SULLA NATURA
Introduzione, traduzione, note e commento a cura di Dario Zucchello
PREMESSA
INTRODUZIONE
[sc. ] ,
.,
altri Melisso, Parmenide e Anassagora [lasciarono]
un unico scritto (DK 28 A13),
Sia Melisso sia Parmenide intitolarono i loro scritti
Sulla natura .... E certo in questi scritti trattano non solo di
ci che oltre la natura, ma anche delle cose naturali e per
questo probabilmente non disdegnarono di intitolarli Sulla
natura (Simplicio; DK 28 A14).
L'indagine
Che in effetti tale intestazione potesse risalire a Parmenide
stato sostenuto da Guthrie1, sulla scorta della parodia che ne avrebbe fatto Gorgia con il suo , anche se comune la convinzione che, prima dei sofisti, la designazione di un testo avvenisse attraverso la citazione dellincipit (che
doveva risultare particolarmente incisivo), con l'indicazione del
contenuto, preceduta dal nome dell'autore (sulla prima riga del
testo, analogamente a quanto registriamo nel caso di Erodoto)2.
Il trattato ippocratico Sull'antica medicina riferisce la formula
indentificativa almeno ai testi della met del V secolo
a.C.:
Empedocle e gli altri che scrissero sulla natura
(De prisca medicina cap. 20).
L'espressione
A quali contenuti ci si intendeva riferire con l'etichetta
? Quale significato da attribuire a tale espressione? Secondo Naddaf7, che al problema ha dedicato un'ampia indagine,
con si doveva intendere una storia dell'universo, dalle origini alla presente condizione: una storia che abbracciava nel suo insieme lo sviluppo del mondo (naturale e umano),
dall'inizio alla fine.
In effetti, origini e sviluppo sono etimologicamente implicati
in : nella forma attiva-transitiva , il radicale del sostantivo significa crescere, produrre, generare; in quella mediopassiva-intransitiva , invece, crescere, originare, nascere.
La prima occorrenza del termine , nel libro X dell'Odissea
(303), si registra nell'ambito delle istruzioni (da parte di Hermes
all'eroe) per la preparazione di una pozione efficace (
5
per altro evidente, tuttavia, che quanto Hermes rivela non riguarda semplicemente l'aspetto esteriore, identificativo della pianta,
piuttosto le sue effettive qualit e la costituzione interna da cui
esse discendono. In particolare Hermes si riferisce alla radice, nera, da cui cresce il fiore dal colore opposto, bianco: utilizza il termine, quindi, per denotare non tanto la forma fenomenica, n
propriamente quella che potremmo anacronisticamente definire
l'essenza della pianta, quanto la sua origine (la radice), differente
da quel che appare (il fiore, che ne comunque sviluppo).
In questo senso il termine occorre nelle pi antiche citazioni della sapienza greca:
.
,
Di questo logos che sempre gli uomini si rivelano
senza comprensione, sia prima di udirlo, sia subito dopo
averlo udito; sebbene tutto infatti accada secondo questo
logos, si mostrano privi di esperienza, mentre si misurano
con parole e azioni quali quelle che io presento,
analizzando ogni cosa secondo natura e mostrando come
. Ma agli altri uomini rimane celato [sfugge] quello che
fanno da svegli [dopo essersi destati], cos come sono
dimentichi di quello che fanno dormendo (Sesto Empirico;
DK 22 B1)
.
,
M.L. Gemelli Marciano, Lire du dbut. Quelques observations sur les incipit
des prsocratiques, Philosophie Antique, 7, 2007 (Prsocratiques), pp.
16-17.
9
Ch.H. Kahn, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, Hackett Publishing Company, Indianapolis 1994 (edizione originale 1960), pp. 201-202.
10
Naddaf, op. cit., p. 15.
,
.
,
,
.
.
Alcuni medici e sapienti [sofisti] sostengono che
nessuno possa conoscere la <scienza> medica a meno di
non sapere che cosa sia l'uomo, ma che ci debba
conoscere colui che intenda curare correttamente gli
uomini. Il loro discorso verte dunque sulla filosofia,
proprio come nel caso di Empedocle o degli altri che
scrissero sulla natura: che cosa sia dal principio l'uomo,
come sia stato dapprima generato e come costituito. Io
ritengo che quanto stato scritto da medici e filosofi sulla
natura abbia pi a che fare con il disegno che con la
medicina. Ritengo che in nessun altro modo si possa
conoscere qualcosa di chiaro sulla natura se non attraverso
la medicina (De prisca medicina cap. 20).
11
, .
Non devo parlare di questioni celesti se non per quanto
necessario a mostrare, rispetto all'uomo e a tutti gli altri
viventi, come si sono generati e sviluppati, che cosa sia
l'anima, che cosa la salute e la malattia, che cosa sia cattivo
e buono nell'uomo, e perch muoia (De carnibus 1).
Il passo rivela quelle che dovevano essere le comuni assunzioni (le contro cui polemizza l'Antica medicina) nella tradizione della : lo schema adottato infatti il
seguente: (i) originaria caoticit e indistinzione di tutte le cose;
(ii) processo di discriminazione degli elementi (etere, aria, terra);
(iii) formazione dei corpi. Centrale risulta il parallelo tra formazione dei viventi e formazione del cosmo che deve aver effettivamente costituito un asse portante nella cultura arcaica, sin dalla
produzione teogonica. Ci risulta confermato dall'autore anonimo
del De diaeta:
,
,
Affermo che colui che intenda scrivere correttamente
sul regime di vita dell'uomo deve prima conoscere e
riconoscere la natura di tutto l'uomo: conoscere allora da
quali cose composto dal principio, riconoscere da quali
parti governato. Se non conosce infatti quella composizione originaria, sar incapace di conoscere quanto da
essa generato; se poi non conosce quel che prevale nel
corpo, non sar in grado di prescrivere all'uomo il
trattamento adeguato (De diaeta I, 2)
,
I viventi e tutte le altre cose e anche l'uomo sono
composti da due elementi, l'uno ha il potere di
differenziare, l'altro il temperamento che combina:
intendo il fuoco e l'acqua (De diaeta I, 3)
12
11
, ,
,
,
,
13
12
,
,
Ma nessuno mai vide o sent Socrate fare o dire
alcunch di irreligioso o empio. Egli infatti non si
interessava della natura di tutte le cose, alla maniera della
maggior parte degli altri, indagando come fatto ci che i
sapienti chiamano "cosmo" e per quali necessit si
produca ciascuno dei fenomeni celesti (Senofonte,
Memorabili I, 1, 11).
,
,
14
13
In questo caso, addirittura, abbiamo il privilegio di veder sottolineato dal poeta il nesso tra contemplazione ()
dell'ordine che non invecchia ( ) della natura
immortale ( ) e ricostruzione delle sue modalit
di formazione. A dispetto degli aggettivi coinvolti - e
(di uso omerico ed esiodeo) evidentemente il oggetto d'attenzione l'ordinamento attuale dei fenomeni percepito come il risultato di un processo di composizione (
), e il suo studio non pu prescindere
dall'indagine (speculativa) sulle sue tappe.
Il modello peripatetico
Della la storiografia peripatetica ha certamente fissato il canone interpretativo che ha pesato su tutta la tradizione: nella ricostruzione aristotelica delle origini della filosofia, infatti, si attribuisce alla maggioranza di coloro che per primi
filosofarono (
) la convinzione che principi di tutte le cose ( ) fossero
solo quelli nella forma di materia (
), cos
argomentando:
,
,
,
,
14
, .
, ,
[B 1],
.
,
,
15
.
[...]
Anassimandro [...] afferm linfinito principio e
elemento delle cose che sono, adottando per primo questo
nome di principio. Egli sostiene, infatti, che esso non sia
n acqua n alcun altro di quelli che sono detti elementi,
ma che sia una certa altra natura infinita, da cui originano
tutti i cieli e i mondi in essi: secondo necessit che
verso le stesse cose, da cui le cose che sono hanno origine,
avvenga anche la loro distruzione; esse, infatti, pagano la
pena e reciprocamente il riscatto della colpa, secondo
lordine del tempo [B1]. Cos si esprime in termini molto
poetici. evidente allora che, avendo considerato la
reciproca trasformazione dei quattro elementi, non ritenne
adeguato porre alcuno di essi come sostrato, preferendo
piuttosto qualcosaltro al di l di essi. Egli poi non fa
discendere la generazione dalla alterazione dellelemento,
ma dalla separazione dei contrari, a causa del movimento
eterno [...] (Simplicio; DK 12 A9).
).
Le osservazioni di Teofrasto documentano quindi, agli albori
dell'indagine , un'attenzione che non si esaurisce nella
determinazione della materia originaria (secondo l'interpretazione
16
, ,
, ,
.
.
Gli antichi, che per primi filosofarono intorno alla
natura, indagarono, circa il principio materiale e la causa
siffatta, che cosa e quale fosse, e in che modo da questa si
generasse l'intero, e da che cosa <si generasse> il
movimento, ad esempio dall'odio o dall'amore, o
dall'intelletto, o dal caso, poich la materia sostrato ha una
certa siffatta natura per necessit, ad esempio calda quella
del fuoco, fredda quella della terra, una leggera, l'altra
pesante; in questo modo, infatti <questi principi>
generano anche il cosmo. (Aristotele, Le parti degli
animali, 640 b4-12. Traduzione di A. Carbone, BUR
Rizzoli, Milano 2002).
15
16
17
);
);
Parmenide e la
Tornando ora alla titolazione del Poema parmenideo, le testimonianze di coloro che hanno contribuito a trasmetterne citazioni
sopra tutti Sesto Empirico e Simplicio (il secondo molto probabilmente disponeva di copia dell'opera, il primo plausibilmente)
sono univoche nell'attribuirgli l'intestazione . Abbiamo gi letto le affermazioni di Simplicio (
Parmenide nella
Prescindendo dagli inquadramenti della produzione per noi
frammentaria di Gorgia e Ippia, alla collocazione e al ruolo di
Parmenide nel quadro della sapienza antica pens per primo Platone. Delineando in un lungo passo del Sofista (242 b6-251 a4),
che costituisce indubbiamente l'antecedente diretto della disamina
18
Mi sembra che con leggerezza si siano rivolti a noi
Parmenide e tutti coloro che a un certo punto si sono
impegnati a determinare gli enti: quanti e quali enti
esistano (242 c4-6).
,
,
,
Mi sembra che ognuno racconti una storia, come
fossimo bambini: l'uno [racconta] che gli esseri sono tre,
alcuni di essi talvolta sono in qualche modo in lotta
reciproca, talvolta al contrario, diventano amici, si
sposano, fanno figli e procurano nutrimento alla progenie;
un altro, invece, sostiene che [gli esseri] sono due - umido
17
19
,
da noi la stirpe eleatica - che ha avuto inizio da
Senofane e anche prima riferisce le proprie storie
secondo cui ci che chiamato "tutto" [tutte le cose] non
che un solo essere (Sofista 242 d5-6).
,
.
,
probabile che la genealogia sfumata del gruppo eleatico (
) fosse motivata dall'intenzione di accentuare
la "profondit" (l'antichit) della dottrina di Parmenide in direzione delle
origini. Su questo il commento di F. Fronterotta in Platone, Sofista, a cura di
F. Fronterotta, BUR Rizzoli, Milano 2007, p. 341-342.
19
Palmer, op. cit., pp. 191-192.
18
20
Tu [Parmenide], infatti, nel tuo poema affermi che il
tutto [l'universo] uno, e porti prove di ci in modo
brillante ed efficace; questi [Zenone], invece, sostiene che
i molti non esistono, e anche lui porta prove molto
numerose e consistenti. Il primo dice quindi che esiste
l'uno, l'altro che i molti non esistono: cos ciascuno parla
in modo che sembri che non sosteniate alcunch di simile,
mentre in realt affermate le stesse cose,
e le altre [dottrine] che i vari Melissi e Parmenidi
propongono con convinzione, opponendosi a tutti costoro
[i sostenitori della dottrina del flusso universale], secondo
cui tutte le cose sono uno e questo rimane stabile in se
stesso, non avendo luogo in cui muoversi.
,
,
21
,
Se allora un intero, come sostiene anche Parmenide:
da tutte le parti simile a massa di ben rotonda palla,
a partire dal centro ovunque di ugual consistenza:
necessario infatti che esso non sia in qualche misura di
pi,
o in qualche misura di meno, da una parte o
lllt,
essendo tale ci che avr un centro e dei limiti
estremi, e, avendoli, necessariamente avr parti,
e che il Timeo sembra esplicitare21, riferendo l'opera di produzione del cosmo da parte del demiurgo:
.
,
,
,
,
.
.
,
, ,
,
,
.
-
-
E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma
la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s
21
Secondo le indicazioni di Palmer (op. cit., pp. 193 ss.) sulla concentrazione di
termini parmenidei nel dialogo.
22
22
23
Eccentricit di
Parmenide
nella
,
.
Da queste cose possibile intendere a sufficienza il
pensiero degli antichi che sostenevano la pluralit di
elementi della natura. Ci sono poi coloro che parlarono del
tutto [dell'universo] come di un'unica natura, ma non tutti
allo stesso modo, n per convenienza n per conformit
alla natura (986 b8-12).
Ivi, p. 21.
24
,
)
.
Una discussione intorno a costoro esula dallesame
attuale delle cause: essi, infatti, non parlano come alcuni
dei naturalisti, i quali, posto lessere come uno, fanno
comunque nascere [le cose] dalluno come da materia;
essi parlano, invece, in altro modo. Mentre quelli, in
effetti, aggiungono il movimento, facendo nascere il tutto
[luniverso], questi, al contrario, sostengono che [il tutto]
sia immobile. Almeno quanto [segue], tuttavia,
appropriato alla presente ricerca (986 b12-18).
, ,
, ,
,
.
,
,
,
27
25
26
(
)
.
,
Coloro, dunque, che fin dallinizio aderirono
completamente a tale tipologia di ricerca e sostennero che
uno solo il sostrato, non si resero conto di questa
difficolt, ma alcuni di coloro che affermano tale unicit,
quasi sopraffatti da questa ricerca, sostengono che luno
immobile e che lo anche la natura nel suo complesso,
non solo rispetto a generazione e corruzione - questa ,
infatti, [convinzione] antica, su cui tutti concordavano -,
ma anche rispetto a ogni altro genere di mutamento.
Questa loro peculiarit. A nessuno, pertanto, di coloro
che affermarono che il tutto [luniverso] uno capitato
di scoprire tale tipologia di causa, tranne, forse, a
Parmenide, e a costui nella misura in cui pone non solo
luno, ma anche che le cause sono in un certo modo due.
significativo che, illustrando queste affermazioni di Aristotele nel proprio commento (in Metaphys. , 3 984 b3), Alessandro
di Afrodisia citi Teofrasto:
.
(
[ ] )
.
27
,
,
, ,
.
Venuto dopo costui (si riferisce a Senofane),
Parmenide - figlio di Pyres, da Elea - percorse entrambe le
strade. Dichiara infatti che il tutto eterno, e cerca anche
di spiegare la generazione degli enti, pur non affrontando
entrambe allo stesso modo: piuttosto sostenendo, secondo
verit, che il tutto uno e ingenerato e di aspetto sferico;
ponendo invece, secondo lopinione dei molti allo scopo
di spiegare la generazione dei fenomeni [delle cose che
appaiono] - che i principi siano due, fuoco e terra, l'una
come materia, l'altro come causa e agente (DK 28 A7).
29
G. Colli, La sapienza greca, Vol. II, Milano 1978, Adelphi, p. 247. Teofrasto,
in effetti, prospetta Parmenide discepolo di Senofane - come riferiscono
Diogene Laerzio (IX, 21, DK 28 A1), e i commentatori aristotelici
Alessandro e Simplicio (DK 28 A7) - e di Anassimandro (secondo quanto
attesta sempre Diogene Laerzio), associandolo poi a Empedocle ammiratore ( ) e imitatore ( ) di Parmenide (DK 28 A9) e Leucippo - unito a Parmenide nella filosofia (
, DK 28 A8).
28
29
insieme (
), ad affermarne la divinit (
).
Ribadendo un giudizio di valore gi espresso nel Teeteto platonico (183e), lo Stagirita registra l'acutezza del contributo di
Parmenide, a dispetto della sua eccentricit rispetto al focus "aitiologico". Messi da parte Melisso e Senofane come un po troppo grossolani ( ), egli infatti sottolinea:
,
,
,
(
),
,
,
, ,
.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere
(986 b27-987 a1).
,
.
,
< >,
,
(Parmen. B 1, 29. 30)
.
,
;
.
[Parmenide] non elimina alcuna delle due nature, ma a
ognuna conferendo ci che le proprio, pone l'intelligibile
nella classe dell'uno e dell'essere, definendolo "essere" in
quanto eterno e incorruttibile, e ancora uno per
uguaglianza a se stesso e per non accogliere differenza; il
sensibile invece in quella di ci che disordinato e in
mutamento. Il criterio di ci possibile vedere: il cuore
preciso della Verit ben convincente, che raggiunge
l'intelligibile e quanto sempre nelle medesime
condizioni, e le opinioni dei mortali in cui non vera
certezza [B1.29-30], perch esse sono congiunte con
cose che accolgono ogni forma di mutamento, di affezioni
e disuguaglianze. Come avrebbe potuto allora conservare
sensazioni e opinione, non conservando il sensibile e
31
32
,
.
,
Dal momento che ricerchiamo i principi e le cause
supreme,
evidente
come
esse
riguardino
necessariamente una certa natura [realt] in quanto tale. Se
dunque coloro che ricercano gli elementi delle cose
ricercavano questi principi, necessario che fossero anche
gli elementi dell'essere non per accidente ma in quanto
essere. Per questo motivo dobbiamo comprendere le cause
prime dell'essere in quanto essere (Metafisica IV, 1 1003
a26-32).
33
, Metafisica IV, 3 1005 a3233), intendendo quindi la natura come una totalit omogenea
(dal punto di vista dell'essere), cui ineriscono determinate propriet riconducibili a principi universali.
Ritenendo cos che e
coincidessero, che la
cio costituisse tutta la realt, quei fisici avrebbero manifestato interesse per gli assiomi ( ), i principi pi generali
di tutti, quelli che appartengono a tutti gli enti (
), la cui discussione non di competenza dello specialista (che si limita ad applicarli) ma appunto della ricerca del filosofo ( [ ]). Il riferimento indeterminato ed stato precisato in modo diverso dagli interpreti: noi riteniamo che esso coinvolga direttamente Eraclito (per la riflessione
sul logos) e in particolare Parmenide, soprattutto in considerazione del lessico dei frammenti B2 e B8. Un lessico che effettivamente sembra istituire la riflessione ontologica, sia con l'analisi
dei segni ( ), delle propriet che manifestano
, sia
con l'insistenza sulla reciproca implicazione di verit ed essere.
34
consideriamo comunque anche coloro che prima di noi
hanno proceduto alla ricerca intorno agli enti e hanno
filosofato intorno alla verit (Metafisica I, 3 983 b1),
,
,
( )
.
.
Coloro che per primi hanno ricercato secondo
filosofia, indagando la verit e la natura degli enti, furono
sviati come su una certa altra strada, sospinti
dall'inesperienza: essi sostennero che delle cose che sono
nessuna si generi o si distrugga, poich ci che si genera
origina o da ci che o da ci che non ; ma ci
35
35
36
,
.
,
A partire dunque da questi ragionamenti, e spingendosi
oltre la sensazione e ignorandola, dal momento che si
dovrebbe seguire il ragionamento, alcuni dicono che il
tutto [l'universo] uno, immobile e infinito: il limite,
infatti, confinerebbe con il vuoto. Costoro, dunque, in
questo modo e per queste ragioni si sono espressi sulla
verit: ora, alla luce dei ragionamenti sembra che queste
cose accadano cos; alla luce dei fatti, invece, il pensare
cos sembra quasi follia (Aristotele, De generatione et
corruptione I, 8 325 a13ss.).
Qui Aristotele stigmatizza, per la sua paradossalit (sintomatico il riferimento alla follia), una forma di razionalismo eleatico39 che, nel riferimento all'infinito, appare sostanzialmente melissiano40: il contributo all'indagine sulla verit scaturisce da una
38
39
37
ricerca volta alla comprensione della realt naturale nel suo insieme ( ). Una ricerca, dunque, a un tempo "ontologica" ed
"epistemologica" (in senso lato), nella misura in cui la determinazione della realt genuina dipende da considerazioni di ordine
gnoseologico (delineate nella contrapposizione
).
Ora, nei frammenti parmenidei non mancano indizi (come rivelano le letture antiche) della possibilit che l'espressione
38
45
39
, .
,
Ora necessario che tutto tu apprenda:
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale
credibilit.
Nondimeno anche questo imparerai: come le cose
accolte nelle opinioni
era necessario fossero effettivamente, tutte insieme
davvero esistenti (B1.28b-32).
La Dea sottolinea il proprio impegno a (i) rivelare la realt genuina ( ), tradizionale appannaggio divino, e (ii) denunciare le infondate (senza reale credibilit, ) opinioni
dei mortali ( ), in ci riflettendo il canonico pessimismo sulla condizione e comprensione umana che aveva trovato
espressione nella poesia e nella sapienza antica:
,
[ ,
.]
,
40
.
,
.
Per questo io ti dico e tu ascolta e comprendi:
nulla pi inconsistente dell'uomo tra tutte le cose
che nutre la terra, e sulla terra camminano e si
muovono.
Egli sostiene che nulla di male mai gli accadr,
fin quando gli dei concedono forza e le membra sono
in movimento.
Quando invece gli dei beati infliggono anche dolori,
pure questi sopporta, suo malgrado, con animo
paziente.
Tale la comprensione degli uomini che vivono sulla
terra,
quale il giorno che manda il padre degli dei e degli
uomini (Odissea XVIII, 129-137)
,
il mortale deve pensare cose mortali, non cose
immortali (Epicarmo, DK 23 B20)
soltanto dio conosce la verit, a tutti dato solo
opinare (Senofane, DK 21 A24).
a dispetto dell'inaffidabilit delle correnti opinioni mortali, possibile delinearne una sintesi compatibile con la lezione di verit
della prima istruzione.
Difficile credere che Parmenide non fosse in qualche misura
convinto della bont del punto di vista espresso negli attuali
frammenti B9-B1246, ovvero della tracciatavi,
anche perch i rilievi del testo richiamano puntualmente i divieti
di B2-B8:
,
,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).
Discorso
verosimile
affidabile
ordinamento
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando che pu
ingannare (B8.50-2).
46
42
43
(a) del contributo scientifico47 (prevalentemente in campo cosmologico48) riconosciuto a Parmenide nellantichit: ancora una
volta interessante soprattutto il fatto che Teofrasto (DK 28 A44)
gli attribuisse la scoperta della sfericit della Terra:
,
[Phys. Opin.
17] ,
[in riferimento a Pitagora] ma fu anche il primo a
chiamare il cielo cosmo e la terra sferica; per Teofrasto fu
invece Parmenide, per Zenone Esiodo,
e che altre fonti risalissero allEleate per osservazioni sulla identit di Espero e Lucifero (DK 28 A40a):
.
,
,
,
,
Parmenide pone come primo nell'etere Eos, lo stesso
da lui chiamato anche Espero; dopo di esso pone il Sole,
sotto questo, nella parte ignea che chiama cielo, gli astri,
47
44
,
,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).
45
49
50
46
, ,
-
-
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale
(B8.15b-18),
Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere,
n disperdendosi completamente in ogni direzione per
il cosmo,
n concentrandosi (B4).
In questo secondo caso, la costante presenza dell'essere giustapposta alla presenza-assenza degli enti, prefigurando l'opposizione tra l'immutabile presente dell'uno:
,
,
,
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo (B8.5-6a)
47
Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose
ebbero origine e ora sono,
e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine (B19.1-2).
Ci pu suggerire che i due momenti del discorso divino riflettano l'originale rielaborazione parmenidea della tensione, implicita nella cultura delle origini, tra la dimensione temporale delle cose in divenire (
, le cose
che sono, le cose che sono state e le cose che saranno, Iliade I,
70) e quella peculiare alla concezione arcaica del divino (
, dei che sono sempre, Iliade I, 290)51.
La distinzione ben delineata nei frammenti trditi, come abbiamo visto, quella tra:
(i) la certezza ( ) che scaturisce dal giudizio razionale su
:
(ii) la verosimiglianza del resoconto cosmologico, che pur legittimato dalla parola divina:
,
Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti (B8.60-1)
Ivi, p. 102.
48
,
Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti
i segni e della pura fiamma dello splendente Sole
le opere invisibili e donde ebbero origine,
e le opere apprenderai periodiche della Luna
dallocchio rotondo,
e la [sua] natura (B10.1-5a),
,
,
,
(
),
,
,
, ,
.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere.
La lettura aristotelica suggerisce, infatti, che l'oggetto apparentemente diverso - delle due sezioni del Poema sia in verit identico, sebbene prospettato secondo differenti modalit gnoseologiche: secondo ragione (
) e secondo sensazione (
). Una considerazione puramente razionale
fa emergere la realt (naturale) come uno-tutto; il riferimento
all'esperienza manifesta la pluralit dei fenomeni: nel primo caso
il livello di astrazione fa perdere di vista i connotati fenomenici e
risaltare i tratti di fondo della realt; nel secondo l'urgenza di dar
conto dei fenomeni spinge all'individuazione di efficaci principi
esplicativi. Come non possibile parlare di due oggetti diversi,
cos non pu sfuggire nei frammenti il tentativo di Parmenide di
ripensare il problema dei principi in termini ontologici, attribuendo cio ai principi alcune caratteristiche dei segni di
:
, ,
, ,
,
50
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri: da una parte, della
fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero, a se stesso in ogni direzione
identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (B8.55-9)
,
,
,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).
52
51
53
52
53
a proposito del primato di Eros), tre volte nel Sofista (237a e 258d
a proposito del parricidio; 244e a proposito della struttura e indivisibilit del Tutto). Aristotele, a sua volta, replica la descrizione del Tutto gi citata da Platone (Fisica 207 a18), cita il verso su
Eros (Metafisica 984 b26) e trascrive l'attuale frammento 16 (Metafisica IV, 5 1009 b22). Lultima citazione della prima "esistenza
postuma" del Poema in Teofrasto, che riprende tre volte il fr. 16
(in una versione diversa da quella aristotelica). probabile che le
citazioni del frammento 8 nello pseudo-aristotelico Su Melisso,
Senofane e Gorgia e in Eudemo derivino da Platone57.
Dopo un lungo silenzio - segnale, secondo Cordero58, non propriamente di scomparsa del testo parmenideo, piuttosto di mancato utilizzo - il platonico Plutarco (I secolo d.C.) torna a fare
uso abbondante dei frammenti del poema, aprendo di fatto la seconda stagione dattenzione per l'opera - la pi ricca di citazioni
testuali - che dura fino a tutto il VI secolo. Caratteristica di questa
fase il ricorso al Poema non per illustrare la posizione dell'autore, ma per confermare o chiarire il tema oggetto di analisi da parte
dei commentatori: probabile che le citazioni non siano di prima
mano, ma dipendano in gran parte da Platone, Aristotele e Teofrasto.
A Simplicio, lultimo autore conosciuto che abbia usato un
manoscritto dellintera opera di Parmenide 59 , dobbiamo la citazione (in gran parte come unica fonte) dei due terzi dei 160 versi
trditi del poema: egli cita estensivamente anche perch consapevole della rarit del testo gi nella sua epoca (clamorosamente
quella in cui aumenta il numero di autori che direttamente o indirettamente citano Parmenide: Damascio, Filopono, Asclepio, Boezio, Olimpiodoro60):
,
57
54
anche a costo di sembrare insistente, vorrei aggiungere
a questi miei appunti i non molti versi di Parmenide
sull'essere uno, sia per il credito delle cose da me dette, sia
per la rarit dello scritto parmenideo (DK 28 A21).
Cordero giudica molto probabile sulla scorta del lavoro filologico di Diels l'utilizzazione da parte di Proclo (V secolo) e
Simplicio (VI secolo) di due differenti versioni del poema di
Parmenide 61 . Damascio (V-VI secolo d.C.) cita sulla scorta del
commento perduto di Giamblico (III-IV secolo d.C.) al Parmenide platonico. Altri autori antichi (V e VI secolo d.C.) come Ammonio, Filopono, Olimpiodoro e Asclepio potrebbero non aver
avuto la possibilit di accedere direttamente a copia dellintero
poema62.
61
55
Fonti attiche
Possiamo supporre che le fonti del primo gruppo abbiano avuto accesso a copie del poema: secondo Passa 64, si pu facilmente
dimostrare, tuttavia, che in molti casi esse citano a memoria, ma
probabile che sfruttassero anche la prima sistemazione del materiale presocratico a opera dei sofisti. Si ritiene, infatti, che Platone
e Aristotele ricorressero alle selezioni approntate nella seconda
met del V secolo a.C. da Ippia (che nella sua aveva estratto, messo in relazione e commentato tesi presenti in opere
poetiche e in prosa65) e Gorgia (che, a sua volta, aveva estrapolato
dalla prima produzione filosofica enunciati teorici che potevano
essere organizzati per contrapposizioni, cos sottolineando gli insolubili contrasti tra filosofie: un'impostazione che certamente ha
lasciato tracce ancora nelle opere ippocratiche, in Senofonte e Isocrate). Platone e Aristotele, che rivelano nelle loro opere di
combinare i due approcci, pur avendo modo di consultare direttamente almeno una parte delle opere attribuite ai primi filosofi,
sarebbero stati comunque condizionati dagli schemi sofistici nella
loro lettura66.
Se plausibile, dunque, che le nostre fonti pi antiche - Platone, Aristotele e i suoi discepoli Teofrasto e Eudemo - avessero
accesso a copie dellintero poema, tuttavia significativo che Teofrasto e Eudemo non siano fonti primarie dei versi che citano e
che lo stesso Aristotele citi (3 volte su 4) probabilmente sulla
scorta dei dialoghi platonici (per altro poco accurati nel riportare
il testo parmenideo)67. La disponibilit, inoltre, di differenti versioni dello stesso frammento (B16) in Aristotele e Teofrasto pu
essere indizio dellesistenza, gi nel IV secolo a.C., di almeno due
distinte tradizioni manoscritte. Nonostante sia praticamente impossibile per noi risalire oltre la redazione attica del poema pos64
Ivi, p. 25.
J.-F. Balaud, Hippias le passeur, in La costruzione del discorso filosofico
nellet dei Presocratici, a cura di M.M. Sassi, Edizioni della Normale, Pisa
2006, pp. 288 ss..
66
J. Mansfeld, Sources, in The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, cit., pp. 26-27.
67
Ivi, pp. 2-3.
65
56
seduta dall'Accademia e dal Peripato, dunque almeno ipotizzabile discriminare al suo interno tra il testo usato (o citato a memoria) da Platone e Aristotele e quello usato da Teofrasto. N, come
abbiamo in precedenza segnalato, si pu escludere che redazioni
alternative autonome siano sopravvissute nella tradizione pi tarda68.
La recente ricerca linguistica69 sottolinea come Platone citi da
una versione gi in parte "atticizzata" del Poema, che aveva dunque sopportato interventi simili a quelli operati (nello stesso periodo) sul testo omerico: modificazioni del vocalismo e introduzione di aspirazioni (in origine il testo doveva essere psilotico). Il testo riportato da Platone nel complesso accurato, sebbene, secondo Passa, proprio a Platone si possa far risalire la spiccata
propensione a interpretarlo, che diventer poi norma per i neoplatonici, con conseguenti gravi alterazioni nelle loro redazioni. Da
Platone e dalla sua scuola deriver, fino a Proclo, quella tradizione "accademica" da cui tratta la maggioranza delle citazioni del
Poema disponibili.
In considerazione di quanto sopra osservato, plausibile che
Aristotele, a sua volta, dipenda da Platone, mentre Teofrasto potrebbe aver attinto da fonte alternativa: dalla ricerca dell'allievo
di Aristotele che si sarebbe formata, in ambiente peripatetico, la
tradizione "dossografica", quella delle fonti che derivano le proprie citazioni da compilazioni 70.
68
57
Fonti ellenistico-romane
Plutarco (esponente di punta della Media Accademia) il primo autore, dopo il lungo silenzio dell'et ellenistica, a citare passi
del Poema: gli attuali frammenti B1.29-30, B8.4, B13, B14, B15
hanno Plutarco come fonte; degli ultimi due egli la nostra unica
fonte. Sebbene dichiari di ricorrere ad appunti ( ), alcune varianti di testo fanno supporre che egli citi da fonti attendibili 71. probabile attingesse a una tradizione vicina o identica a
quella "accademica" (le sue citazioni presentano coincidenze con
varianti trasmesse da Proclo), prima, tuttavia, delle alterazioni intervenute nella successiva tradizione neoplatonica. La redazione
plutarchea di B1.29, infatti, coincide con quella di Sesto Empirico
e Diogene Laerzio, ed alternativa a quelle di Proclo e Simplicio72. Indicativo della validit della fonte plutarchea soprattutto
il caso di B13 (trasmesso anche da Platone, Aristotele, Sesto Empirico, Simplicio, Stobeo): Plutarco l'unico testimone in grado
di menzionare chiaramente soggetto e contesto del frammento,
con l'indicazione della sezione cui la citazione apparteneva (un
unicum nelle fonti)73.
Dimestichezza con il Poema, secondo Coxon 74 , mostrerebbe
nel complesso Clemente Alessandrino (per noi fonte pi antica di
quasi tutto ci che cita75: B1.29 s., B3, B4, B8.3 s., B10), ma il
fatto che di B8.4 egli sia l'unico a riportare la variante
(nella dossografia impiegata per sottolineare l'accordo di Parmenide con Senofane) - dove Simplicio presenta - fa suppore, nella ricezione del testo, un condizionamento da parte di
58
versioni dossografiche. Pi recisa la valutazione di Passa 76, secondo cui gli atticismi delle citazioni rivelerebbero come Clemente lavorasse su un testo fortemenete modificato, di fonti atticizzate. Il livello di corruttela farebbe escludere (contro l'ipotesi di Coxon) la disponibilit di copia integrale del Poema.
La ricerca di Passa ha evidenziato la peculiarit del contributo
di Sesto Empirico nella storia del testo del Poema: egli sarebbe, in
effetti, il solo a conservare nelle proprie citazioni tracce di una
tradizione testuale alternativa a quella attica 77. In particolare Sesto - cui dobbiamo anche la citazione di B7.2-7 e B8.1-2) l'unica fonte del Proemio (B1.1-30) e una sua interpretazione allegorica: in genere si afferma che esse dipendano da fonte intermedia,
probabilmente di ambiente vicino a Posidonio, ma lo studioso italiano ha avanzato l'ipotesi che Sesto abbia utilizzato fonti diverse
per il testo del proemio e per la sua parafrasi78. Questa dipenderebbe effettivamente da commento stoico; nel caso del testo del
Proemio, tuttavia, Sesto l'unico a conservare traccia dell'antica
redazione psilotica del poema: probabile, dunque, che egli disponesse di una buona copia del Proemio, verosimilmente da esemplare di tutto il poema79. Che Sesto (ovvero la sua fonte) possa
aver attinto a una terza tradizione testuale, ipotesi che anche
Cordero80 avanza, sebbene la citazione di B1.29-30 in tre lezioni
differenti non ne possa costituire prova conclusiva. A tradizione
testuale molto vicina a quella sestana (quindi non attica), potrebbe
aver attinto anche Diogene Laerzio, che fornisce identica redazione di B1.29 e, con Sesto, una buona porzione di B7 (vv. 3-5)81.
Fonti neoplatoniche
La prima fonte neoplatonica ovviamente dopo lo stesso Plotino (III secolo d.C.), che cita solo di passaggio frammenti isolati:
76
59
82
60
Ivi, p. 36.
Coxon, op. cit., p. 6.
91
Passa, op. cit. p. 40.
92
Ibidem.
93
Ivi, pp. 41-43.
90
61
tra i versi si riferisce un passo in prosa come dello
stesso Parmenide, che dice cos: per questo ci che raro
anche caldo, e luce e morbidezza e leggerezza; per la
densit invece il freddo indicato come oscurit, durezza
e pesantezza.
Dopo B8.57, evidentemente, nella copia utilizzata da Simplicio, uno scolio era stato incorporato (da un copista che non si era
reso conto trattarsi di , di un passo in
prosa) all'interno del testo del Poema. Il commentatore, tuttavia,
nel citare il passaggio, non sembra preoccuparsene, riferendolo
sostanzialmente allo stesso Parmenide ( )!
Whittaker94 ne ha inferito che: (i) l'esemplare simpliciano del Poema doveva presentarsi come the product of unintelligent transcription from an annotated source; (ii) la competenza del commentatore (che non si avvede dell'inquinamento del testo) in relazione al testo parmenideo doveva essere discutibile. Una valutazione che dovrebbe far riflettere sulla problematica situazione testuale del Poema, soprattutto accreditando l'ipotesi di Deichgrber95 che tutta la copia di Simplicio fosse corredata di scolii.
Passa ha proposto un'interessante spiegazione dell'atteggiamento del commentatore neoplatonico: il mancato allarme di
fronte all'inserto in prosa nel corpo esametrico del Poema deriverebbe dalla piena assimilazione del quadro proposto nel Sofista
platonico (237a):
94
62
.
,
,
,
,
,
[B7.1-2]
Questo discorso ha osato ammettere che il non essere
sia: il falso, in effetti, non potrebbe darsi diversamente. Il
grande Parmenide, invece, caro figliolo, a noi che
eravamo ragazzi testimoniava contro ci dall'inizio alla
fine, ribadendo ogni volta, nelle sue parole e nei suoi
versi, che:
Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero.
Platone documentava una pratica di insegnamento in cui si intrecciavano la memorizzazione dei contenuti fondamentali del
Poema, l'esposizione dettagliata del maestro, l'approfondimento e
il chiarimento di temi attraverso la comunicazione di informazioni supplementari96: possibile che in tal modo egli recuperasse un
modello effettivamente operante in ambito eleatico 97. Non va inoltre dimenticato che, proprio a partire da questa "testimonianza" platonica, nella tradizione tarda (come attesta Suda, X secolo)
si diffuse la convinzione che Parmenide avesse composto, oltre al
Poema, anche opere in prosa:
,
. [...]
,
96
97
63
Non sorprender, quindi, che Simplicio, poco avveduto sul piano filologico, potesse frettolosamente ricondurre l'inserto in prosa a commento dello stesso autore. Queste considerazioni contribuiscono a ridimensionare la fiducia nell'attendibilit dell'attestazione simpliciana, che Passa98 giudica fondamentale ma sopravvalutata:
[Simplicio] mancava infatti sia della capacit di
inquadrare correttamente Parmenide nel suo vero contesto
storico-culturale, sia di strumenti critici in grado di
smascherare i vizi dell'esemplare in suo possesso.
98
99
64
100
65
BIBLIOGRAFIA
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Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F. Marcacci, Aguaplano, Perugia
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M.-L. Desclos et F. Fronterotta, Armand Colin, Paris 2013
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74
PARMENIDE
SULLA NATURA
Frammenti
testo greco e traduzione italiana 1
DK B1
,
2
[5]
,
< 3
-,
N
5
[10]
,
[1
.
,
Diels-Kranz (ma non Diels nella sua originaria edizione del poema
parmenideo, 1897) accolgono la correzione (Stein, 1867) del genitivo
nel nominativo
del codice N,
(codici EL).
4
Scegliamo, seguendo Diels, di considerare
nome proprio della divinit,
cos come nel caso del successivo .
5
Il genitivo
dei codici stato emendato in
da Karsten e il
da Diels.
6
La forma pronominale greca
evoluzione dell'accusativo plurale di
terza persona in uso nell'epica arcaica (
) all'interno della aedica ionica: la
presenza della forma in Parmenide considerata notevole da Passa (pp. 99-100).
7
La forma
degli editori moderni: nei codici
.
76
,
8
11
[25]
[20]
12
13
10
77
15
18
14
16
-,
17
19
20
13
I codici LE riportano
; N riproduce
; i codices deteriores . Come
osserva J. Palmer (Parmenides & Presocratic Philosophy, O.U.P., Oxford
2009, p. 378): the postpositive connective is required here. La presenza di
nei codici si giustifica probabilmente per l'eco quasi letterale del v. 1,
che pu aver confuso i copisti: i codici, infatti, riproducono per B1.1 la
stessa lezione data in B1.25 (Passa, p. 59). Passa fa tuttavia osservare come
il passaggio da un originale
(nella scriptio continua dei codici) al
della copia non sia facilmente spiegabile, mentre pi naturale ipotizzare
che, meccanicamente,
sia stato reso come
. probabile che il copista
di N abbia corretto (come ha fatto in altri punti) il testo che aveva di fronte
(
), allineando la lezione dei versi 1 e 25, ovvero rilevando una sintassi
difettosa: introducendo l'aspirazione, l'originale
sarebbe stato copiato
appunto come
. Secondo Passa, probabile invece che la tradizione di
Sesto Empirico riportasse
, da rendere come
, senza aspirazione:
sarebbe forma normalizzata di
(congiunzione
seguita dal
pronome relativo senza aspirazione), che conserverebbe traccia di psilosi,
la mancanza di aspirazione, comune nel dialetto ionico in cui il poema fu
originariamente composto. A conferma lo studioso italiano porta, sempre nel
proemio, il caso di
del v. 20, conservato dai migliori codici
di Sesto Empirico (NLE), in luogo della forma aspirata
, da
attendersi. possibile, dunque, che la redazione del proemio da cui discende
la tradizione sestana fosse psilotica.
14
Scegliamo, a differenza degli altri editori, di considerare
nome proprio,
coerentemente con il contesto divino.
15
La scelta della maiuscola solo di alcuni editori.
16
Secondo M.E. Pellikaan-Engel, Hesiod and Parmenides. A new view on their
cosmologies and on Parmenides Proem, Hakkert, Amsterdam 1974, p. 59,
l'uso della minuscola in questo caso sarebbe legittimo, in quanto non ci
troveremmo di fronte alla nozione concreta di
incontrata al v. 14.
17
Un caso di metatesi:
forma epica da
. L'epica conosce anche la
forma pi antica
(Passa, p. 77-9).
18
interessante segnalare che in questo caso, nelle vecchie edizioni (Diels
1897; Diels-Kranz), il testo greco riportava il maiuscolo
,
evidentemente classificando Verit tra le rappresentazioni divine. In
considerazione della posizione - che, seguendo Passa (p. 53), si potrebbe
definire di ipostasi divina - riconosciutale anche in B2.4, reintroduciamo
la maiuscola iniziale. La stessa scelta stata compiuta da Gemelli Marciano
(II, p. 12).
78
[30]
22
.
,
21
23
19
Degli ultimi versi del proemio abbiamo, oltre a quella (vv. 1-30) di Sesto
Empirico, diverse citazioni: Simplicio cita 28b-32 nel commentario al De
Caelo aristotelico; Diogene Laerzio cita 28b-30, mentre Plutarco, Clemente
di Alessandria, Proclo e ancora Sesto (nella discussione) citano 29-30. Il
testo di Simplicio riporta
(ben rotonda), accolto da Diels in
forza della qualit e interezza (presunte) del manoscritto di Simplicio. Il
filologo tedesco stato in passato seguito (tra gli altri) da Untersteiner,
Guthrie, Tarn, Hlscher, e oggi da Cordero, Reale, Cerri, Ferrari, Tonelli,
Palmer. I manoscritti ellenistici (quello di Plutarco, Sesto Empirico e
Diogene Laerzio), tuttavia riportavano
(che viene tradotto come
ben convincente), che i pi (tra gli altri Mansfeld, Mourelatos, Coxon,
Conche, O'Brien, Gallop, Curd, Gemelli Marciano, Passa) preferiscono. Solo
Proclo usa
(risplendente), poco attendibile. Come in altri casi,
si rivelata decisiva la convinzione della affidabilit della redazione di
Simplicio. Passa certamente colui che, con maggiore acribia, ha
argomentato, in tempi recenti, la propria opzione (pp. 55 ss.), tra l'altro
all'interno di una ricostruzione delle tradizioni testuali del poema che mette
in discussione proprio l'affidabilit della versione di Simplicio, che
risentirebbe pesantemente di adattamenti platonizzanti (come quella di
Proclo). Di diverso avviso Cerri (p. 184), per il quale Simplicio sarebbe
invece molto attento alla conservazione del testo e del lessico parmenidei.
