaffio funebre tra i suoi titoli di onore voleva
dell’accademico Nestore e di stoici come Ario Didimo di Ales­ inserire «nec umquam philosophum audivit» (non ascoltò mai
sandria, che scrisse anche una consolazione per la moglie di le lezioni di un filosofo)53, il punto di vista di Agrippina non
Augusto stesso, Livia, per la morte del figlio Druso, e Atenodoro doveva essere raro tra le classi elevate. Anche il suocero di
di Tarso, che Augusto nominò governatore della sua città. Il Tacito, Agricola, fu dissuaso dalla madre in giovinezza da un
geografo Strabone dice che Tarso era in quell’epoca una delle eccessivo impegno nella filosofia, di cui si era appassionato54.
città più ricche di filosofi, e Tarso era la patria anche di san All’accesso di Nerone al potere Seneca scrive Sulla clemenza, un
Paolo. Se si eccettua l’epicureismo, le grandi scuole filosofiche vero e proprio speculum principis, continuatore di una lunga
ateniesi sembravano dunque rappresentate presso il principe. tradizione di trattati ellenistici sulla regalità: la clemenza è
Ma non infrequenti simpatie per l’epicureismo affioravano nella una variabile dipendente del potere e perciò è tanto più am­
cerchia di Mecenate, in Virgilio come in Orazio, dove l’epicu- mirevole quanto maggiore è il potere di chi la manifesta. Il
reismo riprendeva il suo aspetto più consueto di filosofia del problema non è quindi di porre limiti oggettivi, istituzionali,
ritiro dai subbugli del mondo, in cenacoli più sicuri di pochi al potere, ma la capacità di autolimitazione del detentore
amici. Ma sotto l’impero, specialmente da Nerone ai Flavi, si stesso del potere. Con questo scritto Seneca si candidava a
generò uno scontro fra il potere e la filosofia, soprattutto stoica. consigliere del principe. Tale collaborazione durò sino al 62,
Lo stoicismo poteva essere mobilitato, secondo le circostanze, quando con l’uccisione di Burro, che aveva affiancato Seneca
per giustificare sia l’abbandono al corso provvidenziale del nella difficile posizione di consigliere, la clementia di Nerone
mondo, sia lo sforzo morale dell’individuo, il ritiro dalla vita si dissolse nelle nebbie. A Seneca, come ad altri membri delle
politica o l’impegno in essa. La vicenda di Seneca è emble­ élite simpatizzanti per lo stoicismo, si pose, almeno teorica­
matica in questo senso. Nel pieno dei suoi successi oratori, mente, l’alternativa tra la lotta al potere o il ripiegamento.
esiliato in Corsica da Claudio nel 41 d.C. per un sospetto Non sappiamo sino a che punto la prima via fu imboccata
adulterio, vi rimase otto anni. Ciò lo costrinse agli studi filo­ e se la congiura dei Pisoni, scoperta nel 65, ne fu l’esito, né
sofici già coltivati in giovinezza, ma il problema dei rapporti se Seneca ne fosse al corrente; di fatto fu accusato di farne
tra filosofia e potere non scomparve. Durante l’esilio scrisse parte. Ma se è vero che la cerchia dei Pisoni aveva tendenze
probabilmente anche la Consolazione a Polibio, indirizzata al epicuree, avremmo una smentita della corrente identificazione
potente liberto dell’imperatore, Polibio, al quale era morto dell’intera opposizione a Nerone con lo stoicismo. Di fatto
il fratello. L’uso della filosofia a scopo consolatorio era tra i negli scritti di Seneca non compare esplicita giustificazione
più diffusi, ma scopo di Seneca era anche ottenere appoggio del tirannicidio né una teoria della superiorità delle forme di
per rientrare dall’esilio, introducendo un’esplicita adulazione governo aristocratico o addirittura democratico. Il vero eroe
dell’imperatore dotato della clementia, la prima delle sue virtù. della cosiddetta «opposizione stoica» al principato fu Catone,
86 I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL’IMPERO 87

più che Bruto il tirannicida. Ma non si è sottolineato abbastanza Forse più che di opposizione stoica al principato è corretto
che lo stoico Catone è un eroe perdente sul piano politico, parlare di autodifesa. Che cosa poteva offrire lo stoicismo ai
anche se vittorioso sul piano morale. Catone aveva insegnato membri del ceto senatorio ormai orfani di potere? La mossa
a non temere un potere superiore55, non come abbatterlo. Più di partenza di Seneca consiste nel richiamarsi a un tema tipico
che fornire programmi di azione, lo stoicismo poteva insegnare della tradizione stoica: riconoscere che contro la fortuna è im­
che cosa non si doveva fare e temere. Un interessante elenco possibile lottare; neppure i Cesari hanno la sorte nelle proprie
è dato da Seneca56: non tradire l’amicizia, anche a costo della mani59. Lo sbocco sembrerebbe l’accettazione fatalistica degli
vita, non pronunciare parole di cui doversi vergognare, non eventi. In realtà lo stoicismo consente di ritrovare una sfera
piangere, non supplicare, e così via, in un iterarsi di negazioni. d’azione non nella fortuna, ma nell’atteggiamento verso di essa,
Persi i compiti di cittadino - egli dice57 - si tratta di esercitare attraverso una meditazione che consente di eliminare 1errore di
quelli di uomo. In una situazione d’impotenza politica, Yotium attribuire valore a ciò che dipende dalla fortuna. L ossessione
e la filosofia diventano per Seneca, come già per Cicerone, aristocratica di evitare ogni forma di dipendenza, lasciando
la via di ripiego, ma senza cedere alle lusinghe del «vivere scoperti punti deboli, porta a espungere dalla propria sfera
nascostamente» degli epicurei. La perdita di spazio politico di controllo le cose e gli eventi. In tal modo la dignitas viene
poteva essere compensata, anche per Seneca, dall’esercizio di salvaguardata e il dominio dei valori si trova completamente
un insegnamento anche per le generazioni future58, non solo spostato dall’esterno all’interno, nell 'animus e nella ratio, da
con l’esemplarità del proprio comportamento, ma soprattutto, cui dipende la valutazione delle cose: la radice del bene e del
come già per Cicerone, scrivendo di filosofia. male non è fuori, ma dentro di noi. L’interiorità di Seneca non
Se l’aristocrazia senatoria, tra Nerone e Domiziano, si è tanto la coscienza o la soggettività degli spiritualisti moderni,
opponeva all’arbitrio del potere imperiale, ciò non dipendeva quanto il luogo in cui si combatte contro gli assalti di tutto
fondamentalmente dal fatto che i suoi membri fossero stoici, ciò che è esterno per la salvaguardia della propria libertà. Le
anche se lo stoicismo poteva fornire un supporto teorico più ade­ Lettere di Seneca sono scandite con insistenza dall’obiettivo
guato al loro atteggiamento. Non si può sottovalutare l’esistenza di diventare suutn, di habere se, esser padrone di se stesso. In
di valori, credenze e in generale di un éthos aristocratico pre­ questa prospettiva la distinzione giuridica tra libero e schiavo
filosofico tra i ceti superiori della società romana, né è sempre tende a diventare irrilevante. In molti passi Seneca accenna
necessario scorgere filosofie implicite dietro le manifestazioni alla schiavitù come a un dato di fatto, talora pericoloso per i
di attaccamento a valori o regole di condotta. Si è giustamente padroni. Ma il massimo che raccomanda è trattare umanamente
osservato che, quando uno degli esponenti più notevoli dell’op­ gli schiavi, senza darli in pasto alle murene, come faceva Vedio
posizione a Nerone, Trasea Peto, smise di frequentare il senato, Politone60. Anche agli schiavi la virtù non è preclusa, ma ciò
nonostante la riprovazione dell’imperatore, questo dipese dal non richiede che lo schiavo sia necessariamente liberato: la
fatto che egli aveva già giudicato corrotto il governo secondo condizione giuridica riguarda soltanto il corpo dello schiavo, è
criteri propri della tradizione senatoria, prima che stoica. La la sorte che lo ha reso schiavo e con la sorte, come sappiamo,
reazione di Nerone e poi di Vespasiano e soprattutto di Do­ non si interferisce. Analogo discorso si può fare per 1 atteg­
miziano fu dura: la condanna a morte non fu lesinata e Seneca giamento del milionario Seneca nei confronti della ricchezza:
non fu l’unica vittima. Vespasiano nel 74 e Domiziano nell’89 nessuno ha condannato la sapienza alla povertà. Si tratta di
e nel 95 intervennero con misure di espulsione dei filosofi da disprezzare le ricchezze, non di rinunciarvi, anzi è grande chi
Roma e anche dall’Italia. Queste colpivano non solo i membri sa essere povero nella ricchezza. Seneca invita sé e Lucilio a
delle classi alte, ma anche filosofi professionali di scuola, come compiere l’esperimento mentale di immaginarsi una vita sotto
Musonio Rufo, cavaliere di Volsinii in Etruria, a capo di una un ponte e a recitare per alcuni giorni la parte del povero, per
scuola stoica, frequentata fra gli altri da Epitteto, quand’era saggiare se si sarebbe in grado di tollerare la povertà, qualora
ancora schiavo del liberto di Nerone, Epafrodito. sopraggiungesse improvvisamente. Ma è chiaro che il vivere
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come se si fosse poveri richiede di essere ricchi: ancora una metafora rimane anche in questa nuova situazione politica.
volta il problema è essere padroni di sé nelle ricchezze e non Epitteto rifiutava invece il suicidio come dimostrazione al
schiavi di esse61. Anche il suicidio diventa in questa prospettiva tiranno che egli non ha potere su di noi, anche se ce 1 ha sul
la suprema affermazione della propria libertà, com’era stato nostro corpo e i nostri beni, e invitava ad attendere dalla di­
in Catone Uticense, la volontà di non cedere al dominio delle vinità il momento della morte65. Nell’attesa diventa opportuno
passioni, specie al timore. Il suicidio sarebbe stata la conclu­ ritirarsi, anachoréin, dalla propria patria66, per non far subire
sione per Seneca, ma nel clima di sospetti e delazioni - quale agli insegnamenti appresi nella scuola filosofica 1 influenza
emerge drammaticamente dalle pagine di Tacito - l’imperativo negativa degli usi e delle tradizioni che dominano i più.
era quiescere e parlare pochissimo con altri62. Il filosofo non è
un ribelle. Ma forse nulla costringeva anche a scriverlo. Eppure
ciò avviene nell’epistola 73, un vero e proprio breviario di 8. Il filosofo collaboratore del principe e l’imperatore filosofo
obbedienza del filosofo al potere in cambio dell’assicurazione
della pace sociale, che sola può garantire la possibilità della L’avvento di Nerva e Traiano —quando, secondo Tacito67,
vita filosofica. Nessuno più del filosofo, afferma Seneca, è ritornò possibile pensare come piace e dire ciò che si pensa -
ossequente verso le autorità che gli permettono di godere di sembrò epoca di felicità anche ai filosofi. La pratica del suicidio
una vita serena. Pur dichiarando l’intenzione di essere utile non scomparve, ma ora il movente non era il contrasto o la
all’umanità futura con i propri scritti, Seneca ribadisce che «la protesta verso il principe, bensì la malattia o la stanchezza della
verità bisogna dirla solo a chi è disposto a intenderla» e che vita. Così fu per lo stoico Eufrate, che bevve la cicuta dopo
non c’è alcuna utilità a rimproverare i sordi o i muti. Contro aver chiesto il benestare di Adriano68. Documento prezioso di
la pretesa cinica di predicare a tutti quelli che incontravano, questo mutamento di situazione è la vita di Dione, colto e be­
Seneca nel suo ritiro rivolgeva le sue attenzioni ai pochi filosofi nestante cittadino di Prusa in Bitinia, che conobbe il momento
del futuro63. dell’esilio, ma poi anche quello del ritorno e dell’integrazione.
Prospettiva per molti versi analoga si può trovare anche La sua attività è anche segno della ripresa della riflessione fi­
nelle Diatribe di Epitteto, che pur provenendo da un ex schiavo losofica nelle province d’Oriente, mentre per buona parte del
sono uno specchio dei bisogni e delle aspettative dei ricchi e I secolo d.C. Roma era parsa il principale centro di attrazione.
nobili frequentatori della sua scuola, non il documento di una Esiliato da Prusa sotto Domiziano, Dione abbracciò la strada
diffusione della filosofia tra i ceti popolari. Anche Epitteto parte del cinismo, itinerando per le città, denunciando i mali della
dalla dicotomia tra ciò che dipende e ciò che non dipende da società e contrapponendo al tiranno la figura di Diogene69. Ma
noi. La prima sfera, la sfera della libertà, è identificata con ciò si accompagnò a insoddisfazione per le folle e gli adulatori
l’uso corretto delle rappresentazioni delle cose: solo in questo di folle e di tiranni, sofisti o uomini divini che pretendono di
uso è la matrice del bene e del male. Riprendendo un termine saper parlare di tutto. Egli dava però un’interpretazione attiva
aristotelico Epitteto denomina prohàtresis la pre-scelta deci­ dello stoicismo e del cinismo: la filosofia non può rinchiudersi
siva che consente di valutare correttamente le cose, in primo nella sola interiorità. In questa prospettiva egli innestava temi
luogo di determinare se dipendono o no da noi, e di agire propri della tradizione politica platonica, una concezione
conseguentemente. Su tutto ciò che è esterno si può stendere divina della regalità. Il monarca che mira a realizzare il bene
una patina uniforme di indifferenza. Nella zona compieta- è paragonato al sole che non può deviare dal suo corso, così
mente franca deH’interiorità il mondo esterno non può avere come alla città celeste è equiparato nel Boristenitico il modello,
influenza, neppure il tiranno64. L’operazione era rassicurante, mai realizzato né realizzabile, ma pur sempre modello della
perché apriva un territorio in cui si è integralmente padroni. Repubblica platonica. Tornato in patria nel 96 sotto Nerva,
Torna anche in Epitteto la dicotomia padrone-schiavo, che Dione si afferma come uno dei sostenitori più cospicui nella
lo stoicismo originario aveva trasformato in una metafora, e teoria e nella prassi della collaborazione delle élite provinciali
90 I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL’IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 91

con il principe. Egli mobilita le più antiche tradizioni greche e (e specificamente anche filosofica) che percorre le province
romane per documentare l’esistenza del filosofo consigliere del greche dell’impero nel II d.C. non può diventare strumento
principe, se questi comanda sugli altri, è pero dalle élite colte, di opposizione politica o addirittura militare a Roma. Plutarco
anche sul piano filosofico, che riceve prescrizioni e consigli70. considera esiziale agitare davanti agli occhi delle moltitudini
In questo tentativo di far rivivere il connubio platonico tra cittadine la gloria di Maratona. Modello riproponibile per il
filosofia e politica, Dione non dovette però aver sempre vita politico cittadino del presente è invece il legame di amicizia
facile. Verso il 110, quando Plinio il Giovane era governatore di un Polibio o un Panezio con Scipione per i vantaggi che
della Bitinia, subì un accusa di malversazione per opere edilizie essi avevano saputo derivarne per la loro comunità: Ario Di­
pubbliche. dimo aveva potuto ottenere da Augusto che Alessandria, la
Il tema della collaborazione è reperibile anche in Plutar­ sua città, fosse risparmiata. Ciò che invece non doveva essere
co, dove diventa oggetto di esercitazione retorica, come nello delegato ai Romani erano le magistrature cittadine, erano i
scritto Un filosofo deve discorrere soprattutto con gli uomini al conflitti tra notabili che facevano intervenire i Romani anche
potere. Influire sui detentori del potere significa essere utili a in faccende che non erano di loro competenza. Era dunque la
molti, ossia filosofare nell’interesse comune. In questo senso stàsis interna ciò che il vero filosofo politico deve eliminare e lo
il filosofo non deve temere di essere chiamato «cortigiano». strumento era, come aveva insegnato Platone, la paidéia, 1 edu­
Plutarco attacca stoici ed epicurei, quando hanno praticato cazione. Ponendosi in uno dei suoi ultimi scritti la questione
una vita di ritiro, senza contribuire a beneficare gli uomini, Se un vecchio deve svolgere attività politica, Plutarco ravviserà
e a essi contrappone il modello platonico. A più riprese egli nell’educazione dei giovani, soprattutto filosofica, il supremo
celebra la bontà del presente: l’impero di Roma assicura pace compito politico dei vecchi. Improponibile ormai il quadro
e sicurezza. Il suo problema è ritagliare, all’interno di questo utopico della pòlis platonica nella sua integralità, rimaneva in
impero pacifico, lo spazio appropriato per un’azione politica, piedi il suo orizzonte pedagogico adattato ai nuovi tempi.
conforme alle sue convinzioni filosofiche, che non venga a La collaborazione del filosofo con il principe era 1 altra
contrasto con i dominatori. L orizzonte di Plutarco, vissuto faccia del mutato atteggiamento del principe verso il filosofo.
per gran parte della sua vita —tranne soggiorni ad Atene e Forse già nella seconda metà del I secolo a.C. le grandi scuole
Roma —a Cheronea in Beozia, è un orizzonte prevalentemente ateniesi avevano cessato la loro attività. A eccezione forse dello
locale, cittadino. Nei Precetti politici egli teorizza esplicita­ stoicismo, le notizie sull’esistenza di scolarchi di queste scuole
mente la collaborazione degli amministratori locali, non dei in età successiva non sono affatto sicure. Ormai 1 insegnamento
soli filosofi, con il potere romano. Chi esercita l’attività po­ della filosofia si diffondeva nelle parti più diverse dell’impero,
litica in Grecia deve imitare gli attori, ossia fingere di avere soprattutto in Oriente, ma anche nella stessa Roma. Il rinato
una funzione che non è la sua, ma appartiene ai funzionari favore degli imperatori, da Adriano a Marco Aurelio, ne avrebbe
romani. I beni di cui una pòlis può godere sono la pace, la consentito il proliferare indisturbato. Lo stesso epicureismo,
libertà, la prosperità, la popolosità e la concordia. Le prime non di rado guardato con sospetto, trovava ora appoggio in
due dipendono dai Romani, le altre due dalla divinità. Dal alta sede, nella vedova di Traiano, Plotina, la quale scriveva
politico cittadino dipende soltanto la concordia, la homónoia a Adriano per chiedergli che la scuola epicurea potesse sce­
tra i membri della comunità, ossia la pace sociale interna gliersi come scolarchi anche cittadini non romani; e Plotina si
alla città71. La riscoperta dello spazio cittadino come proprio dichiarava adepta dell’epicureismo, che quindi continuava a
dell’azione politica consente di riproporsi il problema da cui godere di qualche favore anche a corte: la risposta di Adriano
era partito Platone per costruire il modello di una città giusta: alla richiesta di Plotina fu positiva72.
il problema del conflitto, concepito come malattia della città. Sotto Marco Aurelio si arrivò all’istituzione ad Atene - non
Ma la prima cosa di cui occorre prendere atto è che la Grecia solo per amore di arcaismo —di cattedre lautamente stipendiate
antica è tramontata: il senso della superiorità culturale ellenica per l’insegnamento delle quattro grandi correnti filosofiche,
92 1 FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 1 FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 93

la platonica, l’aristotelica, la stoica e anche l’epicurea. Ciò ognuno ha un posto assegnato, da cui nascono i doveri legati
nonostante Atene rimase in primo luogo un grande centro di al proprio status. Per Marco Aurelio è quello di romano e di
istruzione retorica, piu che filosofica. Marco Aurelio affidò imperatore75. Egli può quindi assorbire, in chiave etica per la
al ricco ateniese Erode Attico, amico di retori e filosofi, un formazione di sé, i precetti della tradizionale trattatistica sulla
intellettuale egli stesso, il compito di scegliere i cattedratici. In regalità, già reperibili per esempio in Dione di Prusa. A ciò
seguito questo compito sarebbe toccato ai m igliori cittadini. lo soccorrevano anche il modello del padre Antonino e 1 inse­
I requisiti per la successione a tali cattedre non dovevano ri­ gnamento di Claudio Severo, forse un peripatetico, che aveva
chiedere, stando a Luciano, un esame del tipo di vita condotto fatto conoscere a lui imperatore la grandezza delle vittime della
dai candidati; ciò che contava era piuttosto la loro competenza persecuzione imperiale, di Trasea Peto, Elvidio Prisco, Catone e
professionale di insegnanti della filosofia in questione73. A addirittura di Bruto il tirannicida. Da Severo egli aveva appreso
una di queste cattedre fu probabilmente chiamato dopo il una concezione dello stato, rispettoso della libertà dei sudditi
198 Alessandro di Afrodisia, il commentatore delle opere di e insieme trasparente verso di essi, non rinchiuso negli arcana
Aristotele, sotto Settimio Severo e Caracalla. L’imperatore imperiilb. Ma neppure su questo piano politico Marco Aurelio
Marco Aurelio non teorizza però una saldatura stretta tra indulgeva alle forme ostentate e trionfali dello stoicismo tra­
filosofia e politica. Certo egli svolge con cura le sue attività dizionale. Egli raccomandava a se stesso di «non sperare nella
di governo, ma il suo termine di riferimento è il cosmo intero repubblica di Platone», ma di accontentarsi anche di progressi
nella sua eterna vicenda, di fronte al quale il piccolo mondo minimi e piccoli risultati77. Non è improbabile che su questa
umano con la sua storia appare inconsistente e futile. Come linea dei piccoli passi, più che di radicali mutamenti, si asse­
le parole che cadono in disuso - egli dice - anche i nomi dei stasse anche la sua azione di governo. In seguito gli sarebbe
celebri personaggi del passato, persino un Catone o Augusto, stato attribuito un potere taumaturgico per aver ottenuto con
Adriano o il suo stesso padre Antonino, diventano antiquati, le sue preghiere una pioggia miracolosa, che aveva ristorato
destinati a cadere nell oblio. Le pagine di Marco Aurelio sono le sue truppe messe in difficoltà dai Quadi in Moravia forse
anche il documento della solitudine dell’imperatore in mezzo verso il 173. Ma di fatto egli era grato a Diogneto per avergli
alla sua corte, dove sa di poter trovare difficilmente amici, insegnato a diffidare degli impostori che si vantavano capaci
ma solo dissimulazione. Seneca e gli altri stoici, costretti a di esorcismi e incantesimi78.
ritirarsi dalla vita politica, avevano dovuto giustificare questo
ritiro. Marco Aurelio, invece, sa di non poter vivere la sua
vera vita con gli altri e ciò che deve legittimare, in primo 9. I filosofi tra la scuola e il cielo
luogo davanti a se stesso, è la necessità di non isolarsi dagli
uomini. Egli si consola con il pensiero che, dove è possibile Anche fuori Atene si assisteva a una professionalizzazione
vivere, lì è anche possibile vivere bene, e tale era la corte, della crescente dell’insegnamento filosofico, distinto dalla condotta
quale esortava se stesso a non irritarsi. Un supporto teorico privata. Ciò attirava sovente sui filosofi la cattiva fama di
a questo atteggiamento era da lui ritrovato nella tesi stoica essere tutt’altro che fedeli al disprezzo delle ricchezze da essi
della sympàtheia, della comunanza organica fra tutte le parti proclamato. Non può sfuggire l’ironia nel decreto di Antonino
dell’universo e, quindi, anche degli uomini tra loro, per difettosi Pio, che escludeva i filosofi da immunità fiscali e si dichiarava
o malvagi che siano. Di qui il riconoscimento della necessità sicuro che i filosofi ricchi avrebbero provvisto volontariamente
di avere collaboratori74. Chi si allontana o separa da questa assistenza finanziaria alle loro città, perché, se avessero recri­
totalità organica è come un ascesso o un membro amputato: minato sulle reali dimensioni dei loro beni, avrebbero mostrato
ciò vale su scala cosmica, ma anche sul piano più ristretto «manifestamente di non essere filosofi»79. Anche nei secoli
della convivenza sociale e politica. Secondo una concezione successivi raramente i filosofi avrebbero goduto di quelle im­
già dell’antico stoicismo, nell’ordinamento cosmico e politico munità fiscali, di cui godevano invece i maestri di ginnastica, di
94 I FILOSOFI N ELLE CITTA E NELL'IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL’IMPERO 95

retorica e di medicina. Quando queste esenzioni ebbero luogo, corrispondenze con gli insegnamenti pitagorici. Ciò rispondeva
furono limitate a coloro che insegnavano pubblicamente filo­ a un crescente interesse delle stesse classi colte per il pitagori­
sofia; così per esempio nell’editto di Valentiniano I del 36980. smo e il vegetarianesimo, come già nel giovane Seneca e poi in
Non era tuttavia cessata del tutto la consuetudine dei potenti Plutarco, il quale, in vari scritti sull’intelligenza degli animali
di circondarsi di filosofi. Nel III secolo d.C. Zenobia, regina e sul cibarsi di carne, polemizzava con gli stoici che negavano
dell importante centro di Paimira in Siria, aveva avuto come suo agli animali il possesso di intelligenza. Dietro il problema del
filosofo personale il platonico Longino, ma nel 272 l’imperatore vegetarianesimo emergeva anche la preoccupazione per il destino
Aureliano si era impadronito della città e aveva messo a morte dell’anima e un forte orientamento religioso. Plutarco, per oltre
anche Longino. Essere presenti sulla scena pubblica continuava vent’anni sacerdote del santuario delfico di Apollo, ebbe due
a essere non sempre sicuro neppure per i filosofi. obiettivi polemici: la superstizione e l’ateismo, rappresentato in
L insegnamento continuò a essere il modo prevalente di particolare dall’epicureismo. Ma anche lo stoicismo, escludendo
vita filosofica. Ma già da tempo si erano affacciate all’orizzonte l’immortalità, si privava di un supporto fondamentale per la tesi
figure meno tradizionali di filosofo, le quali avevano alle spalle dell’esistenza di una provvidenza divina. Questa era molto meglio
un tipo diverso di esperienze. Agli inizi del I secolo d.C. l’ebreo fondata in una prospettiva platonica, che proiettava nell’aldilà
Filone di Alessandria descriveva, in uno scritto Sulla vita con­ la retribuzione adeguata dei buoni e la punizione dei malvagi.
templativit, l’esistenza condotta in Egitto, soprattutto intorno Ma per il platonismo di quest’epoca il problema cruciale era
ad Alessandria, da una comunità di terapeuti. Per giungere alla sfuggire al disordine del mondo, ritrovando una saldatura fra
visione dell’essere supremo, essi lasciavano i propri beni a figli, divino e umano già in qualche modo durante la vita. Di qui
parenti o amici, ma senza recarsi in un’altra città, come avevano l’interesse di Plutarco per i misteri egizi e la preoccupazione per
fatto i filosofi meteci nell’Atene di età ellenistica, che si erano la decadenza dell’oracolo di Delfi. L’innesto del platonismo su
limitati a cambiar padrone. Essi andavano invece fuori dalle queste tradizioni religiose poteva contribuire a vivificarle anche
città colme di frastuono a cercare la solitudine. La vita filosofica agli occhi di un pubblico colto. Il recupero delle tradizioni
era sempre stata un fenomeno urbano; anche i cinici itineranti demonologiche, già presenti nella prima Accademia platonica,
non avevano fuggito le città. Queste nuove figure di eremiti in particolare in Senocrate, consentiva di ritrovare l’anello di
emergevano invece in seno alla cultura ebraica e non abbrac­ congiunzione tra divino e umano. Plutarco accenna talvolta,
ciavano l’ideale di una vita eccezionale in un contesto urbano. pur con qualche scetticismo, a un intervento di dèmoni malvagi
Filone descrive questa vita in solitudine, fatta di preghiere e nella vita quotidiana. Ma il modello di filosofo tornava a essere
letture delle Sacre Scritture; solo nel settimo giorno i Terapeuti Socrate, non tanto il Socrate libero e impavido di fronte alle
convitavano insieme. Il quadro filoniano è come un compendio avversità, caro alla tradizione cinica e stoica, quanto il Socrate
dei tratti del filosofo pagano: oltre alla vita comunitaria, la cura guidato dal demone. Non è un caso che qualche decennio dopo,
dell’anima e l’aspirazione a Dio, proprie del platonismo; la nella lontana Africa, un retore-filosofo, Apuleio di Madaura,
theoria aristotelica; la frugalità cinico-stoica, l’amicizia epicurea redigesse una conferenza destinata a un pubblico di lingua latina
e la costanza dello stoicismo. Ma tutto ciò all’insegna di Dio e proprio sul demone di Socrate. Anche Apuleio si proclama a
dello sradicamento dal contesto urbano. Tuttavia anche le città più riprese, nei suoi scritti, filosofo platonico. Ma il platonismo
erano ormai percorse da figure che imprimevano una diversa di Apuleio presenta ormai alcuni tratti inquietanti. Nella sua
curvatura all’identità del filosofo: si trattava di «uomini divini», Apologia di fronte all’accusa di magia, intentatagli nel 158, egli
dotati di poteri taumaturgici, come già nel I secolo d.C. era respinge che gli siano imputabili operazioni magiche, ma non
avvenuto con Apollonio di Tiana, fautore di una ripresa del nega la possibilità della magia. Egli ricorda che in persiano
pitagorismo, anche nella sua componente vegetariana, instan- mago significa sacerdos e presenta se stesso mosso dalla curiosità
cabde viaggiatore per i paesi del Mediterraneo sino alla lontana scientifica di investigare la natura. Come Lucio, il protagonista
India, dove nelle credenze dei Bramani aveva creduto di trovare del suo romanzo, le Metamorfosi, Apuleio non era insensibile
96 I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL’IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 97

alla curiositas anche per operazioni magiche. Non a caso a lui platonica, con la reviviscenza del filosofo-politico al potere.
era condotta una donna epilettica per essere guarita. Anche il Del resto, come si è visto, lo stesso imperatore stoico Marco
demone, di cui Apuleio parla nel Demone di Socrate, partecipa Aurelio, che pure avrebbe potuto dare maggiore consistenza
a tutto curiose, scruta tutto e penetra nell’intimo dei pensieri al sogno platonico, aveva invitato se stesso a non sperare nella
senza che nulla gli sfugga. Alla natura del demone appartiene repubblica di Platone. Il Platone di Plotino era essenzialmente
quell’esercizio della curiositas, che può essere pericolosa per un Platone senza politica, e la città alla quale egli guardava era
l’uomo, come mostravano le disavventure di Lucio tramutato in piuttosto rifugio del filosofo e dei suoi pochi compagni, una
asino. Il mago pretende di accedere direttamente al divino, anzi sorta di monastero o convento pagano, com’è stata chiamata82.
di agire su esso, scavalcando l’universo dei dèmoni, intermedi Certamente anche in Plotino e nei successivi neoplatonici sono
fra gli dèi e gli uomini, immortali come i primi, ma soggetti alle reperibili temi politici, ma è difficile trovare argomentata la tesi
emozioni come i secondi, interpreti per gli dèi delle preghiere platonica che i filosofi devono ridiscendere nella caverna, per
umane e apportatori di doni dagli dèi agli uomini. Per n o mini mettersi al servizio del mondo comune degli uomini, se non altro
che non riuscivano a rimanere soli con se stessi, come avevano per una costrizione morale. Ridiscendere dopo che si è saliti
preteso gli stoici del I secolo d.C., la certezza della presenza dei in alto comporterebbe, nell’universo gerarchico neoplatonico,
dèmoni dava la rassicurazione di non sentirsi abbandonati in una regressione e una degradazione. In Plotino la distinzione
un universo ostile. Il culto del demone diventava per Apuleio, tra il filosofo e i più si configura come distinzione tra una vita
sulla falsariga di Socrate, «philosophiae sacramentum»81. Il proiettata verso l’alto e una verso il basso. Quest’ultima, a sua
termine filosofo cominciava a essere associato a quelli di mago e volta, si articola in due tipi: la folla di poco conto degli artigiani
astrologo, nonostante i frequenti divieti imperiali di tali pratiche. manuali e, superiore a essa, la vita dei politici, che conservano
In questo panorama affioravano allora personaggi indecifrabili, ancora il ricordo di qualche virtù. Sopra i politici, però, si
dove i confini tra la sincerità e la millanteria e l’esibizionismo collocano i filosofi, che non perseguono il potere, lasciando
tendevano a scomparire, come il Peregrino, descritto da Luciano, invece ad altri questa incombenza. Contro gli gnostici, Plotino
che aveva avuto rapporti anche con comunità cristiane ed era riconosce che la disuguaglianza è necessaria al mondo, come
poi passato al cinismo, finché, cacciato dal prefetto di Roma, si lo è la gamma dei colori: le città ben governate non lo sono
era bruciato pubblicamente a Olimpia nel 165, in un estremo su base egualitaria. Infatti non si critica una rappresentazione
bisogno di pubblico e, insieme, per insegnare agli uomini a teatrale per il fatto che in essa non tutti sono eroi: per la bel­
disprezzare la morte. lezza di essa occorre che vi siano anche servitori o contadini83.
Plotino non appartenne a questo tipo di «uomini divini». Nell’eterna vicenda del tutto anche la dicotomia tra il filosofo
Più tradizionalmente egli collegò la filosofia all’insegnamento e i più si perpetua incessantemente. Questo era un motivo per
in una scuola, fondato sull’esegesi della tradizione platonica. non biasimare l’ordine divino del mondo e la sua bontà, come
A Roma, dove giunse dal natio Egitto verso il 244, chiunque volevano gli gnostici, e per ammirarne la bellezza. L’unica via
poteva assistere alle sue conversazioni, non solo filosofi come che conduce a Dio passa attraverso la filosofia; per i più, che
Amelio e Porfirio, o medici, ma anche non pochi membri del non sono filosofi, non sono disponibili vie o anche tecniche
senato, che non esitavano ad affidargli i figli da educare e i rituali alternative. Il messaggio di Plotino non si poneva in
beni da amministrare. Pur senza essere un filosofo di corte, egli concorrenza con movimenti religiosi che intendevano rivolgersi
godette dell’amicizia dell’imperatore Gallieno e della moglie a gruppi sempre più vasti, con spirito «missionario». Anche
Salonina. Con il loro appoggio egli contava di far sorgere una per Plotino la filosofia continua a essere marginale rispetto
pòlis di filosofi, che avrebbe chiamato Platonopoli, retta da alla società nel suo complesso, ma perché è diventata sempre
leggi platoniche. Il progetto era sfumato, anche per l’opposi­ più marginale rispetto allo stesso mondo sensibile. Questo
zione incontrata nella corte imperiale, ma non si deve pensare - sosteneva il suo discepolo Porfirio - è una terra estranea:
che esso fosse pensato come l’incarnazione della repubblica occorre allontanarsi dal luogo in cui si entra in contatto con
98 I FILOSOFI N ELLE CITTA E NELL’IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 99

la folla e, secondo una metafora ripresa dal Fedone platonico, che il problema del rapporto tra il filosofo e la politica fosse
dischiodarsi dal corpo per inchiodarsi a Dio84. affrontato da Giuliano in uno scritto A Temistio filosofo. Questi
Accenti non dissimili da questi si possono trovare nella aveva esortato Giuliano a passare dalla filosofia «al riparo» alla
letteratura ermetica, circolante già nel II secolo d.C., ma qui filosofia «all’aria aperta», tanto più che la divinità gli aveva
l’accesso di una minoranza alla verità divina è presentato assegnato il posto di filosofo-re, destinato a eliminare il male
non soltanto come un dato di fatto, bensì come una norma. dalla terra. Giuliano rispondeva che l’attività del regnare è
Nell’Asclepio si dichiara espressamente la necessità di impedire qualcosa di superiore alla condizione umana e confessava di non
ai più l’accesso alle dottrine sacre85. Ciò presuppone che la essere ancora pervenuto pienamente alla filosofia. Ma il punto
verità sia un dominio privilegiato, al quale il mondo comune decisivo è che per Giuliano la prassi del filosofo consiste, più
degli uomini deve rimanere estraneo. In Giamblico di Cal- che nell’esercizio diretto del potere, nel formare altri filosofi,
cide, che aveva studiato con Porfirio e fondò una scuola ad anche se pochi, e nel mostrarsi come modello di vita: l’esempio
Apamea in Siria, la dicotomia tra i più e i filosofi si sarebbe era Socrate. Garantendo il protrarsi della filosofia, il filosofo
estesa anche al piano cultuale: ai culti e alle pratiche religiose avrebbe beneficato molti uomini più di molti re messi insieme,
popolari si oppongono le pratiche teurgiche, destinate a pochi perché sarebbe stato più persuasivo dei re, che si limitano a
uomini capaci di staccarsi dalla natura, che spinge invece in stimolare a belle azioni per mezzo di decreti. Era così capovolto
basso e alla quale è apparentato il vasto gregge degli uomini86. il punto di vista che abbiamo trovato in Cicerone, secondo
Questo ricorso a pratiche eccezionali diventava necessario cui il politico con le leggi benefica più del filosofo, proprio
per accedere a un pubblico colto, che sempre meno poteva perché con esse raggiunge non pochi individui, ma l’umanità.
rinunciare a esse, ma era al tempo stesso il segno dell’impo­ In un momento in cui la filosofia appariva screditata, Giuliano
tenza crescente della filosofia, nelle sue modalità tradizionali, ravvisava in una filosofia vissuta nella prassi un importante
a competere con più potenti messaggi di salvezza. Il destino strumento di consenso rispetto ai valori e alle tradizioni religiose
della filosofia continuava a essere la marginalità: prima lo era pagane. Ma proprio in quanto il filosofo era un modello, il
stata rispetto alla pòlis e a forme culturali molto più influenti, numero dei filosofi era scarsamente rilevante: l’importante era
come la retorica, e ora, anche quando sembrava ritrovare un che il monopolio della filosofia fosse preservato intatto nelle
sostegno in imperatori come Marco o Giuliano, di fronte al loro mani. Nel giugno del 362 Giuliano emanò un decreto che
cristianesimo, che con la conversione di Costantino entrava vietava l’insegnamento delle lettere classiche ai cristiani. Era
nelle aule del potere. assurdo che commentatori degli autori antichi disprezzassero
Il fatto è che la politica religiosa e culturale dell’impera­ gli dèi che questi autori avevano onorato. I maestri cristiani
tore Giuliano si fondava su presupposti che l’ancoravano alla dovevano scegliere tra la Chiesa o la scuola: o accettavano gli
prospettiva minoritaria dei neoplatonici. Massimo di Efeso dèi degli antichi autori oppure dovevano andare nelle chiese
lo aveva iniziato alla teurgia e per tutta la vita egli avrebbe dei Galilei a commentare Matteo o Luca87. Mario Vittorino
conservato grande ammirazione per Giamblico. Anche per a Roma e Proeresio ad Atene preferirono perdere il posto
Giuliano esistevano verità religiose che dovevano essere ta­ piuttosto che abiurare la fede cristiana.
ciute ai più ed essere rese note solo ai beati teurgi. Fuori di
questo modello occulto di filosofia, che diventava sempre più
dominante nei neoplatonici, c’erano tentativi nel IV secolo di 10. 7 cristiani e la marginalità dei filosofi
collegare la filosofia alla prassi politica. Un caso significativo è
Temistio, che nel 345 aprì una scuola a Costantinopoli, la sede Già nel gennaio del 364 la legge di Giuliano fu abrogata. Il
dell’impero in Oriente, dove avrebbe percorso una notevole cristianesimo era stato capace di quella penetrazione massiccia
carriera politica, dall’ingresso in senato nel 355 alla nomina a che inevitabilmente era sempre stata preclusa ai filosofi, i quali
praefectus urbi nel 384 da parte di Teodosio. Non è un caso in una sorta di logica perversa avevano trovato una garanzia
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di successo proprio nella capacità di rappresentare la vita del cristianesimo sulla filosofia, ma senza rinunciare al prose­
filosofica come una condizione di eccezionalità. Si trattava di litismo verso gli incolti e i ceti più bassi. Nel suo Discorso di
un punto già da tempo avvertito all’interno dello stesso mondo verità, composto verso il 180, il pagano Celso aveva obiettato
pagano. Nell’età di Augusto il geografo Strabone aveva affer­ ai cristiani che, accogliendo gli ignoranti, gli incolti, le donne
mato che la ragione del filosofo non può convincere la massa e gli schiavi, essi si mostravano ostili alla paidéia. In tal modo
delle donne o vili folle e condurle alla pietà, alla purezza e egli esprimeva l’atteggiamento diffuso tra i filosofi, per i quali
alla fede, a meno di ricorrere alla superstizione88. Ben presto la conversione alla filosofia, ossia alla forma più alta di vita,
i cristiani si erano resi conto che questo era il punto debole era sempre un evento destinato a pochi e caratterizzato da un
della filosofia. Certo la predicazione originaria di san Paolo netto distacco rispetto alla vita consueta dei più. Per Origene,
era avvenuta, anche per ragioni di sicurezza, nelle sinagoghe invece, la conversione non faceva distinzioni e il peccatore
o in case private, ma ad Atene si era espressa pubblicamente non era irrimediabilmente malvagio. In tal modo la piccola
nell’Areopago. Negli Atti degli Apostoli egli adduce l’ostilità cerchia della scuola filosofica era infranta e spogliata di ogni
dei giudei ad accogliere la parola di Dio a giustificazione pretesa di superiorità. Deliberatamente i filosofi si erano rivolti
dell’estensione della sua predicazione anche ai pagani e il a pochi, nessuno di essi era riuscito a comunicare la sua verità
Concilio degli apostoli a Gerusalemme sancì che il messaggio a popoli diversi o a gran parte di uno stesso popolo. Origene
evangelico è rivolto a tutti, anche agli éthne, le «genti», non coglieva con chiarezza un segno tangibile di questa ristrettezza
ai soli circoncisi. Le lettere confermano che obiettivo di Paolo d’orizzonte dei filosofi antichi: se avesse voluto portare aiuto
era l’evangelizzazione globale, senza più distinzioni tra Elleno, agli Egizi o ai Siriani, Platone ne avrebbe appreso la lingua, ciò
giudeo o barbaro, tra schiavo o libero: egli si autodefinisce che non era avvenuto. Riprendendo un tema ormai di secoli,
apostolo delle genti89. Questo punto rimase una costante nella Agostino avrebbe ravvisato nella superbia l’ostacolo che impe­
tradizione patristica. A Cristo, avrebbe affermato Giustino diva ai filosofi platonici di diventare cristiani. E la superbia è
nel II secolo d.C., hanno prestato fede non soltanto filosofi, strettamente proporzionale al senso di appartenere a un’élite.
ma anche artigiani e gente comune, disposta addirittura ad Diventare cristiani significava anche annullarsi come minoranza
affrontare il martirio. Per Tertulliano un semplice lavoratore eccezionale per confondersi nella moltitudine indifferenziata
cristiano aveva trovato e fatto conoscere ad altri quella verità del volgo90. Àncora nel IV secolo ad Alessandria il letterato e
sulla divinità, che era ignota o elusa dai filosofi. La capacità filosofo Sinesio accettava con riluttanza di diventare vescovo
di affrontare il martirio dimostrava su vasta scala l’awenuta di Tolemaide, perché ciò significava rinunciare alla quiete
saldatura tra il contenuto di un insegnamento e la prassi, una della vita filosofica.
saldatura che i filosofi erano riusciti a realizzare soltanto in casi Mentre in Occidente i maggiori esponenti del paganesi­
rari. Il Dio cristiano, diceva Clemente Alessandrino, chiama mo provenivano da antiche famiglie senatorie, in Oriente nel
a sé tutto il genere umano: questo era il tratto distintivo del IV e nel V secolo erano quasi soltanto i filosofi delle scuole,
protrettico cristiano e un punto decisivo di distacco anche dalle impotenti di fronte all’offensiva cristiana. Alcuni di essi erano
sette gnostiche, che in vari modi continuavano a riprodurre la vittime di repressioni, come Massimo di Efeso, il maestro di
dicotomia fra una minoranza eletta, capace di pervenire alla Giuliano, coinvolto sotto Valente verso il 372 in un crimine
vera conoscenza, e una moltitudine incolta, relegata al piano di alto tradimento, perché sospettato con altri di aver cerca­
inferiore della fede. Certo, un autore come Origene lasciava to di scoprire con tecniche magiche il nome del successore
uno spazio privilegiato all’esegeta delle Scritture - che richie­ dell’imperatore. Nel 413 Ipazia era uccisa ad Alessandria da
dono un’interpretazione simbolica e allegorica, non soltanto una folla di fanatici cristiani, ostili, forse più che ai suoi inse­
letterale - rispetto alla zona occupata dai semplici credenti, gnamenti neoplatonici, a una donna che aveva abbandonato
anche da quelli che sanno leggere. Ma ciò non implicava che la il suo ruolo tradizionale per insegnare e commentare Platone
salvezza fosse faccenda di pochi. Origene teorizzava l’egemonia e Aristotele, e che aveva tra i suoi uditori anche il prefetto di
I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL'IMPERO 103
102 I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL'IMPERO

Egitto. Ma la maggior parte dei filosofi, ormai solo neoplato­ 9 Platone, Apologia 30 e, Gorgia 521 d-522 a; Repubblica 406 a -407 e,
409 e-410 a, 426 b-c.
nici, continuarono a sopravvivere isolati e indipendenti nella
10 Platone, Repubblica 473 c-e, 519 c-520 d, 592 d.
loro scuola di Atene, dove le loro cospicue risorse economiche
11 Cfr. le notizie riportate in Diogene Laerzio III 23-24, le quali devono
non rendevano necessarie sovvenzioni dalla città o dal governo essere considerate con grande cautela, perché nascono da matrici polemiche,
imperiale. Nella scuola diretta da Proclo, aU’insegnamento si prò o contro l’Accademia.
affiancavano pratiche ascetiche e comportamento decoroso, 12 Platone, Leggi 951 a ss., 962 a ss.
preghiere giornaliere agli dèi della tradizione e culti locali, visite 13 Platone, Protagora 352 b-e, Repubblica 489 d, 490 d, 493 e -494 a,
a templi e inni religiosi, e il suo esempio sarebbe stato seguito 500 b.
anche da Damaselo. Proclo ebbe anche allievi pagani impegnati 14 Isocrate, Antidosis 84-85; ma cfr. anche Contro i sofisti e 1’Elena.
in faccende politiche, come Rufino, Severiano, Marcellino, ma 15 Ermippo fr. 89-91 Wehrli.
il suo peso politico non dovette certo essere rilevante. Nel 16 Su Chairon e altri personaggi cfr. Ateneo XI 508 C-509 C.
529 Giustiniano emanò due decreti contro l’insegnamento di 17 Plutarco, Vita di Dione 12, 37, 48, 53.
pagani ed eretici ai giovani. In essi non c’era la prescrizione 18 Plutarco, Vita di Cleomene 2, 11; Vita di Tiberio Gracco 8, 20.
esplicita di chiudere la scuola platonica di Atene. In realtà la 19 Plutarco, Vita di Siila 12; Ateneo V 211 d - 15 b.
vita filosofica ad Atene si estinse «senza rumore» pochi anni 20 Cfr. soprattutto i fr. 11-12, 21-24, 47, 50-55, 61 Wehrli.
dopo, verso il 531-532, allorché pochi filosofi neoplatonici, tra 21 Diogene Laerzio V 38; Ateneo XIII 610 e-f; Polluce, Onomastico
i quali Simplicio e Damaselo, se ne andarono alla chetichella IX 42.
alla corte persiana del re Cosroe, dove forse avevano sperato 22 Diogene Laerzio VII 10-12 (trad. Gigante). Per Teofrasto cfr. Diogene
di trovare l’unione di regalità e filosofia, auspicata da Platone. Laerzio V 37 e 41 e, per il decreto su Licone, fr. 12-13 Wehrli.
Ma da essa sarebbero tornati - forse delusi - tre anni dopo, 23 Senofonte, Entrate II 2, 5-7 e III 2.
per continuare a vivere e filosofare indisturbati ad Atene, come 24 Cicerone, Sull’oratore III 43 e Tusculane V 37, 107 per un elenco di
avrebbero fatto anche altri filosofi platonici ad Alessandria, filosofi meteci; Dione di Prusa XLVII 2; Plutarco, Le contraddizioni degli
prima della conquista araba dell’Egitto. stoici 2, p. 1033 BE e Sull’esilio 14.
25 Cfr. le versioni dell’aneddoto in Plutarco, Vita di Flaminino 12 e
Diogene Laerzio IV 14. Cfr. anche Plutarco, Vita di Focione 29.
26 Cfr. Platone, Apologia 23 a-c; Diogene Laerzio II 19-20, 105; VII 168.
Cfr. anche Seneca, Epistole a Lucilio 44 e Origene, Contro Celso II 41.
Note al capitolo secondo
27 Diogene Laerzio III 41-43; V 14-15; V 52 e 55; V 64; V 72-73, per
i testamenti di Platone e dei peripatetici. Per Arcesilao cfr. ibidem IV 38
1 Cfr. Erodoto 1 170; Diogene Laerzio I 25, V ili 66, IX 23. Per Eraclito e, per un esempio in età imperiale, Nigrino 26.
cfr. fr. 121 e 125. Per Melisso cfr. Plutarco, Vita di Pericle 26.
28 Cfr. già per esempio Aristotele, Politica VII 15, 1334° 20-21.
2 Diogene Laerzio V ili 79; cfr. la Lettera VII attribuita a Platone.
29 Diogene Laerzio V 36 e 54; X 3, 10, 21. Un elenco di filosofi schiavi
5 Eraclito fr. 49. Cfr. anche i fr. 1, 2, 17, 33, 49, 89, 104. Per Parmenide è in Aulo Gelilo, Notti attiche II 18.
fr. 1, 27-30; 6; 8, 38-41 e 53-59. Per il distacco dalle credenze comuni cfr.
anche Empedocle fr. 112, 1-8 e 114, nonché Anassagora fr. 17. 30 Cicerone, La natura degli dèi I 93.
4 Diogene Laerzio II, 66 e 68; VI 11,12, 32, 38, 63. Cfr. anche il ritratto 31 Cfr. alcuni esempi in Diogene Laerzio III 9; IV 8, 38, 60; V 10, 39,
di Diogene in Dione di Prusa TX 8-9. 58; Plutarco, Vita di Dione 17 e Vita di Alessandro 8.
5 Platone, Apologia 17 d e 36 b; Gorgia 473 c-474 a; Repubblica 492 32 Diogene Laerzio VII 15.
b-d, 517 d-518 a; Simposio 221 d; Fedro 249 c-d; Teeteto 173 d-175 b. 33 Plutarco, Vita di Cicerone 24.
Cfr. anche Senofonte, Memorabili I, 2, 63. 34 Cfr. Cicerone, Repubblica III, 6, 9; III, 12, 21; III, 19, 29 ss.; Sull’ora­
6 Platone, Repubblica 496 a-c. tore II, 37, 155; Tusculane IV 5; Plutarco, Vita di Catone 22; Aulo Gelilo,
7 Platone, Gorgia 484 c-485 e, Repubblica 487 c-d e 497 e -498 b. Notti attiche VI, 14, 8 ss.
8 Diogene Laerzio VI 37. 35 Aristotele, Politica II 1-5, V ili 1-3; Etica Nicomachea IV 1-2.
104 I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL’IMPERO I FILOSOFI NELLE CITTÀ E NELL’IMPERO 105