Buone osservazioni a difesa della lezione
, si trovano ora in
Palmer (op. cit. pp. 378-80).
20
Plutarco, Diogene Laerzio e Sesto Empirico (in math. 7.111) trasmettono
(non torto). Sulla lezione
ha pesato la liquidazione di
Diels (1897, pp. 54 ss.), che vi ha colto una trivializzazione, riconoscendo,
invece, nell'alternativa
come
( )
. Tra gli editori novecenteschi Untersteiner tra i
pochi ad aver rilanciato tale lezione, seguito di recente da R. Di Giuseppe,
79
80
81
v. 4,
v.5,
v. 5)
denoterebbe che l'apertura del proemio proietta al centro dell'azione in corso;
le forme dell'aoristo (
v. 2,
v. 9), secondo uno schema
ictim(ien, p. 8), indicano, per contrapposizione, quanto
precede. Conche interpreta
cm imftt tic, t
dunque per una traduzione con il presente indicativo. Ferrari, nella sua
analisi del proemio (F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco. Racconto e
sapienza dallOdissea alle lamine misteriche, Utet, Torino 2007, p. 104; ora
anche Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei
Presocratici, c, m 1, 1), h ttlit cm litcci
i vi l t llimperfetto sembri evidenziare la continuit tra il
tilitlllttm
6
Ferrari (La fonte del cipresso bianco, cit., p. 102) coglie in questo passaggio
uc ll'iiii tic i i ci ch mi it
suggerire che le cavalle (figure dello slancio interiore del poeta) del suo
lo hanno avviato sulla via poetica (connotata come
,
via ricca di canti), che gli permetterebbe di comunicare la rivelazione
icvut ll mi i primo piano il risultato
llictcliviitiiitic
7
La
come
82
83
Su questa via13 ero portato14, su questa via mi portavano 15 molto avvedute16 cavalle,
dell'apertura del
proemio da quella di cui proprio la Dea sottolinea il fatto che
84
85
86
26
87
N
rappresenterebbe precisazione inequivocabile e
scoglio funesto, contro cui destinata a naufragare ogni interpretazione
catabatica del viaggio di Parmenide.
27
Esiodo descrive la dimora della Notte avvolta nelle tenebre:
88
30
31
probabile che
sia da intendere
come entrata del mondo infero, accettando il suggerimento di Cerri (p. 175)
di accostare il passo parmenideo ai versi esiodei di Teogonia 748-751:
[
[]lvttiicti
si salutano, al momento di varcare la grande soglia
i,luct,lltlt
se ne va, n mai entrambi a un tempo la casa trattiene dentro
di s,
mmlu,fuillc,
ltc,llt,tc,
attende la propria ora di viaggio, finch non giunga.
89
90
Anche in questo caso molti editori sono stati imprecisi, lasciandosi sfuggire il
significato tecnico del termine
, che plurale tantum usato anche
come variante di
(porta), ma il cui valore primario telaio [della
porta], come correttamente inteso da Coxon e recentemente ribadito da
Passa.
36
Nella tradizione omerica ed esiodea, Dike era, con Eunomia e Irene, una delle
Ore, sorelle delle Moire, figlie di Zeus e Temi: compito delle Ore (Iliade V,
749; VIII, 393) era quello di sorvegliare le porte del Cielo. significativo
che anche Eraclito (DK B94) alluda a Dike e alle coadiutrici Erinni come
garanti del corretto percorso del Sole. Secondo Robbiano (p. 155), la figura
di Dike tradizionalmente introdotta in relazione al rispetto dei confini: non
a caso la ritroviamo a sorvegliare il cancello che discrimina i percorsi di
Giorno e Notte. Essa sarebbe responsabile delle divisioni e distinzioni
llititucit(icfiittigui)iut
sarebbe garante di equilibrio (p. 157). Tuttavia, come la studiosa
cttmtgl(1),licuivitla Dike parmenidea,
rivelato nei versi successivi, non quello tradizionalmente inteso.
37
i Dkh
attestata nella letteratura orfica (fr. 158
Kern), ma la datazione incerta (Coxon, p. 163). D'altra parte, come
abbiamo gi avuto modo di segnalare, Dike compare nella stessa tradizione
(fr. 105 Kern) come sorvegliante (con Adrasteia e Nomos) dell'antro della
Notte. Molto critico su questa prospettiva orfica Cerri (p. 104). Certamente,
come osserva Mourelatos (p. 15), la figura di
, che tiene le
chiavi (delle retribuzioni?), ricorda quella di una divinit infernale. Ferrari
nella stessa direzione traduce come Dike sanzionatrice. Nell'economia del
racconto proemiale, accettando l'ipotesi di una katabasis, la funzione di Dike
sarebbe quella di permettere al poeta di accedere, vivo, alla realt
oltremondana (Sassi, op. cit., p. 389).
38
L'interpunzione dell'edizione Diels-Kranz autorizza a intendere il genitivo
pronominale iniziale
riferito (come il pronome
, nella stessa
posizione del verso precedente) a
.
39
ggttiv raro sembrerebbe indicare successione: potrebbe
ifii l ftt ch l chivi ct ltu ltt ll t
(x, 1) vv l l u cmlmt (ien, p. 11). Nel
cttil chilifimtillltitt i
Dike regolerebbe con la propria sorveglianza il passaggio del Sole. Questo
potrebbe spiegare la situazione drammatica di seguito descritta: non era in
effetti plausibile che Dike potesse lasciar passare il mortale viaggiatore.
40
Il verbo
(
) ha un valore simile al successivo
, ed
spesso associato all'inganno (come segnalato da LSJ). In questo senso forse
91
, per sottolineare la
gentilezza dell'espressione.
41
Il racconto della (possibile) catabasi, introdotto con la descrizione del portale
l v 11, h ui il u ffttiv iii, glt llu l im it
(
al v. 2 era stato utilizt llit i u uit), cui
seguono quelli ai vv. 18, 22, 23. Il racconto, secondo Ferrari cui si devono
queste osservazioni (op. cit., p. 105), prospettato come premessa e ragione
lit,cuittiictiiviiiilil proemio.
42
Un analogo repertorio di immagini, movimenti, meccanismi di chiusura e
apertura di portali, cos come analogo superamento divino dello stesso
portale che discrimina mondo celeste e mondo infero a opera del Sole
documentato negli antichi testi sumerici (per i quali si rinvia ancora a
Heimpel e Palmer, op. cit., pp. 55-6).
43
Anche in questo caso, come nei precedenti ai vv. 13-14, il pronome
si
riferisce a
.
44
i
sembra evocare il
esiodeo (in
entrambi i casi
in relazione con il genitivo
), il baratrochaos che Esiodo nella Teogonia (740) pone al di l della soglia della porta
di Giorno e Notte: si tratta della voragine al fondo della quale collocata la
prigione in cui, al termine della titanomachia, furono rinchiusi i titani
sconfitti. Leszl fa notare (p. 151), comunque, come non si abbia
limichlticuilmiilticcll
casa della Notte. La Robbiano (p. 150), invece, rileva la funzione
drammatic llimmgi, ch i f, c l gli tig, t l
utiiimtllviggitlictcliviit
rendere estremamente probabile la diretta evocazione di Esiodo da parte di
Parmenide contribuisce un dato significativo: il termine
non ricorre
in letteratura almeno fino alla met del V secolo a.C. (M.E. Pellikaan-Engel,
op. cit., p. 53).
45
tuttu imic ll t ic i i cmmti i Dil
Conche, che si servono anche di opportune illustrazioni a sostegno della
spiegazione.
46
Seguiamo Ferrari nel rendere in italiano la formula greca
,
costruita con la particella avverbiale locativa e il complemento di (moto
attraverso) luogo. Letteralmente si dovrebbe tradurre: L, attraverso quella
[porta].
92
,
ritrovata nel 1974 a Ipponio l'identificazione della dea appunto con
Mnemosyne (a sua volta una Titanide). La stessa ipotesi avanzata su basi
analoghe da Sassi (op. cit., p. 393). Ferrari (op. cit., pp. 107-8), sulla scia di
J.S. Morrison ("Parmenides and Er", Journal of Hellenic Studies, 75,
1955, pp. 59-68) e W. Burkert ("Das Promium des Parmenides und die
Katabasis des Pythagoras", Phronesis, 14, 1969, pp. 1-30), ha di recente
concluso che la non meglio definita divinit del v. 22 altri non sarebbe che
(Notte), variamente attestata nella tradizione oracolare e orfica. In
particolare egli ha osservato come, nella tradizione epic,lui
senza
ulteriori determinazioni sia anaforico: nel contesto, a parte Dike guardiana
ltl,luiciviitmitut
. Anche Palmer (op. cit.,
pp. 58-61), seguendo Morrison e Mansfeld (pp. 244-7), tornato a insistere
su
, giustificando la propria opzione non solo nel contesto del proemio,
ma rinviando anche all'ambiente culturale orfico, in particolare al poema
oggetto di commento nel Papiro di Derveni, e alle funzioni oracolari
associate alla figura di Notte nel mondo greco. A suo tempo la Pellikaan-
47
93
94
95
96
97
98
come il
sapere incrollabile), suggerisce immobilit, saldezza (e in questo senso lo
ritroveremo annoverato tra i
in B8.4).
69
Contrapposte alla Verit, la Dea propone
(opinioni dei
mortali), insistendo sia sul tradizionale discrimine tra sapere divino e
ignoranza umana, iull iit lum ch(
, v.
3) e i mortali che nulla sanno (
B6.4): a dispetto dei
mortali che non hanno conoscenza, il kouros deve conoscere tutto. Per
connotare il punto di vista dei mortali, la dea (Parmenide) ricorre a un
termine
che, a differenza del mero manifestarsi (
) e di
una passiva registrazione empirica, implica giudizio e accettazione
(ancorch affrettati e scorretti), opinione assunta attraverso una decisione, di
cui, dunque, i mortali non sono vittime ma responsabili. In questo senso
Couloubaritsis, per esempio, traduce con considerazioni. allora
opportuno il rilievo di Conche (p. 66): Parmenide evita di contrapporre la
sua verit a quella degli altri, un punto di vista ad altri alternativi. Il poeta,
invece, presentato come portavoce di una divinit anonima, scevra della
soggettivit dei mortali, impersonale: ella non altro che la Verit stessa.
igifictivlcctmtclit
99
100
74
. La specificit di
rispetto all'altro
termine sarebbe tuttavia da rintracciare proprio nell'aspetto opinativo,
nell'implicazione di un giudizio. Il nesso con
(considerare) si
preciser in relazione all'atto del nominare: in quanto legata alla parola e
all'imposizione di nomi, che la via della doxa viene sviluppata nel poema. In
questo senso Couloubaritsis (op. cit., pp. 269-270) crede che l'espressione
rimandi alle cose in quanto designate dai mortali piuttosto che da
loro percepite. Pi puntualmente: le cose che i mortali hanno designato per
spiegare il mondo in divenire.
101
75
76
imftt
guit llifiit u iic u tm l l
t ( ttutt lligi ll iii mtli
all'alternativa proposta esplicativa di Parmenide), ovvero un tempo irreale,
del passato o del presente. Nel contesto, come segnala Robbiano (p. 180), la
forma verbale pu riferirsi a un requisito nel passato che o stato o non
stato ottemperato. Ricordiamo che nel greco arcaico il verbo esprime
piuttosto convenienza che necessit logica (quindi giusto, opportuno).
La concomitante presenza di
rende, secondo noi, pi logico pensare
che Parmenide intendesse contrapporre alle opinioni dei mortali una
prospettiva esplicativa alternativa e plausibile rivolta agli stessi oggetti di
quell'opinare: questo passaggio del testo colto efficacemente nella resa di
Palmer (op. cit., p. 363): Nonetheless these things too will you learn, how
what they resolved had actually to be [...].
vvi
ui ut cm cmlmt llifiit
: il
predicato in effetti pu essere espresso da un avverbio, facendo cos
umlviluvliiitvviu
tradursi sia con plausibilmente, accettabilmente (Mourelatos, p. 204),
i c lmt, guimt (c lu chil)
limftt (
) come forma di irrealt, si determina una costruzione
ambigua, che afferma e nega a un tempo (come irreale) unit
qualificata come reale ovvero plausibile. Ne deriva una sorta di gioco
iv,ltiitcciilifmmtiiclit(i,14). Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 43) cita in proposito DK
22 B28:
deriva da
(accettabile, approvato, stimato); il verbo
102
( )
sarebbe: come era necessario
acconsentire (riconoscere) che le cose che appaiono ai mortali sono.
77
Traduco in questo modo il testo greco, intendendo
come
una formula, secondo il suggerimento di Mourelatos (p. 204), il quale fa leva
su paralleli testuali che vanno dalla letteratura ippocratica a quella platonica.
Essi suggeriscono la traduzione tutte [le cose] insieme (all of them
together), vv tutt [l c] ctiumt ull ct llu
platonico (Repubblica, 429b-430b), Mourelatos (p. 205) propone di leggere
in
il riferimento alle prove sopportate nel corso di una
competizione. In alternativa si traduce
come in ogni senso
(Tonelli), in un tutto (Cerri), dappertutto (Ferrari), mantenendo
autonomo il significato e la funzione di
(tutte le cose).
78
Si dato notizia, in nota al testo greco, delle due lezioni (
e
)
dei codici di Simplicio. Come ha giustamente fatto notare la Curd (op. cit.,
p. 114, nota 52), entrambe le letture rendono complessivamente lo stesso
significato. Traduciamo
come participio e non come sostantivo
(mc, i fftti, lticl ), ricordando, tuttavia, come il termine, in
Omero e Esiodo, designasse le realt che esistono davvero e nei filosofi
iici lggtt ll icc, l lt mnente del mondo (Brague, pp.
61-2).
103
DK B2
2
3
[5]
4
5
6
,
-,
,
Coxon, invece di
(proposto come emendazione dei codici di Proclo
da Karsten e accolto da Diels-Kranz e dagli editori posteriori), legge con i
codici
,
(ors, parler di queste cose), difendendo la propria
scelta con la consuetudine epica del genitivo di argomento in dipendenza da
verba dicendi. La proposta di Karsten non solo considerata pi naturale dal
utivitlgfic,mvlichlii
- , che
nel testo pare significativa. La forma
riflette l'uso omerico, che
dissimulava l'antico digamma perduto nel dialetto degli aedi ionici: per
eliminare gli iati creatisi nella dizione, fu introdotto
nel testo omerico
(Passa, p. 74 nota). Qui il
di
supplisce il digamma iniziale di
.
2
Come segnala Cordero (N.L. Cordero, "Histoire du texte de Parmnide", in
tudes sur Parmnide, cit., t. II: Problmes d'interprtation, p. 21),
104
plausibilit, ma la forma
(che pu essere compiuto) ha riscontri
"eleatici" in Melisso (B2 e B7), e si trova ancora in Anassagora (B5). In
questa occasione Proclo potrebbe nuovamente aver fatto ricorso alla
citazione a memoria: il significato di
prossimo a quello di
: risultato che non si pu raggiungere.
105
Ors1, io dir - e tu2 abbi cura3 della parola4 una volta ascoltata 5
La formula
106
107
+
: Je dirai qulltlvicch,lulu
ait> concevoir. La Robbiano (op. cit., ) vli lmiguit
lli i mi, , i cgu, i cctt
contestualmente entrambe le interpretazioni: quella che fa dellvilggtt
del
(da pensare) e quella che fa del
la meta delle vie (per
)tlttivfilllifiitlviiillm
(S. Sellmer, Argumentationsstrukturen bei Parmenides. Zur Methode des
Lehrgedichts und ihren Grundlagen, Peter Lang, Frankfurt a.M. 1998, pp.
11-1),iticlillmllimticilitllcviil
pensiero. Contro la lettura potenziale di
Kahn, Essays on Being,
cit., p. 146, nota 4.
Abbiamo reso
genericamente con pensare, ma come suggerito da vari
interpreti - si potrebbe scegliere una espressione pi specifica, come
comprendere, o anche afferrare, che ancora conservano traccia
dell'originario valore di percezione mentale, capace di vedere in profondit e
pi lontano, nel tempo e nello spazio (su questo punto Mourelatos, pp. 68
ss.). Vero che nei frammenti ci si riferisce a
(
, B6.6)
anche per designare una intelligenza offuscata, confusa: ci potrebbe
indicare che Parmenide non si senta vincolato a un uso di
e derivati nel
loro significato cognitivo pi forte, che, a nostro giudizio, rimane, tuttavia,
l'unico a giustificare l'alternativa che la Dea qui propone. Recentemente
Palmer (op. cit., pp. 69 ss.), nel tentativo di mediare tra una resa generica e
una pi specifica, ha proposto understanding ovvero achieving
understanding. Tonelli, invece, rende direttamente come intuire, per la
continuit tra il verbo greco e l'intueor latino, che implica un vedere che
attraversa e penetra l'oggetto di conoscenza [...] facendosi tutt'uno con
esso (p. 118).
10
iicilluichviittt(vv)llfmul : si tratta di una alternativa ulteriormente delineata con coerente
corrispondenza anche nella costruzione sintattica.
11
Consideriamo in questo contesto
e il successivo
congiunzioni che
introducono una dichiarativa (retta da un sottinteso: per pensare ovvero
che pensa, che dice). In questo senso, suggeriamo la possibilit di
108
109
110
poich non potresti conoscere ci che non 24 (non infatti cosa fattibile25),
n potresti indicarlo 26.
transizione nel discorso della Dea. In effetti,
frequentemente posposto a
un pronome (nel nostro contesto
con funzione pronominale), con il
risultato di accentuare il rilievo nella frase.
21
Coxon osserva che il verbo
, che in epica significa indicare,
evidenziare, usato da Parmenide con oggetto diretto o accusativo e
infinito nel senso (poi regolare) di spiegare (p. 177).
22
Il termine
contrapposto a
e
, impiegati in B1 (vv. 2 e
11) e qui ai vv. 2 e 4: mentre in B1.21 eravamo informati del fatto che il
poeta viaggiava
lungo la via maestra, in questo passaggio,
ccllcvi,miicuichvicl
l'idea di sentiero, tracciato secondario, scorciatoia.
23
ggttiv
pu indicare attribuendogli senso passivo - ci che
del tutto ignoto, ovvero, in senso attivo, appunto ci che del tutto privo
di informazioni, ovvero imperscrutabile (Tonelli p. 119), come la via che
pensa che non . Si tratta, nell'economia del discorso divino (e del
poema), di un punto essenziale: la seconda via delineata non proposta
come falsa, non scartata come follia (non prodotto di un
, come si sottolinea in B6.6 a proposito della presunta
inventata da coloro che sono apostrofati come
); di
essa si afferma che sentiero lungo il quale non si possono raccogliere
informazioni, che non pu manifestare la realt, come chiarisce
immediatamente il verso successivo.
24
i
ll
in B8.
111
112
DK B3
...
113
Zeller, seguito da Burnet, Cornford, Raven e altri, rende i due infiniti come
dipendenti da
(non
) con valore potenziale (analogamente a B2.3:
), quindi con denn dasselbe kann gedacht werden und sein.
Tarn, che accetta il suggerimento di Zeller, rende con for the same thing
cthughtcxitchi(1-20) i due infiniti
sono complementi del pronome (
) lluit itttic mv utu cmltiv llifiit ( ) ammetterebbe che lo si
traduca come un passivo o equivalente: C'est en effet une seule et mme
chose que l'on pense et qui est (For there is the same thing for being
thought and for being). Il fatto che, optando per questa soluzione
interpretativa, il soggetto di uno dei due infiniti (
) diventi oggetto
lllt ( ), non rappresenterebbe un problema, essendo gi attestato
nei poemi omerici. un fatto, comunque, come osserva Conche (op. cit., p.
89), che Parmenide ha scritto
e non
. Dltt,gu
Plotino, la resa pi fedele (Heitsch, p. 144), il senso ovvio del greco
(Conche, p. 89) sarebbe pensare ed essere sono la stessa cosa, con
predicato,
e
ggttillflttivt,chti
conto di analoghe costruzioni nei frammenti sopravvissuti e soprattutto del
senso dei vv. 34-36a di B8:
[35]
.
,
quella di Coxon (for the same thing is for conceiving as is for being), variata
nella recente resa di Palmer (op. cit., p. 122): for the same thing is (there)
for understanding and for being.
2
Secondo Cerri (p. 194), qui per la prima volta
assumerebbe il significato
specifico di capire razionalmente, significato che, tuttavia, non si pu
regolarmente attribuire a
(e
) nei frammenti. In una sua classica
ricerca filologica, v it (K v it,
,
and Their
Derivatives in Presocratic Philosophy (Excluding Anaxagoras). I: From the
giig t mi, licl hillgy , 1, -242)
osserva come
in Omero significhi comprendere una situazione e
come questo valore sia ancora presente nel poema di Parmenide, indicando
qualcosa di diverso da un processo di deduzione logica: sarebbe ancora sua
funzione primaria essere in contatto con la realt ultima (p. 237). Abbiamo
sopra ricordato come Tonelli renda
come intuire, cogliendo la
continuit tra il verbo greco e l'intueor latino, nella percezione che
114
[B2.7-8]
<
>,
Ch quel che non non lo puoi n pensare n dire: pensare
infatti lo stesso che dire che quel che pensi!.
115
DK B4
, quelli di Damascio
in
) nella
probabile trascrizione di un esemplare attico.
116
Il verbo
gi impiegato da Omero (Couloubaritsis, pp. 336-7) per
indicare la capacit di considerare simultaneamente passato e avvenire per
cmiltccitcitllmtuitlli,lu
discernimento, contrapposto alla precipitazione dei giovani. Molti traduttori
optano per una resa che ne accentui il valore percettivo: osserva,
gu timlgicmt, lt t, il v iv llggttiv
, che nel linguaggio omerico significa chiaro, limpido: porta con
s, dunqu, li i chi, lumiit, t, cm llitli
chiarire, rischiarare.
2
Ovvero cose lontane. Il verbo
, come il successivo
, ha un
valore a un tempo materiale e mentale, indicando la distanza (
la
vicinanza) nel tempo e nello spazio. Manteniamo in traduzione un senso
indefinito.
3
Traduciamo cos la congiunzione : nelle varie versioni, il suo valore
cilltlvvtivilcciv,cicttiDlmmtch
possibile legare il termine sia al verbo iniziale, sia a
, Ruggiu (p.
238) suggerisce che la collocazione sia intenzionalmente polisignificante,
secondo lo stile attestato anche in Eraclito.
4
A chi debba essere immediatamente riferito il dativo
oggetto di
discussione: possibile infatti accostarlo direttamente a l
, nel senso di
chiarisci con intelligenza\intendimento, ovvero lasciarlo legato a
, sottolineando come il nesso
dipenda dalla
vii llitllig li
avrebbe appunto il
valore di essere presente alla mente, allo spirito.
5
vvi
(saldamente) pu essere collegato direttamente al verbo,
cm uggic x ( 1) g tily with yu mi
studioso giustifica la proposta per il parallelo con il verso di Empedocle DK
31 B17.30:
117
) h ichimt i ct ltti hm
(Explaining the Cosmos. The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton University Press, Princeton and Oxford 2006, p. 151), il quale ne ha
rilevato la struttura a chiasmo, che ricorderebbe quella di alcuni frammenti
eraclitei, per esempio DK 22 B25:
118
come il successivo
, si riferisce a
.
10
fui llvvi
(interamente, completamente) sarebbe, in
cgiui c llt vvi
(dappertutto, ovunque), quella di
intensificarne valore spaziale.
11
i
appare come uno dei pi antichi passi presocratici
in cui il termine
assume il valore di ordinamento del mondo,
cosmo (Cerri, p. 199). Tarn, tuttavia, contesta che la nostra espressione
possa tradursi (cos come abbiamo fatto) con un complemento di moto nel
mondo (o per il mondo), preferendo renderla letteralmente come in
order, con il significato, dunque, di conformit a un ordine. Analogamente
la Stemich (p. 190) sottolinea come dalla Dea il kouros sia chiamato a non
lt l c li ll c, ttiu uindi alla
formula valore normativo. Coxon sottolinea il precedente omerico,
traducendo in regular order. Noi preferiamo attribuirgli il valore cosmico,
considerando
insieme alla forma avverbiale precedente (
).
119
DK B5
La forma
120
Indifferente1 per me
da dove cominci, dal momento che l, ancora una volta, far
ritorno.
1
121
DK B6
1
.
5
... ,
. Il codice E riporta:
; il
codice F:
.
4
Il codice D di Simplicio riporta (cos come E e F); B e C, invece, .
5
La tradizione manoscritta presenta a questo punto una lacuna: la proposizione
manca del verbo. Congettura Diels, tradizionalmente accettata:
(tengo lontano, distolgo), sulla scorta di B7.2 (
122
,
>6,
[5] <
[vv. 1-2a Simplicio, In Aristotelis Physicam 86; vv. 1b-9 Simplicio, In Aristotelis Physicam 117; vv. 8-9a Simplicio, In Aristotelis Physicam 78]
propria strategia, enunciando i suoi principi fondamentali (B2), ribadendoli
(B6.3-4) e ricontestualizzando la propria esposizione in B8.50-52 (Curd, The
Legacy of Parmenides, cit., p. 58). Tarn, che pur accetta la congettura
Diels, suppone una lacuna successiva, tra i versi 3 e 4.
6
La tradizione manoscritta di Simplicio riporta
, dichiarato corrotto
in apparato da Kranz. In effetti
sarebbe, secondo Cordero e
Cerri (p. 210), atticizzazione (intervenuta nella tradizione manoscritta stessa)
di
, da
(mi invento). Dello stesso avviso O'Brien
e Gemelli Marciano (II, p. 82). Coxon (p. 183) sostiene la derivazione (per
corruzione) da
(vagano). Diels fa della espressione una
corrutela medievale di
, variante dialettale di
,
utilizzato nel poema (e in altri autori) per indicare sbandamento intellettuale,
errore. Una recente messa a punto della questione testuale si trova in Passa
(pp. 104 ss.), il quale ha con acribia sostenuto, su basi parzialmente diverse,
la soluzione dielsiana con precoce corruzione di
in
. Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 47 nota) ha
contestato tale ricostruzione, preferendo tornare alla vecchia correzione
, coerente con
e
(v. 6). Accogliamo la
correzione
, pur considerando l'emendazione
, come
sinteticamente insegna Ferrari, una valida alternativa.
7
I codici DE di Simplicio riproducono
, il codice F
, forma
preferita da diversi editori (Coxon, O'Brien, Conche, Cerri, Gemelli
Marciano, Palmer).
123
( necessario
dire e pensare ci che . Cordero, tuttavia, nella revisione (2004) della sua
opera, traduce diversamente: It is necessary to say and to think that by being, it is.
(b)
regge direttamente
, di cui
e
sono soggetti;
articolo e
nome del predicato di
(dire e pensare necessario
che siano un essere): cos, per esempio, Diels (1897), Heidel, Verdenius.
Coxon (pp. 181-2) sostiene l'uso predicativo di
, supportandolo con
paralleli (
) in autori influenzati da Parmenide (Gorgia, Leucippo,
Platone, Aristotele). La sua traduzione (che accoglie il testo emendato da
Karsten) , di conseguenza: it is necessary to assert and conceive that this is
Being. Soggetto della proposizione sarebbe
, pronome (che Coxon
riferisce a
di B3).
(c)
regge direttamente
, di cui ...
soggetto, da cui dipendono
e
(ci che da dire e pensare necessario che sia): cos, tra
gli altri, Burnet e Raven.
2
Traduciamo
con essere, per mantenere l'ambiguit che a nostro
avviso caratterizza il testo, attribuendogli tuttavia valore decisamente
esistenziale.
3
iml
formula di necessit ma anche di opportunit: il valore del
vincolo implicato pu variare in intensit, dal necessario, al corretto,
lltu iitit u ut ut tici u (1, ),
124
iuc climitmliimiuvilfmmtil
nesso con B2 suggerisce la forma di necessit.
4
Nel caso di B6.1b, l'impegno per l'interprete doppio. Si ripresenta infatti il
problema di traduzione di
e si aggiunge quello della traduzione
llifiit
in questo contesto: si tratta di due problemi correlati. Se,
come scelgono di fare alcuni traduttori, si considera
come infinito
sostantivato, soggetto di
, avremmo: l'"essere" esiste (Cerri); infatti
l'essere (Reale), denn Sein ist (Kranz), for there is Being (Tarn).
Analogamente intende la Germani (op. cit., p. 191). Questa lettura potrebbe
essere avvalorata dal fatto che due codici (BC) di Simplicio riportano
(Cordero, Les deux chemins de Parmnide, cit., p. 24). Nel caso si
accolga tale soluzione, in 6.1b-6.2a avremmo la piena esplicitazione dei
soggetti delle vie di B2.3 e B2.5: rispettivamente
e
. Per certi
versi questa traduzione appare naturale, sebbene non risulti del tutto
perspicuo l'uso di
, a meno di privarlo del suo valore esplicativo per
riconoscergli una funzione confermativa.
Se, invece, si intende
come infinito retto da
, allora naturale
attribuire a questo valore di possibilit (che sembrerebbe dare un senso alla
particella
) Alcuni sottintendono
come soggetto, traducendo: solo
esso infatti possibile che sia (Pasquinelli); For it is for being (Coxon);
possibile, infatti, che sia (Giannantoni); perch pu essere (Tonelli,
Ferrari). Altri, come O'Brien e Cordero, optano per una formula
impersonale: car il est possible d'tre; for it is possibile to be.
5
Secondo Coxon (p. 182)
conserverebbe in questo caso il suo significato
ittt,ulliucitf,uu,ich
ci che non ha essere, non per niente una cosa. Kranz (in apparato)
riteneva che
equivalesse a
(citando in questo senso B8.10:
iltil
125
), e rendendo
con valore predicativo: (What is) is to be, but
nothing it is not. Letteralmente pi aderente al greco la traduzione senza
articolo: nulla [ovvero niente] non .
7
Il pronome
(accusativo neutro plurale) difficilmente pu essere riferito
esclusivamente al contenuto dei vv. 1-2a: invece probabile che esso alluda
a quanto seguiva B2 precedendo immediatamente B6, cio la esclusione
della via che non e che necessario non essere come effettivo percorso
di indagine.
8
La formula
126
Il compemento
riferisce il pronome a
: questo porta
Coxon a concludere che nel contesto Parmenide si riferisca a filosofi,
ricercatori.
12
Normalmente si lascia cadere in traduzione
, che pure, seguendo un
pronome relativo, ne enfatizza la posizione nella frase. L'uso nel contesto
potrebbe alludere alla discussione che precede B6.
13
i gc
riprende il tradizionale contrasto
tra sapienza divina e ignoranza umana, riferendolo in particolare a una
tipologia di errore che nasce dal fraintendimento della
di B2. La
delle schiere scriteriate (
) manifesta la loro
impotenza (
) llic ll liic li
ritorna frequentemente per caratterizzare il fatto che i mortali
non conoscono la totalit del passato, n possono prevedere il futuro, ristretti
alla limitatezza del loro presente (Ruggiu p. 259). Nello specifico,
lignoranza dei mortali implicitamente contrastata dalla conoscenza che
Parmenide ha rivendicato per s in B1.3 (
).
14
Il greco
si riferisce alla condizione di coloro che manifestano una
sorta di schizofrenia e in questo senso hanno una testa (una mente) divisa in
due: affermano a un tempo essere e non-essere, fingendo di poter incrociare
due vie in realt (verit) incompatibili. Robbiano (op. cit., pp. 104-5) segnala
come nella lirica arcaica il tema della indecisione-confusione propria della
condizione umana fosse espresso nel riferimento a un
diviso
(Teognide) o a una sorta di doppia mente (Saffo).
15
Il sostantivo greco
segnala la mancanza di mezzi, di aiuti per
risolvere una situazione di difficolt: insomma, una condizione di
impotenza. In Omero gli dei possiedono
, un saper fare (abilit nella
costruzione di oggetti) che garantisce loro una vita facile, mentre gli uomini,
ignoranti, conducono una esistenza dura. In Esiodo grazie a Prometeo che
gli uomini hanno potuto strappare agli dei alcuni dei loro segreti, facendo
fronte alla propria impotenza.
16
i
rinvia a Omero, dove marcato il nesso tra
127
La forma verbale
rafforza il senso di sbandamento, deriva, cui
conduce la mente dissennata dei mortali che nulla sanno.
19
i gc
iulchmiuim,utlllt,
in cui rinvia a
del v. 37.
22
Il perfetto medio-passivo
128
23
Il genitivo plurale
pu essere qui inteso come neutro, riferito dunque a
tutte le cose, ovvero come maschile, riferito quindi ai mortali, come il
precedente relativo
, per i quali. Coxon traduce: and for all of whom;
analogamente O'Brien, Palmer, Gemelli Marciano, che abbiamo seguito. La
Gemelli Marciano (II, p. 83) segnala la composizione ad anello, con cui
nell'ultimo emistichio Parmenide riprenderebbe il v. 4.
24
cult(1),illlggttiv
sarebbe da
vedere in connessione con
(), iic lifiit
regressione della ricerca lungo la via dei mortali. Potremmo dire che la Dea
in questo modo stigmatizzi la inconcludenza della presunta via di ricerca
inventata dai mortali, e quindi il destino di erranza che colpisce chi pretenda
di seguirla. Secondo coloro che propendono per una interpretazione del
frammento in chiave anti-eraclitea, qui avremmo una eco di DK 22 B51:
tutitti,tglilti,icthm(mi
igcliti, i Presocratic Philosophy, edited by V. Caston &
D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 55-6), il quale sottolinea come
il termine
si riferisca qui in realt ai mutamenti sequenziali
delle cose reali l'una nell'altra (come nella cosmologia milesia); in Eraclito,
invece, esso sarebbe impiegato in riferimento a un equilibrio statico.
129
DK B7
(Simplicio F),
(Simplicio D),
(Aristotele recc.).
2
I codici di Sesto e Simplicio riportano
(nelle varianti dialettali
,
), quelli di Platone il participio
.
3
Nonostante i codici di Sesto e Diogene Laerzio riportino la forma del dativo
, Kingsley (P. Kingsley, Reality, The Golden Sufi Center, Inverness
(CA) 2003, pp. 139-140), all'interno di una lunga discussione sul valore da
attribuire al termine (prima di Platone), propone (seguito da Gemelli
Marciano) di leggere, in alternativa, il genitivo
.
4
Il testo di Diogene Laerzio riporta
, quello di Sesto
.
130
Mai, infatti1, questo2 sar forzato3: che siano cose che non sono .
Ma tu da questa via di ricerca5 allontana il pensiero 6;
4
\
da ricavare dalle citazioni
platoniche del Teeteto (196b: viene usato
7):
131
[b-2] <
[B6.3-9]
[B6.8-9]
[B7.2],
[B8.1 ss.]
sostiene che la contraddizione non sia vera [cio: le
proposizioni contraddittorie non siano vere] a un tempo in quei
versi in cui biasima coloro che mettono insieme gli opposti: dice
infatti [citazione B6.1b-2a] e aggiunge [citazione B6.3-9]. (In
Aristotelis Physicam 117, 2)
Dopo aver biasimato infatti coloro che congiungono l'essere
e il non-essere nell'intelligibile [citazione B6.8-9] e aver
allontanato dalla via che ricerca il non-essere [citazione B7.2],
soggiunge [citazione B8.1 ss.].
Secondo Simplicio, insomma, B7.2 alluderebbe alla via che conduce al nonessere; inoltre B7.1-2 seguirebbero B6.8-9, precedendo B8.1. Come fa
v ( ), imlici m itigu ch t littiv
polemico di B6 e quello di B7.
6
Il sostantivo
qui impiegato probabilmente nel significato gi
omerico - di mente, intelligenza, organo del pensiero e della comprensione.
I primi due versi del frammento sono citati da Platone e Simplicio: essi
costituiscono un primo blocco testuale. Diogene cita isolatamente i vv. 3-5,
secondo blocco. Sesto consente di cucire i due blocchi, citando i vv. 3-6
il v ll u citi, tuttvi, c t il v 1
Non sorprender, dunque, che nella storia delle interpretazioni il frammento
abbia subito vari smembramenti e montaggi. Noi scegliamo di conservare
limt ch i u icv imlici, lultim ut ch i h
fondato motivo di ritenere disponesse di una copia del poema (ancorch non
esente da rielaborazioni linguistiche e contenutistiche).
7
Coxon (p. 191) legge
in contrapposizione a
(abitudine versus
analisi intellettuale): la prima forzerebbe, la seconda condurrebbe in modo
persuasivo.
8
Dal momento che
si connoterebbe autonomamente in contrasto a
,
secondo Coxon (p. 191)
sarebbe da riferire a
:
contribuirebbe a determinarne il valore rispetto a
del verso
132
a dirigere10 lcchichv,lcchiit 11
[5] e la lingua12. Giudica13 invece con il ragionamento14 la pro15
va polemica16
precedente. Cerri (p. 216) giudica tuttavia inaccettabile la proposta (anche)
per ragioni metriche. Robbiano (p. 97) segue Coxon, insistendo
ullituigtluglviicuiimtlihmlti
Anche Nehamas (op. cit., p. 59 nota 50) preferisce riferire
a
, ma suggerisce la possibilit che Parmenide intendesse riferirlo anche a
. Per quanto riguarda la traduzione, abbiamo optato per una resa che
ttliillggttivilifimtlligillmltilti
clg,ivc,imclffttimliciti,quindi con
molto esperta, molto abile.
9
Il verbo
si potrebbe rendere anche con induca: come informa Cerri
(p. 217), esso ricorre frequentemente nella poesia tra fine VI secolo e inizi
del V (Simonide, Pindaro, Bacchilide, Eschilo) nel senso di violenza
esercitata dalla menzogna sulla verit.
10
Cerri (p. 217) osserva che
nel linguaggio epico significa muovere,
dirigere con abilit e destrezza.
11
Cerri (p. 217) rileva la natura ossimorica del verso:
e
evocano le metafore eraclitee. Lo studioso giustamente le
cllg , tvi i ifficlt llitti ,
infatti, esse sarebbero riferite agli eraclitei, qui, invece, recuperate (nella
stessa prospettiva eraclitea) contro il sapere tradizionale.
12
x ( 1) ttli cm litt
qualifichi tanto
quanto
: la lingua replicherebbe la confusione degli occhi e delle
orecchie. La sua proposta contestata, per ragioni semantiche (il significato
llggttiv - risuonante - mal si accorderebbe nel contesto con
), da Tarn (p. 77), il quale suggerisce invece di considerare
riferito tanto a quanto a
e
, con il valore
avverbiale di senza scopo, a caso. Come riconosce lo stesso Tarn,
tuttavia, la lettera del verso 4, con i due aggettivi immediatamente riferiti ai
due sostantivi, rende pi plausibile la solitudine di
: il termine, in
relazione a
, indica il linguaggio ordinario. Heitsch (p. 161)
suggerisce che, nel contesto, senza ulteriori predicazioni,
non sia da
porre sullo stesso piano degli altri organi di senso: qui, dunque, il termine
iich lg l gut m lg l liguggi, cm
riconosce anche Robbiano (pp. 97-98), insitullgchuc
nomi che non sono in grado di riflettere la verit.
13
Kingsley (Reality, cit., p. 140) rende
come judge in favor of, nel
senso di scegli (opzione adottata anche da Ferrari, Il migliore dei mondi
impossibili, cit., p. 50); la Gemelli Marciano (II, p. 19) preferisce
entscheide dich fr (deciditi per).
133
liiltt,icmttimt(
): la forza della ragione opposta alla
fllituiill-Scott-Jones con esplicito riferimento al nostro
testo - rende con una espressione di senso passivo: molto contestata.
134
da me enunciata17.
Interessante l'analisi di Patricia Curd (The Legacy of Parmenides, cit., p.
104): The elenchos (testing) is poludris (rich in strife) because it must repeatedly fight against habit and experience; it is a battle to be won over and
over. Efficace la resa di A. Nehamas (miigcliti, cit,),ilultuc
come
giudica con la ragione l'argomento che molto contesta.
17
Mentre Diels e Calogero riferiscono la prova (che cos sarebbe genericamente
annunciata) alla sezione sulla Doxa, Verdenius, Tarn e Mourelatos la
intendono riferita ai passaggi precedenti (il participio va allora tradotto pi
opportunamente con enunciata), in cui la Dea ha introdotto le due vie e
argomentato contro la presunta terza via. Si tratta della posizione prevalente
t gli itti, tut ct llu l ticii it
, che
proietta il termine cui si riferisce (
) verso un passato appena
compiuto. Preferiamo lasciare sospeso il riferimento, tenendo conto anche
del suggerimento di R.J. Hankinson ("Parmenides and the Metaphysics of
Changelessness", in Presocratic Philosophy, cit., p. 76) di tradurre in questo
caso il participio aoristo come when it has been spoken by me.
135
DK B8 vv. 1-49
, ma,
quando riporta l'intero verso (nello stesso commentario, 6.1152.25), il testo
del primo emistichio
. Si ha quindi l'impressione di
una citazione a memoria (in effetti il testo per il resto identico a quello
citato da Simplicio). La forma
136
[5]
,
[10]
;
;
10
Tuttavia Simplicio presenta anche (nel commentario alla Fisica 30.2, 78.13,
145.4) la variante
. La forma
non pare
sostenibile, in quanto ripetizione di
del verso precedente. Sulla
variante esistono comunque dubbi e non mancano le trascrizioni alternative
nei codici:
,
,
,
.
Il testo potrebbe dunque essere corrotto, dal momento che il suo senso
appare contraddetto da
(v. 32) e
...
(vv. 42-3). Accettando la variante di Simplicio e volendone evitare le
implicazioni contraddittorie, Karsten propose di emendare il testo come
(quindi e perfetto), seguito poi da Tarn e Cordero. Owen e altri
(Kirk-Raven-Schofield, McKirahan, sostanzialmente Mourelatos e Coxon)
hanno proposto
(e completo). Una minoranza (ma
significativa: Hlscher, Cassin, Leszl, Gemelli Marciano) ha ripreso la
versione di Brandis:
.
6
Del verso esiste una variante attestata (con leggere differenze) in Ammonio,
Asclepio, Filopono, Olimpiodoro:
137
<
[15]
13,
,
,
,
12
[20]
[25]
11
>
.
;
14
,
.
.
mentre
sarebbe atticismo: a confermare un meccanismo di
atticizzazione parallelo a quello operante sul testo omerico.
11
Il codice di Simplicio riporta
(cich)lmi
proposta da Karsten consente di concludere la dimostrazione
cmitttiilmmluv igi dal non-essere
(v ), ll, uu igi (
). La necessit
llmi liticmt tut ( -102), ma
combattuta con buone osservazioni da Coxon (pp. 200-201). Accogliamo,
con qualche riserva sia relativamente alla fonte emendata i codici di
Simplicio rendono sostanzialmente in modo unanime il testo emendato sia
alle implicazioni teoriche, la correzione, in considerazione soprattutto del
senso della successiva proposizione
.
12
I codici DE di Simplicio riportano
, generalmente accettato; il
codice F rende
(potrebbe essere ci che , essendo, potrebbe
essere), che una minoranza di editori (tra gli altri Coxon e Cassin) fanno
proprio. Karsten propose di emendare il testo come
(potrebbe poi perire ci che ), soluzione accolta da Kranz (Vorsokratiker,
V edizione), ma oggi abbandonata.
13
La forma [
]
correzione (Preller) non attestata nei manoscritti
simpliciani della edizione di Simplicio, che riportano invece
(EF) e
(D).
14
Qui, in vece di
(De Caelo A e Fisica F), nei codici DE del
commento al De Caelo abbiamo
(incessante), nel commento
alla Fisica (ed. aldina)
(incredibile), in Fisica DE il testo corrotto
.
138
15
,
,
[30]
[35]
.
16
17
18
.
.
19
15
Cordero ha restituito
sulla base dei codici EW di Simplicio (Phys.); i
codici DF riportano
(
Ea).
16
Della prima parte del verso abbiamo due redazioni: i codici di Simplicio
(Phys.) riproducono (con varianti)
; quelli di
Proclo (in Parmenidem 1134.22, 1177.5/6)
40, 6 DE);
(146, 6 EF) o
). Da un
punto di vista metrico,
parlato la sinizesi
, la sola grafia adeguata a un testo scritto.
Preferiamo, pertanto, evitare di ricorrere alla espunzione proposta da Bergk,
conservando
.
18
I manoscritti di Simplicio riportano
, quelli di Proclo
, dal
significato sostanzialmente equivalente. O'Brien (p. 55) ipotizza che in
origine la formula di Proclo dovesse essere glossa per precisare il senso di
. La lezione di Proclo adottata da Cordero, seguito da Couloubaritsis.
19
I codici di Proclo e Simplicio (Phys. 146, 8; 87, 15 F; 143, 23-24 EF)
riportano
139
<
>
,
21
20
22
23
,
[40]
( illuminato).
20
Il testo del codice di Simplicio (Phys. 146, 9) riporta
(nemmeno se il tempo esiste), che, metricamente accettabile, appare poco
sensato nel contesto. Coxon (seguito da Conche) ha accolto la variante
(And time is not), che, a sua volta, non risulta per illuminante.
Tra le proposte per aggiustare il senso del verso troviamo quella di Bergk (n esisteva infatti) e soprattutto quella di Preller (la pi
adottata), che (con qualche perplessit) seguiamo:
< >
[+
]. Essa riprende (integrandola con la congiunzione ) una citazione
di Simplicio (Phys. 86, 31)
. Va dato comunque atto a
Coxon che il suo argomento a favore della lezione
di Simplicio in
Phys. 146, 9 buono: essa si trova, in effetti, nel contesto della citazione
continua dei primi 52 versi del frammento (B8), quasi a garanzia di uno
fittttciilligil,mtlltli(Phys. 86,
1) h i li i u li fi ifficlt i ut ggi
potrebbero dunque suffragare l'ipotesi di interventi di montaggio sulla copia
del poema disponibile a Simplicio.
21
I manoscritti EF di Simplicio (Phys. 146, 11; 87, 1) riportano
(D
);
l'Anonimo (In Theaet.)
(solo); Platone (Teeteto 180 e1), Eusebio,
Teodoreto
(come).
22
I manoscritti di Simplicio riportano
(Phys. 146, 11) ovvero
(Mourelatos,
Casertano, Kirk-Raven-Schofield, Gallop). Gli accertamenti pi recenti sui
manoscritti sembrerebbero suffragare questa seconda lettura, che ha un
riscontro anche in B9.1. Accanto a varianti secondarie, abbiamo come
lezione alternativa il testo di Platone (Teeteto 180 e1), seguito dal
commentatore anonimo del Teeteto, Eusebio, Teodoreto:
( )
. Abbiamo mantenuto la lezione Diels-Kranz perch, nel contesto, ci
sembra pi naturale il senso che se ne pu ricavare, anche in traduzione.
140
[45]
,
29
24
25
27
26
28
,
,
30
Si veda l'annotazione a
, v. 11. In questo caso i manoscritti riportano sia
la forma
, sia la forma
(sul piano filologico lectio difficilior),
che, come sottolinea Passa (p. 81) difficilmente pu intendersi come
corruzione di
. Manteniamo dunque la forma
, consapevoli
dell'improbabilit del fatto che Parmenide impiegasse la stessa formula
...
, ricorrendo ora a
ora a
.
25
La lezione dei codici di Simplicio
(ovvero )lii
aldina emend
in
, per lo pi accettato. Diels (1897) prefer
llttiv
(=
),fmllifiit
26
La forma
.
27
Il testo dei codici di Simplicio
, emendato da Karsten in
.
28
La forma
emendazione di Karsten: i codici DEF di Simplicio riportano
; l'edizione aldina
.
29
La lettura
(dativo del pronome personale) si affermata nel corso
llultimcl,ti lltiDils, il quale per intendeva
come un relativo (verso cui). I manoscritti (DEF) di Simplicio riportano
(articolo determinativo ovvero dimostrativo), mt llii
aldina come (espressione omerica per in effetti, certo).
30
Cos gi leggeva Diels; i manoscritti di Simplicio riportano in effetti
(EF), ovvero
(D):
emendazione degli editori.
141
mnoj si riferisca a
, molti traduttori di fatto lo applicano a
One path only is left for us to speak of (Burnet), ovvero So bleibt nur
noch Kunde von Einen Wege (Diels), One way only is left to be spoken
of (Raven).
2
Ricordiamo che il termine
ricorreva gi in B2.1, qualificato dalla fonte
divina: la parola (ovvero il discorso) proferita dalla Dea doveva essere
accolta, meditata e custodita dal kouros. Il valore del termine sembrerebbe
dunque nel contesto quello di parola, discorso di Verit. Nella relativa nota
di B2.1 abbiamo richiamato alcune recenti posizioni interpretative: Morgan
(K. Morgan, Myth and Philosophy From the Presocratics to Plato, cit., pp.
17-1)ttlillu imythos il valore di authoritative speech act;
Couloubaritsis (La pense de Parmnide, cit., p. 541) insiste sullo stesso
valore con una traduzione poco familiare: ma faon de parler autorise.
3
Il genitivo
per lo pi reso come genitivo oggettivo, di argomento, in
relazione a
, di cui specificherebbe il contenuto. Cerri (p. 219) difende
u u itti titiv (i vi, t ltt u l),
riferendolo alle vie prese in esame.
4
Il valore della congiunzione
sarebbe secondo Mansfeld (p. 93)
complesso: non significherebbe semplicemente che, ma anche come.
Per tale valore si veda il parallelo di B1.31.
5
Coxon (p. 194) sottolinea la contrapposizione tra
e il successivo
(v. 55)
(posero segni): alla convenzionalit
llimiiumtl'ggttivitllvill
6
Il greco
sarebbero
indicazioni, prove del carattere necessario e unico del fatto di essere:
pietre miliari e segnavia che indicano che il pensiero sta seguendo la via
giusta. Thanassas (p. 44), a sua volta, ritiene che i
rigorosamente
parlando iitcmgill,mlluvi,
con la funzione, quindi, di guidare lungo il percorso di conoscenza
ll il cctt i
assicurerebbe alla via la determinazione
142
143
fuori della loro portata. La Robbiano, per altro, concorda con Cerri (p. 214)
sul fatto che
non si riferirebbe ai predicati enumerati in B8.2-6, ma
ai successivi argomenti. A una funzione essenzialmente argomentativa dei
144
).
Secondo Coxon (p. 195), il termine potrebbe essere di conio parmenideo.
Della stessa idea Mourelatos (p. 97), secondo cui esso ricorrerebbe qui per la
prima volta nella letteratura greca, assumendo un significato pi forte del
semplice ingenerato:
in Parmenide escluderebbe ogni forma di
cicuiulcvgllimuitiggi
che la caratteristica essenziale dei segni parmenidei quella di presentarsi
come negazioni (alfa privativo + aggettivo) di qualcosa di significante
llitlliguggilliimtli(uggiu)
9
Come gi segnalato, traduciamo
come ci che , segnalando invece
cmliitttiiiiim,mlc,
c lticl, l fmul i ttt l ctt
, come forma
participiale, potrebbe essere reso con valore verbale (come fa, per esempio
Leszl, p. 171): essendo ingenerato anche imperituro. In tal caso, per, le
altre determinazioni rischierebbero di essere subordinate alle prime due. Si
pu segnalare in questo contesto quanto sottolineato da Scuto (op. cit., p.
141), secondo cui in Parmenide assisteremmo al passaggio da un valore
ancora temporale del participio a un significato atemporale: si tratterebbe di
u tt ci ll ii ll'ti, c cui lli
della costante mutevolezza degli enti si concluderebbe nella certezza di un
essere sottratto al tempo.
10
i
, come la precedente - fmtcllf
privativo, indica letteralmente ci che senza distruzione [morte]
(
). Si tratta di termine veramente raro nella letteratura arcaica:
prima di Parmenide ricorre una volta in Omero (Iliade XIII.761); dopo
Parmenide ricompare per la prima volta solo in Platone (Cerri, p. 220). Nella
testimonianza di Aristotele (Fisica III, 4 203 b13, DK 12 A15; 12 B3), in
riferimento ad Anassimandro, abbiamo:
[B
3]
145
Il termine
(che rendiamo come tutto intero per dar ragione sia della
totalit sia della integrit implicite) di diretta eco senofanea:
Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero ode (DK 21
B24).
12
dopo
(v. 3), Tarn (p. 92) ha buon gioco nel marcare
il vl ivt llggttiv, ch ch i chil (Agamennone 808)
non ha significato letterale di unigenito, ma quello di unico. Cerri (p.
221), collegando
llitt cl i ct (c i,
Teogonia 426, 488), valorizza la metafora arditissima proprio nella
contraddizione sarcastica ad
. In realt la radice *
esprime sia
la noi i c, ivi, i ull i , it l
termine
potrebbe alludere a
piuttosto che a
e
uu vicl li i uicit ult ( 11-4) suppone che
Parmenide usi
in diretta opposizione alla formula tradizionale
per esprimere distinzioni, familiare da Esiodo:
cuuulgiiull erra
ce ne sono due (Opere e giorni 11-12).
ggttiv
si contrapporrebbe a
(B8.53): dietro
(v. 30:
stabilmente dove rimane): esse denoterebbero identit esente da
mutamento temporale. Alle stesse connessioni rinvia anche McKirahan (R.
cKih, ig gumt i mi , i The Oxford
146
[5] n un tempo15 era16 n [un tempo] sar, poich17 ora18 tutto insieme19,
Handbook of Presocratic Philosophy, edited by. P. Curd D.W. Graham,
O.U.P., Oxford 2008, p. 210), il quale per insiste nel suggerire che
lggttiviitesprimere il fatto che ci-che- pienamente e non
pu cessare di essere pienamente, effetto dei limiti che costringono la sua
natura. Esso sarebbe, quindi, impiegato per indicare qualcosa di pi e di
diverso dalla mera assenza di cambiamento e movimento fisico. Colli
(Gorgia e Parmenide, cit., p. 147), tra gli altri, leggendo il verso come
, indicando la
completezza di struttura fisica, mentre
ritorna identico, evocando
di Verit ben rotonda il cuore fermo (
16
Intendendo
147
17
Non chiaro se
si riferisca immediatamente solo a
o anche a
, ,
, cio se anche questi attributi concorrano alla
determinazione delle due affermazioni iniziali del v. 5:
148
149
, che in realt
dovrebbe implicare anteriorit rispetto all'azione espressa dall'infinito
:
altri preferiscono ricorrere a perifrasi: se comincia dal nulla (Pasquinelli),
se fosse nato dal nulla (Cerri), se trae inizio dal nulla (Tonelli).
150
L'infinito aoristo
pu essere reso come nascere\sorgere o crescere: i
traduttori si dividono.
33
La particella pu avere funzione disgiuntiva (o), ovvero esprimere una
comparazione (= quam).
34
Traduco letteralmente
. Le versioni pi diffuse sono:
frher oder spter (Diels), prima o poi (Calogero), later or sooner
(Tarn), dopo o prima (Reale), dopo piuttosto che prima (Cerri), later
f (x), lu t, lutt u [] uvt (i). In
effetti
cmtiv llvvi, m
no: quindi,
letteralmente pi tardi che [\o] prima, sebbene la costruzione possa
sembrare asimmetrica.
Nei versi 9-10 avremmo una delle prime applicazioni del cosiddetto principio
di ragion sufficiente: nulla si verifica senza una ragione sufficiente a
spiegare perch si verifichi cos e non altrimenti. Secondo Conche (p. 141),
si tratterebbe della seconda applicazione, dopo quella di Anassimandro (per
dimostrare la centralit immobile della Terra nel cosmo), e dominerebbe nel
complesso il pensi ll i mi ii iv i
proposito espressa da Leszl (pp. 182-5), che interpreta come se Parmenide
intendesse marcare liugi(cu)chligi
in un qualsiasi momento: il non-essere, nella sua completa negativit, non
potrebbe offrirne alcuna. In realt, come viene rilevato acutamente da
McKirahan (p. 194), delle due possibili traduzioni di
,
pi tardi o pi presto ovvero pi tardi piuttosto che pi presto, la prima
evidenzia come manchi una ragione per cui ci che debba generarsi, cio
non ce ne sia in alcun momento; la seconda, invece, in modo pi sofisticato
civlg il icii i iiff, ttli cm ci
sia ragione perch esso si generi in un momento qualsiasi piuttosto che in
u lt m cKih v cm lgmt i fmult i
termini di domanda retorica, che presuppone una risposta del tipo: in
nessuna circostanza, da ci che non potrebbe generarsi qualcosa.
35
McKirahan (p. 194) ha contestato la tradizionale traduzione di
come
cos, perci, che introdurrebbe la conclusione di un'argomentazione.
Secondo lo studioso, infatti, in tal caso il senso del v. 11 appare nel
contesto - problematico:
pi naturalmente collegato
all'analisi dei successivi vv. 22 ss., piuttosto che a quel che immediatamente
c u t uu ull i tu lvvi
collegandolo alla alternativa
151
- sarebbe quello di
prospettarne i corni come le uniche possibilit da considerare
relativamente a ci che .
37
Come segnala Coxon (p. 199) la formula
sta per
(
)
,
.
,
)
.
152
39
153
).
51
i
si riferisce al fatto che la via che
non (
) non conduce in vero da nessuna parte e, in questo
senso, non una via genuina (vera). Conche (p. 147) insiste piuttosto sul
fatto che non si tratti della vera via: in altre parole, di una via che conduca
alla Verit. A conclusione del verso troviamo, invc, li
154
(pensiero intorno alla Verit). Anche per la Wilkinson (Parmenides and ,cit,pp. 87 ss.) impropriametuviufiii
vera: seguendo Mourelatos, ella suggerisce che
nel poema si
riferisca non alla via ma alla dea: la verit connessa a Persuasione,
,
che sarebbe la dea stessa del poema; al centro del poema ci sarebbe il
riferimento al discorso della dea; la via potrebbe intendersi come il mio
discorso .
52
Il valore di
(vero, genuino, reale) sostanzialmente coincidente con
quello di
: i due termini sono impiegati sostanzialmente come
sinonimi. Per le differenze Germani, op. cit., pp. 184-5.
53
Coxon (pp. 202-3) difende il testo del codice F:
o
, e, rilevando in
155
156
) lmgit
che rende impossibile ogni discriminazione e divisione di ci che .
Mourelatos (p. 114) ritiene che Parmenide sostenga logicamente
con
. In ogni caso la fondatezza della premessa di
omogeneit stata molto discussa: mancherebbe un argomento a sostegno
nei versi precedenti.
64
ucimli
genericamente come qualcosa di pi:
Coxon accentua il valore intensivo del comparativo (any more in degree).
65
McKirahan (p. 197) sottolinea come
suggerisca non tanto
continuit quanto holding together, tenersi insieme, e accosta il significato
157
risulterebbe equivalente a .
70
vv c ifmuli lliil iiviiilit x ( )
osserva giustamente che, a parte la solitaria occorrenza di
nel v. 6,
luic tmi mi u cKih tuc
diversamente il greco: dal suo punto di vista (p. 224), la relazione con
suggerisce di valorizzare il fatto che ci che si tiene
insieme (holds together); cos in vece di continuo, con la sua ambiguit
spazio-temporale, egli preferisce usare per
la formula, di difficile
resa italiana, holding together.
71
Il verbo
uggicliivvicimto. In questo senso potrebbe
essere tematicamente collegato tanto alla via quanto al viaggio che trascorre
158
159
Gli aggettivi
marcano la peculiare immutabilit
ll, iv ll immilit i ci ch i g cm
questo potrebbero implicare se si accetta la lezione adottata la formula
del vx()vicgliucllffmii
di Anassimandro (DK 12 A15):
160
llit
possibile associare sia un significato attivo (Coxon:
becoming and perishing have strayed very far away), sia un significato
passivo (indicato in questo caso da Liddel-ctt)cmuggici
(p. 53), il secondo emistichio del verso giustifica la resa passiva.
79
Coxon ricorda (p. 207) come li
a occorra una sola volta
in Omero ed Esiodo, dove si allude alla distanza del Tartaro: Parmenide
t ul mc lg it ll i gi
corruzione.
80
Traduco
non con reale credibilit - come in B1.30: il diverso
contesto in particolare la sua impronta argomentativa, autorizza una
differente accentuazione del valore di
, intesa come convinzione,
cvicimtchctuicllmcttcttmtffetti il
termine ha un suo specifico uso giudiziario (Heidel citato da Tarn p. 113),
i cui ig lvi l v tt i tiul l lgm c l
Realt\Verit, espresso dall'aggettivo
(reale, vera, veritiera,
genuina), tuttavia, suggerisce di privilegiare il significato di convinzione.
81
i gc
161
84
ma con funi
saldissime dovete legarmi, perch io resti immobile,
ittlllll ad esso siano fissate le corde.
Nel nostro contesto il valore della espressione non tanto locale quanto
tmlgllilluliiviitml
(Coxon p. 208). Ruggiu (p. 299) sottolinea il carattere militare di
162
nelle catene del vincolo90 [lo] tiene, che tutto intorno lo rinserra .
91
163
164
non , infatti, manchevole [di alcunch]; il non essere 95, invece, mancherebbe di tutto.
La stessa cosa96 invero pensare97 e il pensiero98 che99 :
Intendiamo li
come participio sostantivo, in
contrapposizione al precedente
: quindi il non essere ovvero ci
che non (espressione tuttavia meno felice nel contesto). Ci troveremmo in
presenza di una articolazione del discorso imperniata su essere (
) e
non-essere (
) lcit ch li icmiuti fftti
manca di niente; il non-essere, invece, mancherebbe di tutto. D'altra parte,
165
cmuichimicichiiilili(vv
t)
98
Intendiamo il verso nel suo insieme come una ricapitolazione di B3 (a sua
vltccluii)cichluiclggttlil
ci che disponibile come oggetto del pensiero e non esiste altro oltre ci
che : quindi solo ci che pu essere pensato (McKirahan, pp. 203-4).
Sulla scorta di questa interpretazione, McKirahan suggerisce di interpretare
chlffmii indifferente per me donde debba iniziare: l,
infatti, ancora una volta far ritorno.
99
Intendiamo
, in questo caso, come congiunzione equivalente a
(che), come, tra gli altri, Calogero (La stessa cosa il pensare e il
pensiero che ), Guthrie (What can be thought [apprehended] and the
thught tht it i th m), (t i th m t thik th
thught tht [th jct f thught] xit), i (t u mm
chu,tlffimtt),ch(tlmm
t l uil y a), Cassin (C'est la mme chose penser et la
pense que "est"). L'alternativa rendere
come formula
pronominale, composta dal pronome neutro (caso genitivo) + preposizione.
Questa lettura difesa tra gli interpreti recenti - da Reale (Lo stesso il
pensare e ci a causa del quale il pensiero), Coxon (The same thing is
for conceiving as is cause of the thought conceived), Heitsch (Dasselbe
aber ist Erkenntnis und das, woraufhin Erkenntnis ist), Cerri (La stessa
cosa capire e ci per cui si capisce), Cordero (Thinking and that because
of which there is thinking are the same), Gemelli Marciano (Dasselbe ist
zu denken und das, was den Gedanken verursacht). Diels, intendendo come
con valore finale (ci in vista di cui), aveva reso: Denken und
des Gedankens Ziel ist eins. h guit uft ( ct l mm,
penser et ce dessein de quoi il y a pense). Lunga disamina critica in
Tarn, pp. 120-3. Di recente McKirahan (p. 203) ha difeso la lettura causale
di
, m h vt liti uggtiv ch li i
contemporaneamente anche una sfumatura finale.
100
Per evitare la difficolt di una traduzione che sottolinea come il pensiero sia
espresso nell,tttvilttiv Zeller, Burnet,
Cornford, Raven (tra gli altri) preferiscono rendere con una perifrasi: a
soggetto del quale, in riferimento al quale, rispetto al quale. A
conclusione di una lunga discussione (pp. 123-8), Tarn (seguendo Albertelli
e Mondolfo) propone in what has been expressed. A questa traduzione
(cui ricorre anche Sedley) sono state tuttavia opposte obiezioni di ordine
grammaticale (si veda Robbiano, p. 170). La Robbiano (pp. 169-170)
intende come equivalente a
, proponendo
come
soggetto di
166
sarebbe
equivalente a
e
(B8.8) e
(B2.7-8).
102
Rendiamo le due congiunzioni < >... precedute da
cm
103
La formula
adattamento di analoga formula epica (
).
104
Secondo Mansfeld (p. 101) Parmenide affermerebbe in questo passaggio
litit i i , imlic ch il pensiero non possa essere
ulcilt,iit,cttllcmuut
a esso.
105
Anche in questo caso la costrizione della divinit di turno (Moira) a
giutificcmiutuicitllmi
106
Si ripete, con
,luggtillictmt,llctii
(da intendere, fuor di metafora, in senso logico). La formula
epica.
107
Le due connotazioni mclitgitimmutilit,
reiteratamente richiamate nel frammento. Per
, tuttavia, vale quanto
segnalato sopra: la sua comprensione, come suggerisce McKirahan,
probabilmente da collegare alla metafora dei legami e della costrizione.
,litgiticich(
)tutllimmgi
della costrizione a essere pienamente ci che .
108
Seguiamo Palmer (op. cit., pp. 171-2) nell'intendere
come pronome
relativo (riferito a
): dal momento che egli accoglie la lettura
167
Per esso [
168
. Come ha convincentemente
marcato McKirahan (pp. 212-213), le indicazioni spaziali, letteralmente
disseminate nei vv. 42-49, possono essere intese anche in senso metaforico.
Si tratta di naturali sviluppi della nozione di
, le cui prime occorrenze,
anche in ambito filosofico, hanno a che fare con i limiti spaziali, ma che
presto usata anche per altre finalit, non spaziali (come attesta il
contemporaneo di Parmenide Eschilo). Thanassas (pp. 53-4), dal canto suo,
valorizza una interessante implicazione: il limite che abbraccia e conserva
litll(vll -Essere), consente da un lato di
icc leon cmlt gi lt, lllt i it tutt l
apparenze (appearances) come equivalenti, come esseri. Ci richiamerebbe
lffmi ccluiva della dea nel proemio, che nella versione accolta
da Thanassas e da noi condivisa suona:
, tutte
insieme davvero esistenti.
118
vvi
, sia che lo si intenda riferito a
169
170
stato spesso volto in senso metaforico. Concordiamo con Conche (p. 180),
che il centro cui si riferisce la Dea sia quello del mondo e che ella sottolinei
cm i gi t lluiv l i l t x (p. 217),
ivc, ttli cm luilii cui mi llu c
sia di carattere non-fisico, e funga da complemento alla
nozione di perfezione universale (somiglianza con il volume della sfera),
marcando la sussistenza in se stessa di questa perfezione, la sua totale ed
eguale dipendenza dal suo proprio centro.
124
tim li
come un rilievo della
cmtt ll
concorda con il neutro
\
, non
con il maschile
(o il femminile
), dunque con il soggetto
sottinteso (ci che ), non con massa di ben rotonda palla. Dal centro
alla superficie della sfera si esprime la stessa forza (Diels, Tarn), ovvero lo
stesso peso, lo stesso equilibrio, la stessa spinta. Ruggiu (p. 309),
i(lg,lt,ultuthi)lichlimmgi
llfimuugugliimicftll
si estendono in modo uguale dal centro alla periferia e dalla periferia al
ct,iilitiifflcuiititt
i ch fic cm ugul t,
ivilgilttllmgitullimicllggttiv
in particolare rilevante la sottolineatura, da parte di Conche (p. 180), di un
fatto che nel contesto pu sfuggire:
i ific ll
alla sfera. Secondo Mourelatos (p. 127) avremmo qui, invece, la definizione
171
di equidistanza:
imliii uguale in ogni
direzione.
125
Rendiamo in questo modo
, per sottolineare
lmgit ll i itiv c u i u m
ivchiuccivi
(v. 48).
126
Ruggiu (pp. 309-10) osserva come fi tilit ll
dipendano da vincoli esterni, ma dalla simmetrica distribuzione delle forze
itlllutuguglichuittlti
127
Traduciamo letteralmente
Cerri (p. 239) osserva che,
in questo caso,
igific i m ch vut, i
vut,i\mti
128
ucimcli
: il non-essere potrebbe teoricamente
itm icimi litit luguglianza con se stesso di ci
ch ut ii ch l tuii i i ( l imilitu
<avec soi-mm)ch(lgliti-mme).
129
tiliimlfmllici(tuc
come di ci che ), per
facilitare la lettura in italiano. Avremmo potuto impiegare il pronome di
esso, ma abbiamo scelto di rimanere aderenti alla ripetizione greca.
130
i
172
173
DK B8 vv. 50-61
[50]
[55]
[60]
,
,
.
,
5
I codici delle tre citazioni di Simplicio riproducono il verso 57 con evidenti
irregolarit metriche, per la presenza di
(rarefatto) prima di
. Il testo risulterebbe dunque: che mite, molto rarefatto e
leggero..... Si per lo pi ritenuto che uno dei due aggettivi fosse glossa
dell'altro, con conseguente espunzione. La versione del testo che suggeriamo
quella per lo pi adottata. Cerri, che sceglie di conservare il testo dei
codici, senza espunzioni, in una lunga nota testuale, con grande acribia
ricostruisce la probabile fisionomia del testo di Simplicio in questa
forma:
,
. Da osservare che il
termine
(raro, rarefatto) probabilmente da considerare un
termine tecnico della cosmogonia milesia (Anassimandro DK 12 A22,
Anassimene DK 13 B1). Al contrario, il termine
non attestato nel
linguaggio fisico presocratico. Coxon (p. 223) considera
certamente
parmenideo, in quanto utilizzato come opposto di
da Melisso e
Anassagora e nella tradizione dossografica sulla fisica di Parmenide.
6
L'aggettivo dimostrativo
concordato con
. Karsten propose di
correggere il testo dei codici con
. Il senso sarebbe allora: relativamente
a queste cose, io ti espongo ordinamento del tutto verosimile.
1
174
Nella trascrizione dei codici, alcuni editori (Stein, tra i contemporanei seguito
tra gli altri da Coxon, O'Brien) intendono
. Il significato complessivo
del verso cambia di poco: cos che nessuno dei mortali possa esserti
superiore nell'opinione ovvero nel giudizio (o practical judgement
Coxon).
8
I codici EaF di Simplicio riportano
, i codici DE
: gli
editori hanno corretto in
.
175
L'aggettivo
immediatamente riferito a
, ma pu riferirsi anche a
: in qualche caso le traduzioni scelgono questa strada. Qui abbiamo
preferito mantenere distinti i due oggetti e
176
sur Parmnide cit., vol. II, pp. 199-200), che legge il genitivo
come complemento indiretto (dalle mie parole) di
, e
come ordine del mondo. Robbiano (op. cit., p. 182) avanza l'ipotesi che
a
: discorso
poetico sarebbe contrapposto a discorso razionale. D'altra parte la cultura
del V secolo riconosceva un nesso tra
e
(come risulta da Euripide,
Eracle 111). Cerri (p. 243) non , tuttavia, disposto a esagerarne, nel
contesto, le implicazioni: in particolare, l'irrazionalit e l'ingannevolezza
delle parole che seguono sarebbero solo relative. Tarn (p. 221) sottolinea
come la Dea, pur impiegando parole secondo le regole della grammatica e
della poesia, non potr evitare che il suo discorso risulti decettivo.
10
Nuovamente (dopo B2.1) il
viene invitato ad ascoltare, a manifestare
con la disponibilit all'ascolto la propria aspirazione alla conoscenza.
11
Dobbiamo a J. Frre (op. cit., p. 201) il rilievo circa il significato antico di
: che non sarebbe, come per il corrispettivo moderno,
ingannevole, piuttosto suscettibile di ingannare. La sua resa francese
la seguente: [un ordre du monde], o l'on peut se trompeur. Lo studioso
propone in effetti di collegare
e
, senza fare di
un genitivo dipendente da
, ma vedendovi un complemento di
(p. 199). Reale sceglie di rendere l'aggettivo con seducente:
Ruggiu nel suo commento (pp. 313) sottolinea come il senso dell'aggettivo
vada colto nella relazione di apertura alla verit e all'errore (come sarebbe
proprio di ogni seduzione), alla luce del suo oggetto, l'apparire. Mourelatos
(p. 227) ha valorizzato le potenziali ambiguit della formula
177
178
14
15
(essi decisero) e
(l'opposto: essi erano
di due opinioni, vacillavano; situazione che pu richiamare quanto espresso
da
, B6.5).
Palmer (Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., p. 354) ha di recente
sottolineato come
qui abbia poco senso nel contesto, in quanto quel che
segue non sembra giustificare le affermazioni della dea nei vv. 51-2:
assumerebbe altro valore accettando la proposta di Ebert di "restaurare" i vv.
34-41 dopo il v. 52. In realt la Dea, in quel che segue, illustra proprio come
e dove possa annidarsi la distorsione nel punto di vista umano che va a
presentare.
cii i mi imlic uitit ch mi h gi
stigmatizzato in B8.38b-39:
179
.
Cos appunto, secondo opinione, queste cose ebbero origine
e ora sono,
e poi, a partire da ora, sviluppatesi, moriranno.
A queste cose un nome gli uomini imposero, particolare per
ciascuna.
Se teniamo conto della proposta di restauro del testo (vv. 34-41 dopo v. 52) da
parte di Ebert, potremmo effettivamente concludere che l'arbitrio della
convenzione linguistica indissociabile dalla concezione parmenidea della
Doxa l ( ) h clt i ut uticii della distinzioneopposizione tra nomos e physis.
16
Interessante la proposta di Leszl (p. 230): egli suppone infatti che
abbia
una doppia associazione, traducendo: i mortali con doppia mente hanno
dato nome a due forme. La descrizione dei mortali corrisponderebbe cos a
quella di B6.4-5.
17
Il valore di
sarebbe nel contesto, secondo Cerri (p. 246) quello di
strutture categoriali, create dall'uomo in funzione delle sue (due) sensazioni
pi urgenti, sulla base delle quali si costruirebbe successivamente la trama
complessa delle parole. Un parallelo in Platone, che sembra evocare
direttamente il verso parmenideo:
180
=
: i mortali hanno errato nell'introdurre (oltre all'essere) due forme:
nessuna delle due avrebbe dovuto essere nominata: mortals have decided to
name two Forms, of which it is not right to name (so much as) one. La
Curd l'ha riproposta all'interno della sua analisi delle due forme come
enantiomorfe. Tarn (p. 219) ha sottolineato come tale resa sottintenda
qualcosa (
) che il testo greco non propone. Una quarta possibile
interpretazione quella che abbiamo seguito: si pu ritrovare gi
nell'edizione del poema di Diels (1897), ma stata soprattutto ripresa e
approfondita da H. Schwabl ("Sein und Doxa bei Parmenides", Wiener
Studien, 1953, p. 53 ss.) e poi adottata da Tarn (for they decided to name
two forms, a unity of which is not necessary), Couloubaritsis e da Reale.
Gli uomini pongono due principi che non si possono ridurre a unit, in ci
cadendo in errore. Il genitivo del pronome (
) non pu essere partitivo (in
tal caso avremmo
) ma collettivo, e riferirsi a entrambe le
.
Conclusione: (da intendere in senso numerico) deve essere una unit
delle
181
.
21
Il perfetto medio-passivo
182
dell'altro [...] definiti in termini di ci che l'altro non (p. 107), dunque in
una sorta di intreccio di essere e non-essere. Thanassas rimarca la
connessione tra
:
la formula in questo essi si sono ingannati concorrerebbe a restringere la
validit del termine ingannevole alle opinioni mortali criticate in 8.549, cos da aprire la possibilit di una nuova comprensione della relativa
incidentale (
183
).
29
Coxon (p. 221) ritiene che Parmenide, pur concordando nella sostanza con
Eraclito sul fatto che il fuoco costituente ultimo del mondo fisico, nella
scelta della coppia luce-notte rivelerebbe come sua fonte immediata la tavola
degli opposti pitagorica. Charles Kahn, invece - nel suo fondamentale
Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Hackett, Indianapolis
1994 (originariamente Columbia U.P., New York 1960), p. 148 -, ha
mostrato come l'espressione
risenta della omerica
connotazione di
(da
, accendere, infiammare) come celestial
light, originariamente indicante una condizione del cielo e solo
derivatamente l'elemento luminoso e raggiante connesso alla regione
superiore dell'atmosfera, a contatto con la copertura celeste (
): nel
tempo, insieme al correlato
, avrebbe modificato il proprio significato,
finendo nel V secolo a.C. per indicare una regione di puro fuoco (come
ancora attesta Anassagora in DK 59 B1, B2, B15). I sostantivi
e
(accusativi) sottintendono un verbo reggente: nella nostra traduzione si tratta
di
.
30
L'aggettivo
per lo pi tradotto con mite, che nel contesto, dopo il
richiamo a
, potrebbe apparire insensato: in alternativa
Cerri (p. 249) propone utile o propizio. Ma anche questa soluzione,
soprattutto nel confronto oppositivo con i segni di notte oscura, appare
poco convincente. Manteniamo mite, nel senso fisico, suggerito da Frre
(pp. 207-8), di non intenso.
31
La due forme - fuoco etereo e notte oscura - sono poste a un tempo con la
caratteristica identit uniforme dell'essere e con la non-identit rispetto alla
forma opposta. Si tratta di caratteri fondamentali per l'interpretazione della
cosmologia parmenidea: il sistema di spiegazione adottato riflette propriet
emerse dall'analisi della Verit. Su questo punto in particolare Graham (pp.
170-1). Couloubaritsis (Mythe et philosophie cit., pp. 281 ss.) vede in questo
rilievo una sorta di indulgenza della Dea nei confronti dei mortali in
questione, i quali si attengono parzialmente alla legge dell'essere: ci
consentirebbe di riconoscere i Pitagorici dietro alle espressioni parmenidee.
Come abbiamo sopra ricordato, Mansfeld (p. 140) individua nei segni con
cui Parmenide connota le due forme la nascita della nozione di elemento:
184
rispttlllt,ivc,itic 32llltt,ch
quello in se stesso 33,
le caratteristiche opposte34: notte oscura35, corpo denso e pesante36.
proprio auto-identit e non-identit rispetto alla forma contraria ne
sarebbero i costitutivi concettuali decisivi.
32
Forse proprio questo rilievo a segnalare il limite della posizione criticata:
come suggerisce Couloubaritsis (Mythe et philosophie cit., p. 288) non aver
saputo cogliere fino in fondo la legge della identit e non aver posto, per la
conoscenza, l'orizzonte dell'unit. possibile che il gioco di
-
richiami le schiere scriteriate (
) di cui in B6.8-9a si
dice:
[
per i quali esso considerato essere e non essere la stessa
cosa
e non la stessa cosa.
A questo ha di recente prestato attenzione Granger ("The Cosmology of
Mortals", in Presocratic Philosophy, cit., p. 111). Mansfeld (pp. 133-4) ha
vtcmlititlliifftullllufm
lut-ititllititlluitut-identit delle forme,
inoltre, auto-identit di aspetto che non esclude ma anzi concede allo
stesso tempo una contraria auto-identit di aspetto. Nehamas (mi
igclit i, i Presocratic Philosophy, cit., p. 55) ha invece
sottolineato come i due principi della Doxa - separati l'uno dall'altro, ognuno
completamente identico a s e differente dall'opposto - non si mescolino in
alcun modo l'uno con l'altro: la loro separazione radicale sarebbe dunque,
linguisticamente e filosoficamente, contraria alla pervasiva confusione di
essere e non-essere denunciata in B6.
33
Diels (DK vol. I, p. 240) legge
come se
avesse valore
avverbiale (gerade) e
reggesse
(all'opposto).
34
L'espressione
qui intesa come
+
(gli opposti, le cose
opposte), come oggetto indeterminato del verbo reggente (
),
utilizzato per introdurre il vero oggetto (
) e le sue connotazioni.
35
L'aggettivo
indica l'impossibilit di discernere, percepire, conoscere
(costruzione con alfa privativo del verbo
, imparare, conoscere,
percepire): absence de sens, secondo O'Brien (p. 60), ma anche
absence de lumire (
). Liddell-Scott indica come secondo valore
oscuro, proprio in questa occorrenza nel poema di Parmenide. Coxon (p.
185
). Una quarta corrispondenza ritrovata nel rilievo della comune autoidentit e etero-differenza delle due forme.
37
Mourelatos (p. 230) coglie nell'uso di
un aspetto decettivo. Esso
pu indicare ordine del mondo, ma suggerire anche attivit: un
ordinamento in divenire nel tempo, una cosmogonia. Inoltre, in relazione a
e
(B12.5), l'implicazione di ordine (
) di
sarebbe rovesciata nel senso di segregazione, divisione: il
dei mortali sarebbe dunque, in realt, un campo di battaglia. Il
termine tuttavia impiegato anche in Aristotele per indicare l'ordinamento
cosmico pitagorico e in genere anche nella forma verbale
conserva una valore positivo. Robbiano (op. cit., p. 183), riprendendo la
propria interpretazione del termine
, osserva come
sia qui
utilizzato per ribadire all'audience che il kosmos non un aspetto della
realt, non esiste oggettivamente; che vedere un kosmos vedere ed
esprimere la realt usando parole. Thanassas (Parmenides, Cosmos, and
Being, cit., pp. 64-5) osserva, invece, come il termine diakosmos implichi
un intreccio delle due forme, che prelude alla introduzione della nozione di
mescolanza, impiegata per la Doxa it ut , l
espressioni ordine ingannevole delle mie parole e ordinamento del
mondo del tutto appropriato denoterebbero due diversi livelli e obiettivi
della Doxa: importante che essi non siano confusi (pp. 67-8).
186
38
),
marcando l'accordo e la coerenza con i fatti. Anche Couloubaritsis (Mythe et
Philosophie chez Parmnide, cit., pp. 264-5) sottolinea la positivit del
termine, optando per il valore di conveniente, adeguato, analogo a quello
(appunto) dell'avverbio
. La dea segnalerebbe al giovane la propria
intenzione di esporre l'ordinamento delle cose che conviene, cio tenendo
conto della critica rivolta ai mortali (B8.54). Di diverso avviso Mourelatos
(p. 231), per il quale anche
manifesterebbe lo stesso gioco di
positivit e negativit che in genere impronta la Doxa parmenidea: per i
mortali non iniziati
significherebbe adeguato, appropriato,
probabile, per la dea e il kouros apparente. Per Robbiano (op. cit., p.
183), la dea ricorrerebbe qui a
per correggere l'impressione negativa
che l'audience poteva associare al precedente
. Leszl
osserva (p. 223) come in questo verso di solito si renda
187
cos che mai alcuna opinione43 dei mortali possa superarti 44.
suo. Un aspetto rilevato anche da Thanassas (op. cit., p. 71): il pronome
personale
, in greco non necessario, sarebbe impiegato per enfatizzare il
carattere rivelativo di quel che segue, cos segnando il passaggio dalla Doxa
ingannevole a quella appropriata.
42
Coxon (p. 224) intende
come io dichiaro, modificando la struttura
della frase: This order of things I declare to you to be likely in its entirety.
Couloubaritsis (Mythe et philosophie, cit., pp. 262-3) sottolinea come, nel
linguaggio corrente,
fosse utilizzato per indicare una promessa, un
impegno. Come se la scelta verbale di Parmenide impegnasse la Dea nella
esposizione che segue. Interessanti le implicazioni lessicali: il sostantivo
in effetti significa parola, in particolare la parola di un dio o di un
oracolo; ma anche ci che si dice di qualcuno, una voce e, di
conseguenza, la rinomanza. Si tratta, dunque, di espressione ambigua, il
cui valore oscilla tra verit e discorso inverificabile. Utilizzato dalla Dea,
viene da un lato a significare parola vera (B8.35), che dovr
permettere al giovane di acquisire rinomanza, cos da risultare credibile
come uomo divino (
). Questo spiegherebbe, secondo
Couloubaritsis, il passaggio alla proposizione conclusiva: nessun sapere
umano potr superare quello cos acquisito dal giovane. In ogni caso, anche
per una valutazione complessiva della sezione sulla Doxa, opportuno
marcare (seguendo Frre, op. cit., p. 209) come
rinvii, all'interno di
questo frammento, alla parola che manifesta l'Essere (vv. 35-36a:
,
,
).
43
Il termine
ha uno spettro semantico piuttosto ampio, che spazia da
pensiero, giudizio, opinione, a decisione, massima pratica,
proposito. Reale-Ruggiu (pp. 316-7) interpretano l'espressione
come se non indicasse semplicemente altre opinioni, altri giudizi dei
mortali, ma una forma di "saggezza" (come quella veicolata attraverso gli
enunciati "gnomici" appunto, massime di saggezza pratica) tutta umana, che
si riduce a mere parole. Tarn traduce in effetti come wisdom e
Couloubaritsis come savoir.
44
Il verbo
ha il significato di passare, superare. Mourelatos (p.
226 nota) osserva che il verbo appartiene al vocabolario delle corse di carri.
Il senso sarebbe dunque da rintracciare nel superamento/sorpasso
(outstrip), ma anche nel rivelarsi superiore in ingegno (outwit).
Untersteiner ha sottolineato anche il valore di portare fuori strada,
sviare, seguito da Reale-Ruggiu e anche da Cerri. Manteniamo la
traduzione pi comune. Su questa conclusione ha fatto per molto tempo leva
l'interpretazione "dialettica" della Doxa parmenidea: uno strumento, il
migliore possibile, per concorrere con successo con cosmologie rivali. Ma
pur sempre "ingannevole"! Una recente ripresa, ben argomentata, quella di
188
Granger (op. cit., pp. 102-3): l'impegno della Dea sarebbe stato quello di
fornire il miglior strumento per individuare l'inganno che si annida nelle
cosmologie. Nella misura in cui il giovane allievo fosse stato in grado di
riconoscere i difetti del pensiero dei mortali nella cosmologia che la Dea
aveva approntato, nessuna opinione mortale avrebbe pi potuto
sorprenderlo: la cosmologia pi ingannevole, in effetti, quella pi vicina
alla realt. Tarn (p. 207) aveva marcato come i due versi finali del
frammento non affermino che la ragione per esporre il
sia che
ilmigli,mlchlitimtfftchu
sapienza umana possa superare Parmenide.
189
DK B9
,
.
La forma verbale
, corretta
190
Coxon (p. 232) difende l'inversione tra soggetto e predicato: dal momento che
in B8.53-59 si parla di nominare due forme, luce e notte dovrebbero
essere soggetto della proposizione, mentre tutte le cose diventerebbe
predicativo. I due nomi sarebbero, insomma, la sostanza della molteplicit di
enti fisici.
2
Il pronome dimostrativo neutro plurale
secondo Tarn (p. 161), seguito da
Conche (p. 198), si riferisce a
Diels, invece, seguito da altri
(per esempio Pasquinelli, Coxon), lo intende riferito a
. Gigon,
Frnkel, Raven rendono il verso come espressione semplice: le cose in
accordo con le qualit di luce e notte sono state attribuite a queste cose e a
quelle.
3
ggttiv iv
pu essere tradotto con valore riflessivo
(proprie) o meno: il valore dipende dalla decisione circa il significato da
attribuire a .
4
Il termine
191
[...]
192
193
DK B10
[5]
,
3
194
195
). In B8
costringeva l'Essere
alla identit e immutabilit; qui garantisce l'ordine dell'universo e la sua
costanza. Coxon (pp. 229-230) sottolinea la relazione di somiglianza,
analoga a quella che intercorre (in conclusione di B8) tra le due forme e
l'Essere.
15
Letteralmente leg (
): torna anche in questo luogo l'eco
prometeica che il verbo porta con s (Cerri, p. 262).
16
Significativo il fatto che il Cielo abbia una doppia funzione: avvolgente
(
) e limitante rispetto alla marcia astrale (
).
196
DK B11
197
L'espressione
si riferisce probabilmente al fatto che tutti gli astri
sono immersi nello spazio etereo.
2
La formula greca significa letteralmente latte celeste.
L'uso dell'aggettivo potrebbe autorizzare a pensare (Conche, p. 211) che per
Parmenide la Via Lattea fosse composta di stelle.
3
Nel contesto l'espressione
. Il valore di
sarebbe quello di forza vitale. L'impiego
dell'aggettivo
si spiega con la natura ignea degli astri.