36 Aristotele, Politica I 2, 1252 b 1-5; Il 2, 1261 a 34-39. 60 Seneca, Sui benefici 3, 18-28; Sulla clemenza 1, 18, 1-2; Epistole a
37 Cfr. Aristotele, Etica Eudemia I 4, 1215 b 1-5; Etica Nicomachea I 5, Lucilio 47.
1095 b 17-19; VI 7, 1141 a 2 0 -b 2; X 7, 1177 a 27-b 24. Cfr. anche la 61 Seneca, Della vita beata 21-26; Epistole a Lucilio 2, 6; 17, 3-5; 18;
discussione in Politica VII 1-3. 20, 10-13; 21, 7; 77; 119, 6.
38 Aristotele, Etica Eudemia I 5, 1216 b 6-25; Etica Nicomachea II 2, 62 Seneca, Epistole a Lucilio 103, 4-5; 105, 3-6.
1103 b 26-30. 63 Ibidem 6 e 8; Sulla brevità della vita XVIII 1.
39 Aristotele, Etica Nicomachea I 3, 1095 a 2-6; I 4, 1095 b 4-8; VI 64 Epitteto, Diatribe I 1; 1, 17-26; I 19; I 29, 8-15; 2, 5, 4-5; 2, 6 ecc.
8, 1142 a 12-16.
65 Ibidem I 9, 12-17.
40 Ibidem VI 7, 1140 b 7-11.
66 Ibidem III 16, 10-16.
41 Aristotele, Metafisica I 1, 980 a 21.
67 Tacito, Storie I 1; Agricola 3.
42 Cfr. Aristotele, Topici I 10-12; V ili 2, 157 a 18-20; V ili 14, 164 a
68 Cassio Dione 69, 8, 3; Plinio il Giovane, Epistole 1, 10; cfr. anche
12-16 e b 8-15; Le parti degli animali I 1.
1, 12; 1, 22; 3, 7.
43 Seneca, Epistole a Lucilio 85, 3-13; cfr. anche Cicerone, Tusculane
69 Dione di Prusa, Discorsi 13 (sull’esilio), 6 e 8-10 (su Diogene) e 14-15
V 29-31. su libertà e schiavitù.
44 Per la Repubblica di Zenone e Crisippo cfr. Diogene Laerzio VII 4,
70 Ibidem 49, 3-8.
33, 121, 131, 188; Sesto Empirico, Contro i dogmatici XI 190-194 e Linea­
menti pirroniani III 205, 207, 247; Plutarco, Le contraddizioni degli stoici 71 Plutarco, Un filosofo deve discorrere soprattutto con gli uomini al potere
22 pp. 1044-1045. Per il sapiente come vero cittadino SVF III 677-681. 1 p. 777 AB; 2 p. 778 AB; 3 p. 778 EF; 4 p. 779 BC; Precetti politici 17
Cfr. anche SVF I 216-229, III 694-700. pp. 813 E - 814 C, 32 p. 824 CE.
45 Lo stoico Antipatro di Tarso, per esempio, accettava l’istituzione 72 IG IF 1099. E un’iscrizione risalente agli inizi del 121.
della schiavitù (cfr. SVF III 62). 73 Luciano, I!eunuco, soprattutto 3-5; cfr. anche Filostrato, Vite dei
46 Seneca, Epistole a Lucilio 22, 11; 41, 7-8; 47; Epitteto, Diatribe IV, sofisti II 2 p. 566, e Cassio Dione LXXII 31.
1, 33 40. 74 Marco Aurelio, A se stesso 4, 12; 5, 16; 6, 54; 7, 5; 7, 7; 8, 9; 8, 16;
47 Gnomologio Vaticano nn. 56 e 77; Epicuro, Epistola a Meneceo 128- 9, 9.
130; Diogene Laerzio X 119. 75 Ibidem 4, 29; 5, 1; 6, 44; 8, 34; 9, 8.
48 Epicuro, Epistola a Meneceo 123 e 125; Massime capitali VI, XIII, 76 Ibidem 1, 14; 6, 30
XIV, XXVIII, XL. 77 Ibidem 1, 29.
49 La documentazione di questa pratica è ampia: cfr. per esempio 78 Ibidem 1, 6. Cfr. Scrittori della Storia augusta. Vita di Marco 24, 4.
Cicerone, Lucullo 4, 11, 115; Tusculane V 113; Bruto 309; Plutarco, Vita
79 Digesto 27.1.6-7.
di Lucullo 42; Vita di Crasso 3; Vita di Emilio Paolo 28; Vita di Catone 4,
65, 67; Seneca, Sulla tranquillità dell’animo XIV 9, Consolazione a Marcia 80 Codice Teodosiano XIII, 3, 7. L’accademia fondata da Costantino a
IV 2. Costantinopoli e poi allargata da Teodosio II nel 425 non era una scuola
filosofica: su trentuno cattedre solo una era filosofica (cfr. Codice Teodo­
50 Cicerone, Bruto 306; Plutarco, Vita di Lucullo 42.
siano XIV, 9, 3).
51 Cicerone, Repubblica I 9, 11, 156; Sui doveri I 69-72, 153-155. 81 Apuleio, Sul demone di Socrate 170; cfr. anche 155-156.
52 Tacito, Annali 14, 16; cfr. Svetonio, Nerone 52. 82 Porfirio, Vita di Plotino 1, 10-19; 7, 1 ss.; 9, 8 ss.; 12.
53 Petronio, Satyricon 71, 12. 83 Plotino, Enneadi II, 9, 76; III, 2, 98; V, 9, 1-3.
54 Tacito, Agricola 4. 84 Porfirio, Sull’astinenza I, 30, 6; I, 31, 3; I, 35, 2; I, 36, 1-2; I, 57, 1.
55 Seneca, Epistole a Lucilio 104, 29-33. 85 Asclepio I, 22.
56 Seneca, Questioni naturali 4, 14, 20. 86 Giamblico, I misteri di Egitto V 15, 18, 20, 22, e Vita pitagorica
57 Seneca, Sulla tranquillità dell’animo 4, 2-4; 5, 1-3. 60-62, 135-136. Per pratiche taumaturgiche in Proclo cfr. Marino, Vita
58 Seneca, Epistole a Lucilio 8, 1-6; 68, 1-2. di Proclo 28-29.
59 Seneca, Sulla tranquillità dell’animo 10,1-4; 11, 9-11; Sulla provvidenza 87 Giuliano, Lettera 61 c, 423 ed. Bidez-Cumont.
5, 6-8; Epistole a Lucilio 4, 7. 88 Strabone I, 2, 8.
106 I FILOSOFI N ELLE CITTÀ E NELL’IMPERO Capitolo terzo

89 Atti degli Apostoli 13, 45-46; 15; Paolo, Lettera ai Romani 1, 14 e Gli strumenti dei filosofi: oralità e scrittura
17; 2, 9-10; 11, 13; 15, 16. Cfr. anche Lettera ai Colossesi 3, 11 e Lettera
I ai Tessalonicesi 2, 16.
90 Giustino, Seconda apologia 10; Tertulliano, Apologetico XLVI 8 e L
14; Clemente, Protrettico XII 120; Stremati II, 10,1-2; Origene, Commento
al Vangelo di Giovanni XX 23-24; Contro Celso III 44-54, 66-69; VI 1, 2,
13; VII 60; Agostino, La città di Dio X 29 e XIII 16.

1. Oralità e prime forme di scrittura filosofica

L’attività filosofica nell’antichità conservò sempre una forte


componente orale, soprattutto dal momento in cui si organizzò
intorno a una scuola, in gruppi di persone che in luogo stabile
conducevano vita comune, non di rado improntata anche a
legami di amicizia, talora anche con feste comuni, per esempio
per celebrare l’anno di nascita del capostipite, Platone o Epi­
curo. Naturalmente una parte cospicua era occupata da lezioni
e discussioni. Aristotele nel primo capitolo del libro I della
Metafisica avrebbe detto che gli animali dotati di udito (uomo
incluso) si distinguono da quelli che ne sono privi per il fatto
di essere maggiormente in grado di apprendere. Questo è spia
del fatto che la vista e la lettura non erano ancora considerate
la via regia per l’apprendimento. Il verbo akoùein, «udire»,
avrebbe assunto il significato tecnico di «seguire lezioni» e
l’intensivo diakoùein quello di un insegnamento prolungato nel
tempo. Questi verbi e termini derivati avrebbero indicato il fatto
che un individuo era stato discepolo del filosofo di cui aveva
seguito le lezioni. È difficile farsi un’idea precisa dei caratteri
che dovette avere l’insegnamento orale sia di filosofi singoli sia
all’interno delle scuole, anche se qualche indizio sarà segnalato
in seguito e nel capitolo successivo. Pare chiaro, tuttavia, che un
modello a monte di questo lavoro collettivo era l’apprendistato
delle tecniche artigianali nelle botteghe, dove si apprende una
forma di saper fare, sia osservando quanto il maestro esegue, sia
ponendo domande e ricevendo chiarimenti. A ciò dovette ben
presto affiancarsi, almeno a partire dal V secolo a.C., lo scritto,
che poteva essere un ulteriore sussidio nell’illustrare le norme
e le procedure generali che si impara ad applicare pienamente
solo nel rapporto interpersonale con il maestro e alle quali ci
108 G L I STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 109

si può riferire anche quando si è ormai lasciato il maestro. In nello scritto. In esso Eraclito si presenta come unico portatore
una certa misura ciò dovette valere anche per l’insegnamento di un sapere capace di penetrare nel cuore delle cose, al di
nelle scuole filosofiche. Ad Atene il libro cominciò ad avere là delle credenze diffuse sul mondo, sugli dèi e sugli uomini.
una certa diffusione solo dopo la metà del V secolo, ma non Il sapere meritevole di essere conservato nello scritto diventa
si deve pensare che esistesse un vero e proprio commercio dunque necessariamente anche uno scritto polemico, sia contro
librario. Il modo più consueto di pubblicazione rimase pur la maggior parte degli uomini, chiusi ciascuno in un proprio
sempre la lettura pubblica dello scritto. Nel Parmenide Platone mondo privato come in un sogno, incapaci di cogliere il lògos
presenta Zenone di Elea mentre legge ad Atene un suo scritto che pure è comune a tutti, sia contro poeti e presunti sapienti.
giovanile, che gli era stato rubato ed era stato diffuso a sua Lo scritto eracliteo era in prosa e nella scelta della prosa era
insaputa, in difesa delle tesi del maestro Parmenide. Il libro stato preceduto da Anassimandro. Ciò non vuol dire che lo
comunque non sostituì mai completamente la dimensione orale, scritto in prosa di Anassimandro fosse radicalmente lontano
che per tutta l’antichità continuò a essere veicolo essenziale dal linguaggio della tradizione poetica, ma con lui la poesia,
di elaborazione e trasmissione del sapere filosofico. Lo stesso fortemente legata alla tradizione orale, non appariva più l’unica
libro fu quasi sempre oggetto di ascolto, attraverso la lettura forma autorizzata per enunciare osservazioni o spiegazioni e
ad alta voce fatta personalmente dall’autore o da altri. Non per memorizzare saperi e tradizioni. Attraverso il veicolo della
solo poeti, ma anche storici e filosofi e addirittura medici non prosa la riflessione può muoversi libera dai vincoli del metro
esitarono a ricorrere a recitazioni o letture pubbliche per far e costruire argomentazioni più duttili. Forse gli inizi furono
conoscere i loro scritti. Ciò che lo scritto introdusse fu soprat­ contrassegnati da una prevalenza di costruzioni paratattiche o
tutto un nuovo modo di conservare ed esporre il sapere e di polari o di concise formulazioni gnomiche; ma via via vennero
impiegare la memoria. Nella civiltà orale della Grecia arcaica articolandosi strutture e mezzi argomentativi più complessi,
la memorizzazione era affidata alla recitazione di contenuti o dall’uso dell’analogia - per esempio tra città e cosmo, come
storie, già ascoltate e ammesse dal gruppo. Ma la recitazione in Anassimandro, o tra le operazioni della natura e le téchnai
era strettamente collegata alla possibilità di operare integra­ umane - alla costruzione di vere e proprie sequenze deduttive.
zioni o spostamenti di parti, che generavano sempre nuove La gnòme —sentenza —sarebbe apparsa ad Aristotele l’enuncia­
versioni di nuclei originari. Solo con l’emergere dello scritto zione di una massima universale, soprattutto di carattere etico,
poteva formarsi la nozione di memoria fedele e, quindi, di volta a conferire elevatezza a chi l’enuncia. Essa si prestava a
conservazione tendenzialmente inalterata. sottolineare la generalità che il sapiente intendeva conferire
Il consegnare il proprio pensiero a un supporto stabile al suo messaggio. Non è un caso che carattere gnomico sia
come lo scritto fu guidato dal desiderio non tanto di una sua reperibile nel linguaggio di Eraclito, contrassegnato altresì
diffusione, quanto della sua conservazione. Secondo la tradi­ dall’uso dell’antitesi, defl’invettiva e da una componente oraco­
zione, uno dei libri più antichi fu quello depositato da Eraclito lare che conferisce deliberatamente ai termini e agli enunciati
nel tempio di Artemide a Efeso. I templi erano uno dei luoghi un carattere di ambiguità e di inafferrabilità. La difficoltà di
nei quali le città greche collocavano le incisioni delle proprie comprensione immediata, che ne scaturisce, contribuisce ad
leggi, anche per renderle visibili a chi voleva leggerle. Ma per accentuare la profondità e l’eccezionaiità del discorso e quin­
Eraclito l’obiettivo dovette essere principalmente quello di di anche del personaggio che lo enuncia. Naturalmente ciò
salvaguardare il proprio scritto ponendolo in un luogo sacro. non deve indurre a concludere affrettatamente che il libro di
La sua proverbiale oscurità sarebbe stata attribuita dagli antichi Eraclito fosse soltanto infarcito di aforismi, enigmi, immagini
al rifiuto di Eraclito di renderlo accessibile e comprensibile a folgoranti, più facilmente memorizzabili, e non contenesse
molti: uno scritto destinato a molti avrebbe prodotto disprezzo anche nessi argomentativi, con l’uso di particelle funzionali alla
nei confronti del suo autore. L’oscurità era verosimilmente col­ costruzione di nessi inferenziali. Fin dall’inizio del suo libro,
legata all’intento di conferire eccezionalità al sapere depositato comunque, Eraclito denunciava l’incapacità dei più, chiusi nel
110 G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 111

loro mondo privato, di cogliere il lògos, il discorso-ragione che rapporto diretto e privilegiato con gli dèi e il cui esito è il
pure è comune a tutti: ascoltare il lògos, che trovava espressione raggiungimento della verità, sottratta alla dimenticanza. Ma
anche nel libro di Eraclito, oltre che nella natura, significava il nucleo della rivelazione della dea a Parmenide sull’essere
riconoscere che tutto è uno. Ma i resti dello scritto eracliteo, e sul non essere e sulle opinioni dei mortali è sorretto dalla
nella loro concisione sentenziosa, fondata su ritmi, assonanze, massiccia immissione di argomentazioni con un’alta frequenza
antitesi presentano forti tracce di legami con la dimensione di «infatti» o «poiché», che hanno la funzione di tracciare
orale e uditiva. Sovente essi assumono una veste assertiva, solidi legami consequenziali tra i vari momenti del discorso.
soprattutto enunciano prescrizioni e divieti a quei pochi capaci Il sapere che si enuncia negli esametri di Parmenide, come
di ascoltarli e seguirli. poi di Empedocle, contiene anche prescrizioni e divieti, legit­
Ancora nel V secolo, tuttavia, la poesia continuò a essere timati al tempo stesso dalle argomentazioni che li sostengono
un mezzo essenziale per conservare e trasmettere un sapere e dall’eccezionaiità dell’esperienza di colui che li enuncia. Nel
eccezionale di individui che polemicamente si opponevano caso di Parmenide si tratta soprattutto di divieti linguistici
alle opinioni dei mortali e alla fama usurpata di altri poeti. (le parole nascere e perire, usate dai comuni mortali, sono
Ciò avviene in Senofane, Parmenide, Empedocle, ma con la termini contraddittori, perché mescolano ciò che non può
costruzione di frequenti nessi argomentativi - soprattutto in essere mescolato, cioè essere e non essere). Nel caso di Em­
Parmenide - i quali vanificano o rendono assai difficile la me­ pedocle si trattava anche della pretesa magica di guarire dai
morizzazione. La poesia sembrava conservare una particolare mali e difendere dalla vecchiaia, far cessare i venti o ridestare
attrattiva nell’ambiente della cultura dell’Italia meridionale, i morti a nuova vita. A Empedocle sono attribuiti due poemi,
se è vero che anche Senofane ebbe rapporti con essa. E si è intitolati poi Sulla natura e Purificazioni. Il primo è presen­
talora attribuita questa predilezione alla forte impronta rive- tato come un insegnamento diretto a un preciso destinatario,
lativa che percorre i poemi di Parmenide e di Empedocle e Pausania. Nel secondo, invece, predomina il problema, che
che dovrebbe essere messa in rapporto con la diffusione di ad alcuni interpreti ha suggerito un rapporto con le pratiche
misteri e credenze orfiche proprio nell’Italia meridionale. Ma e le credenze sciamanistiche, del destino dell’anima umana e
un’impronta rivelativa è ravvisabile anche in Eraclito, come delle sue successive reincarnazioni. Ma in entrambi gli scritti
si è visto, che pure scriveva in prosa, mentre non lo è in Se­ è centrale la figura del filosofo-poeta come narratore di una
nofane, un rapsodo che recitava le proprie composizioni, non vicenda anche personale ed enunciatore di un messaggio di
quelle di Omero ed Esiodo, dai quali pure desumeva il metro. verità. Sullo sfondo di Empedocle si staglia una tradizione
Nei loro confronti egli assumeva anzi un forte atteggiamen­ pitagorica, ma Pitagora quasi sicuramente non scrisse nulla. La
to critico, imputando loro di fornire una rappresentazione tradizione tenderà a presentarlo come assertore dogmatico di
antropomorfica degli dèi, inadeguata a esprimere il divino. una verità indiscutibile ed è verosimile che la tradizione orale
Il ricorso al verso non comportava dunque in Senofane il fosse preponderante in una comunità, come quella pitagorica,
ripristino dei contenuti della tradizione etico-religiosa, ma fortemente impermeabile verso l’esterno e caratterizzata a
si collegava piuttosto agli atteggiamenti della bistorte ionica. un certo punto da gradi diversi di iniziazione alle verità più
Non a caso sono centrali in Senofane il riconoscimento dei profonde, il primo costituito dagli akousmatikói (letteralmente
limiti conoscitivi umani e, insieme, dell’autonomia della ricerca gli «ascoltatori») e il secondo dai «matematici», coloro che
del sapere. Certo un pàthos religioso e una connessione con accedono al vero e proprio apprendimento. Secondo la tradi­
la tradizione della poesia didascalica sembrano presenti nel zione il primo libro pitagorico sarebbe stato quello di Filolao
poema di Parmenide, soprattutto nel proemio, dov’è espo­ di Crotone, che scrisse in prosa, come poi avrebbe fatto nel
sto il viaggio che la dea gli fa percorrere in direzione della IV secolo a.C. anche un altro pitagorico, Archita di Taranto.
verità. In veste poetica Parmenide ed Empedocle presentano Nessuno scritto filosofico antecedente a Platone è conser­
se stessi come protagonisti di una vicenda che li mette in vato nella sua integralità. Abbiamo solo frammenti e in alcuni
112 GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 113

casi gli incipit di alcuni libri, dai quali emerge talora un uso Atene a un prezzo abbastanza modesto, ci troviamo di fronte
della prima persona singolare, a sottolineare il senso di pro­ a una strategia diversa. Tale inizio suona: «Tutte le cose erano
prietà dell’autore nei confronti del proprio scritto e del sapere insieme»5. Anassagora comincia dunque con una formula da
depositato in esso. Un esempio significativo è dato dall’inizio racconto, con la descrizione di una situazione del passato,
del libro dello storico Ecateo di Mileto: «Ecateo di Mileto dalla quale si sarebbe transitati alla situazione attuale. Egli
così dice: queste cose io le scrivo come a me sembrano vere, non ritiene necessario rivendicare sin dall’inizio l’originalità
perché i racconti degli Elleni mi paiono molteplici e ridicoli»1. e il suo diritto di proprietà su questo racconto. Né dai pochi
L’indicazione immediata del proprio nome appare anche negli frammenti rimasti questo aspetto sembra una caratteristica deci­
incipit dei libri di Alcmeone di Crotone e Ione di Chio2. Si siva del suo scritto. Nelle varie fasi dell’esposizione compaiono
tratta di una sorta di sigillo, una firma, con l’indicazione di formule conclusive del tipo «questo dunque si è detto», ma
nome e luogo di origine - in analogia forse con le firme ap­ significativamente esse sono impersonali. La verità del discorso
poste dai pittori sui vasi -, cui fa seguito l’enunciazione delle di Anassagora si presenta in qualche modo da sé, non ha biso­
tesi centrali che saranno sviluppate nel seguito del libro. A gno del supporto di chi lo enuncia. Esso si contrappone talora
differenza dei manuali tecnici, il libro filosofico del V secolo alle opinioni diffuse, per esempio su che cosa siano nascere e
mira a esibire e insieme conservare non un sapere anonimo e perire. Su questo punto, come già aveva sostenuto Parmenide,
collettivo, ereditato almeno in parte da una tradizione, bensì « gli Elleni non hanno opinioni corrette», espressione, questa,
un sapere eccezionale acquisito per via personale. Nella se­ che riecheggia quella citata di Ecateo. Forse già in Anassagora
conda metà del V secolo Diogene di Apollonia inizia il suo e poi soprattutto Democrito il discorso assumeva quindi una
libro formulando addirittura una regola sul modo migliore di maggiore impersonalità, per lasciar parlare le cose stesse e le
iniziare un discorso: l’inizio - dice - deve essere inconfutabile, ragioni che ne rendono conto in maniera sia sentenziosa sia
e il modo in cui è espresso (hermenéia) dev’essere semplice e argomentata, in qualche modo compendiabili nel celebre detto
solenne. A ciò segue immediatamente l’enunciazione in termini di Anassagora, sovente ripreso e condiviso per esempio anche
generali della tesi sostenuta nello scritto: «A me pare, per dirla da Democrito, secono cui «le cose che appaiono (i phainómena)
nel suo insieme, che tutti gli enti siano una sola e identica cosa, sono visione delle cose oscure»6. La tradizione del ragionamento
cioè aria»3. È interessante che sia la regola compositiva, sia il semeiotico, dell’inferenza da ciò che è osservabile a ciò che
contenuto della tesi siano introdotti da una stessa espressione: non lo è, si congiunge in Anassagora alle forme argomentative
«A me pare». Più che un segno di attenuazione, un ricono­ sistematicamente impiegate dai pensatori eleati, in primo luogo
scimento del carattere puramente soggettivo e provvisorio di alla dimostrazione per assurdo. Anche in Anassagora tuttavia
ciò che è enunciato, questa espressione è una rivendicazione emergono tracce non irrilevanti di linguaggio poetico. Così è
di possesso e di originalità. Se il contenuto dello scritto è stata messa in rilievo la presenza di forme innodiche nella ma­
esposto in conformità alla regola generale formulata all’inizio, niera e negli epiteti con i quali Anassagora descrive l’intelletto
è chiaro che la tesi secondo cui tutto è aria è considerata da divino dominatore del tutto. I materiali sui quali sono svolte
Diogene stesso come incontestabile. Ciò significa che contro queste considerazioni sono purtroppo scarsi. A differenza di
di essa non possono essere presentati argomenti che induca­ molti dei suoi predecessori, Democrito fu scrittore di diversi
no a rifiutarla o porla in dubbio. Diogene infatti la qualifica libri, concernenti anche meteorologia, acustica, geometria,
come «evidente» e a supporto di essa avanza nel seguito dello medicina, agricoltura: sembrerebbero manuali tematici, ma non
scritto una dimostrazione per assurdo, nonché quelli che egli sappiamo nulla sulla forma in cui erano esposti i contenuti. Non
chiama grandi «segni» (seméia), ossia indizi favorevoli alla sua è da escludere un influsso di scritti di geometria, aritmetica e
tesi. Sarebbe tuttavia errato trarre una generalizzazione dal medicina, che cominciavano a essere diffusi.
caso di Diogene. Infatti se consideriamo Γincipit del libro di
Anassagora, che secondo Platone4 poteva essere acquistato ad
114 G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 115

2. L’insegnamento dei sofisti e il dialogo filosofico leva sul linguaggio in uso anziché sugli arcaismi. In tal modo
il linguaggio può diventare strumento essenziale per deliberare
Itinerando per le città a offrire le proprie prestazioni, i bene nella faccende pubbliche e private e nei tribunali. In
sofisti pronunciavano o leggevano in pubblico discorsi che questo orizzonte della ricerca della correttezza dei termini si
impartivano insegnamenti ed esibivano dal vivo la loro abilità colloca anche l’interesse di Prodico di Ceo per le distinzioni
nell’uso del linguaggio e degli strumenti retorici e stilistici, tra sinonimi.
Essi erano in una certa misura eredi dei rapsodi, ma il loro L’insegnamento di Protagora, come degli altri sofisti, aveva
compito non era recitare poemi. Nelle loro mani la poesia un carattere in primo luogo orale, si svolgeva in ginnasi o in
diventava oggetto di un sapere, diretto non tanto o non solo ambienti privati, come nella casa del ricco Calila ad Atene,
al chiarimento di testi o all’interpretazione allegorica di essi, descritta nel Protagora platonico, e consisteva in lezioni vere
quanto a valorizzarli come serbatoi di temi o moduli stilistici e proprie o in esibizioni oratorie o in dibattiti. L’epideixis del
e oggetto di riflessione linguistica. Protagora divise le parti sofista è dimostrazione della propria abilità e quindi strumen­
del discorso e distinse quattro tipi di discorso, cioè preghiera, to per catturare allievi, specie giovani di famiglie agiate. Ciò
domanda, risposta, ingiunzione. L’obiettivo non sembrava la anticipa all’età giovanile quell’apprendimento ed esercizio del
costruzione di una vera e propria grammatica descrittiva o saper parlare che da Omero in poi era considerato prerogativa
normativa o addirittura di una teoria generale del linguag­ dell’uomo adulto, se non dell’anziano. L’insegnamento sofistico
gio. Certo, queste distinzioni potevano anche permettere di invece bruciava le tappe e poteva apparire ai tradizionalisti un
isolare e analizzare proprietà formali di vari tipi di discorso, indebolimento del principio di autorità e di anzianità: si veda
a prescindere dai contenuti e dal valore di verità che questi il contrasto tra vecchia e nuova educazione al centro delle
possono avere. Da questo punto di vista esse erano forse un Nuvole, la commedia di Aristofane. Per sottolineare la forza
importante precedente per le analisi linguistiche e logiche persuasiva della parola, Gorgia paragona la somministrazione di
di Platone e Aristotele. Ciò che Protagora insegnava era lógoi alla somministrazione di farmaci, che sono insieme mezzi
soprattutto la correttezza nell’uso di discorsi e parole giuste di terapia e incantamenti e veleni. Ciò che conta è operare
nel momento giusto, dove il discorso più corretto si impone trasformazioni nell’uditorio, condurlo nella direzione voluta
vittorioso nella gara tra discorsi contrapposti. Il contesto di facendo leva sulle emozioni di cui è preda e sulle credenze
tale dottrina è la competizione, e il mondo entro il quale si diffuse da cui è pervaso. Non a caso Gorgia recupera ancora
muovono l’attività e le riflessioni di Protagora, come di altri il linguaggio poetico, carico di aloni di sacralità, una sorta di
sofisti, è un mondo che ha lasciato alle spalle la parola sacrale, prosa poetica o d’arte, caratterizzata dall’uso di assonanze,
capace di imporsi per l’alone di autorità che la investe. È ormai metafore, antitesi e non finalizzata ad apprendere la verità delle
il mondo pubblico delle città, segnate da trasformazioni politi­ cose, poiché la verità, nell’ipotesi che fosse conoscibile, non
che e sociali, religiose, educative, nelle quali il linguaggio, più sarebbe comunicabile con il linguaggio. L’orizzonte prevalen­
che via di accesso a verità nascoste o specchio di esse, diventa te dell’insegnamento di Gorgia è sempre quello della parola
strumento di azione e di decisione. Privi d’investitura divina, i parlata; lui stesso pronuncia discorsi in occasioni pubbliche
discorsi si contrappongono e gareggiano, affidati soltanto alla a Olimpia o ad Atene, anche come ambasciatore della sua
loro forza per prevalere. Pratiche linguistiche dominanti in città di Leontini. Per iscritto mette orazioni fittizie di carat­
questo contesto diventano la confutazione, la contraddizione, tere giudiziario, immaginando come potrebbero essere difesi
lo scambio di domande e risposte o la costruzione di argo­ personaggi della tradizione mitica, ingiustamente calunniati,
mentazioni prò e contro un certo tema, come appare da uno come Elena o Palamede. Questi scritti potevano fungere non
scritto anonimo intitolato Discorsi duplici. Il linguaggio deve soltanto da dimostrazione della bravura oratoria di Gorgia, con
allora abbandonare i termini desueti della poesia, privilegiare una componente ludica, ma anche da veicoli di insegnamento
termini chiari e precisi, alieni da ambiguità e metafore, fare e modelli che mostrano in azione un complesso di regole,
116 GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 117

tecniche e accorgimenti generali finalizzati a convincere un sua Accusa di Socrate. Si collocano qui ΓApologia di Socrate di
uditorio. Da questo punto di vista il libro risulta un duplicato Platone e quella di Senofonte, discorsi che si immagina pro­
del parlato, è sempre qualcosa di destinato in prima istanza a nunciati in tribunale dall’accusato, dov’è evidente il precedente
essere detto ad alta voce. Gli allievi studiavano e talora memo­ sofistico. Il primo obiettivo della letteratura socratica era quello
rizzavano questi discorsi scritti, per poterli riutilizzare e imitare di fissare nello scritto l’immagine del vero sapiente, o meglio,
in circostanze simili. Questa sarà prassi abituale nella scuola come si cominciò a dire allora, del filosofo che ama e cerca il
di Isocrate ad Atene, rivale dell’Accademia platonica: egli non sapere. A ben vedere, si trattava di fare di Socrate non tanto
insegnava più itinerando come i vecchi sofisti, ma richiedeva un oggetto di cronaca o di storiografia, quanto un personaggio
come Platone una permanenza prolungata nella sua scuola, per certi versi atemporale e metastorico e quindi esemplare.
esigendo però un pagamento, come i sofisti. Per apprendere Ma ciò apriva al tempo stesso lo spazio per uscire dai vincoli
a parlare e a consigliare e ammonire i propri concittadini con di oggettività, che avrebbe potuto imporre un racconto storico,
i propri discorsi occorre addestrarsi, occorre una gymnasia, e e tentare approfondimenti o sviluppi del nucleo di esemplarità
l’allievo deve imparare a conoscere le idéai, le forme di cui i ravvisato, da diverse prospettive, in Socrate. Platone mette
discorsi fanno uso, così come in ginnastica occorre apprendere al centro della sua rappresentazione di Socrate una pratica-
le figure che il corpo può e deve assumere. Ma il problema esercizio, che chiama dialettica, un conversare, ma non nel senso
non è tanto saper parlare, quanto saper parlare meglio degli banalizzato che la parola dialogo ha ormai assunto nel nostro
altri: l’orizzonte è fondamentalmente competitivo. A tale sco­ linguaggio comune, come scambio di opinioni, magari in vista
po anche Isocrate compone discorsi modello, sui quali i suoi del raggiungimento di un compromesso, di una via mediana.
allievi si addestrano attraverso un lavoro collettivo di lettura Questo aspetto della mediazione è assente nella concezione
di essi, con l’apporto di correzioni e aggiunte a questi testi platonica della dialettica. Si tratta invece di uno scambio di
scritti del maestro, prima di farli circolare7. Con Isocrate tra il domande e risposte, in contrapposizione ai lunghi discorsi
pubblico della città e il compositore si frappone il filtro della continui pronunciati dai sofisti, dai politici o nei tribunali. Il
scuola. A lui si contrapponeva Alcidamante, che accordava la fatto è che i discorsi lunghi condividono con i discorsi scritti,
sua preferenza all’improvvisazione, più efficace e nella quale i libri, la prerogativa di non saper rispondere alle domande
si dimostra la superiorità di un oratore. poste a essi. Socrate li paragona a bronzi percossi che emettono
La caratterizzazione delle pratiche linguistiche e scrittorie una lunga eco protratta, sempre lo stesso suono8, e rispondono
dei sofisti è essenziale per cercare di comprendere l’atteggia­ sempre la medesima cosa. Solo le domande consentono di
mento di Platone nei confronti della scrittura e la sua attività scoprire se l’interlocutore conosce realmente ciò che afferma
di scrittore di dialoghi. Socrate, come si sa, non scrisse nulla e e se sa rendere conto di esso o della plausibilità delle ragioni
affidò interamente la sua attività filosofica alla parola parlata. offerte da altri. Certo, talvolta Socrate è presentato a fare a
Eppure dalla sua attività si originò una letteratura nella quale sua volta discorsi lunghi, ma egli lo giustifica con il fatto che
egli compariva sì come protagonista, ma come riflesso in un si tratta di un ripiego in mancanza della migliore alternativa
gioco di molteplici specchi. A noi sono rimasti integralmente o di una necessità imposta dall’esigenza di chiarire quanto si
scritti socratici di Senofonte e dialoghi di Platone, ma solo dice9. Di fatto, però, nella maggior parte dei casi Socrate ha il
frammenti di altri scritti socratici. Nessun socratico scrisse ruolo di interrogante e quasi mai di interrogato che risponde,
una biografia vera e propria del maestro, anche se elementi tanto meno quello di un Socrate confutato. Eccezione signifi­
biografici non erano assenti nei loro scritti. In primo luogo si cativa è il giovane Socrate confutato da Parmenide nel dialogo
trattava di delineare una difesa della sua figura, nonostante la omonimo. Si può quindi ragionevolmente concludere che la
condanna inflittagli dal tribunale ateniese nel 399 e le successive reciprocità dei ruoli fra gli interlocutori è soltanto apparente;
accuse di cattivo maestro di personaggi inquietanti come Crizia in realtà non c’è vera parità fra essi, anche se ciò non com­
o Alcibiade, rispolverate dal sofista Policrate verso il 393 nella porta che si debba presupporre in Socrate la presenza di un
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GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 119

sapere già tutto confezionato e tenuto nascosto, sebbene sia anche se la sua funzione consiste prevalentemente nell’as-
possibile sospettare che egli possa conoscere qualcosa che «per sentire a quanto di volta in volta Socrate dice o a chiedere
ora» non dice, data la peculiarità della situazione dialogica e ulteriori chiarimenti. Questo aspetto conferma che decisivo è
dell’interlocutore con cui si trova a discorrere. il raggiu n gim en to di un accordo, una homologta, che è però
In Platone, anzi, Socrate è addirittura presentato come il anacronistico interpretare come una concezione puramente
campione del non sapere, consapevole della propria ignoranza, consensuale della verità: semplicemente questo consenso può
che può quindi smascherare il falso sapere altrui grazie alla essere una buona via per giungere alla verità, anche se non
confutazione, che non va confusa con il semplice contraddire sempre lo garantisce.
Cantilégein) o contendere, volti solo a sconfiggere l’avversario. Di fronte a questo nuovo modo di concepire l’attività
L’obiettivo è essere liberati dal male peggiore, l’ignoranza, e filosofica, le forme letterarie tradizionali della poesia o della
puntare verso la scoperta della verità su ogni questione. Attra­ prosa risultavano inadeguate. Platone e gli altri allievi di So­
verso le risposte che l’interlocutore dà non solo a una prima crate si trovavano di fronte a un variegato scenario di libri,
domanda - in genere del tipo «che cos’è x?», per esempio il che pretendevano di fissare i contenuti del sapere o anche di
coraggio o l’amicizia, oppure «x gode o no della proprietà y?», insegnare a fare a meno del sapere o a breviari di miscredenza,
per esempio: la virtù può essere insegnata? -, ma a una sequenza come appariva il libro di Protagora sugli dèi. Ma l’attività di
di domande, emerge alla fine un’asserzione dell’interlocutore Socrate non si era solidificata in un insegnamento di conte­
stesso incompatibile con la tesi da lui sostenuta all’inizio in nuti positivi. Il problema era dunque trovare una forma di
risposta a quella domanda. La conseguenza è che egli si trova scritto capace di presentare Socrate che discute dal vivo con
di fronte all’alternativa di abbandonare o la risposta iniziale o i suoi interlocutori, il che comporta l’uso di una lingua della
qualcuna delle ammissioni che egli ha fatto successivamente in quotidianità, che talvolta si specializza in una terminologia
risposta ad altre domande. Ciò che emerge è che l’interlocu­ tecnica, nonché di armi retoriche e di livelli stilistici propri
tore è portatore di credenze incompatibili tra loro, cioè non di generi letterari diversi, che Platone intreccia abilmente
è coerente nella sua vita e dovrebbe quindi trovare un’altra nelle sue opere. Questa forma di scritto fu appunto il dialogo,
base per essa. E il riconoscimento di una situazione di aporia, che non nasceva però nel vuoto, basti pensare alle rappre­
che appare senza vie d’uscita. Ma ciò può avviare un processo sentazioni teatrali, caratterizzate da scambi di battute fra i
di riscoperta della verità, grazie alle domande che Socrate in­ personaggi, e, per certi aspetti, ai dibattiti giudiziari. Nella
cessantemente continua a porre. Si costituisce qui l’immagine lotta per l’egemonia culturale, che Platone intraprendeva
del Socrate ostetrico, com’era sua madre, che aiuta i propri anche contro la poesia, poteva avere efficacia ricorrere a una
interlocutori a far nascere i discorsi di cui sono gravidi. Un forma alternativa di dialogo rispetto al teatro. Ma esempi di
esempio celebre, nel Menone, è l’episodio dello schiavo, che, dialogo sono reperibili anche in Erodoto o nella drammatica
attraverso interrogazioni successive, dopo una serie di risposte opposizione di argomentazioni fra Meli e Ateniesi, in Tucidi­
errate perviene a riconoscere qual è la soluzione vera di un de, prò o contro la tesi del diritto del più forte. In un opera
problema geometrico. L’importante, però, è che gli uomini perduta, Sui poeti, Aristotele avrebbe identificato in un non
siano interrogati bene e ripetutamente. La dualità interrogante - meglio conosciuto Alessameno il primo autore di dialoghi e
rispondente è così importante che talora nei dialoghi platonici avrebbe ritenuto il dialogo una forma intermedia tra poesia e
Socrate introduce la figura di un interlocutore fittizio, dietro prosa. Già qui è affermato un nesso tra filosofia e poesia che
il quale a volte si cela lo stesso Socrate. E anche quando, so­ avrebbe sovente caratterizzato l’immagine di Platone anche
prattutto in quelli che sono abitualmente considerati gli ultimi nella tradizione moderna. Con Platone il dialogo raggiunge la
dialoghi scritti da Platone, di fatto Socrate espone concezioni sua forma letterariamente e filosoficamente più compiuta in
positive - dietro le quali si pensa siano espresse le idee dello stretta connessione con l’immagine di Socrate che essa intende
stesso Platone -, tuttavia non scompare mai l’interlocutore, veicolare. Nel proemio al Teeteto Platone distingue due tipi
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di dialogo: quello drammatico, che consiste nello scambio su Socrate i propri interessi di proprietario terriero per la
diretto di battute tra personaggi (come appunto nel teatro), coltivazione delle terre, come nei Memorabili anche quelli per
e quello indiretto, che introduce la figura di un narratore, questioni militari. Ma n^Econom ico Socrate è rappresentato
il quale riferisce una conversazione avvenuta in passato. In non a interrogare un altro per sapere, bensì come colui che si
quest’ultimo caso in alcuni dialoghi il narratore è Socrate stes­ fa interrogare e, ben stimolato dalle domande dell’interlocuto­
so, che riferisce una discussione alla quale egli stesso ha preso re, arriva a scoprire di sapere cose che credeva di non sapere.
parte. Questa forma narrativa ha il vantaggio di poter fornire Risulta così rovesciato il ruolo che, invece, Platone tende ad
anche un ritratto dei personaggi e un’ambientazione scenica attribuire a Socrate nei suoi dialoghi.
al dialogo, che ha dato esempi memorabili nel Protagora, con La forma del dialogo consente all’autore di non mettersi
1 ingresso di Socrate e del giovane Ippocrate nella casa del in primo piano, in maniera del tutto opposta alle enunciazioni
ricco Calila, gremita di sofisti come Protagora, Prodico e Ippia, dirette del proprio sapere eccezionale che avevano costellato
o nel Fedone, con Socrate attorniato in carcere da discepoli sino allora gli scritti filosofici. Come i poeti tragici, anche
prima di morire a intrattenersi sul problema deH’immortalità Platone si dissimula sotto una maschera, in primo luogo quella
dell’anima. Ma anche la forma diretta può consentire l’emer­ di Socrate, attuando una forma indiretta di comunicazione.
gere nella conversazione dell’evocazione di uno splendido Anche se negli ultimi dialoghi la discussione tende a trasfor­
scenario, come gli esterni della città lungo le rive dell’Ilisso marsi in una monografia accentrata intorno a un problema di
sotto la calura estiva, nel Fedro. Anche la ripresa dell’antica complessità crescente, Platone continua a tenersi in disparte,
forma del simposio avviene in funzione della costruzione di dissimulandosi anche dietro personaggi diversi da Socrate,
una cornice scenica. Così è nel Simposio, dove una galleria di come lo straniero eleate del Sofista e del Politico o il Timeo del
personaggi si succede a pronunciare discorsi sull’amore, sino dialogo omonimo. Probabilmente la dissimulazione dialogica si
all irruzione finale di Alcibiade che delinea un drammatico collegava in Platone alla convinzione che lo scritto non potesse
profilo di Socrate, intessuto di odi et amo verso l’aspetto per­ sostituirsi alle componenti parlate e inter-personali della scuola
turbante della filosofia, incarnata da Socrate. Anche il genere filosofica, che egli stava costruendo nell’Accademia. Uno scritto
dei memorabili, che forse si riallacciava alle raccolte di detti di Platone, che avesse voluto conservare le sue dottrine come
dei saggi e di cui abbiamo esempio in Senofonte, si organizza qualcosa di definitivamente codificato, risultava qualcosa di
cone una cucitura, attraverso l’io narrante, di molteplici dia­ impossibile. La Eettera VII ha l’obiettivo di giustificare 1operato
loghi con interlocutori diversi su temi diversi, talora in forma di Platone nelle vicende di Siracusa e di fornire consigli agli
più argomentata, talora con rapide conclusioni sfocianti in amici di Dione. In questo caso, se è autentica, allora Platone
apoftegmi o precetti. In Senofonte questi discorsi riprendono non si dissimula dietro un personaggio. In essa non è assente
probabilmente tematiche affrontate anche da altri socratici nei una componente di contenuti filosofici, che però si accompagna
loro scritti e servono a dimostrare le elevate qualità morali al rifiuto di fornire un compendio scritto - un «sistema», noi
di Socrate, cittadino pio e ossequente verso gli dèi e le leggi. diremmo - delle sue dottrine, contro il tentativo compiuto in
Tutto ciò è presentato come narrazione di quanto Senofonte questa direzione dal tiranno di Siracusa, Dionisio. Secondo
aveva visto o udito personalmente o da testimoni attendibili. Platone, la lettura e lo studio di un manuale sistematico, per
Emerge qui una funzione importante degli scritti socratici, esempio di medicina, non fa ancora il medico; nella miglio­
fatta propria anche da Platone: quella di salvaguardia della re delle ipotesi fornisce soltanto i preliminari ai quali deve
memoria, la funzione di hypómnema. LIEconomico di Senofonte aggiungersi l’apprendistato, l’esercizio capace di individuare
è addirittura costruito come un incastro di dialoghi, alcuni dei nella prassi le specifiche malattie da cui sono affetti i singoli
quali fungono da cornice ad altri, in primo luogo tra Socrate pazienti, apprestando quindi una cura adeguata. Allo scritto
e Iscomaco, saggio amministratore della propria casa, e poi Platone opponeva una concezione del sapere legata al saper
tra Iscomaco e la moglie. Qui Senofonte sembra proiettare fare, che richiede un luogo appropriato, come nelle botteghe
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artigiane. Lo scritto invece, secondo Platone, ha la fissità di una Anche in una città giusta, però, i filosofi continuano a servirsi
figura dipinta che non può rispondere alle domande postegli di determinate forme di poesia e di miti. Platone è critico
se non ripetendo sempre un’unica identica risposta. Egli non verso il mito, come verso la scrittura: esso non può essere
poteva accettare questa fissità, con la quale lo scritto arriva posto sullo stesso piano dell’argomentazione dialettica, ma
al destinatario, e neppure il carattere «democratico» dello può essere utile sul piano etico-politico, soprattutto nei con­
scritto, che dice a tutti la stessa cosa senza passare attraverso fronti dei concittadini sprovvisti di sapere filosofico, e anche
filtri preventivi. Lo scritto infatti non può scegliere i propri nelle pagine dei dialoghi egli non esita a inserire ampi miti
destinatari e può andare nelle mani di chiunque, competente escatologici e cosmologici, strettamente connessi al tema del
o incompetente, e quindi essere frainteso, se non vilipeso. Ma dialogo di cui fanno parte e che sovente concludono. Nella
il sapere non è qualcosa a cui tutti possono accedere in qual­ città giusta delineata da Platone nella Repubblica i filosofi
siasi momento e nello stesso modo, senza passare attraverso non sono mai ritratti nell’atto di scrivere. Che poi esistessero
un lungo tirocinio. Esso richiede dunque sequenze temporali dottrine che circolavano solo oralmente nella scuola e che non
di acquisizione, gerarchie, censure. Il libro, più che eliminato, trovano un corrispettivo globale nei dialoghi scritti è possibile;
deve essere controllato. Ma nella città democratica ciò era meno plausibile è che queste dottrine costituissero un corpo
impossibile. Lo scritto induce a cercare il sapere fuori di sé, sistematico rigorosamente definito, come una teoria dei principi
nell’oggetto «libro», ma questo, anziché condurre alla riappro­ con un potente impianto deduttivo.
priazione individuale del sapere, ne facilita la dimenticanza. Il
vero luogo nel quale il sapere può essere lentamente riscritto
e così realmente conservato è l’anima, che Platone paragona a 3. I trattati di Aristotele
una sorta di libro. Egli viveva ormai in un momento di forte
tensione tra cultura scritta e forme di comunicazione orale; Neppure Aristotele espone le sue tesi nella forma assioma-
sapeva che il suo discorso, assumendo forma scritta, poteva tico-deduttiva, che noi riscontriamo negli Elementi di geome­
correre dei rischi, ma in un clima di forte competizione culturale tria di Euclide. Né i suoi scritti conservati, pur presentando
lo scritto poteva anche essere un’arma efficace per presentare connessioni tra loro, sono le tessere di un unico, imponente
immagini corrette della filosofia e polemizzare con figure alter­ mosaico sistematico, come per secoli si è immaginato. Negli
native al filosofo. L’oralità che Platone tenta di rappresentare Analitici posteriori Aristotele delinea un modello di scienza,
nel dialogo non è più l’oralità delle performance poetiche o che probabilmente trovava riscontro nei manuali di geometria
degli spettacoli teatrali o dei lunghi discorsi retorici, giudiziari circolanti al suo tempo. In esso il sapere è organizzato come un
o politici. La polemica platonica contro la poesia ha qui uno insieme ordinato di proposizioni dedotte sillogisticamente da
dei suoi presupposti. La poesia è un ingrediente costitutivo una serie di principi. Questo modello presupponeva l’esistenza
delle città storiche, al centro della paidéia. Platone obietta: la di scienze ormai consolidate nei loro contenuti. Per poter essere
poesia non è uno strumento conoscitivo, non ha campi propri conservato e trasmesso, il sapere doveva essere messo in ordine,
di competenza e quindi non può arrogarsi funzioni educative. attraverso legami che ne connettessero le varie parti, e ciò era
Essa fa leva sulle emozioni degli ascoltatori senza orientarle assicurato dal tipo di struttura descritta da Aristotele. Ma gli
verso il bene: in una città giusta dovrebbe essere sottoposta scritti aristotelici arrivati sino a noi non si conformano a tale
a un rigido controllo. L oralità che invece Platone auspica è struttura. Essi presentano piuttosto discussioni di problemi e le
quella dialettica, come si è visto, e la forma scritta più adeguata relative soluzioni, riguardanti vari campi del sapere. A questo
a memorizzarla e presentarla come attività in atto è il dialogo. scopo Aristotele ritiene essenziale raccogliere e riordinare i dati
In una città ingiusta —che ha la sua espressione culturale in e le osservazioni disponibili, proprie e altrui. E ciò comporta
poeti, sofisti e retori —lo scritto filosofico può assumere una fiducia anche nello scritto, come luogo di conservazione e
funzione antagonistica e fungere da esortazione alla filosofia. reperimento di questi dati. Non è un caso che la tradizione
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attribuisse ad Aristotele l’appellativo di «lettore». I problemi Con Aristotele cessava la diffidenza platonica nei confronti
della classificazione erano già stati affrontati nella scuola di dello scritto. Anch’egli scrisse dialoghi, che sono andati perduti
Platone, ma forse più per le problematiche logico-linguistiche e della cui forma è difficile farsi un’idea, per esempio se im­
che essi comportavano. In Aristotele, invece, la classificazione piegavano la discussione per domande e risposte oppure anche
diventa anche strumento per dare ordine a specifici campi del lunghi discorsi prò e contro una certa tesi, anche se pare che a
sapere, come nei suoi scritti di carattere biologico. Tra i punti volte Aristotele introducesse anche se stesso tra i protagonisti
di partenza per risolvere problemi era imprescindibile far rife­ del dialogo. Nel suo Protrettico, anch’esso perduto, Aristotele
rimento a quanto già era stato detto o scritto al riguardo. Ma tentava di dimostrare che l’unica attività in grado di garantire
era anche importante, come avviene per esempio nel libro V la massima felicità è quella teoretica, che ha il suo fine solo in
della Metafisica - nonché nelle Divisioni arrivate sotto il nome di se stessa. Ma è interessante notare che quest’opera forse non
Aristotele -, e in una certa misura in tutte le opere di Aristotele, aveva forma dialogica e si presentava come lettera indirizzata
costruire veri e propri dizionari di termini chiave del linguaggio a Temisone, re di Cipro. Era dunque un episodio della com­
filosofico, come essere, uno, natura e così via, disporli in un petizione della filosofia con la retorica, che con Isocrate aveva
ordine più logico che alfabetico e distinguere la molteplicità di appunto tentato di accaparrarsi il favore del re di Cipro. La
significati che essi avevano assunto o potevano assumere, anche maggior fiducia nello scritto comportava la possibilità di uti­
allo scopo di rintracciare un significato primario, al quale gli lizzare anche forme diverse dal dialogo, dal canovaccio per
altri potessero essere ricondotti. Aristotele intendeva così uscire l’insegnamento orale —com’è buona parte degli scritti aristo­
dalle ambiguità del linguaggio oracolare o poetico e in genere telici arrivati sino a noi - alla raccolta sistematica di materiali
metaforico, al quale erano invece stati sensibili gli antichi filosofi e discussioni relativi a un tema. Negli scritti conservati —nati
della natura, e in una certa misura anche Platone, e liberare la nella scuola e finalizzati a essa - il ragionamento filosofico ha
stessa retorica dai legami con le suggestioni magiche teorizzate e un andamento largamente impersonale e si svolge secondo una
praticate da un Gorgia. Aristotele riteneva necessario esaminare dinamica propria, facendo scomparire o mettendo in disparte
anche le tecniche linguistiche di persuasione impiegate nella il soggetto che lo enuncia. Più che per essere letti, in buona
retorica. Nella stessa poesia, in quanto mirante a rappresen­ parte essi furono composti per servire da base per lezioni o per
tare il possibile e il verosimile, egli ravvisava una dimensione richiamare i punti essenziali di un problema o di una lezione
di universalità, assente invece a suo avviso nella storiografia. svolta. Questa forma poteva comportare un ampliamento di punti
Tutto ciò lo conduceva al tempo stesso a una riflessione sugli già trattati, mediante chiarimenti, esemplificazioni, aggiunte di
strumenti linguistici e argomentativi, che stanno alla base del ulteriori argomentazioni. Questo complemento orale è ormai
lavoro del filosofo. Non è un caso che XOrganon di Aristotele irrimediabilmente sottratto alla nostra conoscenza. Ma a esso
sia un potente arsenale di analisi di questo tipo e che molti si collega il fatto che lo stile di questi scritti risulta conciso,
suoi scritti, come quelli zoologici - nonché quelli botanici asciutto, talvolta oscuro, con transizioni improvvise o riprese e
del suo allievo Teofrasto -, abbiano prodotto e codificato un ripetizioni. Questi scritti potevano d’altronde essere utilizzati più
fortunato linguaggio della descrizione e della classificazione. volte e ciò rendeva possibili aggiunte successive o modificazioni
Tutto ciò contribuiva alla costruzione di una biblioteca del o correzioni, che talora conferivano a tali scritti l’immagine di
sapere: la synagogé, ossia la raccolta sistematica di materiali su terreni stratificati. Questi aspetti dovrebbero comunque mettere
un tema o su uno scrittore, diventava una delle forme tipiche in guardia dallo scambiarli per manuali o trattati sistematici. Fu
della letteratura scritta di matrice aristotelica. Aristotele stesso, il lavoro editoriale successivo - che forse ebbe una tappa, anche
in un opera intitolata Didascalie, aveva raccolto un elenco di se non molto chiara, con Andronico di Rodi nel I secolo a.C. - a
tutti i drammi rappresentati in Atene tra il V e il IV secolo. Da generare l’immagine di un sistema unitario. Più scritti distinti
allora la scuola filosofica sarebbe diventata anche un centro di che parevano affrontare una tematica comune dovettero essere
produzione libraria, non solo di conservazione. raggruppati come opere unitarie, sotto un unico titolo e secondo
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una successione plausibile, sulla base della tripartizione ormai 4. Caratteri e forme della letteratura filosofica in età elleni­
canonica, a partire dall’età ellenistica, della filosofia in logica, stica
fisica ed etica. Questa dimensione di collage sembra presente,
secondo molti studiosi, anche in opere per secoli considerate Il consolidarsi in età ellenistica di quattro grandi scuole
modelli di sistematicità, come la Metafisica, la Fisica o la Po­ filosofiche, l’accademica, la peripatetica, la stoica e l’epicurea,
litica. Sotto il nome di Aristotele è stata conservata un’opera generò un clima di forte competizione, nel quale la polemica,
intitolata Problemi. Redatta a più riprese all’interno della scuola non solo dottrinale, rivestì un ruolo importante. Già Epicuro
peripatetica, essa consiste in un repertorio di quesiti introdotti nella sua opera principale Sulla natura attaccava e confutava gli
da formule fisse (perché? come?) e seguiti dalle varie soluzioni, avversari. Il suo discepolo Ermarco di Mitilene scrisse opere
sovente ricavate da scritti di Aristotele stesso o del suo successore contro Platone e Aristotele. Un altro epicureo, Colote, dedicò
Teofrasto. La struttura a catalogo consentiva rimaneggiamenti addirittura interi scritti a confutare singoli dialoghi platonici,
e integrazioni con materiali ulteriori non sempre riconducibili quali il Liside e YEutidemo. Il trattato Sui segni di Filodemo,
all impostazione aristotelica. Il vantaggio di una compilazione conservato in un papiro di Ercolano, è la preziosa testimonianza
del genere, suscettibile di un accrescimento continuo - che di un dibattito insorto nel II secolo a.C. fra stoici ed epicurei
poteva trovare un corrispettivo in scritti medici risalenti alla sulla consistenza e la validità dell’inferenza semeiotica. Questa
tradizione ippocratica, quali le Epidemie —era in primo luogo pratica della confutazione delle dottrine avversarie non avve­
di tipo pedagogico, come strumento di consultazione su diversi niva però esclusivamente o prevalentemente attraverso opere
ambiti del sapere. Ma il rischio di questo genere di letteratura scritte. Essa permeava per esempio l’attività orale all’interno
era di indurre a pensare che non fosse più necessario ricorrere dell’Accademia platonica, a partire da Arcesilao di Pitane sino
alla lettura diretta dei testi originali. Via via fu la compendio- a Cameade e ai suoi discepoli, in un arco di tempo che va dal
sità, legata a facili criteri di catologazione e classificazione, a III al I secolo a.C. Più che filosofare in proprio, gli accademici,
rendere preferibili le epitomi e gli excerpta ai testi da cui erano e in generale gli scettici, vivevano a spese delle dottrine altrui,
tratti. Ma le preoccupaziorii che stavano alla base di questo sottoposte a un incessante lavoro di demolizione. Per evitare di
tipo di compilazioni riflettevano anche una predilezione per la cadere sotto il dominio dell’opinione, terreno di incertezze o
raccolta erudita impostasi nella scuola aristotelica. Non di rado di dogmatismo, Arcesilao sosteneva la necessità di sospendere
ciò si accompagnava alla ricerca di fenomeni e fatti curiosi o l’assenso di fronte alle teorie contrastanti dei filosofi delle altre
straordinari. Già negli scritti botanici di Teofrasto, che sono scuole. Autori antichi attribuivano a questa pratica della sospen­
stati conservati, sono talvolta registrati, anche se con riserve sione dell’assenso anche il fatto che Arcesilao non scrisse libri.
critiche, eventi eccezionali. Interessi per animali mitici sono Anche Cameade non scrisse nulla10. Per questo aspetto essi
rilevabili da titoli di opere di Stratone. È difficile districare in si rifacevano al precedente di Socrate, che non aveva scritto:
questa frammentaria produzione peripatetica la componente la dimensione propria dell’attività filosofica, quale si trovava
puramente erudita da quella filosofica. Rimaneva comunque espressa anche nella rappresentazione di Socrate nei dialoghi
costante nella scuola peripatetica la dimensione dialettica platonici, era l’oralità. Il fatto di non scrivere nulla non fu però
della discussione delle dottrine altrui. In questa prospettiva prerogativa dei soli accademici, anche Pirrone e Menedemo,
è costruita una serie di aporie che Teofrasto solleva nel suo per esempio, non lasciarono scritti. L’insegnamento orale di
breve e criptico scritto intitolato dalla tradizione Metafisica e questi maestri era trasmesso o attraverso la prosecuzione orale
che hanno per referenti dottrine di altri indirizzi filosofici, in del loro insegnamento o attraverso resoconti e rielaborazioni
primo luogo dell’Accademia, e questioni sollevate dallo stesso scritte dai loro discepoli - come per esempio fece Clitomaco di
Aristotele. Analoga operazione compì il suo successore Stratone Cartagine a proposito delle confutazioni e delle argomentazioni
nei confronti delle dottrine dell’immortalità dell’anima e della elaborate dal suo maestro Cameade -, ma anche attraverso le
reminiscenza avanzate nel Fedone platonico. confutazioni che ne davano i loro avversari. Si può sostenere
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G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 129