5
Significativo nel contesto il ricorso al verbo , che sottolinea la spinta,
l'impulso interiore: tale impulso a guidare il processo di costituzione delle
cose. In B12.4 Parmenide lo attribuir alla potenza immanente di una
.
6
Come sottolinea la scelta espressiva (
), il contenuto del
frammento comunque in continuit con il tema cosmogonico-cosmologico
del precedente.
198
DK B12
1
<
[5]
[vv. 1-3 Simplicio, In Aristotelis Physicam 39; vv. 2-6 Simplicio, In Aristotelis Physicam 31]
1
(F).
5
La forma
si trova nel codice F: DE riportano
.
199
200
.
7
L'espressione
<
>
<
,
>
.
Ma Simplicio, evidentemente interpretando diversamente da Atius il
riferimento di
L'espressione
201
), sembra essere
quello di presiede, sovrintende. Si potrebbe rendere anche come
principio di ovvero all'origine di.
11
L'uso di
(da
, avere in orrore) rivelerebbe il pessimismo di
fondo di Parmenide, eco della Stimmung della sua epoca, come riscontrato
soprattutto nella poesia, epica e lirica. Da notare (Conche, pp. 225 ss.) che in
questo caso il riferimento non esclusivamente alla nascita umana, ma alla
genesi di tutte le cose: la condanna del filosofo sarebbe rivolta al divenire
come tale (p. 227). Altri, tuttavia, attenuano il senso negativo dell'aggettivo
proprio in relazione al sostantivo
, traducendo doloroso [ovvero duro]
parto (Reale), riferendolo quindi esclusivamente alla pena del travaglio,
non ai suoi effetti.
12
Il greco
reso, alla luce del verso successivo, come unione sessuale,
coito (Cerri), amplesso (Tonelli). In realt non si deve dimenticare che
qui il poeta si riferisce non solo all'unione sessuale di maschio e femmina,
ma in genere all'unione dei due principi.
13
Le forme aggettivali sostantivate
(il maschile) e
(il
femminile) alludono forse - come nella tradizione pitagorica (secondo
quanto attesta Aristotele) - alla riduzione del primo elemento alla luce e del
secondo alla notte.
202
DK B13
203
La
di B12.
Traduciamo in questo modo (ambiguamente)
: il senso nel contesto
garantito dalle testimonianze di Platone e Aristotele (che pur lasciano incerto
il riferimento al soggetto), Plutarco (che riferisce il verbo a Afrodite) e
Simplicio (che invece esplicitamente identifica il soggetto nella
di
B12) - dovrebbe essere quello di generare, ma il significato del verbo
204
DK B14
1
La forma
205
Il composto greco
significa letteralmente di notte
visibile\splendente. Come fa notare Cerri (p. 274), in tutti i composti del
tipo
- il primo elemento ha valore di determinazione temporale (di
notte). Questo il senso che anche Conche (pp. 234-5) attribuisce al
composto
: brillant la nuit, contestando la poco convincente
resa di Coxon (shining like night?!). L'aggettivo ricorre solo un'altra volta
in Orphica, Hymnii 54, 10:
, in relazione ai riti dionisiaci,
che si tenevano (evidentemente) alla luce delle torce. Aristotele documenta
analoga interessante costruzione in riferimento al Sole:
, di
notte nascosto. Rivendicato da Jaeger come citazione parmenidea,
l'aggettivo stato accolto come frammento nella edizione Untersteiner. Lo
facciamo seguire come B14a.
2
L'espressione
L'espressione
, da intendere letteralmente come luce altrui, si
riferisce alla luce riflessa della luna (luce presa in prestito, come traduce
Conche). Parmenide consapevolmente gioca sull'assonanza con l'omerico
(straniero). Come osserva Cerri (p. 275), tale formula era
evidentemente opposta a
, luce propria. Espressione analoga in
Empedocle (DK 31 B45):
206
B14a
[...
, ...
207
[... il Sole, ... colui che va intorno alla Terra o] il di notte nascosto 1
1
Secondo l'editore della Metafisica - W.D. Ross in questo caso Aristotele non
avrebbe citato Parmenide, ma forgiato il termine
in analogia
con Parmenide (
).
208
DK B15
.
209
Il participio
dovrebbe letteralmente tradursi come guardando
attentamente. Come segnala Cerri (p. 276), qui molto probabile che
Parmenide giochi sulle implicazioni della relazione tra i due termini,
maschile (
) e femminile (
): la Luna innamorata volge il suo
sguardo intenso verso il Sole. Immagine analoga in Empedocle (DK 31
B47):
210
DK B15a
[
211
212
DK B16
1
(dai
molteplici movimenti). Il testo di Teofrasto
, preferito dagli
editori.
5
I codici aristotelici (insieme a quelli di Alessandro e Asclepio) riportano il
presente
, accolto da Diels-Kranz (e di recente ancora difeso da
Passa, pp. 48-51), di cui tuttavia stata segnalata l'impossibilit metrica. La
tradizione teofrastea propone invece il perfetto
(che ha
esattamente lo stesso valore), metricamente accettabile. La forma
degli editori.
6
I codici di Aristotele e Teofrasto riportano
; quello di Alessandro
.
213
come
temperamento di membra molto vaganti [erranti], intendendola riferita
all'unit del corpo umano, che articolata appunto in appendici mobili, che
si agitano in molte direzioni.
5
Rendiamo il termine
con pensiero ritenendo che in questo caso
Parmenide non si riferisca genericamente alla facolt (mente), ma alla sua
214
il soggetto
di
di
un accusativo, e di
il soggetto di
: la stessa
cosa, infatti, ci che la natura delle membra pensa negli uomini. In questo
modo si lega
a
, marcando quindi
l'identit dell'oggetto del pensiero.
8
Intendiamo in questo contesto
come natura, costituzione (
: costituzione del corpo). Giorgio Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p.
189) intende
come essenza: il
, come elemento della struttura
dell'uomo, operebbe una fusione nella molteplicit delle membra. Tonelli
riprende nella sua traduzione queste indicazioni.
9
Rendiamo il plurale
come corpo, secondo l'uso omerico segnalato
sopra.
215
216
DK B17
La forma
217
e
sono riferite nel contesto del
discorso di Galeno (che cita) alle parti dell'utero:
Molti altri tra gli antichi hanno sostenuto che il maschio sia
concepito nella parte destra dell'utero. Parmenide infatti
afferma....
218
DK B18
Femina virque simul Veneris cum germina miscent,
Venis informans diverso ex sanguine virtus
Temperiem servans bene condita corpora fingit.
Nam1 si virtutes permixto semine pugnent
Nec faciant unam permixto in corpore, dirae
Nascentem gemino vexabunt semine sexum.
219
220
DK B19
1
, riportano
.
correzione degli editori.
221
La formula
impiegata per riassumere quanto detto: introduce quindi
una ricapitolazione ovvero la "lezione" che si ricava dal discorso precedente
(Conche, p. 265).
2
In conclusione della seconda sezione del poema, nella quale la Dea affrontava
come recita B8.51 , appare legittimo tradurre
come secondo opinione. In realt, molti scelgono di insistere sulla
radice in
, traducendo l'espressione come secondo parvenza,
secondo apparenza (Tonelli), selon ce qui semble (Conche), according
to belief (Coxon). Il senso della formula a noi pare comunque
salvaguardato: la Dea conclude la propria trattazione della realt dal punto di
vista dell'esperienza umana, cio di quel punto di vista che matura a partire
da
(le cose che appaiono e sono assunte sulla base della
esperienza: Simplicio, a proposito di tale punto di vista parla di
ma anche di
. Come ha fatto osservare
Coxon (p. 256), i due versi B19.1-2 mettono in contrasto la natura delle cose
che appaiono nell'esperienza umana con la natura attribuita all'Essere in
B8.5:
.
3
Il pronome dimostrativo
qui impiegato per designare l'insieme dei
fenomeni cosmici oggetto della trattazione (
nel
linguaggio di Simplicio) precedente. Secondo Conche (p. 265) si riferisce
alle cose che i mortali hanno sotto gli occhi: queste cose qui, di cui il
discorso cosmogonico ha spiegato l'origine, la natura e il destino.
4
Il testo greco riporta una irregolarit nell'uso del verbo: il plurale neutro
regge sia la terza persona singolare
, sia la terza plurale
e
: il passaggio da singolare a plurale nell'ambito di una stessa
frase esistono comunque precedenti in Omero e Senofane (DK 21 B29).
5
La formula
, come segnalano Diels e Coxon, comune in Pindaro (e
Omero).
6
Come abbiamo gi segnalato, chiaro come in questo passo queste cose
siano connotate da un punto di vista temporale in senso opposto rispetto a
: i tempi verbali (passato, presente futuro), gli avverbi (
,
),
le scelte verbali (
,
,
) contrastano la determinazione
dell'essere come
di B8.5.
222
e B8.53:
secondo quella che Cerri (p. 289) definisce la pi tipica movenza della
"composizione ad anello".
12
L'aggettivo
si riferisce alla funzione (in questo caso attribuita a
) di distinguere, contraddistinguere ( -
). All'instabilit del
nascere, crescere, morire sovrapposta la relativa stabilit del nome.
223
COMMENTO
224
IL VIAGGIO [B1]
Introduzione
Sesto Empirico, unica nostra fonte per i primi trenta versi del
poema
(Sulla natura), ne contestualizza il proemio in
questi termini:
,
.
,
<
>
Il successivo commento (112-114), nel quale Sesto identifica il viaggio del poeta con lo studio filosofico (
), ha nei secoli condizionato la ricezione
del proemio, sia nel senso di proporlo come mera approssimaziomtficllituifilfic del poema, sia, conseguentemente, nel senso di misconoscerne il rilievo teoretico, riducendolo a orpello poetico (in fondo trascurabile):
[1]
[2. 3]
[5]
225
[7. 8]
[9]
<
[9]
>
[22]
[14]
[29]
[30]
uggtiicultuli,chhicmulffttil
relazione con i successivi frammenti molto pi complessa.
Dobbiamo alla competenza del filologo tedesco
liumt ll i mi llitrno di
uticlt cic i luiili cti ( mtivi) tici,
chiilvtiligilitllcapevolezza che la conoscenza della tradizione poetica intermedia
(secoli VII-VI a.C.) tra le fonti omeriche ed esiodee e il poema
parmenideo , per noi, in gran parte compromessa, Diels valorizzava in particolare1:
(i) il modello della speculazione cosmogonica e cosmologica
di Esiodo, che avrebbe improntato soprattutto la seconda sezione
del
, ma da cui dipenderebbe la sua stessa struttura
bipartita - corrispondente all'iniziale sottolineatura delle Muse in
Teogonia, vv. 27-28:
227
tl ttiv, Dil ichimv lttenzione sulla tradizione dei leggendari profeti del misticismo greco arcaico (Epimenide, Onomacrito, Museo) che avrebbe ancora trovato espressione nei
di Empedocle: nel caso della forma poetica
(rivestimento poetico, poetische Einkleidung) privilegiata da
Epimenide per la propria rivelazione (Offenbarung), ritroveremmo, per esempio, il prototipo della narrazione in prima persona (Icherzhlung)iuiiIncubation, quale riferita da Alessandro di Tiro:
>
<
228
229
Perch la poesia?
Il problema della natura e portata del proemio strettamente
connesso a quello, pi generale, della scelta di fondo da parte di
Parmenide - del medium poetico, di cui la narrazione riflette alcuni motivi tradizionali, culturalmente di grande significato teoretico anche nella prospettiva specifica del poema. Ci si riferisce in
ticl llitim t i, ivli mit, ctamt u chiv cif limit ctiv l
, in cui si intrecciano racconto, comunicazione divina della
parola (
) e verit (
).
230
231
Parmenide e la poesia
Nella scelta poetica di Parmenide questi elementi, come si avr opportunit di rilevare, si ricompongono in modo originale,
ttutt l lm lttggimt l titi ll
comunicazione divina: un fatto, tuttavia, che essi siano presenti
nel
, che il mito assuma la forma del manifestarsi di
ci che originario, di quanto viene altrimenti designato come il
divino (
).
Significativamente, la
introdurr (B2) limtic della
sua istruzione intorno alla Verit ricorrendo proprio alla formula
e tu abbi cura della parola, una volta ascoltata (
): il giovane (
) esplicitamente sollecitato
a prendersi cura (
) del
divino, che dischiude la
comprensione della realt. Dei termini greci arcaici per parola
ritroviamo dunque nel poema:
(i)
(B2.1; B8.1), la forma primitiva per esprimere ci
che realmente, effettivamente accaduto: la parola che d notizia
del reale, che stabilisce qualcosa, e, in questo senso, autorevole;
(ii)
(B7.5), che ha il valore di di ci che stato ponderato, che serve a convincere (donde il valore di ragione)7, della
parola ragionevole. In questo senso, in B7.5, la Dea innominata
inviter il
a valutare razionalmente (
, giudica
cilgimt)lgmtt
6
7
232
233
234
uitiiclic,litlcuiutumnto culturale ed educativo essenziale della tradizione. Possiamo allora considerare tale opzione come un facilitatore per la comunicazione del sapiente: come i poemi epici di Omero ed Esiodo, il
poema di Parmenide tratta della verit e offre educazione. Chiara
Robbiano ha giustamente rilevato come scrivere in versi fosse la
soluzione espressiva pi naturale per chi intendesse affrontare una
materia del massimo rilievo: evocando alcune categorie epiche
familiari al pubblico, era poi possibile rimodellarle in una nuova
prospettiva filosofica14. Nel caso di Parmenide si trattava di suscitare aspettative, soprattutto se - ammettendo la circolazione di idee nel complesso del mondo greco, orientale e occidentale - interpretiamo la scelta poetica come alternativa ai modelli in prosa
provenienti dalla Ionia. Da un poema in esametri il pubblico poteva aspettarsi: (i) una comunicazione di verit; (ii) la proposta di
un modello di comportamento 15 . A conferma, significativo il
fatto che, nella cultura tra VI e IV secolo a.C., a pi riprese, Senofane, Eraclito e Platone abbiano attaccato Omero ed Esiodo, cos
ucilici(lfficci)lliccicumntalit e costumi.
Non va trascurata la possibilit che Parmenide abbia valutato
limttitticllperformance poetica, la forza comunicativa della recitazione pubblica, caratteristica di un contesto culturale ancora decisamente segnato dalla tradizione orale. Anche in
questo senso Parmenide avrebbe potuto sfruttare i vantaggi che
garantiva il richiamo alla sapienza del canto poetico omerico ed
esiodeo (facilitare diffusione e memorizzazione della propria
scrittura, attingere a un repertorio di immagini e analogie di sicuro effetto), con la possibilit, poi, di dar forma in piena autonomia a nuovi concetti e formule astratte16.
235
236
21
Ivi, p. 49.
Robbiano, op. cit., p. 49.
23
Wilkinson, op. cit., p. 32.
24
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua , Edizioni
Quasar, Roma 2009, p. 25.
22
237
[B7.1-2]
Questo discorso ha osato supporre che ci che non
sia; il falso, infatti, non potrebbe prodursi in altro modo. Il
grande Parmenide, tuttavia, figlio mio, a noi che eravamo
ancora bambini, cominciando e fino alla fine testimoniava
contro questo discorso, ribadendo ogni volta con le sue
parole e i suoi versi che:
Questo infatti mai sar forzato: che siano cose che
non sono;
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero.
Si tratta di un fotogramma di interno scolastico 25: la memorizzazione dei contenuti fondamentali (cui la scelta dei versi sarebbe stata funzionale) era affiancata dal commento e dall'argomentazione dettagliata del maestro, che approfondiva e chiariva i
temi (comunicando probabilmente informazioni supplementari,
non divulgabili all'esterno). Il poema potrebbe essere, almeno in
parte, un reperto di tale situazione didattica: donde le sue asperit
e l'impressione che fosse probabilmente rivolto a una cerchia ristretta26.
Parmenide poeta
significativo che, in quella che potrebbe essere la pi antica
allusione a Parmenide, egli sia annoverato tra i poeti:
25
26
238
Mi chiedo se vista e udito abbiano una qualche verit
per gli uomini, oppure se queste cose stiano proprio come
sempre ci ripetono i poeti: che non udiamo n vediamo
alcunch di preciso. (Fedone 65b),
[...]
Ad Archiloco si potrebbe rimproverare il soggetto, a
mi il m i f vi [] (lutc DK
A16)
medium espressivo, cui si sarebbe applicato in un secondo momt,vlutlimttcmuictivicmmssi e le incongruenze cui accenna Proclo:
44. 45]
[ 8
<
]
[vgl. 31 A 23]. [
240
Parmenide ed Empedocle sarebbero stati campioni in un genere, quello dei poemi fisici (
), vere e proprie indagini sulla natura (
), icciut lltichit
(Platone). Simplicio suggerisce, dal canto suo, un ulteriore interessante accostamento:
[ 8, 43],
;
[mi] ffm ch l u imil
massa di ben rotonda palla [B8.43], non ci si deve
meravigliare: a causa della poesia, infatti, egli ricorre
ch ulch fii mitic h iff c
dunque tra questo modo di esprimersi e quello di Orfeo:
uvgt(imliciDK)
241
l v l cm igi ll tu i mlli ici otrebbero tuttavia non ridursi ai poemi omerici ed esiodei, e comprendere anche (soprattutto per la seconda parte del poema) la
produzione orfica, soprattutto teogonica e cosmogonica 30, attribuita a Museo, Epimenide e Onomacrito 31.
La rivelazione di Parmenide
La scelta di una portavoce divina esprimerebbe per alcuni il
desiderio di Parmenide di marcare l'oggettivit del suo metodo 32:
lit ll icc f tt vt mlicmt cm
la sua verit, avrebbe finito per riproporsi come un punto di vista,
liiiumtlicccliiiglilti
(mortali) 33. Secondo il modulo epico, invece, il poeta-pensatore
non che portavoce della Dea e della Verit: come il contemporaneo Eraclito rimarcava che:
30
Sullfimigliviumiiiggictutii
A. Bernab y F. Casadess (coords.), Orfeo y la tradicon rfica. Un
reencuentro, 2 voll., Akal, Madrid 2008. In particolare, nel primo volume A.
Bernab, Caratersticas de los textos rficos, pp. 241-246; M. Herrero,
Tradicin rfica y tradicin homrica, cit., pp. 247-278.
31
Per questi aspetti R.B. Martnez Nieto, Otros poetas griegos prximos a
Orfeo, ivi, pp. 549-576.
32
Tarn, op. cit., p. 31.
33
Parmnide, Le Pome: Fragments, texte grec, traduction, prsentation et
commentaire par M. Conche, PUF, Paris 1999 (edizione originale 1996), p.
66.
34
Ivi, p. 65.
242
Rivelazione e verit
In realt Parmenide, come Senofane, sembra per lo pi aderire
alla concezione pessimistica della condizione umana espressa tradizionalmente nella poesia arcaica. Leszl, in proposito, cita il contemporaneo Teognide (vv. 139-41):
,
significativo che proprio dalla poesia Parmenide ricavi i tratti c cui, i , ctti limpotenza dei mortali
(
): essi sono apostrofati come
(che nulla
sanno, come in Omero, Teognide, Mimnermo, Semonide); la loro incapacit di realizzare ci che nei loro intenti stigmatizzata
35
243
come
(impotenza, inettitudine, come in Teognide e
nllInno Omerico ad Apollo, vv. 189-193); la loro attitudine cognitiva liquidata come
(mente errante, con paralleli in Archiloco fr. 58)36.
ittiutu,lfttchlum,cll
sue forze, non possa pervenire alla conoscenza piena della realt,
ilmicmlitvtlvllliviit
consentano almeno al poeta di ricevere e partecipare di quel
sapere che appannaggio divino37. Non sorprende che tale rivelazione investa in primo luogo le premesse (B2) della successiva
disamina razionale (B6-8), che il kouros invece sollecitato a valutare, come se ormai, grazie alla comunicazione dei principi, potesse concludere autonomamente; n che, alla luce delle tradizioni
evocate nello stesso proemio, essa si sostanzi essenzialmente in
termini contemplativi (B3-4), facendo quasi coincidere la percezione intelligente ( ) con il proprio oggetto (
)38.
cific cic ltti limlicit mtiv ll comunicazione divina sarebbero allora sfruttati, consapevolmente e
strumentalmente, allo scopo di certificare verit e disponibilit dei
icii llgmti mi, imm, v ttiuitifmtillicicliuimocenza divina, per assicurarne incontestabilit e universalit. Ovvero, come intende Conche, il sapiente-poeta avrebbe conservato,
llfiillD,litiillliciivina, idea di un sapere che tocca la realt nel suo insieme: avremmo
in questo senso, come gi nel caso di Senofane, non pi una divinit religiosa ma filosofica39.
36
244
40
[
A questo punto pongo termine per te al discorso affidabile e
al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni mortali
im[]
le due sezioni sono tradizionalmente designate come Verit e Opinione.
245
t43. Veridicit ed essenzialit44, in effetti, erano fondamentali obiettivi poetici che le opere di Omero ed Esiodo si proponevano e
rivendicavano (implicitamente o esplicitamente): gli inni teogonici, per esempio, articolavano il pantheon riconducendolo
lligilcm,cicu,ifllivlazione
della Musa, una conoscenza superumana di cose distanti nel tempo e nello spazio45.
Quando le Muse di Esiodo dichiarano:
43
246
( )
48
49
247
La scelta di Parmenide - di far ruotare intorno a una figura divina la comunicazione del poema - potrebbe allora simboleggiare
50
248
;
;
), memori
di Esiodo (Le opere e i giorni) e Omero.
Viaggio ed erramento
Dei cinque aspetti rilevati 55 nella struttura di questo motivo
(motif) omerico - (i) progresso nel viaggio di ritorno, (ii) regresso
ed erramento; (iii) navigazione esperta; (iv) azione folle; (v) ricerca di informazioni sul ritorno da parte dei parenti a casa i
52
53
249
56
250
, v. 5) di un "iniziato" (
) lungo la via che conduce alla porta dell'oltretomba (
59
Per questi aspetti ancora molto utile M.M. Sassi, "Parmenide al bivio. Per
un'interpretazione del proemio", La Parola del Passato, cit., pp. 383-396.
60
F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco. Racconto e sapienza dall'Odissea alle
lamine misteriche, Utet, Torino 2007, p. 115.
61
Sassi, op. cit., p. 386.
251
[h]
62
La Sassi (pp. 387-8) ricorda come nel mito oltremondano del Fedone (107d
ss.) le anime dei defunti, per coprire il cammino verso l'Ade, abbiano
bisogno di
.
63
J.D. Morrison, "Parmenides and Er", Journal of Hellenic Studies, 75, 1955,
pp. 59-68. La citazione a p. 59.
64
G. Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi, Milano 1977, pp. 172-3.
65
Colli, op. cit., pp. 172-3.
66
Sassi, op. cit., pp. 390-1.
252
[...]
[ h ]
<
>
Troverai alla destra delle case di Ade una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto:
a quella fonte non accostarti neppure, da presso.
E pi avanti troverai la fredda acqua che scorre
253
Cos come l'iniziato preventivamente istruito di fronte all'alternativa delle fonti cui attingere per placare la propria sete, la
Dea di Parmenide, conclusa la propria allocuzione introduttiva e
richiamata l'attenzione del
:
,
(B2.3);
(B2.5);
per trattenerlo dal tentativo di percorrere la seconda, come invece accade (analogamente alle anime che si gettano verso l'acqua
della prima fonte) ai mortali che nulla sanno (
, B6.4)68.
Sono stati compiuti, negli ultimi anni, tentativi per individuare
un modello unitario per tutto il materiale funerario di questo tipo
(che si riferisce a reperti risalenti ai secoli V-II a.C.), giungendo
addirittura a fissare la serie di stazioni che farebbero da sfondo
alle istruzioni per le anime dei defunti 69. Pi prudentemente, riferendosi alle laminette di Ipponio, Petelia, Farsalo e Entella (fine
V- fine IV secolo a.C.), Ferrari ha sottolineato come ci si trovi di
fronte a una traccia poetica sostanzialmente unica e unitaria, ma
altres che le rimodulazioni dei vari testimoni risultano a tratti
67
254
Esperienze sciamaniche
Abbiamo citato Morrison a proposito del suo accostamento del
viaggio di Parmenide al tragitto di un poeta-sciamano: la figura
dello sciamano - ilcuiilivllmitllcultucic
stato notato, qualche anno prima del contributo di Morrison, da
Dodds, in una delle opere pi originali sulla civilt greca 73 -
quella di un mediatore tra uomini e dei, che ha la capacit di lasciare in trance il proprio corpo e di viaggiare in cielo o
lllttm, ccmg lt im icv ituzioni mediche o cultuali da una divinit. Egli spesso poeta o
cantore e tipicamente narra in prima persona dei suoi viaggi celesti e delle sue esperienze: il suo viaggio (il mezzo di trasporto
talvolta un carro volante) difficoltoso e pu presentare momenti
di erramento prima del desiderato confronto con la divinit.
70
Ivi, p. 119.
Ivi, p. 124.
72
Ibidem.
73
E.R. Dodds, I Greci e lIrrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959 (edizione
originale 1951), capitolo V (Gli sciamani e le origini del puritanesimo).
71
255
256
, autorizzata da Dike (divinit associata al mondo infero ). Qui plausibile che Parmenide si rifacesse a modelli letterari, che coniugavano il tema della discesa lliutlug
della rivelazione (Odissea XI), a un determinato contesto cosmologico (Teogonia 736-774) e a particolari figure di predestinati,
cmlcl79 o il leggendario poeta Orfeo (in questo senso
da leggere, analogamente a Dodds80, come sciamano).
A conferma della propria lettura (che in realt si regge su traiiitii),Kiglytttimiicvtllt
vcl llc ll gi i l, ch itgg
licticl cfclchm ieso da
Parmenide, ovvero quello di Orfeo con la stessa dea infera, e la
presenza sullo sfondo di Dike81. In questo modo sarebbe attestato,
se non un motivo poetico-letterario, almeno un retroterra culturale, tradizionale e locale, in cui il poeta poteva inserire i propri riferimenti, permettendosi l'anonimit della dea82. In effetti, che il
ruolo di divina interlocutrice sia ricoperto da Persefone, suggerito dalla stessa accoglienza del kouros da parte della
: non
una sorte infausta (la morte?) lo ha allontanato dal mondo degli
umii,mutiiccttlgillgiustizia
divina. Come se, appunto, ella fosse preoccupata di rassicurare il
poeta circa la sua presenza nel mondo dei morti.
Dltt,iilchiltittrme compositive, ricorrendo a scelte espressive non improvvisate e
per lo pi funzionali a un determinato obiettivo. Kingsley richiama esemplarmente il ricorso alla ripetizione costante del verbo
nei primi versi, la cui frequenza sarebbe difficilmente tolleil, u ut i vit tic, lfftt frmtiv(immgilciti),iictmttrtttilcuittglifilt charmenide evocasse precisi riferimenti cultuali (se non poetici), cos inquadrando la propria rivelazione in uno sfondo comprensibile ai
78
78
257
dei vv. 7-8) segnali di alterazione dello stato di coscienza - e il manifestarsi delle figure divine86. Indizi che possono autorizzare la lettura del poema come
resoconto di un viaggio estatico.
Alcuni elementi esteriori concorrono in effetti a collegare
Parmenide a questo retroterra apocalittico. Nel 1962 fu ritrovata a
li (ltic l) u'icii u lcc mm ch cita87:
[
. Parmenide, figlio
di Pireto, riconosciuto come Ouliades, seguace di Apollo Oulios
(vtlltlic,cuivivifughifci
che fondarono nel VI secolo a.C. Elea), e physikos, a un tempo
ricercatore della natura e medico: dal momento che ad Apollo Oulios era riconducibile la tecnica dei guaritori, possibile che la
figura del filosofo fosse ufficialmente associata alla iatromantica
(icuilchlgicfmlticili),llcll
sciamanesimo (Epimenide) attestato dalla tradizione testuale.
lltiiutultvigfic
83
258
,
.
Parmenide, come afferm Sozione, ebbe familiarit
anche con Aminia, figlio di Diochete, pitagorico, uomo
povero, ma nobile e retto, ci che tanto pi ne favor
linfluenza. Quando questi mor, Parmenide, che era di
famiglia illustre e ricca, eresse per lui un monumento
funebre. Fu proprio Aminia, non Senofane, a volgerlo alla
tranquillit di una vita di studio (Diogene Laerzio; DK 28
A1).
Il termine
- qui tradotto come tranquillit di una vita
di studio - avrebbe in realt un valore molto diverso, soprattutto
riferito allo stile di vita esemplare del pitagorico Aminia: qualcuno parla di vita contemplativa, ovvero di vita filosofica, ma letteralmente il significato quello di quiete, riposo, silenzio, immilit ctic mii tt mt i icuazione, avrebbe cio avviato Parmenide alle tecniche di concentrazione gi in uso presso i gruppi pitagorici 88.
Come ha rilevato la Gemelli Marciano89, l'incubazione pu
fornire la chiave per collegare la iatromantica, riferita all'Eleate
dalle evidenze archeologiche, all'attivit di legislatore attribuitagli
sempre da Diogene Laerzio (sulla scorta di Speusippo): almeno
secondo lo schema che Platone ricorda nelle Leggi (624b) in relazione al mitico Minosse, ma che abbiamo ritrovato in Epimenide
e che potrebbe emergere anche nel caso di Zaleukos, legislatore di
Locri, di cui si sosteneva avesse ricevuto le leggi direttamente dagli dei.
Sebbene non sia dato cogliere in quale modo questo insieme di
lmtitctituiumtivltti,iiliotizzare una sua codifica in una qualche forma recitativa (come nel
88
89
259
260
261
262
Come ci ricorda Privitera95, abbiamo nella cultura greca arcaica due prospettive sull'alternanza di luce e oscurit: una fisica,
rintracciabile nell'Odissea, l'altra mitica, presente invece in Esiodo, ma con riscontri anche nell'Iliade. La prima sarebbe "orizzontale", dal momento che i fenomeni coinvolti (il movimento del
Sole, nel suo trascorrere celeste da oriente a occidente, e il suo
94
95
263
tragitto di ritorno a oriente navigando su Oceano intorno alla Terra) hanno luogo sulla Terra e nel cielo sovrastante. La seconda, al
contrario, "verticale", in quanto i fenomeni terrestri e celesti sono
radicati nel mondo "infero"96. Non si tratta di prospettive incompatibili, come puntigliosamente dimostra lo studioso: nel caso di
Parmenide (come nel precedente di Stesicoro 97) registreremmo un
originale tentativo di inquadrare il rapporto tra Luce-Sole-Notte
entro una cornice cosmica in cui si completano le due prospettive
tradizionali 98. Nella lettura di Privitera, ci avrebbe comportato
concentrare strutturalmente il baricentro del proemio sul percorso
solare, trasferendo la Porta del Giorno e della Notte dall'Ade sulla
Terra: sarebbe in questo senso esclusa qualsiasi forma di katabasis verso il regno dei morti.
Eppure i versi esiodei, a dispetto delle divergenze che pur ne
caratterizzano le interpretazioni cosmologiche 99 , si prestano a
suggestioni diverse, proiettando decisamente verso il mondo infero la ripresa proemiale di Parmenide.
Dopo la narrazione della Titanomachia (665 ss.), della sconfitta dei Titani (713 ss.) e della loro segregazione in un remoto luogo infero (720 ss.), Esiodo ci informa che sopra quella prigione,
nelle profondit sotterranee, si sviluppano le radici del mare e della terra (729): come intendesse garantire sulla sicurezza della detenzione, il poeta fornisce particolari sulle modalit di reclusione
dei Titani (immobilizzati da lacci tremendi 718), e sulla localit
di carcerazione (un'oscura regione, all'estremo della terra prodigiosa, cintata tutta intorno e assicurata da portali di bronzo, e
guardiani infernali, 731-5). La descrizione del mondo sotterraneo
dunque organicamente inserita nel contesto teogonico, sottolineando la rassicurante distanza infera delle ostili forze titaniche:
96
Ivi, p. 449.
Ivi, p. 453.
98
Ibidem.
99
Si vedano, per esempio la discussione specifica in Pellikaan-Engel (op. cit.,
capp. II-III), ma anche le annotazioni di Arrighetti (op. cit., pp. 151-2).
97
264
L della terra oscura e del Tartaro tenebroso,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti, sono le scaturigini e i confini,
luoghi squallidi e oscuri, che anche gli di hanno in
odio.
L sono le porte splendenti e la bronzea soglia,
inconcussa, su radici infinite commessa,
nata spontaneamente; davanti, lontano da tutti gli di,
i Titani hanno la loro dimora, di l dal caos
tenebroso100 (vv. 807-814).
265
Ivi, p. 38.
Teogonia, cit., p. 113.
266
Parmenide
provvisorie
la
poesia:
conclusioni
i)chuiltlmtiitullvtivltiv(uiui
contorni), trascurando poi il fatto che il tutto cosmico era
lggtt i lii (ch ttglit) ll, cm tttt
dalla titolazione tradizionale e, soprattutto, dalla sua consistente
seconda sezione.
plausibile, al contrario, che il complesso del proemio prefiguri le tesi del filosofo e che queste non siano estranee a un intento trasformativo (Robbiano), indistricabilmente connesso alle esperienze evocate. In questo senso, si pu condividere il suggerimento (Robbiano e Stemich) di cogliere nella sapienza comunicata nel poema essenzialmente uno til i vit, figut
lcciifilfiiffmti(clliiadot104) nel socratismo e soprattutto nella cultura ellenistica. In dissenso da Mourelatos, per il quale, invece, gli imperativi della dea
sono tutti rivolti a unttivit i ti cgitiv, l bios o al
prattein105.
D'altra parte, contestualizzando la lettura del proemio, prudente rigettare un approccio meramente allegorico, rintracciandoviiutttliiuiviutfat lervazione di Leszl106, secondo cui un'interpretazione allegorica - come quella fornita da Sesto Empirico - si scontra con il
ftt ch l tic llllgi , l tm (fi cl
a.C.), solo agli inizi, con Teagene di Reggio (forse, come Parmeni,lgtllmititgic107. Possiamo supporre108, allora, che, nella narrazione del viaggio del poeta Parmenide, siano
confluiti elementi eterogenei - il resoconto di una genuina esperienza visionaria, allusioni cosmologiche, intenzioni didascaliche:
il poeta avrebbe plasmato, nel modulo espressivo pi vicino alla
sua formazione rapsodica, immagini e contenuti a un tempo adeguati a manifestare le sue conquiste spirituali, ed efficaci per co104
268
involgere (emotivamente e intellettualmente) il pubblico destinatario (plausibilmente un gruppo ristretto di discepoli109). Ci comportava, naturalmente, anche consapevoli opzioni simboliche, per
luliglitvttigllimmgiillic,abilmente, della stessa poesia apocalittica: il poema appare in effetticcttullfftt(ilmutmtllttivcgitiv l clt tfmi llttitui l)
llimttclvit,llctllttltutt
cosmico.
109
269
el segno delleccezione
Nonostante i particolari sfumati della rappresentazione
iim- dettagliata in alcuni passaggi (descrizione del carro e
della apertura della porta) e molto indeterminata in altri (tragitto
oltre la porta)110 - abbiano dato adito a vari tentativi di contestualizzazione del viaggio, il suo carattere straordinario segnalato da
due momenti ben evidenziati nei versi parmenidei:
(i)litvtlllii(
) presso Dike, austera (
, che molto punisce) guardiana del portale, per
persuaderla a consentire il passaggio del carro che conduce il poeta: le fanciulle devono placarla con parole compiacenti
(
) e sapientemente (
) convincerla
a concedere una possibilit evidentemente non garantita ad altri
mortali;
(ii) la formula di accoglienza della Dea, la quale rileva che: (a)
non stata Moira infausta (
, destino infausto) a
spingere il giovane (
) al suo cospetto; (b) la via (
) per
cui stato guidato lontana dal percorso degli uomini (
).
cciiilivi,ivicchliicuitagit il t cc i limiti llum ch ci cc econdo un disegno cui concorrono le aspirazioni ( ) del filosofo (v. 1):
270
271
111
272
Zullttilgiitilt 115 - troverebbe in tale scenario la propria naturale collocazione: llimtiuiscono il giudizio divino e ricevono, conseguentemente, la punizione delle colpe commesse in vita.
La plausibile destinazione individuata per il viaggio del poeta
avrebbe, tuttavia, anche un secondo e non meno rilevante risvolto
nella prospettiva del poema. Il percorso indicato, infatti, richiama
la visione mitica del cosmo espressa in Esiodo e Omero, in cui i
confini del mondo coincidono con quelli della terra (la cui superficie piatta), sui cui limiti estremi poggia il cielo-cupola116: in
ut,lcllOdissea, la katabasis non intesa tanto come discesa sotto la superficie della terra, piuttosto come raggiungimento di un luogo oltre i limiti della superficie terrestre117.
La nozione del limite (e del suo superamento) poi significativamente evocata dal vettore e dalla scorta, che richiamano
limmgilcllilmititt 118.
In effetti, la conduzione delle Eliadi (figlie di Helios, il Sole
appunto) e il tragitto verso i battenti dei sentieri di Notte e Giorno (
115
273
Al di l dell'esperienza quotidiana
ccilit ll'i l t, ottolineata nel suo
indirizzo dalla
, non sarebbe allora riducibile semplicemente a
una discesa (
) agli inferi, ovvero a una ascesa
(
) celeste: quanto risulta marcato nei versi del proemio
la distanza della via seguita nel corso del viaggio dal percorso
degli uomini (
, v. 27). La
tll,itifictcltll(Iliade VIII, 1316; Odissea XXIV, 11-14; Esiodo, Teogonia 740 ss; 744-757;
811-1),,ifftti,miticmtitutllccittm,
lontanissima quindi dalle regioni abitate: poggia sulla superficie
terrestre, al di sotto della quale si radica nel profondo, mentre i
suoi pilastri si elevano tanto da toccare il cielo. Oltre essa
li,ilmimti,ilgif 120. Come
ricorda Cerri, si tratta di una porta cosmica, sia in quanto discrimina il percorso del sole e quindi giorno e notte, sia in quanto
separa il mondo dei vivi e quello dei morti 121.
Ci che, in realt, viene sottolineato nel resoconto parmenideo
llltamento dalla terra per pervenire alla porta del cielo, superare i confini del mondo e ict,lltclt,l
dea rivelatrice (Mansfeld), n propriamente il viaggio
lllttm(ukt)vvvilctlcm(llikaan-Engel). Il poeta, scortato dalle Eliadi sul carro solare, perviene presso e oltrepassa la porta cosmica, raggiungendo, dunque, il punto privilegiato che cc,utm,lll
cielo (con la duplice valenza, quindi, di rivelazione e illuminazione). In gic,ltiilcuitll, per la
meta del viaggio, pi giustificata nel contesto rispetto alla luce
120
121
274
celeste122: sono le Eliadi a doversi portare verso la luce, muovendo dalla dimora della Notte (dove hanno soggiornato durante la pausa notturna: il loro viaggio comincia, dunque, presumiilmt lll), cui ritornano, con la compagnia del poeta,
percorrendo, plausibilmente, il consueto tragitto solare (cio al
tramonto, quando Notte ha nuovamente abbandonato la propria
dimora per dar cambio a Giorno). In questo senso, pur ribadendo
la convinzione che a Parmenide prema soprattutto evidenziare
lltmmt ll'i utii l it
llccllitittlliiilllioni umane, la katabasis certamente offre al poeta un paradigma influente.
l ll ii l viggi ilgt ull i
suoi tempi. Il poema si apre con il presente:
ulltuttulltcmicululiDik
Dkh
.
L sono i battenti dei sentieri di Notte e Giorno:
architrave e soglia di pietra li incornicia;
122
123
275
i,ltilli,ggcitigtli
Dik, ch mlt ctig, ti l chivi llu
alterno (vv. 11-14).
...
124
Martina Stemich, nella sua ricerca su Eraclito (Heraklit. Der Werdegang des
Weisen, Grner, Amsterdam 1996, pp. 41 ss.), rintraccia una precondizione
filosofica analoga nel frammento DK 22 B18: Se uno non spera, non potr
tvliil,chifficiltvimvi
125
In questo senso ingressivo la Stemich (Parmenides Einbung in die
Seinserkenntnis, cit., pp. 39-) itt lit i l mi
sebbene il percorso verso la Dea sia gi stato compiuto, esso in quanto
motivo connesso a una trasformazione comprensibile solo come sviluppo
sistematico diventerebbe emblematico della graduale approssimazione alla
conoscenza ricercata dal filosofo.
126
Coxon, op. cit., p. 14.
276
uitmiverbali impone sia la prospettiva dello svilupllctiuitllilt(imftt,ch,comunque, qualcuno 127 itt cm imftt tic tucendolo con il presente), sia quella delle sue successive e puntuali
sequenze compiute (aoristo), rafforzata, nel verso 2, anche dal ricorso alla congiunzione
(ch)itmicostruito intorno a questo ordito temporale che, se valorizziamo
lii t-passato, potrebbe alludere come intendono Mansfeld 128 e Ferrari 129 - al presente della condizione sapienziale del poeta, conseguita grazie alla rivelazione della Dea e
dunque giustificata dalla narrazione, dal passato. Nel presente della performance cittiv il t vc lvvtu ll coscenza che lo ha visto fortunato protagonista al cospetto della divinit, del cui dono si propone di far partecipi gli altri mortali: il
sapiente,lumche sa (
), tale per essere stato guidato, condotto lungo la via della divinit (il genitivo
ha
valore soggettivo e oggettivo a un tempo: della divinit perch
a essa appartiene ovvero a essa conduce); il canto poetico documenta quel privilegio.
Questa prospettiva temporale, che collegherebbe al presente
dei versi 1 e 3 una condizione di conoscenza giustificata dall'e127
277
sperienza (
imlic timlgicmt li viiv)
narrata in quelli successivi 130 , pu essere messa in discussione
ptlluch,ll'i
, si sarebbe fatto,
ll itulit mitic, iic liiit (lgmt,
come sappiamo, potrebbe intendersi anche il ricorso a
al v.
24), e che potrebbe dunque designare una minoranza predisposta,
per intelligenza e tirocinio, alla scoperta della verit 131. Il termine
si potrebbe allora riferire alla conoscenza pregressa di Parmiilillittivggiug,cigti
un senso anche a (v. 1), allo slanci llim l t
verso il contatto con la verit.
Nulla vieta, tuttavia, di mantenere distinte le qualit necessarie
per accedere alla verit che il poeta\sapiente avrebbe evocato
ciligmiiiticll
dalla piena cognizione di essa, disponibile llit l tiil mll ppositivo tra conoscenza umana e conoscenza divina in virt
llccilgtiviuivliivitlc
la condizione che consente al poeta di annunciare la verit (presente) conseguita grazie alla comunicazione divina (passato), in
cui si realizza comunque la sua originaria aspirazione. Accentuando (arbitrariamente) la significazione e composizione simbolica nel racconto, si potrebbero identificare due movimenti quello del poeta sul carro tirato dalle cavalle e quello delle Eliadi che
intervengono a scortarlo presso le divinit come rievocazione
della tensione religiosa del
vlillivlazione ovvero figurazione della ricerca di un accesso alla piena conoscenza della realt.
278
ccilluivmiticlufigucullll
Eliadi (divinit solari dell'illuminazione) 134, Parmenide si rifaceva
al mito di Fetonte, che esse, in una variante della storia (ripresa in
una perduta tragedia eschilea le Eliadi appunto -, alla cui rappresentazione a Siracusa Parmenide potrebbe aver presenziato 135)
iut llim i gui il c l l ll luc i
ccttlifici,giutifictlliimlliii
del tono religioso del poema.
133
Cerri, op. cit., pp. 104-5.
134
Come ricorda Cerri, op. cit., p. 173.
135
Capizzi, op. cit, p. 52.
132
279
ut cict, ch i vi llesordio poetico possono richiamare, Parmenide si proporrebbe come una sorta di nuovo Fetonte, sebbene, nel suo caso, come ricorda la Dea, il viaggio proceda (vv. 26-8) sotto buoni auspici136: di questo le Eliadi devono
convincere Dike, perch autorizzi il passaggio lungo la traiettoria
solare. Se accettiamo questo accostamento, la divinit allusa nei
vv. 2-3 potrebbe essere proprio il Sole: il carro su cui viaggia il
poeta potrebbe essere allora il suo, cos come la via quella che il
Sole percorre, e che conduce ai confini del mondo.
lcii t lii Dik vctic ch i
ultiiimictcm,llcmlgimitica esiodea ricostruita puntualmente dalla Pellikaan-Engel, la
dimora della Notte sia collocata nelle profondit del Tartaro (il
mondo infero), in prossimit dell'accesso all'Ade (il mondo dei
morti), in una regione in cui hanno le loro radici la terra, il mare,
il cielo, abisso senza fine (caos), luogo terrificante anche per gli
dei137. In tale dimora soggiornano alternativamente Notte e Giorno: da essa muovono e a essa conducono le Eliadi. Esse, uscite
dalla porta cosmica del Giorno e della Notte (su questo punto in
Esiodo c' un'incongruenza: dovrebbero essere due, collocate alle
estremit orientali e occidentli), lv mi (lll
si tolgono i veli notturni) e lo guidano alla stessa porta, alta tra la
terra e il cielo, seguendo verso occidente il percorso del Sole. Al
ilcilmifiluvtillivlllluficie terrestre (descrizione omerica), ma immediatamente dopo si
spalanca il baratro immenso. Parmenide ha il privilegio (come iniziato,
) di varcarne, ancora vivo, la soglia, per attingere la conoscenza: Dike al suo posto, nella misura in cui deve
giudicare i requisiti; le Eliadi tutelano il poeta viaggiatore in qualit di patrocinatrici (impiegano parole suasive per ammansire la
inflessibile sorvegliante dei confini) 138.
Gli elementi che abbiamo riassunto suggeriscono che
lccilit llim ctt coincida con il massimo pri136
280
139
140
281
La sequenza del racconto e il progressivo (non casuale) coinvolgimento di quelle divinit fanno comunque apparire poco convincenti le letture che marcano nel proemio la mera figurazione
allegorica di opzioni gnoseologiche o la semplice legittimazione,
in chiave di illuminazione superiore, di una proposta filosofica.
ut,ivc,ittvliiimona del viaggio, ha la possibilit di coinvolgere il suo pubblico in
un'esperienza di trasformazione radicale della persona, che richilitificiciltgit(lilla prospettiva del viaggiatore)141. la futura condotta di vita il vero obiettivo delle istruzioni della dea: il viaggio, in tal senso, sa142
rebbe rappresentazione di una forma di
. Lo sciamanesimo di Parmenide potrebbe leggersi in questa prospettiva: non
traduzione poetica di una trance onirica (incubazione), ma assunzione della pervasivit emotivo-esistenziale (forse direttamente
esperita) di quella prova al servizio di uno sforzo di profondo riorientamento teorico e pratico nella realt quotidiana.
Alla concretezza di un fenomeno culturale (la pratica sciamaic), f ict llmit ltic 143, Parmenide associa
un percorso di conoscenza, proposto esemplarmente ai propri uditori, in cui la dimensione di estraneazione dalle distorsioni della
quotidianit funzionale a un processo di trasformazione spirituale e a una prassi di vita. Il corso delle Eliadi ai limiti del mondo,
la sanzione di Dike e la verit di Persefone scandiscono evidentmtuicctitmificlitliti
un contesto in cui il sapere salvifico era appannaggio di iniziazioni e incubazioni, il filosofo avrebbe cos fatto ricorso, in termini
imlici,ll'fficcicivlgt(cuilttilcui
141
282
-,
Qmij Dkh
Non Moira infausta, infatti, ti spingeva a percorrere
questa via (la quale in effetti lontana dalla pista degli
uomini),
ma Temi e Dike (vv. 26-28).
Non stata la morte, un disgraziato destino, a condurre il poeta al cospetto della dea infera, per una via ben lungi dai sentieri
comunemente battuti: la rassicurazione divina sottintende che
quella distanza dai mortali sia da considerare un privilegio e non
un accidente, e che lo straordinario incontro non sia da ascrivere
tanto all'iniziativa del protagonista (che stato piuttosto spinto da
i)utllccilitllct
La via (
) che gli consente di raggiungere la residenza
divina (
la nostra casa) probabilmente la stessa
Imparare tutto
ccilitllituiiiflttchllcmlt
iiilitllD,lluccglillifmi
successiva: rilevando didascalicamente - secondo il tradizionale
paradigma144 oppositivo tra conoscenza umana e conoscenza divina - ltuit il giv i tutt (
), ella propone un programma articolato in due momenti,
chiaramente scanditi in greco (vv. 29-30) dalle congiunzioni
144
c i ( 1) l flgi llict t il t l
riprende tipicamente quella delle scene di incontro tra dei e mortali in
Omero.
284
,
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale credibilit
(vv. 29-30).
145
286
287
Sarebbe dunque ribadita la contrapposizione omerica tra incerte convinzioni umane (elaborate inferenzialmente nel caso di Alcmeone) e conoscenza divina: Parmenide si limiterebbe semplicemente a riformularla nel senso di un contrasto tra forme cognitive: una affidabile perch in grado imiftill,llt
opinabile e convenzionale, espressione di meri punti di vista. Solo
icc liuffici ll'i ii, gli umii
hanno la possibilit della certezza: ci che Parmenide avrebbe
tentato nella seconda parte del poema appunto una ridefinizione
del campo delle doxai in termini non contraddittori.
Questa interpretazione si scontra, tuttavia, con una lunga tradizione che attribuisce valore diverso alle parole della Dea, per lo
pi assimilando i punti (ii) e (iii): alla saldezza (razionale) della
vit (i), mi ct lict (miic)
lli um (ii), i cui ffi cmuu, c esemplificativo e\o critico, esposizione (o ricostruzione) coerente
(iii).
Leszl 148 ritiene, in effetti, che la distinzione verit-opinioni,
che chiude la comunicazione della dea nel proemio, corrisponda
alla distinzione, enunciata dalle Muse esiodee, tra verit e falsit:
in entrambi i casi le divinit si rivelano in dominio completo
llmitl viulllligvl(icnsiderato tale perch simile al vero), sebbene, a differenza delle
Muse che si limitano a esporre il vero, la dea di Parmenide espone
chcichv,llitticitutt,iffi
un sapere globale che non ritroviamo in Esiodo.
tlllimclillu ll Teogonia
sfruttato da Mansfeld149, il quale riscontra, nel doppio resoconto
tttllD,llgtlluiivit
menzogne: in questo modo, evidentemente, tutto quanto si riferic llmitll doxa stigmatizzato come ingannevole, con
il risultato paradossale di ridurre proprio la sezione cosmogonica
e teogonica, pi vicina al modello divinamente ispirato del poema
148
149
288
esiodeo, a occasione per repertare gli errori dei mortali (sottolineando come
dovrebbero essere ma non sono150).
Non da escludere, invece, che proprio il secondo logos rappresentasse il nucleo centrale e originario del progetto di Parmenide, quello in continuit con la riflessione arcaica
(donde la titolazione tradizionale), di cui la sezione sulla Doxa
riprodurrebbe anche la logica di riduzione di
, delle
cose accettate nelle opinioni, a principi, forme (
) nel
licmi()mchllmtiigilit(
cui lttine tra gli antichi e la conservazione nelle testimonianze) fosse costituito dalle premesse ontologiche contenute nel
primo logos, che forniscono la cornice e le condizioni di una coerente enciclopedia del mondo naturale, denunciando a un tempo le
debolezze delle ricostruzioni alternative151.
150
151
Ivi, p. 210.
Il dibattito sulla natura della doxa parmenidea sterminato: a parte il vecchio
aggiornamento di G. Reale a E. Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci
nel suo sviluppo storico, Parte I, Volume III: Eleati, cit., la questione stata
sistematicamente ripresa nello specifico da P.A. Meijer, Parmenides Beyond
the Gates. The Divine Revelation on Being, Thinking and the Doxa , Brill
Academic Publishers, Amsterdam 1997. Molto utili J. Frere, "Parmnide et
l'ordre du monde: fr. VIII, 50-61", in tudes sur Parmnide, sous la direction de P. Aubenque, t. II Problmes d'interprtation, Vrin, Paris 1987, pp.
192-212; R. Brague, "La vraisemblance du faux (Parmnide, fr. 1, 31-32)",
ivi, pp. 44-68; A. Nehamas, Parmenidean Being/Heraclitean Fire in Presocratic Philosophy, edited by V. Caston & D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 45-64; H. Granger, "The Cosmology of Mortals", ivi, pp.
101-116; P. Curd, The Legacy of Parmenides. Eleatic Monism and Later
Presocratic Thought, Princeton University Press, Princeton 1998, cap. III:
"Doxa and Deception"; le pagine di D.W. Graham, Explaining the Cosmos.
The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton U.P., Princeton
2006 dedicate all'argomento (pp. 169-184).
289
152
N.-L. Cordero, By Being, It Is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vegas 2004, p. 30.
153
Ivi, p. 32.
154
G. Cerri, Testimonianze e frammenti di scienza parmenidea, in Parmenide
scienziato?, a cura di L. Rossetti e F. Marcacci, Academia Verlag, Sankt
Augustin 2008, p. 80.
155
Torneremo sull'argomento commentando l'ultima parte di B8 e i frammenti
del "secondo logos".
290
.
.
,
,
.
mi figli i y, l [] c
entrambe le strade. Mostra, infatti, che il tutto eterno, e
cerca anche di spiegare la generazione delle cose che
sono, non avendo sulle due vie le stesse convinzioni:
piuttosto, secondo verit egli sostiene che il tutto uno e
igt i tt fic c lopinione dei
molti, invece, al fine di spiegare la generazione delle cose
che appaiono, pone due principi, fuoco e terra, l'uno come
materia, l'altro invece come causa e agente (DK 28 A7).
291
292
[genuina]) credibilit (
) riconosciuta alle
:
nondimeno, a proposito di queste opinioni, il poeta apprender,
llituillD,chcmlccclt llinioni (
: il contenuto empirico di tali opinioni) siano
da intendere effettivamente (
: realmente, genuinamente), considerandole tutte insieme davvero esistenti (
), in altre parole riconducendole rigorosamente alla
via di ricerca lungo la quale effettivamente possibile procedere (B2.3).
Senza questa precisazione il percorso formativo destinato al
kouros sarebbe incompleto: la formula (
) che lo introduce
sottolinea come esso sia opportuno, adeguato a conseguire una
nuova consapevolezza della realt 158. A tale scopo non sufficiente (almeno non per la formazione del kouros) conoscerne
lunque prendere coscienza della genesi delle opinioni
erronee: per il poeta, destinato a tornare tra gli uomini e a rivaleggiare con altri presunti sapienti, necessario saper affrontare i
ctuti lli um come invece molti
sostengono 159 - che la vera novit parmenidea sia rappresentata
dal fatto che la Dea offra agli uomini la possibilit di imparare e
la verit e le opinioni, se per doxai si intendono quelle illusorie
dei mortali: esse saranno sbrigativamente liquidate (B6-7) in conseguenza della enunciazione (B2) dei criteri di verit. Ci che, invece, risulta originale nella rivelazione della Dea del poema, a dispetto della tradizionale frattura tra sapere umano e sapere divino,
litcmiiiigffmi(2, B8) di una
ltimmitmtmiftllium,rticolata esposizione di un accettabile ordinamento (
,
)ifmitulicmuicillimivinit avrebbe insomma abbracciato sia quanto tradizionalmente
considerato appannaggio esclusivo del dio (la verit), sia
lggtt ll ctm icc (
): in
questo modo, il poema avrebbe ridefinito, nel suo insieme, il quadro cosmologico (e cosmogonico) della Teogonia esiodea.
158
159
293
Verit e opinione
Sul programma introdotto dalla dea innominata in conclusione
del proemio (vv. 28-32), possiamo ancora osservare come, a livell iv, lticli u cui im iitit mg
chiaramente nelle scelte verbali:
,
.
160
295
ulliictuilgillimtli,vvulla di proporne una versione pi coerente, piuttosto quella di mostrare come le cose accolte nelle opinioni avrebbero dovuto
(era necessario\opportuno, con possibile valore di irrealt) essere intese nella loro totalit come
(esistenti), in altre parole
considerate alla luce della Verit, ovvero come genuina realt.
La precisazione di Parmenide, con le sue scelte lessicali
(
,
), e la struttura del poema, con un secondo logos
di natura enciclopedica, suggeriscono di considerare positivamente il terzo punto del programma della dea, ben distinto dal secondo (che riceve indiscutibilmente una connotazione negativa), di
cui tuttavia sembra condividere due elementi essenziali:
(i) il contenuto materiale, costituito dalla pluralit delle cose
che accogliamo sulla base della esperienza;
(ii)lttiv(lliitullfmi ),
il punto di vista mortale, che appunto quello che passa attraverli,mch,ut,vgiuict inaffidabile.
La Dea proceder quindi:
(i) in primo luogo, a introdurre quella verit di cui esplicitamente (e tradizionalmente) garante (B2): si tratta delle premesse
(B2.3, B2.5) da cui possibile procedere per manifestare la struttura della realt (B8);
(ii) poi, a stigmatizzare (sbrigativamente), sulla scorta della
fm(lgic)iullm(citllere e impossibilit del non-essere), l'infondatezza dei comuni assunti circa le
cose e il loro divenire;
(iii) infine, a illustrare, attraverso una ricostruzione coerente
con i parametri veritativi della Dea, l'ordine del mondo
(
), vero obiettivo dell'opera.
In questo modo, il poema contiene, complessivamente, la rivelazione di tutta la Verit: della sua natura intrinseca (cuore fermo), fraintesa nel comune, superficiale pregiudizio, e della sua
adeguata applicazione al cmlliummide si riferisce a due ambiti distinti, divino e umano, che nella rivelazione si sovrappongono: la meditazione della parola
(
) della Dea, che segnala la traccia che conduce ad
,
296
assicurer al
la consapevolezza degli errori comuni tra gli
uomini e dunque un'avveduta prospettiva sul mondo della sua esperienza. In questo senso, le due sezioni (Verit e Opinione)
hanno lo stesso oggetto (non potrebbe essere diversamente per la
logica del poema): la realt, manifestata nella sua unitotalit essenziale dall'intelligenza, e nella pluralit dei processi naturali
lli
La scansione di tale programma nei moduli della tradizionale
istruzione poetica significativa: lo scarto tra sapere umano e sapere divino, proposto nella cornice dell'eccezionale tragitto ai limiti del cosmo, dove cielo e terra, notte e giorno, mondo dei vivi
e mondo dei morti si incontrano, ribadito non solo nella relazione didascalica tra
e
, ma anche nella complementarit
dei loro due diversi sguardi sulla realt. Quello della Dea si rivolg imiil (lgicmt ct ittccil) ll,
alla totalit razionalmente afferrata nella sua omogeneit e identit ontologica; quello dei mortali invece condizionato (e per lo
ivit)lfiltllimitlmcnnare le distorsioni e produrre con la lezione divina una consapevole mediazione.
Per via
imicclulmlmivciderato gli ultimi versi e il programma contenutovi, opportuno
ritornare riassumere i nostri risultati.
Parmenide compone nei moduli della tradizione epica, evocandone il rilievo veritativo e educativo e sviluppandone in particl il tm l viggi, ctl l lepica omerica
mch,igl,licultulligi arcaica (sciamanesimo). Modulando tali paradigmi, il poeta insiste
ullccilitllii,igliuicich
ne assicurano lo svolgimento, sia per la meta oltremondana, sia,
ifi,lictclivlticcicmt,t
sua, valorizzare, con la lezione divina, anche il percorso del viag297
gio, la via (
162
Analizzando il valore di
nella cultura arcaica, la Stemich (op. cit.,
pp. 84-6), convinta che in Parmenide non si possa delimitarne nettamente la
ttiv ggttiv (ch iit ul ft, ulltit t l i fui
lliiviu) ull ggttiv (cm ll ii dire vero, fare
vero, i cui ttlit l li llum lla verit), osserva
comunque che Parmenide (come gi Eraclito) insista piuttosto sulla seconda,
vvullciichctllumiuilcmu
quotidiano.
163
significativo che, di recente, oltre a Martina Stemich anche Chiara
Robbiano (op. cit., ) i ichimt ltti u ut ut l
rivelata, prioritaria nel programma educativo della Dea, sarebbe il
risultato di un punto di vista (che il kouros deve maturare), e dunque
soggettiva, ma, dal momento che esvlllllt,llt
tempo oggettiva. In questo senso il poema riguarderebbe una trasformazione
298
lutivittlivtillggttllcmi,m
anche - alla fine del viaggio - il soggetto ( p. 37).
299
Dire, ascoltare
La continuit con B1 segnata proprio dalla modalit direttiva
della comunicazione, in cui esortazione e insegnamento marcano
lo scarto tra il ruolo della Dea (
, io dir) e la ricezione
(lcltttto) del poeta (
, e tu abbi cura
1
Ricordiamo che, nella cesura di B8.50-1, la Dea si riferisce a quel che precede
come
300
301
Io, tu
La polarit comunicativa
introduce anche la dialettica
del testo parmenideo: essa, in effetti, ttlilugiillustrare la forza persuasiva del messaggio al destinatario (B2.4:
-
: di Persuasione il
percorso - a Verit infatti si accompagna) e dunque la dimensione argomentativa (che si impone soprattutto in B8). A dispetto del
tono e della situazione solenni, progressivamente sul piano della
(co)stringente discussione (
) che si sviluppa la rivelazione
della Dea, quasi assumendo il tu come muto interlocutore, di
cui B8 sembrerebbe confutare il punto di vista ordinario. In quet ttiv, l ilttic cmuictiv im liti
uctiv ch ll fm i u li ullu gli tumenti razionali.
B2 proporrebbe allora, in modo originale, le premesse di base
della successiva trattazione: Mansfeld, in particolare, ha sostenuto
che il ruolo condizionante della divinit e della sua rivelazione si
manifesterebbe nei due passaggi introdotti dalle forme verbali in
prima persona8,glitiimtillutiti
(io):
[]
Ors, io dir (B2.1a)
302
lltchchci()
lcclill'imciilitllc
via:
Ivi, p. 86.
Conche, op. cit., pp. 79-80.
11
La tesi secondo cui Parmenide sarebbe il primo filosofo ad argomentare, a
dare ragioni a supporto della propria posizione, a elaborare consapevolmente
10
303
Il verso presenta alcune difficolt, non indifferenti per l'interpretazione relativa e complessiva. Quale valore riconoscere a
? Quale a
? Come rendere
? Come
?
La Dea, riferendosi a
, ritorna (dopo averlo gi
fatto in B1.2, B1.5 e soprattutto B1.26-7) sul tema della via, impiegando un'espressione di nuovo conio, che rientra tuttavia a
pieno titolo nel motivo omerico del viaggio 13. Il termine parmeniil proprio ragionamento con metodo, di Cordero (By Being, It Is, cit., p.
38).
12
Su questo aspetto della cultura greca, interessante la messa a fuoco di L.
Brisson, "Mito e sapere", in Il sapere greco. Dizionario critico, a cura di J.
Brunschwig e G.E.R. Lloyd, vol. I, Einaudi, Torino 2005, pp. 49-62.
13
Mourelatos, op. cit., p. 67.
304
deo
infatti di derivazione epica, essendo
utilizzato in Omero per ricercare persone o animali perduti ovvero
nel senso lato di concepire: esso implica desiderio del e interesse nellggtt icct (l cui it uii i
discussione). La formula
alluderebbe allora a un investigare impegnato a raccogliere informazioni che conducano
llggttit
significativo che il contemporaneo Eraclito usi
nel
senso di ricercare in profondit:
ucici
sottolinea, insomma, il fatto che si ricerca intorno a qualcosa che non manifesto o accessibile fin
lliii uesto senso il nesso stabilito nei versi 3-4 tra la
prima
e
:
14
305
15
16
306
17
Mourelatos, op. cit., p. 70. Tra gli editori contemporanei, anche Heitsch opta
per erkennen. Per una discussione aggiornata si veda ora Palmer, op. cit., pp.
69 ss..
18
Come nel caso di Conche, op. cit., p. 77.
19
Ch.H. Kahn,hhifmi,i,Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009, pp. 146-147.
307
Eppure proprio questa difficolt a risultare illuminante rispetto alla natura e alla funzione delle uniche vie di ricerca per
pensare (
): solo la nozione di
secondo la prospettiva omerica (improntata all'analogia con il vedere) di una relazione percettiva immediata con l'oggetto 20, a dare
senso alla disgiunzione -non : essa allora esprimer, per
quella funzione ricettiva, l'alternativa radicale tra necessit di rivolgersi a una realt che , e impossibilit di afferrare ci che non
.
La Dea annuncia nel contesto quali siano le uniche vie di ricerca per pensare: tre sono gli elementi da considerare: (i) la ricerca (
), (ii) i percorsi lungo per cui essa si sviluppa, (iii)
la finalit che essa intende realizzare, designata dall'infinito aoristo
: pensare, svelare la realt (verit), ovvero, come
suggerisce Palmer21, comprendere, giungere a comprensione.
Il contesto di B2 suggerisce palesemente anche l'obiettivo conclusivo delle ricerca, che traduce in risultato la finalit dell'unico effettivo percorso di ricerca: come abbiamo gi osservato, della
prima via di ricerca (
) la Dea
sottolinea che (a) percorso di Persuasione (
),
20
21
308
). L'apertura di
Lungo la prima via (per pensare), la ricerca si sviluppa riflettendo a partire dall'immediata evidenza: (
), rimanendo
saldamente sul terreno dell'essere (escludendo cio la possibilit del non-essere). La seconda modalit, invece, prospetta una
ricerca che si svolga a partire dalla negazione di quella evidenza:
non (
), pretendendo di svilupparsi conseguentemente
sul terreno del non essere. Delineata come alternativa alla precedente, essa si rivela di fatto impercorribile, dal momento che il
pensiero non avrebbe alcunch da afferrarvi e manifestarvi:
309
Per pensare
Prima di procedere alla determinazione delle vie, opportuno, tuttavia, in relazione al verso 2, soffermarsi ancora sulle imliciillucillD
lfilchlglillcmuicill
(B1.24
ss.) alla rivelazione di B2 costituito dal tema della
: la Dea
dapprima (B1.27) con riferimento alla via che, grazie
llitvt i ccili ciutici, ha condotto al suo cospetto - segnala come essa sia lontana dalla pista degli uomini
(
); in B2 ella ne rievoca il tema nelle
, precisando in modo rigoroso i criteri per valutare la fondatezza di ogni punto di vista. In gioco esplicitamente (B1.29) la Vit (i) ll u (
310
llium(
); (iii) nella sua diffusa distorsione (
). La realt da scoprire (Verit) rimane, in effetti, al centro anche di B2, come abbiamo in precedenza sottolineato a proposito della espressione
e della sua derivazione
llmic
, alimentando un possibile ulteriore paradosso. Secondo una corrente interpretazione dei primi versi del proemio, la Dea stata raggiunta a conclusione di un viaggio lungo
la strada ricca di canti (
) che conduce
lum ch ll ivl i l ft itt cui
attingere la Verit; suo compito solo quello di indicare il (nuovo) percorso per conseguirla 23. questo decentramento della verit dalla Dea che giustifica, per esempio, la lezione di Untersteiner, il quale fa coincidere la verit con la via stessa.
gi c, llcmi cmliv l tt, il ifimento al
del poeta e del lettore\ascoltatore essenziale
cgli litzione pedagogica. Il discorso si snoder a
partire dalla comprensione delle implicazioni di due enunciati divini, insistendo sulla centralit della relazione tra
e
:
tale comprensione risulter ugualmente vincolante per la Dea e
per i mortali (manifestando un decisivo, comune denominatore
razionale): (i) legittimando, da un lato, il taglio argomentativo di
alcuni dei frammenti della prima sezione (segnatamente B8, parilmt ) l
adottato dalla divina interlocutrice per
istruire il
; (ii) contribuendo lllt tmi
lggttitcuivtilic,iictlltrmenide (nella formula pi astratta) come
.
23
311
luchch[iil]()
ovvero, volendo risolvere le infinitive in una soggettive esplicite (come appare pi naturale):
luchchiilchi
lltchchcichi
La nostra preferenza per la resa infinitiva legata alla possibilit di rimanere pi aderenti alla costruzione greca e soprattutto di
sfruttarne gioco espressivo e ambiguit.
, llttiv (
...) reitera pur senza
sovrapposizione, come vedremo - lo schema oppositivo gi impiegato dalla Dea nella propria allocuzione di saluto, quando aveva sottolineato al
ligitutt:
,
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non vera credibilit
(B1.29-30).
L'una - laltra
Ammettendo la sostanziale continuit tra B1 e B2, le due opposizioni, cariche di significato in forza delle reciproche introduzioni (nel primo caso - B1.28 lug i
l c litgtiv implicito in
312
anche se non (come vorrebbe qualcuno24) nel senso di una puntuale correlazione.
l c i , lii mg l, ul i espressivo, nella scelta della costruzione (
), ma
soprattutto, sul piano logico, nella peculiare costruzione degli enunciati, che possiamo rispettivamente articolare nei due emistichi dei versi 3 e 5, quindi:
[]()
[]()
(B2.3b)
(B2.5b).
24
313
quanto quella proposta da Ferrari 27, almeno per quel che concerne la resa di
e
con secondo cui, che ben suggerisce
l'idea delle diverse prospettive di ricerca.
Il rilievo oppositivo delle vie pu essere rafforzato se come possibile e per certi versi naturale nel contesto B2.3b (
In questo caso, sarebbe evidente come Parmenide abbia deliberatamente costruito le vie di ricerca facendo leva sulle opposizioni non e non [possibile] non essere - necessario non essere: la Dea per acclarare
; non-B =
. Nello schema che cos si delinea, da un punto di vista logico non-B dovrebbe corrispondere alla negazione di non possibile non essere e dunque a possibile non essere, non a
necessario non essere. In questo senso, stato giustamente osservato (Kahn, Mourelatos, Lloyd, Leszl) che, alla luce della posteriore logica aristotelica, gli enunciati 2.3a e 2.5a sarebbero effettivamente contraddittori29, mentre gli enunciati 2.3b e 2.5b (costruiti sulla opposizione non possibile...- necessario...) solo contrari30, e che dunque la formulazione alternativa non sarebbe esaustiva. Eppure nell'insieme appare chiara (Aubenque,
27
314
itch)litii Parmenide di esprimersi attraverso alternative esclusive (quindi in termini di espressioni incompatibili)31.
In questo senso la nostra scelta di rendere il testo greco con subordinate implicite:
luiil
lltci,
uilDutcillimmitilivllo
tt(
) la forma infinitiva32 (essere), in altre parole ad anticipare, nel gioco verbale, i due oggetti al centro della disamina (B3, B4, B6, B7, B8):
,
,
.
Una volta delineata la formulazione oppositiva delle vie
igi,uutii delicate (da un punto di vista interpretativo complessivo) si impongono: a chi o che cosa si riferiscono
affermazione e negazione (quale il loro soggetto)? Quale valore
(esistenziale, copulativo, veritativo) attribuire al verbo essere?
- non
Il primo interrogativo ovviamente suscitato dall'assenza, in
greco, di un soggetto per
: dal momento che le
principali lingue moderne richiedono che esso sia in qualche modo esplicitato, la traduzione del testo ha sopportato svariati tentativi di completamento: dalla scelta dell'assoluta indeterminatezza33, a quella della forma impersonale34, dal ricorso a pronomi35
31
32
33
Tipicamente Calogero.
Frnkel.
35
Si tratta della soluzione pi frequente.
34
315
(it, es, on),ttivi(l36, la via37, la Verit38, il mondo reale39, il corpo40), all'uso di intere formule sottintese - whatever can
be thought and talked about41 (come viene da alcuni tradotto il
primo emistichio di B6.1), whatever we inquire into 42.
Duutivitfillgiclitiiulcultiv
al soggetto - azzardata per esempio da Cornford 43 e Loenen44, i
quali propongono rispettivamente
(l'essere) e (qualcosa)
appare forzata: i codici conservati di Proclo e Simplicio, infatti,
presentano lo stesso identico testo 45 li ul v isponde quindi a un'esigenza essenzialmente interpretativa. Parmenide, evidentemente, ha scelto di esprimere i suoi enunciati in
questo passaggio del poema senza un soggetto esplicito. Pu essere in questo senso provocatorio il suggerimento della Wilkinson,
la quale, in considerazione della naturale destinazione recitativa
del poema, considera lassenza di un soggetto definito per
come una modalit intenzionale per esaltarne, nella ripetizione, la
formula: la sua rarit nella poesia arcaica fa supporre che per
laudience di Parmenide il termine (soprattutto senza soggetto o
come soggetto esso stesso) fosse una novit46.
Dlt t, lm l fmmt ct i iiviu
un soggetto implicito: la stessa logica di costruzione delle vie
comporta, infatti, che, nel momento stesso in cui la Dea sottolinea:
36
Tipicamente Cornford.
Untesteiner.
38
Verdenius.
39
Casertano.
40
Burnet.
41
Russell, Owen.
42
Barnes.
43
F.M. Cornford, Plato and Parmenides, Routledge & Kegan Paul, London
1939.
44
J.H.M.M. Loenen, Parmenides, Melissus, Gorgias: A Reinterpretation of
Eleatic Philosophy, Van Gorcum, Assen 1959.
45
Come osserva Cordero (By Being, It is, cit., p. 37), curioso che le citazioni
di questi versi (in Proclo e Simplicio) siano posteriori al poema di un
millennio.
46
Wilkinson, op. cit., pp. 93 ss..
37
316
- debbano
, come chiarito in
47
317
.
53
Su questo aspetto, in particolare, Wilkinson, op. cit., p. 94.
54
P. Thanassas, Parmenides, Cosmos, and Being. A Philosophical Interpretation, Marquette University Press, Milwaukee (Wisconsin USA) 2007, p. 35:
lfiullg u ct awareness of language, e sarebbe
in realt funzionale al rilievo delle implicazioni dellu -filosofico del
verbo essere.
55
R. Di Giuseppe, Le Voyage de Parmnide, cit., p. 89.
56
Convincente per questo aspetto la lettura di Cordero, By Being, It Is, cit., pp.
61 ss.. Va per altro osservato come Parmenide coniughi il rilievo
con la formula
318
,
ciltilffmi(ttvligi)
di
.
Per quanto si valorizzino le implicazioni linguistiche (come
segnalato da Calogero, e da altri poi in vario modo ribadito60), il
contesto della dichiarazione della Dea rimane comunque quello
della determinazione di vie di ricerca per pensare, nel senso di
percorsi prospettati per giungere a comprensione della realt:
Parmenide intende dunque riferirsi in ultima analisi alla realt sottesa a quelle espressioni, delineata nella sua assolutezza (non
possibile non essere). Cos, quando afferma (letteralmente):
60
ifli it llu ll cul (h, op. cit., p.32; Cerri, op.
cit., p. 60), alla sua funzione speculativa nel rivelare il predicato
essenziale di un soggetto (la copula funzionerebbe da conveyer verso la
realt della cosa: Mourelatos, op. cit., p. 59); riflessione sul fatto che, in
greco, il linguaggio quotidiano indica le cose come
(Cordero, op. cit.,
p. 60.).
319
che ,
/ ),michimchlttiull(
) di quegli enti61.
luchch[iil]()
320
[]
che senza nascita ci che e senza morte (B8.3),
ut icmiut l lcit ch i
(B8.32).
,
,
[]lgiuiiiitici
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
63
64
321
La via (
) che pensa che non- [e che necessario non essere] abbandonata, in quanto impensabile [e] inesprimibile,
perch non genuina (
). In B2.6-7 si parla di sentiero
del tutto privo di informazioni: conoscere ci che non ovveiiclifftticfttiilltiivc
deciso (
) sia\esista (
) e sia reale\genuina\vera (
). Se i , llcmi ll
liivi,ilttuttfclilttiul
valore decisivo della espressione verbale
, preparando il terreno alla comprensione delle implicazioni nella formulazione delle vie, in B8, al contrario, riscontriamo gli effetti della sistematica applicazione alla prima via, con altrettanto sistematica esclusione della seconda.
La prima via per pensare (comprendere) afferma
; la seconda lo nega (
). La prima via completa e assolutizza
lffermazione con la negazione del non-essere (
), ovvero della possibilit del non-essere. La seconda via assolutizza la negazione affermando la necessit del non-essere (
)limvi,ttvllicit(incondizionato) rilievo di
llimiiliti
, vie imlicitmt imt lggtt imt itiv ll
ricerca ( ,
); con la seconda, che nega quanto la prima affm, vi, i cgu, lit lggtt lttivo, radicalmente negativo, indicato come
, dichiarato al v. 7
come oggetto indisponibile alla conoscenza o alla manifestazione.
In B6.1-2a:
322
Non pare che alla seconda delle vie di ricerca si debba attribuire la contraddizione che, invece, viene denunciata nelle opinioni
dei mortali: condivisibile su questo punto quanto sottolineato da
Mansfeld 66 itifici ll c vi c ull l
mlliticimcmlcvi
ancora connotata in B8.17-18:
.
[i ci] i lci lu [vi] imil []
inesprimibile (poich non
via genuina).
,
,
,
A rimanere senza nome definitivamente ci che (necessariamente) nulla, quanto appunto espresso nella formulazione
della seconda via, e designato come
.
Le due enunciazioni divine (affermativa e negativa) in quanto vie di ricerca, le uniche per pensare - devono essere reciprocamente alternative ma in s incontraddittorie, e tracciare i percorsi (
,
) per i quali: (i) generare le nozioni di
essere e non-essere; (ii) valutare, in relazione al coerente ri66
324
325
Il percorso di Persuasione
La rivelazione divina delle vie di ricerca accompagnata da
due rilievi.
Relativamente alla via che e che non possibile non essere, la Dea osserva che:
-
di Persuasione il percorso (a Verit infatti si
accompagna) (B2.4),
In Fedone 79e:
], debba
convenire che l'anima , in tutto e per tutto, pi simile a ci che
sempre che a ci che non lo .
69
326
iitulc(lvi,ilc)imttrch ttli cm l D tti, llimmit, ilmente la direzione di una ricerca, aperta al coinvolgimento razionale del
. In questo senso, la dimensione della (progressiva)
scoperta della realt autentica (Verit), che culminer in B8, se da
ultcfmlcii(higgi)t
e disvelamento (non-cimt),llltcctuglitti di
ttiv ciimt l icc, il iliv ll cogiicitic(giuiccilgimt,
) e il ruolo riconosciuto (B3, B4) a
e
.
La realt (Verit) obiettivo del percorso di Persuasione (che
a Verit, osserva la Dea, si accompagna, ovvero tien dietro,
), proposto come oggetto di apprendimento, conoscenza e
discorso70: il percorso sar genuino, vero, nella misura in cui svela
la realt. Che essa (Verit) si manifesti (a colui che ricerca con
intelligenza) lungo la via (che pensa o afferma) che e che non
[possibile] non essere ulteriormente marcato come abbiamo
pi volte rilevato dall'indicazione con cui la Dea stigmatizza
l'alternativa, seconda via (B2.6-8):
Ebbene, non proprio questo itinerario che chiami
dialettica?
Poche righe sotto (532 d-e), Glaucone invita Socrate a determinare la natura
della dialettica:
,
,
327
Ci-che-non-
in questo contesto che la Dea introduce la formula
(participio sostantivato). Nella cornice di un processo di indagine
che evoca il tradizionale motivo omerico del viaggio 71, la precisazione netta: il ricercatore che pretendesse lasciarsi guidare
dall'assunto non ed necessario non essere, non potrebbe
propriamente incontrare, n indicare (
) qualcosa. Pensare che non e che necessario non essere non porta da nessuna
parte: nemmeno la guida divina pu tracciare concretamente tale
via, portando a casa un risultato conoscitivo:
328
Ivi., p. 78.
Su questo punto oggi da valutare quanto scrive Palmer, op. cit., pp. 83 ss..
74
Leszl, op. cit., p. 105.
73
329
concludere (letteralmente) nella onto-logia. Ci comporta riconoscere, con Cordero75, che l'assolutizzazione del concetto di essere ottenuta da Parmenide attraverso la negazione della contraddittoria nozione di non-essere. Il focus ontologico del poema (sinteticamente ribadito con formula
lu[iil]()
lltci()
lu[ch]ch,
llt[ch]ch
75
76
330
77
331
, stigmatizzando
limiilit i ff tmi l gtivit (
, non infatti cosa fattibile, in cui spicca come nel
termine epico
- la strutturale impotenza)79. Le vie non
hanno, quindi, una mera consistenza logica, ma finiscono per enucleare due distinte nozioni ontologiche.
79
Ivi., p. 220.
332
<
333
La collocazione
Nel tentativo di offrire contesto e senso al frammento si per
lo pi operato in due direzioni, che appaiono legittime:
(i) ricondurlo a complemento di B2.7-85 e quindi proporlo a
sostegno ( ) dell'indicazione secondo cui il non-essere non pu
essere n indicato n conosciuto 6;
(ii) proiettarlo verso B6.1-2 e B8.34-37, come in particolare
oggi propone Cordero7, con argomenti convincenti.
B3 e B2
Nel primo caso si insiste soprattutto sulla compatibilit metrica e logica8 clultimviitmiicivlti
e
sono chiaramente correlati nella prospettazione delle due
vie (le uniche per pensare), mentre in B2.7 Parmenide utilizza
li
iiclggttucui
vertere la seconda via: oggetto che non pu essere conosciuto e
indicato. B3, dunque, non farebbe che esplicitare il nesso identita-
i,op. cit.,1Dlttilllcitiicl(Theol.
plat. I, 66) appare indiscutibile:
334
rio tra
e
: le relative nozioni si implicherebbero inscidi9
bilmente .
Questa conclusione non in discussione: essa appare effettivamente il perno della tesi di Parmenide anche in B6.1 e B8.3437, sebbene le traduzioni possano diversamente modulare la relazione tra i due termini. In discussione , invece, il fatto che
limiilit i ff il ull (-8) abbia bisogno della
dimostrazione introdotta da
(B3): non immediatamente
chichlullcullda conoscere, concepire, pensare10 Dlt t, limlici t essere e pensare non sembra, a sua volta, aver bisogno della mediazione di un argomento:
ttgiutmtvtcm,llugccic,ilv
non veicolasse la possibilit di immaginare qualcosa di non
esistente, denotando fondamentalmente un atto di riconoscimento
immediato 11. Concepito in analogia con la percezione sensibile,
cmtvlluchiutulciato indipendentemente dall'attivit stessa del pensare, e che il raptclggttfltuttimmit,uticttto con esso12.
possibile che la Dea, in B2.7, si limiti a rilevare come
non possa essere conosciuto, osservando semplicemente:
, non infatti cosa fattibile, quasi a richiamare
un'evidenza, per cui non necessario ulteriore argomento. A questo corrisponderebbe il rilievo di B3, secondo cui
si identifica con
: leggendo in continuit i due frammenti, non dovremmo riconoscere alla congiunzione
un valore esplicativo,
piuttosto intenderne nel contesto la presenza a conferma della tesi
di fondo. Dovremmo inoltre, in traduzione, attribuire a
non
il generico significato di pensare, ma, come suggerito da vari
interpreti, quello specifico di conoscere o comprendere (capire 13 , Erkennen 14 , Erfassen 15 o ancora, pi debolmente,
9
335
(B6.1a)
necessario dire e pensare che essendo - 19;
e soprattutto B8.34-7, in cui Parmenide attribuirebbe al pensiero una sola causa20: il fatto d'essere:
.
[nc d
]
,
(B8.34-36a)
cicululc ilil
stessa cosa
dal momento che senza l'essere, grazie a 21 cui
espresso,
14
Heitsch.
Sellmer.
16
Coxon.
17
Leszl, op. cit., p. 68.
18
Cordero, By Being, It Is, cit., p. 83.
19
Usiamo, traducendo in italiano, la versione dello stesso Cordero.
20
Come si vedr, noi interpretiamo il passo in modo diverso.
21
Cordero utilizza la versione
(invece di ), unanimente attestata nei
manoscritti di Proclo.
15
336
<
>
chiaro come
(B8.34) equivalga a
337
ci ch lt l, ci ch , ull
uu,lu(ftDK)
cichltl,mliiciu
solo senso,uulu(umDK)
Nel citare i versi 3-8 di B2, Simplicio precisa che essi contengono le premesse (
) del discorso di Parmenide:
25
26
338
, che
chiaramente Eudemo propone come premessa del sillogismo 27 ,
cmt l tmii ll cm
(uno secondo il concetto), versione aristotelica di B3. Come rilevato da Mansfeld 28, luit ccttul llere funge logicamente da assioma nella ricostruzione peripatetica di B2: un assioma indipendente, implicito, che Aristotele non introduce formalmente nella sua ricostruzione:
[]
mimv itlucl fm
(ilcctt)[]
ichgliitichltlciiffttil
, cimt v c ch lsere sia
u ulllt (ittl, Metafisica I, 5 986 b18, 986
b27; DK 28 A24).
La congettura adottata da Mansfeld, per giustificare a un temluimliciticmimlltiiittica, e la sua autonomia da B2 attestata dalla tradizione neoplatonica, quella di proporlo come modificazione della conclusione
llgmti,ilimlicit 29:
<
>
ll(cich)villi
27
339
l l u ggtt c
Parmenide avrebbe introdotto qualcosa che manca nella enunciazione
della prima premessa (la prima via) del sillogismo di B2 (la cui
conclusione, quindi, avrebbe dovuto essere: solo la prima via
che e che non possibile non essere per pensare).
ituilggtt
sarebbe giustificata proprio da
B3: nel testo tradito di B2 ci i limit ilv limiilit
(non infatti cosa fattibile) di procedere lungo la seconda via,
designata dalla espressione
Essere e pensare
Nella nostra traduzione abbiamo scelto di mantenere la struttura sintattica pi naturale del verso greco, cercando, allo stesso
tm,ivlmiguitlDimiiclicmtit,iitiv,limlicit(itifmmnti) risulttllgmtliti
(i) da un lato per marcare il nesso tra
e
e la sua natura intellettuale - cos preparando la nota discriminante rispetto
ll
, all'abitudine alle molte esperienze (B7.3);
(ii)lllt ichimlttil
sul contenuto della prima via (altrimenti espresso con
ovvero
).
Il pensare introdotto in B2 come esercizio avulso da riscontri
miiciuttiviticuiimlicmtchimtiicoscere un'evidenza: che pur considerando la possibile alternativa
per pensare e conoscere lvitculvic
llttm,lititffmtittlilttt
rapporto tra il percorso (la sola via di ricerca che effettivamente
possibile seguire) e il suo esito: la via in qualche modo impo340
). La
) che
Quale identit?
Nel suo commento Cerri 31 ha segnalato, nell'identificazione
dei due verbi, stranezza apparente e sinteticit paradossale:
, infatti, evidenzia un atto della mente (che viene reso come
capire),
u tt ll c tt itllttiv
uu l ltt ggttiv llitit t u c (
sembrano diverse, essendo in realt la ste c) ull
itit, ivc, ltt ggttiv lltt itllttiv
32
Ruggiu ttli, u lt, ltt liguitic llitit,
la connessione immediata tra termini nel linguaggio ordinario non
citi itici lllt ltto che potremmo definire
iltticlllilititchitiiicostituisce come rapporto di reciproca implicazione. Thanassas, infi,ilvcmlitittiiitndere in senso matematico: il testo greco con
suggerisce
uiti, u mutua connessione e reciproca referenza.
Nessun pensare senza essere, nessun essere senza pensare 33.
Dlliccic,imicvtgliastanza definiti circa la relazione cui allude la sintetica formula del
fmmt(i)ilvtlimiiliticucll
disgiunzione tra le vie ( e non possibile non essere - non ed
necessario non essere), in quanto non si pu conoscere
(
) n indicare (
) ci che non , e (ii) probabilmente integrato il rilievo con la necessaria conclusione positiva
circa la effettiva praticabilit della via alternativa (conoscere e indicare
, ci che ), la Dea (iii) estrae quella che nella sua ot30
341
342
)
come quali sono le vie di ricerca, le uniche che sono da pensare, quindi
attribuendo a nosai valore passivo.