con buona probabilità che la dimensione dell’oralità costituì impostazioni scettiche. In ogni caso, in quanto tipo di comuni­
sempre un aspetto decisivo delle scuole filosofiche antiche. cazione indiretta e dissimulata dietro personaggi, esso risultava
Solitamente, tuttavia, a essa si venne affiancando, tranne che refrattario a una enunciazione assertoria, priva di oscillazioni,
nell’Accademia di orientamento scettico, la pratica della com­ della verità. Intessute di dialoghi fittizi e massime dovettero
posizione di scritti destinati all’uso interno per l’insegnamento, invece essere le prediche dei cinici, trascritte nella forma della
ma anche a un pubblico esterno più ampio. Pur rigidamente diatriba. Questa attingeva probabilmente a raccolte di chréiai,
compatti al loro interno, gli indirizzi filosofici antagonistici tra brevi sentenze utili per la condotta della vita. La consuetudine
loro continuarono in qualche misura a comunicare, se non altro di raccogliere i detti dei maestri e ordinarli secondo le occasioni
polemicamente. L’atmosfera generale era un clima di difesa e in cui erano stati pronunciati era già diffusa nel V secolo, ma
attacco: per filosofare occorreva anche combattere contro i ricevette particolare impulso in ambiente cinico come facile
rivali, e la circolazione orale e scritta dei temi della riflessione strumento di propaganda filosofica. La diatriba ampliava il
filosofica era un correlato della competizione. tema di una risposta esemplare data a un personaggio reale
Non è facile cogliere i caratteri generali della letteratura o immaginario, fino a costruire una sorta di dialogo con un
filosofica dell’età ellenistica. A eccezione di alcuni scritti di interlocutore fittizio (si pensi alle risposte del cinico Diogene
Teofrasto, delle Epistole e delle Massime capitali di Epicuro e ad Alessandro). Non si trattava però di un dialogo concepito
dell’Inno a Zeus dello stoico Cleante, la maggior parte di essa è come strumento euristico della verità. Di fatto esso si riduceva
scomparsa. Come per i pensatori antecedenti a Platone, restano a una declamazione, con l’introduzione di personificazioni,
solo pochi frammenti e testimonianze di epoca posteriore. È tirate moraleggianti, satira e reprimenda, con accentuazioni
registrabile comunque una certa persistenza di generi letterari comiche o patetiche.
già consolidati per il discorso filosofico. L’uso della forma del E la poesia? La poesia si impose all’attenzione dei filosofi
simposio, per esempio, è documentato per lo stoico Perseo. dell’Ellenismo sotto due aspetti: come oggetto di riflessione
La cosa è comprensibile, data la sua permanenza nella corte filosofica, in quanto depositaria di contenuti anch’essi filosofici
macedone di Antigono, uno dei successori di Alessandro, alla e, talvolta, come veicolo di polemiche o espressione dei vertici
quale poteva essere gradito questo genere di intrattenimento. più alti della stessa speculazione filosofica. Al verso ricorse
Anche Epicuro scrisse un Simposio, ma esso non era introdotto Timone di Fliunte per offrire una rappresentazione parodica
da un inquadramento scenico e gli unici personaggi erano fi­ e satirica dei filosofi di altri indirizzi in contrapposizione al
losofi che affrontavano immediatamente una serie di questioni proprio maestro Pirrone, «simile a un dio», che aveva man­
fisiche, come per esempio quella relativa al potere calorifico del tenuto un sereno distacco ed equilibrio di fronte alle cose.
vino11. Alla scuola epicurea, ma anche a quella stoica, sembra Talora egli ricorreva anche all’antico topos della discesa agli
invece estraneo l’uso della forma letteraria del dialogo, così inferi. La tradizione gli attribuisce pure la composizione di
rilevante in Platone e neH’Aristotele perduto, e ancora usata tragedie, drammi satireschi e addirittura poemi epici, ma nulla
da discepoli di quest’ultimo come Dicearco e Clearco. L’ostilità sappiamo né dei contenuti né della loro forma. Identico velo
di Epicuro nei confronti dell’Accademia si estendeva anche di ignoranza ricopre le notizie sulle tragedie, che sarebbero
al tipo di scrittura privilegiata in quella scuola, anche se uno state composte dai cinici Diogene di Sinope e Cratete di Tebe.
dei libri Sulla natura, contenuto nel papiro ercolanese 1413, Si può congetturare che esse fossero destinate alla lettura
sembra avere un andamento dialogico. Da parte loro, gli stoici pubblica, più che alla rappresentazione teatrale vera e propria.
accoglievano una definizione di dialettica, di sapore platonico, In tal senso esse si integravano nella pratica più ampia della
come scienza del domandare e del rispondere. Ma ciò non predicazione orale, come veicolo della propaganda filosofica
li induceva ad accogliere il dialogo come forma adeguata di cinica. Integralmente conservato, forse anche per la facilità
esposizione dell’attività filosofica. Non è escluso che il dialogo di memorizzarlo, è invece l’Inno a Zeus dello stoico Cleante,
potesse apparire loro pericolosamente incline all’assunzione di che si riallaccia all’antica tradizione dell’inno cultuale, ripro­
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ponendone gli stilemi, in particolare l’uso degli epiteti sacrali soprattutto Omero e Euripide; lo stesso Arcesilao, nella sua
e della sequenza fissa: invocazione della divinità - esaltazione ammirazione, affiancò a Omero anche Pindaro15.
della sua potenza - preghiera finale. In questa cornice Cleante In età ellenistica, soprattutto nella filosofia stoica, si impone
innesta temi propri della filosofia stoica, dalla celebrazione una concezione della filosofia come campo del sapere articolato
dell’azione provvidenziale della divinità alla richiesta al dio in tre parti canoniche - logica, fisica, etica - e si incomincia
di ricevere l’intelligenza capace di cogliere l’ordine divino ad avvertire l’esigenza di costruire scritti di carattere intro­
del mondo. Altri frammenti in versi di Cleante contengono la duttivo alle varie parti. Così Crisippo scrisse una Introduzione
formulazione di massime etiche o la rappresentazione di un alla logica. Il presupposto che guida alla composizione di tali
dialogo tra la ragione e la passione personificate. Ma l’impres­ opere è la convinzione che la filosofia della scuola sia ormai un
sione è che la destinazione prevalente della forma poetica fosse corpo ben consolidato di sapere. Si tratta soltanto di trovare
teologica. La scelta della poesia aveva presupposti teorici, che forme di scrittura simili ai manuali delle varie tecniche - dalla
appaiono indicati da Filodemo12: secondo Cleante gli esempi o medicina alla matematica all’architettura - nelle quali questo
modelli musicali e poetici sarebbero stati superiori allo stesso sapere possa essere ordinato ed esposto nel modo migliore
lògos filosofico, il quale può certamente enunciare in maniera anche per i principianti. La certezza di possedere la totalità
sufficiente le cose divine e umane, ma non ha espressioni ap­ del sapere filosofico consente di indulgere in partizioni, de­
propriate alla maestà della grandezza divina, a differenza dei finizioni, classificazioni entro confini ben tracciati. Non è un
versi, dei canti e dei ritmi. Seneca riferisce un significativo caso che proprio gli stoici abbiano dato un contributo decisivo
paragone costruito da Cleante: alla costruzione della grammatica e della sua terminologia, con
le dottrine dei casi o degli aspetti del verbo. Zenone aveva la
Come il nostro fiato rende un suono più chiaro, quando la tromba consuetudine di esporre il nucleo essenziale delle sue dottri­
lo diffonde, dopo averlo fatto passare attraverso un lungo e stretto ne, per esempio sugli dèi, in forma sillogistica. La funzione
canale e lo fa uscire da un’apertura più grande, così la costrizione del di questi sillogismi poteva essere duplice: o concludere in
metro poetico rende più chiare le nostre rappresentazioni13. maniera riassuntiva e icastica un ragionamento più complesso,
o introdurre e preparare il lettore a un’esposizione più elabo­
Omero in particolare era considerato da Cleante un ser­ rata. L’intento era in primo luogo di rendere l’insegnamento
batoio di sapere teologico. Il riconoscimento deH’importanza memorabile, in senso letterale, cioè più facile da memorizzare.
«filosofica» della poesia, respinto da Platone e messo almeno In Zenone tutto ciò avveniva all’interno di uno stesso scritto,
in dubbio da Aristotele, deve essere collocato nel quadro della mentre le opere di carattere introduttivo alla filosofia o a una
progressiva integrazione delle scuole filosofiche nel tessuto sua parte diventavano appendici o preliminari alla lettura di
educativo della città, che aveva sempre riconosciuto rilevanza altri testi più complessi e talvolta addirittura li sostituivano.
pedagogica alla poesia. Non è probabilmente esatta la raffigu­ Ma il lavoro filosofico all’interno della scuola stoica consistette
razione di un Epicuro incondizionatamente ostile alla poesia, sovente nel tornare ripetutamente su definizioni e soluzioni
anche se è attestata una sua avversione per Omero. Diogene fornite in precedenza, per darne riformulazioni più adegua­
Laerzio gli fa sostenere che «solo il saggio sarà in grado di te, con aggiunte, modifiche o precisazioni capaci anche di
discorrere rettamente di musica e poesia, senza che per questo rispondere o anticipare obiezioni delle scuole avversarie. In
debba comporre egli stesso poemi»14. Perfino gli accademici non questo modo di lavorare si distinse soprattutto Crisippo, che
estesero alla poesia l’ostilità da essi manifestata nei confronti tornava incessantemente sugli stessi argomenti, amplificando
delle altre filosofie, nonostante l’illustre precedente di Platone. e ripetendosi, tanto da attirare sovente accuse di sciatteria
Anche per loro Diogene Laerzio testimonia una costante at­ stilistica, oltre che di violenze alla stessa lingua attica. L’essere
tenzione alla poesia. Polemone prediligeva soprattutto Sofocle, inconfutabili rappresentava la preoccupazione principale dello
da lui definito l’Omero della tragedia; il suo allievo Crantore stoicismo: il sapiente è per definizione colui che, conoscendo
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la verità, non può essere confutato. Ma per mirare a questo Vite di Diogene Laerzio, le quali costituiscono nel loro insie­
ideale, lo studio della dialettica come tecnica dell’argomenta­ me un’epitome dell’intera filosofia epicurea. Epicuro stesso
zione e scienza del vero e del falso risultava essenziale. Non chiarisce neìYEpistola a Erodoto che i destinatari della lettera
tutti gli stoici però accettavano questa prospettiva: Aristone di sono coloro che non possono leggere e studiare accuratamente
Chio ammetteva soltanto l’etica. Per lui la cosa importante era i suoi libri Sulla natura. Per essi Epicuro compone un’epitome
la condotta di vita, per la quale bastano norme generali, non dei principi fondamentali della sua dottrina. L’esposizione
occorrono precetti particolari. Per Aristone il sapiente è come compendiata offre maggiori possibilità di memorizzare questi
un bravo attore, che sa assumere la maschera sia di Tersite sia principi, ai quali poter fare riferimento nella vita quotidiana. E
di Agamennone, ossia è tale in qualsiasi circostanza. questo vantaggio vale per tutti, non soltanto per i principianti,
La maggiore consistenza di testi epicurei conservati permet­ ma anche per coloro che sono già progrediti nello studio della
te di ottenere un’immagine almeno in parte più precisa della filosofia epicurea. Una volta memorizzati i principi generali,
funzione esercitata dalla produzione scritta all’interno della vita diventa più facile dissolvere le aporie teoriche e pratiche e
comunitaria di una scuola filosofica. Dei 37 libri che compon­ trovare le indicazioni appopriate ai casi particolari. Sulla base
gono l’opera principale di Epicuro, Sulla natura, rimangono di questi presupposti Epicuro fornisce nell’Epistola a Erodoto
soltanto frammenti papiracei della biblioteca di Ercolano. Essa un’esposizione in forma assiomatico-deduttiva dei principi
doveva contenere un’esposizione complessiva della dottrina generali della sua filosofia. LEpistola a Pitocle mostra che a
epicurea, composta nell’arco di più anni, come una sorta di volte erano gli stessi discepoli, lontani dal maestro e memori del
work in progress, senza un piano rigidamente prestabilito, nella suo insegnamento, a sollecitare simili esposizioni compendiate.
quale Epicuro tornava a più riprese sugli stessi temi in base Pitocle infatti confessava di avere continuamente per le mani gli
a nuovi elementi, problemi e argomentazioni, aggiungendo altri scritti di Epicuro, ma di trovarli difficili da memorizzare.
via via libri che trattavano non soltanto della filosofia della D ’altra parte egli era consapevole che i compendi scritti dal
natura, ma anche di questioni etiche e gnoseologiche. Epicuro maestro avrebbero potuto essere utili non soltanto a lui, ma
enunciava le proprie tesi con un linguaggio fortemente codifi­ anche a molti altri, soprattutto ai principianti e a quanti erano
cato, periodi complessi, confutazioni articolate degli avversari impegolati nelle faccende della vita quotidiana. Questo punto
e argomentazioni sottili, sovente per via indiretta, le quali non segna un netto elemento di differenziazione rispetto al modo
dovevano essere di facile e immediata comprensione. Nasceva aristotelico di concepire l’attività filosofica. Per Aristotele essa
di qui l’esigenza di affiancare, all’opera maggiore, esposizioni richiede necessariamente una situazione di scholé, l’essere liberi
in forma compendiata dei capisaldi della sua dottrina. A tale da impegni di lavoro o da faccende pubbliche; per Epicuro,
scopo provvedono le epistole dirette a uno o più destinatari. invece, anche chi si trova in queste condizioni non è di per
Le lettere di Epicuro contenevano talvolta particolari auto- sé escluso dalla vita filosofica. Così il consolidamento nella
biografici, ma non con l’ampiezza della platonica Lettera VII. memoria delle molteplici spiegazioni possibili dei fenomeni
Così in una lettera alla madre egli accenna alle sue precarie meteorologici consentirà di dissipare le ombre dei miti sugli
condizioni economiche, in un’altra al discepolo Ermarco dèi e le false pretese di verità assoluta degli astronomi e dei
manifesta il suo affetto per l’etera Leonzio e nella lettera a filosofi della natura, soprattutto platonici. In tal modo sarà
Idomeneo poco prima della morte racconta i dolori fisici che possibile raggiungere Γ atarassia e perseguire il vero fine a
lo attanagliano e insieme la serenità dell’animo nel ricordo delle cui gli uomini tendono: il piacere. A illustrare questi ultimi
conversazioni e dei ragionamenti avuti con lui16. Ma la funzione temi e a mostrare, in forma ancora una volta compendiata, il
principale delle lettere indirizzate ai suoi discepoli, raccolti modo in cui vivere «come un dio tra gli uomini» è dedicata
in piccole comunità di amici lontane da lui, a Lampsaco o a VEpistola a Meneceo. Opera di ulteriore semplificazione del suo
Mitilene, è pedagogica e protrettica. Ciò emerge chiaramente insegnamento fu realizzata probabilmente dallo stesso Epicuro
dalle tre lettere che sono state conservate nel libro X delle mediante estrazione di proposizioni e sentenze dai suoi scritti
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principali, raccolte in una sorta di breviario intitolato Massime luogo invece una stretta saldatura tra riflessione etica e fisi­
capitali e conservate anch’esse nel libro X di Diogene Laerzio. ca, e non solo in Lucrezio, ma anche nell’opera Sulla natura
Questo tipo di raccolte divenne un aspetto peculiare dell’attività degli dei di Cicerone e nelle Questioni naturali di Seneca. Il
della scuola anche dopo la morte del maestro. Un esempio vero e più vistoso mutamento è dato invece dalla presenza di
è dato dal cosiddetto «Gnomologio vaticano», contenente figure non professionali di filosofi, che in certi casi decidono
ottantuno massime di carattere etico, estratte da scritti non di scrivere di filosofia in latino per un pubblico latino. Tra
solo di Epicuro, ma anche di suoi scolari come Metrodoro. le varie correnti filosofiche greche l’epicureismo era quella
Ciò non significa che la scuola si sclerotizzasse sui risultati che incontrava maggiori ostilità nel mondo romano. Forse
acquisiti dal capostipite, anche se in essa, ancor più che nelle proprio per questo diede luogo alla composizione dei primi
altre, il riferimento aH’insegnamento del maestro rimase deci­ scritti filosofici in lingua latina. Secondo Cicerone per lungo
sivo. Il trattato Sui segni di Filodemo mostra che nel dibattito tempo l’unica produzione filosofica latina fu epicurea: i nomi
dell’epicureo Zenone di Sidone contro avversari stoici, nella sono quelli di Gaio Amafinio e poi Cazio, puri nomi per noi17.
seconda metà del II secolo a.C., erano introdotti argomenti Cicerone dà un’immagine negativa delle loro traduzioni di testi
ulteriori rispetto alle tesi del maestro. Ancora verso la fine epicurei, dovuta al fatto che essi impiegavano un sermo vulgaris,
del II secolo d.C. Diogene di Enoanda avrebbe fatto incidere adatto a farli circolare tra la plebe. E un quadro di maniera
in un portico della sua città, in Licia, le linee fondamentali per screditare questi scritti, la cui circolazione difficilmente
del messaggio di salvezza del maestro Epicuro, fissandolo in dovette interessare vasti strati popolari. Cicerone intendeva
una sorta di libro indelebile di pietra, accessibile a chiunque: piuttosto ammonire gli eventuali lettori aristocratici e colti di
se tutti fossero epicurei - affermava Diogene - regnerebbero questo tipo di letteratura pericolosa sul piano etico, religioso
amicizia e giustizia e le leggi sarebbero superflue. e politico, i quali si abbassavano ad accogliere dottrine che
potevano andare bene solo per la plebe. A Cicerone i segua­
ci romani dell’epicureismo apparivano troppi, dilaganti per
5. A Roma: scrivere di filosofia anche fuori delle scuole l’intera Italia, mentre a Lucrezio apparivano troppo pochi:
retroque vulgus ahhorret ab hoc, il volgo rifugge lontano dalle
Nel suo lento ingresso a Roma la filosofia non trovò subito dottrine epicuree18.
espressione scritta in latino. Fra il III e il II secolo a.C. Ennio Per noi il primo documento filosofico in lingua latina
cominciò a incorporare, in un più ampio quadro letterario, in è appunto il poema di Lucrezio. Perché Lucrezio decise di
scritti sia in versi sia in prosa, tematiche e riflessioni filosofi- scrivere? Naturalmente si tratta di tentare una risposta non
che. Nonostante una certa propensione per tesi pitagoriche, in chiave psicologica, del resto inaccessibile, ma cercando di
sembra difficile documentare una sua adesione a un preciso cogliere la funzione assegnata da Lucrezio alla scrittura, dal
indirizzo filosofico. Così nelle Satire risentiva degli influssi momento che non è automatico il passaggio dall’adesione a
della diatriba di matrice cinico-stoica. Se si eccettua in parte un tipo di vita filosofica alla composizione di testi filosofici.
Lucrezio, questa rimase una costante negli scrittori romani di Il poema Sulla natura delle cose è dedicato al nobile Gaio
filosofia: l’assenza di adesione rigida a un singolo indirizzo Memmio, cui Lucrezio si rivolge spesso direttamente con l’uso
filosofico. È solo nel I secolo a.C. che la filosofia trova piena della seconda persona singolare, anche se non è pensabile che
espressione anche in latino, ma da parte di autori che non si l’unico destinatario fosse Memmio. Questi non appare come
dedicano all’insegnamento all’interno di una scuola filosofica. un epicureo già convinto, ma neppure già legato a qualche
Essi hanno quindi minori vincoli di «ortodossia» e appaiono altro indirizzo filosofico e ciò lo rende disponibile ad aprire
a volte più disponibili all’ascolto di voci filosofiche anche le sue vacuas aures ai versi lucreziani. Perché ciò avvenga
in dissenso tra loro. Né è vero che i Romani, spiriti pratici, occorre che egli, in un tempo che a Lucrezio appare iniquo
fossero interessati solo a tematiche etiche: pure a Roma ha per la patria, abbia l’animo sgombro da altre preoccupazioni
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e non disprezzi pregiudizialmente il discorso prima di averlo madre e nutrice di paure. Scaturiscono da qui le immagini di
compreso19. Lucrezio, dunque, non scrive per un pubblico Epicuro esploratore di terre incognite, che aveva infranto le
di scuola. Egli è consapevole che due aspetti del suo scritto porte sigillate della natura e si era in tal modo imposto vinci­
possono tenere lontano Memmio o indurlo poi ad abbando­ tore contro la religio. Illuminazione e liberazione vanno di pari
nare quanto avrà ascoltato. Il primo è dato dalla novità della passo: Epicuro le aveva rese possibili. Ma gli strumenti di cui
dottrina comunicata; il secondo è che quanto Lucrezio dirà si era avvalso per vincere i mostri dell’animo, più temibili dei
è in contrasto con «le parole terrificanti» dei vati. La paura, mostri sconfitti da Eracle, non erano state le armi, bensì i dieta.
ancor più del piacere, è elemento centrale della poetica e della Per comprendere la decisione lucreziana di scrivere occorre
filosofia lucreziana. Da una parte ci sono i timori generati tener presente che ai suoi occhi la lotta contro le paure e la
dalle vecchie credenze diffuse; dall’altra il timore di fronte superstizione che le genera non si è conclusa. I più continuano
alla verità nuova inaudita. In entrambi i casi si tratta di falsi a vagare a tentoni fra le tenebre, preda di paure che generano
timori: nel caso delle credenze tradizionali perché esse sono una ricerca sfrenata di ricchezze e potere, vittime anche dei
false, nel caso delle nuove dottrine epicuree perché esse sono dieta dei vati. Era dunque essenziale per Lucrezio proseguire
vere. Ma nulla è così straordinario - come aveva già ricono­ la lotta intrapresa da Epicuro, attingendo dalle sue chartae,
sciuto in un certo modo Aristotele - che a poco a poco non come ape da un prato fiorito, i suoi aurei detti e rimettendoli
possa cessare di essere tale. Se gli astri fossero oggi visibili per in circolazione20.
la prima volta, parrebbero straordinari, ma oggi - aggiunge Epicuro però aveva scritto in greco e in prosa, Lucrezio
Lucrezio - nessuno alza più stupito gli occhi al cielo. Ai suoi scrive in latino e in versi. Egli si proclama primo a percorrere
lettori egli chiede di esaminare se il contenuto dei suoi versi strade delle Muse mai prima percorse: la novità riguarda non
è vero o falso e, se è vero, di arrendersi a esso; se è falso, di tanto i contenuti quanto la loro espressione in versi latini.
combatterlo. Lucrezio stesso non si presenta come il sapiens Lucrezio si trovava di fronte a una sfida complessa, dovuta
sereno, già beato del possesso sicuro della verità; anch’egli all’assenza di una terminologia latina adeguata a esprimere le
avverte la continua necessità di attingere agli insegnamenti novità concettuali della filosofia epicurea. Povertà della lingua
di Epicuro. Né si presenta come rintermediario distaccato latina e novità dei contenuti risultavano complementari nel
di questi insegnamenti. Le argomentazioni che indirizza a costruire la difficoltà che Lucrezio doveva superare mediante
Memmio sono dirette anche a se stesso. Sarebbe dunque er­ un complesso lavoro linguistico, capace di rendere chiara una
rato considerare il suo poema semplicemente come un poema dottrina ancora oscura21. Quando gli sembrava impossibile
didascalico che trasmette, in forma di manuale, un sapere trovare equivalenti latini - come avveniva per il greco «atomi»
asettico già confezionato. Il poema di Lucrezio nasce anche reso con rerum primordia o semina o corpora prima - Lucrezio
all’interno della pratica della rammemorazione continua delle si arrendeva a calchi dal greco o al ricorso a perifrasi o esempi
dottrine epicuree e degli argomenti che le sorreggono, già rac­ illustrativi. La poesia consentiva forse un più ampio spazio di
comandata da Epicuro stesso ai suoi discepoli. Per Lucrezio movimento nel repertorio delle immagini. Certo esistevano
la scrittura era anche un esercizio di rammemorazione a sé e precedenti di poesia filosofica, da Parmenide a Empedocle,
ad altri del messaggio enunciato dal maestro. E naturale allora del quale Lucrezio tesseva un elogio pur criticandone le dot­
che la figura di Epicuro, evocata nei proemi a più libri, occupi trine22. Ma in generale nella tradizione epicurea l’uso dello
una posizione strategica nell’architettura del poema, quasi strumento poetico non sembrava aver goduto di ampi favori.
a scandirne ritmicamente le parti che trattano dei principi Ciò non significa che gli epicurei fossero contrari in linea di
fisici, dell’anima, dei problemi cosmologici e meteorologici. principio alla poesia. In realtà essi erano ostili alla paidéia
Per illustrare la situazione degli uomini prima del messaggio tradizionale e quindi anche alla poesia come veicolo dei suoi
epicureo Lucrezio ricorre alle metafore delle tenebre e delle contenuti. Lucrezio stesso prendeva posizione contro i vati
tempeste in mare. La causa di questa situazione è la religio, che incrementano le paure e le false credenze degli uomini.
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La posizione lucreziana è comprensibile solo se si tiene salda politiche, Cicerone non concepì mai l’esercizio della filosofia
rindisgiungibilità dell’uso della forma poetica dai suoi conte­ come un’attività professionale, analoga a quella praticata dai
nuti filosofici. Il problema di Lucrezio era piuttosto di trovare Greci nelle loro scuole. La questione della forma da conferire
una forma poetica degna delle scoperte epicuree. Il trattato in ai propri scritti filosofici e del pubblico al quale indirizzarli
prosa o l’epistola che compendia capisaldi dottrinali poteva fu sempre essenziale per Cicerone, anche perché era di per sé
forse allontanare irrimediabilmente i nuovi destinatari latini un’anomalia per il costume e i valori delle classi alte romane
ai quali Lucrezio si rivolgeva, tanto più che nel suo poema non solo filosofare, ma addirittura scrivere di filosofia. Nelle
non viene affrontata direttamente l’etica, forse di più facile opere ciceroniane i proemi assolvono sovente il compito di
accesso, ma questioni complesse di filosofia della natura. La giustificare questa scelta. Accanto alla funzione della scrittura
poesia poteva risultare uno strumento protrettico e pedagogico come medicina dell’anima nelle afflizioni - non si dimentichi che
più potente, l’unico in grado di competere sullo stesso terre­ all’allontanamento forzato dalla vita politica attiva si aggiunse
no con i falsi messaggi dei vati. La chiarezza accompagnata nel 45 a.C. la morte della figlia Tullia - Cicerone si premura
da lepos diventavano qualità essenziali per i dieta lucreziani, di sottolineare l’utilità sociale e pedagogica dei suoi scritti fi­
e Venere poteva essere invocata a conferire eterno lepos a losofici. In un momento in cui era costretto a un ozio forzato
essi. La medicina della salvezza poteva essere più facilmente e non poteva contribuire con la sua azione al benessere dello
assunta, se accompagnata con il miele della poesia, così come stato, Cicerone sentiva la necessità di confermare la coerenza
il miele rende più gradevole ai bambini la medicina amara23. della propria condotta: la scrittura era anch’essa una forma
Non si trattava di consolare, ma di rendere la verità più chiara di azione, volta a rafforzare i vincoli sociali e a riproporre i
e convincente, mediante appelli più immediati alla percezione valori della tradizione romana, ricostruendo la concordia tra
e alla drammatizzazione, in un alternarsi di stile alto, anda­ i ceti elevati. L’obiezione contro cui Cicerone si scontrava era
menti più discorsivi, immagini. Su questa strada Lucrezio che la filosofia era una creazione greca. Come tradurla a Roma
era consapevole di non aver avuto reali predecessori, nep­ in modo da renderla accettabile e integrabile nei valori del
pure Ennio. Lontano dall’immagine denigratoria di poeta in pubblico colto a cui intendeva indirizzarla? Il precedente dei
preda a follia e precipitato nel suicidio - coniata in seguito primi epicurei romani era istruttivo per Cicerone: i loro scritti
da san Girolamo - Lucrezio era invece poeta doctus, attento erano rozzi, privi di elaborazione stilistica e destinati solo a un
alla scelta e all’uso dei più diversi strumenti stilistici, alla loro pubblico di adepti. Erano un esempio in negativo di ciò che
dimensione allusiva e insieme alla loro funzionalità rispetto al doveva essere accuratamente evitato, in primo luogo la chiusura
messaggio epicureo: la veste poetica non può essere disgiunta settaria propria della maggior parte delle scuole filosofiche.
dalle argomentazioni che fondano la verità della filosofia epi­ La filosofia deve uscire dall’aridità e dall’assenza di delectatio
curea. La straordinaria impresa di Lucrezio consisteva appunto delle dispute puramente scolastiche e preoccuparsi di allicere
nel tentativo di fusione di argomentazioni e strumenti stilistici lectorem. Qui il modello era dato dagli scritti dei socratici, di
propri della poesia. Platone in particolare: la filosofia, oltre che vera, deve risultare
Per quanto sappiamo, Lucrezio filosofò con un solo libro, anche elegans. Così diventa possibile allargare l’area dei propri
mentre Cicerone fu filosofo dai molti libri, scritti in gran parte lettori e strappare alla Grecia anche il primato nella scrittura
vorticosamente nell’arco di due anni tra il 46 e il 44 a.C. Anche filosofica24. In ciò consisteva la «traduzione» ciceroniana della
il tipo di scrittura filosofica adottato da Cicerone fu nettamente filosofia greca a Roma, non nell’operare semplici calchi letterali
diverso da quello lucreziano. Per capirne le peculiarità biso­ termine a termine. Si trattava di una riscrittura stilistica in un
gna partire dalla sue esperienze oratorie. Sin dai suoi studi ordine espositivo più consono alla libertà di giudizio, cui il
giovanili retorica e filosofia erano convissute armonicamente, pubblico romano non poteva rinunciare. Naturalmente ciò non
specie per i suoi continui impegni nella vita politica. Ma eliminava il problema di trovare equivalenti latini per i termini
anche quando tali impegni gli furono sottratti per le vicende filosofici greci. In questo lavoro Cicerone si era addestrato sin
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da giovane traducendo i fenomeni di Arato e l'Economico di che avvenivano nell’arco di più giorni e nell’apporre preamboli,
Senofonte e parafrasando testi platonici; nel 45 e 44 riprenderà nei quali parlava lui stesso direttamente in prima persona per
a tradurre il Protagora e parte del Timeo platonici. A Cicerone giustificare la sua attività di scrittore di filosofia di fronte a
la tradizione filosofica occidentale sarebbe rimasta debitrice un pubblico che egli sapeva ostile ai Graeculi, mentre Platone
dell’introduzione di termini come moralis, qualitas, notio e così si era sempre celato dietro i suoi personaggi. Talora, come
via. Per Cicerone, però, non aveva senso coniare una termino­ nell’opera Sulla divinazione, egli mette anche se stesso sulla
logia inconsueta - come in Grecia avevano fatto soprattutto scena come interlocutore principale insieme al fratello. Forse
gli stoici - quando uno stesso concetto poteva essere espresso un precedente di questo intervento diretto dell’autore era ri­
attingendo al patrimonio linguistico corrente. Ai suoi occhi, scontrabile nei dialoghi aristotelici, per noi perduti. Nei testi
inoltre, la lingua latina appariva più ricca di quella greca. Sul ciceroniani il dialogo indiretto, introdotto da un narratore,
piano stilistico e linguistico la filosofia poteva trovare a Roma è prevalente rispetto al dialogo diretto di scambio di rapide
un’espressione che non temeva di confrontarsi con quanto era battute tra gli interlocutori. Questi anzi pronunciano di solito
avvenuto in Grecia. lunghi discorsi continui, che permettono estese esposizioni di
La forma filosofica che Cicerone ritenne più consona al posizioni filosofiche contrapposte, messe in bocca a perso­
suo progetto fu il dialogo. Già nell’opera Sull’oratore in cui naggi che parlano in successione, come in un tribunale. Ciò
egli formula la teorizzazione più articolata dei rapporti fra lasciava liberi i lettori (oltre che Cicerone stesso) di giudicare
retorica e filosofia, composto verso il 55 a.C., assume la forma la validità delle tesi presentate e l’unica scuola filosofica che
del dialogo. Ma si tratta di un dialogo nel quale gli interlo­ consentiva un approccio di questo genere era appunto, agli
cutori, più che confrontarsi attraverso il metodo tipicamente occhi di Cicerone, l’Accademia scettica, che non richiedeva
socratico-platonico delle brevi domande e risposte, espongono di abbracciare un corpo di dottrine, aderendovi «come a una
di volta in volta le loro tesi, sovente opposte, prò e contro roccia». Al contrario, solo dal confronto fra tesi opposte si può
una determinata tesi. Un parallelo era reperibile nella pratica sperare di spremere qualcosa che sia almeno vicino al vero,
giudiziaria, dove le parti contendenti si affrontano davanti a un ossia far emergere il probabile, ciò che può essere approvato.
giudice o a giudici. Il pubblico al quale si rivolgeva lo scritto Nelle Tusculane Cicerone afferma a chiare lettere che la sua
ciceroniano è il giudice che avrebbe pronunciato il verdetto oratio nulla iudicat, ma lascia gli ascoltatori liberi di giudicare25.
sulla base di una comparazione delle argomentazioni prò e Era qui sullo sfondo il motivo del romano colto di ceto elevato
contro addotte dai protagonisti del dialogo. La scelta di questo che non può asservirsi alle leggi e ai dettati di una scuola:
tipo di scritto si collega anche alla propensione di Cicerone per ά\Υauctoritas della scuola Cicerone oppone il libero giudizio
un preciso indirizzo filosofico, quello dell’Accademia scettica corroborato dalla tradizione romana e dai valori operanti in
originata da Arcesilao e poi proseguita da Cameade e altri. essa, anche se non teorizzati: i filosofi greci in contrasto fra
La tecnica dell’argomentare prò e contro, infatti, era già stata loro trovavano i loro giudici a Roma, in filosofi liberi da vincoli
peculiare delle discussioni all’interno dell’Accademia scettica ed di scuola. I dialoghi filosofici di Cicerone erano l’espressione
era stata utilizzata anche da Aristotele in alcuni suoi dialoghi di questa situazione.
perduti. In questa Accademia e non nell’epicureismo né nello Rispetto a questo schema compositivo sembrano fare
stoicismo Cicerone trovava impiegata una tecnica filosofica eccezione soprattutto opere composte prima del blocco dei
non solo adatta, ma essenziale anche per costruire la figura del tardi dialoghi filosofici - Sulla repubblica e Sulle leggi - per­
perfetto oratore, e insieme per esporre per iscritto la propria venutici incompiuti, nonché il suo ultimo scritto, intitolato Sui
posizione filosofica mediante la presentazione di tesi filosofiche doveri. In questi testi la discussione di tesi contrapposte cede
contrapposte. Certo operavano anche le suggestioni letterarie il passo all’esposizione di dottrine positive sulla costituzione,
del modello del dialogo platonico, ma Cicerone introduceva sulle leggi, sulle varie occupazioni confacenti alle funzioni e
anche modificazioni, per esempio nel raccontare discussioni al rango occupato nella società. Una ragione di tali differenze
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è che in queste opere domina la presenza di Roma, con i suoi piuttosto a repertori tradizionali di filosofia «popolare» e di
valori e le sue istituzioni. In questo caso non c’è spazio per saggezza quotidiana. L’eccezione più vistosa sembra costituita da
dottrine contrapposte; si tratta invece di far emergere a tutto Seneca. Come Cicerone, anch’egli si rimette a scrivere di filosofia
tondo rimmagine integralmente positiva dei costumi e della in latino, dopo essere stato allontanato da Nerone dalla scena
tradizione etico-politica romana e della concordia ordinum, pubblica, nonostante in precedenza avesse espresso, soprattutto
cardine della sua grandezza, anche come modello e program­ nello scritto Sulla clemenza, le sue speranze di collaborazione
ma per il presente e per il futuro. Sui doveri in particolare del ceto senatorio con il principe. C ’è però un punto decisivo
abbandona la forma dialogica per presentarsi come una sorta di differenziazione rispetto a Cicerone: più che per mettere
di lunga lettera indirizzata al figlio Marco. L’intento pedagogico in circolazione in forma nuova i contenuti della tradizione
è esplicito e non può affermarsi adeguatamente attraverso la filosofica, lo scritto filosofico diventa essenziale in Seneca per
via indiretta e aperta della discussione dialogica di tesi op­ la costruzione di se stesso e, insieme, della propria immagine.
poste. Nell’opera è invece possibile impartire precetti etici e In tutti i suoi scritti, persino nelle Questioni naturali, Seneca
politici soltanto partendo da dottrine e posizioni teoriche già descrive il mondo che lo circonda come penetrato dalla smania
consolidate. In questo caso sembrava appropriata a Cicerone del lusso e dalla corruzione dei costumi. A ciò egli contrappone
una forma rielaborata e addolcita di stoicismo, spogliata dei un ritratto di se stesso, uomo frugale e dai costumi semplici,
paradossi tipici della scuola e resa compatibile con i valori come nell’epistola 123. La scrittura di Seneca era anche mirata
della tradizione romana. Egli era ben consapevole che questa a dissipare ogni iato o contraddizione fra il discorso teorico
impostazione poteva essere accusata di incoerenza rispetto alle e la sua condotta, per esempio nei confronti delle ricchezze.
sue premesse accademiche. Ma la sua risposta era che la vita A tale scopo diventava importante l’autodescrizione mediante
sarebbe stata impossibile senza un punto di riferimento e un la metafora della malattia. Solo nel sapiens non c’è scarto fra
criterio da seguire, pur considerando ancora una volta questo teoria e prassi. Ma Seneca non si descrive mai come sapiens,
criterio probabile più che certo e rifiutando ancora una volta bensì costantemente proteso alla ricerca di una coerenza, a cui
Yadfirmandi arrogantia. La differenza era che in questo caso esorta sé e i propri interlocutori. Dai suoi scritti Seneca appare
il giudizio di accettabilità sembrava già formulato e non era come un viaggiatore che si muove verso un porto sicuro, ma
l’atto ancora da compiere dopo aver assistito alla discussione senza esservi ancora pervenuto, come progrediente verso l’ac­
di tesi contrapposte. Sul problema dei comportamenti da as­ quisizione della saggezza. Il sapiens è presentato con formule
sumere all’interno della società romana non c’era possibilità che ne descrivono lo stato, perché non ha bisogno che gli siano
di rinviare il giudizio o di abbracciare posizioni scettiche, indicate regole di vita. Non così è per il progrediente-malato,
tanto meno di contrapporsi ai valori diffusi: non è turpe - si come sono lui stesso, Seneca, e Lucilio, al quale indirizza le
chiede Cicerone26 - che un filosofo dubiti su cose sulle quali sue lettere: qui allora diventano necessarie formule esortative,
neppure i rustici dubitano? prescrittive e normative, imperativi e consigli su come raggiun­
La decisione ciceroniana di scrivere di filosofia in latino gere la meta, ma intrecciate con uno stile drammatico, cui non
non ebbe un seguito immediato, né lo ebbe la sua particolare è estranea l’esperienza di Seneca autore di tragedie.
tecnica di esposizione dei contenuti filosofici. Qualche rifles­ Lo scritto era il deposito di salutares admomtiones, attinte
sione filosofica trovò espressione scritta entro generi letterari anche dalle più svariate tradizioni filosofiche, un composto di
non specificamente filosofici, sotto forma di brevi considera­ medicamenti, la cui efficacia era sperimentata da Seneca sulle
zioni e massime, come in Orazio o Virgilio. Il caso di Orazio sue stesse ferite. Egli poteva così presentare la sua attività di
è esemplare: il ricorso alle forme del sermo e dell’epistola in scrittore filosofico come più utile delle sue presenze nel foro
versi consentono di svolgere una conversazione morale lontana o in senato. Ne risultava un’immagine di Seneca al tempo
da toni alti, ma anche dai toni impersonali dei trattati e dalle stesso medico e paziente, maestro e discepolo di se stesso e
complicazioni concettuali degli scritti di scuola, per attingere di altri. La sua conversazione scritta con Lucilio, destinatario
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delle sue Lettere, è descritta come docere e discere insieme, nella sua validità e cogenza universale. Le stesse Questioni
esortare ed essere esortato. Si è anche pensato che esse fossero naturali, che pure hanno la struttura di una serie di monogra­
un epistolario fittizio, ma la cosa è irrilevante: l’importante è che fie tematiche, arricchite da dossografie, su terremoti, eruzioni
esse gli servono per dare l’idea di uno scambio dialogico con vulcaniche e fenomeni meteorologici, non rinunciano all’uso
Lucilio. L’effetto che le Lettere mirano a produrre nel lettore è della prima persona e a un destinatario ben definito, in modo
l’impressione di un lavoro spirituale che interagisce su entrambi da attenuare la patina troppo forte di impersonalità. Seneca
i protagonisti, quindi anche sul loro autore. Seneca invita Lucilio richiede che nei confronti dei suoi libri i lettori intrattengano
a leggere i suoi scritti non come contenitori di una verità ormai quello stesso rapporto personale che egli intrattiene con i libri
tranquillamente posseduta, ma come itinerari di ricerca. E distin­ altrui. Seneca riconosce l’importanza dei precetti generali sul
gue le sue lettere da quelle di Cicerone, piene di interesse per fine della vita, ma contrariamente allo stoico Aristone ritiene
le vicende e i fatti altrui: le sue invece mirano in primo luogo essenziali i precetti particolari, sia sotto forma di massime, sia
alla cura dei propri mali e all’esame di se stesso. Ciò conferma in forma poetica, per essere mobilitati nelle singole circostanze
che il primo oggetto degli scritti di Seneca è Seneca stesso, della vita. L’epistola è la forma che meglio consente di avere a
che si sente con il suo interlocutore nello stesso valetudinario disposizione di volta in volta i precetti utili in tali circostanze,
a parlare di mali comuni e a comunicarne i rimedi27. Questa come del resto aveva già riconosciuto Epicuro. Nella forma
è la ragione dell’inscindibilità di autoritratto e predica nelle dell’epistola, Seneca trova i tratti decisivi della propria immagine
sue pagine. Esortazioni, divieti, comandi, di cui le lettere sono di scrittore filosofico. Il sermo risulta utile quando si insinua e
costellate, sono sovente espressi con la prima persona plurale, si radica a poco a poco nell’animo dell’ascoltatore, e ciò non
per sottolineare che anche lo scrivente è coinvolto in questo può avvenire con i discorsi preparati per un vasto pubblico28.
processo morale di correzione e miglioramento continuo. Da Lo scritto filosofico, per potersi fermare nell’animo del lettore,
questo punto di vista non c’è molta differenza tra le Lettere e non può avere la fretta dell’oratore. A Lucilio che si lamenta di
gli scritti denominati Dialoghi, nonostante la loro scarsa, se non ricevere da lui lettere meno accurate, Seneca risponde che esse
nulla, componente dialogica. E ciò al di là ancora del fatto di non hanno nulla di ricercato e fictum, ma mirano a conservare
esibire entrambi e variare il repertorio diatribico tra dizionale, i tratti di una conversazione orale. Egli vuole convincere il
con l’invenzione di interlocutori e obiettori immaginari o la suo lettore di amare quanto sta dicendo. Seneca sembrava qui
personificazione di Socrate e della provvidenza che intervengo­ avvertire la difficoltà di dissolvere completamente il sospetto
no a parlare in prima persona. Una sequenza di questi luoghi di artificio nella costruzione della sua immagine e la presenza
comuni e argomentativi sono soprattutto le Consolazioni, che di uno spazio vuoto tra il suo volto autentico e le sue parole,
egli scrisse per Marcia a proposito della morte del figlio, per che forse lo scritto non riusciva a colmare del tutto.
il liberto Polibio a proposito di quella del fratello e per la
madre Elvia sul proprio esilio. Da questi scritti può essere
distinta l’opera intitolata Sull’tra per il suo andamento da vero 6. Retorica filosofica, meditazione personale e testi per la
e proprio trattato medico, con la descrizione della malattia scuola
dell’ira, l’individuazione della sua eziologia e la formulazione
di una terapia preventiva e nel corso della malattia, secondo Nel I e II secolo d.C. gran parte dei filosofi romani, anche
il tipo di paziente e le circostanze. stoici, non seguì Seneca nello scrivere in latino. Nonostante
Il modo migliore per travalicare il presente e rivolgersi anche tutto, il greco continuò a rimanere la lingua per eccellenza della
a destinatari futuri era per gli scritti di Seneca l’assunzione di filosofia. Così fu per il cavaliere romano Musonio Rufo, per
un tono colloquiale, del parlare a tu per tu. Era esemplare in l’ex schiavo Epitteto e per l’imperatore Marco Aurelio. E così
questo senso soprattutto la forma dell’epistola, dove passava­ fu anche per il liberto della famiglia di Seneca e maestro di
no in secondo piano i canali impersonali dell’argomentazione stoicismo per il poeta Persio, Anneo Cornuto, il quale compose
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in greco un compendio di teologia, nel quale era impiegata la da Arriano, raccoglie in brevi massime l’essenziale dell’inse-
tecnica dell’interpretazione allegorica dei poeti. Anche l’epi­ gnamento etico di Epitteto allo scopo di mettere letteralmente
cureismo però non scomparve del tutto, come mostra quel in mano - come dice il titolo greco Encheiridion, che significa
singolare libro in greco, fatto incidere sulla pietra da parte di anche «pugnale», sempre a disposizione —ai suoi destinatari
Diogene nella sua città di Enoanda. L’ex schiavo Epitteto, pur a uno strumento per orientarsi nelle circostanze della vita. Per
capo di una scuola, si oppose alla riduzione dell’insegnamento questo aspetto la sua funzione non è così lontana da quella
filosofico a una esegesi dei testi fondamentali dello stoicismo, delle Lettere di Epicuro. Esso non è indirizzato a lettori pro­
per esempio di Crisippo: la scuola filosofica è in primo luogo fani o principianti, ma a un pubblico ormai a conoscenza dei
una casa di cura. Modelli di filosofare erano per lui Socrate o capisaldi delle dottrine stoiche.
il cinico Diogene e, come Socrate, anche Epitteto non scrisse. Nel frattempo nelle province di lingua greca la filosofia
Gli scritti conservati sotto il suo nome risalgono ad Arriano, diventava una componente rilevante dell’identità culturale
che era stato suo allievo a Nicopoli e decideva di pubblicare delle élite cittadine. Il caso di Plutarco, vissuto a cavallo tra I
gli appunti presi durante le lezioni. Nella lettera prefatoria e II secolo d.C., è esemplare sotto questo aspetto, anche per
Arriano dice di aver cercato di scrivere le cose che sentiva la sua capacità di rimettere in circolazione i modelli tradizio­
dire a Epitteto, per quanto possibile con le sue parole stesse, nali della scrittura filosofica. Se negli scritti più popolari egli
allo scopo di conservare per proprio futuro uso personale ricorre anche allo stile diatribico, alla predica e al consiglio
memorie (hypomnémata) del pensiero e della libertà di parola morale, per il suo platonismo di fondo torna a privilegiare
(parrhesia) del maestro. Ma si era poi deciso a pubblicare questi il genere del dialogo, con ambientazioni sceniche e a volte
suoi appunti a causa della circolazione di un’edizione pirata. I l’introduzione di miti escatologici, appunto alla maniera pla­
quattro libri rimastici delle Diatribe - un titolo che richiama tonica. Così è negli scritti Sulla tarda punizione divina o Sul
la tradizione cinica - non manifestano un piano compositivo volto della luna. Spesso però l’esposizione continua prende il
esplicito e conservano il tono della quotidianità e non sistema­ sopravvento rispetto alla successione dialettica di domande
ticità della conversazione di Epitteto. Arriano intendeva essere e risposte. Il fatto è che in Plutarco è forte l’esigenza di far
per Epitteto quello che Senofonte era stato per Socrate, e una comparire nel quadro narrativo ed espositivo un ingente ma­
certa parentela di composizione e struttura intercorre fra le teriale antiquario, che proietta sui tempi ormai lunghi della
Diatribe e i Memorabili di Socrate di Senofonte, modello di tradizione filosofica e delle alternative da essa presentata la
stile attico. In questo, Arriano si uniformava alle propensioni discussione dei vari problemi filosofici. Ciò si accompagna alla
del tempo per l’arcaismo letterario. Egli si poneva obiettivi di ripresa di un intento polemico verso altri indirizzi filosofici,
fedele registrazione dell’insegnamento del maestro, ma non in particolare l’epicureismo e lo stoicismo, soprattutto verso
è sicuro che non operasse selezioni, anche perché nelle sue le loro concezioni teologiche. L’indagine filosofica era ormai
conversazioni verosimilmente Epitteto doveva pure leggere saldamente ancorata a repertori di soluzioni tradizionali date
e commentare testi. Arriano mette in scena Epitteto mentre a problemi tradizionali. Una più forte impronta personale
risponde a interlocutori anonimi o anche a domande che pone appare invece nella curvatura religiosa che Plutarco imprime
a se stesso, in un intrecciarsi di stile diretto e indiretto, con al platonismo e che si salda alla sua funzione di sacerdote a
passaggi repentini da toni sublimi e drammatici a un linguaggio Delfi. Essa si esprime in frequenti puntate verso i problemi
piano e familiare, dall’invettiva all’esortazione. In questo tipo della teodicea, i misteri egizi, la demonologia. L’appello alle
di scrittura le componenti retoriche e l’appello alle emozioni dottrine del passato come fonte di sicurezza e la concezione
sono almeno altrettanto forti di quelle argomentative, come del terapeutica della filosofia si alimentavano ormai di un nuovo
resto era stato anche in Seneca. Con questa forma di scrittura rapporto con la retorica, non più conflittuale come ai tempi di
la filosofia accentuava la sua vocazione di messaggio di vita Platone. Questo aspetto è particolarmente evidente in Dione
e di terapia dell’anima. Il Manuale, invece, redatto anch’esso di Prusa. Nei suoi Discorsi egli mobilita l’armamentario della
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propaganda cinica e della forma della diatriba, riproponendo sul piano letterario. In realtà essa è sapientemente orchestrata
in Socrate e soprattutto nel cinico Diogene il modello del vero nella sua brevità incisiva, colma di immagini, interrogazioni
filosofo, ma con un linguaggio attento alle risorse della retorica retoriche, imperativi e parenesi rivolte a se stesso, allo scopo di
e alla varietà dei destinatari. Lo scrivere era qui saldamente presentarsi come oggetto di costruzione incessante. L’interesse
ancorato al parlare in pubblico, che diventava essenziale per per il filosofo, più che per la filosofia, era rivitalizzato anche
questo tipo di filosofo mirante alla costruzione di forme di dal fatto che per l’impero si aggiravano ormai figure rivali di
consenso pubblico e di un progetto di collaborazione delle «uomini divini», a volte dotati di poteri taumaturgici. Il ritrat­
élite provinciali con il potere imperiale. In bilico tra filosofia to di uno di essi, tinto di meraviglioso e di inquietudini per
e retorica si sarebbe mosso nel II secolo d.C. anche Luciano l’occulto, era dato nel III secolo d.C. da Filostrato nella Vita di
di Samosata. Nel ritratto satirico dei suoi tempi egli includeva Apollonio di Diana, vissuto nel I secolo d.C., che sembrava aver
anche i filosofi, rappresentati attraverso la forma del dialogo, rinnovato il miracolo della nascita di un nuovo Pitagora. Ma
che egli riprendeva, ma spogliato dalle complessità argomenta­ Filostrato era anche autore di due libri di Vite dei sofisti, scritte
tive dell’archetipo platonico e più immerso invece nelle piccole nei primi decenni del III secolo e dedicate al futuro imperatore
faccende della quotidianità, discusse da nuovi protagonisti, dèi, Gordiano, le quali coprivano un arco che andava da Gorgia
defunti o cortigiane. E anch’egli, sulla scorta di Senofonte, non sino ai suoi tempi, facendo ormai dissolvere la distinzione tra
esitava a ricorrere al modello dei Memorabili per delineare nella filosofia, sofistica e retorica. E ancor più labile sarebbe stata
Vita di Demonatte il ritratto di un cinico virtuoso. questa distinzione nelle Vite dei filosofi e dei sofisti, composte
Rispetto a una filosofia che tendeva a congiungersi con la verso la fine del IV secolo da Eunapio.
retorica e a parlare a un pubblico più vasto, può sembrare in Il latino filosofico però non scompare del tutto, anzi trova
contrasto l’esercizio di una scrittura filosofica come registra­ vigore soprattutto nella provincia d’Africa nel II secolo d.C.
zione di un ripiegamento interiore, tanto più impressionante soprattutto a opera di Apuleio di Madaura. Con lui il termine
in quanto proveniente dall’uomo più pubblico, l’imperatore. filosofo arriva a includere anche interessi magici e astrologici
Si tratta dell’A se stesso di Marco Aurelio, una serie di appunti e non è più incompatibile con la figura del retore. Apuleio di
e riflessioni non destinati alla pubblicazione, i quali nel loro Madaura riassumeva i panni dell’intellettuale itinerante capace
intrecciare meditazioni e massime, esortazioni, ricordi e cita­ di improvvisare davanti ai pubblici più vari e di alternare alle
zioni da libri letti, in primo luogo da Epitteto, non trovano esibizioni oratorie lo scritto. Egli si autodefinisce platonico,
corrispettivo in altri testi della letteratura filosofica antica. Lo ma in un’atmosfera sempre più intrisa di religiosità. La scelta
scritto diventa qui lo strumento cui consegnare gelosamente stessa dei temi dei suoi scritti è di per sé significativa: il Demone
le proprie meditazioni nell’impresa di sottrarsi ai legami con di Socrate ha l’andamento di una conferenza che descrive e
il mondo esterno. L’andamento gnomico e aforistico, assun­ celebra la funzione dei dèmoni, legami di comunicazione tra gli
to da queste meditazioni, anziché pretendere direttamente dèi e gli uomini, meritevoli di un culto, che Apuleio definisce
all’universalità, si rivolge in primo luogo all’autore stesso, philosophiae sacramentum29; l’opera Su Platone e la sua dottrina
richiamandolo incessantemente alla sua miseria e debolezza è una sorta di manuale espositivo della vita e delle dottrine di
di particella effimera, ma dentro un universo razionale nella Platone; la parafrasi di uno scritto attribuito ad Aristotele, Sul
sua totalità. Anche Marco Aurelio aveva avuto dapprima una cosmo, culminante nella nozione di un dio sommo. Si trattava
formazione retorica attraverso la guida di Frontone, e il suo dunque in primo luogo di un assorbimento della filosofia nel
successivo abbandono della retorica per la filosofia non aveva quadro dei crescenti bisogni religiosi del tempo. Nell 'Apologia,
cancellato le tracce di quell’insegnamento. Sul libro di Marco scritta per difendersi da un’accusa di magia, egli raccontava
Aurelio si è costruita la leggenda di uno scritto composto di di portare con sé, all’interno dei propri libri, il simulacro di
getto sotto la tenda durante le campagne militari, generando così qualche dio, cui tributare offerte nei giorni festivi. Lettura e
l’impressione di un’opera spontanea, scarsamente sorvegliata pratiche cultuali tendevano a diventare aspetti indisgiungibili.
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Ma ciò si connette pure a una sua curiosità enciclopedica, anche dell’universo. Ciò affiora anche nelle Questioni naturali di Se­
per gli scritti zoologici e botanici di Aristotele e Teofrasto. Lo neca, ma soprattutto in studiosi del cielo e del corpo umano,
scritto Sull’interpretazione in lingua latina, se risale a lui, docu­ come Tolomeo e Galeno alla fine del II secolo d.C., i quali
menterebbe il tentativo di mettere in circolazione un aspetto non a caso manifestano anche forti interessi per problematiche
sino allora poco consueto per gli scrittori latini di filosofia, logiche, che raramente uscivano dai confini delle scuole filo­
ossia la logica aristotelica, integrata dalla conoscenza di alcuni sofiche per diventare ingredienti di una cultura più generale.
aspetti della logica stoica. La diffusione del bilinguismo, di cui Tolomeo scrive un’opera Sul criterio e Galeno un manuale di
Apuleio stesso era testimonianza per la sua capacità di passare, logica. Galeno rappresenta il caso di un medico con forti inte­
parlando e scrivendo, dal latino al greco e viceversa, facilitava ressi filosofici e questo aspetto caratterizza anche buona parte
questi incontri e travasi con la cultura filosofica greca. Una della sua produzione letteraria. Egli perseguiva lucidamente
dimensione scolastica era propria di questi scritti, nel loro l’obiettivo di conquistare una posizione di primato rispetto ad
intento di compendiare in modo concettualmente semplice, altri medici e si mostrava attento alle esigenze del pubblico
anche se stilisticamente e linguisticamente sovrabbondante, e colto di Roma, dove soggiornò a lungo. A questo pubblico
accessibile anche a un pubblico non specialistico i capisaldi egli si rivolgeva con conferenze, dimostrazioni anatomiche e
dottrinali di un platonismo religioso, ma anche forme di sapere scritti. A tale scopo riteneva necessario agganciare la propria
enciclopedico. attività alle punte più alte della tradizione non solo medica,
Accanto a figure non professionali di filosofi che scri­ ma anche filosofica, in particolare il platonismo, ma anche
vevano di filosofia, continuava a proliferare una letteratura Γaristotelismo. Particolarmente significativa in questa direzione
per la scuola. Qui continuava a vivere l’esigenza di produrre è l’opera Sulle dottrine di Ippocrate e Platone, che si propone
introduzioni o esposizioni complessive dei contenuti dottrinali di dimostrare la convergenza tra medicina ippocratica e filo­
di ciascuna di esse, quali i compendi di filosofia aristotelica sofia platonica, lungo le linee di un programma che si trova
scritti da Nicola di Damasco e altri, composti già a partire compendiato nel titolo di un altro suo breve scritto, L’ottimo
dall’età di Augusto. E come fece per la filosofia platonica medico è anche filosofo. Egli non si limita dunque a comporre
Alcinoo nel suo Didascalico. La certezza di possedere la scritti tecnici di medicina o commenti a scritti di Ippocrate, in
totalità del sapere filosofico consentiva di indulgere in par­ cui egli ravvisa il vertice della medicina, ma intende costruire
tizioni, definizioni, classificazioni all’interno di confini ben un’antropologia totale, nella quale confluiscono anche compo­
tracciati, oltre i quali non era necessario procedere. Queste nenti filosofiche. Questo aspetto è evidente, per esempio, nel
opere funzionavano da appendici o da preliminari alla lettura trattato in 17 libri Sull’utilità delle parti, dove la descrizione
dei testi originali della scuola, dovuti al capostipite e ai suoi dei vari organi e parti del corpo umano è inquadrata in una
rappresentanti più importanti, ma talvolta si sostituivano ad­ concezione generale della natura, orientata teleologicamente
dirittura a essi. Lo stoico Ario Didimo scrive un Epitome di in maniera provvidenziale. Qui egli afferma, tra l’altro, che la
dottrine etiche stoiche, peripatetiche, platoniche, cioè non solo natura ha dato all’uomo la mano soprattutto per scrivere. Non
della propria scuola. Ma già l’epicureo Filodemo nella villa è un caso che egli sia autore di un’opera singolare, unica nella
di Ercolano aveva composto una storia dell’Accademia e una letteratura conservata, dal titolo Sui propri libri, una sorta di
della Stoa, di cui restano frammenti papiracei. La tradizione ritratto di se stesso attraverso i libri da lui scritti e una vera e
del commento, che da Andronico di Rodi, Adrasto e Aspasio propria bibliografia, ordinata per argomenti. Nel 2005 a Sa­
sfociava nella grande opera di Alessandro di Afrodisia, tra il lonicco (l’antica Tessalonica) è stato scoperto un manoscritto
II e il III secolo, era funzionale all’attività interna della scuola. contenente vari suoi scritti, tra i quali uno sino allora scono­
L’aristotelismo era tornato a ridestare interesse, spesso sotto sciuto, intitolato Sul non addolorarsi (in greco Perì alypias). In
forma dossografica, e con esso la filosofia sembrava ritrovare esso Galeno racconta come fosse riuscito a procurarsi libri e
una propria destinazione nella contemplazione e nello studio a costituirsi una biblioteca, distrutta dall’incendio del 182 a
152 GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 153