343
(i)
inizialmente introdotto in relazione alle due vie di
ricerca, come loro finalizzazione (le uniche per pensare) - evidentemente designando un atto di comprensione che d senso
lligi -, ovvero, intendendo diversamente il testo greco,
come loro condizione di possibilit (le uniche da pensare\pensabili), quindi accentuandone il significato logico;
(ii)
pur non ancora esplicitamente contrapposto ai sensi
riceve una connotazione metaempirica: le vie sono per pensare, non sono fatte per essere esperite percettivamente;
in
grado di evidenziare quanto celato o sfocato nella percezione;
(iii)
uuttivitchiigltlimmitnsibile, nel nostro contesto probabilmente oltre la complessit dei
dati empirici, per ridurli al loro essenziale, al loro comune denominatore (fondamento) ontologico: nello specifico, il fatto
essere (condizione del pensare stesso) e la nozione (opposta) di
37
Ivi, p. 68.
344
345
utlittlicm quel che Parmenide afferma in B4 alluda enigmaticamente (questo il senso del verbo
: adombrare, alludere per enigmi) alla
(e alla
) cristiana: il saper rappresentare (rendere presente) il futuro
tllitllig(
). In questo senso, Parmenide riconoscerebbe al
la capacit di rendere presenti enti assenti e
346
lontani 5 . La prospettiva appare certamente gnoseologica, investendo una facolt cognitiva che Clemente decisamente carattei itt llg i u vedere (
) con il
pensiero (
) ctt (c lvvtiv) l vdere
con gli occhi (
) cctu lii
tvim ch liici i ggtti cifici (
) per
litllig,ivi(igifictivlcctmt
,
le cose a venire) da quelli immediatamente colti sensibilmente:
si osserva, infatti:
347
chiaro come la possibilit di pensare (rappresentare) cose assenti o lontane come presenti o prossime passi attraverso la convlllmgiti
: il
raccoglie e supera,
nella omogeneit di
, le differenze che si impongono sul piano empirico. Il
, in questo modo, si impone come uno sguardo altro rispetto a quello dei sensi, in grado di superarne le dicimiiillluciultchllitlligt
dischiude. indicativo il fatto che Parmenide scelga un verbo
etimologicamente legato a
(nel linguaggio omerico chiaro, limpido), che tcuuliichiarezza, luminosit, trasparenza 6. Un verbo che pu essere direttamente messo in relazione con
( ), per assumere il valore di
chiarire con il pensiero [l'intelligenza].
I primi due versi di B4, quindi, si prestano alla curvatura gnoseologica che il contesto della citazione di Clemente implica, senza tuttavia comportarne necessariamente le opposizioni; senza
imporre, in particolare, liituicciliiliviioni, sensibile e spirituale, come ha correttamente rilevato la Stemich, sottolineando come in
siano a un tempo coinvolti entrambi gli elementi 7 . Possiamo inoltre marcare come il
frammento non autorizzi a retroiettare in Parmenide una teoria dei
due mondi (sensibile e intelligibile, ovvero presente e futuro), ma
semplicemente registri due distinte modalit di guardare alla realtlimmitguibile e la pi accorta considerazione
llitllig,chulctiiiiliultt
(che traspare in B4.1-2) di offrire, della stessa realt, due prospettiv,uggttitii,lltctt(chllcmi
del poema sono accentuate come opinioni dei mortali e Verit).
nostra convinzione (che presuppone una complessiva interpretazione del pensiero di Parmenide) che proprio da questo
frammento possano ricavarsi preziose indicazioni riguardo alla
ccitllitlligenza di superare la frammentazione del dato
6
7
348
i t igl lliictiv
futuro, con
appunto soggetto sottinteso del verbo.
11
Nel caso si legga (come facciamo noi, ma di recente anche Palmer e Tonelli)
lo stesso verbo in seconda persona singolare futuro indicativo medio, e la
Dea quindi si limiti a esortare il
a non ostacolare la connessione di
.
12
Thanassas, op. cit., p. 43.
9
349
saldamente presenti
it ulltu i , chi ch lu
llvvi
(saldamente) nel primo verso, lit
contenuto del secondo contribuiscono a determinare
come un
ichcucllctiuittilitll
13
350
ffttlll
la solidit della connessione degli enti (), al di l delle loro coordinate spazio-temporali, e
il iccimt l l cmu mit ll (
). Pi precisamente: il
quello sguardo che, da una parte,
illumina e unifica
e
(ll ),llltivit
17
di introdurre discriminazioni (spazio-temporali) in
. Alla
luc i , ic cmltmt ll lvvi
viclllliitilit,ct,cttiticllggtt(
, appunto), ma suggerirebbe pure qualco cic lttggimt i chi ull tada della verit: la certezza e affidabilit (ricordiamo
di B1.29) di un modo
i v, cit u m u
saldo e
18
pieno di fiducia .
Dal momento che manca una specifica argomentazione a sostegno della affermazione di B4.2, alcuni interpreti (Kirk-Raven,
West, Gallop) hanno messo in relazione B4 con B8.22-5:
,
,
,
.
Questa indicazione, concettualmente apprezzabile, non comporta inevitabilmente una presa di posizione sulla collocazione
del frammento nel complesso del poema. Non implica, in altre parole, necessariamente la dipendenza di B4 da B8 e dunque a una
sua dislocazione nella sezione sulla Doxa (iittullit
dello stesso B8, dopo i versi 22-5). Forse, accettandone le impli17
18
351
19
352
Il noos e il cosmo
Che egli possa aver imboccato tra i primi - questa seconda
direzione, suggerito dai passi paralleli - segnalati dagli editori in Empedocle (B17.18-21; riferimento gi in Clemente) e Anassagora (B8), in cui la dimensione cosmologica indiscutibilmente
ctl,imlicutlgiiflutmi
ucculltimmlli,
e Contesa, disgiunta da essi ma di pari peso, ovunque,
e Amore, in essi, uguale in lunghezza e larghezza.
vl c litlligenza, non restare con sguardo
stupito (Empedocle; DK 31 B17.18-21).
lluicuivitvtl cose, le
une dalle altre, e non risultano tagliati a scure n il caldo
dal freddo n il freddo dal caldo (Anassagora; DK 59 B8).
353
,
,
,
,
,
,
20
354
21
Ivi, p. 175.
355
) imi ch i vi l
, i loro cenni al
, alle cose lontane e vicine, assenti e presenti, allo sguardo del
, fossero chiaramente significativi in prospettiva cosmologica gi nel V secolo (Empedocle,
Anassagora), a ridosso della sua composizione: forse perch estrapolati dalla sezione cosmologica del poema, forse perch in
ul v it liim llimg mi
(come si evincerebbe in particolare dalla ripresa peripatetica, che
risente tuttavia della lezione aristotelica).
iil (il) imlici cmic, lcc ll
dinamica di concentrazione-dispersione (eco plausibile della cosmogonia di Anassimene), e, in relazione a
, il rilievo della
funzione omogeneizzante del
potrebbero suggerire ancora
una posizione introduttiva del frammento rispetto alla revisione
cmlgic t lllt (ull ct ll li i
B8): premessa, dunque, alla vera e propria esposizione fisicocosmologica della seconda sezione.
Disperdendosi, concentrandosi
I versi 3-4 alludono a qualche specifico precedente cosmologico-cosmogonico, ovvero dobbiamo pensare a un riferimento generico? Gli interpreti sono divisi anche su questo punto: qualcuno, come Coxon22, vi coglie una polemica nei confronti della teoria di una sostanza prima soggetta a condensazione e rarefazione
(Anassimene23, pur non escludendo il coinvolgimento polemico di
Eraclito DK 22 B9124); altri, come Guthrie25, ritengono Parmenide
22
<
356
alluda a Eraclito (B91)26; altri ancora, come Conche27, valorizzanlititlgiclfmmt,uitchiferirsi a fenomeni di condensazione-rarefazione, giudicando tale
lttuittivit,uficill
Ilt,iulilitcmlgicloema di Parmenide, pare corretto individuarne un obiettivo polemico, da cui il filosofo avrebbe preso le distanze: nella logica
llititichlifliitttmnte ontologica offra gli strumenti concettuali per contestare alternativi modelli esplicativi della natura e fondare una pi consapevole
e coerente teoria fisica. Schematicamente convincente la lezione
di Graham28, il quale, ammiccando a Thomas Kuhn, individua tre
igmi citifici, uccivmt ttivi t cl
a.C.:
(i) quello con cui originariamente si ricerc la scaturigine
(
) degli enti, il loro principio (
), e si tent di inquadrare
i fenomeni naturali, indicato come Generating Substance Theory
(GST);
(ii)ullchv,clut,icillc
parte del poema parmenideo e sarebbe poi stato sviluppato, pi o
meno coerentemente, dai pensatori tradizionalmente designati
cm luliti (mcl, g, tmiti), fiit
come Elemental Substance Theory (EST);
)
Non possibile scendere due volte nello stesso fiume,
secondo Eraclito, n si pu toccare due volte una sostanza
mortale nell'identico stato; ma, per lo slancio e la velocit del
mutamento, si disperde e di nuovo si raccoglie (piuttosto, non di
nuovo n dopo, ma a un tempo si riunisce e si separa), viene e
va.
25
357
358
Il frammento di Parmenide un breve passaggio nelle centinaia di versi complessivi del poema potrebbe dunque essere risultanza di una pi o meno esplicita evocazione dei precedenti ionici, per marcare l'originalit del contributo eleatico soprattutto in
termini di coerenza come atttliitul
e sul
suo operare - con i presupposti taciti nella stessa concezione della
realt della
ionica.
Proprio questa possibile funzione critica farebbe di B4 una
sorta di passe-partout per il poema:
359
34
360
,
B8.42) appare comunque forzata la conclusione di Ruggiu 3, seccuilfmllulliml
propria natura. Soprattutto se teniamo conto della possibilit che
il materiale conservato rappresenti solo una quota minoritaria dei
vilmitglllmitllcmuicill
Dea, invece, il passo potrebbe essere inteso e marcare lo scarto tra
ilcllliiixiulli Conche.
Ovvero, ipotizzando una (improbabile) lacuna in B8 (Cornford), potrebbe
essere accettato il suo inserimento tra i due riferimenti di Proclo.
3
Op. cit., p. 253.
1
2
361
La verit che il
apprender la verit del Tutto, un sacmiutilimitillumcttuttvichtl
sapere sia acquisito tutto in una volta. necessario un ordine, corrispondente alle tappe di una ricerca, modalit tipicamente umana
di accedere alla conoscenza. Il percorso, la via da seguire (affermiiuvicluiiult,cc)t
un escamotage didattico che ha senso solo per il discepolo, non
l D li il ut i t li i esposizione
sono indifferenti. In relazione a una verit definita nel poema
(ben rotonda), Cerri valorizza, a sua volta, la prospettiva didascalica del frammento5, rafforzata dal possibile accostamento a Eraclito (DK 22 B1036) llc l Sofista platonico
(237a 7 ): Parmenide implicherebbe una sorta di circolarit della
ricerca scientifica e del discorso che la espone8.
4
Il passo il seguente:
362
gic,llluclluccivtttill
e del mondo della natura, sembra difficile poter insistere su tale
circolarit, come ha opportunamente segnalato Coxon9: nel primo
caso, infatti, lo sviluppo argomentativo procede in una direzione
li l c lii ll iii i mtli
doveva diffondersi sul piano storico-descrittivo. N plausibile
che la circolarit indifferente possa riferirsi al complesso delle
due esposizioni, dipendendo la comprensione della seconda dalle
analisi della prima10. Indifferente e circolare, invece, potrebbe essere considerata la discussione delle possibili vie di ricerca, non
necessariamente legata a un ordine di sequenza e in questo senso
iifft itt llgmt ticl m gl
Coxon11, la circolarit di quella preliminare discussione sarebbe
contrapposta alla linearit degli argomenti sviluppati lungo la via
imboccata verso la Verit (B8). Una variante interessante quella
avanzata da Bicknell12, che abbiamo registrato nelle annotazioni
alla traduzione: intendendo
come a basic point, B5 potrebbe essere immediatamente anteposto alla
di B2, per marcacmlgmtillDv dovuto ripetutamente richiamarsi.
[DK 28 B7.1-2]
Questo discorso ha osato supporre che sia ci che non : il
falso, in effetti, non potrebbe generarsi in altro modo. Il grande
Parmenide, invece, ragazzo mio, a noi che eravamo ragazzini
proprio contro questo discorso testimoniava dall'inizio alla fine,
in prosa e in versi, che [citazione B7.1-2].
363
> [B6.3-9]
[b-2] <
[B6.8-9]
[B7.2],
[B8.1
ss.]
Sostiene che le proposizioni contraddittorie non siano
a un tempo vere [letteralmente: la contraddizione non sia
vera] in quei versi in cui biasima coloro che mettono
insieme gli opposti: dice infatti [citazione B6.1b-2a] e
aggiunge [citazione B6.3-9]. (In Aristotelis Physicam 117,
2)
Dopo aver biasimato infatti coloro che congiungono
l'essere e il non-essere nell'intelligibile [citazione B6.8-9]
e aver allontanato dalla via che ricerca il non-essere
[citazione B7.2], soggiunge [citazione B8.1 ss.] (In
Aristotelis Physicam 78, 2).
364
ch l t imlici l licitmt llgmt tologico successivo (B8). In effetti, il primo verso e il primo emistichio del secondo sono richiamati dal commentatore, in altro contesto, proprio per marcare il nesso tra pensiero ed essere:
[-2a].
Per la sua discussa interpretazione corretto e inevitabile rinviare al complesso B2-B3, a maggior ragione ipotizzando che gli
attuali B4 e B5 siano fuori posto (in particolare che B5 possa precedere immediatamente B2 e B4 trovarsi a cavaliere tra prima e
seconda sezione). possibile, infatti, intravedere nei versi e nel
contesto della citazione la centralit del riferimento critico a
,
,
365
(Simplicio:
La nostra traduzione4 ricava due formule modali ( necessario, possibile) dal testo greco, che appare invece immediatamente costruito su tre formule tautologiche:
Lessere dellente
Il primo emistichio costituito da tre blocchi testuali:
(i)li verbale
, che abbiamo reso come necessario: si tratta di una formula con cui la Dea rileva un passaggio
significativo della propria comunicazione, proposto come conclusione di un argomento (le premesse introdotte dall'indicatore
);
(ii) le due fmvlillifiit
e
precedute da , con valore di articolo sostantivante (il [fatto di] dire,
il [fatto di] pensare), ovvero, come crede qualcuno, di dimostrativo in funzione prolettica (dire questo e pensare questo:
)i ogni caso evidente che la Dea (Parmenide) coinvolge
due verbi particolarmente pregnanti nel contesto della sua rivelazione:
richiama immediatamente B3 e B2.2 (
), mentre
pu collegarsi a
(B2.6-8);
(iii) liimvl
, formato dal participio presente del verbo essere ( , forma ionica di : essente, ovvero ente o ancora ci che e quindi anche essere) e
llifiit ll t v (
nella forma epica), che
4
367
) che caratterizzava il
, percorso di Persuasione, trova in
B6.1a
come proprio naturale soggetto di referimento. Nella
sequenza B2-B6, possiamo intendere
come formula concettuale scaturita dalla riflessione sull'espressione della prima via di
5
6
368
Delle due vie di ricerca di B2 le uniche per pensare quella che pensava che non di fatto indisponibile, perch,
come abbiamo ricordato, ci che non non conoscibile n
esprimibile; questo porta la Dea in B3 a rilevare il nesso tra
e
, tra il pensiero che svela ( )luiculggtt
possibile (
) ll luc lliiil lttiv t l vi
lltu i , i due infiniti (
e
) viene esplicitamente attribuito un oggetto: la dichiarativa
(ci che
). La Dea non si limita in questo modo a riprendere ed esplicitare la propria tesi: sottolinea anche come pensiero e discorso
debbano correttamente ammetterla 9 . A tale scopo, in B6.1b-2a,
ella reitera nella sostanza le risultanze di B2:
,
369
La formula
pu estrarsi positivamente dall'insieme
di affermazione e proibizione nella prima via di ricerca per pensare:
L'espressione
tezza della seconda via:
attribuendo coerentemente a
un adeguato soggetto
logico.
La traduzione dei due emistichi e la loro interpretazione sono
comunque particolarmente controverse.
Essere, non-essere
Traducendo letteralmente:
,
(ii) intendere
cato (come
):
predi-
370
(iii) intendere
del secondo:
10
Tra l'altro potrebbe essere suffragata dal fatto che due codici (BC) di
Simplicio riportano
.
11
In questo senso la lettura della Germani, op. cit., p. 191.
371
Colli 12 , la via enunciata in B2.5 non era stata rifiutata con disprezzo, perch volgare, come accade invece con quella formulata
a partire da B6.4.
Le altre due soluzioni, in fondo, non si allontanano concettualmente dalla precedente, trovando comunque nel contesto dei
frammenti una loro sensata giustificazione. Nel primo caso (poich essere, il nulla, invece, non ) sarebbe messo in valore l'essere di ci che ( ), dell'ente, ribadendo la non esistenza del
nulla, del "ni-ente"; nel secondo (la costruzione appare meno naturale) la Dea otterrebbe lo stesso risultato sottolineando che ci
che essere e non nulla.
Poich possibile essere ed impossibile che il ni-ente sia, dire e pensare (presupposti nel ragionamento) dovranno riconoscere
come loro oggetto necessario ltmiclut 13, infatti, i candidati a essere oggetto di tali attivit sono
e
: il
primo pu esistere, il secondo no.
La difficolt di questa interpretazione principalmente legata
alla lingua greca, in cui
assume valore potenziale in relazione
con un infinito: dunque legittima la traduzione del secondo emistichio del v.1, problematica la traduzione di B6.2a, nella quale,
12
372
c,ittituifiit(
<
14
15
>). Anche Mansfeld opta per una (diversa ) resa potenziale in entrambi i casi, proprio per garantire la corrispondenza, pur
riconoscendo ininfluente la traduzione con valore esistenziale di
B6.2a (come abbiamo scelto di fare). Parmenide potrebbe dunque
vivt,llffmilliilitlllla negazione del nulla, la necessit che l'essere sia 16. Resta comuu vli lii, vt l 17 , per cui, attribuendo alle due ricorrenze di
valori diversi, verrebbe meno la
immtittuttl'uifmitllimiglv
Le due vie di B2 in B6
tui,imm,lDitulllttivelineata in B2, precisandola: sottolinea la necessit (correttezza)
deliccimtll
come oggetto di
e
, escludendo che
(
di B2.7), teorico contenuto della via di
ricerca non ed necessario non essere, esista. In pratica ci
troviamo di fronte a una riproposizione in positivo della conclusione di B2. La puntualizzazione riguarda le uniche vie di ricerca per pensare: alla pura formulazione oppositiva
\
si sostituiscono le espressioni tautologiche
,
,e
, c lliciti, dunque, di adeguati soggetti logici.
14
373
In B2 la Dea aveva prospettato due potenziali percorsi di indagine gli unici per pensare:
(i) l'uno, ricercava pensando
e l'esplicitazione dei soggetti logici adeguati delle formule delle vie: ci che (ovvero l'essere ) e il nulla [ovvero, letteralmente: ni-ente] non .
A questa lettura che ha conseguenze, come vedremo, sull'inttillitfmmt- si contrappone in particolare
374
quella di Cordero (ma condivisa da altri), secondo cui nel complesso 6.1b-6.2a si registrerebbe la presentazione della prima
via18: il nulla non esiste di B6.2a sarebbe una semplice riformulazione di 2.3b: non possibile non essere, riferendosi quindi
alla prima via19. In questo senso si orientato di recente anche
Palmer20. Alla seconda via, a detta di Cordero, la Dea alluderebbe
invece subito dopo, connotando l'indiscriminata combinazione di
essere e non-essere: le cose dovrebbero essere e non essere allo
stesso tempo, come segnalato da B7.1 (
. Il guadagno
teorico su B2 riguarda sia la riconsiderazione critica (argomentativa) del
(percorso di Verit), inizialmente
introdotto in forma direttiva, sia la definizione ufficiale del suo
oggetto:
.
375
Queste cose io ti esorto a considerare,
chmichimlivitiiiale di B2:
,
miulc,lDttliililivlllttiv
tra le due vie per la corretta comprensione della realt: il fraintenimtllltu,ifftti,lligillcfui
dei mortali che nulla sanno, come appureremo tra breve. Analogamente, dopo aver presentato la via ed necessario non essere, la Dea si premura di osservare (B2.6):
in B6.3, allora, ella ribadisce (immediatamente dopo aver affermato che il nulla invece non ):
<
>
Da questa prima via di ricerca, infatti, ti < tengo
lontano >.
utvilttgc,clitgilllcuna dei codici assunta da Diels (sulla base di una tradizione che risale alla edizione aldina del 1526), stata vigorosamente avversata da Cordero e abbandonata anche da Nehamas 21 (e dalla Curd22),
i quali propongono, rispettivamente, di integrare con il verbo
(forma media), cominciare:
hm,mihyfuiy,Ducalion, 33-34,
1981, pp. 197-211.
22
Di ci diamo conto in nota al testo greco.
21
376
<
since you < will begin > with this first way of investigation,
<<
>
For, first, < I will begin > for you from this way of inquiry.
. Essa
evocava l'unica indicazione desumibile dalla via di indagine che
non e che necessario non essere: l'oggetto che se ne pu estrarre in verit non esiste. probabile che dopo l'enunciazione
delle due vie la Dea avesse condotto la discussione a partire dalla
seconda, mettendo in guardia dal suo coinvolgimento: B6 e B7
rappresenterebbero la conclusione di tale disamina, mirata ad affermare la necessit del riconoscimento che
. In questo
23
Noto, per inciso che, nel caso del verso B6.3, Cordero preferisce la lezione
dei codici BC a quella (pronome personale) di D (con E e F), di cui si era
sottolineata, per la lezione del verso precedente, la bont. Traducendo con il
lti,litgitiultimticillci
Cordero, meno naturale nel caso di Nehamas (comincer per te).
24
Che appare comunque plausibile, dal momento che la costruzione
+
caratteristica nella letteratura greca arcaica.
377
senso, la secvittivtimlliositivo.
<
>
<
>
con questa prima via di ricerca comincerai,
poi con quella che mortali che nulla sanno
ivt.
Una sequenza che potrebbe alludere alle due sezioni del poema, e richiamare B8.50-52, considerato passaggio conclusivo della Altheia e introduzione alla Doxa:
378
);
(b) la seconda dalla connessa negazione: non (
), marcando la necessit del non-essere (
);
(iii) lo stesso B2 registra immediatamente l'asimmetria delle
due vie indicate: l'indagine, infatti, non potr in realt procedere
lungo la seconda, in quanto non potrebbe discernervi alcunch:
non possibile conoscere n indicare ci che non ;
(iv) le vie di ricerca per pensare sono introdotte come vere e
proprie premesse della complessiva esposizione della Dea: le sue
25
Nel suo epocale K. Reinhardt, Parmenides und die Geschichte der griechischen Philosophie, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M. 1916.
26
Sulla questione molto chiara la ricostruzione di Leszl, op. cit., pp. 120-1.
379
parole (io dir - e tu abbi cura della parola, una volta ascoltata)
suggeriscono il rilievo cruciale dell'alternativa per il kouros (e
dunque anche per ilicl,lclttilltt)
(v) difficile quindi ipotizzare che Parmenide attribuisca alla
Dea la responsabilit di sostenere come possibile via di indagine
(per pensare!) la tesi contradditoria:
- via dell'errore, come vorrebbe Cordero27: vero, piuttosto, che alla seconda via si alluder (B8.17-8) come
(via non genuina), percorso di indagine che non pu concretizzarsi in conoscenza;
(vi) dalle due vie, invece, potranno essere estratte due verit
basilari per le successive argomentazioni: l'essere necessariamente, il non-essere non esiste. Mentre si potr procedere ulteriormente a determinare la prima via (seguendo i
di B8),
nulla potr dirsi di pi della seconda, evocata solo per marcare la
necessit della direzione d'indagine alternativa.
Come segnala la Germani 28 (e, in una prospettiva diversa,
Cordero 29 ), potrebbe in questo senso non essere casuale l'eco
parmenidea della formulazione aristotelica del principio del terzo
escluso:
380
)30. In B8.15-18
Il testo significativo, secondo noi, perch scandisce efficacemente le sequenze del procedimento parmenideo: (a) introduzione (logica: le vie sono per pensare) della disgiunzione \non
; (b) esclusione della via che non in quanto
e
(che richiamano le connotazioni di B2.7-8); (c) riconocimtlluicviticilliccit vera\reale (
), mt llt l ( gui,
), non pu costituirsi, per sua natura, come effettivo percorso di ricerca.
Liquidata la via
in
quanto percorso di ricerca impraticabile (il nulla non ), prima
c i ici l ggi lluic vi gui (
),lDiffmull
invenzione dei mortali che nulla sanno (
), effetto del colpevole misconoscimento delle implicazioni
lllttiv
. Ancorch prospettata come
, la strada imboccata dai
chiara-
30
, (ii)
381
<
>,
382
383
(
, si inventano) di una via: invenzione evidentemente frutto della confusione delle uniche vie di ricerca per
pensare. Denuncia la loro
, la debolezza per cui la loro
mente (
)cllttil-essere - alla vertigine del
nulla, come si esprime Conche 36. In tal modo ella collega a un
impulso irrazionale la chiv ll i mtli
, nei loro petti, potrebbe riferirsi a una localizzazione
dello che consenta di differenziarne la funzione rispetto al
.
Queste determinazioni negative sono ulteriormente accentuate
con espressioni che sottolineano la fenomenologia del disorientamento:
.
,
,
Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate
(B6.6-7).
I mortali, dunque, non sono in controllo di s; il loro atteggiamento ne svela la radicale incomprensione, che si manifesta a
tre livelli: (i) nella perdita di contatto con la realt: gli organi di
utti (l vit luit) uc nel loro caso dei
mortali isolamento, distorsione; (ii) nella conseguente tonalit emotiva della sorpresa37, da intendere nel contesto non come
positiva apertura alla comprensione, bens come sintomo della
condizione contraria: profonda confusione; (c) nella mancanza di
giudizio38, di discernimento (
,
), con cui spregiativamente la Dea connota le schiere (
) dei
, cio la loro
massa, il loro insieme indistinto, come confusa la loro percezione della realt.
36
37
384
385
vl t l ttgli llitti l nsiero di Eraclito, sufficiente osservare come nelle citazioni sia
marcato lilmtlsapiente rispetto alle opinioni condivise
dai pi: il suo discorso consapevole (
) che annuncia come
tutto accada secondo il logos (che manifesta dunque la struttura
til l mutmt) ctt llicmi (mncanza di intelligenza della realt) degli altri (uomini). Le espressioni impiegate denunciano chiaramente una condizione di
inversione: pur essendo il logos alla base della realt (in Eraclito
abbiamo una delle prime attestazioni di
come ordine del
mondo) che li circonda, gli uomini (
) ne ignorano la
normativit; essi vivono cos non da desti (
) in una
condizione di torpore, stordimento: una sorta di sonnambulismo.
ial logos adesione a ci che comune (
)e
uii t, ggttiv, ivmt llttuit ll icn386
Non a caso editore sia dei frammenti parmenidei, sia di quelli eraclitei!
Conche, op. cit., p. 107.
41
Ivi, p. 108.
40
387
e
; anche per la seconda via, dunque, a dispetto della sua negativit, possibile,
dunque, estrarre un soggetto, ancorch puramente formale (
,
ovvero
). Dei
- che nel loro scortt gmt cfu l i fig u cmmci
delle due vie alternative - si rileva invece:
Precisa inoltre:
D v iimt cl ch cgiug l
e il non- llitlligiil (imlici, Phys. 78, 2;
DK 28 B6).
388
uccclliicificil(vici
quella di Cordero), mi sembra inoppugnabile la sua osservazione:
Simplicio intende rilevare la contraddizione in cui cadono i mortali combinando termini incompatibili (essere e non-essere). Dei
mortali che nulla sanno la Dea parmenidea denuncia essenilmtliccitiicimi
(essere e non essere),
(la stessa cosa e non la
stessa cosa), che finiscono per essere contraddittoriamente riferiti a
. Nella loro finzione, secondo la Dea, essi indifferentemente assumono e combinano termini in realt contraddittori, senza
rendersi evidentemente conto della loro incompatibilit: proprio
nella contestazione di tale ingiustificata, infondata assunzione, in
questo come nei due successivi frammenti, si appalesa
lccimtvlimie.
sanno
390
,
,
392
), incertezze di documentazione e difficolt di determinazione, ricostruendo un percorso di ricerca (dallo studio matematico all'applicazione dei suoi principi a tutta la realt) che potrebbe implicare un'evoluzione delle posizioni interne alla scuola.
In ogni caso per noi significativo il riferimento ad Alcmeone
(contempoaneo di Parmenide) in relazione alla tavola delle due
serie di contrari:
]
[ ]
[
,]
[...]
In tal modo pare pensasse anche Alcmeone Crotoniate,
sia che questi prendesse tale dottrina da quelli, sia quelli
da questo; poich, quanto a et, Alcmeone fior quando
Pitagora era vecchio, e si espresse in modo molto simile a
costoro. Sosteneva, infatti, che la maggior parte delle cose
umane sono dualit, pur non determinando, come fanno
questi, le opposizioni, ma proponendole a caso [...]
(Metafisica I, 5 986a 27-34).
),
,
393
Secondo la Timpanaro Cardini47, dalla testimonianza aristotelica si pu concludere che, come alla fisica ionica andava probabilmente ricondotta l'originaria dualit pitagorica (
),
cos alla cultura scientifica milesia dovevano risalire quelle opposizioni (riscontrate poi nella pratica medica) che Alcmeone contribu a introdurre nell'ambiente pitagorico, dove avrebbero ricevuto una elaborazione sistematica.
Insomma, non da escludere, a livello teorico, che le allusioni
critiche dei versi parmenidei possano investire temi e figure di
una tradizione che doveva risultare riconoscibile nello humus locliuclulifficilvlutlicill
distanza degli ambienti culturali, non vi dubbio che appaia plausibile una referenza pitagorica. Sul rapporto con la tradizione pitagorica avremo comunque modo di tornare nel commento a B8.
47
394
Nel testo di Parmenide si valorizzano per il confronto gli ultimi due versi (per lo pi tradotti diversamente49):
,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro.
49
395
Secondo Tarn, la sottolineatura parmenidea riferirebbe a Eraclito (DK 1) litit i cti cm itit-nellaiff,cumlll 50,chllticndurrebbe all'opposizione fondamentale essere-non essere (per cui
utlssere e il non essere sono considerati la stessa cosa e
non la stessa cosa). In questo senso, secondo Couloubaritsis,
lttccimiivltuimti(ull
eraclitea) ancora prossima alla logica ambivalente del mito, in cui
la complementarit degli opposti suppone un legame indissociabile. Eppure lo studioso belga, nella modalit eraclitea di pensare
gli opposti, riconosce gi una presa di distanze da quella ambival,ttuttlituiiuiiiiglobante, comune a tutti, quella appunto di essere e non-essere (DK
22 B49a, B91)51. Proprio la rottura radicale di quella logica caratterizzerebbe la
della Dea parmenidea, discriminante dunque allo stesso tempo anche rispetto alla posizione di Eraclito 52.
Ancora di recente, Graham53 htilggltlgi
micmittllimttlli Eraclito, la cui provocazione sarebbe consistita nella esasperazione
ll lit t l mll iic, c l
lliiimtiutgticvtggii
quella di processo universale, regolato da una legge di scambio di
masse elementari (fuoco, terra, acqua).
A questi elementi di contenuto o struttura, si aggiunge poi il
ict i uc iv clit, ui mi itndesse colpire un avversario evocandone le parole. Sebbene Tarn,
a proposito del conclusivo
,
metta in guardia dalla tentazione di leggervi un puntuale riferimento alle parole di Eraclito (DK 22 B51)54, altri hanno molto insistito su questo punto: tra i contemporanei, per esempio, Cerri
50
396
trova conferma in B6.9 di una vera e propria tecnica della citazione, gi emersa nel proemio con la evocazione del mito di Fetonte e delle Eliadi55.
Come Tarn e Couloubaritsis, anche lo studioso italiano marca
vicinanza e distanza specifica della posizione di Parmenide rispetto a Eraclito, il quale, pur avendo anticipato la teoria dell'identit
nella (apparente) differenza, manifest nei suoi enunciati paradossali viva consapevolezza della problematicit di tale verit, delle
oggettive contraddizioni insite nella realt naturale e umana 56 .
Cos non vi dubbio, secondo Cerri, che siano proprio le formule
scelte da Eraclito, del tipo e non , a essere imputate da Parmenide: il filosofo di Efeso avrebbe infatti praticato quella (preut)tviucitlllt 57.
Lo studioso italiano, inoltre, sottolinea come le scelte lessicali
di Simplicio, nel citare B6, mostrino come egli avesse inteso che
l(ut)tvilfmmtiifiuigenuo atteggiamento ordinario della mente umana, ma alla tesi specifica di un indirizzo filosofico: il linguaggio impiegato dal commentatore, infatti, sarebbe quello con cui la tradizione peripatetica
connotava inequivocabilmente la dottrina eraclitea 58.
Questa osservazione, tuttavia, non comporta alcunch riguardo
all'itifici l ft llttcc i mi t gli
specialisti noto, infatti, come le ricostruzioni platonica e aristotlicgumliif,chiitifftti
peculiari canali nella ricezione delle opinioni dei pensatori arcaici. Le prime collezioni delle loro tesi, infatti, sarebbero da attribuirsi, nella seconda met del V secolo a.C., ai sofisti Ippia 59, che
avrebbe approntato una selezione per temi, e Gorgia, che invece
avrebbe disposto il materiale per contrapposizioni teoriche:
dunque molto probabile che la versione offerta da chi (Platone e
55
397
398
63
DK 22 B50:
Su questo tra gli altri Conche (p. 108) e Colli (p. 178).
399
zione di),chichivivificlituii
scientifica65.
In questo senso, per, le battute parmenidee sembrano destinate a stigmatizzare un errore ovvero un'incoerenza che il sapiente
poteva cogliere non solo nelle espressioni della cultura tradizionale, ma anche nelle posizioni della stessa sapienza ionica. Ipotizzando per le opere degli autori presocratici come ha fatto di recente Maria Laura Gemelli Marciano 66 - un contesto culturale e
pragmatico molto concorrenziale, e concedendo quindi una
circolazione sufficientemente ampia delle idee nel bacino del Mediterraneo, potremmo attribuire alla polemica parmenidea un riferimento generico e specifico a un tempo: (i) agli ignoranti colpevoli di fondamentali fraintendimenti dei propri dati sensoriali (da
cui liit ullttuimt gli gi cttivi ccit,
sordit); (ii) ai poeti responsabili della divulgazione di quel volgare stravolgimento della realt; (iii) ai pensatori ionici, che non avv vitt umiguit i f, riconoscendo la forza del
principio a un elemento a scapito degli altri, concentrando
l iulllt,iutttchiult(iv)llimite allo stesso Eraclito, essenzialmente per le sue provocatorie
enunciazioni di un logos che, per altri versi, Parmenide avrebbe
dovuto apprezzare: formule in cui, pericolosamente dal punto di
vista eleatico, essere e non-essere si trovavano accostati.
lctllttcclllt come confermer B7 sogliumiillctii,coloro che implicano consapevolmente o meno67 lu ch i c ch ono; in altre parole coloro (schiere senza giudizio) che, affidandosi acriticamente al dato empirico, condizionati dai meccanismi irriflillitui,vua inaccettabile terza via.
65
400
: il verbo , con
la sua soggettivit, contrastato dai positivi (e oggettivi)
e
. Conche giustamtumccmlimrtali che nulla sanno si riferisca alla massa di non filosofi, che
Parmenide trova sordi e ciechi quando tenta di far intendere la parola della Dea, la parola della Verit 69. N va dimenticato un rilievo di Jaeger:
vchliiiuuomo o di qualche individuo, ma la communis opinio, la perversione del nomos dominante (cio della tradizione)70.
A questa ignoranza, tuttavia, possibile fossero associate nella
condanna anche quelle espressioni scientifico-filosofiche in cui il
discrimine tra le uniche vie di ricerca per pensare appariva debole o confuso: un fronte potenzialmente ampio, dai Milesi a Eraclito, passando per i pitagorici, la cui reale presenza polemica
comunque solo ipotetica.
68
401
402
B7.6[a] con B8.1[b]6. Attribuire l'origine delle difficolt a una libera citazione antologica da parte di Sesto, ovvero a una sua citazione da antologia poco affidabile7, non appare del tutto convincente, soprattutto alla luce del fatto che da Sesto abbiamo l'unica
citazione dell'intero proemio, con tracce della redazione psilotica
originaria (quindi di una tradizione alternativa a quella attica):
possibile, dunque, che egli disponesse di una buona copia del
proemio, derivata verosimilmente da un esemplare di tutto il poema8. Nel caso della sua citazione sarebbe semmai da valutare
l'intenzione teoretica di fondo: mentre Simplicio esplicitamente si
impegnava a documentare passi di un'opera ormai irreperibile,
Sesto potrebbe aver consapevolmente "montato" parti del poema
originariamente distinte, in funzione di un assunto generale: respingere la validit della sensazione come vero strumento di conoscenza9.
Nonostante perduranti perplessit, negli ultimi decenni la critica si mostrata tuttavia propensa a riconoscere la fondatezza della ricostruzione di Diels-Kranz anche riguardo al presente frammento. Non in discussione, in ogni caso, il suo ruolo critico, per
noi condizionato dalla ricezione di B6 e dalla soluzione del prolmllvi
). Ma la forma trdita -
403
Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
(B7.1-2).
[
),luit
Un pensare selvaggio
Du lmti ig i ut ii (i) li
introduttiva (o
Ci che viene stigmatizzato piuttosto il fraintendimento corrente, consapevole o meno: il nume si riferisce a quelle posizioni
che assumono esplicitamente o comunque imlic lit
del non-essere.
10
405
), riassumendo B6.8-,uclitiu
modo di pensare quello di mortali che nulla sanno (
) condizionato, dalla fiducia nel dato sensibile e
dalla guida di un intelletto instabile, a credere che esistano cose
che non sono13.
Parmenide avrebbe impiegato il plurale (
) e non il singolare (
) perch il pensiero "selvaggio" di chi si allontana
lltllcitttillcchiet lli14. In questo passaggio il filosofo non intenderebbe, tuttavia, riferirsi al non-essere, non sarebbe impegnato a rigettare la seconda via 15, ma a rilevare la contraddizione
ittlfitimtlli 16iituuesto punto nei due frammenti che precedono (secondo le ipotesi di
ricostruzione cui abbiamo introduttivamente accennato) la lunga
liillimvii1-49, rivela come esso sia cruciale
nella economia del discorso di Parmenide, soprattutto in funzione
della seconda sezione del poema.
11
406
Una posizione diversa e pi specifica in proposito quella espressa da Coxon17, secondo cui il contesto di B7 sarebbe quello
di una critica non genericamente condotta nei confronti dell'esperienza sensibile o del suo fraintendimento, ma delle teorie fisiche
precedenti e contemporanee. Ci sarebbe confermato da Simplicio (In Aristotelis Physicam 650, 11-2), che cita il verso 2 proiettandolo nella discussione aristotelica degli argomenti del V secolo
fvctlitllivut
), il vuoto (
) fosse penetrato nell'universo
(
) come respiro (
), costituendo lo spazio discriminante e distanziante le cose:
17
407
,
[ ]
m im vt cmmt , liti i u
confronto con le tesi pitagoriche suggestiva, anche per
lmbiente culturale cui si rivolgono i versi di Parmenide: le indiciiix,ifftti,uttlluiggttivi
come
(B8.24) riferito a
- ovvero
(B9.3) per
pieno:
,
,
,
,
N divisibile, poich tutto omogeneo;
c ui ulc i i ch imigli i
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno, ma tutto pieno di ci che .
(B8.22-24).
408
409
, la possibilit di
tigmti c ig luit imlicit ll uii i
. Forse la lettura di Mansfeld 21 incauta
llumlvliitllitgi
di Diels per B6.3,
ma la proposta complessiva di grande interesse: i primi due versi di B7 riformulerebbero B6;
B7.2) richiamerebbe
(B6.3), completandone il senso con un chiaro esempio di compoiillttcco ai mortali che nulla sanno sarebbe
dunque compreso tra il primo richiamo alla disgiunzione fondamentale (B6.1-2:
) livit
giudicare con il ragionamento (
): due modi per
evocare la krisis di B2, prima e dopo la descrizione del mondo
umano 22.
21
22
410
Ma tu
ggimcuvltlttcci
23
24
411
<
>,
[
da quella [via di ricerca] che mortali che nulla sanno
ivt,umiiutt[]
Nel frammento precedente si era iniziato a costruire lo stereotipo degli sprovveduti mortali, impaniati nella contraddizione: il
l,if,lutcigi,ilt
forgiato indebitamente (
,ivt)
In B7, invece, si punta su due elementi: (a) la dura presa di posizione (
);
(iii)ltittggi coerentemente la propria intelligenza (B4.1 e B6.2:
);
(iv) la dissuasione dalla tentazione irriflessa di adeguarsi a uno
stile di pensiero (e comportamento) diffuso ma logicamente contraddittorio (B6.3-4:
25
<
...).
In B7 registriamo dunque il compimento dello sforzo dissuasivo della dea nei confronti del kouros, esplicitamente sollecitato a
marcare il proprio atteggiamento intellettuale rispetto
llimtimortali, a condividere razionalmente la disamina critica della Dea. La presunta "terza via" delineata es25
412
26
413
rebbe, infatti, essere assimilati a una tipologia umana con cui nessuno intende identificarsi29.
[B6.8-9]
[B7.2],
[B8.1
ss.]
Dopo aver biasimato infatti coloro che congiungono
l'essere e il non-essere nell'intelligibile [citazione B6.8-9]
e aver allontanato dalla via che ricerca il non-essere
[citazione B7.2], soggiunge [citazione B8.1 ss.] (In
Aristotelis Physicam 78, 2).
tmtlcvicivltlilivllD,
ma non nel senso che a essa immediatamente ci si riferisca: essa,
piuttosto, risulta implicata nella posizione espressa dai mortali
che combinano indiscriminatamente essere e non-essere. Ed per
questo motivo che B7.1 denuncia l'insostenibile contraddizione:
, dove, come abbiamo gi segnalato, il neutro plurale plausibilmente si salda alla prospettiva del fraintendimento
empirico di cui si renderebbero colpevoli i mortali.
Condividiamo dunque la lettura di B7.2 che Conche30 (e altri)
hanno avanzato: la via di ricerca incriminata sarebbe quella che
illusoriamente si forgiano, quella appunto
che pretende che i non-enti siano. Si tratta impropriamente di una
29
30
414
Il pensiero e labitudine
vi ch gu lvvi ll D ctiuic ailmtchiiligillvimtimtlichulla sanno:
Costume irriflesso
Di quale abitudine si tratta? La Dea la qualifica come
, ilmt mc lorigine dalle frequenti
415
i,ilvliutmiticiii
evidentemente il quotidiano rapporto sensibile con le cose, quanquando non guidato dall'intelligenza, pu indurre assuefazione e
spingere, inconsapevolmente, a ritenere che siano cose che non
sono. La nuova messa in guardia giustificata dai meccanismi
irriflessi che condizionano il nostro orientamento: proprio per
questo i sensi non possono essere separati dalla ragione 31.
sufficientemente chiaro che la condanna rivolta al cattivo
uiiffttllituiiitiinftti mct l tt cm i l
f
(
)lciDltt,se la Dea esorta a giudicare
con la ragione perch lungo la via sconsigliata la ragione non
imigt,ttlffttutllitui 32. Costantemente
sottoposti a input sensibili che richiederebbero di essere correttamente analizzati, i mortali sviluppano una acritica dimestichezza
con le cose, progressivamente avviluppandosi in una spirale di
incomprensioni.
Eraclito aveva espresso forse lo stesso punto di vista:
416
Ivi, p. 122.
Ivi, p. 121.
35
C. Ramnoux, Parmnide et ses successeurs immdiats, Monaco, Ed. du Rocher, 1979, p. 111. La referenza di Conche, op. cit., p. 121.
34
417
e
) indichlttituillmlti,cllezionare notizie, denotando in ultima analisi una forma di cultura
iitic, lltichit ttiuit mi l39, impartita con la memorizzazione scolastica, che Platone (Leggi
7.811 a-b) esplicitamente condanna (come
e
36
418
419
negherebbe lo statuto di essere, attribuendo al commercio quotidiano con esse, lli multil, ull vil ul nsiero che si traduce nella identificazione del reale con il divenire44. In verit, la Dea insegnerebbe che il loro statuto quello di
nome ( ): svuotate di ogni consisttlgic,lcoctiticlutlg,uu,
utimfmimilimcgittativo di attribuire realt alle cose come vuoto parlare, parlare
per non dire niente45.
Noi riteniamo che in B7 Parmenide rilanci la propria denuncia
contro il modo comune di guardare alle cose e di esperirle: i mortali implicano il non-essere nel tentativo di comprendere la realt
attraverso il dato sensibile: dunque, per riprendere una osservazione della Robbiano 46 , la Dea ammonisce la propria audience
che quando si coinvolge il non-essere, non si trover la verit. Per
riprendere una formulazione, che ci pare efficace, della Wilkinson47, la Dea non critica i mortali perch percepiscono in modo
scorretto, piuttosto critica i mortali perch nominano in modo
scorretto quello che percepiscono48.
Logos e elenchos
Il frammento si chiude con una esortazione notevole:
420
421
modo il verbo abbia assunto il senso di mettere alla prova, verificare, accertare qualcosa.
i
sembra dunque riferirsi proprio alla critica, sviluppata tra B6 e B7, nei confronti della presunta sapienza tradizionale, probabilmente delle tesi di pensatori
ionici e forse pitagorici. Una vera e propria confutazione, se consideriamo che la polemica consistita essenzialmente nel denunciare la contraddizione implicita in quelle posizioni.
La Dea dapprima (B2.3a; B2.5a) liitt
della semplice e immediata esperienza della realt,
, contrapponendole la negazione (
): da questa alternativa fondamentale e radicale, pu ulteriormente ricavare
(B2.7)
e
(B42;
B6.1) come soggetti (ancorch il primo solo logico, il secondo reale) delle due coerenti vie per pensare. Quindi, dopo aver riformulato (B6.1-2) in termini tautologici (
) il contenuto delle vie, ella si concentra (B6.4-9; B7) sul cortocircuito prodotto nel pensiero (
) dei
mortali dalla loro contraddizione 50, cio llicut ctvvenzione delle norme:
(B2.3b);
(B2.5b).
In questo senso la prova intorno a cui la Dea invita il kouros
a meditare , nella posteriore accezione aristotelica, una confutazione (
), deduzione di una contraddizione (
),
cio procedimento dialettico per eccellenza 51.
50
51
422
Alla luce di quanto risulta dalla nostra analisi di B1, tale struttura emerge dal programma annunciato dalla Dea in B1.28b ss.:
424
), correlato
lluci(,c)lliitllinioni dei mortali (
). La sezione indicata come Opinione sarebbe (nella nostra interpretazione) da mettere invece in
li llultim ut l gmm ct ci u
lezione (
, apprenderai) adeguata su
, sui
ctutilli
significativo dell'originalit della sezione sulla Verit soprattutto di B8 - il fatto che le citazioni relative siano pi numerose e consistenti. Dei tre blocchi testuali in cui supponiamo fosse
articolato il poema Proemio, Verit, Opinione - ltuomil,chitvllllgi,vtticutticolare attenzione in et ellenistica: probabilmente da una tradizione
stoica dipende, infatti, la sua interpretazione da parte di Sesto
Empirico, che anche l'unico a riprodurne integralmente il testo
(forse da fonte non attica 2). In genere, per, gi la produzione del
cltttlicilmllgmttivlla concettualit della Verit, che doveva costituire novit rispetto
all'arcaica elaborazione ionica, sebbene, come vedremo, sia molto
probabile che i "naturalisti" posteriori, da Empedocle agli atomisti3, abbiano adottato uno schema interpretativo desunto dalla Opinione. Anche la consistente eco parmenidea in Platone e Aristotele per lo pi riferita alla Verit e solo subordinatamente (so2
Secondo Passa (op. cit., p. 31), infatti, Sesto avrebbe utilizzato fonti diverse per
il testo del proemio e per la sua parafrasi: nel secondo caso, la fonte potrebbe
effettivamente essere stoica; nel primo caso, invece, la tradizione sestana
l'unica a conservare traccia dell'antica redazione psilotica del poema. Passa
ne conclude che plausibile che Sesto disponesse di una buona copia del
proemio, derivata verosimilmente da un esemplare dell'intero poema.
3
Alexander Nehamas ("Parmenidean Being/Heraclitean Fire", in Presocratic
Philosophy. Essays in Honour of Alexander Mourelatos, edited by V. Caston
and D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 51-2) sottolinea come,
nonostante i presocratici posteriori avessero mutuato le caratteristiche
ontologiche illustrate da Parmenide, nessuno si sentisse in dovere di
sostenere l'introduzione di una pluralit di elementi giustificandola
argomentativamente. Quasi non ce ne fosse bisogno: un segno, forse, di
continuit con il poema. D'altra parte, Melisso, che non attribuisce
esplicitamente a Parmenide le proprie posizioni, si impegn a giustificare il
proprio numerical monism: un segno, forse, di discontinuit con il poema.
425
La via che
ttcclfmmt(vv1-3a) non sembra lasciare dubbi
sul contenuto:
,
Unica parola ancora, della via
che , rimane; su questa [via] sono segnali
molto numerosi: che...
Esplicito il richiamo a B2 (
;
) e ai suoi esiti: rimane
uuica parola da ascoltare, dopo che si riconosciuto
limticilitilttivgiunto dunque il momento di in-
426
. Su
.
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lascia lu [vi] imil [] iimiil
(poich non
uvigui),chlltivcitil
Nel sottolineare la bont del proprio argomento, la Dea ricostruisce sinteticamente la ratio per cui
[]
(uic l c [] im 1-2), evocando
llttivilmmtic(espressione sincopata delle
[
di B2.2) e la conseguente, necessaria esclusione della via che non (B2.7-8): non
fattibile (
) conoscere (
) e indicare (
)
ci che non (
). In questo senso va intesa la coppia di
aggettivi impensabile (
) e indicibile (senza nome,
): la via
(
): muoversi sul
terreno di e non possibile non essere, rinunciando a dare
427
consistenza a non- ed necessario non essere, garantisce intelligibilit e comprensione della realt 7.
.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
im, li delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (B8.50-52).
La parola (il discorso) di Verit della Dea traccia i conti ll lt ttv lclui itmtic i ci ch,
nella propria inconsistenza (
), si rivela
. Si tratta della rigorosa applicazione argomentativa della
formula della prima via:
7
ulttiltmllviluicitlicituii
veda in particolare L. Couloubaritsis, Les multiples chemins de Parmnide,
in tudes sur Parmnide, cit., t. II, pp. 29-30.
428
luiil
[]
.
Tale
), di cui
su questa [via] sono segnali
molto numerosi.
Il discorso uno, perch una sola in effetti la via riconosciuta percorribile; molti i segni ( ) che consentono di identificarla8, molti gli argomenti che possono essere addotti per metterla alla prova: di qui il nesso tra
,
che la
articola in B8.1-49 corrisponde a quanto
annunciato (B2.4) come
(percorso di Persuasione) in quanto
(tien dietro a Verit): lungo la
8
9
429
<
[
[ti tengo lontano] da quella [via] che appunto mortali
che nulla sanno
<si inventano>, [] schiere scriteriate,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa []
430
(articolato in relazione ai
) a svelare in che cosa effettivamente consista quello stravolgimento: perdere di vista il fatto che, cilluic
ft l (l), i vi mi c cui designiamo i fenomeni della nostra esperienza sono, in realt, solo simboli:
,
,
,
(
), ovvero ci che ( ), la sola cosa
che possa essere pensata ed espressa nel linguaggio: a qualsiasi
cosa i mortali pensino o di qualsiasi cosa i mortali parlino e in
qualsiasi modo ne pensino o parlino, essi in realt pensano o parlano di ci-che-10. Questa la lezione che si ricava dalla parola della Dea: trasfigurazionlliguggilli,ll
rappresentazione ingenua, ma anche della (contestata) cosmologia
ionica. Una lezione che discende, dunque, dalla krisis (
), condotta escludendo
)
llmit ll t cviii miich (
10
cKih,iggumtimi,cit., p. 205.
431
B1.32).
la stessa divinit a connotare la propria comunicazione
(
): a rilevarne con formule (
) la cogenza, la dipendenza dalla
(
),e, attraverso
figure (
,
,
), lo statuto trascendentale. La parola, infatti, nel suo procedere argomentativo, appalesa, della realt
(
), ordine e superiore garanzia: Giustizia [lo] tiene (
),
Necessit potente [lo] tiene (
), Moira (Destino) lo ha costretto (
).
La nuova sezione, introdotta al v. 50, , a sua volta, esplicitamente determinata: sempre la divinit a sottolinearne la materia
diversa cgulliiuutivitchotremmo definire um
, clt li delle mie parole che pu ingannare). Il poeta segnala il cambio di registro
anche a livello espressivo, tornando, come abbiamo in precedenza
ricordato, alla semantica convenzionale e alle relazioni sintattiche
caratteristiche del proemio: in questo senso, rispetto ai versi centrali della Verit,
(passibile di inganno) appare effettivmtlgiitlll 11.
ttulfmmt1cfmltuumll
prospettiva (
) adottata, e la sua peculiare costruzione
linguistica:
11
432
su questa [via] sono segnali
molto numerosi.
433
Segnali
La Dea ne propone un catalogo, nel seguito utilizzato (anche
itglmt)llii
,
,
,
che senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.
Come segnalato in nota, Leszl, Heitsch e di recente Palmer (tra gli altri), fanno
iiilliiigilv,cciciglittiutiivv
5-6 gi parte della discussione e non propriamente
.
434
stessa nozione di
(
[
), con esclusione di
(
[
); attribuiti
ll,imiftltuluiillctt
che la Dea intenda
e
non disgiuntamente, in altre
lchlitmtccitivichimlicmntilctlg,mlgmtichltii,lunto di vista della lezione divina, la valutazione razionale del giovane allievo appare preoccupazione primaria, come marcato in
B7.5-6:
I segnali potrebbero dunque costituire il materiale concettuale su cui esercitare la razionalit del kouros, con un duplice scopo: (i) fargli prendere confidenza con
; (ii) fargli prendere
coscienza delle inconsistenze di altre posizioni teoriche (ioniche,
forse pitagoriche). Si tratta ovviamente di due risvolti della stessa
strategia, nella misura in cui il riconoscimento della natura di ci
che comporta, per un verso, la presa di distanza dalla superficiale lettura del dato sensibile, per altro la contestazione di lezioni
concorrenti. Cos ritroveremo riaffermato (B8.34-36a) il nesso tra
pensiero (addirittura nella formulazione astratta
) e essere:
.
,
ilivchiicutluii
435
di
tt ch tuttvi culi ll li t
e
il fatto che alcuni dei segnali fondamentali
siano evidentemente costruiti - sul piano linguistico c lu
llalfa privativo, mentre su quello argomentativo (attraverso
, confutazione) tutti siano sostenuti ribaltando il dato di
senso comune (nascita e morte, accrescimento e diminuzione,
mobilit ecc.). Un risultato che a loro modo anche la sapienza ionica aveva ottenuto, ma, come rivelerebbe la discussione parmenidea, in modo contraddittorio. In questo senso, i
possono
essere letti come elementi concettuali espressamente rivolti a contestare i mti tiili i itti lluiv 13. Il
catalogo e la relativa discussione investirebbero direttamente alcuni contributi della elaborazione cosmologica arcaica 14:
(i) il paradigma di fondo della cosmogonia (B8.6-21);
(ii) il modello esplicativo per successive differenziazioni
quale possibile intravedere nelle testimonianze su Anassimandro e Anassimene (B8.22-25);
(iii) la riflessione sul mutamento cui possono ricondursi in
parte i frammenti di e le testimonianze su Anassimene e Eraclito
(B8.26-31);
(iv) il mll ilgic i vilu lluiv, ch ssiamo ritrovare nelle testimonianze su Anassimandro (B8.32-49).
allora possibile che la natura dei
non fosse quella di
predicati astratti, concettualmente dedotti dalla nozione di esse13
14
436
Anche la dea di Parmenide invia segnali ai mortali, per far conoscere cose normalmente oltre la loro portata: Robbiano e Cerri
hanno probabilmente ragione nel sottolineare come il termine
non si riferisca allora tanto ai predicati enumerati in B8.26, quanto ai successivi argomenti, risultando essenziale nella relazione tra lum il ivi il mmt ll'itti i
segni per giungere alla verit. In questa prospettiva come rilevato da Mourelatos17 -
e
(
) si salderebbero nel
motivo della quest: per raggiungere il fine della ricerca necessa15
437
Si alz allora
Calcante, figlio di Testore, di gran lunga il migliore
degli indovini,
il quale conosceva le cose che sono, le cose che
saranno, le cose che furono,
e aveva guidato le navi degli Achei fino a Ilio
gi llt ftic ch gli ll
(Iliade I, 68-72).
18
438
439
ttccittliuuuvltiiilullla guida divina e la centralit del tema della via: la Dea, infatti, a
ricordare come rimanga ancora solo la possibilit di un
; la
Dea ad annunciare i segnavia ( ) e quindi che il percorso
sar discorsivo. la Dea, insomma, che non solo anticipa al kouros litit ll vi ch t (
), ma prospetta pure la
prova (
) che il giovane discepolo deve sostenere. Come
opportunamente osservato da Coxon20, B8 introdotto da un resoconto delle evidenze lungo la via, sulla quale, nella narrazione,
il kouros deve ancora viaggiare: gli argomenti di B8 valgono
quindi come guida (filosofica), grazie a cui possibile mantenere
la direzione e percorrere fino in fondo la via genuina (
), in B2.4 connotata come
.
Come anticipato, Parmenide sembra articolare un doppio registro di vittllttiiffttiilttcita (vv. 3-6):
,
,
,
che senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.
:
,
440
icmiutl[]lcitchi
non , infatti, manchevole [di alcunch] (B8.32-33).
(compiuto).
Possiamo precisare leggermente questo schema e privilegiare
la discussione (
) di quattro
di base, riferibili, in
quanto segnavia, direttamente a
(ma, nella nostra
traduzione, predicati di
), cui poi possibile ricollegare gli
altri: (i) senza nascita e morte (
,
B8.5-21);
(ii) tutto omogeneo (
B8.22-25); (iii) immobile
21
22
441
B8.32-49).
Di recente McKirahan23 ha proposto un elenco pi minuzioso,
classificando con una pi articolata suddivisione in gruppi tutti i
predicati:
A:
(ingenerato)
mprtro)
24
B:
(intero)
(completo)
tutto insieme)
(che si tiene insieme)
C:
(n un tempo era)
(n sar)
( ora)
D:
(immobile)
(immutabile)
E:
(stabile)
F:
(unico25) (uno).
Nella nostra esposizione seguiremo lo schema di Mourelatos
che abbiamo precisato, integrandolo con le osservazioni
umiililllcicKih
Ingenerato (e imperituro)
Il vero e proprio attacco argomentativo del frammento formulato come interrogazione (vv. 6-7)26:
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?
...
23
442
imlicitiicutivimtlviluicivo: la Dea non si limiter a ragionare con il proprio (muto) ascoltatore, ma mimer un autentico confronto dialettico, attribuendogli le convinzioni teoriche (o di senso comune) che necessario
confutare per dimostrare la propria tesi.
<
,
.
>
27
attestata dai
codici, in <
>
.
443
gmt insieme agli interrogativi che lo introducono ha come soggetto sottinteso (nella nostra traduzione)
(v. 3):
per escluderne generazione (
; - quale nascita di
esso?) e derivazione (
; - come e donde cresciuto?), la Dea non concede:
(i) che esso possa nascere ( ) originando dal nulla (
) - da ci che non (
);
(ii) che esso origini (
i) ll ( <
>
).
Non rimanendo alternative, ella conclude il proprio ragionamento (a dimostrazione della tesi:
) appoggiandosi alla superiore garanzia di Dike (il nume tutelare dei limiti e delle prerogative a essi associate), la quale vincola ci che a essere
(e
).
tuttu llgmt iult ilmmtic, cm
segnalato dall'uso di
(v. 7) e
(v. 12): non vero questo,
uvutlt,vututltppresentano le uniche due possibilit concepibili in proposito 28 ,
appunto
(v. 7) e <
>
(v. 12 emendato).
Di questa struttura si trova conferma nello scritto Sul non-essere
di Gorgia (versione Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII,
71):
28
444
29
445
(
)
Accettando questa lezione, ritroveremmo Parmenide impegnato a elaborare una dimostrazione dialettica rigorosa31:
(i) gli interrogativi (retorici:
[...]
;)
ituclitictittilltichlutit
dimostrare (nella forma gorgiana:
), in questo modo
delineando la struttura dilemmatica di base: ci che ingenerato (
) - ci che generato (Gorgia:
);
(ii) tale ipotesi viene articolata in un nuovo dilemma: nascita e
crescita implicano cimtuigi o (a)
o
(b) <
>
(secondo lo schema citato da Simplicio);
(iii) dal momento che entrambe le possibilit sono razionalmtitiili,liti(citcciticich)si rivela infondata, e la sua contraddittoria, la tesi difesa da Parmenide, dimostrata: che ci che ingenerato (
).
Come abbiamo gi segnalato, anche il contesto appare implicitamente dialettico: viene (monologicamente) mimato il dibattito
tra un sostenitore (che pone gli interrogativi) e un oppositore (di
cui si anticipano le risposte possibili) della tesi di Parmenide.
Compito (retorico-persuasivo) della Dea rispetto al kouros (e al
pubblico di ascoltatori e lettori di Parmenide) di illustrare i passaggi della (virtuale) discussione, marcando il nesso tra forza di
31
446
convinzione (
), giudizio (
), necessit
(
).
Appare trasparente nella confutazione della prima possibilit:
32
447
;) e
richiama le condizioni (v. 15b:
),
che complessivamente ribadisce il rigore del procedimento seguito (v. 16b:
,
) e ne conferma i risultti c il i cmmt (lici i vv 1-18a:
) ci ricorda che il contesto narrativo entro cui
si inserisce il ragionamento comunque quello di una rivelazione.
Il fatto che alcune premesse rimangano implicite si giustifica
forse proprio con la forma apodittica della comunicazione divina:
come osserva Mansfeld 34 , i segni sono ricavati - immediatamente o mediatamente - dalla disgiunzione di B2, le cui premesse
sono garantite dal
della Dea. Questo potrebbe anche spiegalcltlli , il mezzo di comunicazione di
una potenza superiore: Parmenide sceglie di lasciare la parola
della Dea a fondamento di tutti i processi (e progressi) del pensiero in B835. Ellllcitlutmilicl,mlivit
registrare e ad aver cura di un
contrapposto a quanto comunemente assunto dai mortali: il suo ruolo pedagogicamente
cc l t cii il, icu i icii,
cos come le altre divinit evocate nel frammento (Dike, Ananke,
i) tc (gtl)
, ci che, secondo
lituiil,t di dominare di fronte al pensiero
senza eccezione36.
33
448
Nascita e crescita
Abbiamo sottolineato come la prima sezione argomentativa si
c t itgtivi, ch ff ll D ltuit i
dimostrare
; essi sono cos
formulati (vv. 6b-7a):
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?
,
;
Quale necessit lo avrebbe mai spinto,
originando dal nulla, a nascere pi tardi o prima?
<
>
millccficvii
che nasca qualcosa accanto a esso.
449
(da
, iniziare, cominciare, dare origine, da cui
, principio) e
(da
, generare, produrre, ma anche sorgere, nascere, da cui
, natura).
In questo senso le tre formule inquisitive (
,
,
) potrebbero essere assunte come equivalenti: la seconda e la terza, in particolare, come riferentesi alle
condizioni necessarie alla nascita: essa un processo (questo
ig il cm) ch ichi uigi ()37. Analogamente gli argomenti possono essere letti come momenti della
stessa progi gtiv ct liti i
di
:
le domande ne articolerebbero le implicazioni per consentire di
confutarne pi efficacemente le condizioni di possibilit.
37
450
...
.
iciill cch lifiitc
necessit che verso le stesse cose, da cui le cose che sono
hanno origine, avvenga anche la loro distruzione [ovvero
letteralmente: le cose dalle quali invero le cose che sono
hanno la loro origine, verso quelle stesse cose avviene la
loro distruzione secondo necessit]; esse, infatti, pagano le
une alle altre pena e riscatto della colpa, secondo
limt del tempo (Simplicio; DK 12 B1)
(sc
ch[ucttullifiit]t
invecchia (Hippolitus; DK 12 B2)
..
(
= )
immortale .... e indistruttibile ( Aristotele; DK 12 B3).
38
39
451
Il frammento B1 ci conservato nella testimonianza di Simplicio, il quale nel suo commento alla Fisica aristotelica si serve
del prezioso contributo di Teofrasto (uno degli ultimi a disporre
ilmtlllili)lluOpinioni dei fisici: la citazione, che appare sostanzialmente accurata 40, inserita
in una presentazione delle opinioni di Anassimandro che necessario non perdere di vista per intenderne correttamente le parole:
[A.] [...]
[B 1],
. [...]
dichialapeiron principio e elemento delle cose che
, tt im ut m i icii
Egli sostiene, infatti, che esso non sia n acqua n alcun
altro di quelli che sono detti elementi, ma che sia una certa
altra natura infinita, da cui originano tutti i cieli e i mondi
in essi: [ B1] , parlando di queste cose cos in termini
piuttosto poetici. evidente allora che, avendo
considerato la reciproca trasformazione dei quattro
elementi, non ritenne adeguato porre alcuno di essi come
sostrato, ma qualcosa di diverso, al di l di essi. Egli poi
non fa discendere la generazione dall'alterazione
lllmt, m ll i i cti, cu
del movimento eterno. [...] (Simplicio; DK 12 A9).
40
452
41
453
[B 2]
42
Secondo S.A. White ("Thales and the Stars", in Presocratic Philosphy cit., p.
4) l'espressione rifletterebbe le conquiste astronomiche di Talete. Sullo
stesso tema l'autore tornato pi diffusamente in "Milesian Measures: Time,
Space and Matter", in The Oxford Handbook of Presocratic Philosophy cit.,
pp. 89-133).
43
Op. cit., pp. 168 ss..
454
di ull ct tu llifiit (
)
Anassimandro avrebbe inoltre sostenuto che (i) eterna
(
) e (ii) non invecchia (
). Predicati analoghi a quelli
- senza morte (
, immortale) e senza distruzione
(
) - che Aristotele, riferendosi esplicitamente anche
ad Anassimandro, aveva a sua volta citato, nel discutere
come principio: non a caso marcandone il nesso con
ll
il divino (
).
Ora, possibile che Parmenide, nel complesso della sezione
B8.6-21, tenesse presenti proprio il modello se non addirittura lo
scritto di Anassimandro: le assonanze verbali (ovviamente per
quanto la filologia ha potuto ricostruire del testo del Milesio) appaiono esplicite, cos come l'esigenza di escludere che (i) da ci
che non (
) qualcosa possa essere cresciuto
(
) ovvero che qualcosa possa nascere ( ) originando dal nulla (
).
una evidenza che la Dea, nella propria confutazione, insista
sulla
, senza produrre, in effetti, una specifica argomentazione a support llicuttiilit (
): sebbene poi
sottolinei (vv. 14 e 21) di averlo fatto. Dobbiamo concludere 44 che
Parmenide giudicasse gli argomenti a sostegno di
sufficienti anche per
(ci lffmi
lliituttiilitllimlicitllcluillu
generabilit45); ovvero che non ritenesse necessario confutare la
corruzione in quanto processo analogo, ancorch opposto, al precedente; o ancora che la rubricasse tra le espressioni della via negativa. Significativamente, egli connota
(morte, distruzione) come
(oscura, oggetto di oblio) come aveva fat-
44
45
455
), a
causa del movimento eterno (
), e che
producono con il proprio conflitto il processo cosmogonico (ovvero, pi correttamente, la cosmo-gono-phthoria48);
(iii) cose (
) sottoposte alla vicissitudine di generazione e corruzione.
Il resoconto della Dea avrebbe dimostrato come, secondo ragione, ci-che-, oltre a implicare la stessa incorruttibilit abitualmente attribuita al divino e a quanto a esso immediatamente
connesso (i cieli), escludesse in ogni modo la possibilit stessa di
generazione, nel duplice senso di derivazione da qualcosa di
altro dall'essere o di produzione di altro essere.
46
456
se (
(
unico il sostrato (
), Aristotele si riferisce implicitamente agli Eleati in questi termini:
(
49
Secondo l'acuta lettura di Graham, Explaining the Cosmos, cit., pp. 48 ss..
457
icilcivitlutittelico secondo cui gi i primi filosofi accettarono la doxa che impossibile che qualcosa sia generato da ci che non , sviluppando
sistemi in coerenza con essa: la peculiarit della posizione eleatica (a Parmenide si accenna esplicitamente due righe sotto) risulttlltmiilltdoxa adottata dagli Ionici50. In pratica, Aristotele da un lato avalla una sorta di continuit
tra la posizione ionica e quella eleatica - nella condivisione del
iciilictivif,llltilvlctll
della deviazione eleatica dall'indagine peri physes nella radicalii lllici i ul icii, ch v cndotto alla negazione di ogni forma di divenire e dunque fuori
llmitllfilfilltu
Torneremo pi sotto sul modello cosmogonico e cosmologico
milesio e sullo schema interpretativo aristotelico. tuttavia opportuno anticipare come il complesso delle testimonianze (di matrice essenzialmente peripatetica) faccia in realt intravedere la
possibilit di una lettura diversa: dalla natura individuata come
origine (
) si sarebbero generate, per effetto in ultima analisi
del moto intrinseco, alcune realt elementari indipendenti (connesse ai contrari: Pseudo-Plutarco accenna a fuoco, aria e terra), da cui deriverebbe tutto il resto. Un modello pluralistico, che
50
458
ancora risentirebbe del politeismo teogonico esiodeo 51, e che avrebbe suscitato dunque almeno due ordini di problemi di "second'ordine" (metacosmologici) per la riflessione posteriore:
(i) perch una realt dovrebbe avere una precedenza, un primato (ontologico) sulle altre?
(ii) come possibile che una natura ne produca altre?
459
B6.1).
limgmtiittmtllutvl(
llutit) l
divino, per escludere, con le sue logiche
implicazioni (la formula
, con le sue sfumature di cogenza,
correttezza e opportunit), un percorso di ricerca che coinvolga la
via negativa, cio comporti concettualmente a qualunque titolo
il ricorso a ci che non .
A questa contestazione fa seguito un secondo, pi discusso,
argomento (vv. 9b-10):
,
;
Quale bisogno lo avrebbe mai spinto,
originando dal nulla, a nascere pi tardi o prima?
che abbia la propria ragione, cio la propria causa, in una situazione che possa produrlo (e quindi anche spiegarlo). La pi antica, esplicita formulazione del principio in Leucippo (dalle fonti
ellenistiche supposto discepolo di Zenone e dunque considerato
vicino alla concettualit eleatica):
52
53
461
lclililiiff(uiiliagiilmvimtiuiilllt)
in relazione i limiti clti mi lv lict l
tempo, nel senso di negare la possibilit che nel nulla si dia ragio f iff, i fii i uittic gi
ll,tummtllt
Appare tuttavia pi plausibile che il filosofo intendesse semplicemente marcare la mancanza di una ragione per cui, originando dal nulla, ci che si possa formare in un qualsiasi
momento: nella completa negativit del non-essere non pu tro-
462
varsi alcuna necessit che possa generarlo, nulla che possa fungere da ragione (causa) per la sua generazione 54.
Al termine del secondo argomento, al v.11, abbiamo un rilievo:
463
scludendo il variare nel tempo di ci che effettivamente diventa anche funzionale alla successiva discussione della sua omogeneit.
mai dallessere...
ccttlmiiKt,ivv1-13a risultano:
<
>
millccficvii
che nasca qualcosa accanto a esso.
In pratica, dopo aver eliminato la possibilit di una derivazione di ci che dal non-essere, la Dea si sbarazza rapidamente
anche della possibilit alternativa: che ci che si generi da altro essere.
In che senso, infatti, qualcosa ( ) potrebbe generarsi
(
)ll( <
>
)? Parmenide assume
che la nozione di
<
>
introduca implicitamente la ttiv i ulc i iv ll, ci ch
accanto [o oltre] a esso (
) possa prodursi altro.
plausibile che anche qui egli si confronti direttamente con la rifli ull
: nella misura in cui si riconosca l
come
ci che e si tenga fermo il principio di esclusione del nonessere, che cosa potrebbe generarsi accanto [oltre] a esso?
ticmmttlgillcmt
riconoscere che:
non
permetter che...): in questo caso la proibizione risulta pi astratta, vincolata a una considerazione razionale (
464
riconoscendo a
e ,
.
61
Altri, come Leszl esplicitamente, riferiscono
a
,e
colgono una (nuova) giustificazione del principio di ragione (ex
nihilo nihil fit): il non-essere, per la sua negativit, non pu essere
la causa di qualcosa. Conche 62 segnala, in questo caso, come risulti incomprensibile attribuire valore comparativo ad
(autre chose que lui-mm), dal momento che cos la Dea implichelitl-essere.
58
465
,
[ ]
Non si deve allora essere per nulla esitanti circa la
questione se i Pitagorici non assumano o assumano la
generazione: essi, infatti, affermano chiaramente che, una
vltctituitlu sia da superfici, sia da un piano, sia
da un seme, sia da cose che sono in difficolt a indicare
uit l t im llifiit fu ttit
delimitata dal limite (Aristotele, Metafisica XIV, 3 1091
a13-18).
63
466
Mondolfo64, in particolare, nel complesso della sezione B8.521 non coglie semplicemente la negazione del divenire come processo di generazione e corruzione, in antitesi ai modelli cosmogictgic,mlttccuccitmit,i
cui lo studioso ritiene si possano tracciare i contorni definiti: una
dottrina che affermava la molteplicit in connessione con la dictiuitchitucvlgill,ecisarne processo e necessit, e, soprattutto, suscitava il problema
lliii, ucttiil i cccimt i li l essere. Come risulta appunto dall'attestazione aristotelica, si sattttllcmlgiitgic,lvcilluale spiegherebbe convincentemente anche la sequenza di interrogativi ai vv. 6-7 e in genere la scelta dei
llt
di Parmenide.
Pur non escludendo le due possibilit - (i) che la versione dei
ciciiimliciiullctt(ii)chllluiiffttivmtlliicmic,chvlcitnche altre tracce antiche (in Senofane e Pindaro, secondo Mondolfo65) limi chi ltliitltissenzialmente su
e
chlvtulifimt
ttil i iiviu llit i u icui i
ampia, in cui per Parmenide era fondamentale attaccare le posizioni che in qualche misura ancora implicavano
e
.
ut ttiv, lmi ch im cclt l
connessa ricostruzione argomentativa (in cui
al v. 12 richiama
al v. 7) appaiono pi convincenti.
fticilultt 66 litti
di
, tuttavia pi complessa e meno plausibile: ammett ch li i u , ll lttu mi,
proprio in relazione alle nozioni di
,
e
, quasi
E. Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte
Prima, vol. II: Ionici e Pitagorici, a cura di R. Mondolfo, La Nuova Italia,
Firenze 1967, pp. 652-3.
65
Ivi, p. 653.
66
Su questo Conche, op. cit., pp. 143-4.
64
467
che alle concezioni dei pensatori milesi e pitagorici fosse connaturato il non-essere. Aristotele ancora prezioso:
468
itlilivlgtlfttchmicgli,
nel contesto dell i vvit c il mi, llit
del discorso che la Dea rivolge al proprio interlocutore, e in particolare di un passaggio argomentativo, di riconoscere a Dike e
poi a Ananke e Moira - un ruolo di garanzia: esso si presta a una
lettura simbolica, quasi che la citazione della figura (e della funzione) mitica fosse semplice metafora67. Cos intendono molti
interpreti, per i quali i tre numi tradizionali, proprio per il loro intrinseco riferimento al rispetto dei limiti, sottolineerebbero la iluttil lgg ll 68 i lt l, cm l
debba sempre essere identico a se stesso.
La questione , in realt, pi complessa, sia dal punto di vista
della costruzione del poema, sia da quello delle specifiche implicazioni:
(i)
elemento strutturale della narrazione: le
sono espressamente attribuite una collocazione liminare e, in relazione a essa, una (tradizionale) mansione di sorveglianza;
(ii) essa, tuttavia, sin dal proemio, ch t lli
persuasa llitvtlllii,iutiivimloprio compito di tutela del mondo infero e dei confini, consentendo
lccumtl
(iii) e
sono espressamente evocate dall'anonima diviitlliluicilviggi del poeta si compie
ttlimuli
,mttlgilliutizia.
Le figure del mito (Dike, Ananke, Moira), insieme allo schema del cammino (
) - ovvero pista (
) o via
(
), costituiscono la struttura portante nell'architettura
ll69, elementi di continuit nella sua articolazione, le sue
ciiitctliilctttcuilcifichtttazioni su ci che e sulla Doxa assumono il proprio senso e
statuto. Certamente le tre figure svolgono la propria mansione di
67
Ivi, p. 146.
Tarn, op. cit., p. 117.
69
Un aspetto, questo, registrato da Couloubaritsis nelle prime edizioni della sua
cctutllultimii,La pense de Parmnide, cit..
68
469
gi tc ci ch ( ), ovvero danno
limi,lllllD,ivit (problematicmt)ll llt 70, a dispetto della sua assolutezza.
In questa prospettiva, Dike, in particolare, assume nel poema
una posizione peculiare: essa protegge
da
e
avvolgendolo e trattenendolo in catene, in altri termini preservanilfttuiliittvlcluillcippositiva nascita-morte71. Se nel proemio il suo ruolo era stato, secondo costume, quello di consegna al portale discriminante del
mondo infero, di salvaguardia dei confini tra mondo della vita e
mondo della morte, nel nostro passo tale connotazione si modifica
nel senso che la garanzia passa per la discriminazione tra essere e
non-essere, con conseguente immobilizzazione e omogeneizzai ll t lt l i u m lt
Possiamo solo registrare alcune espressioni indicative:
n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene (B8.13-15a)
Necessit potente
nelle catene del laccio [lo] tiene (B8.30-31)
Moira [lo] ha costretto... (B8.37).
470
Giudizio ed essere
Dltt,chltutliiutiiiilmtlgica si mostra nei vv. 15b-18:
72
471
).
Sulla scorta di premesse individuabili negli esordi della sua
comunicazione (B2), e di cui era stato opportunamente segnalato
il iliv, l D u ii limticilit l -essere e
delle nozioni che in qualche misura lo implichino, come appunto
e
. Con una precisazione interessante: delineata
come alternativa tra formule contraddittorie,
, in
verit la krisis di B2 tale solo apparentemente, dal momento che
- la Dea deve riconoscere - la via
non genuina, via
liti,iutctuitullctiicluic
realt:
. da escludere, dunque, che la stessa divinit possa
in qualche misura servirsene, per esempio nella seconda sezione
del poema, come qualche interprete vorrebbe.
472
Essere e tempo
I versi che seguono (vv. 19-21) e concludono la prima sezione
argomentativa del frammento sono ancora di controversa interpretazione:
;
.
,
,
). Ci che
propriamente (
) sempre uguale a se stesso, come suggeiclu(utiv) di
; ci che diviene (
pu valere
genericamente come venire a essere), come tale, instabile, e
non- (non pi o non ancora).
Gi a livello verbale, dunque, Parmenide intende rilevare la
reciproca incompatibilit delle condizioni designate dai due verbi.
75
473
Se
venuto a essere, ora diverso da come fu; se verr a
essere in seguito, ora diverso da ci che sar 76: il mutamento che
implichiamo nelle espressioni temporali inconciliabile con la
tu ll (igt immtale). Interpretando, potremmo affermare, con Conche 77, che quel che vale per la temporalit degli enti della nostra esperienza irriflessa non vale per
licuilDtcciictil,l
che sempre uguale a se stesso.
In alternativa, in vece della polarit passato-presente ovvero
venire a essere-essere (
,
), possibile valorizzare l'implicazione tra venire a essere e non-essere: ogni
venire all'esistenza, in effetti, presuppone sempre - indipendentemente dalla prospettiva temporale (passato remoto o futuro prossimo:
o
) - una non-esistenza (
).
In ogni caso, appare a questo punto evidente il nesso
llgmtlucmlcivv-6:
,
,
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.
474
tccui,imcliiffll
rispetto al tempo, negare, in altre parole, la possibilit che il tempo cmtuiffl,chiaramente in termini pi lineari e immediati, sottolineando soprattuttluvlitittmlllut,l
sintetica connotazione melissiana di
- eterno, infinito,
.
Ci che la Dea sembra negare la possibilit di pensare coerentemente:
[in] un tempo [passato] era ovvero [in] un
tempo [a venire] sar. Accettando la nostra traduzione, espressioni verbali come era e sar sono rifiutate in quanto modifictllvvi
(un tempo, una volta). Il verso manifesterebbe allora il proprio senso nella contrapposizione tra tempi
475
),lllt
ora (
). Le due proposizioni coordinate sono a loro
volta subordinate da un nesso causale - poich (
) alla terza ( ora tutto insieme, uno, continuo): in altre parole il rilievo della completezza, omogeneit e integrit (
,
,
) di ci che a escludere qualsiasi forma di discontinuit e dunque di autentica discriminazione temporale.
Questa costruziiiflttchllgmtcmplessivo dei vv. 6-21: la Dea dapprima si concentra
ullvtulit ch ci ch i ivut (t cciut),
quindi (v. 19) considera interrogativamente che
possa esistere in futuro:
;
,
,
,
,
possiamo notare come la Dea insista a marcare l'incompatibilit tra esistenza passata e\o esistenza futura (che implicano
) e quella condizione presente ( ) chiimll79
e ne riflette il valore stativo80.
79
; o, come preferiamo,
esprime immediatamente
lvi,icui
contestuale inferenza.
80
R. Di Giuseppe, Le Voyage de Parmnide, cit., p. 94. Sulla questione lo
studioso italiano richiama i numerosi lavori di Kahn, ora riuniti in Ch.H.
Kahn, Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009.
476
,
,
), si avvertito in queste battute il delinearsi di un punto di vista arditlilltitcmtmlit, ttl tit ll l tm li, invece, le funzioni avverbiali (
,
), forse pi prudente limitarsi a segnalare come umllitiuttiv
temporale (che privilegia il presente) la Dea rifiuti di riconoscere, in relazione a
, la validit (sensatezza) del riferimento
llimiitmliltlfutuimi
che Parmenide insista sul presente per sottolineare l'identit
ll rafforzata dalla reiterazione di formule di persistenza
(e stabilit) gi ricordate:
n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene (vv. 13-15a)
Necessit potente
nelle catene del laccio [lo] tiene (vv. 30-31),
) segnala
nuvmtlccuiifllutcicitit
477
Omogeneo e continuo
I vv. 22-25 costituiscono un nuovo blocco a giustificazione dei
:
(intero),
(uniforme),
tutto insieme),
(continuo):
,
,
,
,
.
478
iiviiilit, liiuciilit ll gu ll u
omogeneit, alla sua densit, in ultima analisi al bando della via
non : nulla pu inframezzarsi a ci che . In poche battute
la Dea sottolinea coerentemente tale omogeneit con una serie di
ii (i) c luch ch imigli i
continuo; (ii) tutto pieno di ci che ; (iii) tutto continuo; (iv) ci che si stringe a ci che . Ora, chiaro che centrale risulta la (ii):
; una affermazione
che sembra ricavata direttamente dalla enunciazione della tesi di
fondo di B2 (
[
), esplicitata in
B6.1-2a:
479
Dliccimtllititllct(
480
llt iv h im iv t
(Le opere e i giorni 11-13).
Il segnavia
indicherebbe dunque un'identit di gen,itu,uuifmittlcluuliifmi
potenziale discriminazione llitlliut
sarebbe impiegato nel nostro frammento in antitesi alla dicotomia che il filosofo pone al fondo delle opinioni mortali
(
v. 51), costruite intorno a una coppia di forme
(
v. 53) distinte oppositivamente (
vv. 55b-56a).
Accettando la lettura di Mourelatos, risulta ancora pi evidente
il ruolo decisivo della
richiamata al v. 16:
.
ullcti,iftti,chlDumcliil
ui-gicit(mgliuifmit)icich,clu
differenziazioni, proporlo com u lcc cmtt ll
Concentrandosi su
ed escludendo
, possibile affermare (di
):
. Una piena applicazione della
formula della prima via di B2.3:
481
(2)
<
. (3)
>
,
,
,
482
.
,
[...]
Anassimene, anche lui milesio, figlio di Euristrato,
disse che il principio aria infinita, da cui si generano le
cose che nascono e le cose che sono nate e quelle che
nasceranno e gli dei e le cose divine, mentre le altre cose
derivano da quanto da essa prodotto. (2) Ltt
lliutultuttuifm,iult
invisibile; si mostra invece con il freddo e il caldo e
lumiit il mvimt i muv m l c ch
mutano, infatti, non muterebbero, se essa non si
muovesse. (3) Quando condensata e rarefatta, infatti,
appare in modo diverso: quando si dirada fino a essere
molto rarefatta, diventa fuoco; mentre i venti, a loro volta,
i ct lli i, cmi, i
formano le nuvole, e, crescendo ancora la condensazione,
lcu, , cc i i, l t, , cc l
massimo, le pietre. Cos gli elementi fondamentali della
generazione sono contrari, il caldo e il freddo (Ippolito;
DK 13 A7).
)
si differenzia nelle sostanze per rarefazione e condensazione
(
) quello che
prevale in Aristotele (e che possibile ritrovare esplicitato in
Diogene di Apollonia): la materia originaria ed eterna subisce alterazioni a causa del suo interno moto incessante, presentandosi
cos in varie forme fenomeniche. In questo schema le sostanze
della lista proposta 83 (fuoco, venti, nuvole, acqua, terra, pietre)
non sarebbero realt indipendenti, ma semplici stadi di passaggio
lciclitfmilluiciciimtilegutmt, i ut ttiv mitic, tutt l c i
ridurrebbero ad aria84.
Il secondo espressamente sottolineato da Simplicio in Anassimandro (citato in precedenza):
[...]
[...]
Egli poi non fa discendere la generazione
ll'lti lllmt, m ll i i
contrari, a causa del movimento eterno (DK 12 A9),
h hli i citilligiltft iut c
ritroveremmo una semplice parafrasi, con la proiezione della dottrina
peripatetica dei 4 elementi, ma forse il riferimento a un elenco
effettivamente anassimeneo. Su questo punto Kahn, Anaximander and the
Origins of Greek Science cit., pp. 149-150.
84
Secondo un paradigma riduttivo gi presente nel mito greco di Proteo, come
segnala Kahn, op. cit., p. 151.
83
484
485
lfucvivlmtlltlivivlmt
lfuc,lcuvivlmtlli,ltlmt
llcu(imiiDK)
,
), che potrebbero evocare la centralit della dimensione generativa decisiva nel secondo modello.
lic ilgic ttiuit chimt, nelle testimoi, i ticl im, cm ivl lu l
termine
per indicare il nucleo originario dei processi reattivi che conducono alla formazione di un mondo (una sorta di base seminale del mondo stesso), e la scelta di un verbo (da
) che evoca attivit di secrezione.
85
486
), unica e infinita (
), dalla quale, (ii) a causa di
movimento eterno (
), (iii) si produce il mutamento (
Immobile e identico
probabile che allo stesso contesto rinviino i versi successivi
(26-31), che sottolineano immobilit e immutabilit di ci che :
,
Inoltre, immobile nei vincoli di grandi catene,
senza inizio e senza fine, poich nascita e morte
sono state respinte ben lontano: convinzione genuina
[le] fece arretrare.
tic llitic cii u, i
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste: dal momento che
Necessit potente
487
u l tmi
non deve ingannare: ci che in
gioco in questo passaggio non tanto, nello specifico, il movimento, quanto il mutamento in generale, come suggerito da:
(i) accostamento tra
e altri due aggettivi senza inizio (
) e senza fine (
) esplicitamente giustificati dalla precedente esclusione di
e
;
(ii) insistenza su identit durevole, fissit di stato e persistenza
di
;
(iii) variazione nel registro espressivo, con la reiterazione di
immagini che suggeriscono certamente anche inabilit al moto,
ma, nel contesto, soprattutto impossibilit di sviluppo, di cambiamento della propria situazione.
ellidentica condizione
mm,miittclull
la possibilit di intrinseca motilit (connaturata invece, secondo le
testimonianze, alla
milesia) - don f lggttiv
del v. 4 - e dunque, rispetto allo schema esplicativo che
abbiamo riscontrato, di trasformazione (
): da un punto di
vista linguistico sono dominanti le espressioni che accentuano
saldezza (stabilmente dove persiste
), figurativamente
accompagnate dalla suggestione dei vincoli di grande catene
(
),limtll(
).