Roma. Con questo scritto Galeno cerca di consolarsi di tale le parti del discorso, per cui dava luogo ad ambiguità. Di qui
perdita, riprendendo anche tematiche stoiche e dimostrando il lavoro editoriale che Porfirio si sobbarcò, apponendo titoli ai
di conoscere pure il Manuale di Epitteto. Si avverte come trattati che Plotino aveva lasciato senza titolo. Porfirio riporta
l’essere contornati da libri fosse ormai una condizione indi­ un elenco di tali scritti in ordine cronologico di composizione:
spensabile per l’esercizio delle attività intellettuali. Nonostante da esso emerge che Plotino non procedeva secondo un piano
le resistenze di un Seneca o di un Epitteto, l’attività filosofica prestabilito e con esigenze di sistematicità, ma affrontava que­
tendeva sempre più a configurarsi anche come conservazione stioni che emergevano via via nel suo insegnamento orale, anche
filologica e trasmissione di un sapere originario contro i suoi in risposta a domande che gli venivano poste. L’andamento dei
tradimenti o travisamenti. Già per Plutarco, Platone diventava suoi scritti riflette quindi il movimento di un pensiero che si
oggetto privilegiato di attività esegetica: così nelle Questioni dipana da se stesso, come nel flusso dell’oralità, con un tono di
platoniche. Ma anche nello scritto Sulla generazione dell’anima improvvisazione, sequenze di proposizioni, a volte senza espliciti
nel Timeo, che ha forma di lettera indirizzata ai propri figli, nessi logici, con rapidi scambi di battute con un interlocutore
l’esegesi è proiettata sullo sfondo di interpretazioni alternative immaginario, ripetizioni, ma anche con l’affiorare di immagini
del dialogo platonico rintracciabili nella tradizione. Lo stesso icastiche volte a illustrare aspetti difficili da afferrare concet­
Galeno componeva un commento sulle dottrine mediche nel tualmente. Dopo la morte del maestro, Porfirio, all’inizio del
Timeo platonico. Meno che mai la filosofia poteva iniziare da IV secolo, fornì un’edizione complessiva di questi scritti, ma
zero: filosofare senza letture e senza libri era un’irrealtà. Anche non nell’ordine cronologico di composizione, bensì secondo
gli scritti plutarchei sulla psicologia degli animali si alimentano criteri sistematici di contenuto, che sottolineavano l’itinerario
dei dati della tradizione, talvolta anche di quella favolistica. del filosofo nel suo distaccarsi progressivamente dal mondo
Tale prospettiva si radica in un clima culturale sempre più sensibile per innalzarsi all’anima e poi all’intelletto sino all’Uno.
proiettato a considerare il passato, soprattutto i momenti ori­ Porfirio ordinò i cinquantaquattro scritti di Plotino in sei gruppi,
ginari, come portatori del culmine del sapere, come si vedrà ciascuno di nove trattati, donde il titolo complessivo Enneadi.
meglio nel capitolo successivo. Non è da escludere che qui fossero sottintese anche suggestioni
derivanti da una concezione simbolica e mistica dei numeri.
Ogni scritto tuttavia presuppone l’intero quadro problematico
7. La scrittura filosofica come esegesi e salvaguardia della della filosofia di Plotino, in conformità con la nozione filosofi­
tradizione ca della circolarità fra parti e tutto, sicché ogni parte contiene
potenzialmente il tutto. E come già per Platone e Aristotele il
L’esempio più cospicuo di una filosofia come esegesi orale e procedimento è per aporie e tentativi di risolverle. Lo scritto
scritta di testi autorevoli del passato è dato dal neoplatonismo, di Plotino è dunque anche uno specchio dal vivo dell’attività
all’ombra del quale si concluse la filosofia antica. Nell’orizzonte orale entro la scuola e si conforma al primato della parola sullo
neoplatonico l’originalità cessava di essere considerata un merito. scritto, fatto valere da Platone. Com’è stato detto, la filosofia di
Plotino è uno dei pochi filosofi antichi a stendere personalmente Plotino era «una filosofia soprattutto parlata». Sarebbe perciò
i propri scritti, senza dettarli a uno scriba. Iniziò tardi a scrive­ errato considerare i suoi scritti come forme di propaganda,
re, verso i cinquantuno anni, quando già da una decina d’anni anche perché i destinatari erano pur sempre la cerchia ristretta
insegnava a Roma, e faceva circolare i suoi scritti nella cerchia di amici e discepoli, e perché Plotino non avvertiva l’esigenza
degli allievi intimi. Una volta scritto, dice il suo allievo Porfi­ di mediare i contenuti dell’indagine filosofica con i dati della
rio30, egli non sopportava di copiare di nuovo quello che aveva religione pagana tradizionale. Per Plotino la tradizione era
composto, né lo rileggeva o lo rivedeva, perché la sua vista non eminentemente filosofica.
lo aiutava molto nella lettura. Stando sempre a Porfirio, scriveva Il lavoro editoriale di Porfirio si integrava compiutamente
male, senza apporre segni di lettura e senza distinguere quindi nella forte componente scolastica ed erudita del suo pensiero.
154 GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 155

Porfirio commentò assiduamente Platone e Aristotele, in par­ teologia. Questa stessa prospettiva sorregge il Commento al
ticolare con la cosiddetta Isagoge, ossia un’Introduzione alle primo libro degli Elementi di Euclide di Proclo. Non a caso
categorie di Aristotele, che sarebbe stato un testo fondamentale gli Elementi di Euclide forniscono a Proclo anche il modello
per la riflessione filosofica medievale. Non a caso fu sopranno­ strutturale per comporre degli Elementi di teologia, organizzati
minato «biblioteca vivente». Anche un passo déP Odissea poteva come un insieme di proposizioni dedotte da alcuni principi.
essere interpretato allegoricamente in chiave ascetica e mistica, In una vasta trattazione sistematica, dedicata alla Teologia
come viaggio dell’anima dal mondo sensibile al divino, in uno platonica, egli mira anche a raccordare la teologia platonica al
scritto significativo per comprendere le tecniche esegetiche mondo delle credenze pagane tradizionali. Non stupisce quindi
neoplatoniche, l’Antro delle ninfe. Scrisse anche un manuale che Proclo potesse riprendere anche l’antica forma dell’inno
di filosofia plotiniana, intitolato Sentenze sugli intellegibili, e cultuale. La sua opera appare dunque legata a vari generi
a Marcella, vedova di un amico e madre di più figli, da lui tradizionali della scrittura filosofica nella loro funzionalità
sposata, indirizzò una lettera per invitarla alla filosofia. Con rispetto all’insegnamento nella sua scuola in Atene. In questo
Porfirio si impose anche un revival pitagorico, strettamente quadro si inseriscono a pieno titolo i suoi commenti a vari
saldato alle prospettive aperte dalla filosofia di Plotino, sia dialoghi platonici, dal Cratilo alla Repubblica e al Parmenide,
con una Vita di Pitagora, sia nella difesa del vegetarianesimo, nonché ai Versi aurei attribuiti a Pitagora, agli Inni orfici e
condotta nello scritto Sull’astinenza dalle carni. Con lui la agli Oracoli caldaici. In tal modo buona parte dei generi della
tradizione veniva a dilatarsi ulteriormente rispetto a Plotino letteratura filosofica erano recuperati e assorbiti, ma rimaneva
e poteva essere collegata anche a forme di religiosità pratica e fuori, pressoché inutilizzata, la forma dialogica, inaugurata
contrapposta al cristianesimo. Scrisse infatti anche un Contro dal filosofo che pure per i platonici rappresentava il vertice
i cristiani, fatto bruciare da Teodosio II ben dopo la morte di della filosofia.
Porfirio, nel 448, segno tangibile di quanto fosse ancora av­ Anche in Occidente si imponeva una letteratura filosofica
vertito come pericoloso. Porfirio era originario di Tiro, città di di tipo scolastico, ancorata prevalentemente ai messaggi del
origine fenicia, ma non c’è prova che conoscesse o scrivesse in neoplatonismo. Ma è significativo che ciò avvenisse non nel
fenicio o che, pur conoscendo la Bibbia, leggesse in originale III secolo d.C., quando pure Plotino aveva a lungo soggior­
testi orientali. Quando parla di Caldei si riferisce agli Oracoli nato a Roma, bensì a partire dalla fine del IV. Con Boezio la
caldaici, scritti in versi greci e risalenti al II secolo d.C. Ciò filosofia in lingua latina sembra concludersi ripercorrendo un
indica comunque che l’appello a una sapienza orientale stava itinerario di allontanamento dalla vita politica, che già Cicerone
crescendo d’importanza nel seno di una riflessione filosofica e Seneca avevano dovuto sperimentare. Imprigionato nel 524
che si richiamava a Platone. Plotino stesso era nato in Egitto, da Teodorico nel carcere di Pavia, prima di morire compone
ma non intese rifarsi a una sapienza egizia superiore allo stesso il libro che già nel titolo - Sulla consolazione della filosofia -
Platone. E invece Giamblico di Calcide, in un’opera intitolata compendia ampia parte del significato del lavoro filosofico
poi da Marsilio Ficino I misteri di Egitto, a compiere questa condotto a Roma. Sulla scorta del celebre precedente del
saldatura tra sapienza orientale, pitagorismo e platonismo. Con Critone platonico, dove le leggi della città appaiono in sogno
Giamblico la figura del filosofo tende a confluire in quella a Socrate per colloquiare con lui e convincerlo a non fuggire
del sacerdote e del teurgo. Egli riprende l’antica forma del dal carcere, Boezio nel suo scritto mette in scena la filosofia
protrettico in uno scritto omonimo, che si struttura come una che compare per rivolgersi a lui direttamente in un linguaggio
combinazione di passi tratti da dialoghi platonici e da opere che alterna argomentazioni a toni esortativi, in una mescolanza
aristoteliche, in particolare dal perduto Protrettico, con brevi di generi, che comprendono autobiografia, allocuzioni retori­
formule di raccordo. Ma a questo scritto ne sono collegati che, andamenti diatribici, dossografie e poesie, per consolarlo
altri, al centro dei quali sono posti l’insegnamento pitagorico del mutamento della sua sorte. Ancora una volta la filosofia
e una concezione della matematica come propedeutica alla confermava, all’interno della cultura latina, la sua vocazione
156 G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 157

terapeutica nei momenti più drammatici della vita. In Occidente particolare del suo incontro e dialogo con filosofi stoici ed
cominciava ormai a declinare la conoscenza della lingua greca, epicurei nell’Areopago, e moduli della letteratura filosofica,
e il contatto con il neoplatonismo assumeva prevalentemente in particolare la rappresentazione di Socrate. L’accusa mossa
le vesti della «traduzione» di un sapere già elaborato, più che a Paolo di introdurre «dèmoni stranieri» potrebbe avere un
dell’introduzione di ulteriori radicali sviluppi concettuali, come riscontro in uno dei capi d’imputazione mossi a Socrate,
invece avveniva nel contemporaneo assorbimento cristiano di quello di introdurre nuovi dèi o dèmoni. Così l’uso del verbo
queste stesse tematiche neoplatoniche. A partire dal IV secolo dialégesthai e l’insistenza sul carattere orale dell’insegnamento
si susseguirono traduzioni latine da Aristotele, Porfirio e altri di Paolo potrebbero ricordare Socrate. Ma forse il punto di
filosofi platonici a opera di Mario Vittorino; successivamente riferimento era piuttosto la predicazione dei cinici, che pure
si ebbe la traduzione di Calcidio di parte del Timeo platonico. si riallacciavano alla tradizione socratica. Un parallelo con il
Anche Boezio con le sue traduzioni dell’Introduzione alle Cate­ cinismo si può trovare nel riferimento alla parrhesia di Pao­
gorie di Porfirio e dei Topici e delle Confutazioni sofistiche di lo31, alla sua libertà di parlare senza timori reverenziali, ma
Aristotele e la composizione di manuali di aritmetica, musica, anche nel suo percorrere le città dell’impero, come facevano
geometria, astronomia, non si sottraeva a questa atmosfera di appunto i cinici. È da notare inoltre che, nell’Areopago, Paolo,
tesaurizzazione di un sapere passato, minacciato di scomparire. diversamente da Socrate e analogamente ai cinici, non procede
Tra il IV e il V secolo Macrobio, scrivendo due libri di Com­ per domande e risposte, ma pronuncia un discorso continuo,
mento al Somnium Scipionis di Cicerone, riprendeva una forma diretto a fornire l’insegnamento, la didaché che gli interlocu­
letteraria ormai ampiamente usata nella tradizione filosofica di tori gli chiedevano. Anche i cristiani però avevano ben presto
lingua greca, ma vi travasava insieme un sapere enciclopedico, riconosciuto, accanto alla predicazione orale, l’importanza del
che abbracciava anche aritmetica, musica, astronomia. L’intento libro, sia come luogo di conservazione del messaggio rivelato,
di stringere la totalità di un sapere per impedirne la dispersione sia come veicolo della sua diffusione. Lo stesso Paolo si con­
era presente anche nell’altra opera di Macrobio, i Saturnali, che nette alla tradizione epistolare dei filosofi greci, intrecciando
a loro volta si collegavano alla forma del dialogo conviviale, nelle sue lettere elementi autobiografici, apologetici, esortativi
infarcito di interessi antiquari. e dottrinali.
Soprattutto nel momento in cui dovettero affrontare le
accuse mosse loro da pagani, in particolare da filosofi pagani, i
8. La scrittura filosofica dei cristiani cristiani furono in qualche modo obbligati a ricorrere a forme
letterarie proprie della tradizione retorica e filosofica antica,
Verosimilmente Boezio era cristiano. Le sue traduzioni in particolare al genere dell’apologià. Già dal II secolo fiori­
e i suoi scritti teologici sarebbero stati testi di riferimento scono apologie, a volte destinate a imperatori, come Adriano,
per il Medioevo: da essi sarebbero state attinte molte delle Antonino Pio, Marco Aurelio, miranti a difendere la positività
conoscenze sulle filosofie antiche. Ma da parecchio tempo le e superiorità del bios e delle dottrine cristiane. Mentre VApo­
forme della letteratura filosofica pagana avevano cominciato a logetico di Tertulliano instaura una difesa soprattutto sul piano
permeare anche la produzione scritta di ebrei e cristiani colti. giuridico, altri, rispondendo direttamente agli attacchi di filosofi
Anche nel mondo cristiano i generi letterari della filosofia si pagani, specie di platonici quali Celso e Porfirio, devono neces­
facevano piano piano strada. La disarticolazione progressiva sariamente percorrere territori segnati da linguaggio e concetti
di vita e dottrine nel corpo delle filosofie pagane permetteva filosofici. Si istituisce così una sequenza di scritti apologetici
di recuperare non solo elementi dottrinali, ma anche forme che dura secoli e va da Giustino al Contro Celso di Origene,
letterarie nelle quali essi avevano trovato espressione. Si è sino alla Cura delle malattie elleniche di Teodoreto, vescovo di
istituito a volte un parallelo tra la rappresentazione che gli Cirro, morto nel 466. È evidente in tutti questi scritti la ripresa
Atti degli Apostoli danno della predicazione di Paolo, in della dimensione polemica e confutatoria che caratterizza ampi
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segmenti della letteratura filosofica antica. La cosa interes­ Qui Clemente mira a mostrare non soltanto la superiorità della
sante è che questa dimensione arriva ben presto a investire gnosi cristiana, ma anche la convergenza di alcune dottrine
contrasti interni allo stesso mondo cristiano. Già nel II secolo filosofiche greche, in particolare platoniche, con alcuni aspetti
d.C. si avverte la necessità di combattere sette gnostiche che della rivelazione cristiana e, al tempo stesso, la derivazione di
forniscono un’interpretazione settaria del messaggio cristiano, esse addirittura da un furto perpetrato da filosofi pagani nei
destinato a pochi, e che a tale scopo non esitano a ricorrere a confronti delle Scritture.
strumenti forniti dalle filosofie pagane. Così Tertulliano scrive Caso unico è l’apologià latina di Minucio Felice, intitolata
contro Marcione, che intendeva scindere la rivelazione cristiana Ottavio, in forma di dialogo tra Minucio stesso e due amici, il
dalla tradizione giudaica consegnata nell’Antico Testamento, cristiano Ottavio e il pagano Cecilio. Il modello era dato dal
e contro lo gnostico Valentiniano. Il termine eresia viene ad dialogo di tipo ciceroniano, in particolare Sulla natura degli
assumere il significato totalmente negativo di una scelta che dei. La discussione è inquadrata nel contesto di una gita da
fuoriesce dal solco dell’autentica tradizione cristiana, preser­ Roma a Ostia e affronta temi quali il monoteismo, la resurre­
vata dalla Chiesa. Ireneo, vescovo di Lione, scrive in greco zione, la perfezione etica, che comportano necessariamente la
nella seconda metà del II secolo un vasto trattato contro le mobilitazione di concetti e argomentazioni filosofiche. Minucio
eresie gnostiche, preservato solo in una traduzione latina. è deputato a dare il verdetto finale dopo aver ascoltato i ra­
Soprattutto Ippolito di Roma, morto nel 235, scrive in greco gionamenti opposti dei due interlocutori, ma alla fine Cecilio
una Confutazione [élenchos] di tutte le eresie, nella quale è si dà per vinto e si converte al cristianesimo. La forma del
compiuta l’operazione strategica di ricondurre ciascuna eresia dialogo sarebbe stata adottata anche da Gregorio di Nissa in
a una specifica matrice filosofica pagana, decretandone in tal Macrina o dell’anima e della resurrezione, risalente forse al 379,
modo la condanna. Paradossalmente questo scritto si è rive­ ma in questo caso la destinazione non era apologetica, bensì
lato prezioso proprio nel conservare tracce e a volte citazioni dottrinale. Affrontando temi come l’incorporeità, la semplicità,
letterali di testi di filosofi pagani, come per esempio Eraclito. l’incorruttibilità e le facoltà dell’anima, e quelli del legame
In ogni caso la prassi della polemica e confutazione di eretici, tra anima e corpo e della resurrezione, Gregorio avvertiva
da Ario a Nestorio, fondata anche sull’impiego di strumenti la necessità di attingere al vasto patrimonio della filosofia e
e forme argomentative desunte dalla filosofia pagana, rimarrà di utilizzarlo. Del resto, già Tertulliano, pur così ostile alla
costante nella letteratura cristiana. Basti pensare al Contro filosofia greca, non aveva esitato a scrivere un’opera intitolata
Eunomto di Gregorio di Nissa o ai numerosi scritti di Ago­ Sull’anima, fortemente intrisa di nozioni riprese da medici e fi­
stino contro i manichei e i pelagiani. Gli scritti in difesa del losofi antichi, tanto più che egli puntava a sostenere la tesi della
cristianesimo istituiscono a volte attacchi frontali, ma a volte corporeità dell’anima. Analogo uso del patrimonio filosofico e
anche paralleli positivi con i filosofi antichi, mostrando non medico antico si riscontra nello scritto Sulla natura dell’uomo
soltanto gli aspetti di incompatibilità, ma anche convergenze di Nemesio di Emesa, risalente al 400 circa. Ma la pervasività
con il messaggio cristiano. Questo è particolarmente evidente della filosofia antica nel corpo della prospettiva cristiana può
negli scritti di Clemente Alessandrino, che non a caso, scri­ essere constatata anche nell’uso massiccio che ne venne fatto per
vendo un Protrettico agli Elleni - dove il termine Elleni sta la costruzione di una teologia cristiana, in una serie di trattati
per «pagani» - ricorre a uno dei generi letterari tipici della dovuti a Padri quali Origene - di cui è rimasto uno scritto Sui
tradizione filosofica. E carattere protrettico ha un altro suo principi nella traduzione latina purgata di Rufino —o Lattanzio,
scritto, il Pedagogo, identificato col Cristo che parla ed esorta autore delle Istituzioni divine, o Gregorio di Nissa, con il suo
tutti ad abbracciare la vita cristiana. Non a caso Clemente era Grande discorso catechetico, e lo stesso Agostino, con il vasto
fortemente intriso di cultura filosofica, come mostra soprattutto trattato Sulla Trinità in 15 libri, composto fra il 399 e il 419 e
la sua vasta opera intitolata Stromati, letteralmente «tappeti», destinato, come riconosce Agostino stesso, a pochi lettori. Una
a indicare uno scritto in cui si intrecciano molteplici motivi. connessione ancora più evidente con le forme della scrittura
160 G L I STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 161

filosofica antica si ha nella vastissima letteratura cristiana di un’esortazione alla filosofia. Infatti anche il dialogo Contro
commenti a testi completi o a singoli passi delle Scritture. gli Accademici ha una componente esortativa, anche se in
Esisteva qui 1 importante precedente di Filone Alessandrino, esso si prende posizione proprio contro la corrente filosofica
che nella prima metà del I secolo d.C. aveva integrato la pra­ alla quale erano andate le simpatie di Cicerone. Con questo
tica giudaica dello studio dell’Antico Testamento con cospicue scritto Agostino intendeva liberarsi dalla sfiducia di poter
immissioni di filosofia greca, utilizzandone non solo materiali trovare la verità, propria degli accademici, che avevano negato
concettuali, ma soprattutto la procedura dell’interpretazione la possibilità di pervenire alla conoscenza, anche se secondo
allegorica dei testi, che vantava una tradizione nel mondo Agostino questa posizione scettica era stata una mossa pura­
filosofico pagano. Su questa linea si sarebbero posti anche mente tattica in funzione antistoica da parte degli accademici,
i cristiani, estendendo questo tipo di interpretazione ai testi che in realtà avevano conservato segrete le autentiche dottrine
evangelici, come nel caso del vasto commento di Origene al platoniche. Ma la felicità vera e propria era ora identificata
Vangelo di san Giovanni. Talora l’esegesi veniva a incorporarsi da Agostino, come argomenta il dialogo Sulla vita beata, nella
nel genere dell’omelia, cioè della predica rivolta ad ascoltatori: conoscenza di Dio, che è la verità. Nel scritto Sull’ordine egli
tale è il caso dell’Esamerone di Ambrogio, vescovo di Milano, mostra, anche in funzione antimanichea, come l’ordine della
che fornisce una spiegazione dell’inizio del libro della Genesi^ divina provvidenza sia inclusivo di beni e di mali, ma affronta
riguardante appunto i sei giorni della creazione, come suona il anche il tema dell’ordine degli studi, un punto particolarmente
titolo. Anche Agostino si cimentò nel commento ai testi sacri, significativo per Agostino, che comporrà anche un’ampia opera
ma ricorrendo anche a una loro interpretazione letterale, non Sulla dottrina cristiana. Nello scritto Sull’ordine emerge però
allegorica, come mostra il titolo di uno di essi, Sul libro della anche un’esigenza centrale per Agostino, quella di rientrare in
Genesi alla lettera. se stessi, perché, come dirà successivamente nello scritto Sulla
Agostino rappresenta però anche la punta più alta nell’in­ vera religione, la verità abita neH’interiorità dell’uomo. Questo
venzione di forme di scrittura peculiari della nuova esperienza aspetto emerge con chiarezza già in un altro dialogo, composto
della vita cristiana. Dotato di una formazione filosofica e reto­ poco dopo i precedenti, intitolato Soliloqui e introdotto da un
rica, e maestro egli stesso di retorica, in procinto di ricevere il prologo, seguito da una preghiera. Qui però non compare più
battesimo, che avrà luogo nell’aprile del 387, Agostino com­ la figura di Agostino come narratore, ma Agostino è protago­
pone in una villa di Cassiciaco, non molto lontano da Milano, nista di un dialogo diretto con la ragione personificata, senza
una serie di dialoghi: Contro gli Accademici, Sulla vita beata e che sia pienamente chiaro se si tratta della ragione divina o
Sull ordine. Sono dialoghi di tipo indiretto, con un prologo nel della ragione umana in generale o della ragione di Agostino
quale Agostino si rivolge a un dedicatario, per procedere poi stesso. In ogni caso siamo qui in presenza di un secondo tipo
a narrare una conversazione, svoltasi in più giorni, tra Ago­ di dialogo, il dialogo drammatico di tipo teatrale, con scambio
stino stesso e suoi amici, discepoli e parenti, inclusa la madre diretto di battute fra interlocutori, secondo una distinzione
Monica. Egli presenta queste conversazioni come realmente già tracciata da Platone. E la forma che contrassegna anche
avvenute e trascritte, anche se non sempre alla lettera, da uno altri dialoghi cronologicamente vicini a questo periodo, volti
scriba o segretario, diverso dagli interlocutori del dialogo, ma a investigare le proprietà dell’anima umana, la questione del
è chiaro che esse dovettero subire una rielaborazione per una libero arbitrio e il tema della comunicazione della verità, svolto
destinazione pubblica come prodotti letterari finiti. In ogni nello scritto Sul maestro, un dialogo diretto di Agostino con
caso Agostino attribuisce a essi quella funzione ipomnematica, il figlio Adeodato, dove si giunge alla conclusione che il vero
di memorizzazione, che Platone aveva considerato unico titolo maestro di tutti è uno solo, Dio stesso.
di legittimità della scrittura. Sono tutti ambientati nella villa Questi dialoghi sono composti nel periodo in cui Agostino,
di Cassiciaco e il modello è essenzialmente il dialogo cicero­ pur ormai cristiano, è ancora immerso nella sua originaria for­
niano, soprattutto VOrtensio, per noi perduto, che conteneva mazione filosofica, specie platonica. La sua scelta della forma del
162 G LI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA
GLI STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA 163

dialogo, più che rinviare al platonismo del suo tempo, estraneo una dimensione dialogica, che ha Dio come interlocutore di
all’uso estensivo del dialogo, rinvia al platonismo originario Agostino. Non solo, ma soprattutto negli ultimi tre libri, la
attraverso la mediazione del dialogo ciceroniano e riflette la confessione davanti a Dio si innesta in una trattazione teorica
pratica della conversazione con amici, parenti e discepoli, di complessi problemi filosofici e teologici, come quelli del
esercitata da Agostino stesso in quegli anni. Questa pratica male e della natura del tempo, nei quali si avverte la presenza
avrebbe poi ceduto il passo nel momento in cui Agostino si del ricco bagaglio filosofico della formazione agostiniana. E
sarebbe trovato intensamente immerso nel suo ministero eccle­ questo intreccio di generi che fa delle Confessioni un unicum
siastico. Sarebbe comunque rimasta costante una concezione nella produzione letteraria e filosofica antica. Ma un unicum
della filosofia come amore della sapienza e quindi ricerca della è anche per certi versi La città di Dio, che fuoriesce anch’essa
verità, ma congiunta al riconoscimento pieno che sapienza e dalla gabbia dei generi tradizionali e nella quale Agostino sa
verità sono proprie compiutamente solo di Dio. Nello scritto alternare narrazione, descrizione e valutazione con espressioni
Contro gli Accademici Agostino tesseva l’elogio dei filosofi pla­ di sarcasmo e ironia, in uno stile elegante e complesso. In pri­
tonici e nel dialogo Sull’ordine addirittura quello di Pitagora. ma istanza essa è un’apologià, occasionata dalle accuse mosse
Nelle Ritrattazioni - uno scritto composto in tarda età, in cui al cristianesimo di essere la causa del sacco di Roma a opera
avrebbe tracciato un bilancio critico della propria vita e della dei barbari nel 410. Obiettivo di Agostino è mostrare che in
propria attività di scrittore - Agostino avrebbe affermato che realtà la sventura che ha colpito l’impero è da imputare al
in questi suoi primi scritti egli aveva elogiato i filosofi pagani mondo pagano. L’apologià si viene così trasformando in un
«in una misura che non era opportuna per uomini empi», le grande bilancio critico dell’intera storia pagana, di Roma in
cui dottrine contenevano anche gravi errori. Le Ritrattazioni particolare, e della sua cultura, inclusa la filosofia. Nell’analisi
si presentano anche come una sorta di guida bibliografica di Agostino la filosofia pagana trova quindi una collocazione
ai propri scritti e, per questo aspetto, ricordano l’opera di - e anche un ridimensionamento - all’interno di una storia
Galeno Sui propri scritti, tanto è vero che per ciascun scritto universale intesa ora come storia della salvezza, segnata dalla
è indicato Yincipit, com’era consueto fare nella letteratura svolta cruciale dell’incarnazione di Cristo, e orientata verso
bibliotecaria. Ma esse sono soprattutto una riconsiderazione la fine dei tempi. Da questo punto di vista La città di Dio
e una valutazione delle idee da lui espresse in passato nei suoi rappresenta l’espressione più articolata di quella che è stata
scritti e, da questo punto di vista, assumono una dimensione definita una teologia della storia, ma con essa si usciva nel
autobiografica. E autobiografia, anzi la prima autentica au­ modo più deciso dagli orizzonti peculiari della letteratura
tobiografia, sconosciuta nella sua pienezza all’antichità, sono filosofica antica.
state sovente giudicate le Confessioni, indubbiamente lo scritto
più originale di Agostino anche sul piano letterario. Qui l’au­
tobiografia si esprime nella narrazione, soprattutto nei primi
libri, di vicende esteriori della vita dell’autore, ma soprattutto Note al capitolo terzo
di vicende interiori, dell’itinerario da lui compiuto alla ricerca
della verità, sino al momento culminante della sua drammatica 1 FHistGr I F 1 Jacoby.
conversione, descritta nel libro V ili. Ma l’autobiografia è solo 2 Cfr. 24 B 1 e 36 B 1 Diels-Kranz.
una delle componenti delle Confessioni, che non devono essere 3 64 B 1-2 Diels-Kranz.
scambiate per una sorta di diario intimo. È costitutivo di esse, 4 Platone, Apologia di Socrate 26 d-e, Fedone 97 b ss.
infatti, l’essere una confessione pronunciata davanti a Dio, a 5 59 B 1 Diels-Kranz.
cui Agostino si rivolge col «tu», indirizzandogli una preghie­
6 59 B 21 Diels-Kranz; per la polemica contro gli Elleni B 17, per l’uso
ra, lodandolo per il suo intervento salvifico e ammettendo le dell’inferenza B 4, per la dimostrazione per assurdo B 12.
proprie debolezze di peccatore. Persiste dunque in esse anche 7 Isocrate, Fanatenaico 200, 262.
164 G L I STRUMENTI DEI FILOSOFI: ORALITÀ E SCRITTURA
Capitolo quarto

8 Platone, Protagora 329 a-b. I filosofi e l’uso del passato


9 Cfr. per es. Platone, Gorgia 465 e-466 a, 519 d, Sofista 217 d-218 a.
10 Diogene Laerzio IV 32 e IV 65.
11 Ateneo 186 d ss.; Plutarco, Presso Epicuro non si può vivere felice­
mente 1095 C.
12 Filodemo, Sulla musica IV, coll. XXVIII 1 ss.
13 Seneca, Epistole a Lucilio 108, 10.
14 Diogene Laerzio X 121 b.
15 Diogene Laerzio IV 20, 26, 31.
16 Fr. 47 e 72 Arrighetti.
17 Cicerone, Tusculane IV 3, 6-7. 1. Dai presocratici a Platone
18 Cfr. Lucrezio, La natura delle cose I 943-945.
19 Ibidem I 29-53. L’uso del passato fu uno strumento con il quale i filosofi
20 Ibidem III 59 ss., V 55-58. antichi cominciarono ben presto a costruire la propria iden­
21 Ibidem I 136-139, 926-930; III 258-261; IV 1-5. tità. Nei testi conservati dei cosiddetti «presocratici» i riferi­
22 Ibidem I 729-733. menti a dottrine di altri pensatori o poeti, contemporanei o
23 Ibidem I 641-644, 922-950. antecedenti, sono spesso impliciti ed è stato uno dei compiti
24 Cicerone, Tusculane I 6; II 6; IV 6. della storiografia filosofica moderna tentare di portarli alla
25 Ibidem I 8. luce. Non abbiamo tuttavia un’idea esatta delle dimensioni
26 Cicerone, Sui doveri II 37, III 77. assunte in quell’epoca dalla circolazione delle idee, la quale
27 Seneca, E^pistnle a Lucilio 27, 1; 118, 2. avvenne per via prevalentemente orale, e solo dopo la metà del
28 Ibidem 38, 1.
V secolo a.C. trovò un importante veicolo di diffusione nella
scrittura. In ogni caso, i riferimenti espliciti ad altri filosofi,
29 Apuleio, Sul demone di Socrate 179.
presenti nei testi presocratici, sono per la maggior parte in
30 Porfirio, Vita di Plotino 8, 1-6.
chiave polemica. Senofane prende posizione contro Omero ed
31 Atti degli Apostoli 26, 25.
Esiodo e le loro erronee concezioni antropomorfiche degli dèi,
mentre Eraclito colpisce con le sue critiche non solo questi
due poeti, ma anche Pitagora e lo stesso Senofane1. Così la
tecnica della dimostrazione per assurdo, ampiamente usata per
esempio da Zenone di Elea, aveva anch’essa una componente
polemica, anche se Zenone non menzionava probabilmente gli
avversari suoi e del suo maestro Parmenide. Con i sofisti si
inaugura la pratica di assumere testi di altri come referenti o
strumenti del proprio sapere e di scrivere libri su testi altrui.
Nell 'incipit di un suo scritto, Ippia di Elide dichiara di fare
il proprio discorso nuovo e multiforme, mettendo insieme le
cose più importanti e affini, che egli trovava espresse in po­
esia e in prosa da autori non solo greci, ma anche barbari2.
Si tratta probabilmente di una procedura di accostamento e
cucitura fra testi (parti di testi) di diversa provenienza secondo
rapporti di parentela, determinati sulla base di associazioni
166 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO 167

tematiche. Non sembra comunque che prima del IV secolo i di una procedura, battezzata in tempi recenti come «principio
filosofi ponessero tra i loro obiettivi fondamentali la costru­ di carità», che a volte sorregge la discussione per iscritto di
zione di una tradizione, alla quale appellarsi per sostenere testi filosofici.
0 dare autorevolezza alle proprie posizioni. Ciò che i primi Nei dialoghi platonici più tardi non è infrequente - talora
sapienti intendevano enunciare era soprattutto un messaggio sotto la maschera stessa di Socrate o di altri personaggi - la
personale integralmente nuovo e diverso da quello degli altri, discussione di teorie colte, dotate di retroterra storico. Queste
come si è visto nel capitolo precedente. Ma nel momento in teorie sono attribuite ad antichi sapienti o a uomini di cultura
cui la figura del filosofo cominciò ad assumere tratti meglio raffinata. Per Platone l’unico vero filosofo era Socrate e la
definiti, cominciò anche a porsi il problema di differenziare tradizione alla quale intendeva appellarsi era l’immagine che
questa figura da altre, e divenne essenziale anche il confronto col tempo egli si era costruito di Socrate, l’immagine di una
con modi diversi o affini di concepire l’attività filosofica e con forma di vita e di un metodo di ricerca suscettibili di continui
1contenuti dottrinali che li caratterizzavano. Senofonte riferisce approfondimenti e integrazioni. L’esposizione platonica di
che Socrate leggeva insieme agli amici i tesori che gli antichi dottrine altrui non è mai puramente dossografica, ma mira
sapienti avevano depositato nei libri e ne sceglieva quanto a costruire insiemi concettuali coerenti da sottoporre alla
c’era di positivo. Che Socrate non avesse esitato a cercare la discussione. Nella presentazione dei «materialisti», fornita
soluzione dei suoi problemi nel libro di Anassagora, che ad nel Sofista, Platone ritiene necessario precisare che, se non è
Atene poteva essere acquistato a buon prezzo, è confermato possibile renderli di fatto più disponibili alla discussione, sarà
anche da Platone nel Fedone, secondo il quale, però, una volta opportuno renderli tali almeno a parole, ossia ai fini dello
avuto questo libro in mano, Socrate ne era rimasto insoddi­ svolgimento della discussione. Ciò significa che il problema
sfatto. L’immagine prevalente di Socrate sia in Senofonte sia di una presentazione storicamente attendibile della loro po­
in Platone è quella di un filosofo che preferisce discutere vis à sizione non era centrale. La dialettica platonica non era un
vis con persone in carne e ossa, sottoponendo a esame le loro dialogo con un passato che doveva essere preservato intatto;
opinioni attraverso la tecnica dialettica delle domande e delle anch’essa si svolgeva fondamentalmente al presente. La fun­
risposte3. La dimensione temporale dell’attività socratica era zione dialettica dell’esposizione al presente, nel corso di un
fondamentalmente il presente. Già il Teeteto, però, mette in dialogo, di dottrine che hanno la propria matrice nel passato
scena Socrate che, discutendo con il matematico Teodoro e il spiega anche la tendenza platonica a costruire raggruppamenti
giovane Teeteto, confuta il libro di Protagora, che inizia con la di personaggi diversi sotto un’unica tesi, secondo legami di
celebre asserzione: «L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle genealogia e di parentela concettuale. Un esempio può essere
che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto fornito dall’assimilazione di Senofane alla stirpe eleatica. Questi
non sono». Nel Fedro Platone individua una debolezza dello raggruppamenti sono sovente costruiti da Platone secondo
scritto nel fatto di non potersi difendere dalle confutazioni e schemi dicotomici di opposizione tra sostenitori di tesi alter­
obiezioni alle quali può essere sottoposto, a differenza di ciò native. Una classificazione di pensatori in base al numero dei
che succede in una conversazione orale. Il Teeteto mostra però principi da essi ammessi è rintracciabile anche in Isocrate4. Ma
come si possa confutare un libro, immaginando le risposte già Gorgia all’inizio del suo scritto sul non essere aveva tentato
che l’autore assente potrebbe dare alle critiche mosse al suo di provare che nulla è, mostrando che, se qualcosa è, è o eterno
scritto, il quale è incapace di per sé di rispondere. In questo o generato, o uno o molti, o in moto o immobile e, attraverso
caso è Socrate stesso che si assume l’onere di immaginare varie argomentazioni, aveva concluso che non può essere né
come Protagora potrebbe rispondere alle obiezioni e, solo una cosa né il suo opposto5. Anche Platone usa schemi polari
dopo che si sia ulteriormente proceduto a confutare anche di questo genere, ma la differenza è che egli individua una
questa autodifesa possibile dell’autore, si può assumere che terza alternativa rispetto alle due contrapposte, le quali sono
la confutazione abbia avuto successo. Si tratta dell’embrione riconducibili a personaggi della tradizione precedente. Ciò che
168 1 FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L’USO D EL PASSATO 169

sovente Platone compie, attraverso la confutazione di queste delle riflessioni dei membri dell’Accademia. Ciò significa che
tesi opposte, è proprio la messa in discussione della sufficien­ le singole posizioni si precisavano e assumevano una specifica
za dei requisiti della tradizione colta per essere inclusa nella configurazione anche attraverso il confronto con un passato,
filosofia, quale egli la intende. Come Gorgia, Platone procede, con il quale si discorreva al presente e dal quale quasi sempre
soprattutto nel Sofista, alla demolizione di entrambi i corni ci si allontanava. Nessuno dei più importanti allievi di Platone,
di un’alternativa, ma diversamente da Gorgia ciò comporta né Speusippo né Senocrate né Aristotele, continuò a sostenere
un’uscita dall’alternativa. Per Gorgia la tradizione filosofica la dottrina delle idee. Il rapporto con la tradizione - e Platone
era un blocco di contraddizioni che si annullavano senza vie stesso divenne a poco a poco tradizione per gli accademici -
d’uscita; anche per Platone la tradizione dei poeti, dei sapienti non si trasformò mai in adesione passiva. Parlare di ortodossia
e dei sofisti si annullava, lasciando tuttavia aperta la via per una o dogmatismo a proposito dell’Accademia, come poi del Liceo
nuova soluzione. La tradizione non aveva esaurito le alternative aristotelico, sarebbe del tutto fuori luogo.
concettuali, ma si poteva e si doveva filosofare oltre essa.
Per chiarire l’atteggiamento che deve essere assunto nei
confronti di tesi alternative - per esempio tra sostenitori della 2. Aristotele, l’uso dialettico e teleologico del passato e la nascita
mobilità o deU’immobilità del tutto, oppure tra «materialisti», della biografia
per i quali è solo ciò che può essere afferrato con le mani, e
amici delle idee per i quali solo le idee propriamente «sono» La matrice dialettica del rapporto con il passato è centrale
oppure ancora tra sostenitori dell’unità e sostenitori della anche in Aristotele, ma accompagnata da alcuni mutamenti
molteplicità dell’essere - Platone ricorre alla metafora della sostanziali. In primo luogo era mutato il rapporto con Socrate:
dokimasta, ossia della procedura volta ad accertare i requi­ per Aristotele, Socrate impersonava un metodo e un campo
siti per essere iscritti alla piena cittadinanza o ammessi alle disciplinare, ossia la ricerca di definizioni di concetti etici attra­
cariche pubbliche. L’esame avrebbe indicato quale delle due verso l’induzione, più che il bios filosofico tout court. Non solo,
tesi fosse preferibile; in tal caso ci si sarebbe schierati dalla ma Aristotele metteva in discussione proprio la tesi dell’unità
sua parte. Se entrambe fossero risultate inadeguate, sarebbe di virtù e scienza, dalla quale era emersa la figura del filosofo
stato ridicolo presumere di poter dire qualcos’altro, «dopo socratico-platonico. Per Aristotele la scienza è una virtù, non
aver bocciato uomini così antichi e sapienti». In realtà questa la virtù. Per la costituzione del tipo di vita filosofico, quale
affermazione non è che un saggio di ironia socratica: entrambe egli lo concepiva, era forse più rilevante il precedente di un
le tesi deH’immobilità o dell’immobilità assoluta sono rifiutate personaggio come Anassagora, ossia di un meteco che, come
da Platone nel Sofista, dove sarebbe emersa la possibilità di Aristotele, aveva abbandonato la propria città all’unico scopo
una compatibilità, sotto certe condizioni, di essere, moto e di svolgere attività teoretica7. Proprio l’assenza di un punto
quiete. La stessa operazione è compiuta da Platone nei con­ di riferimento privilegiato nel passato rendeva Aristotele più
fronti dell’opposizione fra «materialisti» e «amici delle idee», tollerante di Platone nell’accogliere sotto la categoria di filosofi
mediante la definizione dell’essere come possibilità di agire e molti personaggi del passato, come emerge chiaramente nel
di subire6. In questo orizzonte si colloca anche il parricidio di libro primo della sua Metafisica, dove quelli che prima di lui
Parmenide che Platone nel Sofista fa compiere allo straniero avevano svolto indagini sui principi e sulle cause prime delle
eleate, il quale arriva a riconoscere che anche il non essere in cose sono espressamente qualificati come philosophésantes. Ari­
qualche modo è e, precisamente, come «diverso da». Questi stotele poteva così fare di Talete il capostipite di una filosofia
procedimenti platonici mostrano come la discussione di opinio­ imperniata sull’indagine della natura e di Socrate l’iniziatore
ni «colte» fosse ormai un ingrediente del filosofare platonico e dell’etica. Il passato non era più un insieme di alternative da
della sua scuola. Le stesse concezioni platoniche delle idee, della annullare totalmente. Certo, egli conosceva e discuteva anche
dialettica, della natura sarebbero diventate l’oggetto principale assunzioni «paradossali», ossia contrarie all’opinione comune,
170 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO 1 FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 171

enunciate da filosofi reputati. Come esempi menzionava le tesi di essenziali del filosofare di Aristotele, non saggi di storiografia
Antistene, secondo cui è impossibile contraddire, o di Eraclito, filosofica, come talora ha preteso di rintracciare un malinteso
secondo cui tutto si muove, o di Melisso, secondo cui l’essere senso di attualizzazione della filosofia antica o un altrettanto
è uno. Tuttavia per Aristotele la filosofia aveva alle spalle un malinteso rimprovero di falsificazione o fraintendimento del
passato che non era fatto soltanto di tesi paradossali, ma anche pensiero altrui. La discussione della tradizione filosofica era
di opinioni diffuse, dove il consenso di tutti o dei più su una per Aristotele il punto di partenza dialettico per la ricerca della
tesi conferisce a essa una certa forza cogente. Il sapere al quale verità sui problemi più diversi. Questa pratica dovette essere
perviene la filosofia è il risultato anche di un lavoro collettivo, abituale all’interno della scuola e forse già nell’Accademia
che si disloca nel tempo secondo una linea di continuità e una platonica. Nel secondo libro dei Topici Aristotele descrive varie
dinamica interna imposta dalle cose stesse e dai problemi che tecniche per corroborare o demolire asserzioni. Tra queste egli
via via scaturiscono. Ciò conferisce alla tradizione filosofica nel include anche le opinioni di filosofi, per esempio la tesi eracli­
suo cammino verso la verità una struttura teleologica, affine a tea secondo cui bene e male sono la stessa cosa. È probabile
quella dei processi naturali. Tra gli obiettivi che Aristotele si che nella scuola ai discepoli fosse anche affidato il compito di
poneva nella discussione di teorie filosofiche del passato c’era, difendere o demolire tesi del genere, scambiandosi i ruoli di
più che la scoperta di eventuali lacune nella propria teoria, il attaccante e difensore. E chi aveva il compito della difesa non
rafforzamento del credito da attribuire alle proprie conclusioni. lo assolveva perché assentisse alla tesi in questione, ma soltanto
Più che uno strumento di controllo, il passato filosofico era perché l’obiettivo era argomentare come avrebbe argomentato il
per lui uno strumento di conferma, anche se solo parziale e sostenitore della tesi stessa, una procedura che come si è visto
limitato. Era infatti un passato segnato da equivoci, ingenuità, era già descritta nel Teeteto platonico9. E sullo sfondo di que­
soluzioni insufficienti. Rispetto ai predecessori Anassagora ap­ ste tecniche di discussione impiegate nella scuola che sarebbe
pariva come un uomo sobrio in mezzo a ubriachi, ma rispetto nato lo scritto di Teofrasto Sulle sensazioni, il quale presenta
ai successori era come un pugile senza addestramento che, se un’esposizione delle teorie della sensazione elaborate da vari
dà buoni colpi, lo fa a caso. Aristotele guardava al passato dal autori, seguite da una loro critica. Una procedura del genere
punto di vista della posizione che egli aveva raggiunto: prima dovette essere alla base anche del suo scritto sulle Opinioni
di lui la filosofia era rimasta circoscritta a indagini naturali, o fisiche (o Opinioni dei fisici, secondo un’altra interpretazione),
ridotta a matematica, come nell’Accademia platonica. Eppure del quale sono conservati solo frammenti. Questo scritto fu la
egli mostrava un debito di gratitudine anche verso coloro di cui base per il costituirsi di una vasta letteratura dossografica pro­
non condivideva le opinioni, perché anche costoro avevano dato trattasi per tutta l’antichità. La dossografia consiste in elenchi
un contributo, rendendo possibili altri filosofi, dai quali erano di problemi (per esempio: esistono dèi? che cosa sono? ecc.),
emerse dottrine via via più complesse e talora più attendibili. La per ciascuno dei quali sono esposte brevemente le principali
continuità era dunque intesa non solo come accrescimento, ma soluzioni alternative avanzate da filosofi della natura, sovente
anche come istituzione di condizioni di possibilità ulteriori: la indicati per nome e talora anonimi, ma anche da medici e
conoscenza non era mai partenza da zero. Il passato collettivo, astronomi, disposti non in una sequenza cronologica, ma
nel suo insieme di verità ed errori, era un tale punto di partenza. secondo schemi diairetici relativi alle soluzioni date. Questo
Per sapere che cosa si può dire rispetto a una questione, era tipo di esposizione, riducendosi via via sempre più all’osso,
importante sapere che cosa era stato detto su tale questione comportò una disarticolazione delle dóxai dal contesto più o
e quindi costituire una sorta di biblioteca del sapere, anche meno sistematico nel quale esse erano state formulate, e diede
perché il sapere - e quindi la stessa filosofia - è suscettibile di luogo talora a raggruppamenti di filosofi che probabilmente
essere smarrito e recuperato8. avevano poco in comune. Si trattò tuttavia di uno strumento
Le discussioni della tradizione filosofica che aprono la Meta­ fondamentale per le discussioni filosofiche, non soltanto come
fisica o la Fisica o lo scritto Sull’anima sono dunque ingredienti repertorio di tesi alternative, ma anche come costruzione di
172 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 173

un apparato linguistico e concettuale unitario per ordinare e presentato come un plagiario, nella Repubblica, di uno scritto
formulare le questioni e indicarne le soluzioni. L’uso di tali di Protagora. A ciò faceva da contraltare un ritratto positivo di
dossografie non fu peculiare della sola scuola aristotelica, ma Pitagora e del pitagorico Archita di Taranto, originario della
anche di altre scuole come lo stoicismo, e nelle mani degli sua stessa città, nel tentativo di innestare elementi pitagorici
scettici, come si vedrà, si trasformò in un importante strumento nel solco della scuola aristotelica e di individuare un modello
per la confutazione delle tesi dei filosofi dogmatici. di filosofia orientata religiosamente, che trovava i propri ante­
Ma la filosofia, come sappiamo, non era soltanto un insieme nati in Oriente e soprattutto in Pitagora. Forse già a Eraclide
di dóxai. Essa era una forma di vita. Per i socratici e per Platone Pontico risaliva l’immagine del pitagorismo come ideale di
la vita di Socrate era stata il punto di riferimento essenziale. vita contemplativa: a Pitagora egli attribuiva l’invenzione del
Di qui era nata una vasta letteratura dialogica, che mirava a termine stesso filosofia, intesa appunto come contemplazione
cogliere l’attività di Socrate sul vivo. In questo contesto gli disinteressata. E accanto a Pitagora egli delineava la figura
elementi biografici diventavano uno strumento per delineare di un Empedocle taumaturgo, che ridesta in vita una donna
l’immagine del filosofo ideale e per esortare a seguirne le tracce. rimasta in coma per giorni e viene poi assunto in cielo, mentre
Ciò diventava essenziale nei casi in cui un filosofo non aveva secondo altre tradizioni biografiche sarebbe morto precipitando
lasciato scritti, com’era stato per Socrate e come sarebbe stato nell’Etna. Non di rado la biografia filosofica era costruita in
per il cinico Diogene (che probabilmente compose solo trage­ base alla tecnica - applicata da un altro peripatetico, Camele-
die), per lo scettico Pirrone e poi per Arcesilao o Cameade. onte, alle biografie dei poeti - di inferire dati sulla personalità
Se nel ritratto platonico di Socrate le argomentazioni hanno e sulla figura morale degli autori da affermazioni presenti nei
una parte preponderante, nei ritratti di un personaggio come loro testi. Alla base di questa operazione sta il presupposto
Diogene sarebbero stati centrali gli aneddoti e gli apoftegmi. tipicamente aristotelico, secondo cui la virtù e Yéthos di un
Gli aneddoti mostrano l’esemplarità e l’eccezionaiità di un individuo si manifestano nelle sue azioni, sicché l’opera di un
filosofo attraverso la descrizione di qualche episodio decisivo autore risulta essere la mimesis scritta del suo carattere. Anche
nel suo comportamento verso i potenti, come Alessandro in questi casi al centro è l’interesse per una descrizione dei
Magno, o le ricchezze o i piaceri e le pratiche sessuali, alimen­ modi di vita e una galleria di tipi etici, che si manifesta a noi
tari e così via. Gli apoftegmi invece condensano massime di nella sua espressione più compiuta nei Caratteri di Teofra-
vita attraverso risposte esemplari che il filosofo aveva dato a sto. Sullo sfondo opera la discussione sulla preferibilità dei
interlocutori reali o immaginari. Non c’è prova tuttavia che vari tipi di vita. Rispetto alla tradizione socratica gli antichi
aneddoti e apoftegmi fossero necessariamente ingredienti di sapienti erano presentati mentre esibivano altri aspetti della
una biografia, intesa come descrizione di una vita in tutto il vita filosofica. Per esprimere il proprio dissenso verso la po- „
suo arco. Né è detto che la biografia filosofica fosse sempre sizione che, con Aristotele in testa, affermava il primato della
una sorta di protrettico alla vita filosofica. Una biografia poteva vita teoretica, il peripatetico Dicearco ritrovava il primato
essere composta anche al solo scopo di divertire un pubblico, della vita pratica nella tradizione dei Sette Sapienti, con a
come sarebbe stato il caso delle biografie scritte da Antigono capo Talete, che non era più il classico esempio di studioso
di Caristo, oppure per esprimere preferenze filosofiche o distratto, caduto in un pozzo per contemplare il cielo e deriso
anche a scopo di polemica tra le scuole filosofiche. È signifi­ da una piccola schiava di Tracia, quale era apparso a Platone10.
cativo che il primo o comunque il più importante autore di Del resto, anche Aristotele nella Politica aveva presentato un
biografie filosofiche della seconda metà del IV secolo a.C., il ritratto di Talete che, prevedendo per l’anno successivo, grazie
peripatetico Aristosseno di Taranto, delineasse anche ritratti al suo sapere astronomico, un’abbondante raccolta di olive,
in negativo: nella sua biografia di Socrate l’umile origine, la fa incetta di frantoi, che in posizione di monopolio può poi
bigamia, l’esercizio di un lavoro manuale, l’iracondia diven­ affittare conseguendo grandi guadagni, un caso di attività
tavano aspetti negativi della figura di Socrate. Platone era teoretica dotata anche di notevole efficacia pratica. In questi
174 I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L’USO D EL PASSATO 175

contesti il passato era dunque uno strumento mobilitato per era un serbatoio di tesi, che potevano essere integrate nel loro
legittimare determinate immagini della vita filosofica, mentre edificio dottrinale. L’essenziale era la loro consistenza logica:
in altri casi - per esempio per Aristippo o per Epicuro - tratti qui si misurava la tradizione in tutti i suoi aspetti.
biografici sarebbero serviti come strumento di diffamazione, In Epicuro, invece, il rifiuto delle tradizioni si accompagnò
per screditare la loro filosofia, imputando ad Aristippo una alla volontà di dare inizio a una nuova tradizione, presentan­
vita di piaceri e di lusso e a Epicuro il non essere cittadino dosi come alternativa radicale a ogni passato. L’atteggiamento
legittimo di Atene o la corrispondenza con etère. Ovviamente polemico nei confronti delle credenze comuni, che sono fonti
questo sarebbe diventato un mezzo potente nelle mani della di turbamento e di timore, era esteso da Epicuro anche alle
polemica cristiana contro la vita filosofica dei pagani: per altre filosofie. Ovviamente egli non ignorava il passato né era
Lattanzio, Aristippo non soltanto era vissuto tra i piaceri, refrattario a letture. Sappiamo che si faceva inviare scritti di
ma identificando il bene con il piacere aveva trasferito i suoi Cratete, di Aristippo e di Aristotele. La notizia secondo la
costumi «dal lupanare alla scuola»11. quale nei suoi scritti non avrebbe inserito alcuna testimonianza
esterna deve probabilmente essere intesa nel senso che i suoi
riferimenti ad altri autori, quando c’erano, erano in preva­
3. La costruzione di tradizioni filosofiche in età ellenistica lenza polemici13. Soprattutto egli rifiutava connessioni con
autori con i quali potesse essere più facilmente assimilato, in
L’atteggiamento delle correnti filosofiche dell’età elleni­ particolare con Democrito, data la comune base atomistica
stica nei confronti della tradizione non è affatto omogeneo. delle loro dottrine, e con Nausifane, di cui negava di essere
Purtroppo le nostre informazioni sulla posizione degli stoici stato allievo14. Epicuro tendeva a presentare se stesso come
in questo campo sono del tutto insufficienti. Che l’attenzione maestro e capostipite della scuola, tagliando ogni ponte con i
alle filosofie del passato non fosse estranea a Zenone, Cleante predecessori. Nelle lettere inviate ai discepoli un tema centrale
e Crisippo pare indubbio. Un aneddoto riferisce che Zenone è l’importanza dell’esercizio della memoria. Ma l’oggetto di
avrebbe consultato l’oracolo per scoprire come vivere nel questo esercizio non è il passato filosofico, bensì il quadro
modo migliore e l’oracolo gli avrebbe risposto di collegarsi ai globale e i principi fondamentali della filosofia epicurea, la
morti. Zenone interpretò la risposta come un invito a leggere cui applicazione consente di orientarsi nella vita e di raggiun­
gli scritti degli antichi. Un altro aneddoto segnala la funzio­ gere l’atarassia. Di qui l’importanza attribuita da Epicuro a
ne svolta dall’ascolto della lettura dei Memorabili di Socrate esposizioni riassuntive del suo pensiero, in epitomi o epistole
di Senofonte nella conversione di Zenone alla filosofia. La inviate agli amici lontani. Questo aspetto sarebbe stato una
dimensione socratica dovette dunque essere importante per costante nella storia dell’epicureismo, che avrebbe proceduto
la figura del filosofo, come la intendeva Zenone; ma ciò non sovente a riesporre il nucleo del pensiero del maestro o a
significa disinteresse per altri filosofi del passato. A Cleante raccogliere massime dai suoi scritti. Non doveva considerarsi
deve probabilmente essere attribuita un’ampia utilizzazione lontano dagli intenti del maestro Lucrezio, quando avrebbe
di Eraclito sul piano cosmologico e teologico. E non lontana scorto in Epicuro stesso la svolta decisiva nella storia della
dai dettami aristotelici dovette essere la posizione di Crisippo, civiltà umana. Ripetutamente si sarebbe riferito a lui come
definito da Cameade «parassita di libri», delle cui citazioni primo nell’illuminare gli uomini, per averli sottratti con il suo
infarciva i propri. A volte egli avrebbe addirittura svolto insegnamento alle superstizioni che generano paure. Egli lo
argomentazioni a favore di tesi contrarie alle proprie per avrebbe paragonato a divinità inventrici, come Bacco o Ce­
saggiarne la consistenza logica, arrivando così a fornire armi rere - cui erano attribuiti i doni del vino e del grano -, anzi
agli stessi avversari dello stoicismo. La dialettica di Crisippo riconosciuto superiore a esse, perché senza la sua invenzione
sarebbe apparsa a Plutarco come il polipo che rode i suoi la vita sarebbe stata impossibile. Rispetto a Epicuro, un greco,
stessi tentacoli12. Anche per gli stoici, dunque, la tradizione primo inventore, prótos heuretés, della vera filosofia, il latino
176 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L’USO D EL PASSATO 177

Lucrezio risultava il discepolo che ne segue fedelmente le orme, in perfetta continuità con il non sapere socratico. Anche Par­
suggendo dai suoi scritti, come un’ape, gli aurei detti15. Non è menide ed Eraclito erano recuperati in chiave antidogmatica,
un caso che Epicuro sia stato il filosofo dell’antichità di cui ci per la loro sfiducia nei confronti dei sensi17. Più tardi, nel I
sono stati conservati numerosi ritratti, che erano gelosamente secolo a.C., Enesidemo avrebbe forse interpretato lo stesso
custoditi dai suoi allievi. Nel II secolo d.C., per trasmettere scetticismo come una via verso l’eraclitismo, consistente nel
durevolmente il messaggio di salvezza del maestro, Diogene riconoscimento della coesistenza dei contrari. In tal modo
di Enoanda, come si è detto, ne avrebbe fatto incidere su un e g li sottraeva Eraclito ai tentativi stoici di monopolizzarlo sul
portico della sua città le linee fondamentali, in una sorta di piano della teologia e della fisica, per il suo privilegiamento
libro indelebile di pietra. del fuoco. Ma al tempo stesso egli dovette forse opporsi anche
In un’atmosfera di forte impermeabilità verso l’esterno allo scetticismo di Cameade, come avrebbe fatto qualche secolo
diventava dominante nell’epicureismo la discussione polemica dopo Sesto Empirico, nel tentativo di distinguere nettamente
di dottrine precedenti o contemporanee, più che la ricerca di lo scetticismo vero e proprio (interpretato come pirronismo)
antecedenti diversi da Epicuro o da coloro che a lui si erano dalle filosofie considerate affini a esso. Secondo Sesto, il fat­
richiamati. Tracce di questo atteggiamento sono reperibili sia to di non considerare la sensazione un criterio di verità non
in discepoli diretti di Epicuro come Metrodoro di Lampsaco, basta per imparentare una filosofia, fondata su tale tesi, allo
sia in Polistrato o Lucrezio, che dedica una sezione del libro scetticismo. Era facile documentare la presenza di asserzioni
I del suo poema alla critica di alcune dottrine presocratiche, dogmatiche in Parmenide o Protagora o l’esistenza, accanto
e in età imperiale in Diogene di Enoanda. Nello scritto Non è a un Platone aporetico, anche di un Platone dogmatico, che
possibile vivere secondo le dottrine degli altri filosofi dell’epicu­ aveva enunciato tesi positive sulle idee, sulla provvidenza e così
reo Colote, una serie di filosofi presocratici, Socrate, Platone, via. Lo stesso scetticismo accademico, affermando l’impossibi­
Arcesilao e altri, erano raggruppati in blocco e criticati uno lità di raggiungere la conoscenza, finiva con lo sconfinare nel
dopo l’altro sul piano gnoseologico. In questo contesto già dogmatismo. Solo un'epoché totale rispetto alle filosofie del
appariva la tesi, che avrebbe avuto fortuna nei dibattiti più passato poteva aprire la strada a una liberazione dai turbamenti
tardi sulla tradizione accademica, secondo la quale fedeli ai che esse producevano a causa della loro ansia di pervenire ad
principi di Platone erano stati anche Aristotele, Teofrasto e asserzioni sicure18.
i peripatetici16. La dimensione competitiva e la presentazione Più che alla ricerca di una tradizione positiva alle proprie
in chiave confutatoria delle tradizioni filosofiche trovano un spalle - al di là del richiamo al pirronismo - Sesto era inte­
preciso parallelo nello scetticismo. Venuto meno il presupposto, ressato a mostrare che lo scetticismo era l’alternativa a ogni
centrale in Aristotele, di un percorso teleologico della filosofia, tradizione filosofica. Ciò richiedeva appunto la sua totale messa
il presente e il passato si trasformavano in un inventario di in discussione. In questo senso lo scetticismo era una filosofia
dottrine o imparentate fra loro, ma tutte infondate, o alterna­ parassitarla rispetto alle altre filosofie. Lo scettico considera
tive fra loro, ma proprio per questo elidentisi a vicenda. Già simultaneamente le varie posizioni dogmatiche, facendole rea­
Timone, attraverso una produzione poetica fortemente pole­ gire l’una contro l’altra, in modo da far emergere dissensi - la
mica e satirica e ricca di invenzioni linguistiche, provvedeva diaphonia - che non sono risolubili rimanendo all’interno della
a distinguere nettamente il maestro Pirrone, che aveva ancora tradizione dogmatica. In ciò egli è guidato da un principio di
tratti dell’antico sapiente, ieratico e silenzioso nel suo sereno economia: per poter intrappolare il maggior numero possibile
equilibrio, dalla folla ciarliera e rissosa dei falsi filosofi. Nella di filosofi dogmatici con una sola rete, occorre disporli in
stessa Accademia, da Arcesilao a Cameade, all’insegnamento raggruppamenti più vasti possibile. Così si eviteranno ripe­
di dottrine positive di uno Speusippo o di un Senocrate e, in tizioni e l’enumerazione e la confutazione di ciascun filosofo
seguito, a tutte le filosofie dogmatiche, soprattutto allo stoi­ uno per uno19. A tale scopo lo scetticismo poteva attingere a
cismo, venne opposta un’interpretazione aporetica di Platone, piene mani agli schemi dossografici, già elaborati in passato,
178 I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L’USO D EL PASSATO 179

e contribuire a crearne di nuovi. È chiaro che da un punto di molteplici, da quella delle parti dell’uovo a quella del corpo
vista storiografico questa procedura comporta semplificazio­ umano, ma tutte sottolineavano l’esistenza di legami organici
ni, le quali emergono anche neH’impiego di un vocabolario fra le tre parti22. Quando però si trattava di applicare questo
uniforme, prevalentemente stoico, per descrivere posizioni di schema tripartito alla descrizione della tradizione filosofica, le
autori appartenenti a orientamenti e a periodi storici diversi. cose non risultavano facili. A prima vista, per esempio, pareva
Ma anche per Sesto il rapporto con la tradizione non aveva che non dovessero sussistere dubbi sulla qualificazione di «fi­
scopi storiografici. Esso era invece uno strumento importante sici» applicata ai presocratici. Ma l’opera di Sesto documenta
per costruire l’identità del filosofo scettico per differentiam. l’esistenza di dissensi anche su questo punto. Eraclito era stato
Ai suoi occhi la tradizione dogmatica, ossia pressoché l’intera soltanto un fisico o si era occupato anche di etica? E agli inte­
storia della filosofia, appariva incapace di offrire un criterio ressi fisici Senofane non aveva aggiunto anche interessi per la
di verità, che consentisse di scegliere una filosofia piuttosto dottrina della conoscenza e Archelao per l’etica? Dubbi erano
che un’altra. Chi si aggira tra le scuole dogmatiche è come avanzati anche su Socrate e sugli epicurei. Platone non aveva
Teseo nel labirinto, diceva Luciano in uno scritto che presenta attribuito a Socrate anche le altre parti della filosofia, tanto
tracce dell’analisi scettica della tradizione filosofica20. Solo la che Timone lo aveva accusato di imbellettarlo per non ridurlo
sospensione dell’assenso consente di uscire dal labirinto, ma a semplice filosofo dell’etica? Ed Epicuro aveva eliminato la
per giungere a essa occorre un esame preliminare delle alter­ logica, come sostenevano alcuni, o solo la logica stoica?23 Il
native dottrinali elaborate nella tradizione filosofica, perché fatto è che la tripartizione era un criterio classificatorio troppo
solo da questa ricognizione può risultare l’equipollenza di fluttuante, nel quale vari autori erano difficili da inserire.
esse e quindi l’impossibilità di sceglierne una. La tradizione Né altri criteri di classificazione della tradizione filosofica
alla quale lo scettico poteva ancorarsi era fuori dalle filosofie, si mostravano molto più adeguati. Un caso particolarmente
nelle norme, nei costumi e nelle pratiche della comune vita spinoso era costituito dalla molteplicità di tendenze o scuole
quotidiana. vere e proprie, che erano scaturite dall’unico ceppo di Socrate,
inventore dell’etica già per Aristotele. Il problema era trovare
linee precise di demarcazione entro questa molteplicità. Il
4. Alla ricerca delle origini delle scuole filosofiche concetto impiegato a questo scopo - non sappiamo con esat­
tezza quando, ma certo già nella seconda metà del II secolo
L’uso scettico del passato, quale emerge dagli scritti di Sesto a.C. (forse il primo a usarlo fu Ippoboto, personaggio poco
Empirico, presuppone l’impiego di schemi di ordinamento delle noto) - fu quello di hàiresis, che letteralmente significa «scelta»
scuole e delle dottrine filosofiche, già elaborati in età elleni­ e che presuppone l’esistenza di una molteplicità di posizioni
stica e sui quali purtroppo siamo solo scarsamente informati: divergenti, di una diaphonia tra i filosofi. L’origine di questo
la tripartizione della filosofia in logica o dialettica, fisica ed concetto sembra etica; di qui esso era esteso a indicare la scelta
etica; la classificazione delle filosofie in indirizzi o hairéseis-, di un determinato orientamento e tipo di vita filosofica. Non
e la costruzione di successioni, diadochài, tra filosofi, in par­ esistono elementi sufficienti per sostenere una derivazione au­
ticolare fra capiscuola. Già Aristotele aveva affermato che la tomatica delle classificazioni dei filosofi secondo hairéseis dagli
fisica, ossia l’indagine sulla natura, era fiorita sino ad Archelao schemi dossografici di origine peripatetica, anche se non è da
nel V secolo a.C., mentre l’etica aveva preso inizio da Socrate escludere l’esistenza di qualche rapporto. In ogni caso, poiché
e la dialettica da Zenone di Elea21. Ma era nell’epicureismo e un certo consenso riconosceva in Socrate il capostipite dell’etica,
nello stoicismo che la tripartizione diventava tipica. Gli stoici diventava possibile far risalire a Socrate dieci hairéseis, com’è
avviavano addirittura un’ampia discussione sulle relazioni fra in Diogene Laerzio, o nove, come sosteneva Ippoboto24. In
le tre parti e sull’ordine nel quale dovevano essere apprese. entrambi gli elenchi nessuna hàiresis è anteriore a Socrate. Il
Le metafore impiegate per descrivere queste relazioni erano problema più grave, posto dalla classificazione delle scuole
180 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO 181

post-socratiche in hairéseis, non era dato dall’appellativo con il il modello delle relazioni maestro-allievo era esteso anche a
quale designare ciascuna di esse. Per questo aspetto si poteva tali indirizzi, senza una distinzione netta fra questi e le scuole
ricorrere al nome della città d’origine del capostipite o della vere e proprie. Ma anche in questi casi il materiale da siste­
città nella quale prevalentemente si era sviluppato un indirizzo mare non si piegava docilmente all’inserimento in schemi di
filosofico (per esempio megarici o cirenaici) oppure al nome successione. Intanto occorreva prendere atto dell’esistenza di
del capostipite (per esempio epicurei) o a quello del luogo nel rami morti o di intervalli vuoti. In secondo luogo non sempre
quale si era svolto l’insegnamento (per esempio accademici o i legami di successione apparivano univoci, soprattutto per i
peripatetici, dalla passeggiata che caratterizzava il Liceo). Il fondatori di nuovi indirizzi, quando occorreva rintracciare le­
vero problema nasceva piuttosto dalla difficoltà di qualificare gami di derivazione di questi da scuole o indirizzi preesistenti.
come hairéseis lo scetticismo e il cinismo. Forse queste difficoltà Sottolineare la derivazione da un maestro piuttosto che da un
resero necessario distinguere due significati di hàiresis, come altro significava fornire un’interpretazione generale dell’orien­
adesione a un corpo di dottrine e vera e propria appartenenza tamento di una scuola. Anche lo schema delle successioni non
a una scuola o come semplice orientamento di vita conforme era dunque uno schema neutrale, oggettivo, ma celava non di
ai fenomeni. Il primo significato non era applicabile allo scet­ rado presupposti interpretativi, ossia tesi filosofiche. Un caso
ticismo, diversamente dal secondo. Un problema analogo era tipico è fornito dallo stoicismo. Sottolineare il discepolato di
posto anche dal cinismo: più che una scuola, forse esso era Zenone, fondatore della Stoa, presso Cratete, allievo a sua
un semplice indirizzo di vita, un’agogé25. Ma alla base delle volta del cinico Diogene, significava insistere sulla dimensione
classificazioni secondo hairéseis dovevano esistere presupposti cinica dello stoicismo, ravvisando nel cinismo la sua matrice.
concettuali e modi diversi di concepire la vita filosofica, che E poiché il cinismo, a sua volta, era fatto risalire ad Antistene,
non siamo più in grado di decifrare con precisione. allievo di Socrate, era questo un modo di garantire la conti­
In ogni caso, a prescindere dal richiamo a Socrate come nuità dello stoicismo con il socratismo. Ma un’altra tendenza,
capostipite, non sembra che queste classificazioni si fondas­ rappresentata soprattutto da Ippoboto e da Eraclide Lembo,
sero su coordinate cronologiche. Ciò che esse garantivano sottolineava la dipendenza di Zenone da un altro ramo del
era una demarcazione tra indirizzi filosofici e modi di vita socratismo e, precisamente, dai megarici, insistendo sul fatto
corrispondenti, accompagnati o no da complessi dottrinali che Zenone era stato discepolo di Stilpone e anche di Dio­
positivi. Le coordinate cronologiche erano invece rilevanti in doro Crono, appartenenti all’indirizzo megarico. E il legame
un altro tipo di letteratura, anch’essa di origine ellenistica: con Diodoro dava risalto alla componente dialettica dello
le diadochài. Le scuole filosofiche, che si erano consolidate stoicismo26. Il caso di Zenone mostrava quindi la possibilità
anche sul piano istituzionale, come l’Accademia, il Peripato, di istituire sequenze diverse di successione, le quali corrispon­
la Stoa e il Giardino epicureo, mostravano di fatto l’esistenza devano a immagini tendenzialmente diverse dello stoicismo.
di una continuità, assicurata da una successione di scolarchi. Esistevano infine casi di filosofi che sembravano sfuggire a
I testamenti dei caposcuola erano a volte il segno tangibile ogni legame di derivazione: così era per Eraclito o Senofane,
della volontà che la scuola proseguisse, così come lo erano per i quali Diogene Laerzio impiega la categoria di filosofi
l’elezione o la designazione di successori alla direzione della sporàden, quasi nomadi sparpagliati, estranei a ogni forma di
scuola. E difficile sostenere che una continuità istituzionale consorzio. Eraclito, infatti, secondo Diogene Laerzio, non era
del genere fosse propria anche di altri indirizzi filosofici. Non stato allievo di nessuno27.
esistono prove che cinici o megarici o cirenaici costituissero Un grandioso tentativo di organizzare l’intera tradizione
scuole organizzate e non fossero invece gruppi di pensatori filosofica secondo uno schema duplice di successione fu
imparentati fra loro solo dall’affinità di posizioni concettuali compiuto, probabilmente nel II secolo a.C., da Sozione di
o metodiche o dal tipo di vita filosofica che intendevano Alessandria in un’opera intitolata appunto Successioni dei
praticare. Nella letteratura antica delle successioni, tuttavia, filosofi. Egli distinse due filoni, che dai luoghi di attività dei
182 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 183

rispettivi capostipiti, Talete e Pitagora, chiamò ionico e itali­ sulla scena si erano affacciati anche gli Ebrei. Sempre verso la
co. La successione all’interno di ciascun filone non era però metà del II secolo a.C. nell’ambiente ebraico di Alessandria si
determinata da una continuità geografica, tant’è vero che nel costruì, a opera di Aristobulo, la tesi secondo cui Platone aveva
filone italico erano inseriti, per esempio, autori ionici quali attinto le sue dottrine dai primi libri dell’Antico Testamento.
Leucippo e Democrito e addirittura Epicuro. Sozione dovet­ La cosa sembrava difficile, perché la traduzione in greco di
te dunque privilegiare un altro criterio di successione, forse questo testo aveva avuto luogo nell’Alessandria dei Tolomei
il rapporto di discepolato inteso come legame genealogico, a opera dei Settanta e quindi dopo la morte di Platone. Si
dove la filosofia si trasmette come un patrimonio. Lo schema escogitò allora l’idea che, data la corrispondenza di dottrine
per diadochài consentiva allora di congiungere anche ciò che platoniche come quella della formazione divina del mondo,
lo schema secondo hairéseis distingueva. In particolare, esso raccontata nel Timeo, con il racconto biblico della creazione,
consentiva di risalire alle spalle di Socrate. Nello schema di Platone doveva aver attinto a una precedente traduzione greca,
Sozione, infatti, Socrate non appare come una cesura: pur andata poi perduta. Parecchi secoli dopo, probabilmente tra
riconosciuto come introduttore dell’etica, egli era inserito nel la fine del II e gli inizi del III secolo d.C., Diogene Laerzio
filone ionico grazie al suo discepolato con Archelao, a sua volta avrebbe preso esplicitamente posizione contro la tesi di Sozione
allievo di Anassagora. E con rinserimento di Socrate, potevano e di tutti coloro che mettevano in secondo piano una scoperta
essere innestate nel filone ionico più hairéseis, soprattutto tre originale dei Greci come quella della filosofia, attribuendone il
rami fondamentali: quello cinico-stoico e, a partire da Platone, primato ai barbari. Ma il termine filosofia, obiettava Diogene,
quello accademico e quello peripatetico28. è greco ed era stato introdotto da Pitagora; greco è quindi
Alla fine della propria opera Sozione enunciava la tesi ciò che il nome designa. Ma già Epicuro, probabilmente in
dell’origine della filosofia presso i barbari, i magi persiani, i polemica con accademici e peripatetici, aveva affermato che
caldei babilonesi, i gimnosofisti indiani, i druidi del nord. Era solo i greci sono in grado di filosofare. Gli stessi dèi del resto
un antico tema accademico e peripatetico, che permeava la parlano greco o una lingua simile. «Sappiamo - avrebbe detto
cultura ellenistica: basti pensare allo scritto sull’Egitto di Ecateo l’epicureo Filodemo - che chi diventa sapiente prende a usare
di Abdera. Non è un caso che in quest’epoca cominciasse a la lingua greca soltanto»29.
circolare un’abbondante letteratura sui viaggi di filosofi greci, da
Pitagora a Democrito a Platone stesso, in Egitto e in altri paesi
del Vicino Oriente. Qui essi avrebbero appreso dai sacerdoti 5. Filosofi romani e tradizione filosofica greca
del luogo i nuclei più profondi delle loro dottrine. Il geografo
Strabone avrebbe addirittura raccontato che in Egitto gli era Un cospicuo risultato dell’ingresso della filosofia a Roma
stata fatta vedere la casa in cui Platone aveva soggiornato più è dato dall’allargamento della tradizione filosofica. L’insisten­
anni. Questo appello a tradizioni orientali, più che poggiare za sulla stretta connessione fra teoria e prassi consentiva di
su una conoscenza diretta e approfondita di queste culture e rintracciare antichi modelli di vita filosofica anche fuori, anzi
delle lingue e dei testi nei quali avevano trovato espressione, soprattutto fuori dalle scuole filosofiche. Già il cinismo aveva
era in gran parte il prodotto di un’immaginazione, che aveva e avrebbe continuato a indicare in una figura del mito come
lo scopo di garantire autorevolezza a determinate posizioni, Eracle l’esempio di una vita virtuosa incentrata sulla fatica e
ancorandole a una remota antichità. Già per Erodoto gli Egizi sullo sforzo, in opposizione a Prometeo fumante d’orgoglio o
erano il popolo più antico. Non è un caso che, almeno a partire alla stupidità di Edipo. Ma il ricorso allo stesso passato romano
dal II secolo a.C., fiorisse anche un’abbondante letteratura di divenne un argomento forte, nel momento in cui Cicerone si
scritti falsamente attribuiti a personaggi ormai leggendari come pose l’obiettivo di diffondere la filosofia presso il pubblico
Pitagora o Democrito: l’antichità diventava un contrassegno colto di Roma. Per quanto riguarda la tradizione filosofica
di autorevolezza. A un certo punto, forse già con Teofrasto, greca, Cicerone mostrava una particolare predilezione per
184 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 185

una figura come Demetrio Falereo, un modello di filosofo Censore a Catone Uticense, da Fabrizio a Giulio Cano, con­
impegnato direttamente nella vita politica. In Demetrio, Cice­ dannato a morte da Caligola. In lui questi esempi si caricavano
rone poteva scorgere quasi una proiezione di se stesso, anche dei miti della libertà senatoria, nel momento in cui essa stava
perché entrambi a un certo momento erano stati costretti tramontando. Catone Uticense - la cui immagine, proscritta
ad abbandonare la politica per lo studio. Ma negli scritti di ufficialmente, avrebbe continuato per qualche decennio a
Cicerone erano antichi personaggi romani come Catone o essere consueta in nobili case private e a essere oggetto di
Scipione e altri - che già avevano affollato le pagine di storici biografie - era ora affiancato a Socrate come modello di capa­
greci quali Polibio o Posidonio - a diventare eroi filosofici. cità nel superare le sventure. In quanto possessore di quattro
Non occorreva essere filosofi di professione per non temere milioni di sesterzi, era addirittura mobilitato dal milionario
la morte: la storia militare romana era colma di esempi del Seneca per mostrare che la ricchezza non è incompatibile con
genere. E 1 attività politica dell’intero popolo romano, non l’esercizio della saggezza filosofica. La nozione di esempio
soltanto di alcune individualità eccezionali, era stata una contribuiva ad allargare la tradizione filosofica: «Si deve im­
forma di sapientia, ma realizzata in istituzioni e leggi, più che parare ciò che occorre fare da chi fa». Di qui l’importanza di
in semplici parole com’era avvenuto in Grecia. La storia di conoscere il modo di agire dei boni viri. L’esempio infatti è la
Roma e delle sue istituzioni poteva dunque apparire come la rappresentazione icastica dell’applicazione di principi generali
realizzazione più autentica della filosofia30. L’atteggiamento di e precetti particolari alla prassi. In questo senso Seneca non
Cicerone nei confronti dell’epicureismo è una spia ulteriore di esitava a dichiarare gli esempi di vita più utili dei libri32. Ciò
questa sua convinzione. Per Cicerone, vicino allo scetticismo non significa che egli intendesse collocarsi fuori o fare a meno
accademico, i veri sovvertitori non erano gli scettici - come della tradizione più specificatamente filosofica. In realtà anche
pensavano, invece, gli stoici —bensì gli epicurei. Epicuro, che questa era funzionale al presente: i filosofi del passato sono «nati
esaltava la virtù contraddicendo la sua concezione del piacere, per noi» e occorre pertanto istituire un rapporto quotidiano
non era che un altra figura di Gaio Gracco, il quale prima con i migliori di essi. Ma diventare clientes dei grandi filosofi
aveva svuotato l’erario con la sua prodigalità e poi se n’era del passato, essenzialmente greci, era esattamente l’opposto
fatto difensore a parole. La contraddizione fra teoria e prassi del considerarli oggetto di conoscenza puramente erudita o
e la fondamentale apoliticità rendevano Epicuro, agli occhi di antiquaria. Seneca era ostile al lusso librario, come poi Marco
Cicerone, estraneo alla tradizione romana, oltre che a quella Aurelio: egli era un filosofo di pochi autori selezionati. In
greca. Che difesa del piacere è quella epicurea, che non può questa prospettiva il libro diventava un amico e una guida,
appellarsi alla testimonianza di illustri personaggi? «Nelle vostre uno strumento di meditazione e di azione. A Lucilio, Seneca
dispute —obietta Cicerone —la storia è muta». Nella scuola di riferisce continuamente massime che egli ha incontrato nelle
Epicuro non si sentono nominare Licurgo, Solone, Milziade, sue letture e promette di mandargli libri con passi sottolineati.
personaggi che stanno invece sulla bocca di tutti gli altri filo­ Del resto, la stessa tradizione romana mostrava come il libro
sofi31. La tradizione dell’epicureismo era soltanto filosofica in potesse diventare una guida di vita: prima di suicidarsi Catone
senso tecnico, rimaneva imprigionata dentro la scuola e, in tal Uticense aveva letto e meditato il Fedone platonico33.
modo, risultava refrattaria al mondo romano e ai suoi valori, Un presupposto comune attraversa il modo di praticare la
incarnati da celebri figure del passato. La battaglia ciceroniana filosofia nei primi secoli dell’impero: il senso che le opzioni
contro 1 epicureismo, nonostante la sua amicizia con Attico che filosofiche fondamentali sono già date. Il problema non è
nutriva simpatie epicuree, sarebbe stata un elemento decisivo trovare nuove filosofie o basi teoriche radicalmente nuove,
per il suo affossamento, sul quale i Padri cristiani si sarebbero mediante le quali organizzare e condurre la propria vita. La
limitati a porre la pietra tombale. tradizione filosofica greca ha già provvisto a costruire queste
Anche Seneca si sarebbe appellato a illustri personaggi del basi. Si tratta soltanto di non lasciarle ammuffire nelle cantine
passato romano come esempi di vita filosofica, da Catone il della teoria e renderle operanti. Ritornare sulle dottrine del
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passato non è dunque considerato un’operazione filologica: conduceva sul piano etico si estendeva anche al rapporto con
è in primo luogo un esercizio, che rafforza le convinzioni la tradizione, che poteva anch’essa generare schiavitù: coloro
intellettuali, le quali devono sorreggere l’azione e il proprio che hanno filosofato prima di noi «non sono i nostri padroni,
perfezionamento morale. La tradizione filosofica era dunque ma le nostre guide». Il diritto al proprio pensiero trovava
un terreno nel quale spigolare: più che il sistema contava la un ulteriore fondamento nell’incompletezza della tradizione.
massima. Con i testi dei filosofi del passato bisognava appli­ Noi ereditiamo i beni accumulati dai nostri antenati, ma il
care lo stesso metodo impiegato in senato: se qualcuno —dice nostro compito è quello del buon padre di famiglia, che deve
Seneca - espone dottrine che io approvo solo parzialmente, accrescere questi beni35. La filosofia delle scuole, sempre piu
lo invito a dividere in parti il suo pensiero e mi limiterò a orientata verso l’esegesi e il commento, correva il rischio di
seguire le massime che approvo. Da questo atteggiamento pietrificare il passato. Partendo dall’esiguo e caduco spazio
emerge immediatamente una conseguenza rilevante: lo stesso temporale che ci è concesso, diventa invece possibile accedere,
Epicuro può essere recuperato positivamente. Si tratta di un grazie alla mediazione dei filosofi greci, a ciò che è eterno e
caso eccezionale nell’antichità da parte di un filosofo che non proprietà comune dei migliori. La vita del s&piens, conclude
fosse epicureo. La stessa forma epistolare, cui Seneca ricorreva, Seneca, ha una grande estensione temporale: «Tutti i secoli
era anche un richiamo a una modalità di scrittura peculiare del sono al suo servizio, come a un dio». Tra Roma e la filosofia
filosofare epicureo. Una massima utile, anche se enunciata da greca non c’è più alcuna barriera, ma un unico continuum
Epicuro, è proprietà comune. La filosofia di Epicuro era dunque temporale. . ,
secondo Seneca immeritatamente malfamata. Egli elaborava una Questo stesso problema del rapporto tra vita mosorica ed
concezione patrimoniale del passato filosofico, essenzialmente esegesi della tradizione si sarebbe posto in modo assai deli­
greco. L intera tradizione filosofica greca appariva ai suoi oc­ cato per un filosofo come Epitteto, che avrebbe concluso la
chi un immenso patrimonio lasciato a disposizione di tutti e sua vita neH’insegnamento. Per Epitteto la lettura dei trattati
quindi anche dei Romani: la filosofia cessava così di essere dialettici di Crisippo, complessi e sofisticati, non garantisce
considerata una prerogativa esclusivamente greca. Ciò, non di per sé l’avanzamento verso la virtù. All apprendimento,
significava per Seneca tradire lo stoicismo, cui egli aderiva: pur necessario, dei contenuti di testi stoici classici, anche
esplorare in campo altrui non è disertare34. Egli intendeva di testi logici, doveva accompagnarsi il controllo critico e
piuttosto rivendicare il diritto a filosofare in nome proprio, soprattutto la messa in atto in prima persona di questi con­
la liberta di fronte alla tradizione di scuola, senza presunte tenuti. Occorreva non tanto essere esegeti di dottrine altrui,
«fedeltà» all’insegna dell’ortodossia. Ai bambini si fanno quanto trasformarle in dottrine proprie. Anche rispetto alla
imparare massime perché l’intelligenza infantile è in grado di tradizione Epitteto faceva valere la dicotomia, centrale nel
comprenderle, ma l’adulto non deve agire in un certo modo suo pensiero, fra ciò che è realmente nostro e ciò che non lo
sulla base di un’autorità, sia pure quella di Zenone o Cleante è L’esegesi che non si trasforma in condotta lascia estranei i
stoici. Seneca era ostile agli «eterni interpreti nascosti all’om­ contenuti dell’esegesi stessa. Questo atteggiamento, che per
bra» del pensiero altrui. La filosofia non è esegesi, memoria certi versi richiama quello di Seneca, non si traduce tuttavia,
e conservazione, ma appropriazione del passato. Frequente è come in Seneca, in una concezione larga e tollerante della
in Seneca 1 impiego della metafora dell’ingestione e assimila­ tradizione filosofica. Epitteto è polemico verso i pirroniam
zione dell’alimento, per indicare l’atteggiamento da assumere e gli accademici, che paralizzano la conoscenza e 1 azione,
nei confronti dell’insegnamento dei filosofi greci, ma senza ma lo è soprattutto con gli epicurei, che rendono gli uomini
dipendenze passive nei confronti del passato. In ciò Seneca non schiavi delle cose e sovvertono non solo le credenze correnti
poteva seguire l’esempio degli epicurei, attaccati rigidamente o quelle della tradizione filosofica più accreditata, ma anche
all insegnamento del maestro. «Ci sia qualche differenza - egli la società degli uomini, la casa e la pòlis. Come in Cicerone,
esorta - fra te e il libro». La lotta contro la schiavitù che egli la pericolosità sociale riappare come argomento forte contro
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l’epicureismo. Il fatto è che per Epitteto la tradizione è in primo platonica e accademica. Tra le scuole, era stata soprattutto 1 Ac­
luogo stoica. Ma il criterio per assumere la qualifica di stoico cademia a sollevare il maggior numero di problemi, soprattutto
non è tanto la semplice conoscenza della tradizione stoica né a partire dal I secolo a.C.
la capacità di farne l’esegesi. Per Seneca l’etichetta di scuola Platone era il capostipite dell’Accademia e i suoi testi co­
era stata sostanzialmente irrilevante: l’essenziale era la qualità stituivano il punto di riferimento essenziale. È verosimile che
della prassi. Anche per Epitteto tale qualità è essenziale, ma le scuole fossero depositarie degli scritti dei loro capostipiti e
ciò si accompagna alla preoccupazione di riqualificare la scuola detenessero il monopolio della loro consultazione. Ai tempi
attraverso la prassi, che essa rende possibile anche fuori della dello stoico Zenone l’Accademia faceva pagare una quota a
scuola, una volta usciti da essa. Per questo era impossibile un chi desiderava consultare la copia in qualche modo autorizzata
recupero di Epicuro. L’insistenza sullo stoicismo come forma delle opere di Platone37. Probabilmente già ad Alessandria,
di vita per eccellenza conduceva Epitteto ad accentuare la nel fervore di attività filologica che caratterizzò quella città
dimensione socratica e cinica dello stoicismo stesso. Il revival sin dalla fondazione del museo e della biblioteca, si ebbe a
cinico in età imperiale era connesso a questa concezione vissuta opera di Aristarco di Bisanzio un’edizione degli scritti di Pla­
del filosofare anche fuori delle scuole, nei crocevia e per le tone, alla quale avrebbe poi fatto seguito il raggruppamento
senza destinatari privilegiati, e aveva contribuito alla dei dialoghi in tetralogie a opera di Trasillo, operante sotto
diffusione di un’immagine «popolare» di Socrate, accanto a Tiberio, sul modello dei raggruppamenti dei testi tragici. Del
Diogene. In Epitteto, come in altro contesto in Dione di Prusa, resto, si diceva che Platone alla sua morte avesse lasciato una
Socrate e Diogene appaiono sovente affiancati come modelli tavoletta con più versioni delle parole iniziali della Repubblica
del filosofo padrone di sé e delle circostanze, capace di resi­ e che sarebbe stato il discepolo Filippo di Opunte a pubblicare
stere ai potenti come alle tentazioni di Alcibiade. Ma il vero le Leggi appena terminate. L’immagine della filosofia autentica
cinico, secondo Epitteto, inviato dal dio come un modello per di Platone dipendeva anche dagli scritti che si potevano le­
gli uomini, non aveva nulla in comune con i nuovi cinici, che gittimamente considerare autentici. È significativo che a porsi
costruivano la propria identità solo con i loro atteggiamenti e problemi del genere fosse anche uno stoico come Panezio di
connotati esteriori, la barba, la bisaccia e il bastone36. Questa Rodi, il quale giudicava inautentico il Fedone, dato che in questo
opposizione tra cinismo antico e moderno si sarebbe protratta dialogo si sostiene la tesi deU’immortalità dell’anima, ovvia­
per qualche tempo nell’impero e possiamo ritrovarla in Luciano mente incompatibile con l’insegnamento stoico. Ma Panezio
come nell’imperatore Giuliano, soprattutto nel suo scritto del nutriva grande interesse per Platone, da lui chiamato «divino»,
362 Contro i cinici ignoranti. stando a Cicerone. Già lo scolarca della Stoa ad Atene verso la
metà del II secolo a.C. Atenodoro aveva scritto un’opera Sulla
dottrina di Platone che solo ciò che è virtuoso è buono, punto,
6. Il problema dell’Accademia e Γinvenzione del primato del questo, di chiara convergenza tra Platone e lo stoicismo. Pla­
passato tone assumeva così autorità anche all’interno di altri indirizzi
filosofici, in particolare dello stoicismo. Ciò si venne inserendo
In età imperiale, però, accanto al Socrate cinicheggiante nel riconoscimento crescente che il passato in quanto tale è
e popolare, un altro Socrate veniva sempre più occupando la portatore di verità decisive. Probabilmente la via che condusse
scena, il Socrate ispirato dal demone, a cui si sarebbe rivolto a questa convinzione si collegò all’interpretazione dei poeti, in
1 interesse, nel II secolo, sia di un Plutarco sia di un Apuleio. particolare di Omero e di poeti teologi come Orfeo, ritenuti
Questa immagine di Socrate ci introduce in un orientamento più vicini alle verità di cui era stata depositaria l’umanità più
filosofico che assunse importanza crescente in quello che con­ antica. Un modo per mettere in luce queste verità era stato
venzionalmente si usa chiamare medioplatonismo. Esso aveva ravvisato nell’interpretazione allegorica, capace di cogliere
alle spalle un rapporto complesso e tormentato con la tradizione significati nascosti dietro le parole dei poeti. Essa era già stata
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usata nel V secolo a.C. da Teagene di Reggio, forse contro le problema di riconsiderare la tradizione. Per quel che sappia­
critiche mosse da Senofane alle rappresentazioni antropomor­ mo, soprattutto dagli scritti di Cicerone, il passo decisivo in
fiche degli dèi in Omero ed Esiodo, mostrando invece come questa direzione fu compiuto nel I secolo a.C. da Antioco di
dietro le varie divinità si celassero riferimenti ai diversi elementi Ascalona. La sua prima mossa fu di sostenere che tra Platone
costitutivi dell’universo. Questa procedura era stata ripresa da e Aristotele, come tra primi accademici e peripatetici, esiste­
Zenone e soprattutto da Cleante e altri stoici, che vedevano in va un accordo di fondo e che quelle che apparivano come
Zeus l’etere igneo o il fuoco. Nel I secolo d.C. lo stoico Lucio differenze, erano solo differenze di linguaggio, non di sostan­
Anneo Cornuto, maestro di Lucano e di Persio, codificò nel za. In polemica con Pilone di Larissa, che sosteneva invece
suo scritto Sulla teologia ellenica le dottrine teologiche dei più l’unità e la continuità dell’Accademia a partire da Platone,
antichi poeti. Nello stesso secolo Cheremone di Alessandria Antioco rintracciava un tratto comune fra accademici della
estese l’interpretazione allegorica anche ai miti egizi. Ma nel prima ora e peripatetici proprio nell’abbandono della tecnica
secolo precedente già lo stoico Posidonio, riprendendo il mito socratica della discussione, fondata sul dubbio e sul rifiuto di
di un’età aurea dell’umanità primitiva, l’aveva descritta come formulare affermazioni, alla quale si erano invece richiamati
governata da sapienti filosofi, inventori delle varie tecniche. gli accademici scettici, da Arcesilao in poi sino a Pilone. Una
Porse i poeti più antichi erano una via d’accesso al sapere di mossa ulteriore era compiuta mediante l’interpretazione dello
questi primi filosofi. Questa visione fu fatta propria anche dai stoicismo come correzione dell’accademia antica, più che nuo­
platonici, estendendo a Platone questo approccio diretto a va «disciplina». Considerando la virtù l’unico bene, lo stoico
ritrovare una verità più originaria. Ciò conferma ancora una Zenone aveva rafforzato l’autorità dell’antico insegnamento
volta che le scuole filosofiche antiche, con la parziale eccezione platonico-aristotelico, già indebolito da Teofrasto, che aveva
dell’epicureismo, non erano affatto caratterizzate dall’ortodossia ritenuto la virtù non sufficiente da sola a garantire la felicità.
nei confronti della propria tradizione. Secondo Galeno, Posido­ Rispetto a Platone e Aristotele anche lo stoicismo presentava
nio avrebbe preferito tradire la scuola piuttosto che la verità38. dunque differenze più verbali che di contenuto39. In fondo già
Ciò non significa che la non ortodossia equivalesse a eclettismo. Arcesilao e Cameade avevano mirato a sottolineare l’unità so­
La categoria di eclettismo è strettamente imparentata a quella di stanziale della tradizione dogmatica, ma a scopo confutatorio40.
sistema ed è stata impiegata a volte per costruire un’immagine In qualche modo Antioco riprendeva questo schema unitario,
svalutativa delle filosofie dell’età romana e imperiale. ma mutandolo di segno. Al blocco compatto dei primi acca­
Ciò che era tipico, invece, in Panezio come in Posidonio, demici, dei peripatetici e degli stoici, Arcesilao aveva opposto
non era l’eclettismo, bensì l’assunzione di un atteggiamento Platone, Socrate e forse alcuni presocratici. Per Antioco il
non soltanto polemico nei confronti di alcuni aspetti della tra­ problema era allora sottrarre Platone alla linea delle «autorità»
dizione non stoica. In tal modo essi mettevano in luce alcune scettiche. Richiamandosi al Platone socratico, Arcesilao aveva
dimensioni del pensiero platonico, che non coincidevano con spezzato la continuità fra Platone e le filosofie che avevano
l’immagine di Platone fornita dallo scetticismo accademico. Gli preteso di discendere da Platone. Ma secondo Antioco questa
accademici si trovavano perciò costretti o a proseguire lungo operazione aveva perturbato l’unità ormai ben consolidata
la linea scettica senza tentennamenti o a prendere posizione della filosofia. Celandosi dietro il passato, Arcesilao aveva
rispetto a questi aspetti «positivi» e non solo aporetici della introdotto un sovvertimento nel corpo organico della filoso­
filosofia di Platone. Il problema era delicato, anche perché fia analogo a quello introdotto da Tiberio Gracco nel corpo
Arcesilao, al quale è ricondotta la svolta scettica dell’Acca­ della repubblica romana. Cicerone si premurava di dissociare
demia, era stato di fatto scolarca dell’Accademia stessa. Se gli accademici scettici, ai quali egli intendeva richiamarsi, da
era esistito un altro Platone, oltre a quello aporetico, che questo pericoloso collegamento con Tiberio Gracco e rovescia­
posizione occorreva assumere verso l’Accademia scettica per va l’accusa di sovvertimento sugli epicurei. Ma è interessante
potersi ancora dire accademici? Si poneva inevitabilmente il ricordare che, secondo gli stoici, erano gli accademici scettici
192 I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO
I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO 193

a sovvertire dottrine consolidate, apportando confusione e luce punti di divergenza tra i due filosofi - come in parte aveva
anadasmón nelle nozioni comuni41. Il termine anadasmós era fatto pochi decenni prima il maestro di Aulo Gelilo, Calvisio
il termine tecnico per indicare la rivendicazione rivoluzionaria Tauro, in un’opera intitolata Sulla differenza delle dottrine di
di una spartizione delle terre. Applicato agli accademici, esso Piatone e di Aristotele -, ma scorgendo addirittura in Aristotele
conservava forti risonanze minacciose. Arcesilao aveva dunque il più lontano da Platone tra gli avversari del fondatore dell’Ac­
preteso di spartire e sconvolgere il territorio unitario della vera cademia42. Un punto decisivo e discusso dello schema di Antioco
tradizione filosofica. Richiamarsi alla continuità e fondamentale era dunque il legame tra Accademia e Peripato, anche perché
unità tra Platone, Aristotele, accademici, peripatetici e stoici al revival platonico si veniva accompagnando un revival anche
significava presentarsi come i veri difensori dell’integrità del di Aristotele e una rimessa in circolazione anche dei suoi scritti
passato. Ma in tal modo cominciava a emergere un nuovo modo di scuola meno noti, a partire dalla seconda metà del I secolo
di concepire la filosofia, come conservazione di un nocciolo a.C. forse anche con il contributo di Andronico di Rodi. Un
originario di verità, quello «platonico», che era stato smarrito secondo punto di discussione era invece costituito dalla presunta
a causa di filosofi sovvertitori e «rivoluzionari». Si ponevano rottura fra Accademia antica e Accademia scettica. Un rifiuto di
qui presupposti per la pratica del commento ai testi autore­ riconoscere questa rottura era già stato espresso dal maestro di
voli dei capostipi delle tradizioni filosofiche, in particolare di Antioco, Filone di Larissa, sulla base di una sostanziale adesione
Platone e Aristotele, mentre non si ha notizia di commenti a all’immagine scettica dell’Accademia. In altri contesti si sareb­
testi dei più antichi stoici, pur essendo gli stoici a praticare be invece tentato di giustificare la continuità dell’Accademia,
intensivamente l’interpretazione allegorica dei poeti. La cosa dando vita a una concezione misterica del platonismo, secondo
era tanto più urgente, date le difficoltà linguistiche dei testi la quale i successori di Platone avevano riservato solo ad alcuni
soprattutto di Platone, lontani dai caratteri assunti dal greco l’insegnamento del nucleo più profondo del pensiero platonico.
della koiné in età ellenistica, e dato il carattere elusivo dei Lo stoico Zenone, che pure era stato allievo dell’accademico
contenuti degli stessi dialoghi platonici. Al tardo I secolo a.C. Polemone, non aveva potuto accedere a questo nucleo e aveva
risale forse un papiro contenente un commento al Teeteto pla­ perciò introdotto una forma di materialismo. Di fronte alla
tonico, dove si sostiene che il Socrate del dialogo rappresenta diffusione di questo male, Arcesilao aveva preferito tenere
il punto di vista di Platone, contro l’interpretazione scettica nascoste le vere dottrine platoniche43. In questa prospettiva la
di esso. L’esegesi testuale era anche un mezzo per individuare svolta scettica risultava solo apparente, non era stata una forma
coerenza e sistematicità nello svolgimento dei dialoghi e, quindi, di tradimento, ma di difesa. In realtà una continuità dogmatica
nell’intera filosofia platonica, obiettivo perseguito anche dai di fondo era rimasta, anche se occulta e sotterranea, come un
commentatori dei testi aristotelici. Sono tutti aspetti legati al tesoro sepolto da riportare alla luce. A distanza di secoli Ago­
riconoscimento della necessità di tornare agli autorevoli testi stino avrebbe scorto in Antioco il difensore di un’Accademia
originari di una tradizione filosofica. ormai priva di difensori, il quale, pur introducendo elementi
La soluzione di Antioco non fu accolta pacificamente, nep­ negativi desunti dalle ceneri dello stoicismo, era potuto apparire
pure da autori che intendevano richiamarsi all’insegnamento come il rivelatore delle dottrine segrete di Platone. Filone di
positivo di Platone. Plutarco, per esempio, avrebbe rifiutato Larissa e Cicerone gli si erano opposti, ma successivamente le
di assimilare l’Accademia antica al Peripato e, ancor più, allo dottrine perfettissime di Platone sarebbero tornate a risplendere
stoicismo. Egli avrebbe considerato Crisippo il vero sovvertitore, soprattutto in Plotino, tanto simile a Platone da far pensare che
proprio come Catone aveva ravvisato in Cesare l’artefice della in lui Platone fosse rivissuto. Con il neoplatonismo, secondo
massima confusione nella costituzione romana. Nella seconda Agostino, si era finalmente ricostituita alla luce del sole l’unità
metà del II secolo d.C. Attico avrebbe diretto un intero scritto della vera tradizione filosofica44.
contro coloro che pretendevano di interpretare le dottrine di Ma non era soltanto l’Accademia scettica a porre problemi
Platone per mezzo di quelle di Aristotele, non solo mettendo in di sistemazione. Anche gli immediati successori di Platone,
194 I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 195

infatti, avevano abbandonato, secondo alcuni, dottrine fonda- chiedeva retoricamente - se non un Mosè che parla attico?»46.
mentali del maestro. Nel II secolo d.C. Numenio di Apamea Non era certamente il primo a istituire questo collegamento.
dedicava un intero scritto ai dissensi tra gli accademici e alla Alle spalle di Platone e della mistica pitagorica dei numeri, ma
loro infedeltà nei confronti di Platone45. Certo, l’infedeltà più anche di un Eraclito, già Filone, ebreo di Alessandria, aveva
grave si era manifestata con Arcesilao, ma già in Speusippo, scorto il sapere dei profeti e di Mosè, «il tesoriere e custode
Senocrate e Polemone si erano annidati germi di degenerazio­ dei misteri dell’essere»47.
ne. Introducendo alcuni elementi ed eliminandone altri, essi
avevano impedito la conservazione di un consenso globale, una
homodoxia, nei confronti delle dottrine di Platone. Rispetto 7. Plotino e l’esegesi neoplatonica del passato
ad Antioco, Numenio anticipava quindi la cesura nella storia
dell’Accademia. Il modello di fedeltà dottrinale non erano Plotino sancì definitivamente la volontà di essere platonici,
per lui i gruppi socratici o lo stoicismo, dilaniato anch’esso non accademici. Ma ciò non comportò un appello privilegiato
fin dagli inizi da dissensi. Paradossalmente questo modello ed esplicito a precedenti pitagorici e orientali. In Plotino non
diventava l’epicureismo, proprio la scuola più lontana dal è difficile trovare temi, concetti e terminologia mutuati anche
platonismo per il suo antiprowidenzialismo e materialismo. da altri indirizzi filosofici, in particolare dall’aristotelismo - per
Eppure solo essa aveva garantito la completa pace interna, esempio, la dottrina dell’intelletto, negli approfondimenti del
come un organismo politico senza conflitti, dove ogni inno­ grande commentatore di Aristotele, Alessandro di Afrodisia - o
vazione era considerata un’empietà. Si affermava così anche dello stoicismo, per esempio la dottrina della simpatia cosmica.
in ambito filosofico il concetto di tradizione come autorità e Se nei confronti dell’epicureismo, soprattutto a proposito della
veniva a costituirsi per l’Accademia la dicotomia tra fedeltà teoria del piacere e della negazione della provvidenza divina,
e tradimento, in un modo drastico, quale probabilmente non Plotino non poteva non essere ostile, nei confronti di Aristo­
si era mai posto storicamente di fatto. Distinguendo il vero tele egli manifestava, secondo i casi, consenso o dissenso. In
Platone dai falsi platonici, Numenio poneva la questione particolare, interpretando il principio divino come intelletto
della vera eredità di Platone e dei titoli per definirsi suoi che pensa se stesso, Aristotele non lo aveva concepito come
continuatori. Il presupposto forte in questa impostazione era primo. Plotino imputava questo errore al fatto che Aristotele
che il punto decisivo è l’inizio, l’origine, alla quale occorre su questo punto si era discostato da Platone48. Infatti per
mantenersi fedeli. L’arcaismo letterario dominante nel II secolo Plotino il vero punto di riferimento era il «divino» Platone,
d.C. trovava così un corrispettivo anche sul piano filosofico. Il di cui egli celebrava il compleanno con sacrifici e banchetti.
problema di Numenio era allora di isolare e separare Platone Egli era consapevole che sul testo platonico si erano stratificate
da Aristotele, Zenone e l’Accademia, ma così facendo egli interpretazioni che potevano falsare o confondere, non solo
rintracciava un Platone pitagorico. Annullata la tradizione chiarire. Porfirio ci informa che, nella sua attività di insegna­
successiva, che aveva lacerato Platone più furiosamente di mento, Plotino iniziava con la lettura di commenti di Severo
quanto avessero fatto le baccanti con Penteo, si affacciava alle o Numenio o Gaio o Attico o addirittura di aristotelici come
spalle di Platone un’altra venerabile tradizione, in primo luogo Aspasio o Alessandro. Ma queste letture non erano che occa­
Pitagora, ma anche popoli extra-greci. Questo allargamento sioni per esprimere il suo pensiero49. Lo stesso testo platonico
geografico della tradizione filosofica - più un miraggio forse non sempre risultava trasparente o risolveva definitivamente
che un’utilizzazione effettiva del pensiero elaborato in queste le aporie, anzi talora ne sollevava, anche perché talvolta in
culture - era collegato in primo luogo a problemi teologico- dialoghi diversi sembravano presenti tesi diverse. Il problema
religiosi, che si riteneva avessero trovato risposte positive presso di Plotino era di annullare le apparenti contraddizioni interne
bramani, magi caldei ed Egizi. A questo elenco, già noto da dei testi platonici, o ricorrendo a un dialogo per illuminare le
tempo, Numenio aggiungeva gli Ebrei. «Che cos’è Platone - egli oscurità di un altro o intervenendo con la propria riflessione.
196 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 197

Una procedura non dissimile da questa era stata applicata ai testi dell’originario in quanto tali: se il testo di Platone è il punto
di Aristotele da parte di Alessandro di Afrodisia, per mostrare chiave, ciò non è dovuto primariamente o esclusivamente alla
la coerenza del pensiero aristotelico. In realtà erano stati gli sua antichità, ma al suo contenuto di verità. Né Plotino inten­
interpreti, con l’insistere unilateralmente su un testo a scapito deva presentare se stesso come un filosofo che attinge alle pro­
di altri, a produrre, secondo Plotino, queste contraddizioni fondità del sapere orientale. Porfirio attribuiva la partecipazione
apparenti. E stato detto che il Platone di Plotino era un Plato di Plotino alla spedizione dell’imperatore Gordiano contro i
dimidiatus, privo della dimensione politica, anche se riferimenti Persiani al suo desiderio di prendere contatto diretto con la
ad aspetti della crisi politica del suo tempo non sono assenti filosofia praticata fra i Persiani e gli Indiani, ma il progetto
nelle Enneadi. In ogni caso il Platone che Plotino presentava non aveva avuto esito54. Anche nell’ipotesi che fosse possibile
era fortemente unitario e coerente. La dura polemica che egli dimostrare la presenza di tematiche orientali nel pensiero di
conduce contro gli gnostici ha tra i suoi motivi anche quello Plotino, ciò non modificherebbe l’immagine della tradizione
che essi saccheggiavano i testi platonici, soprattutto il Timeo, filosofica presentata esplicitamente nelle Enneadi. In esse è
senza comprenderli o fraintendendoli, allo scopo di mascherare possibile per esempio ritrovare un riferimento ai geroglifici
sotto il nome di Platone una loro filosofia estranea alla verità e egizi come a una forma di sapienza, ma questo è ben lontano
ossessionata dal male50. La falsificazione gnostica poggiava su dall’affermazione formulata nel Corpus Hermeticum, secondo
un uso scorretto del testo platonico, che per Plotino doveva cui il contenuto dei discorsi nascosti nei libri ermetici sarebbe
essere non solo il punto di partenza, ma anche il punto di diventato ancora più oscuro quando gli Elleni avessero preteso
arrivo. Il filosofare è allora presentato come l’esplicazione di di tradurlo nella loro lingua, piena di discorsi vuoti, capaci
ciò che è implicito, talora enigmaticamente implicito nel testo solo di produrre dimostrazioni55. In questo contesto ermetico
di Platone, come un rotolo di libro che srotolandosi manifesta l’Egitto non era la culla della filosofia o della matematica
i suoi tesori. Per questo Plotino è attento a rilevare la coinci­ greca, come si era sovente pensato sin dai tempi di Erodoto,
denza delle proprie conclusioni con il vero dettato del pensiero ma l’alternativa esoterica all’Ellade, rimasta chiusa nei limiti
platonico. Così la tesi della derivazione dell’intelletto dal bene angusti del lògos e della dimostrazione e, quindi, propriamente
non è per lui una novità, ma una dottrina enunciata da molto estranea al divino. Eppure era all’interno di questi limiti che
tempo, anche se non esplicitamente51. Plotino poteva dunque Plotino intendeva muoversi: agli gnostici egli rimprovera, tra
presentare l’attività filosofica anche come una grandiosa esegesi l’altro, di non aver partecipato dell’antica sapienza ellenica.
del passato che da Platone riconduceva a Platone. L’originalità Anche per l’immagine neoplatonica della tradizione la svolta
cessava di essere un merito. L’attività esegetica sarebbe stata decisiva era compiuta invece da Giamblico. Con lui il primato
una costante di tutta la tradizione neoplatonica: già il discepolo associato al sapere sacerdotale, iniziatico, ermetico e teurgi­
immediato di Plotino, Porfirio, poteva a buon diritto essere co faceva dell’Egitto la terra della salvezza. Anche Platone
definito «una biblioteca vivente»52. e Pitagora, a suo avviso, avevano costruito la loro filosofia
Nelle Enneadi di Plotino compare talvolta la tradizione in base alle conoscenze attinte dalle antiche stele di Ermes
pre-platonica, ma non occupa affatto una posizione privilegiata. in Egitto. Giamblico si premurò di comporre una serie di
Parmenide, Anassagora, Eraclito, i pitagorici avevano sfiorato opere che servissero da introduzione al pitagorismo, il quale
il problema dell’Uno, ma di fronte alla soluzione platonica le appariva ai suoi occhi una filosofia di origine divina, perché
loro dottrine si dimostravano inadeguate e insufficienti, se non ispirata direttamente dagli dèi, e sacerdotale, perché aveva
errate. Per Plotino l’antichità di un filosofo non è di per sé un ampiamente attinto al sapere dei sacerdoti egizi e dei maghi
criterio sufficiente per determinare la sua attendibilità, come caldei56. Egli creò un canone di libri da leggere nella scuola
egli dichiara espressamente a proposito di Anassagora53. In in un certo ordine, culminante negli Oracoli caldaici. Anche a
questo senso l’appello a Platone da parte di Plotino non deve Giamblico gli Elleni apparivano in preda a una smania inces­
essere scambiato per una forma di venerazione del passato o sante di innovazioni, incapaci di accogliere ciò che avevano
198 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO 199

ricevuto da alcuni, anzi pronti ad abbandonarlo. Ciò che era pitagorismo e arrivava infine a Platone. In tal modo Proclo, e
negato agli Elleni, era invece lo specifico dei barbari, costanti in generale il neoplatonismo, veniva a porsi in una prospettiva
nei costumi, nelle credenze e nel linguaggio. Per questo essi esattamente inversa rispetto a quella di Aristotele: per Aristo­
erano benvoluti dagli dèi, perché a nessun uomo è lecito mutare tele l’ultima filosofia era il télos del passato e il criterio con il
ciò che viene dagli dèi. In Giamblico la tradizione diventava quale esaminarlo e discuterlo; per Proclo, invece, l’inizio e il
esplicitamente un patrimonio inalterabile, dove trasformazioni passato, culminante in Platone, erano il pieno della verità. Tutto
e innovazioni non potevano non suonare negative. Il compito proviene da ciò che è primo: il modello derivativo metafisico
era allora conservare fedelmente questo patrimonio. La costanza si estendeva alla stessa «storia» della filosofia. La filosofia
del sapiente - su cui tanto aveva insistito lo stoicismo - di­ arcana dei misteri divini era apparsa nel tempo a opera di un
ventava la fedeltà assoluta e totale alla tradizione divina. Per solo uomo, Platone, ma se aveva irraggiato la sua luce, ciò era
la filosofia si poneva dunque anche un problema di identità dovuto soltanto alla volontà benigna degli dèi. Platone diven­
culturale, che già aveva preoccupato Diogene Laerzio. Porfirio tava uno scrittore ispirato, al quale tributare un culto. Dopo
aveva obiettato: perché preferire i barbari? La ragione, secondo Platone si era avuto un periodo di latenza; molti erano entrati
Giamblico, era «mistica»: nel santuario della sua filosofia senza comprenderla, finché la
luce era tornata a risplendere a opera di alcuni esegeti, simili
poiché gli dèi ci hanno rivelato che l’intera lingua dei popoli sacri è alla loro guida, come Plotino, Porfirio, Giamblico e il maestro
confacente al sacro, riteniamo di doverci rivolgere agli dèi nella lingua stesso di Proclo, Siriano, che lo aveva introdotto non solo alla
che è congenere ad essi e, poiché questo tipo di lingua è primo e più filosofia di Platone, ma anche a dottrine venerande e segrete,
antico, conserviamo immutato fin qui il thesmón della tradizioneSi*57. come l’antica teologia caldaica e la teurgia. La dottrina platonica
era un itinerario di purificazione e di ascesa ed era dunque un
Si trattava ormai di competere con messaggi religiosi che si patrimonio da conservare e lasciare intatto ai posteri. Il filosofo
appellavano a rivelazioni e tradizioni divine. Come la filosofia esegeta era il garante della continuità della catena rivelativa58.
da sola non bastava più, ma occorreva legarla alla teurgia, ossia La filosofia di Proclo fu un estremo tentativo di riaffermare
a tecniche di rapporto diretto con la divinità, così la tradizione il monopolio sulla tradizione platonica anche nei confronti di
non era più platonica in prima istanza, come in Plotino, ma di­ un cristianesimo che da tempo procedeva ad assimilare aspetti
vina. Contro l’Oriente barbaro di ebrei e soprattutto di cristiani del platonismo proprio in chiave teologica. Essere platonici
occorreva mobilitare un altro Oriente ancora più antico, l’Egitto senza essere cristiani diventava sempre più il rifugio di un’esigua
e il mondo degli oracoli caldaici, carichi di messaggi divini. minoranza che, nonostante la breve opposizione dell’imperatore
Ad Atene la filosofia si sarebbe estinta nel chiuso di una Giuliano, era destinata a soccombere di fronte al dilagare di
scuola all’insegna di questo Oriente e, insieme, di un Platone un nuovo radicale modo di vita. Contro i barbari cristiani che
teologo. Riprendendo lo schema di Sozione, Proclo ravvisava insistevano con forza sull’unità della verità, loro monopolio,
nel filone ionico l’interesse per la fisica e in quello italico lo Giuliano aveva tentato anche sul piano teorico di ritrovare
studio delle entità intellegibili, ma al di sopra di essi collocava la l’unità di una tradizione filosofica. Alla filosofia si arriva per
scuola attica, come correzione del primo e sviluppo del secondo. molte strade, ma nel suo nucleo essa è unica, secondo Giulia­
Il Parmenide di Platone era letto come la rappresentazione sul no, imperniata sul precetto delfico del «conosci te stesso» e
vivo di questa sequenza. Per Proclo, infatti, il Parmenide non quindi dell’assimilazione a Dio. Molti indirizzi filosofici erano
era un esercizio dialettico puramente propedeutico, come aveva riconducibili a questo nucleo, non solo Pitagora e Platone, ma
ritenuto un esegeta di Platone quale Albino, ma era il culmine anche Eraclito, Aristotele, Teofrasto e gli stoici. L’archegeta
della teologia platonica, come il Timeo lo era della fisica. La di questa filosofia comune era il dio di Delfi, Apollo. Nella
teologia di Platone si collocava al termine di un’aurea catena loro radice, dunque, tradizione filosofica e tradizione religiosa
rivelativa, che partiva dagli dèi stessi, passava per l’orfismo e il facevano tutt’uno. Era stato un arbitrio l’aver voluto separare
200 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 201

con un muro i filosofi che erano stati uniti dall’mw per la verità era visto come prova della distruzione reciproca delle dottrine
e la virtù. Gli unici che a buon diritto potevano essere tenuti filosofiche. A questa tradizione filosofica, frantumata e discorde,
fuori da questa schiera erano ancora una volta gli epicurei e poteva essere agevolmente contrapposta la tradizione unanime
gli scettici, ma grazie agli dèi, scriveva Giuliano, la maggior e concorde delle Scritture, dei profeti e degli apostoli61. Anche
parte dei loro scritti era ormai scomparsa. Il vero pericolo nel in questi contesti la tradizione filosofica diventava un oggetto
seno stesso della filosofia veniva invece dai nuovi cinici, come unitario, ma in negativo: era l’unità dell’errore, smascherata
Enomao, vissuto poco prima di Porfirio, il quale era arrivato dalla presenza dei dissensi. E significativo che Ireneo di Lione
al punto di criticare gli oracoli e quindi lo stesso dio di Delfi. già nella seconda metà del II secolo e lo stesso Tertulliano e
Ma in tal modo egli aveva rotto la solidarietà all’interno della poi Ippolito imputassero alle eresie, soprattutto gnostiche, la
vera filosofia, rifiutando quella comune matrice apollinea, che filiazione dalle hairéseis della filosofia pagana e non dall’au­
era stata essenziale non solo per Socrate e Platone, ma anche tentica tradizione cristiana62. Non a caso, si diceva, in una di
per Diogene cinico. Ai nuovi cinici, ma anche ovviamente ai queste sette eretiche, i carpocraziani, l’immagine di Cristo era
barbari cristiani e ai monaci misantropi, Giuliano opponeva venerata con quelle di Pitagora, Platone, Aristotele. Il termine
Pitagora, Platone, gli antichi cinici, Aristotele e gli stoici che stesso di eresia, hdiresis, era evidentemente ripreso dal lessico
avevano scelto gli dèi come guide59. con cui la tradizione filosofica aveva contrassegnato la scelta
di un indirizzo filosofico, e tale termine aveva trovato applica­
zione anche in ambito medico per designare le varie correnti.
8. Usi cristiani del passato filosofico Ma è significativo che ora, in ambito cristiano, assumesse una
valenza integralmente negativa come segno di abbandono della
Anche nel voler legare la filosofia con la tradizione reli­ via regia della verità. Il platonico Celso, nel suo Discorso vero,
giosa pagana il tentativo di Giuliano fu fallimentare. Infatti, diretto contro i cristiani, faceva propria l’idea diffusa dell’unità
distinguendo il btos filosofico dalie dottrine filosofiche, i Padri della sapienza, anche barbara, che accomunava i popoli che
cristiani posero le basi per la costruzione di nuove immagini potevano vivere pacificamente entro l’impero; erano invece
anche della tradizione filosofica. L’irrisione e la negazione degli gli ebrei e i cristiani ad assumere una posizione esclusivistica,
dèi e degli oracoli, che i cristiani trovavano in alcuni atteg­ ritenendo unico Dio il loro. Ciò costituiva una minaccia per
giamenti di Socrate e naturalmente in Epicuro e in atei come l’unità dell’impero, fondato sulla coesistenza di una pluralità di
Diagora, Teodoro o Evemero, si trasformarono nelle loro mani religioni e culti. Per i cristiani, invece, il pluralimo e anche la
in strumenti da mobilitare contro le stesse credenze religiose diaphonia intercorrente tra i filosofi antichi non potevano avere
pagane. Il senso di questo riferimento agli atei pagani è ben che una valenza negativa di fronte all’unità della verità.
espresso da Clemente Alessandrino quando afferma che essi, Ben presto, però, cristiani particolarmente sensibili alla ri­
se non avevano conosciuto la verità, avevano almeno sospettato flessione filosofica e bisognosi di rivolgersi anche agli strati colti
l’errore che circonda gli dèi pagani: ciò poneva un germe che della società avvertirono coincidenze dottrinali tra il messaggio
poteva condurre alla verità60. Si trattava però di uno strumento biblico e cristiano e alcuni segmenti della filosofia pagana.
a doppio taglio, che poteva teoricamente essere rivolto anche Com’era possibile spiegare queste coincidenze? In alcuni settori
contro le credenze cristiane. La soluzione più facile e meno della cultura cristiana d’Occidente la concezione della verità
rischiosa era considerare la filosofia pagana come un cumulo di come blocco unitario e compatto portava a rifiutare domande
errori. Era stato questo un primo atteggiamento, per esempio del genere e ad affermare la radicale alterità fra cristianesimo
in Taziano o Teofilo di Antiochia e, in parte, nello stesso Ter­ e filosofia. Ireneo formulava questo punto di vista nel modo
tulliano. Utilizzando schemi dossografici di matrice scettica era più chiaro e semplice: i filosofi o hanno o non hanno conosciuto
facile mostrare l’esistenza di dissensi tra i filosofi sulla divinità, la verità; se non l’hanno conosciuta, allora la filosofia è falsa;
sull’anima, sul bene e così via. Questo dissenso, la diaphonia, ma se l’avessero conosciuta, a che servirebbero l’incarnazione
202 I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 203

e la rivelazione di Cristo? A far conoscere la verità a chi già schema dicotomico, nel quale la linea di demarcazione passava
la conosce?63 Il presupposto forte in questa prospettiva è che tra quanto contiene verità parziali, ed è quindi integrabile nel
la verità sia un blocco compatto, non suscettibile di essere cristianesimo, diventandone proprietà, e quanto non contiene
diviso in parti, e sia dunque contenuta integralmente solo verità, come ancora una volta è il caso dell’epicureismo65. In
nella rivelazione. La tradizione filosofica non poteva allora non tal modo, riducendo la tradizione filosofica a una serie di
apparire esterna alla rivelazione e alla verità. Tuttavia, anche dottrine, si ponevano le premesse per la sottrazione progres­
in autori oltranzisti come Tertulliano, emergeva la constata­ siva alla vita filosofica di ogni possibile carica alternativa nei
zione di qualche somiglianza, ma essa era ricondotta al caso: confronti della vita cristiana.
anche nelle tempeste talvolta è possibile trovare per caso il Anche Clemente, come poi Origene, per spiegare i punti di
porto. Così era forse successo a Seneca, saepe noster, come lo convergenza di certe dottrine filosofiche con la dottrina cristiana,
chiamava Tertulliano. La spiegazione più comoda di queste ricorse alla teoria del plagio. Platone - dice Clemente —aveva
somiglianze era però fornita da un modello diffusionistico di avuto per maestri gli Egizi in geometria, i Babilonesi in astro­
trasmissione della verità, il quale avrebbe avuto fortuna sia in nomia, ma soltanto dagli Ebrei potevano essergli pervenute le
Oriente, sia in Occidente. I filosofi antecedenti alla rivelazione sue conoscenze teologiche. I filosofi elleni erano stati i «ladri»
cristiana avevano attinto direttamente alle Scritture, più anti­ della filosofia barbara, cioè ebraica, e quando non ne avevano
che di essi, ma per semplice curiosità. Essi non erano dunque compreso la dimensione allegorica, ne avevano dato rielabora­
riusciti a comprenderle, sostenevano Tertulliano e Minucio zioni erronee. Ciò significa che la scoperta filosofica della verità
Felice, e pertanto ne avevano sfigurato i contenuti autentici, era stata parziale, confusa e involontaria. Ma il plagio da solo
per esempio trasformando la resurrezione in metempsicosi64. non bastava a spiegare questa scoperta: sulla scia di Giustino,
La tradizione filosofica antecedente alla venuta di Cristo era anche Clemente sottolineava la presenza in tutti gli uomini di
stata una forma di plagio mal riuscito della tradizione biblica. una scintilla divina che li conduceva ad ammettere «magari
L’altra risposta a questo problema, formulata anch’essa già loro malgrado» un Dio unico66. Il vero motore della tradizione,
nel II secolo, era caratterizzata invece da una maggiore tolle­ anche di quella filosofica più vicina alla verità, si riconfermava
ranza nei confronti della filosofia greca. Qui il modello della Dio. L’appello al passato filosofico ellenico poteva allora diven­
trasmissione della verità non era quello diretto attraverso la tare un ingrediente importante anche del protrettico cristiano.
lettura delle Scritture o la comunicazione orale, ma si fondava Nel momento in cui il messaggio cristiano intendeva rivolgersi
sull’assunto che in ogni uomo sono presenti particelle o semi anche alle classi colte dell’impero, soprattutto in Oriente dove
della verità e del lògos divino. Questi semi, se non avevano la filosofia sembrava godere di maggior prestigio, il rifiuto
dato ai filosofi il possesso integrale della verità, avevano tutta­ totale della filosofia poteva innescare effetti di ripulsa verso il
via consentito loro di riconoscerla. Per Giustino i filosofi che cristianesimo. Se la salvezza è in Cristo - si poteva chiedere -
avevano sfiorato alcune verità prima dell’avvento di Cristo, qual era stata la sorte delle generazioni vissute prima di Cristo?
come Socrate e Platone, avevano appunto potuto farlo perché Non solo, ma Clemente sapeva che in certi ambienti cristiani
in essi era operante una parte del lògos. I dissensi interni alla circolava a volte l’idea che la filosofia fosse opera del demonio.
tradizione filosofica potevano allora essere imputati al fatto Era inoltre importante rispondere alla considerazione pagana,
che essa non era pervenuta a una conoscenza globale della secondo la quale è riprovevole abbandonare le credenze e le
verità, che soltanto la rivelazione aveva assicurato. Un perno usanze ricevute dai padri. Mostrare che all’interno dello stesso
del discorso di Giustino era la distinzione parte-tutto. Mentre paganesimo era esistita una tradizione filosofica «pre-cristiana»,
per Ireneo e Tertulliano la verità è un tutto non smembrabile la quale era arrivata a cogliere, anche se solo parzialmente e
in parti, secondo Giustino il lògos divino potè manifestarsi confusamente, quella verità che la rivelazione avrebbe fatto
e operare parzialmente già prima della venuta di Cristo. Ciò apparire nella sua pienezza, diventava un potente strumento
consentiva di organizzare la tradizione filosofica secondo uno esortativo. Il cristianesimo era agli antipodi del paganesimo,
204 I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO I FILOSOFI E L’USO DEL PASSATO 205

ma non era la negazione dell’intera tradizione filosofica, anzi possesso del cristiano: la verità proveniente da Dio e rivelata
era il compimento di quanto di meglio era comparso in essa. nelle Scritture. Ma allora la scelta non era più di una filosofia
Il passato filosofico poteva essere letto in chiave teleologica. piuttosto che di un’altra, cioè un puro e semplice scambio di
Come Platone aveva considerato le scienze matematiche pro­ prigione. Scelta e rifiuto avvenivano ora nei confronti non di
pedeutiche alla filosofia, così ora la filosofia in alcuni suoi un singolo orientamento filosofico nella sua globalità, ma di
segmenti poteva diventare propedeutica al cristianesimo, una singole dottrine secondo la loro compatibilità con il messaggio
sorta di «preparazione evangelica», per usare quello che sa­ cristiano. In tal modo Origene disarticolava la compattezza
rebbe stato il titolo di un’opera di Eusebio di Cesarea67. Ciò dei corpi dottrinali delle scuole filosofiche, eliminava la loro
consentiva in primo luogo di inserire la stessa filosofia greca richiesta di adesione totale e unilaterale e rendeva disponibili
nel quadro di una storia universale, anche se naturalmente in all’utilizzazione cristiana i resti di questa frantumazione: l’unica
posizione secondaria, e soprattutto di operare selezioni all’in­ vera diadoché derivava in realtà da Cristo68.
terno delle dottrine della tradizione filosofica, sottraendone il Il risultato più cospicuo raggiunto dai Padri cristiani nei
monopolio ai pagani. In tal modo potevano essere rimessi in confronti della tradizione filosofica è forse proprio in questa
circolo, entro un nuovo alveo essenzialmente teologico, molti frantumazione, che consentiva di attingere a piene mani nel
strumenti logici e linguistici elaborati in queste filosofie e temi passato filosofico e nei suoi apparati concettuali, ma senza
filosofici, soprattutto platonici, rendendoli accettabili, contro implicare in alcun modo l’adesione a una scuola filosofica
le frange più intransigenti che avrebbero voluto porre uno iato nella sua globalità, neppure al platonismo. Proprio il platoni­
incolmabile fra cristianesimo e filosofia. smo —anche dopo l’epifania di Cristo —aveva continuato la
L’uso pedagogico della tradizione filosofica è particolar­ sua strada, e gli stessi cristiani colti erano sempre più disposti
mente evidente nella descrizione da parte di Gregorio il Tau­ a riconoscere in esso la punta più avanzata raggiunta dalla
maturgo dell’attività di insegnamento del suo maestro Origene. filosofia pagana. Conosciamo la predilezione che Agostino
Questa comprendeva anche la lettura e lo studio di testi della avrebbe riservato al platonismo di Plotino e soprattutto di
tradizione filosofica greca, a eccezione degli epicurei, che per Porfirio. L’aiuto divino e gli ostacoli umani erano presenti in
Origene non erano veri filosofi, come gli gnostici non erano diversa misura nelle varie filosofie, ma i platonici —sosteneva
veri cristiani. Qual era lo scopo di questo studio? Secondo Agostino - erano i più vicini ai cristiani e i più lontani dalla
Origene la tradizione filosofica era un insieme di hairéseis che religione pagana, che è opera di dèmoni. Con i platonici pote­
si escludevano mutuamente e pertanto richiedevano ognuna vano dunque intercorrere rapporti, con gli dèi pagani no. Ma
un’adesione totale. Ogni scuola, una volta catturato un indi­ la pratica dei culti pagani e il rifiuto di attribuire ai corpi una
viduo, lo imprigionava come in una palude o in una foresta forma di immaterialità e quindi la possibilità di risorgere nel
senza vie d uscita o in un labirinto, escludendo ogni forma di giudizio finale rendevano lontani anche i platonici, anch’essi
conversione a un’altra scuola. Ma come si diventa filosofi, ossia bisognosi di quel supplemento d’anima, che solo la rivelazione
qual è il criterio per scegliere una hàiresis piuttosto che un’al­ e la vita cristiana potevano assicurare69.
tra? In realtà 1 unico criterio era il caso. Ognuno aderiva alle
dottrine in cui si era imbattuto la prima volta. Non era dunque
una vera scelta, né il criterio per una vera scelta avrebbe potuto
essere acquisito in seguito attraverso la permanenza in quella Note al capitolo quarto
scuola. Proprio per evitare di rimanere imprigionati in un unico
indirizzo filosofico, Origene richiedeva la lettura preliminare 1 Senofane ir. 10-12; Eraclito fr. 40, 42, 56, 57; cfr. anche Gorgia,
di tutti i filosofi, senza obbligare a un assenso o a un rifiuto Elena 13.
immediato. Questi diventavano possibili nel momento in cui 2 Cfr. fr. 6.
entrava in azione il criterio che mancava ai filosofi, ma era in 3 Senofonte, Memorabili I, 6, 14; IV, 2, 2.
206 I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO 207

4 Isocrate, Eletta 3; Lo scambio degli averi 268. 21 Aristotele, Topici I 14 e 18. Sesto Empirico, Contro i dogmatici VII

5 Su Melisso, Senofane e Gorgia 5, 979 e 14 ss. 16, fa risalire a Platone la tripartizione della filosofia, mentre per altri
6 Platone, Teeteto 179 d ss.; Sofista 242 c ss., 245 e ss. e, per le soluzioni risalirebbe a Senocrate.
platoniche, 247 d-e, 249 c-d. 22 Diogene Laerzio VII 40-41; cfr. anche Seneca, Epistole a Lucilio 89,
9-13. Per la tripartizione epicurea cfr. Diogene Laerzio X 29.
7 Aristotele, Etica Nicomachea VI 7,1141 b 1-8; cfr. anche Etica Eudemia
14, 1215 b 5-14; 15, 1216 a 11-16. 23 Sesto Empirico, Contro i dogmatici VII 5-15.
8 Oltre al primo libro deha Metafisica, cfr. anche Metafisica X I I 8 (nonché 24 Cfr. Diogene Laerzio I 18-19; Luciano, Ermotimo 10 (che però
Sulla filosofia fr. 8, che ha indotto ad attribuire ad Aristotele la concezio­ nella Vendita di vite 2-27 include anche pitagorici, Abdera ed Efeso,
ne di cicli cosmici che coinvolgerebbero anche il perire e rinascere della cioè Democrito ed Eraclito). Potamone di Alessandria introdusse anche,
filosofia); XIII 4 e Topici I 11, 104 b 19-24. Per la necessità di esaminare verso il I secolo a.C., una hàiresis eclettica, che selezionava dottrine da
gli éndoxa, le opinioni reputate dei predecessori, cfr. anche Topici I 14, varie filosofie (Diogene Laerzio 121). Fondandosi su schemi elaborati
105 b 12 ss.; Etica Nicomachea I 8, VI 11, X 2. da Cameade, Varrone avrebbe intersecato i vari tipi di fine, perseguibili
9 Cfr. Topici V ili 5, 159 b 27-35. nella condotta, con i tre tipi di vita e avrebbe individuato ben 288 indi­
rizzi possibili, anche se non necessariamente esistenti (cfr. Agostino, La
10 Cfr. Aristosseno fr. 51-60 Wehrli (per la vita di Socrate), fr. 61-68 città di Dio X IX 1-2).
(per quella di Platone), fr. 16-32 (su Pitagora e la vita pitagorica) e fr.
47-50 (sulla vita di Archita). Per i rapporti tra Pitagora e l’Egitto cfr. già 25 Cfr. Diogene Laerzio 1 16-17,1 20, VI 103, IX 69-70; Sesto Empirico,
Erodoto II 123, IV 81 e Isocrate, Busiride 27-19. Per Eraclide Pontico cfr. Lineamenti pirroniani 17.
1 fr. 77, 79, 83 Wehrli e per Dicearco il fr. 30 Wehrli. 26 Cfr. Diogene Laerzio II 120, VI 85, VII 2, VII 4, VII 25. Per la
Lattanzio, Istituzioni divine III 15, 15-19. Per Epicuro cfr. Diogene continuità cinici-stoici cfr. invece ibidem 1 13-15. Sarebbe stato soprattutto
Laerzio X 3-6 e la difesa di Diogene in X 9. Panezio di Rodi a cercare di depurare lo stoicismo da elementi cinici.
Su Zenone cfr. Diogene Laerzio VII 2-3. Cleante scrisse su Eraclito, 27 Diogene Laerzio V ili 81, IX 5, IX 20.
come anche il suo discepolo Siero (ibidem VII 174 e 178). Per Crisippo 28 Cfr. Diogene Laerzio I 13-15, IV 67.
cfr. ibidem X 26-27, nonché Plutarco, Sulle nozioni comuni contro gli stoici 29 Diogene Laerzio 11-7. Per Epicuro cfr. Diogene Laerzio X 1 1 7 e il
2 p. 1059 E e Le contraddizioni degli stoici 14-16, 24. fr. 143 Arrighetti e cfr. Filodemo, Sugli dèi III col. 14, 6 ss. (con la critica
13 Cfr. Epicuro fr. 127 Arrighetti e anche il fr. 16, nonché Diogene di Sesto in Contro i dogmatici IX 178-179).
Laerzio X 26. 30 Cicerone, Repubblica III 7 e 14; I termini estremi del bene e del male
14 Diogene Laerzio X 13; Epicuro fr. 101-104 Arrighetti e Sesto Empi­ V 6 e 54; Tusculane I 1-3, I 89, IV 2-5.
rico, Contro i dogmatici 12-3. 31 Cicerone, I termini estremi del bene e del male II 67 e 116; Tusculane
15 Sulla teoria della memoria cfr. Epicuro, Epistola a Erodoto 35-36, III 48. Cfr. anche Plutarco, Sulle nozioni comuni contro gli stoici 1 p. 1059
82-83 ed Epistola a Pitocle 84-85. Per Lucrezio cfr. La natura delle cose I AB; Non si può vivere felicemente seguendo Epicuro 15 p. 1097 C.
62-79, III 1-16, V 8-55. 32 Cfr. Seneca, Epistole a Lucilio 95, 72; 98, 17; 104, 27 ss.; Sulla vita
16 Cfr. per esempio Diogene Laerzio X 24-25; Polistrato, Sul disprezzo beata XXI, 1 ss., ecc.
irrazionale 4; Lucrezio, La natura delle cose I 635 ss., 712 ss., 830 ss., 33 Seneca, Sulla brevità della vita XIII 2; XIV 1-2; Sulla tranquillità
nonché III 370-373 ecc.; Diogene di Enoanda fr. 5-6. Per Colette cfr. lo dell’animo IX 4-5; Epistole a Lucilio 6, 5-7; 24, 6-8; 88.
scritto di Plutarco, Contro Colote.
34 Seneca, Epistole a Lucilio 2; 12,11; 16,7; 21, 9; Sulla vita beata X III4-5.
17 Cfr. Cicerone, Varrone 44 e Cuculio 14; Plutarco, Contro Colote 26 Anche Marco Aurelio non esiterà a riferirsi ad Epicuro (cfr. VII 64).
pp. 1121 F - 1122 A.
35 Seneca, Epistole a Lucilio 33, 4-11; 45; 64, 7-10.
18 Sesto Empirico, Lineamenti pirroniani I 209-233. Cfr. anche Con­
tro i dogmatici VII 48-88 sugli autori che hanno soppresso il criterio 36 Epitteto, Diatribe I, 4, 6-7; I, 17, 18; II, 9, 20-21; II, 17, 33-34; II, 18,
di verità (ma su Eraclito e Democrito cfr. VII 110 ss.). L’esistenza di 15-18; II, 19, 1 ss. Sul suo atteggiamento verso l’epicureismo cfr. ibidem 1,
un dissenso sul dogmatismo o meno di Platone è attestata in Diogene 5, 3; ί 27; II 20; III 7 e, sul nuovo cinismo, III 22 e IV 8.
Laerzio III 51-52. 37 Diogene Laerzio III 66.
19 Sesto Empirico, Contro i dogmatici VII 262, V ili 14, V ili 55 ss., 38 Galeno, Le facoltà dell’anima seguono i temperamenti dei corpi 11 =
IX 3. IV 819-820 K.
20 Luciano, Ermotimo 47 (cfr. anche 29,34, 45); Sesto Empirico, Contro 39 Cfr. Cicerone, Varrone 13, 17, 22, 33-38, 43-46; Lucullo 15 e 69; ì
i dogmatici VII 317-328. termini estremi del bene e del male V 7. Cfr. anche Plutarco, Non si può
208 I FILOSOFI E L'USO D EL PASSATO I FILOSOFI E L'USO DEL PASSATO 209

vivere felicemente seguendo Epicuro 14 p. 1115 A; Sesto Empirico, Linea­ 61 Cfr. per esempio Taziano, Contro i Greci II-III, XXV; Teofilo, Contro
menti pirroniani I 220. Autolico I, IV; II, II-III; Tertulliano, Apologetico XXI 10; XXII 1-2; XXIV
40 Cicerone, Lucullo 16; I termini estremi del bene e del male III 41 e V 3; XLVI 6 ss.; Sull’anima I 5; Ermia, Irrisione dei filosofi pagani II 2-3 e
74 (sugli stoici come ladri della filosofia peripatetica); Tusculane V 34. ancora Teodoreto di Cirro, Terapia dei morbi pagani II 8 ss., IV 5 ss., V
9 ss., V 44-45 ecc.
41 Per questo tema del «sovvertimento» cfr. Cicerone, Lucullo 14-15, 72
e 75; Plutarco, Sulle nozioni comuni contro gli stoici 1 p. 1059 AB. 62 Cfr. per esempio Ireneo di Lione, Contro le eresie II, 14, 2; III, 25,
5; Tertulliano, Apologetico XLVII 9; La prescrizione degli eretici VII 3-8 e
42 Cfr. Plutarco, Non si può vivere felicemente seguendo Epicuro 14 p. naturalmente Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, dove il pensiero di più
1115 A ss.; Sulle nozioni comuni contro gli stoici 1 p. 1059 AD. Per Attico filosofi, inclusi bramani e druidi, è presentato come matrice di eresie.
cfr. il fr. 2 Des Places.
63 Ireneo, Contro le eresie II, 14, 7.
43 Cfr. Agostino, Contro gli Accademici III 38; Sesto Empirico, Linea­
menti pirroniani I 232-234; Eusebio di Cesarea, Preparazione evangelica 64 Tertulliano, Sull’anima II 1-4; X X 1; Apologetico XLVII 1-9. Cfr.
XIV, 6, 5. anche Minucio Felice, Ottavio XIX-XX, XXXIV.
44 Agostino, Contro gli Accademici III 41-42. 65 Giustino, Seconda Apologia 8, 10, 12-13; Dialogo col giudeo Trifone
II 2.
45 Cfr. Numenio fr. 24-28 Des Places.
66 Clemente, Protrettico VI 68; Stromati I 19. Cfr. anche Origene, Com­
46 Numenio fr. 8 e anche fr. 1 Des Places. Cfr. anche fr. 52 per l’accordo mento al Vangelo di Giovanni II, 4, 40. Il tema del plagio ritorna frequen­
fra Platone e Pitagora sui concetti di Dio e di materia. temente: cfr. per esempio Clemente, Protrettico VI 70; Pedagogo I, 67, 1;
47 Filone, Sulla coltivazione delle piante 26; Sull’eternità del mondo 19; II, 18, 2; II, 89, 2; II, 90, 4 ecc.; Stromati II, 1, 1; V, 10, 1-3; Origene, Sui
Sulla creazione del mondo 8 e 128; Chi sia l’erede delle cose divine 214 ecc! principi III 6; Contro Celso IV 39, VI 7, VI 43, VII 28, VII 50 ecc.
Origene, Contro Celso I 15, avrebbe ricondotto a Ermippo la tesi della 67 Cfr. Clemente, Protrettico X 98; Stromati 1 5 ,1 19-20.
derivazione della filosofia dagli Ebrei.
68 Gregorio il Taumaturgo, Discorso in lode e ringraziamento ad Orige­
48 Plotino, Enneadi II, 1, 28; IV, 1, 51. Sull’epicureismo ibidem II, 9, ne, soprattutto 133, 151-154, 158-173. Cfr. anche Origene, Contro Celso
140-142. I 10, V 61.
49 Porfirio, Vita di Plotino 2, 37-42; 14, 10-14. Per la dichiarazione 69 Agostino, La città di Dio II 7 e 14-15; V ili 5-12; XI 21; XIII 17;
plotiniana di voler essere platonico cfr. Enneadi V, 3, 34. XXII 25-27. Cfr. anche Sull’ordine I 32.
50 Enneadi HI, 4, 18; III, 5, 44; IV, 2, 165-167; IV, 3, 36-37; IV, 4, 100;
IV, 8, 5-8. Per la polemica antignostica ibidem II, 9, 42-54.
51 Ibidem V, 1, 47; VI, 2, 1-4; VI, 3, 1.
52 Eunapio, Vite dei filosofi e dei sofisti p. 456.
53 Enneadi V, 1, 48-50 e 54; cfr. anche II, 4, 20-23; III 1 8-12- IV
8 ,3 . ’ ’
54 Porfirio, Vita di Plotino 3, 15-24.
55 Corpus Hermeticum XVI 1-2. Cfr. Plotino, Enneadi V, 8, 38-39.
56 Giamblico, Vita pitagorica 1 , 8, 12, 17-19; I misteri di Egitto I 1 .
57 Giamblico, I misteri di Egitto VII 4-5.
58 Proclo, Teologia platonica I 1, I 4 , 1 18, II 4, III 9, IV 24, IV 32. Cfr.
anche Marino, Proclo o sulla felicità 22 e 26. Per lo schema ionici-italici
cfr. Proclo, Commento al Parmenide I 122, II 20. In Agostino, La città di
Dio V ili 2-4, Platone appare come sintesi di Socrate (etica) e Pitagora
(contemplazione).
59 Cfr. soprattutto Giuliano, Contro i cinici ignoranti e le lettere 89 b
89 d (300 d-301 a, 301 c).
60 Clemente, Protrettico I I 24 ss. Nel Pedagogo egli cita più volte Epicuro
e una sola (III, 37, 2) per criticarlo. Cfr. anche Tertulliano, Apologetico
XIV 7-9; Origene, Contro Celso VII 3, Vili 45.
Conclusione

Filosofo antico e filosofi moderni

1. La filosofia e il filosofo

È opinione diffusa, anche fuori della cerchia ristretta dei


filosofi, che la filosofia abbia origini greche e parli greco e sia
quindi, come si suol dire, radice e archetipo anche della filosofia
e della scienza occidentale moderna. Per alcuni filosofi è anzi
proprio la filosofia nelle sue origini greche ad aver segnato il
destino dell’Occidente, generando quella che Heidegger ha
chiamato epoca della metafisica, culminata nel dominio plane­
tario della tecnica1. Resta un fatto che la riflessione filosofica,
anche dopo il suo rigoglio greco, si è sempre, in misura più
o meno grande, alimentata del lessico, dei concetti, dei pro­
blemi e delle argomentazioni elaborate in Grecia, attraverso
selezioni di autori, correnti, epoche. Naturalmente tentativi di
interrompere questa continuità e legame privilegiato sono stati
intrapresi, per esempio da Francesco Bacone o da Cartesio e
Malebranche o da neopositivisti come Hans Reichenbach o
dallo stesso Wittgenstein quando - nelle Ricerche filosofiche,
pubblicate postume nel 1953 - interpreta l’attività filosofica
come terapia dalle malattie linguistiche generate dalla tradizione
filosofica stessa e quindi come processo di liberazione da essa,
grazie a un’analisi del linguaggio impiegato dai filosofi, che ne
mostri le sgrammaticature, le quali generano problemi inconsi­
stenti. Le discussioni su continuità o discontinuità tra filosofia
moderna e filosofia greca riguardano generalmente contenuti,
temi, problemi, argomentazioni e modi di argomentare e quindi
la filosofia come tipo peculiare di attività di pensiero. Popper,
come si sa, ravvisa nella Grecia dei presocratici la matrice della
tradizione della discussione critica, articolata in congetture e
confutazioni, la quale sorregge l’impresa scientifica. Tenuto
conto di tutto ciò ha una sua plausibilità l’asserzione di Ber-
212 FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI 213

nard Williams, secondo cui «thè Legacy of Greece to Western di esaminare argomenti e teorie ed esercita determinati modi
Philosophy is Western Philosophy»2. del lavoro intellettuale, e persista invece nel linguaggio co­
Jonathan Swift immaginò che a Glubbdubdrib Aristotele mune e nell’immagine popolare come equivalente di filosofo
sarebbe uscito fuori dai gangheri al sentire esporre quanto gli tout court.
avevano fatto dire Duns Scoto e Pietro Ramo. Quello che per Il cristianesimo segna irrimediabilmente la fine del primato
Duns Scoto era un legame di continuità, ad Aristotele sareb­ della vita filosofica, sostituita da ben altro tipo di vita, la vita
be apparso una distorsione. Che cosa legittima la pretesa di cristiana all’insegna di un nuovo maestro, Cristo, Dio stesso,
presentarsi eredi e continuatori dei filosofi antichi, operando che insegna agli uomini attraverso un libro scritto per essi, la
selezioni all’interno della loro opera? Probabilmente questa Bibbia. Di fronte a ciò la scelta di una delle tre vite tradizio­
procedura ha assunto l’aspetto della naturalità dopo che, come nali - attiva, contemplativa o mista - perde di drammaticità e
si è visto, soprattutto per l’influenza decisiva dei Padri cristiani, rilevanza: ognuno, salva fide, può scegliere il modo di vita che
si è imposto come legittimo il criterio di distinguere ciò che è preferisce, ma è chiaro che esso, quale che sia, si incardina o
vero e ciò che è falso nelle dottrine dei filosofi pagani. Questo si deve incardinare nel quadro della vita cristiana. Certo, nel
criterio potè farsi valere con forza, grazie alla disarticolazione, tardo Duecento, la lettura dell 'Etica Nicomachea di Aristotele,
operata dai Padri, tra filosofo e filosofia. Ma, come si è tentato in particolare del libro X, condusse Sigieri di Brabante e
di mostrare in questo libro, nel mondo antico la filosofia non Boezio di Dacia, maestri nella Facoltà delle Arti dell’Università
fu mai soltanto un corpo impersonale di dottrine, ma in primo di Parigi, ad attribuire alla parola filosofo non il significato
luogo una forma di vita che pretendeva di avere una posizione generico di semplice amante della sapienza, ma quello di colui
di primato rispetto a tutti gli altri modi di vita e della quale che pratica la vita teoretica e, in quanto filosofo, è anche mo­
argomentazioni e dottrine erano parte integrante. Oggi è ge­ ralmente buono. La figura del maestro della Facoltà delle Arti
neralmente considerata irrilevante la vita privata e pubblica sembrava incarnare questo tipo di vita, superiore a ogni altro,
di un filosofo: la cosa importante è ciò che egli dice, insegna, caratterizzato anche dal possesso di una cultura enciclopedica
soprattutto ciò che egli scrive. Il presupposto è che la filosofia e di tecniche argomentative, ignote ai più, nonché da precisi
ha la sua consistenza reale fuori del soggetto empirico portatore consigli dietetici. Il termine filosofia diventava contrassegno
di essa. Che questo presupposto non sia neppure oggi ovvio di una corporazione, che in qualche modo richiamava quella
lo mostrano le interminabili discussioni suscitate, per esempio, delle scuole filosofiche antiche, anche per l’accentuazione
dall’adesione di Heidegger al nazismo: si tratta dell’esito più del carattere elitario della vita teoretica. Nel suo scritto Sul
o meno necessario dei contenuti della sua filosofia oppure è sommo bene Boezio vedeva in essa la realizzazione piena del
un episodio puramente biografico, totalmente irrilevante per desiderio di conoscenza, dalla quale scaturisce una voluptas
la valutazione del suo pensiero? Ma per gli antichi il filosofo intellectualis, la massima beatitudine raggiungibile in terra. Si
era una figura riconoscibile non soltanto per ciò che diceva capisce come il vescovo di Parigi Tempier potesse condannare
o scriveva e per come lo diceva o scriveva, ma anche per ciò nel 1277 la tesi secondo cui non c’è stato più eccellente del
che faceva, per come conduceva la propria vita, addirittura dedicarsi alla filosofia, quasi la filosofia fosse condizione suf­
per i modi di alimentarsi o abbigliarsi. Un residuo di questa ficiente per acquisire la felicità eterna. Ma è difficile pensare
concezione si può ritrovare nell’uso del termine filosofo per che Boezio e i suoi colleghi maestri delle arti intendessero
indicare - con una chiara ripresa dell’immagine del sapiente presentare la vita teoretica come alternativa alla vita cristiana e
stoico - l’individuo impavido al suo posto di fronte agli assalti non piuttosto come compimento di essa anche dopo l’avvento
della sorte, capace di resistere a malattie, dolori o passioni. del cristianesimo, ma senza soppiantare il cristianesimo stesso.
Non è un caso che questa immagine stoica sia tendenzialmente La condanna del vescovo mirava soprattutto a riconfermare
scomparsa negli usi «colti» della parola filosofo, identificato la supremazia dei teologi rispetto ai filosofi maestri delle arti
piuttosto con colui che produce dottrine o pensieri, è capace e criticare in maniera radicale la posizione elitaria rivendicata
214 FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI 215

da questi ultimi3. Non credo quindi che questa ripresa della della religione e, quindi, della vita cristiana, diventa inevitabile
tesi del primato della vita filosofica, pur costituendo una svolta la sua condanna, come ancora avviene nella non infrequente
importante, significasse un semplice ritorno alla posizione degli considerazione settecentesca del pirronismo come forma di irre­
antichi nella sua integralità. Così una saldatura tra filosofia ligiosità. Per altro verso, lo scetticismo può diventare un efficace
e forma di vita si può rinvenire in figure come Petrarca o strumento per la costruzione di epistemologie non ingenue o
Erasmo, secondo un modulo che si poteva trovare praticato di dottrine della tolleranza, in opposizione al dogmatismo di
in Cicerone o in Agostino, soprattutto l’Agostino delle Con­ cattolici e protestanti: figura emblematica è in questo senso
fessioni, ma naturalmente anche qui senza alcuna scissione Pierre Bayle. Gli usi moderni dello scetticismo, da Cartesio a
con la vita cristiana. Occorre inoltre tener conto di un punto Hume, sono segnati da una dicotomia tra dimensione episte­
che emerge chiaramente con Montaigne, che, sul modello di mologica e condotta di vita. Per Cartesio solo sul piano della
Seneca, esercita anch’egli la filosofia come riflessione personale contemplatio veritatis ha senso il dubbio, mentre nella vita ci
e non certo come insegnamento. Montaigne abbandona però la si adegua alle credenze del senso comune, assumendo, almeno
nozione di esempio, come caso particolare di un atteggiamento in via provvisoria in mancanza di certezze, un atteggiamento
generale e quindi come modello suscettibile di imitazione, e di conformismo e moderazione5. Ma per lo scettico antico dal
questo vale anche per i filosofi antichi, ai quali pure tributa suo lavoro teorico scaturiva necessariamente, come l’ombra che
grande ammirazione. Gli eventi, per quanto simili, sono anche segue il corpo, l’assenza di turbamento. Ciò significa che gli
sempre dissimili. Scrive Montaigne: effetti finali della scepsi riguardavano pur sempre la vita. Per
un momento, fuori delle scuole, in personaggi come Montaigne
le mie azioni sono regolate e conformi a ciò che io sono e alla mia o Charron, il richiamo allo scetticismo antico, echeggiato nel
condizione. Non posso fare meglio [...] io immagino infinite nature «Que sais-je?» di Montaigne, era rimasto legato al problema
più alte e più regolate della mia e tuttavia non miglioro le mie facoltà, del raggiungimento della saggezza, alla costruzione di una vita
come né il mio braccio né il mio spirito diventano più vigorosi per il confacente a un gentiluomo. Ma è da sottolineare un altro fatto,
fatto di concepirne un altro che lo sia4. non sempre rilevato dagli studiosi dello scetticismo moderno, e
cioè che lo spazio di questo tipo di scettico moderno è costituito
Ciò significa che il modo di vita esemplificato, anche se fondamentalmente dall’interiorità, sicché ne scaturisce come
in modi diversi, dai filosofi antichi non si configura più come corollario il conformismo esteriore, che in certi casi conduce
modello riproducibile o imitabile, si spoglia di ogni dimensione alla simulazione, lungo una linea che porta al pensiero dei
normativa o prescrittiva. Si potrebbe dire che ciascuno in certo libertini. E la simulazione ha il suo termine di riferimento nelle
modo è modello a se stesso. Del resto l’uomo, ciascun uomo, credenze religiose: ancora una volta anche tra lo scetticismo
per Montaigne, non è che passage. antico e le sue riprese moderne si colloca la cesura generata
Un esito interessante della disarticolazione della filosofia dal cristianesimo. Infatti la dicotomia esterno-interno è estranea
dal filosofo è dato dalle utilizzazioni cristiane dello scetticismo agli scettici antichi, mentre, come si è visto, è presente negli
antico. Paradossalmente una filosofia della distruzione delle stoici dell’età imperiale romana. Qui, in un’epoca di tirannide
filosofie dogmatiche diventa un prezioso alleato nelle mani dei politica, la vera libertà era rintracciata all’interno di se stessi,
cristiani, dei primi Padri e poi nel X II secolo in Giovanni di ma non era collegata a un uso critico della ragione finalizzato
Salisbury e nella cultura europea tra Cinquecento e Settecento. alla liberazione dai pregiudizi filosofici. Quest’ultimo motivo
Lo scetticismo, infatti, non soltanto non pretende di possedere è presente negli scettici antichi, ma non il primo. Significati­
o acquisire conoscenze, ma riduce o elimina le pretese filo­ vamente in età moderna vengono unificati due motivi, prove­
sofiche e scientifiche di voler conoscere anche ciò che non è nienti da filoni antichi, non solo indipendenti, ma alternativi,
lecito e di pervenire a verità incompatibili con la rivelazione. come lo scetticismo e lo stoicismo. Anche in questo caso ci
Quando però lo scetticismo intende invadere anche il terreno troviamo in presenza di trasformazioni moderne, nelle quali,
216 FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI 217

in un’epoca di dispotismo non solo politico, ma soprattutto in un «mondo di forzata uniformità», la filosofia rimane «un
religioso, vengono congiunte la dimensione epistemologica e bottino di caccia fortuito» e, quindi, «nessuno osa realizzare
critica, ripresa dallo scetticismo antico, e un modello di saggio personalmente quanto è comandato dalla filosofia»8. Non è un
elaborato dallo stoicismo imperiale. caso che a questa situazione Nietzsche contrapponga l’adesione
e la fedeltà di uno stoico antico alle dottrine insegnate dalla
sua scuola.
2. Il caso Nietzsche Il riferimento agli antichi consentiva a Nietzsche di misurare
l’incolmabile abisso che li separava dai moderni: questi ultimi
A questo punto si può sollevare l’interrogativo se sia vero non hanno vera cultura, dal momento che cultura equivale a
che sempre nel mondo moderno la dimensione di bios legata potenziamento dell’individualità. La conseguenza è che nell età
alla filosofia antica ha ceduto il passo, lasciando spazio soltanto odierna il filosofo, quando appare, è un’apparizione puramente
ai contenuti dottrinali o metodici o di atteggiamento mentale casuale. Il problema cruciale per Nietzsche è come fare in modo
e morale della filosofia. All’orizzonte sembrerebbe stagliarsi che il filosofo non sia una figura casuale, ossia come ricostruire
almeno un controesempio rispetto a questa generalizzazione: un’autentica cultura. Formalmente è lo stesso problema cui
Nietzsche. Non è Nietzsche che ha insistito sulla «vita» e, sulla Platone aveva tentato di dare una risposta nella Repubblica, in
scorta di Schopenhauer, ha polemizzato contro la filosofia quest’opera, infatti, Platone aveva delineato il ritratto di una
ridotta a professione accademica, forma di sapere puramente città giusta, nella quale il filosofo era la componente essenziale,
disinteressato e oggettivo? E non è Nietzsche che, proprio per non più costretto ai margini, come avveniva nelle città storica­
questo aspetto, si è invece richiamato al modello positivo dei mente esistenti, ad Atene in particolare. La terza considerazione
Greci? In un appunto del marzo 1875 egli osserva: «È evidente inattuale di Nietzsche su Schopenhauer come educatore svolge
che per la maggior parte gli uomini non si ritengono affatto una sorta di contrappunto su questa tematica platonica. Al
individui·, lo mostra la loro vita»6. Secondo Nietzsche, nel suo tempo di Platone l’esistenza dei sofisti deturpava l’immagine
tempo l’uomo può essere individuo soltanto in tre forme di del filosofo; così anche oggi sono i falsi filosofi a ridicolizzare la
esistenza: come filosofo, come santo e come artista. Egli ravvisa vera filosofia. Affinché la nascita e la riproduzione dei filosofi
il giudizio sul valore della vita come costitutivo del modo di non fosse un evento casuale, Platone aveva ritenuto necessario
essere del filosofo. In un appunto di poco posteriore, sempre fondare un nuovo tipo di stato; oggi lo stato moderno era, per
del 1875, egli distingue esplicitamente tra filosofo e filosofia: Nietzsche, una delle potenze ostili alla nascita del filosofo. Ma
«in un filosofo c’è qualcosa che non potrà mai essere in una queste analogie negative tra antichi e moderni non si accom­
filosofia: cioè la causa di molte filosofie: il grande uomo»7. pagnavano ad alcuna analogia positiva: la Germania era ben
Ma è proprio questo che manca nei filosofi moderni: oggi il lontana, secondo Nietzsche, dall’avere la «coraggiosa visibilità
filosofo coincide con l’insegnante nell’università, che parla a di una vita filosofica». I filosofi greci, invece, insegnavano «con
studenti in generale, ma «ciò che egli pensa e fa, al di fuori l’aspetto, l’abbigliamento, il vestito, il cibo, i costumi, più ancora
di ciò - si afferma in una delle conferenze Sull’avvenire delle che con il parlare o addirittura lo scrivere»9.
nostre scuole - è separato per opera di un immenso abisso dalla «Soltanto presso i Greci il filosofo non è casuale», è la
percezione dello studente». Toni simili compaiono anche nella conclusione di Nietzsche, che tuttavia, come si sa, guarda
seconda considerazione inattuale, Sull’utilità e sul danno della non tanto a Platone e al ritratto del filosofo nella Repubblica
storia per la vita·. «Si pensa, si scrive, si stampa, si parla, si e, quindi, a Socrate e, ancor meno, in quest’epoca della sua
insegna filosoficamente»; solo nell’agire e nella vita la filosofia vita, alla grecità ellenistica, quanto ai presocratici. Questi
non occupa alcuno spazio. Ciò significa che la vera filosofia, rappresentano ai suoi occhi, già nella Nascita della tragedia,
ossia la filosofia che si traduce necessariamente anche sempre l’alternativa a Socrate, prototipo dell’uomo «teoretico», il quale
in forma di vita, è assente o rara nel mondo moderno. Qui, nutre un’incrollabile fede nella possibilità che il pensiero, con
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l’ausilio della logica, possa giungere a scandagliare gli abissi dei «filosofi dell’avvenire». Ognuno di essi aveva costruito una
dell’essere, e pertanto ripone la sua suprema felicità nel co­ visione totalizzante del mondo, poiché, in un’epoca in cui la
noscere10. L’apparizione di Socrate e, con lui, di una nuova conoscenza era giovane, ognuno poteva sperare di «giungere
forma di serenità greca hanno contribuito all’abbellimento del con un unico balzo al centro di tutto l’essere e di sciogliere di
mondo, ma hanno anche cancellato la conoscenza tragica, che là l’enigma del mondo». Proprio questa pretesa di verità totale
ha bisogno dell’arte (e del dionisiaco). Socrate e Platone appari­ faceva di ciascuno di essi «un litigioso e violento tiranno».
ranno sempre più a Nietzsche come sintomi di un decadimento, Ciò significa che essi realizzavano nel pensiero il desiderio
ossia di un atteggiamento negativo verso la vita, soprattutto di ogni greco, quello di essere legislatori e tiranni14. Queste
Platone che opponeva un mondo vero incorporeo al mondo considerazioni saranno riprese e sviluppate anche in Al di
sensibile puramente apparente e, in tal modo, gettava le basi là del bene e del male, dove si affermerà che «i veri filosofi
per la repressione dell’individuo nella sua corporeità e la sua sono coloro che comandano e legiferano», dicono «così deve
subordinazione a entità collettive, come lo stato o l’umanità, essere» per gli uomini e, quindi, creano valori: la loro volontà
e a valori sopraindividuali. Sensibile alla rivalutazione della di verità è volontà di potenza. Paradossalmente proprio per
Grecia arcaica aristocratica, già operata da un Karl Otfried questo essi non saranno dogmatici, secondo Nietzsche: con il
Miiller nei primi decenni del secolo e presente anche nel suo loro orgoglio è incompatibile «l’eventualità che la loro verità
venerato collega di Basilea, Jacob Burckhardt, che nelle lezioni debba ancora essere una verità per ognuno». Il filosofo dell av­
confluite nella postuma Storia della civiltà greca descriveva venire probabilmente dirà: «Il mio giudizio è il mio giudizio:
1 epoca dell uomo coloniale e agonale come caratterizzata difficilmente anche un altro uomo potrà vantare un diritto su
dall’emergere di potenti individualità, Nietzsche guardava di esso». L’obiettivo è «sbarazzarsi dal cattivo gusto di voler
al VI e al V secolo a.C., soprattutto in La filosofia nell’epoca andare d’accordo con tutti»15. Nei tratti dei filosofi dell’avvenire
tragica dei Greci e nelle lezioni su I filosofi preplatomci, rimaste di Nietzsche non è errato intravedere la fisionomia dei suoi
inedite11. E nella figura del filosofo di quest’epoca che egli presocratici, statuari nella loro solitudine. L autoesaltazione del
ravvisa non «un qualunque viandante casuale», una cometa filosofo antico e del filosofo del futuro è strettamente correlata
isolata e inattesa, ma una stella di prima grandezza. La cosa per Nietzsche alla schiavitù dei molti. Una delle formulazioni
significativa è che tale apparizione non era dipesa dalla pòlis, più incisive di questa convinzione è reperibile nella Gaia scienza'.
la quale solo indirettamente, spingendo all’estremo «l’ambi­ «Il filosofo greco trascorreva la vita col segreto pensiero che
zione dell individuo», contribuiva a incrementarla. Nietzsche ci fossero più schiavi di quanto non si pensasse —cioè che
tuttavia privilegiava i presocratici non per amore del primitivo fossero schiavi tutti i non filosofi»16. In un epoca come quella
o dell’originario, che è sempre rozzo, ma perché ravvisava in attuale dominata dal pensiero dell’uguaglianza, l’orgoglio del
essi delle individualità allo stato puro, non acquiescenti ad filosofo appare estraneo e impossibile, secondo Nietzsche, ma
alcun modello o uniformità, anzi essi stessi dei «tipi» - come egli ribadisce che ogni rafforzamento del tipo uomo non può
dice in I filosofi preplatonici -, che però non devono nulla ad non essere connesso a qualche nuovo genere di schiavitù: il
altri, sono «uomini tutti di un pezzo, scolpiti in un solo bloc- futuro ripeterà la struttura essenziale dell’antico.
co di pietra. Il loro pensiero è legato al loro carattere da una Da queste citazioni dagli scritti di Nietzsche - e se ne po­
rigida necessità», sicché essi si ergono tutti «in una grandiosa trebbero aggiungere altre - mi pare emergano due problemi
solitudine»12. Il gusto per le personalità eccezionali doveva collegati tra loro, essenziali per individuare la fisionomia del
qualcosa anche a Emerson, ma Nietzsche era in primo luogo filosofo antico e i suoi destini nell’età moderna. Per Nietzsche
un lettore e uno studioso attento e appassionato delle Vite dei il filosofo è un individuo eccezionale, inconfrontabile con
filosofi di Diogene Laerzio13. ogni altro, il quale conferisce alla propria vita un tono e un
Nasce di qui la sua caratterizzazione dei presocratici come colorito personali irriducibili, ma proprio per questo non è e
tiranni dello spinto, sulla quale modellerà in seguito la figura non intende presentarsi come modello condivisibile e neppure
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potenzialmente universalizzabile. La disputa, il dibattere prò e dell’ipotesi che la centralità del bios costituisca una differenza
contro, è per Nietzsche agli antipodi di una filosofia intesa come significativa tra antichi e moderni nella concezione e nella
Weltanschauung totale, propria dei presocratici. Egli ribadisce a pratica della filosofia. Ma prima di chiarire questo punto, può
più riprese che la ricerca deU’universalità inizia con la dialettica, essere utile illustrare un’altra prospettiva diffusa nel concepire
la quale è plebea, agli antipodi dell’isolamento aristocratico dei la figura del filosofo.
pensatori presocratici. Il gusto aristocratico disdegna la dialet­
tica, perché comandare è diverso dall’addurre ragioni a propria
giustificazione17. Apparentemente sembrerebbe che Nietzsche 3. Tutti gli uomini sono filosofi?
rifiuti di estendere alla filosofia la dimensione dell’agonale, che
Burckhardt riconosceva come un carattere distintivo e positivo Un esito estremo della riduzione della filosofia al piano
della vita greca, proprio per lo sviluppo dell’individualità a cui puramente dottrinale e a generica concezione del mondo e
esso conduceva. In realtà Nietzsche rifiuta un agonale che si delle cose ha trovato la sua banalizzazione nell’uso, sempre più
plachi sul terreno della conoscenza e nel superamento di esso e diffuso nel linguaggio comune, del termine filosofia per indicare
si concluda, quindi, non con la vittoria dell’individuo, ma con genericamente lo spirito e l’insieme di opinioni, presupposti e
il suo annullamento in una scienza universale. Ciò che è grande obiettivi che animano e guidano un progetto o un’operazione
non può essere spartito e universalizzato: universalizzare vuol qualsiasi, dall’investimento economico nella produzione di un
dire abbassare ciò che è grande, ma la virtù è qualcosa che certo tipo di merci a una campagna pubblicitaria o a misure
distingue, anziché creare uniformità. Bene comune o felicità fiscali prese da un governo. In maniera non banalizzata questa
per tutti sono per Nietzsche espressioni contraddittorie: bene trasformazione ha condotto a un ampliamento, con conse­
e felicità non sono condivisibili. Ciò significa che Nietzsche guente perdita di specificità e di eccezionalità, della figura del
interpreta il carattere di eccezionalità dei primi filosofi antichi filosofo, quale si era costruita in vari modi nell’antichità. Un
- eccezionalità che, come si è visto, i filosofi greci in generale momento decisivo è rappresentato dall’idea cartesiana di una
rivendicavano nei confronti dei più e della loro vita - in termini ragione uniformemente distribuita tra gli uomini, il bon sens,
strettamente individualistici, recuperando la nozione romantica ma vorrei richiamare l’attenzione sul tentativo, forse meno
di una natura plastica, titanica e solitaria e proiettandola sui noto, di Feuerbach nel primo Ottocento di ricostituire l’unità
presocratici. In questo senso il btos, il rapporto totale dottrine- di pensare ed essere, dalla quale discende questo imperativo:
vita, che caratterizzava i filosofi antichi, non può essere fatto «non voler essere filosofo differenziandoti dall uomo». Si
valere, secondo Nietzsche, come modello generalizzabile. Per tratta cioè, secondo Feuerbach, di pensare come uomo, non
Nietzsche esistono propriamente soltanto individui e, quando «come pensatore, cioè con una facoltà avulsa e isolata per sé
emerge un concetto di «uomo», esso, ordinando agli individui dalla totalità della reale essenza umana», come «un monarca
di diventare generali, di fatto li ostacola nel loro diventare assoluto, come un Dio indifferente e trascendente»20. Sappia­
individui. Risiede qui il peccato mortale del platonismo e di mo che un filo continuo lega questa tesi della non isolabilità
ogni filosofia delle essenze. In un appunto dell’autunno del dell’individuo dalla totalità, da una parte, all’immagine del
1880 Nietzsche compendia la sua ipotetica morale con queste philosophe settecentesco, che opera per illuminare e riformare
parole: «Togliere all’uomo sempre più il suo carattere generale o trasformare la società e, dall’altra, all idea marxiana che il
e specializzarlo fino al punto di renderlo incomprensibile per proletariato è l’erede della filosofia classica tedesca. Da ciò
gli altri»18 (Il difetto di tutti i filosofi è credere di «tributare scaturisce la modificazione radicale della nozione stessa di
un onore a una cosa, quando la destoricizzano, sub specie ae- filosofia, da attività contemplativa a prassi rivoluzionaria tra­
term - quando di essa fanno una mummia»19.) A questo punto sformatrice della realtà. Ciò significa che non gli uomini isolati,
si può dubitare che la rivalutazione nietzscheana della vita ma un’intera classe, capace di riappropriarsi storicamente
come ingrediente inscindibile della filosofia sia una smentita dell’essenza umana, incarna nel suo movimento la filosofia.
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Ma significa anche dissoluzione radicale della marginalità, a i quali sono inevitabilmente pochi. In questo senso dalla vita
volte intenzionale e sovente di fatto, propria dei filosofi antichi, filosofica restavano esclusi, per loro, non soltanto gli schiavi,
rispetto al potere, e l’apertura di nuovi spazi pubblici, anche ma buona parte degli stessi cittadini liberi.
al di fuori delle università e delle scuole, per la formazione Soltanto ricordando che i filosofi antichi, quando parlano
dell’opinione pubblica. di «uomo», intendono riferirsi non tanto a tutti gli uomini,
In parallelo a queste tematiche, ma in modo non sempre quanto in prima istanza al vero uomo, alla figura che realizza
agevole da ricostruire, si è sviluppata la tesi secondo cui tutti pienamente il meglio delle caratteristiche pertinenti al genere
gli uomini sono, nel loro fondo, filosofi. Si può ricordare che umano, si può evitare di cadere nella trappola di considerare
nella filosofia italiana del Novecento essa compare in Benedetto immediatamente universalizzabili tesi che presentano una
Croce, per il quale i tentativi moderni di rinnovare la figura veste apparente di universalità, come per esempio l’affer­
«già sublime, del filosofo beato nell’Assoluto», il quale si pone mazione aristotelica che «l’uomo è un animale politico». In
superiore agli altri o a se stesso quando non è ancora filosofo, questa trappola è caduta, a mio avviso, la cosiddetta «filosofia
si tingono inevitabilmente di comico e si manifestano come pratica», rinata alcuni decenni fa in Germania, la quale ha
illusioni impossibili. All’immagine del purus philosophus, Croce attribuito a merito di Aristotele una concezione dell’etica
oppone l’idea di una filosofia presente e operante in tutte le come conformità all’éthos vigente, ma contraddittoriamente ha
attività e discipline che studiano l’uomo nella sua specificità manifestato scandalo di fronte alla giustificazione aristotelica
storica. Il filosofo storico, secondo Croce, «si sente inelutta­ della schiavitù, un istituto radicato appunto nell ’éthos vigente.
bilmente preso nel corso della storia» e perciò è condotto ad Si è allora tentato di espellerla dalla teoria aristotelica come
accettare la vita qual è, un misto di gioie e dolori, di pensiero corpo estraneo, legato alla pura contingenza storica23. E chiaro
e azione. La conclusione è che filosofo è ogni uomo e ogni che la presenza di essa costituisce un elemento di disturbo nei
filosofo è uomo21. Quest’idea crociana è ripresa da Gramsci, confronti della pretesa di conferire un carattere di universa­
che assorbe nel termine filosofia anche aspetti attribuiti da lità e, quindi, attualità alle dottrine politiche aristoteliche. In
Croce a religione, ossia «una concezione del mondo che sia generale si può porre il problema se l’etica di Aristotele sia
diventata norma di vita», non libresca, ma attuata nella vita universalizzabile o se non sia legata anche a una società, per
pratica. Ritorna dunque in Gramsci la saldatura tra vita e dot­ la quale erano costitutive gerarchie di valore tra gli uomini.
trina, ma attraverso un’estensione della nozione di filosofo. La Può essere illuminante l’operazione tentata in questo senso da
differenza tra filosofia in questo significato ampio e filosofia in Alasdair Maclntyre. Egli parte dal presupposto del fallimento
senso «professionale» diventa allora puramente quantitativa, delle teorie etiche moderne, sia utilitaristiche sia emotivistiche,
non qualitativa: la filosofia professionale è data dai tentativi incapaci di raggiungere l’universalità e di infrangere il muro
«per mutare, correggere, perfezionare le concezioni del mon­ della singolarità delle scelte etiche e della loro incommensu­
do esistenti in ogni determinata epoca e per mutare quindi le rabilità. La sua soluzione consiste allora nel rinunciare alla
relative misure di condotta, ossia per mutare l’attività pratica pretesa di universalità e nel ritorno a un’etica della piccola
nel suo complesso»22. È inutile sottolineare come ciò si diffe­ comunità, ossia a un’etica della virtù, che ha la sua massima
renzi dalle pretese dei filosofi antichi di stabilire una differenza espressione proprio in Aristotele. Maclntyre riconosce che
qualitativa radicale tra il loro modo di vita e quello dei più: per il presupposto dell’etica della virtù è che l’uomo ha una sua
essi la filosofia non è un tipo di vita che tutti siano per natura natura, uno scopo e funzioni essenziali e che è stato un erro­
in grado di condurre. Anche se si può dire, come fa Aristotele re di Nietzsche proiettare il suo individualismo nella Grecia
all’inizio della Metafisica, che tutti gli uomini per natura aspi­ arcaica, dove l’io era una costruzione sociale, non individuale.
rano a conoscere, la vita integralmente dedita alla ricerca del Aristotele aveva invece avuto il merito, secondo Maclntyre, di
sapere riguarda, secondo la maggior parte dei filosofi antichi, mettere in luce il carattere «socialmente locale e particolare di
soltanto gli esemplari pienamente riusciti del genere umano, ogni moralità», sempre radicata in una tradizione. A questo
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punto si pone anche per Maclntyre il problema della schia­ trovi la sua realizzazione solo negli esemplari più riusciti del
vitù. Egli è consapevole che Aristotele scrive per Γeducateci genere umano o addirittura non si realizzi mai compiutamente
Athenian ed esclude pertanto dall’etica della virtù lo schiavo nei singoli individui. E sempre dentro un’area ristretta di frui­
e il barbaro, ma questo limite, dipendente dalla «cultura» di tori che l’universalità normativa del bios filosofico può trovare
Aristotele, ossia - potremmo dire - da una situazione storica realizzazione. L’eccezionaiità cui mirano i filosofi antichi non è
puramente contingente, non compromette necessariamente quella dell’individuo irripetibile e assolutamente originale, irri­
la teoria aristotelica per «comprendere il posto della virtù ducibile ad altro, ma quella dell’individuo che riesce a incarnare
nella vita umana»24. Ci si può allora chiedere se con questa in sé il modello del «vero uomo», cioè del «filosofo», il quale
disarticolazione Maclntyre non finisce con l’attribuire alla non ha vincoli di spazio e di tempo. In tal caso l’individuo
teoria aristotelica proprio quella pretesa di universalità che diventa a sua volta esemplare in quanto realizza in sé qualcosa
egli combatte e se proprio il riferimento alla schiavitù non di universalmente valido e in linea di principio riproducibile
sia invece la controparte essenziale di questa teoria della virtù anche da altri, anche se da pochi. In questo senso mi pare che
e del connesso primato della vita filosofica, che è il culmine la posizione dei filosofi antichi non sia riconducibile a forme di
dell’etica aristotelica. L’interpretazione di Maclntyre finisce individualismo, come quelle che Nietzsche ritrova nei presocra­
con l’occultare un punto essenziale e cioè che l’identificazione tici. Sottolineare l’eccezionaiità non equivale necessariamente a
della nozione di uomo con quella di uomo buono, eccellente, rivendicare una singolarità irripetibile e radicalmente originale.
ha senso pieno soltanto all’interno di una società gerarchica, Quest’ultimo aspetto contrassegna, invece, posizioni moderne
dove virtù significa distinguersi e primeggiare. In questo esemplificabili non soltanto in Nietzsche, ma anche in Kier­
contesto l’obiettivo non è tanto di estendere la virtù (e tanto kegaard e nel filone esistenzialistico, dove pure l’accento sul
meno la filosofia) a tutte le componenti della pòlis. Il concetto concetto di «esistenza» sembrerebbe legarsi strettamente alla
di virtù è elaborato per differenziare e creare dislivelli più nozione di «modo di vita». La stessa cosa, credo, si può affer­
che per legare tra loro queste componenti; inoltre la virtù mare a proposito di Foucault, che nel corso tenuto al Collège
stessa, nelle sue forme più alte, richiede esercizio e scholé, de France nel 1981-1982, intitolato L’ermeneutica del soggetto,
ossia tempo libero da qualsiasi lavoro e, quindi, l’esistenza di ha assunto a oggetto di indagine proprio i filosofi dei primi
altri che lavorino. È chiaro che il tenere in piedi questi tratti due secoli dell’impero romano, che hanno costituito il punto
della teoria aristotelica impedirebbe una ripresa normativa di di osservatorio privilegiato, dal quale Hadot ha costruito la sua
essa e, più in generale, dell’etica filosofica antica, anche nella nozione di «esercizi spirituali» e il suo modo di interpretare la
versione ridotta e limitata alla piccola comunità di Maclntyre, concezione antica della filosofia come modo di vita25. Ma credo
come adeguata per il mondo moderno. che una parola chiara sulla prospettiva di Foucault sia stata detta
proprio da Hadot, quando ha imputato a Foucault di incentrare
troppo la sua analisi sulla nozione di «sé» o soggetto, mentre
4. Il filosofo: il tipo e il singolo nei filosofi antichi, per esempio negli stoici ai quali guardava
Foucault, si tratta di «liberarsi della propria individualità per
A questo punto si pone un’alternativa: la rivendicazione di elevarsi all’universalità [...] una dimensione universalistica e
eccezionalità da parte dei filosofi antichi riguarda l’individuo cosmica - dice Hadot - su cui Foucault non ha, a mio parere,
nella sua singolarità o il tipo del filosofo? Non credo sia errato sufficientemente insistito: l’interiorizzazione è superamento di
affermare che quest’ultima sia la soluzione corretta. Il bios filo­ sé e universalizzazione»26. Il secondo rilievo, anch’esso giusto
sofico, propugnato dai filosofi antichi e dalle scuole filosofiche, a mio avviso, mosso da Hadot a Foucault è quello di dare alla
al di là della loro diversità, è sì caratterizzato dall’eccezionaiità, nozione di «cultura di sé» una curvatura esclusivamente este­
ma al tempo stesso anche da una sorta di universalità normativa: tica, in cui si può intravedere «una nuova forma di dandysmo
è un tipo o modello di vita, a prescindere dal fatto che esso versione fine Novecento»27.
226 FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI 227

Particolarmente chiara ed emblematica appare la posizio­ possono, caso mai, valere come segni del fatto che non si è
ne di Karl Jaspers, uno dei protagonisti dell’esistenzialismo ancora pienamente realizzata la vita filosofica, non che la vita
novecentesco, nel quale la nozione di vita filosofica si salda filosofica abbia come tratto costitutivo l’incompiutezza e la
con quella di singolarità e di irriducibilità dell’esistente, con­ non autosufficienza. Nel Caso Wagner Nietzsche afferma - in
ducendo per questa via alla conclusione che tutti gli esistenti sottintesa polemica con la tesi hegeliana che ogni filosofia è
sono filosofi. Per Jaspers, infatti, «l’uomo, come esistenza figlia del suo tempo - che un filosofo vuole in prima e ultima
possibile, è filosofo nell’atto stesso in cui si pensa» e «la filo­ istanza superare il proprio tempo, diventare senza tempo30.
sofia non può che attuarsi in un uomo e nella tensione di una Posta in questi termini, la questione si riconduce alla dicotomia
vita», sicché «l’ultimo senso di ogni pensiero è la vita filosofica fra attuale e inattuale, estranea in questo senso agli antichi,
come quell’agire individuale che nell’azione interiore consente perché riconosce nel tempo ciò che fa di noi quello che siamo.
all’individuo di diventare se stesso»28. Apparentemente queste Ai filosofi Nietzsche rimprovera infatti di svalutare il divenire
asserzioni sembrerebbero riconnettere filosofia e btos, ma, poi­ e, quindi, di considerare l’uomo come un’entità fissa31. Questa
ché per Jaspers l’esistenza è inoggettivabile e rimane sempre centralità del tempo potrebbe contribuire a spiegare perché, fra
possibilità aperta, mai definitivamente conchiusa, essa non può gli antichi, sia pressoché assente la figura del filosofo profeta,
neppure oggettivarsi in un modello universale, che verrebbe a che annuncia o prepara un futuro nuovo, radicalmente diverso
conferire all’esistenza i tratti definiti di un’immagine compiuta. da ogni passato. Non a caso gli stoici apprezzavano la divina­
Per Jaspers non si può racchiudere l’esistenza in un’immagine zione, ma come tecnica capace di riconoscere la posizione di
che valga per sé e per gli altri: un evento all’interno di una catena causale fondata sulla razio­
nalità divina e, quindi, sempre come risultato del passato. La
Di fronte all’instabilità di ogni figura mondana, l’esistenza rifiuta tesi di Nietzsche deU’eterrno ritorno dell’eguale si accompagna
per sé qualsiasi immagine oggettiva. Come esistenza possibile, l’uomo
invece pur sempre all’auspicio di una cesura tra epoche e a una
è filosofo, come esistenza, il filosofo non giunge mai a una destinazio­
ne definitiva. Essere filosofo non significa esercitare una professione rottura nei confronti della tradizione biblico-cristiana. Quando
specifica, né esprimere un ideale a cui l’uomo possa uniformarsi nel i filosofi moderni rivendicano la propria eccezionalità, ciò da
tentativo di realizzarlo, per cui «non si può racchiudere il filosofo in cui prendono le distanze sono in primo luogo il loro tempo e
un’immagine». gli altri uomini, ma in quanto prigionieri del loro tempo: anche
per questo aspetto il cristianesimo continua a proiettare la sua
Queste considerazioni si collocano agli antipodi degli ombra e a stabilire una cesura rispetto alla pretesa di primato
obiettivi perseguiti dalla maggior parte dei filosofi antichi e della vita filosofica antica. Paradossalmente una parte dei filosofi
mettono anche in luce un ulteriore elemento di differenziazione: moderni, che ha preso le distanze dai modelli antichi di vita
il riferimento al tempo. Secondo Jaspers, «come filosofo, l’uomo filosofica, è tornata però a indossare le vesti dell’antico sofista
non trova, né scorge una forma definitiva per il suo esserci e capace di parlare di tutto.
sa che, come essere temporale, non la può trovare»29.
Il carattere radicalmente temporale, attribuito all’esistenza,
fa a pugni con l’atemporalità del modello di vita filosofica degli
antichi. Si è già ricordato come non di rado nell’elaborazione di Note al capitolo quinto
quest’ultimo si guardasse a pietre di paragone «eterne», come la
divinità, e se ne riscontrasse la controparte negativa nello schia­ 1 Per un’analisi delle posizioni su questo problema assunte da alcuni
dei più importanti filosofi del Novecento rinvio a G. Cambiano, Il ritorno
vo, legato alla sorte accidentale e mutevole. Se si eccettua forse degli antichi, Roma-Bari, Laterza, 1988. Cfr. anche B. Cassin (a cura di).
Platone in alcuni momenti della sua riflessione, difficilmente un Noi Grecs et leurs modernes, Paris, Seuil, 1992.
filosofo antico avrebbe accettato l’incompiutezza come carattere 2 B. Williams, Philosophy, in M.I. Finley (a cura di), The Legacy of Greca·.
costitutivo della vita filosofica: incompiutezza e problematicità A New Appraisal, Oxford, Oxford University Press, 1984, pp. 202-255. Ma
FILOSOFO ANTICO E FILO SO FI MODERNI 229
228 FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI

cfr. anche B. Williams, L’etica e i limiti della filosofia, Roma-Bari, Laterza, 1976; U. Hòlscher, Nietzsche’s Debt to Heraclitus, in R.R. Bolgar (a cura di),
1987, e Id., Vergogna e necessità, Bologna, Il Mulino, 2007. Classical Influences on Western Thought. 1650-1870, Cambridge, Cambridge
University Press, 1979, pp. 339-348; V. Pòschl, Nietzsche und die klassische
3 Cfr. L. Bianchi, Il vescovo e il filosofo, Bergamo, Lubrina, 1990, pp.
Philologie, in H. Flashar et al. (a cura di), Philologie und Hermeneutik im
149-195, e Id., Filosofi, uomini e bruti. Note per la storia di un’antropologia
19. Jahrhundert. Zur Geschichte und Methodologie der Geisteswissenschaften,
«averroista», in «Rinascimento», 32, 1992, pp. 185-201, ripubblicato in Studi
Gòttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1979, pp. 141-155; D.W. Conway e
sull’aristotelismo del Rinascimento, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 41-61.
R. Regn (a cura di), Nietzsche und die antike Philosophie, Trier, Wissen-
Cfr. anche A. de Libera, Raison et foi. Archéologie d’une crise d’Albert le
schaftlicher Verlag Trier, 1992. Cfr. anche M. Dixsaut, Nietzsche, par-delà
Grand à ]ean-Paul II, Paris, Seuil, 2003, in part. pp. 182-189.
les antinomies, Chatou, Les Éditions de la Transparence, 2006.
4 M. de Montaigne, Essais III 2 e III 13, in CEuvres complètes, a cura
di A. Thibaudet e M. Rat, Paris, Gallimard, 1962, pp. 791, 1051 e 1059. 13 Cfr. J. Barnes, Nietzsche and Diogenes Laertius, in «Nietzsche Stu-
Cfr. G. Cambiano, Polis. Un modello per la cultura europea, Roma-Bari, dien», 15, 1986, pp. 16-40.
Laterza, 2000, pp. 173-174. 14 Nietzsche, Umano, troppo umano, cit., pp. 184-187.
5 R. Cartesio, Risposta alle Obiezioni Seconda e Quinta, in Opere filo­ 15 Id., Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, Milano,
sofiche, a cura di E. Garin, III ed. Roma-Bari, Laterza, 1992, voi. II, pp. Adelphi, 1968, pp. 48-49, 119-120.
321 e 521. 16 Id., La gaia scienza. Idilli di Messina e Frammenti postumi (1881-
6 F. Nietzsche, Richard Wagner a Bayreuth e Frammenti postumi (1975- 1882), Milano, Adelphi, 1967, pp. 51, 256. Cfr. già il fr. 3 (44) del 1869-
1876), Milano, Adelphi, 1967, p. 102. 1870: «La schiavitù dei barbari (cioè la nostra). La divisione del lavoro è
7 Ibidem, p. 296. un principio barbarico, dominio della meccanicità. Nell’organismo non
vi sono parti divisibili. Individualismo dell’epoca moderna e il contrario
8 F. Nietzsche, La nascita della tragedia. Considerazioni inattuali I-III, nell’antichità. L’uomo del tutto isolato è troppo debole e cade nelle
II ed. Milano, Adelphi, 1976, pp. 298-299, dove è ripreso un passo dello catene della schiavitù: per esempio di una scienza, di un concetto, di
scritto pubblicato postumo: F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei un vizio. Con il potenziamento della cultura conoscitiva un organismo
Greci, Milano, Adelphi, 1973, p. 278. non si rafforza, ma piuttosto si indebolisce. Diventa forte, piuttosto,
9 Id., La nascita della tragedia, cit., soprattutto pp. 373, 408, 440-445, con un’attività continua priva della conoscenza. Ingenuità degli antichi
451. nella distinzione fra schiavi e liberi: noi siamo prude e vanagloriosi: la
10 Ibidem, pp. 99-101 e poi ancora F. Nietzsche, Aurora e frammenti schiavitù è il nostro carattere. Gli Ateniesi se la cavarono, poiché erano
postumi (1879-1881), Milano, Adelphi, 1964, pp. 256, 260-261. Ma cfr. impegnati in ogni direzione, il confine dei bisogni non era così ristretto.
già il frammento 5 (107) del settembre 1870-gennaio 1871: «Come si può Tutti questi bisogni sono peraltro generali» (Frammenti postumi, nuova
comunicare la cultura? Non mediante la conoscenza pura, bensì median­ ed. cit., pp. 91-92).
te la forza della personalità», che consiste nel suo valore per la volontà. 17 Su questo tema Nietzsche torna a più riprese: cfr., per esempio, La
Ogni creazione di una nuova civiltà è dunque opera di forti nature, che nascita della tragedia, cit., pp. 380-381; Umano, troppo umano, cit., pp.
servono da modello e in cui si producono nuovamente le rappresentazioni 186-187; Il caso Wagner. Crepuscolo degli idoli. L’anticristo. Ecce homo.
illusorie» (Frammentipostumi. Voi. I, Autunno 1869-Aprile 1871, a cura Nietzsche centra Wagner, Milano, Adelphi, 1970, pp. 62-68.
di M. Carpitella e F. Gerratana, nuova ed. a cura di G. Campioni, Mila­
18 Nietzsche, Aurora, cit., pp. 450-461.
no, Adelphi, 2004, p. 155). In generale cfr. H.J. Schmidt, Nietzsche und
Sokrates, Meisenheim am Gian, Hain, 1969; W.J. Dannhauser, Nietzsche’s 19 Ciò è ribadito ancora in Id., Il crepuscolo degli idoli (cfr. Il caso
View of Socrates, Ithaca (N.Y.), Cornell University Press, 1974. Wagner, cit., pp. 69-74).
11 Questi scritti devono essere letti in parallelo con J. Burckhardt, 20 L. Feuerbach, Principi della filosofia dell’avvenire § 51, in La sinistra
Storia della civiltà greca, Firenze, Sansoni, 1955, voi. II, pp. 254-379. Su hegeliana, a cura di C. Cesa, II ed. Bari, Laterza, 1966, p. 380.
K.O. Mtìller cfr. le relazioni tenute al seminario diretto da A. Momigliano, 21 B. Croce, Teoria e storia della storiografia, VII ed. Bari, Laterza,
pubblicate in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie 3, 1954, pp. 148-150.
14, 1984, pp. 893-1226. 22 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Torino,
12 Cfr. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, cit., soprattutto Einaudi, 1975, voi. II, pp. 1255-1256, 1342-1343.
pp. 271-275, nonché Id., Umano, troppo umano (I). Frammenti postumi 23 Cfr. per esempio J. Ritter, Metafisica e politica, Casale Monferrato,
1876-1878, Milano, Adelphi, 1965, p. 262. In generale su Nietzsche e la Marietti, 1983, pp. 3-118, e G. Bien, La filosofia politica di Aristotele,
filosofia greca cfr. W. Nestle, Nietzsche und die griechische Philosophie, in
«Neue Jahrbiicher fiir das klassische Alterthum, Geschichte und Literatur», Bologna, Il Mulino, 1980.
29, 1912, pp. 554-584; J.C. O’Flaherty (a cura di), Studies in Nietzsche and 24 A. Maclntyre, After Virtue. A Study in Moral Theory, II ed. London,
thè Classical Tradition, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, Duckworth, 1987, soprattutto pp. 126-129, 159-162.
230 FILOSOFO ANTICO E FILOSOFI MODERNI
Cronologia
25 Cfr. M. Foucault, I!ermeneutica del soggetto, Milano, Feltrinelli,
2003.
26 P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Einaudi, 2002,
p. 171 e in generale pp. 169-177.
27 Ibidem, p. 176. Per una critica all’interpretazione di Seneca data da
Foucault cfr. anche B. Inwood, Reading Seneca. Stoic Philosophy at Rome,
Cambridge, Cambridge University Press, 2005, pp. 39-64. Cfr. anche F.
Gros e C. Lévy (a cura di), Foucault et la philosophie antique, Paris, Kimé,
2003, e sulla curvatura estetica dell’interpretazione dei Greci nell’ultimo
Foucault cfr. Cambiano, Il ritorno degli antichi, cit., pp. 127-144. Per
un’analisi generale sul problema dell’io, con saggi non solo sul pensiero
greco-romano, ma anche sull’India e sulla Cina, cfr. il fascicolo, curato da
B. Inwood, di «Antiquorum Philosophia», 2, 1008, in particolare lo status
quaestionis di C. Gill, The Ancient Self Where Now?, ibidem, pp. 77-99
e la bibliografia ivi citata.
28 K. Jaspers, Filosofia, Torino, Utet, 1978, pp. 385, 809.
29 Ibidem, pp. 899-900.
30 Nietzsche, Il caso Wagner, cit., p. 6.
31 Id., Umano, troppo umano, cit., p. 16.
Cronologia

624 a.C. ca. nascita di Talete a Mileto


610 ca. nascita di Anassimandro a Mileto
545-480 ca. Eraclito di Efeso
530 ca. Pitagora si stabilisce a Crotone
500 ca. attività di Parmenide a Elea
492-432 Empedocle di Agrigento
492-421 Protagora di Abdera
469 nascita di Socrate ad Atene
463-433 ca. Anassagora risiede ad Atene
460 ca. nascita di Democrito ad Abdera
429-428 nascita di Platone ad Atene
427 Gorgia ambasciatore di Leontini ad Atene
423 rappresentazione delle Nuvole di Aristofane ad Atene
400-325 Diogene di Sinope
399 processo e morte di Socrate
390 ca. Isocrate fonda una scuola di retorica ad Atene
387 Platone fonda l’Accademia
367 viaggio di Platone a Siracusa dal tiranno Dionisio
367-366 Aristotele entra neU’Accademia
367-360 Archita stratega a Taranto
361-360 nuovo viaggio di Platone a Siracusa
347 morte di Platone. Speusippo gli succede alla guida dell’Ac­
cademia
338 morte di Isocrate
335-323 Aristotele insegna nel Liceo ad Atene
331 fondazione di Alessandria in Egitto
323 morte di Alessandro Magno
322 morte di Aristotele a Calcide
234 CRONOLOGIA CRONOLOGIA 235

317-307 Demetrio Falereo al potere ad Atene 396-430 Agostino vescovo di Ippona


306 Epicuro apre la sua scuola ad Atene 410 sacco di Roma da parte di Alarico
306 decreto di Sofocle di Sunio contro i filosofi 415 Ipazia uccisa da cristiani ad Alessandria
300 ca. Zenone di Cizio fonda la scuola stoica ad Atene 438 ca. Proclo a capo della scuola platonica di Atene
287-286 ca. morte di Teofrasto; Stratone a capo del Peripato 485 morte di Proclo
275-270 ca. morte di Pirrone di Elide 529 decreto di Giustiniano contro l’insegnamento di pagani
271-279 morte di Epicuro; gli succede Ermarco 531-532 sette neoplatonici lasciano Atene per la corte di Cosroe
268-240 ca. Arcesilao di Pitane scolarca deU’Accademia re dei Persiani
262-233 Cleante scolarca della Stoa
233-205 Crisippo scolarca della Stoa
155 ambasceria a Roma di Cameade, Diogene di Babilonia
e Critolao
135 ca. Panezio di Rodi in rapporto con gli Scipioni
106 Cicerone nasce ad Arpino
88 guerra di Mitridate contro Roma; Siila saccheggia Atene
79-78 Cicerone ascolta le lezioni di Antioco di Ascalona
46-44 composizione delle opere filosofiche di Cicerone
43 morte di Cicerone
55-135 d.C. Epitteto
62 d.C. Seneca si ritira dalla politica e scrive le Epistole a Lucilio
65 suicidio di Seneca; Musonio bandito da Roma da N e­
rone
93 Domiziano caccia i filosofi da Roma
120 ca. morte di Plutarco
129-200 Galeno
161-180 Marco Aurelio imperatore; istituisce cattedre di filosofia
ad Atene
204 ca. Origene a capo della scuola catechetica di Alessandria
205-269 Plotino
232 Origene insegna nella scuola di Cesarea
244 Plotino inizia il suo insegnamento a Roma
262-263 Porfirio entra nella scuola di Plotino
305 morte di Porfirio
313 ca. Giamblico apre la sua scuola ad Apamea
354 Agostino nasce a Tagaste
361-363 Giuliano imperatore
386 conversione di Agostino
Abbreviazioni
Abbreviazioni

ANRW Aufstieg und Niedergang der ròmischen Welt


FgrHist Fragmente der griechischen Historiker, ed. F. Jacoby
1G Inscriptiones graecae
SVF Stoicorum veterum fragmenta, ed. H. von Arnim
Usener Epicurea, ed. H. Usener
Wehrli Die Schule des Aristoteles, ed. F. Wehrli
Bibliografia
Bibliografia

Si forniscono qui alcune indicazioni bibliografiche, soprattutto


di opere recenti, utili per un approfondimento dei temi trattati nei
vari capitoli.

Capitolo primo

Per una presentazione generale delle dottrine dei filosofi antichi,


con relativa bibliografia generale, rinvio a G . Cambiano, Storia della
filosofia antica, VI ed. Roma-Bari, Laterza, 2012. Sui modi in cui
nell’antichità era concepita la filosofia cfr. W. Jordan, Ancient Concepts
ofPhilosophy, London, Routledge, 1990; P. Hadot, Che cos’è la filosofia
antica?, Torino, Einaudi, 1998; Id., Esercizi spirituali e filosofia antica,
nuova ed. ampliata, Torino, Einaudi, 2005; Id., ha philosophie comme
manière de vivre. Entretiens avec ]eannie Carlier et Arnold I. David­
son, Paris, Albin Michel, 2001; J. Domanski, La philosophie, théorie
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Sulla pluralità delle nozioni di filosofia e delle tradizioni filosofiche
e una comparazione con la situazione della Cina antica cfr. G.E.R.
Lloyd, The Delusions oflnvulnerability. Wisdom and Morality in Ancient
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cfr. anche Id., Disciplines in thè Making. Cross-Cultural Perspectives
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Sull’iconografia dei filosofi cfr. L.A. Scatozza Hoericut, Il volto
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270 BIBLIOGRAFIA
Indice dei nomi
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Indice dei nomi

Adeodato, figlio di Agostino, 161 Arcesilao di Pitane, 23,32,33,70,103,


Adrasto, 150 127, 131, 140, 172, 176, 190-194
Adriano, Publio Elio, imperatore ro­ Archelao, 178, 179, 182
mano, 89, 91, 92, 157 Archita di Taranto, 56, 111, 173, 206
Agostino d’Ippona, 49, 50,53,54,101, Ario, 158
106, 158-163, 193, 205, 207-209, Ario Didimo, 84, 91, 150
214 Aristarco di Bisanzio, 189
Agricola, Gneo Giulio, 85 Aristippo di Cirene, 23, 58, 63, 174,
Agrippina Minore, 85 175
Albino, 198 Aristobulo, 183
Alcibiade, 59, 71, 116, 120, 188 Aristofane, 16, 60, 115
Alcidamante, 116 Aristone di Chio, 132, 145
Alcinoo, 150 Aristosseno di Taranto, 172, 206
Alcmeone di Crotone, 112 Aristotele, 8-10, 14, 24-31, 43, 44, 47,
Alessameno, 119 51, 52, 61, 67, 68, 72, 73, 75-78,
Alessandro di Afrodisia, 44, 92, 150, 80, 81, 92, 101, 103, 104, 107,
195, 196 109, 114, 119, 123-128, 130, 133,
Alessandro Magno, 58, 66-68, 128, 136, 140, 149 150, 153, 154, 156,
129, 172 169-171, 173, 175, 176, 178, 179,
Amafinio, Gaio, 135 191-196, 199-201, 206, 207, 212,
Ambrogio, santo, 160 213, 222-224
Amelio, Gentiliano, 96 Arriano, Lucio Flavio, 146, 147
Anassagora, 15,16,55,56,68, 70,102, Aspasio, 150, 195
112, 113, 166, 169, 170, 182, 196 Ateneo, 103, 164
Anassimandro, 109 Atenione, 67
Andronico di Rodi, 125, 150, 193 Atenodoro di Tarso, 84, 189
Androzione, 51 Attico, 192, 195, 208
Antigono, re di Macedonia, 128 Attico, Tito Pomponio, 184
Antigono di Caristo, 172 Aureliano, Lucio Domizio, imperatore
Antigono Gonata, 73 romano, 94
Antioco di Ascalona, 83, 191-194
Antipatro di Tarso, 67, 104 Bacone, Francesco (Francis Bacon), 211
Antistene, 23, 58, 170, 181 Barnes, Jonathan, 229
Antonino Pio, imperatore romano, Bayle, Pierre, 215
92, 93, 157 Bianchi, Luca, 228
Apollonio di Tiana, 94 Bien, Gunther, 229
Apuleio di Madaura, 95, 96, 105, 149, Blossio di Cuma, 67
150, 164, 188 Boezio, Anicio Manlio Torquato Se­
Arato di Soli, 140 verino, 155, 156
274 INDICE DEI NOMI INDICE DEI NOMI 275

Boezio di Dacia, 213 Conway, Daniel W., 229 Ecateo di Abdera, 15, 182 Filone di Alessandria, 49, 54, 68, 94,
Bolgar, Robert Ralph, 229 Corisco, 63 Ecateo di Mileto, 112, 113 160, 195, 208
Bruto, Marco Giunto, 86, 93 Cornuto, Lucio Anneo, 145, 190 Elvia, madre di Seneca, 144 Filone di Larissa, 83, 191, 193
Burckhardt, Jacob, 218, 220, 228 Cosroe I il Grande, re di Persia, 102 Elvidio Prisco, Gaio, 93 Filostrato, Lucio Flavio, 105, 149
Burro, Sesto Afranio, 85 Costantino I il Grande, imperatore Emerson, Ralph Waldo, 218 Finley, Moses I., 227
romano, 98, 105 Emilio Paolo, Lucio, 82 Flashar, Flellmut, 229
Calcidio, 156 Crantore, 130 Empedocle, 51, 55, 102, 110, 111, Flavi, famiglia, 84
Caligola, Gaio Giulio Cesare Germa­ Crasso, Marco Licinio, 70 137, 173 Focione, 66
nico, imperatore romano, 185 Cratete di Atene, 70, 72, 175 Enesidemo, 177 Foucault, Michel, 225, 230
Calila, 115, 120 Cratete di Tebe, 79, 129, 181 Ennio, Quinto, 134, 138 Frontone, Marco Cornelio, 40, 148
Calvisio Tauro, 193 Cratippo, 73 Enomao di Gadara, 200
Cambiano, Giuseppe, 227, 228, 230 Crisippo, 31, 39, 46, 52, 69, 70, 79, Epafrodito, 71, 86 Gaio, 195
Cameleonte, 173 104, 131, 146, 174, 187, 192, 206 Epicuro, 23, 28, 29, 47, 52, 69-72, Galeno, Claudio, 151, 152, 162, 190,
Campioni, Giuliano, 228 Critolao, 73 81, 82, 104, 107, 127, 128, 130, 207
Cano, Giulio, 185 Critone, 59, 61, 71 132-134, 136, 137, 145, 147, 174- Gallieno, Publio Licinio, imperatore
Caracalla, Marco Aurelio Antonino, Crizia, 57, 59, 116 176, 179, 182-184, 186, 188, 200, romano, 96
imperatore romano, 92 Croce, Benedetto, 222, 229 206-208 Garin, Eugenio, 228
Cameade, 23, 33, 69, 70, 73,127, 140, Epitteto, 8, 38-40, 50, 53, 71, 80, 86, Gelilo, Aulo, 103, 193
172, 174, 176, 177, 191, 207 Damaselo, 102 88, 89, 104, 105, 145-148, 152, Gerratana, Federico, 228
Carpitella, Mario, 228 Dannhauser, Werner J., 228 187, 188, 207 Gerratana, Valentino, 229
Cartesio (René Descartes), 211, 215, 228 Dedalo, 38 Eraclide Lembo, 181 Giamblico di Calcide, 45, 53, 98, 105,
Cassandra, 67 de Libera, Alain, 228 Eraclide Pontico, 15, 173, 206 154, 197-199, 208
Cassin, Barbara, 227 Demetrio Falereo, 67, 68, 184 Eraclito, 14, 23, 40, 51, 55, 57, 102, * Gigante, Marcello, 103
Cassio Dione, 105 Demetrio Poliorcete, 67, 68 108-110, 158, 165, 170, 174, 177, Gill, Christopher, 230
Catone, Marco Porcio, detto il Censore, Democare, 65, 68 179, 181, 195, 196, 199, 205-207 Giovanni, evangelista, 160
73, 82, 92, 93, 184, 192 Democrito, 55, 113, 175, 182, 206, Erasmo da Rotterdam, 214 Giovanni Crisostomo, 48
Catone, Marco Porcio, detto Uticense, 207 Erasto, 63 Giovanni di Salisbury, 214
85, 86, 88, 185 Demostene, 65 Ermarco di Mitilene, 70, 127, 132 Girolamo, santo, 138
Cazio, 135 Diagora di Melo, 200 Ermia di Atarneo, 63, 209 Giuliano, Flavio Claudio, imperatore
Celso di Alessandria, 101, 157, 201 Dicearco di Messene, 27, 52, 128, Ermippo, 65, 103, 208 romano, 98, 99, 101, 105, 188,
Cesa, Claudio, 229 173, 206 Erode Attico, 92 199, 200, 208
Cesare, Gaio Giulio, 73, 82, 192 Diodoro Crono, 181 Erodoto, 15, 51, 102, 119, 182, 197, 206 Giunio Rustico, Quinto, 40
Chairon di Pellene, 66, 103 Diogene di Apollonia, 112 Eschine, 63 Giustiniano I, imperatore romano
Charron, Pierre, 215 Diogene di Babilonia, 73 Esiodo, 15, 110, 165, 190 d’Oriente, 102
Cheremone di Alessandria, 190 Diogene di Enoanda, 134, 146, 176, Euclide, 123, 155 Giustino di Nablus, 48, 100, 106, 157,
Cicerone, Marco Tullio, 32,33,36, 37, 206, 207 Eufrate, 89 202, 203, 209
51-53, 70, 73, 83, 84, 86, 99, 103, Diogene di Sinope, 38, 58, 61, 79, Eunapio, 149, 208 Gordiano, imperatore romano, 149,
104, 135, 138-144, 155, 156, 161, 89, 105, 129, 146, 148, 172, 181, Eupoli, 51 197
164, 183, 184, 187, 189, 191, 193, 188, 200, 206 Euripide, 15, 131 Gorgia, 73, 115, 124, 149, 167, 168,
206, 208, 214 Diogene Laerzio, 51, 52, 53, 69, 71, Eusebio di Cesarea, 204, 208 205
Claudio, Tiberio Druso Nerone Ger­ 102-104, 130, 133, 134, 164, 179, Evemero, 200 Gracco, Gaio Sempronio, 184
manico, imperatore romano, 84 181, 183, 198, 206, 218 Gracco, Tiberio Sempronio, 67, 191
Cleante, 46, 70, 71, 128-130, 174, Diogneto, 93 Fabrizio, Gaio Luscino, 185 Gramsci, Antonio, 222, 229
186, 190, 206 Dione di Prusa, 70, 89, 90, 93, 102, Favorino di Arles, 39 Gregorio di Nissa, 158, 159
Clearco di Soli, 128 103, 105, 147, 188 Fedone, 71 Gregorio il Taumaturgo, 204, 209
Clemente di Alessandria, 14, 48, 49, Dione di Siracusa, 63 , 66, 121 Feuerbach, Ludwig Andreas, 221, 229 Gros, Frédéric, 230
54, 100, 106, 158, 159, 200, 203, Dionisio di Siracusa, 56, 58, 63, 66, 121 Ficino, Marsilio, 45, 154
208, 209 Dixsaut, Monique, 229 Filippo di Opunte, 189 Hadot, Pierre, 7-10, 225, 230
Cleomene, 67 Domiziano, Tito Flavio, 86, 89 Filodemo, 82, 127, 130, 134, 150, Heidegger, Martin, 211, 212
Clitomaco di Cartagine, 70, 127 Druso maggiore, 84 164, 183, 207 Hòlscher, Uvo, 229
Colote, 127, 176, 206 Duns Scoto, Giovanni, 212 Filolao di Crotone, 111 Hume, David, 215
276 INDICE DEI NOMI INDICE DEI NOMI 277

Idomeneo, 132 Memmio, Gaio, 135, 136 Perseo di Cizio, 128 Ramo, Pietro (Pierre de la Ramée),
Inwood, Brad, 230 Menedemo, 127 Persio Fiacco, Aulo, 145, 190 212
Ione di Chio, 112 Metrodoro di Lampsaco, 82, 134, Petrarca, Francesco, 214 Rat, Maurice, 228
Ipazia, 72, 101 176 Petronio Arbitro, 104 Regn, Rudolf, 229
Ipparchia, 72 Milziade, 184 Pindaro, 131 Reichenbach, Hans, 211
Ippia di Elide, 73, 120, 165 Minucio Felice, Marco, 54, 159, 202, Pirrone di Elide, 23, 33, 34, 36, 127, Ritter, Joachim, 229
Ippoboto, 179, 181 209 129, 172, 176 Rufino, 46
Ippocrate di Chio, 120, 151 Mitridate, re del Ponto, 67 Pisone, Lucio Calpumio, 82 Rufino di Aquileia, 102, 159
Ippolito di Roma, 158, 201, 209 Mnasea, 69 Pisoni, famiglia, 85
Ireneo di Lione, 47, 54, 158, 201, Momigliano, Arnaldo, 228 Pitagora, 15,45, 48,56, 111, 149, 155, Salonina, Cornelia, 96
202, 209 Monica, madre di Agostino, 160 162, 165, 173, 182, 183, 194, 197, Schmidt, Hermann Josef, 228
Isocrate, 16, 18, 23, 24, 51, 64, 65, Montaigne, Michel Eyquem de, 214, 199-201, 206, 208 Schopenhauer, Arthur, 216
103, 116, 125, 163, 167, 206 215, 228 Pitocle, 133 Scipione Emiliano, Publio Cornelio,
Miiller, Karl Otfried, 218, 228 Platone, 10, 15, 17-27, 29-31, 45, 67, 82, 91, 184
Jaspers, Karl, 226, 230 Musonio Rufo, Gaio, 38, 72, 86, 145 47, 49, 51, 52, 56, 59-64, 66, Senarco, 84
Mys, 71 70-72, 74-77, 79-81, 90, 91, 93, Seneca, Lucio Anneo, 8, 10, 30, 31,
Kierkegaard, Seren Aabye, 225 97, 101-103, 107, 108, 111, 112, 36-39,49,50, 52,53, 78, 80, 84-88,
Nausifane, 175 114, 116-124, 127, 128, 130, 139, 92, 95,103-105, 130, 135, 143-146,
Lacide, 70 Nemesio di Emesa, 159 141, 147, 149, 152-154, 160, 161, 151, 152, 155, 164, 184-188, 202,
Lattanzio, Lucio Celio Firmiano, 159, Nerone, Lucio Domizio, imperatore 163-169, 172, 173, 176, 177, 179, 207, 214, 230
174, 206 romano, 38, 84-86, 143 182, 183, 189-204 , 206-208, 217, Senocrate, 66, 70, 71, 95, 169, 176,
Leonzio, 72, 132 Nerva, Marco Cocceo, imperatore 218, 226 194, 207
Leucippo, 182 romano, 89 Plinio il Giovane, Plinio Cecilio Se­ Senofane, 14, 15, 56, 57, 110, 165,
Lévy, Carlos, 230 Nestle, Wilhelm, 228 condo detto, 90, 105 167, 179, 181, 190, 205
Licone, 68, 69, 103 Nestore, 84 Plotina (Pompeia Plotina Claudia Febe Senofonte, 16, 17, 51, 69, 102, 103,
Licurgo, 184 Nestorio, 158 Pisone), 91 116, 117, 120, 140, 146, 148, 166,
Livia Drusilla Claudia, 84 Nicola di Damasco, 84, 150 Plotino, 9, 41-45, 53, 96, 97, 152-155, 174, 205
Longino, Cassio, 94 Nietzsche, Friedrich Wilhelm, 216- 193, 195-199, 205, 208 Sestio, Quinto, 37
Lucano, Marco Anneo, 190 220, 223, 225, 227-230 Plutarco, 52, 70, 90, 91, 95, 102-105, Sesto Empirico, 33, 34, 52, 53, 104,
Luciano di Samosata, 35, 36, 83, 92, Numenio di Apamea, 194, 195, 208 147, 152, 164, 174, 188, 192, 177- 179, 206-208
96, 105, 148, 178, 188, 206, 207 206-208 Settimio Severo, Lucio, 92
Lucilio il Giovane, 87, 143-145, 185 O ’Flaherty, James C., 228 Polemone, 70, 130, 193, 194 Severiano, 102
Lucrezio Caro, Tito, 29, 52, 134-138, Olimpio di Alessandria, 42 Polibio, liberto, 84, 144 Severo, Claudio, 93, 195
164, 175, 176, 206 Omero, 110, 115, 130, 131, 165, Polibio, storico, 91, 184 Siero di Boristene, 66, 206
Lucullo, Lucio Licinio, 83 189, 190 Policrate, 59, 116 Sigieri di Brabante, 213
Orazio Fiacco, Quinto, 84, 142 Polistrato, 70, 176, 206 Siila, Lucio Cornelio, 67
Maclntyre, Alasdair, 223, 224, 229 Origene, 49, 54, 100, 101, 103, 106, Polluce, 103 Simplicio, 102
Macrobio, Ambrosio Teodosio, 156 157, 159, 160, 203-205, 208, 209 Pompilo, 71 Sinesio, 101
Malebranche, Nicolas de, 211 Ottaviano Augusto, Gaio Giulio Ce­ Popper, Karl Raimund, 211 Siriano, 199
Marcella, moglie di Porfirio, 154 sare, imperatore romano, 82, 84, Porfirio, 28, 42, 45, 53, 96-98, 105, Sirone, 82
Marcellino, 102 91, 92, 100, 150 152-154, 156, 157, 164, 195-200, Socrate, 9, 10, 16-18, 20, 23, 27, 51,
Marcia, figlia di Cremuzio Cordo, 144 205, 208 58-62,68,71, 72, 74,76, 95, 96, 99,
Marcione, 158 Panezio di Rodi, 52, 67, 82, 83, 91, Pòschl, Viktor, 229 116-121, 127, 144, 146, 148, 149,
Marco Aurelio, imperatore romano, 8, 189, 190, 207 Posidonio, 38, 67, 83, 184, 190 155, 157, 166, 167, 169, 172, 176,
10, 40, 41, 53, 91-93, 97, 98, 105, Paolo di Tarso, 47-49, 54, 84, 100, Potamone di Alessandria, 207 178- 182, 185, 188, 191, 192, 200,
145, 148, 157, 185, 207 106, 156, 157 Proclo, 46, 53, 102, 105, 155, 198, 202, 206, 208, 217, 218
Marco, figlio di Cicerone, 142 Parmenide,55,57, 102, 108, 110, 111, 199, 208 Sofocle, 130
Marino, 46, 54, 105, 208 113, 117, 137, 165, 168, 177, 196 Prodico di Ceo, 57, 115, 120 Sofocle di Sunio, 68
Massimo di Efeso, 98, 101 Pausania, 111 Proeresio, 99 Solone, 14, 15, 56, 68, 184
Mecenate, Gaio Cilnio, 84 Peregrino Proteo, 42, 96 Protagora, 16, 57, 114, 115, 119, 120, Sozione di Alessandria, 181-183, |9,s
Melisso di Samo, 55, 102, 170 Pericle, 60, 77 166, 173, 177 Speusippo, 70, 169, 176, 194
278 INDICE DEI NOMI

Stilpone, 181 Timeo, 55, 121


Straberne, 84, 100, 105, 182 Timone di Fliunte, 34, 129, 176,
Stratone di Lampsaco, 68, 69, 126 179
Svetonio Tranquillo, Gaio, 104 Tolomei, dinastia, 183
Swift, Jonathan, 212 Tolomeo, Claudio, 151
Tolomeo Sotere, re d’Egitto, 67
Tacito, Cornelio, 85, 88, 89, 104, 105 Traiano, Ulpio, imperatore romano,
Talete di Mileto, 14, 55, 56, 169, 173, 89, 91
182 Trasea Peto, Publio Clodio, 86, 93
Taziano, 46, 54, 200, 209 Trasillo, 189
Teagene di Reggio, 190 Trasone, 73
Teodorico, re degli Ostrogoti, 155 Tucidide, 15, 51, 119
Temisone, re di Cipro, 65, 125 Tullia, figlia di Cicerone, 139
Temistio, 98
Tempier, Etienne, 213 Valente, Aurelio Valerio, imperatore
Teodoreto di Cirro, 50, 51, 54, 157 romano, 101
209 Valentiniano I, imperatore romano,
Teodoro di Cirene, 166, 200 94, 158
Teodosio I il Grande, imperatore Varrone, Marco Terenzio, 207
romano, 98 Vedio Pollione, Publio, 87
Teodosio II, imperatore romano
d’Oriente, 105, 154
Teofilo di Antiochia, 46, 200, 209
Vespasiano, Tito Flavio, imperatore
romano, 86 f
Virgilio Marone, Publio, 84, 142
Teofrasto, 67, 68, 71, 78, 103, 124, Vittorino, Gaio Mario, 99, 156
126, 128, 150, 171, 173, 176, 182,
191, 199 Williams, Bernard, 212, 227, 228
Teopompo, 65 Wittgenstein, Ludwig, 211
Teramene, 68
Tertulliano, Quinto Settimio Floren- Zenobia, regina di Paimira, 94
zio, 46, 47, 54, 100, 106, 157-159, Zenone di Cizio, 30, 32, 46, 66, 69,
200-202, 208, 209 70, 73, 79, 104, 131, 174, 181,186,
Thibaudet, Albert, 228 189-191, 193, 194, 206
Tiberio, Claudio Nerone, imperatore Zenone di Elea, 108, 164, 178
romano, 189 Zenone di Sidone, 134
finito di stampare nel febbraio 2013
presso Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino
Stampato su carta Arcoprint Milk di Fedrigoni S.p.A.,
prodotta nel pieno rispetto del patrimonio boschivo

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