Come abbiamo segnalato in nota al testo, il passo ricco di
echi letterari e riflette su un nodo (mutamento) ben documentato
anche nella cultura filosofica arcaica:
488
A. Ma sempre gli dei furono presenti e mai vennero
meno:
queste cose sono sempre uguali e sempre per s stesse.
u i ic ch im v ll
degli dei.
A. Come possibile? Come primo non aveva da cosa
derivare n verso cosa procedere.
B. Nulla allora procedette per primo? A. Nemmeno per
secondo, per Zeus, ,
almeno delle cose di cui ora stiamo discorrrendo in
questo modo, ma esse furono sempre [...]. (Epicarmo; DK
23 B1)
[...]
[...]
489
Le citazioni di Senofane ed Epicarmo attestano, nella elaborazione contemporanea, la preoccupazione per il mutamento in associazione al tempo: tradizionalmente riferite al rapporto tra
lum il ivi (icm), cmlivmt ctaticiiccitimt,litilitostanziale
gliiumi,climmtititllltivi(uguali e sempre per s stesse
), connotata sia rispetto al tempo (sempre gli dei furono presenti e mai
vennero meno,
), sia
rispetto allo stato (ci che muta per natura, e mai nella stessa
condizione permane,
)86. Significativamente, nel suo breve frammento Sefmgiutificlimmilitivicuciazione di opportunit: n gli si addice [
] spostarsi ora in
un luogo ora in un altro.
La Dea di Parmenide, da parte sua, coniuga immobilit, immutabilit e identit sulla base di tre considerazioni:
(i) generazione e corruzione sono state allontanate dallo scenai ll c gmt ccluiv (cvii gui
[le] fece arretrare
):
dunque indiscutibilmente sottratto alla linearit della relazione inizio-fine a
causa della contraddizione che essa comporta;
nel senso che non diviene;
(ii) ingenerabilit, incorruttibilit, pienezza, omogeneit e contiuit (ttlit i vi cti) g lcct
ullititi
con se stesso: essa appare il nuovo baricentro del discorso divino. La Dea, tuttavia, non propone un argomento a sostegno, n esplicitamente si appoggia al precedente,
86
v,iticl,luitmigliutilli
(i f luivlte poetico
), nella
duplice valenza (locativa e di stato) che ritroviamo in Parmenide.
490
Non incompiuto...
chlgmttgllimmutiliticich
dipende dunque, in ultima analisi, dalla
dei vv. 15-16:
. Su quel giudizio, in effetti, poggia saldamente la
ch clu, llit ll ifli
ull,
e
. Tale immutabilit , a sua volta, utilizzata (vv. 32-33) come prova a favore della perfezione di
88
:
.
uticmiutl[]lcitchi
non , infatti, manchevole [di alcunch]; il non essere,
invece, mancherebbe di tutto.
491
(intero, uniforme),
tutto insieme),
(continuo, coeso) discende dal rigetto della via
, e rivela dunque un carattillllttivicl
,
c livit vlut icivmt l ut gli gomenti (B7.5) e a concentrarsi su
e sui suoi segnali (B8.12), comporta, infatti, la progressiva sottrazione di ogni negativit
ch t ttt llitgit ll, cm mift
nel v. 33, comunque lo si intenda:
(i) l u i iftt i lcu m (ich
deve essere per intero o non essere per nulla); il non-essere, invece, sarebbe totale assenza di realt;
(ii) traducendo diversamente, invece, avremmo:
l f i ulch miu ulch tt carente, porterebbe con s non-essere e ne sarebbe distrutto, come
gi marcato (o anticipato) al v. 11:
492
Essere e pensiero
appunto nella discussione di questo nodo che Parmenide inserisce (vv. 34-38a) quanto appare come un excursus, oggetto di
un articolato dibattito, filologico e interpretativo, cui abbiamo accennato in nota al testo:
.
,
o;udn
< >
,
La stessa cosa invero pensare e il pensiero che :
gicch l, i cui [il i]
espresso,
troverai il pensare. N, infatti, esiste n esister
ltltll,ichilhcttt
a essere intero e immobile.
89
493
,
,
Per esso [ci che ] tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.
,
90
494
.
,
495
quanto in realt essi nominano: sebbene non ne siano consapevoli, gi m ffm l llit (tctl)
lluttiilmiimtli 93.
Nel contesto, insomma, a dispetto di una lunga tradizione interpretativa, intenzione della Dea sarebbe non tanto aprire una pati icut ll'ittiilit lli um,
utilvlilluichlt(lliuigali)lmitlutill
la consistenza del mondo attestato empiricamente, ma non in
quanto di per s illusorio, risultato di un inganno dei sensi, piuttosto perch non inquadrato coerentemente, da un punto di vista logic,ll'uiticic,uufitIn quest'ottica, al linguaggio inadeguato dei mortali contrapposto il linguggillvitll94.
A chi si riferisce il termine
? Agli esseri umani in genere, evocando il tradizionale rilievo della loro debolezza cognitiva
(rispetto alla conoscenza divina) e dunque accentuando la natura
eccezionale dell'esperienza del poeta? Ovvero a un gruppo o a
gruppi di sapienti rivali? Osservando le scelte espressive di Parmenide (
,
,
), potremmo riconoscere sia
una generica allusione alle modalit ordinarie di lettura della realt(cmimtilug,mutmtulittiv), ilcc
a un linguaggio pi specifico (nascere e morire, essere e non essere): quello che sopra abbiamo individuato nelle testimonianze relative agli schemi cosmologici (e cosmogonici) milesi e nei
frammenti eraclitei.
A noi sembra, tuttavia, che questo passo - apparentemente una
pausa nella sequenza argomentativa del frammento faccia emg u tt culi llcci i rmenide, una
uv imi cultiv ti ch llt i
lmllliillimlicii(tlgich) di affermazioni relative alla
o all'
, denunciando le incongruenze delle lezioni cosmologiche (e cosmogoniche) circolanti,
93
94
496
Moira lo ha costretto...
Per la terza volta nel frammento, la Dea assicura il proprio ragimticuimmgimitic(ufmul epica): Moira ha costretto (
)
a essere intero e immobile (
) i f i tl ti
che nulla esiste o esister (
) lt ll
(
): ci, in primo luogo, comporta ancora (come
nel caso di Giustizia e Necessit) che la garanzia di Moira risulti
formalmente essenziale per affermare integrit, unicit e immutailit ll ( uu t cm i mi i
mtli i ific i v m l ll) la
superiore tutela di Moira impone, in secondo luogo, anche
lititii,lmmticuimc,unto, come non possa esistere
(altro oltre
ll)
In questo senso, rispetto a
e
, essa riveste una funziotctlichimimlicitmtlimmgiii
legami (
) e delle catene ( ) ed esplicitamente la fissilyulici,milu Le pluralisme de la vie intellectuelle avant Platon, in A. Laks et C. Louguet (ds),
Quest-ce que la Philosophie Prsocratique?..., cit., p. 44.
96
Graham, Explaining the Cosmos, cit., p. 166.
95
497
t (
-
) dei ceppi (
), con la figura di Moira la
D,ult,iicltilitll,llltiic
in quella invariabilit un carattere fondamentale della conoscenza.
Questa connessione tra saldezza di ci che e costanza del
che la coglie la stessa allusa in B4.1-2:
) di quanto (
[
) i mortali stabilirono (
), lasciandosi poi traviare
(
).
Compiuto e omogeneo
I versi (42-49) che concludono la sezione sulla Verit ne riasumltlgi,iitticlmtucmiut
omogeneit di ci che , attraverso un ampio ricorso a metafore
ili
,
.
Inoltre, dal momento che [vi ] un limite estremo, [ci
che ] compiuto
da tutte le parti, simile a massa di ben rotonda palla,
498
C un limite estremo
Anche in questo caso come in altri passaggi del poema apvitiliticftillimmgiiic
499
500
poich Moira lo ha costretto
a essere intero e immobile (vv. 37b-38a)
) e perfezione (
,
). Come
abbiamo in precedenza osservato, significativamente alle immagini di catene e vincoli sono associate figure di garanzia: Giustii,cit,iiulldi costrizione come destino
vv lgg ll97, ma nel contesto, in relazione al pronunciamento circa l'esistenza di un confine estremo (
97
501
uguale,
502
sere ( ), rispetto alla quale svaniscono tutti gli elementi di discriminazione spaziale (cos come erano stati neutralizzati tutti i
riferimenti temporali)100.
Nell'essere si riassumono omogeneamente tutte le cose: ci
che si stringe infatti a ci che (v. 25:
).
In considerazione dell'alternativa radicale -non , ci che
risulta compatto (v. 19:
), coeso (v. 25:
), compiuto (v. 27:
):
,
) sebbene ancora
formalmente giustificata, a questo punto, dall'insistenza (mitica
e\o metaforica) su vincoli e catene, e dalla sorveglianza dei relativi numi (Dike, Ananke, Moira) - interviene a completare il quadro ontologico, marcando in particolare l'integrit di ci che
come totalit (v. 4:
; v. 5:
), di cui non a
caso si enuncia: tutto inviolabile (
). La reiterazione di un avverbio connette inizio e fine del passo:
100
503
,
a se stesso, infatti, da ogni parte uguale,
uniformemente entro i [suoi] limiti rimane (v. 49).
La compiutezza (in ogni direzione) di ci che che sostenuta sulla base della sua "densit" ontologica:
n ci che esiste cos che ci sia - di ci che qui pi, l meno (vv. 47b-48a).
): affermare l'essere comporta escluderne (con il non-essere) ogni possibile deficienza e dunque equivale ad affermarne eguaglianza, uniformit, totale identit con se stesso, in altre parole la inviolabilit (
).
Simile a massa...
Estremamente controversa a livello interpretativo la similitudine introdotta dalla Dea all'inizio del nostro passo (ma in conclusione della sua comunicazione di Verit!):
,
Come abbiamo rilevato in nota al testo, tre punti sono criticamente determinanti:
(i) il soggetto (sottinteso) della similitudine
(con cui concorda
);
(ii)
(simile) si riferisce non a palla (
)
ma a massa ( );
504
(iii)
(di ugual consistenza) attributo del soggetto
sottinteso (ci che ) della affermazione iniziale, non di massa
di ben rotonda palla.
Se da escludere l'equazione tra ci che e corpo sferico,
difficile tuttavia proprio in forza dell'eco spaziale di questi versi
e dei successivi sottrarsi all'impressione che Parmenide stia parlando di qualcosa comunque esteso: il tutto indifferenziato e omogeneo di cui si parla potrebbe dunque coincidere con la realt
universale (
, come suggerisce Furley 101), colta "in quanto
essere", in altre parole intuita appunto come
(ci che ),
ovvero pi astrattamente come
(l'essere), con le relative conseguenze logiche.
La novit della sezione sulla Verit (che culmina nei versi in
esame) sarebbe, allora, non quella di volgersi a una realt diversa
da quella cosmica, ma quella di concentrarsi sul tutto ( ,
505
cenza di ci che in se stesso (dunque nel presente); analogamente sono superate tutte le distinzioni di luogo, nella sua compiuta, omogenea, coesa estensione. Insomma, del cosmo milesio
(e probabilmente pitagorico) sono evaporati i fattori cosmogonici
- i contrari, la natura-principio, le masse elementari - ed rimasto
, espressione che solo in questo senso designa qualcosa di
astratto, non immediatamente riconducibile ai sensi: un intero indiscriminato 102, in cui si riassume la realt dell'universo, la totalit
delle cose considerate appunto come essere 103.
Solo in coerenza con l'esigenza di permanenza, stabilit e identit incarnata da questa realt-verit sar possibile ripensare il
mondo della esperienza. Se vero che Parmenide non propone
nella Via della Verit una propria cosmologia, ne fissa certamente
le condizioni di possibilit, come la riflessione posteriore, da Empedocle agli atomisti, avrebbe mostrato.
La similitudine con la massa di ben rotonda palla introdotta per illustrare plasticamente un nodo decisivo della esposizione
della Dea:
103
506
Moira) e ai loro vincoli immobilizzanti, piuttosto attraverso il rifimtlcttultimlltmittcuiluniformemente nei limiti rimane (
)104. Il limite estremo: come in Esiodo si d, rispetto all'abisso spalancato (
,
) da ogni parte (
)105. La
imilituiiitullticmttulltiuifmullugulcit,lctlimtllf
Mourelatos ha osservato 106 come la sfera si prestasse, tra le varie
figure, all'estrazione di criteri di completezza, dal momento che
quella che ha estensione sempre identica con se stessa.
Che questi versi (i pi citati del poema nell'antichit) fossero
destinati a un forte impatto cosmologico, rivelato soprattutto
dalle riprese platoniche: come hanno puntualmente confermato le
ricerche di Palmer107, la rappresentazione della grandiosa creazione del cosmo fisico da parte del demiurgo, sulla scorta del modello del vivente intelligibile, nel Timeo platonico propone
uimit ccti i lluii ( l) menidee:
,
,
.
,
104
507
[...]
E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma
la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s
tutti i viventi non poteva essere che quella che
comprendesse in s tutte le figure possibili; per cui, lo
torn come una sfera, in una forma circolare in ogni parte
ugualmente distante dal centro alle estremit, che la pi
perfetta di tutte le figure e la pi simile a se stessa,
giudicando il simile assai pi bello del dissimile. E ne rese
perfettamente liscio l'intero contorno esterno per molte
ragioni. Infatti, non aveva affatto bisogno di occhi, perch
nulla era rimasto da vedere all'esterno, n di orecchie,
perch nulla era rimasto da sentire; n vi era bisogno di un
organo per ricevere in s il nutrimento o per eliminarlo in
seguito, dopo averlo assimilato. Nulla, del resto, poteva da
esso separarsi e nulla a esso aggiungersi da nessuna parte,
perch nulla vi era al di fuori [...] (Timeo 33b-c7)108.
108
508
plausibile che Proemio e prima parte complessivamente risultassero marcatamente pi brevi rispetto alla seconda, di cui per abbiamo conservati soltanto quaranta versi (dei 150 circa complessivamente superstiti: 32 del solo B1 e 61 di B8!): 1/10, secltimtiili,lliti,chvvcire i 2/3 del poema1. Su questo elemento strutturale avremo modo
di riflettere ancora pi avanti.
[vv. 50-61]
[vv. 50-52],
<
>
509
[vv. 50-59]
Concluso infatti il discorso intorno all'intelligibile,
Parmenide aggiunge [citazione vv. 50-61] (Simplicio,
Phys. 38, 28)
Passando dagli intelligibili ai sensibili, o dalla verit,
come lui si esprime, all'opinione, Parmenide, in quei versi
in cui afferma [citazione vv. 50-52], pone a sua volta i
principi elementari delle cose generate, secondo la prima
antitesi che egli chiama luce e tenebra o fuoco e terra o
denso e raro o identico e diverso, affermando, subito dopo
i versi in precedenza citati, [citazione vv. 50-59]
(Simplicio, Phys. 30, 13).
Pur ipotizzando la posteriorit della suddivisione e sottotitolazione (Verit e Opinione) delle sezioni, non rimangono dubbi circa la funzione di cerniera di questo passo. Il linguaggio peripatetico del commentatore riflette in effetti un'altra celebre testimonianza sulla Doxa parmenidea, proposta nel primo libro della Metafisica aristotelica:
[,
510
iilclttl,ilfttil-essere
(Metafisica I, 5 986 b 31- 987 a 2).
Verit e opinioni
Il testo del frammento , d'altra parte, a sua volta esplicito nel
rilevare la svolta nell'esposizione divina:
.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
im, li delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (vv. 50-52).
) potr
risultare fuorviante (
). Dall'altro, comunque la Dea a
tenere lezione (donde l'esortazione al kouros:
), e le stesse
scelte espressive richiamano puntualmente il programma educativo del prologo del poema.
La rivelazione della dea innominata comprevedeva tre momenti distinti (ma concettualmente correlati): (i) l'indiscutibile
Verit, (ii) le inaffidabili opinioni dei mortali, (iii) un adeguato
resoconto dei contenuti di quelle opinioni,
- le cose
accettate nelle opinioni, ovvero le cose che appaiono. Nostra
convinzione che le premesse di B2 consentano di individuare
espressamente in B8.1-49 la trattazione del primo punto, e complessivamente in B6, B7, B8 allusioni al secondo, non fatto oggetto di riscontro puntuale, ma solo genericamente di rilievi di fondo
511
,
,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla terra, e sul cielo e sul sole e sulla
luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro.
512
La seconda parte, in fondo, rientrava nei canoni della produzione cosmogonico-cosmologica milesia: non un caso che di essa siano state tramandate, probabilmente, apertura e conclusione.
.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
im, li delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (vv. 50-52).
Due dati risultano fuori discussione: (i) l'abbandono dell'esposizione della Verit; (ii) il passaggio alla considerazione di
punti di vista mortali (
), in altri termini di una
prospettiva diversa rispetto a quella divina. Nel contesto della
narrazione ci comporta da parte della Dea che si rivolge a un
essere umano adeguare il proprio registro espressivo: pur continuando la propria lezione, ella avverte circa il potenziale disturbo
(alla corretta intelligenza della realt) conseguenza dell'adozione
di un lessico adeguato a quei punti di vista.
Come im precedenza denunciato (B8.38b-42), il linguaggio
della pluralit e del divenire virtualmente foriero di contraddizione e il relativo correlato oggettivo, il mondo delle cose in mutmt,,lutivitll,Dlmmnto che nonostante le denunce di B6, B7 e dello stesso B8 la
513
. Che si tratti dell'ordine verbale ovvero dell'ordinamento cosmico, comunque implicito il rinvio a una molteplicit di elementi da sistemare: possibile che Parmenide giocasse
proprio sulla doppia valenza semantica di
, costrutto, disposizione, ma anche mondo, accentuando i rischi della costruzione verbale (che pu risultare ingannevole,
).
L'enunciazione divina comunque connotata positivamente: il
rilievo dei pronomi personali ( ,
, ) marca l'impegno e la
responsabilit della Dea, nei confronti del kouros, di fornire in
ogni modo una ricostruzione almeno relativamente plausibile del
quadro complesso dei fenomeni naturali.
L'adozione di un'ottica mortale implica la dimensione qualitativa dell'esperienza (in questo senso sembrerebbe scontato il ri514
chiamo a
), come rivelano in particolare le connotazioni delle due forme (
), e dunque l'adeguamento
della prospettiva della comunicazione divina: donde l'urgenza di
ridefinire i tradizionali strumenti (il modello oppositivo) di illustrazione dei fenomeni naturali, cos da evitare le contraddizioni
stigmatizzate nei frammenti precedenti. Complessivamente la
preoccupazione quella di fornire una spiegazione del mondo naturale (
) comunque superiore a quella della concorrenza.
Rispetto alla sezione sulla Verit, in cui era essenziale determinare, con lo sguardo dell'intelligenza, la compatta fisionomia
dell'essere (attraverso i segni di B8), l'urgenza avvertita nelle
parole della Dea quella di non abbandonare all'insignificanza il
mondo dell'esperienza.
Un ordinamento verosimile
Pu essere utile, per comprendere le movenze intellettuali di
Parmenide, richiamare il testo di B4:
.
Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
imii, iftti, ch l i c
ll,
n disperdendosi completamente in ogni direzione per
il cosmo,
n concentrandosi.
), a partire dalla conclusione dell'attuale B8, dopo aver illutt ullitit i cui tutt l c i ium v
analizzato le propriet, la Dea percorre in un certo senso la direzione opposta. Ella indica, infatti, come quella molteplicit che si
manifesta all'esperienza, in cui l'intelligenza riconosce l'identit
dell'essere, possa essere correttamente intesa nelle sue dinamiche,
senza pregiudizio per la realt annunciata dall'intelligenza.
Parmenide non annuncia una distinzione di piani di realt (anticipando Platone), ma rileva come all'unica realt si possa guardare nell'ottica immediata dell'esperienza, ovvero attraverso il
sondaggio dell'intelligenza, ricavandone due immagini sostanzialmente diverse: nel primo caso il quadro multiforme e plurale
di dati mutevoli, nel secondo la sua estrema rarefazione negli attributi di B8.1-49, in cui molteplicit, differenza, movimento ecc.
sono evaporati nella compattezza dell'essere. A partire dalle consuetudini empiriche (richiamate in B7.3 nell'espressione
, abitudine alle molte esperienze) si spinti a considerare reale una molteplicit di enti in divenire, che si rivelano in
contraddizione con gli esiti dell'esame cui l'intelligenza sottopone
ci che ( ).
Si tratterebbe, in fondo, di una diversa, pi coerente e radicale
modulazione del progetto di indagine ionico, almeno dando credito alla interpretazione peripatetica delle origini, con la riduzione
di tutti gli enti (
) all'unit di una sostanza soggiacente (
), a un tempo principio (
), elemento (
) e natura (
) delle cose (
):
,
,
516
Da un lato Parmenide riconosce nel fatto d'essere la dimensione omogeneizzante che raccoglie a identit gli enti, ricavandone
attraverso l'esclusione del non-essere le propriet. Dall'altro,
dopo aver denunciato le contraddizioni di fondo che minavano le
cosmologie contemporanee, offre nella Doxa una ricostruzione
che colloca quanto si manifesta nell'esperienza (
) in
un sistema esplicativo (
) adeguato (
) in esplicita coerenza con le indicazioni dei segni ( ) della via che
(
), come evidenzia ancora B9:
impiegando un lessico che indiscutibilmente quello della conoscenza e non dell'errore, come conferma B10:
517
Diagnosi di un errore
Dopo aver annunciato il passaggio dalla riflessione intorno a
Verit (
, B6.1)
ll'clt lli ll mi l ch u ig
(
: in ci sono andati fuori strada v. 54b) che viene imputato dalla Dea delineato
dapprima in termini formali, distinguendone due momenti per focalizzare esattamente la sua genesi:
(a)
condo. La nostra traduzione tiene conto delle diverse proposte interpretative (e filologiche), senza pretendere di fare chiarezza:
probabile, come suggerito da Mourelatos2, che il costrutto verbale
fosse intenzionalmente ambiguo, se non addirittura ironico, forse
concepito per un efficace attacco ad hominem. La diagnosi ruota
intorno al punto (b): la Dea, in altre parole, stando alla nostra ricostruzione del significato dei versi parmenidei, censura (senza
addebito esplicito) il mancato riconoscimento dell'unit nelle due
forme introdotte per dar conto dei fenomeni. Una lettura
nell'antichit gi proposta da Simplicio:
Per quanto ci dato ricostruire dallo scarso materiale conservato, nelle battute che segnano il passaggio alla Doxa la Dea si
intrattiene dapprima su un errore che evidentemente Parmenide
considerava strutturale almeno in certi resoconti cosmologici: ci
per assumerne un modello (pitagorico?), evitandone a un tempo le
implicazioni contraddittorie con l'insegnamento della Altheia. La
preoccupazione di rilevare con precisione ( , in ci...) la natura dell'erranza probabilmente indice dell'esigenza di procedere
comunque con lo schema dualistico, tenendo lontano lo spettro
del non-essere. Si spiegherebbe cos la cautela della Dea, la sua
segnalazione delle potenzialit fuorvianti del proprio discorso sulle opinioni mortali: non a caso, dello schema adottato, subito si
denuncia un impiego improprio, per poi (B9) marcare la corretta
impostazione ontologica:
[
520
Il riscontro tra il passo conclusivo di B8 e B9 che doveva seguire dappresso, secondo le indicazioni di Simplicio (contesto di
B9:
..., poco dopo aggiunge...) pu autorizzare la lettura di Thanassas, secondo il quale l'aggettivo
andrebbe riferito alle opinioni dei mortali criticate in
B8.54-9, in stretta relazione con la formula in questo si sono ingannati (
): essa esprimerebbe l
delle ingannevoli
, preparando la correzione della
appropriata (
) Doxa divina3.
In effetti la Dea cos passa a determinare il modello dualistico
introdotto al v. 53:
,
,
,
,
521
,
,
.
,
,
poi da quella [via] che mortali che nulla sanno
ivt,umiiuttimtvvi
loro
petti guida la mente errante. Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro.
Nel contesto delle citazioni (DK 28 B6), Simplicio indica l'errore contestato: i mortali che nulla sanno hanno trascurato la
(decisione, scelta) tra
, imponendo cos di
fatto l'identit (
) tra essere e non-essere. Diverso il discorso a proposito delle opinioni mortali criticate in
B8, ancora secondo Simplicio:
In questo caso, ci che viene censurato sostanzialmente l'errore opposto: il mancato rilievo dell'unit delle forme nell'essere. Si pu notare, allora, accostando l'attenzione descrittiva di
B8.55-59 alla dura requisitoria contro la confusione dei
di B6, come nella conclusione di B8 la Dea manifesti una diversa
indulgenza per quelle convinzioni, di cui sembra rilevare pregi e
difetti. Ella in pratica parrebbe, a un tempo, insistere sullo schema
oppositivo e prendere le distanze, per i criteri ontologici della Altheia, da una sua specifica applicazione. In questo senso, in parti522
colare, l'insistenza su una opposizione i cui membri risultano interamente separati e indipendenti:
[...]
[...]
[
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri [...]
[...] a se stesso in ogni direzione identico,
ittlllt,ivc, iticllltt,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte [...].
523
Un modello elementare
Abbiamo inizialmente utilizzato il contesto della citazione dei
versi conclusivi di B8 da parte di Simplicio per osservare come il
commentatore segnalasse il passaggio tra le due sezioni del poema. Ora dobbiamo riprendere quel contesto per determinare il
modello proposto nella Doxa:
[vv. 50-61]
[vv. 50-52],
<
>
[vv. 50-59]
Concluso infatti il discorso intorno all'intelligibile,
Parmenide aggiunge [citazione vv. 50-61] (Simplicio,
Phys. 38, 28)
Passando dagli intelligibili ai sensibili, o dalla verit,
come lui si esprime, all'opinione, Parmenide, in quei versi
in cui afferma [citazione vv. 50-52], pone a sua volta i
principi elementari delle cose generate, secondo la prima
antitesi che egli chiama luce e tenebra o fuoco e terra o
denso e raro o identico e diverso, affermando, subito dopo
i versi in precedenza citati, [citazione vv. 50-59]
(Simplicio, Phys. 30, 13).
524
, [...]
[
,
[
]
,
[
,
,
,
[
[
[
,
[ ]
,
,
[
[
,
]
]
,]
[ ]
sia un
) abbia ricavato
quella tavola degli opposti, la cui antichit sarebbe attestata solo
dal vago accostamento alle idee del contemporaneo di Parmenide
Alcmeone. Gli specialisti sono divisi: Schofield 5 ritiene che non
ci siano in realt elementi per stabilirne l'originalit pitagorica,
ipotizzando piuttosto una sua dipendenza dal modello parmenideo. Pi plausibile allora l'associazione con l'ambiente di Filolao
(seconda met del V secolo a.C.)6. Ma di recente Kahn7, pur rilevando nella doppia lista la possibilit di un'eco accademica, osserva come la modalit con cui opposti astratti e concreti, matematici ed estetico-morali sono combinati potrebbe rinviare effettivamente a uno schema arcaico.
imluiil ( cu llliit ifimt u
decisione:
526
pu suggerire l'ipotesi che l'Eleate abbia ricavato da contemporanee correnti pitagoriche lo schema cui sommariamente riferirsi8.
In alternativa, sfruttando il prezioso lavoro di Charles Kahn
sull'origine degli "elementi" nel mondo greco arcaico, si potrebbe
rintracciare in Parmenide l'eco di una tradizione che aveva fatto di
Gaia ( ) e Urano (
) i progenitori di tutti gli esseri, come si pu ancora cogliere in Esiodo:
Dobbiamo tuttavia ricordare, con Patricia Curd, che non si conosce alcuna
cosmogonia presocratica che cominci con Luce e Notte (The Legacy of
Parmenides,cit,11)
527
Testo greco e traduzione di G. Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi, Milano 1977, pp. 172-175.
10
Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Hackett, Indianapolis
1994, p. 152.
11
Secondo alcuni codici di Simplicio.
528
In ogni modo, come sappiamo, Parmenide intervenne a correggere quello schema cosmogonico su un punto essenziale: l'assoluta posizione della separazione delle due forme:
[...]
[...]
529
Complessivamente il recupero e la correzione vanno nella direzione della determinazione di due elementi-principi, qualitativamente connotati in funzione della spiegazione dei fenomeni, di
cui si rimarca che non sono frutto di una indebita confusione tra
essere e non-essere: in questo senso, come ha rilevato Nehamas 12,
essi danno ragione di molteplicit e cambiamento nel mondo sensibile mescolandosi in proporzioni differenti, senza che nessuno
dei due si trasformi nell'altro.
530
non-identit (
), ovvero nella mutua esclusione, appaiono foriere di potenziale contraddizione: donde l'esigenza di denunciare il rischio13.
La situazione appare paradossale, perch da un lato Parmenide, di fronte al compito di spiegare
, avrebbe recuperato il dualismo giudicandolo pi coerente con i criteri ontologici,
rispetto, per esempio, alla cosmologia ionica che cerca di dar ragione dei fenomeni facendo appello alle trasformazioni di un singolo principio di base14; dall'altro, per, avrebbe avvertito l'implicita debolezza del modello. Come abbiamo sopra sottolineato, il
lessico dei frammenti superstiti che lessico di conoscenza
(B10:
conoscerai,
apprenderai,
conoscerai) - segnala che in qualche modo tale debolezza era stata
aggirata.
La nostra lettura, tuttavia, non sembra aver superato il paradosso: perch introdurre due forme e poi insistere sulla loro unit? Aristotele, come abbiamo inizialmente avuto occasione di
ricordare, interpreta a suo modo:
[
,
13
531
Solo per dar ragione dei fenomeni, Parmenide avrebbe recuperato due principi (secondo i precedenti cosmologici) e solo analogicamente avrebbe accostato la loro opposizione a quella di essere
e non-essere15: Simplicio ne coglie il senso citando B9:
[...]
"
"
)e opinioni mortali (
): come gi
15
532
,
,
Per esso [ci che ] tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.
,
) con cui, in apertura di B8, si erano imposti la prospettiva della via che (
) e il riconoscimento della relativa sequenza di segni (su questa [via] sono segnali molto numerosi: che
, ), la
Dea ha modo di contrapporre, introducendo le opinioni mortali,
la decisione di nominare (
).
Il passaggio fa registrare dunque una significativa svolta
nell'atteggiamento
intellettuale
proposto
all'interno
llii ivi D u cii umente razionale della realt, che abbraccia con l'intelligenza il tutto come tale, omogeneizzandolo nell'essere e guadagnandone argomentativamente le propriet, nella seconda sezione l'attenzione si sposta
sul complesso dei fenomeni e quindi non pu prescindere dal dato
sensibile: questo non comporta comunque una forma di "empirismo", come confermano appunto i rilievi circa la rielaborazione
"umana" della Doxa attraverso lo schema degli opposti. La posizione introdotta non assimilabile a quella stigmatizzata in B7.35a:
533
16
hm,miigcliti,cit,
534
come alternativa alle cosmologie ioniche 17: una grande sintesi enciclopedica che avrebbe dovuto illustrare la superiorit della sua
analisi ontologica. L'orgoglio dell'impresa potrebbe ancora riflettersi nelle battute conclusive del frammento:
17
535
536
) per precisare come gli uomini abbiano solo la possibilit di procedere per evidenze sensibili e relative
inferenze.
Parmenide potrebbe aver reagito alle provocazioni di Senofane
indicando come in realt fosse possibile una conoscenza dimostrativa sicura di ci che , sforzandosi poi, negli ultimi versi
del nostro frammento, di rintracciare delle linee di stabilit che
consentissero di riordinare il campo fenomenico alla luce delle
indicazioni ontologiche, come rivelerebbero chiaramente i segni attribuiti alle due forme.
537
[ctaon
e all'attivit di
,
che abbiamo visto essere centrale nella costruzione della cosmologia parmenidea. In particolare, nelle prime battute di B9 troviamo un accenno al ruolo d'ordine delle due
:
538
c ui ulc i i ch imigli i
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno (B8.23-24a),
e soprattutto (iii):
2
539
,
N divisibile, poich tutto omogeneo (B8.22).
) declinato al duale (
), salvaguardando comunque l'esigenza di uniforme
densit e continuit veicolata in B8 da espressioni come
(B8.5),
B8.22), oltre che da
(B8.6) e
(B8.23) e ribadita in B9 dalla formula
e dalla precisazione incidentale
(propriet) riba540
Ibidem.
541
,
,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla terra, e sul cielo e sul sole e sulla
luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro,
[...]
542
La consistenza del mondo della nostra esperienza dipende dalla coerenza della sua costruzione linguistica: dopo (i) aver rifiutato le interpretazioni che pretendevano coniugare essere e nonessere (B6 e B7), (ii) aver individuato un modello (linguistico) di
base, imperniato sullo schema polare delle nozioni luce-notte
(B8.53-4), (iii) averne rilevato i limiti (B8.55-59), e (iv) bandito
esplicitamente l'implicazione del nulla (B9.4), Parmenide se ne
serve (v) distribuendone le rispettive propriet su tutte le cose.
In altre parole, egli procede a connotare, attraverso gli
delle due
e i relativi
-, i vari aspetti fenomenici:
la luce associata a caldo, leggero, raro; la notte a freddo, pesante, denso, come possiamo evincere da B8.56-9 e dallo scolio a B8
di Simplicio:
Quanto stato denominato conformemente a tale strategia assume lo spessore di un mondo comune, condiviso: non a caso,
dopo aver impiegato in premessa l'espressione
543
parmenidee non sono assimilabili agli elementi di Empedocle o degli atomisti: non si tratta di principi eterni e immutabili,
ma di forme nominate dai mortali, di cui la Dea si serve ad hoc,
per una adeguata spiegazione dell'universo delle opinioni mortali. Ci deve rendere cauti rispetto a una loro ontologizzazione:
nulla ne giustifica l'assolutizzazione al di fuori di questo mondo.
544
[
poco pi avanti [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos
[B12.1-3] [...]
545
[ctaon
.
Parmenide intorno alle cose sensibili afferma di aver
intenzione di dire [citazione B11] e descrive l'origine delle
cose che si generano e si corrompono, fino alle parti degli
animali.
Evidentemente la funzione dei due testi citati era prolettica rispetto alla vera e propria descrizione cosmogonica e cosmologica:
dal momento che Plutarco (Contro Colote 1114b, contesto di DK
28 B10) ci documenta l'articolazione della Doxa parmenidea, utilizzando ancora la sua testimonianza possiamo tracciare una loro
plausibile posizione:
,
,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla Terra, e sul Cielo e sul Sole e sulla
Luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro.
sottoli546
nea l'originalit dell'impresa scientifica. Ci ribadito in conclusione: ha composto uno scritto proprio non distruzione di un
altro (
,
);
(ii) poi che la scelta degli elementi (
) funzionale al
progetto scientifico: la ricognizione cosmologica (
) implica la ricostruzione comogonica; la struttura del cosmo la sua
produzione. Con la proposta di due principi il filosofo assicura la
spiegazione fenomenica (conclusione di B8 e B9): mescolando
come elementi la luce e la tenebra (
);
(iii) infine che il progetto scientifico doveva essere ambizioso,
dire molto (molte cose,
) sulla Terra, e sul Cielo e sul
Sole e sulla Luna: si tratta evidentemente del tema cui alludono
programmaticamente B10-11 e che B12 sviluppa. Doveva poi
procedere a delineare l'origine degli uomini (
): ne abbiamo tracce in B13 (e successivi).
Potremmo cos avere conferma della bont dell'attuale successione, ovvero supporre una sistemazione leggermente diversa. La
natura programmatica di B10 e B11, attestata dalla ricorrenza di
formule illocutorie (
,
,
) che ricorda la protasiinvocazione alle Muse della Teogonia esiodea1, unitamente alla
considerazione che B9 ne costituisce il fondamento (funzione dei
principi), potrebbe suggerire una posposizione dello stesso B9 2. A
ci osta sostanzialmente l'indicazione (comunque approssimativa)
di Simplicio, nel contesto di B9, circa la prossimit della citazione alla conclusione della precedente (B8.53-9).
D'altra parte chiaro come B10 costituisca una sorta di indirizzo della Dea a Parmenide, analogo a quello che chiude il proemio: ci troveremmo in questo senso in presenza di un "secondo"
1
2
547
) - e descrivono sommariamente il
programma scientifico (spiegazione cosmogonica e cosmologica)
che B12 contribuisce a realizzare. Con B10 e B11 siamo, insomma, ancora al prologo, al profilo preliminare; con B12 alla descrizione dei processi e della struttura del cosmo, che Atius e Cicerone (DK 28 A37) ci aiutano a ricostruire.
B9, in questo contesto, sembra effettivamente, pi che una tessera programmatica vera e propria, un rilievo delle conseguenze
immediate, sul piano cosmologico e cosmogonico, dell'opzione
per le due forme (B8.53-59), e quindi fungere solo in questo
senso da cerniera introduttiva. O'Brien 4, in alternativa, vi ha colto,
dopo l'annuncio degli argomenti principali (B11) e il passaggio
alle opere del Sole e della Luna (B10), una precisazione sulla
natura delle due forme, prima dell'introduzione della
che le governa (la sequenza sarebbe dunque: B11-B10-B9B12). La disposizione proposta da Diels-Kranz appare comunque
credibile e soprattutto compatibile con le indicazioni di Simplicio.
Conoscere la natura
La Dea dunque preannuncia (promette) al proprio discepolo un
grandioso disegno scientifico:
Per questo in passato Bicknell propose di integrare i versi di B10 nel prologo
del poema (P.J. Bicknell, Parmenides, fragment 10, Hermes 95, 1968, pp.
629.631).
4
tudes sur Parmnide, cit., I, p. 246-7 (in particolare nota 33).
548
) nell'etere;
(ii) e le opere invisibili (distruttive) (
) del Sole e
ci da cui (
) esse si generarono (
);
(iii) far apprendere (
) le opere (
) della Luna
e la [sua] natura (
);
(iv) far conoscere (
) il cielo (
) che tiene
tutto intorno (
) e da che cosa (
) scatur
( );
(v) far conoscere come Necessit (
) incaten
(
) il cielo a mantenere nei loro limiti (
) gli
astri.
Il contesto della citazione di B11 (nel commento di Simplicio
al De caelo) conferma questo disegno di Parmenide:
[ctaon
549
Conche5 ha osservato, a proposito di questi rilievi, come Simplicio evidenzi l'ampiezza e la verticalit dell'indagine parmenidea, evocando nelle scelte verbali (generazione-corruzione, parti
degli animali) i temi poi trattati da Aristotele, e la centralit dei
processi naturali nell'esplicazione dei fenomeni: il mondo opera
della natura.
D'altra parte non sfuggita agli studiosi l'eco di questo indirizzo cosmogonico di B10 in Empedocle (DK 31 B38):
550
che abbiamo per lo pi tradotto come natura - designa appunto ci che d origine (
, dare origine), la cui attivit generatrice si traduce in
.
Conoscere la natura significa allora riconoscere i processi di
formazione, il manifestarsi dell'origine (
,
) nei
segni ( ), nei fenomeni celesti; Parmenide evidentemente
non allude con
uimmtitit,u'essenza che con
la propria stabile determinatezza consenta di classificare i fenomeni 7 : in questo senso la formula donde ebbero origine
(
) riprende e rilancia la ricerca milesia
8
dell'
. Nell'indirizzo della Dea allora possibile intravedere
una doppia direzione di indagine: (i) quella che dai , dagli
, dai fenomeni astronomici risale alla natura che li esprime;
9
(ii) quella che dalla
discende ai relativi
.
Nella stessa direzione, precisando il disegno, B11:
.
[...] come Terra e Sole e Luna,
l'etere comune e la Via Lattea e l'Olimpo
estremo e degli astri l'ardente forza ebbero impulso
a generarsi.
In questo caso, di alcuni elementi essenziali del quadro cosmologico si prospetta la genesi marcandone lo spunto immanente: a
conferma del fatto che Parmenide non intende semplicemente descrivere un ordine cosmico, stabilire ruoli e posizioni relative, ma
produrre una cosmogonia. La combinazione di e
indicativa della sua nozione di
: essa in ogni fenomeno la
7
In questa direzione anche la lettura di Conche, op. cit., pp. 204-5. A noi pare,
tuttavia, che Parmenide intenda esporre anche la costituzione dell'etere o
della luna, analizzarne la composizione.
8
Su questo punto si veda Ruggiu, op. cit., pp. 333-5.
9
Ibidem.
551
potremmo concordare con Ruggiu 10 che le due forme originarie Luce e Notte si manifestano come
nella
di ogni cosa: esse, sotto questo profilo, costituirebbero l'unica natura delle cose.
10
11
Ibidem.
Sia nella forma, da noi accolta, dell'aoristo, sia in quella del perfetto medio
(
), proposta in alternativa.
552
Ma che lo sguardo del poeta nei versi superstiti - non sia rivolto tanto alla contemplazione di un ordine da cui ricavare o in
cui riscontrare armonie ed equilibri strutturali, ovvero modelli geometrici, quanto al compiaciuto rilevamento della fecondit,
dell'impeto (
) generativo che nell'universo manifesta la natura, emerge nei versi in cui la Dea riferendosi a Sole e Luna
insiste non sulla loro posizione relativa nel sistema o sulla loro
relazione reciproca (a Parmenide dobbiamo il riconoscimento della riflessione lunare della luce solare), ma sulle loro opere, rispettivamente invisibili (ovvero distruttive) e periodiche,
cio sul loro contributo ai processi cosmici.
553
[
poco pi avanti [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos [vv.
1-3].
Corone cosmiche
Il processo cui alludono i versi doveva fornire le coordinate
essenziali per la comprensione dell'universo parmenideo, relati554
[sc.
<
,
,
>
<
].
>
,
,
12
555
,
.
Parmenide [afferma che] ci sono corone, l'una intorno
all'altra in successione, una costituita dal raro, l'altra dal
denso; tra queste ve ne sono altre miste di luce e oscurit.
Ci che tutte le avvolge solido come un muro, sotto il
quale una corona ignea; solido anche ci che al
centro di tutto, intorno al quale , ancora, una corona
ignea 13 . Delle corone miste [di fuoco e oscurit], quella
pi centrale per tutte principio e causa di movimento e
generazione: [Parmenide] la indica anche come Divinit
che governa e Giustizia che tiene le chiavi14 e Necessit.
L'aria secrezione della Terra, evaporata a causa della sua
[della Terra] compressione pi intensa, e il Sole e la Via
Lattea sono esalazioni del fuoco; la Luna mescolanza di
entrambi, dell'aria e del fuoco. L'etere poi avvolge tutto
dall'esterno [dalla posizione superiore], e al di sotto di
esso disposto quell'elemento igneo che abbiamo
chiamato cielo; sotto di questo le regioni intorno alla Terra
(Atius; DK 28 A37).
,
sarebbe in realt interpolato: come sottolinea Franco Ferrari (nel suo recente
Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei presocratici, cit.,
pp. 88-9),
infatti una integrazione, e
un emendamento. Il
testo alternativo restaurato sarebbe:
< >
, e la circonferenza al centro di tutte [le corone] di nuovo
[una corona] ignea.
14
Il greco stabilito da Diels emendazione del testo dei
manoscritti:
, Giustizia che indirizza le sorti. Simplicio,
dopo aver citato B13, osserva in effetti:
, [Parmenide
sostiene che la dea] invia le anime talora dal visibile all'invisibile, talora in
senso opposto.
13
556
di denso (
), che presentavano quindi la purezza
degli elementi-principi. Tra questi (
) erano poi dislocate altre corone miste di luce e oscurit (
), con una evidente corrispondenza nei segni: