PAPIRI FILOSOFICI
MISCELLANEA DI STUDI
VI
FIRENZE
L E O S. O L S C H K I E D I T O R E
MMXI
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Il testo qui pubblicato è la rielaborazione di una parte della tesi di laurea spe-
cialistica discussa all’Università di Pisa (a.a. 2008/9; rell. E. Medda, R. Di Donato) e
successivamente discussa al seminario di Papirologia 2009/10 alla Scuola Normale Su-
periore: ai miei relatori, a M.S. Funghi e ai partecipanti al seminario va la mia gratitu-
dine. In questi anni numerosi spunti di riflessione mi sono stati offerti da coloro che
hanno letto questa o una precedente versione di questo lavoro: in primis G. Most, e G.
Arrighetti, A. Bernabé, L. Brisson, C. Calame, F. Ferrari, A. Laks, V. Piano.
2
A. B ERNABé , Generaciones de dioses y sucesion interrumpida. El mito hitita de
Kumarbi, la “Teogonìa” de Hesiodo y la del “Papiro de Derveni”, Aula Orientalis 7
(1989), 159-179; I D ., La théogonie orphique du papyrus de Derveni, Kernos 15 (2002),
91-129; I D ., The Derveni theogony: many questions and some answers, HSPh, 103
(2007), 99-133; I D ., Teogonías órficas in Orfeo y la tradición órfica. Un reencuentro
(A. Bernabé - F. Casadesús eds.) 2 voll., Madrid, Akal 2008, I 291-324; G. B EtEGH ,
The Derveni Papyrus. Cosmology, theology and interpretation, Cambridge, CUP 2004,
92-181; L. B RISSON , Les théogonies orphiques et le Papyrus de Derveni. Notes critiques,
Revue d’histoire des Religions 202 (1985), 389-420; W. B URKERt , Die neuen orphi -
schen Texte: Fragmente, Varianten, Sitz im Leben in Fragmentsammlungen philosophi -
scher Texte der Antike. Atti del seminario intern. di Ascona, Centro S. Franscini, 22-
27 settembre 1996 (W. Burkert et al. Hrsgg.) Göttingen,Vandenhoeck & Ruprecht
1998; W. B URKERt , Da Omero ai magi. La tradizione orientale nella cultura greca (a
cura di C. Antonetti), Venezia, Marsilio 1998, 78-86; I D ., La teogonia originale di Or-
feo secondo il Papiro di Derveni, in Orfeo e le sue metamorfosi (a cura di G. Guidorizzi
- M. Melotti), Roma, Carocci 2005, 46-64; M.L. W ESt , The orphic poems, Oxford,
OUP 1983, 68-115; disponibile anche in traduzione italiana I D ., I poemi orfici (a cura
di M. tortorelli Ghidini), Napoli, Loffredo 1993, 81-126; I D ., Los poemas órficos y la
tradición hesiódica, in Orfeo y la tradición órfica, cit., I 279-289; t H . K OUREMENOS ,
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Recentemente è ritornato sulla questione Walter Burkert, evocando la categoria
di enoteismo (piuttosto che quella di monoteismo) per definire la concezione teologica
soggiacente a tale mito: cfr. W. BURKERt, El dios solitario. Orfeo, fr. 12 Bernabé, en
contexto, in Orfeo y la tradición órfica, cit., I, 579-589, con altra bibliografia.
9
D’ora in poi, semplicemente ‘fr. 8’ e ‘fr. 12’.
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Cfr. col. XIII 7-9: «Osservando che gli uomini credono che la generazione ab-
bia sede nei genitali e che senza i genitali non si possa nascere, usò questo vocabolo,
paragonando il sole ad un fallo».
11
Sul mito hurrita-ittita de La sovranità in cielo, cfr. W. BURKERt, Oriental and
Greek mythology: the meeting of parallels, in Interpretations of Greek mythology (J.
Bremmer ed.), London, Routledge 1987, 10-40 con ulteriore bibliografia. Sulle relazioni
che intercorrono tra questa versione vicino-orientale e le teogonie di Esiodo e di Der-
veni, cfr. M.L. WESt Hesiod. Theogony, Oxford, Clarendon Press 1966: 211-213; BER-
NABé , Generaciones de dioses, cit.; B URKERt , Da Omero ai Magi, cit., 82; B EtEGH , The
Derveni Papyrus, cit., 119-120. Più in generale, sul problema dei rapporti che legano i
miti di successione orientali e quelli greci esiste una ricca bibliografia, di cui si può tro-
vare un ampio saggio in BURKERt, Oriental and Greek mythology, cit.
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Il dio Phanes (il Luminoso, lo Splendente) era una delle figure più importanti del
mito teogonico narrato nelle Rapsodie orfiche e nella Teogonia di Ieronimo ed Ellanico.
Caratteristica di tale divinità era appunto la pluralità onomastica: tra i suoi nomi si ri-
cordano Erikepaios (etimologia ignota), Eros e Metis. Cfr. WESt, Orphic poems, cit.,
68-115, BRISSON, Théogonies orphiques, cit., 392-393.
13
Cfr. WESt, Orphic poems, cit., 88-93; F. CASADESúS BORDOy, Metis, el nous, el
aire y Zeus en el papiro de Derveni, Faventia 18.1 (1996) 75-88; J.S. RUStEN, Phanes-
Eros in the Theogony of “Orpheus” in P. Derveni, in Atti del XVII Congresso Inter-
nazionale di Papirologia, Napoli, Centro internazionale per lo studio dei papiri er-
colanesi 1984, II, 333-335; ID., Interim notes on the papyrus from Derveni, HSPh 89
(1985), 121-140.
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2. Quale ‘Oriente’?
Il problema è interessante perché investe un tema più generale,
quello delle contaminazioni culturali tra Grecia e Oriente, della na-
tura di tali relazioni, della loro cronologia e pervasività. È interes-
sante notare come entrambi i modelli riconoscano nella teogonia di
Derveni i segnali di un contatto con differenti mitologie vicino-
orientali, collocando così l’origine delle cosmogonie orfiche in un
contesto socio-culturale composito e fluido, all’interno del quale
narrazioni mitiche e credenze religiose potevano muoversi e me-
scolarsi con relativa facilità. Ma l’accordo di massima intorno al-
l’esistenza di un’influenza orientale finisce per sgretolarsi quando
si tratta di scendere più nel dettaglio, individuando le circostanze
storiche che avrebbero favorito i contatti tra tali culture e, infine,
di fissarne i limiti cronologici. Basti pensare che per spiegare l’epi-
sodio centrale del mito di Derveni si è fatto ricorso alla compara-
zione non solo con la mitologia ittita, ma anche con quella egiziana
e perfino con quella iranica, senza che nessuno di tali confronti ri-
sultasse veramente definitivo.
Fatte tali premesse, si potrà comprendere come il problema del-
l’identificazione dell’aidoion non si riduca semplicemente all’oppo-
sizione secca tra due possibili ricostruzioni, ma sia dotato di mol-
teplici sfumature. Ad esempio, prima di negare o affermare la presenza
del dio Protogono nella teogonia di Derveni, sarebbe opportuno
intendersi sulle qualità e sugli attributi che ciascuna ricostruzione
assegna a tale divinità: secondo alcuni, infatti, si tratterebbe di una
creatura antropo-teriomorfa del tutto analoga a quella che compa-
rirà poi nelle Rapsodie; secondo altri, invece, i caratteri mostruosi
14
Cfr. BERNABé, Generaciones de dioses, cit., 169; ID., La théogonie orphique, cit.,
17-18; ID., Teogonías órficas, cit., 298-299; BURKERt, Da Omero ai Magi, cit., 81-83;
ID., La teogonia originale, in Orfeo e le sue metamorfosi, cit., 51-63; BEtEGH, The Der-
veni Papyrus, cit., 111-122 e 166-172. Al contrario, la ricostruzione di West è stata ac-
colta da L. BRISSON, Sky, sex and sun: the meanings of aidoios/aidoion in the Derveni
Papyrus, ZPE 143 (2003), 19-29.
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Ad esempio, Bernabé – che pure nega la presenza di Protogono nel mito di Der-
veni – non esclude che tale dio potesse comparire in un’altra versione teogonica orfica
molto antica, alla quale alluderebbe Aristofane nelle Nuvole, parlando della nascita di
Eros-Protogono, una creatura celeste ed alata balzata fuori dall’uovo cosmico. Secondo
lo studioso spagnolo, i caratteri mostruosi di Phanes, di origine orientale, sarebbero
un’acquisizione successiva, dal momento che non vi sono tracce di tale mostro, né scritte
né figurative, precedenti all’epoca ellenistica (BERNABé, Teogonías órficas, cit., 295-296).
Al contrario, West anticipa notevolmente l’influsso delle cosmogonie orientali su quelle
orfiche, facendolo rimontare addirittura al VI secolo, periodo durante il quale un’in-
novativa cosmogonia orientale si sarebbe sviluppata ed estesa dall’Egitto alla Fenicia,
all’Iran, all’India, fino alla Grecia, dove avrebbe influenzato non solo gli orfici, ma an-
che Ferecide di Siro (W ESt, Los poemas órficos, cit., 282). In tale contesto, West ritiene
perfettamente plausibile la presenza di una divinità mostruosa come Phanes sin dalle
prime fasi delle cosmogonie orfiche, cioè in quella che egli definisce Teogonia di Pro-
togono.
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La traduzione (a) rispecchia l’interpretazione offerta da WESt, Orphic poems, cit.;
RUStEN, Interim notes, cit.; A. LAKS - G.W. MOSt, A provisional translation of the
Derveni papyrus, in Studies on the Derveni Papyrus (A. Laks - G. W. Most eds., d’ora
in poi = L-M), Oxford, OUP 1997, 9-22; BRISSON, Sky, sex and the sun, cit.; la tradu-
zione (b) corrisponde all’interpretazione di M.J. EDWARDS, Notes on the Derveni com-
mentator, ZPE 86 (1991), 203-211, accolta da tsantsanoglou e Parássoglou in KPt, 133;
la traduzione (c) riprende la lettura di BURKERt, Da Omero ai Magi, cit., accolta da R.
JANKO, The Derveni Papyrus (Diagoras of Melos, «Apopyrgizontes logoi»?): a new trans-
lation, CPh 96 (2001), 1-32; e da M. tORtORELLI GHIDINI, Figli della terra e del cielo
stellato, Napoli, Loffredo 2006; BERNABé, La théogonie orphique, cit., 17-18. Infine, la
traduzione (4) rende in italiano quella di BEtEGH, The Derveni Papyrus, cit., 29.
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Hom. Il. IV 402-40; Il. XVIII 396-397; Hom. h. Ven. 1-2; Aesch. Su. 27-29.
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Hom. Il. XVIII 386-388: ἔν τ᾽ ἄρα οἱ ϕῦ χειρὶ ἔπος τ᾽ ἔϕατ’ ἔκ τ᾽ ὀνόμαζε· / τίπτε
Θέτι τανύπεπλε ἱκάνεις ἡμέτερον δῶ / αἰδοίη τε ϕίλη τε; Hom. h. Merc. 3-5: ἄγγελον
ἀθανάτων ἐριούνιον, ὃν τέκε Μαῖα / νύμϕη ἐϋπλόκαμος Διὸς ἐν ϕιλότητι μιγεῖσα /
αἰδοίη· μακάρων δὲ θεῶν ἠλεύαθ᾽ ὅμιλον.
19
Si tratta dei vv. 12-14 della ricostruzione di West, Poemi orfici, cit., 97-98: Ζεὺς
μὲν ἔπει[τ᾽ ἄφραστα θεᾶς] πάρα θέσφατ᾽ ἀκούσας / <ἀλκήν τ᾽ ἐν χείρεσσ᾽ ἐλαβεν, καὶ
δαίμονα κυδρόν> / αἰδοῖον κατέπινεν, ὅς αἰθέρα ἔκθορε πρῶτος. Al v. 12, al posto del
testo tradito (ἐπεὶ δὴ πατρὸς ἑοῦ) si noti l’inserzione di una congettura (ἔπει[τ᾽ ἄφραστα
θεᾶς]), motivata secondo West dalla considerazione che difficilmente Zeus potrebbe
aver ricevuto oracoli dal padre Crono, quando nella colonna XI si legge che sarebbe
stata Nyx a profetizzare.
20
Cfr. WESt, Poemi orfici, cit., 85: «Sono convinto che il testo usato dal commen-
tatore fosse sbagliato»; ivi, 100: «L’anomalia può derivare da una cattiva interpreta-
zione del commentatore, generalmente la meno affidabile delle guide».
21
CASADESúS, Metis, el nous, cit., 33.
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Mi domando quanto si sarebbe potuto scoprire sulla versione originale della teo-
gonia di Derveni, se davvero si fosse lavorato come sembra proporre West, evitando di
farsi guidare dalla spiegazione dell’autore di Derveni; oppure se la tradizione papira-
cea ci avesse restituito solo i disiecta membra di una manciata di esametri, privi del
contesto in cui essi risultano inseriti. Non solo non sapremmo che questi versi appar-
tenevano al corpus orfico, ma ci sfuggirebbe gran parte della già scarsa messe di detta-
gli in nostro possesso: ad esempio, il fatto che fu Nyx a dare vaticini a Zeus, che Crono
tolse il regno a Urano, o che Zeus desiderava unirsi sessualmente alla propria madre.
23
Cfr. BURKERt, Oriental and Greek mythology, cit., 38 n. 57; BEtEGH, The Der-
veni Papyrus, cit., 116. Nella ricostruzione di West, il termine δαίμονα κυδρόν risulta
complemento oggetto di κατέπινεν, all’interno di un periodo costituito da due propo-
sizioni coordinate unite dalla congiunzione καί. Al contrario, dall’esegesi del fr. 5 che
possiamo leggere nella colonna VIII si evince che il commentatore intendeva la frase
in modo ben diverso: la congiunzione καί, infatti, stabilisce una connessione tra ἀλκήν
e δαίμονα κυδρόν, che risultano entrambi complementi oggetti del verbo ἔλαβεν.
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La proposta di correzione è stata avanzata da Lamberton in L-M, 15.
25
Si vd. LSJ s.v. ἱκάνω, βαίνω, ἰθύνω, ἔρχομαι; KüHNER - GERtH, 300.
26
RUStEN, Interim notes, cit., 125, n. 9.
27
Cfr. LSJ, s.v. Si osservi, ad esempio, l’uso di εἰσθρῴσκω in Hom. Il. XII 462: ὃ
δ᾽ ἄρ᾽ ἔσθορε φαίδιμος ῞Εκτωρ; e in Aesch. Th. 454: πρὶν ἐμὸν ἐσθορεῖν δόμον.
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Alcuni interpreti (come West, Rusten, Brisson) ritengono che qui sia descritta la
nascita di Phanes-Protogono, intesa come un balzo dall’uovo primordiale verso l’etere.
Altri (come Betegh), convinti dell’assenza di Phanes da questa teogonia, ritengono che
si tratti piuttosto della nascita di Urano, identificabile con il dio ‘primo nato’, in ra-
gione del frammento citato alla colonna XIV 6: Οὐρανός Εὐφρονίδης, ὃς πρώτιστος
βασίλευσεν.
29
Passi (1) (2) (3) citati da BEtEGH, The Derveni Papyrus, cit., 115, n. 56; passi (4)
(5) (6) citati da RUStEN, Phanes-Eros, cit., 334.
30
G. DE BOEL, The homeric accusative of limit of motion revisited, in In the foot-
steps of Raphael Kühner. Proceedings of the international colloquium in commemora-
tion of the 150th anniversary of the publication of Raphael Kühner’s Ausführliche
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Grammatik der griechischen Sprache, II. teil: Synthaxe (A. Rijksbaron, H.A. Mulder,
G.C. Wakker eds.), Amsterdam, Brill 1986-1988, 53-65) ha realizzato un’analisi dei passi
indicati in letteratura come esempi di accusativo di moto a luogo e sostiene che si tratti
di un uso estremamente marginale nella lingua omerica, limitato a pochi verbi (εἷμι, ra-
dice di ἐλεύθ-, ἕρχομαι, νέομαι, ἄγω, ἀπάγω, συνάγω, ἡγέομαι, ἰθύνω, καλέω, πέρνημι)
e ad un numero relativamente ristretto di occorrenze.
31
Le difficoltà grammaticali e semantiche di tale costrutto spesso hanno costretto
gli interpreti a spiegazioni molto complesse, nelle quali l’insieme delle prove molto
spesso veniva a confondersi con il quod est demonstrandum. Si consideri per esempio
quella proposta da Brisson, Sky, sex and the sun, cit. 23: l’idea di interpretare il pre-
fisso ἐκ- come la spia della presenza nella teogonia di Derveni di un uovo primordiale
da cui Phanes (il primo dio) balzava fuori, gettandosi verso l’etere, è quanto meno au-
dace. In ciò che resta della teogonia di Derveni non vi sono tracce dell’uovo cosmico
e si dovrebbe essere molto cauti nel fondare l’interpretazione su passi linguisticamente
poco perspicui come il fr. 8.
32
Cfr. BURKERt, Da Omero ai Magi, cit., 81 sg. e, più diffusamente, ID., La teo-
gonia originale, cit., 54.
33
«θρῴσκων κνώδαλα (gettando fuori serpenti): gettare fuori, eiaculare, far nascere».
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Secondo un’altra versione di questo mito, Shu e tefnut non sarebbero nati per
eiaculazione, bensì per espettorazione. La fonte scritta più importante della cosmogo-
nia di Nun (o menfitana) è costituita dal monumento della teologia menfitica o «di Sa-
baco», fatto erigere dall’omonimo faraone intorno al 700 a.C., il quale reca un’epigrafe
contenente la trascrizione di questo antico mito egizio. Per un confronto tra la teogo-
nia di Derveni e la teologia di Menfi, cfr. BURKERt, Da Omero ai Magi, cit., 81-82.
35
Burkert, che scriveva prima dell’edizione ufficiale del papiro, leggeva un testo ri-
costruito diversamente: «ἐχθόρε τὸν λαμπρότατον καὶ λευκότατον». La differenza te-
stuale, tuttavia, non inficia la sostanza del ragionamento.
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W. BURKERt, El dios solitario, cit., I, 579-590.
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E DWARDS , Notes on the Derveni, cit., 207, n.14.; t SANtSANOGLOU per litt. in
L-M, 15; KPt, 133. Nella traduzione di LAKS-MOSt, in Studies, cit., 15 si segnalavano
in nota sia una proposta di traduzione di αἰθέρα comunicata da tsantsanoglou: ‘fuori
dall’etere’ (da estendere anche alla prima riga di colonna XIV: ‘fuori dal più luminoso
e dal più bianco’); sia la proposta di emendazione di Lamberton: αἰθέρος. I traduttori,
poi, propendevano per la traduzione ‘balzare nell’etere’. BEtEGH, The Derveni Papyrus,
cit., 154-156 respinge la proposta di Burkert (vd. supra) sulla base di argomenti legati
alla coerenza interna della teogonia, ed infine opta per l’interpretazione di Edwards
ritenendola linguisticamente meglio attestata. Burkert, dal canto suo, non menziona
neppure la proposta di Edwards. Forse non ha giovato alla fortuna di questa interpre-
tazione la brachilogia con cui Edwards l’ha sostenuta, tale da farla passare pressoché
inosservata negli studi successivi. Bernabé, che in in PEG II 1, 20 propende per l’in-
terpretazione di Burkert, ha recentemente riconsiderato questa lettura, notando come
essa faccia dell’etere non più il padre del Cielo (come nella lettura di Rusten), ma una
materia o un luogo da cui il Cielo sorge, come Phanes dall’uovo. Su questo argomento
era già intervenuto BEtEGH, The Derveni Papyrus, cit., 156, secondo il quale nelle fasi
teogoniche primordiali sarebbe praticamente impossibile distinguere precisamente lo
statuto di certe entità, che sono nello stesso tempo luoghi o regioni del mondo e crea-
ture divine. Benché questa traduzione sia stata adottata nella traduzione ufficiale del
papiro, tale scelta non è stata accompagnata dal necessario sostegno di una discussione
grammaticale e linguistica, il che deve aver ulteriormente contribuito a farla passare
praticamente sotto silenzio.
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«Balzata fuori dalla rete or ora la lepre / dal piede veloce, il cane l’inseguiva se-
guendo le impronte ancor calde.»
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Cfr. KüHNER - GERtH 293.
40
t. DE MAURO, Accusativo, transitivo, intransitivo, RAL 14 (1959), 233-258; ID.,
Frequenza e funzione dell’accusativo in greco, RAL 15 (1960), 209-230. Cfr. inoltre le
analisi di E. CRESPO, The semantic and syntactic functions of the accusative, in In the
footsteps, cit., 99-120; G. DE BOEL, The homeric accusative, cit., ibid., 53-65; A.C. MOOR-
HOUSE , The role of the accusative case, ibid., 209-218; J. Z IELSKA , The semantics of the
accusative case (based on the homeric poems), Acta Linguistica Hungarica, 12 (1962)
365-398. Cfr. DE MAURO, Accusativo, transitivo, cit., 244: «In tutte le lingue che pos-
seggono questo caso è comune e noto fenomeno quello della sostituzione dell’accusa-
tivo all’ablativo in costruzioni del tipo lat. fugio, eccedo, gr. φεύγω, sanscr. is. -, ted.
fliehen».
41
Passi (1) e (2) citati in DE MAURO, Frequenza, cit., 210; passo (3) citato in KüH-
NER - G ERtH , 300.
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4. Aporia conclusiva
Una prima conclusione appare a questo punto obbligata: il fr. 8
della teogonia di Derveni contiene la descrizione di una creatura
(cui il poeta può riferirsi usando il pronome maschile) che balza
fuori dall’etere spiccando un salto. L’ipotesi che vede in questo
frammento la rappresentazione di una nascita divina è resa plausi-
bile dai parallelismi presenti in altri testi teogonici, ma l’incertezza
intorno allo statuto e alla funzione cosmologica dell’etere in que-
sto particolare contesto rende pressoché impossibile risalire all’i-
dentità del dio nascituro sulla base della relazione genetica che par-
rebbe collegarlo all’etere. Il confronto con le Rapsodie orfiche sotto
questo aspetto sembrerebbe particolarmente perspicuo (Phanes-Pro-
togono, infatti, spunta da un uovo plasmato nell’etere44), ma non si
42
Moto a luogo: Hom. Il. V 290: βέλος δ’ ἴθυνεν Ἀθήνη ῥῖνα; Soph. Trach. 58:
θρῴσκει δόμους; moto entro luogo: Hom. Od. IX 261: ἄλλα κέλευθα ἤλθομεν; moto
su luogo: Eur. Bacch. 873: θρῴσκει πεδίον; moto lungo luogo: Hom. Od. IV 483:
Αἴγυπτόνδε ἰέναι δολιχὴν ὁδόν; fine del moto: Soph. OR 1005: τοῦτο ἀφικόμην, ὅπως...;
causa del moto: Plat. Prot. 310e: αὐτὰ ταῦτα καὶ νῦν ἥκω παρά.
43
Anche la prima frase della colonna XIV, considerata da Burkert una prova del-
l’uso transitivo di ἐκθρῴσκω, sembra significare tutt’altro se si tiene a mente il nesso
«ἐξελθόντα τὸ ἄστυ» che si legge in Hdt. V 104. Nulla, infatti, impedisce che «ἐκθόρῃ
τὸν λαμπρότατον τε [καὶ θε]ρμότατον» significasse «(che) balzi fuori dal più luminoso
e dal più caldo». In ogni caso, ricercare un spiegazione linguistica per il fr. 8 in questo
passo, decontestualizzato e gravemente lacunoso, risulta essere un evidente caso di ob-
scura per obscuriora.
44
Proprio per questa ragione, talvolta Protogono viene definito esplicitamente «fi-
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può neppure escludere che tra i due testi sia intervenuta una pro-
fonda trasformazione, e che nella teogonia di Derveni il verso si-
gnificasse tutt’altro. La traduzione di Edwards non risulta imme-
diatamente compatibile neppure con l’altra ricostruzione, quella che
vorrebbe individuare nel fr. 8 la presenza del dio del Cielo, per due
ragioni distinte: non si capisce innanzitutto per quale motivo il
poeta, o la tradizione poetica, avrebbe scelto di rappresentare la na-
scita di Ouranos come un balzo: sulla base dei confronti con le al-
tre teogonie, infatti, ci si aspetterebbe che fosse una divinità antro-
pomorfa (come Apollo o Ermes) o antropo-teriomorfa (come Phanes)
a ‘spiccare il salto’.45 La seconda e più importante: alla luce della
nuova traduzione del fr. 8 tutta la ricostruzione di Burkert e Ber-
nabé necessita di un ripensamento, dal momento che Ouranos non
potrà più comparire nella vicenda come creatore dell’etere. Ma chi
è allora il dio di cui si parla nel fr. 8? E cosa significa αἰδοῖον in
quel contesto?
A partire dagli scarsi elementi a nostra disposizione sembra dav-
vero impossibile giungere ad una decisione definitiva, sempre che
non si pretenda di divinare ope ingenii quali vie siano state percorse
dalle fantasie poetiche che crearono tali genealogie. In una situa-
zione come questa, il supporto dell’evidenza linguistica sarebbe
quanto mai desiderabile, ma questa strada è stata tentata più volte
e senza risultati soddisfacenti.
Un’analisi a tappeto sull’impiego del termine αἰδοῖος / αἰδοῖον
può al limite fornire qualche indizio, ma nessuna prova. In poesia
l’aggettivo è meno frequente di quanto ci si potrebbe aspettare: li-
mitandosi alle occorrenze del maschile singolare ricorrenti nella pro-
duzione arcaica e classica, se ne incontrano otto al nominativo, tre
al genitivo, una al dativo e sette all’accusativo: in tutti questi casi
il significato è quello basilare: ‘venerabile’.46 La situazione si ribalta
glio dell’etere»: cfr. e.g. PEG 125 F (= Lact. Div. Inst. I 5.4-6), citato da Betegh, The
Derveni Papyrus, cit., 156: πρωτόγονος φαέθων περιμήκεος Αἰθέρος υἱός.
45
L’immagine del Cielo che balza fuori dall’etere può apparire strana, almeno per
il nostro modo di comprendere questa poesia. D’altra parte, è evidente che non si tratta
di un argomento definitivo: anche la castrazione di una divinità cosmica, infatti, appare
strana alla nostra sensibilità di lettori moderni, ed è tuttavia solidamente attestata. Come
nota G. Arrighetti, in Esiodo. Opere, torino, Einaudi-Gallimard 1998, 33, sembra che
le entità primordiali potessero essere concepite insieme come fisiche e antropomorfe.
46
Nom.: Hom. Il. III 172; XI 649; Hom. Od. V 88; V 447; VIII 22; XIV 234; XVII
578; XIX 254; Archil. fr. 133, 1 W.; Pi. Isthm. II 37. Gen.: Hes. fr. 43a, 89 M.-W.; Pi.
Pyth. IV 29; Aesch. Su. 192. Dat.: Aesch. Su. 28. Acc.: Hom. Il. X 114; Hom. Od. XIX
191; Hes. Th. 44; Sol. fr. 13, 6 W.; Aesch. Su. 491, Ag. 600, Eum. 705.
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47
Cfr. Hom. Il. IV 402, X 239-240, XXI 74-75; Od. IX 271, XVII 577-578.
48
Lo studioso che ha fatto della nozione di gioco di parole la propria chiave di let-
tura del mito di Derveni è stato Brisson, in Sky, sex and the sun, cit. Secondo la sua
lettura, il piano del calembour starebbe tutto dalla parte del commentatore e non in-
crocerebbe mai quello della teogonia. Per Brisson, αἰδοῖος designerebbe Protogono
tanto nel fr. 8 quanto nel fr. 12, ma il commentatore – giocando sull’ambiguità – avrebbe
indicato con lo stesso termine anche il fallo amputato di Urano. Infine il commenta-
tore avrebbe interpretato allegoricamente il fallo di Urano, assimilandolo al sole. L’e-
segeta, dunque, giocherebbe su tre livelli, assimilando Protogono (presente nel mito e
inghiottito da Zeus) al fallo di Urano (anch’esso presente nel mito, ma estraneo all’in-
ghiottimento) e il sole (assente dal mito e organico alla sola esegesi, definita da Bris-
son come un ‘inno al sole’– ibid. 29). Molti interpreti hanno giudicato antieconomica
l’ipotesi di Brisson, basata su un’allegoria di triplo livello. Effettivamente, il suo argo-
mento principale, secondo il quale se davvero αἰδοῖον significasse ‘fallo’ nel frammento
8, allora non si avrebbe alcuna interpretazione allegorica, dato che già nel poema com-
parirebbe il fallo, non è persuasivo. Come notato da A. B ERNABé, Autour de l’inter-
prétation des colonnes XIII-XVI du Papyrus de Derveni, Rhizai 4 (2007), 77-104, l’al-
legoria consiste nell’interpretazione del sole come un fallo e non vi è nessuna necessità
di inserire un terzo elemento.
49
A mia conoscenza, l’unico ad aver suggerito questa ipotesi di lettura è stato
Calame (Figures of sexuality and initiatory transition in the Derveni theogony and its
commentary, in L-M, 65-80: 67): «Accordingly, what Zeus ingests is the Sun with its
generative power, or rather, if one follows the habitual meaning of αἰδοῖον as a
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substantive and in the singular, it is a penis, which incarnates this same procreative fac-
ulty par excellence. three arguments can support this second reading, which implies
that the poet was already playing upon the double sense of the adjective αἰδοῖος».
50
La bibliografia su questo tema è molto ampia e articolata. Basti qui ricordare al-
cuni riferimenti fondamentali: F. BUFFIÈRE, Les mythes d’Homère et la pensée grecque,
Paris, Les Belles Lettres 1956; J. PéPIN, Mythe et allégorie. Les origines grecques et les
contestations judéo-chrétiennes, Paris, Aubier 1958; ID., La Tradition de l’allégorie de
Philon d’Alexandrie à Dante, Paris, études augustiniennes 1987; R. LAMBERtON, Ho-
mer the theologian. Neoplatonist allegorical reading and the growth of the epic tradi-
tion, Berkeley-London, Univ. of California Press 1986; G. ARRIGHEttI, Poeti, eruditi
e biografi. Momenti della riflessione dei Greci sulla letteratura, Pisa, Giardini 1987,
13-36; Homer’s ancient readers. The hermeneutics of Greek epic’s earliest exegetes (R.
Lamberton - J. Keany eds.), Princeton, Princeton Univ. Press 1992; P. StRUCK, Birth
of the symbol. Ancient readers at the limits of their texts, Princeton, Princeton Univ.
Press 2004.
51
In questa direzione si muoveva già l’analisi di Edwards, Notes on the Derveni,
cit., 206, il quale sottolineava come l’esegesi del commentatore fosse guidata da una
logica ben precisa, e come la sua interpretazione del brano in chiave sessuale fosse det-
tata dal riconoscimento di «an association latent in the idiom of such poetry», ossia di
un legame fono-semantico che connetteva gli αἰδοῖα all’aggettivo αἰδοῖος. tale legame
sarebbe stato già presente – almeno in potenza – nel poema stesso: il commentatore
non avrebbe fatto altro che portarlo alla luce, rendendolo palese mediante la creazione
di una simbologia fallica. Certo, non è del tutto chiaro che cosa intendesse Edwards
quando parlava di «associazione latente»: da una parte, lo studioso non sembra voler
attribuire al poeta di Derveni l’intenzione vera a propria di creare un gioco di parole;
dall’altro cita svariati esempi (tratti da Esiodo e da opere orfiche successive) nei quali –
a sua opinione – il termine αἰδοῖος sarebbe coinvolto in dinamiche letterarie molto
vicine al calembour.
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Su questo cfr. R. MARtíN, Rhapsodizing Orpheus, Kernos 14 (2001), 23-33; M.
HERRERO, tradición órfica y tradición homérica, in Orfeo y la tradición órfica, cit., I,
247-278.
53
Lo dimostrano, per esempio, le differenti versioni del cosiddetto Inno a Zeus. Su
questo argomento è tornato di recente C. CALAME, El discurso órfico, cit., 848- 849: «el
creador de estos versos hexamétricos pone de algún modo los diferentes rasgos de la
dicción homérica al servicio del principio que funda la teología órfica. [...] Si desde el
punto de vista de la dicción formular fundada esencialmente en parejas de nombre más
epíteto que corresponden a un colon metrico, el poeta órfico parece servirse en gran
medida de la tradición que nos es conocida por los poemas épicos atribuidos a Ho-
mero, la tradición hexamétrica teogónica conocida por los poemas de Hesíodo y la tra-
dición hímnica de los proemios homéricos están lejos de serle ajenas.»
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54
Basti pensare a PEG 4 F: οἱ Διὸς ἐξεγ̣έ̣νοντο κτλ., in cui si osserva una variatio
significativa rispetto alla formula esiodea (Th. 106): οἱ Γῆς τ᾽ ἐξεγένοντο.
55
Per rimanere nell’ambito semantico di αἰδοῖος / αἰδώς / αἰδέομαι, si possono ci-
tare alcuni esempi che probabilmente appartengono più al primo che al secondo gruppo:
Il. IV 401-402: ῝Ως ϕάτο, τὸν δ᾽ οὔ τι προσέϕη κρατερὸς Διομήδης / αἰδεσθεὶς βασιλῆος
ἐνιπὴν αἰδοίοιο; Il. X 237-238: μηδὲ σύ γ᾽ αἰδόμενος σῇσι ϕρεσὶ τὸν μὲν ἀρείω /
καλλείπειν, σὺ δὲ χείρον᾽ ὀπάσσεαι αἰδοῖ εἴκων; Od. XVII 577-578: ἤ τινά που δείσας
ἐξαίσιον ἦε καὶ ἄλλως / αἰδεῖται κατὰ δῶμα; κακὸς δ᾽ αἰδοῖος ἀλήτης.
56
Hom. Od. IX 407-409; Il. IV 563-567. Differentemente da Esiodo, i poemi ome-
rici non etimologizzano i nomi propri delle divinità, ma si limitano ai nomi degli eroi,
dei luoghi e – talvolta – ai nomi comuni di cosa. Per altri esempi, cfr. ARRIGHEttI,
Poeti, eruditi, cit., 18-19.
57
In ARRIGHEttI, Poeti, eruditi, cit., si potrà trovare – oltre ad un trattamento estre-
mamente interessante del soggetto – una ricca bibliografia su questo tema. Bastino dun-
que alcuni riferimenti classici: E. RISCH, Namensdeutungen und Worterklärungen bei
den ältesten griechischen Dichtern, in Eumusia. Festgabe für E. Howald, Zürich, Rentsch
1947, 72-91; R. LAZZERONI, Lingua degli dei e lingua degli uomini, ASNP 26 (1957),
1-25; R. PFEIFFER, History of the classical scholarship from the beginning to the end of
the Hellenistic age, Oxford, Clarendon Press 1968: 3 sgg.; D. GAMBARARA, Alle fonti
della filosofia del linguaggio, Roma, Bulzoni 1984, 121-122.
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58
Cfr. Hes.Theog. 526 (vd. M.A. JOyAL, Hesiod’s Heracles: «Theogony» 526, 950,
Glotta 69 (1991), 184-186); Hes. Erga 81-83 (cfr. P.S. MAZUR, Παρονομασία in Hesiod,
Works and days 80-85, CPh 99, 2004, 243-246, P. PUCCI, Hesiod and the language of
poetry, London, the John Hopkins Univ. Press 1977: 98); Hes. Theog. 207-210 (cfr.
ARRIGHEttI, Poeti, eruditi, cit., 27); Hes. Erga 48-54, Theog. 256 e 989.
59
Cfr. EDWARDS, Notes on the Derveni, cit.; A. BERNABé, Una forma embrionaria
de réflexión sobre el lenguaje: la etimología de nombres divinos en los órficos, Revista
española de lingüística 22 (1992), 25-54: 41.
60
Cfr. WESt, Theogony, cit., ad loc.
61
Cfr. e.g. Hom. h. Pros. (XXVII) 1-2, h. Min. 1-3.
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Heraclit. fr. 15 D-K: εἰ μὴ γὰρ Διονύσωι πομπὴν ἐποιoῦντο καὶ ὕμνεον ἆισμα
αἰδοίοισιν, ἀναιδέστατα εἴργαστ’ ἄν· ὡυτὸς δὲ ’Αίδης καὶ Διόνυσος, ὅτεωι μαίνονται
καὶ ληναΐζουσιν. «Se non fosse Dioniso il dio a cui fanno la processione e cantano
l’inno in onore delle parti di cui l’uomo ha vergogna, quello che essi fanno sarebbe
contro ogni pudore: il medesimo sono Ade e Dioniso, per il quale impazzano ed infu-
riano». trad. di C. Diano, in Eraclito. I frammenti e le testimonianze (a c. di C. Diano
e G. Serra), Milano, Fond. L. Valla-A. Mondadori 1980, 55.
63
Oltre ai già citati saggi di Edwards (Notes on the Derveni, passim) e di Bernabé
(Una forma embrionaria..., passim), si vedano W. BURKERt, La genèse des choses et de
mots. Le papyrus de Derveni entre Anaxagore et Cratyle, EPh 25 (1970), 443-455; D.
GAMBARARA, Reflexion religieuse et reflexion linguistique aux origines de la philosophie
du langage, in Matériaux pour une histoire des théories linguistiques (S. Auroux et al.
édd.), Lille, Université de Lille 1984, 105-114; e, più di recente, A.-F. MORAND, Étu-
des sur les Hymnes orphiques, Leiden, Brill 2001; A. BERNABé, Etimología, juegos fó-
nicos y gráficos en los textos órficos, in Orfeo y la tradición órfica, cit., I, 867-896.
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E non solamente il livello poetico, come invece sembra sottintendere Bernabé nel
suo recente intervento: Etimología, juegos fónicos, cit. Cfr. P.Derv. XV 7-8, XIX 10
(PEG 14, 3).
65
Cfr. in particolare P.Derv. XVIII.
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smo: Alalu scendeva verso la terra nera, mentre Anu – in virtù della
sua natura uranica – saliva verso il cielo.66
Muovendosi all’interno di una prospettiva comparativa, risulta na-
turale fare corrispondere ad Anu il dio greco Ouranos, secondo un’in-
terpretazione che doveva essere presente già agli antichi, se è vero
che, in un testo ittita di Ras Shamra, Kumarbi veniva identificato con
il dio fenicio El, a sua volta assimilato dai Greci a Kronos. Sembre-
rebbe dunque di poter ricostruire una vera e propria catena di iden-
tificazioni, composta da Anu-Ouranos (il dio celeste), Kumarbi-Kro-
nos (il dio che si appropria violentemente del potere, ma che a sua
volta è destinato a cederlo), tesub-Zeus (il signore ultimo e defini-
tivo del cosmo). tanto nella cosmogonia ittita, quanto nelle teogo-
nie esiodea e dervenia, l’atto dell’evirazione scatena una fase di transi-
zione violenta del potere, che sarà superata solo grazie all’intervento
risolutore dell’ultimo dio, il terzo nell’ordine generazionale.
Ma vi è un elemento che rende gravemente imperfetta la so-
vrapposizione fra le tre cosmogonie: mentre nel mito ittita e in
Esiodo è Kumarbi-Kronos il responsabile dell’evirazione, nella teo-
gonia di Derveni l’episodio sembra come sdoppiato: a Kronos toc-
cherebbe l’evirazione, mentre il ruolo di ricomposizione universale
collegato all’inghiottimento spetterebbe a Zeus. Stando così le cose,
come dobbiamo immaginare le sorti del fallo divino nell’intervallo
di tempo che separava evirazione ed inghiottimento? tenendo conto
del ruolo giocato dall’aidoion nelle fasi successive della cosmogo-
nia, sembra assai improbabile che mancasse un resoconto della fase
intermedia, tanto più se si pensa che già nella teogonia esiodea i ge-
nitali recisi di Ouranos si trovavano al centro di un’importante vi-
cenda di fecondazione e nascita.67
Allo stato attuale degli studi, la ricostruzione mitologica basata
sulla comparazione con il mito ittita di Kumarbi non ha fornito una
spiegazione soddisfacente della funzione cosmogonica giocata dalla
seconda generazione divina – quella di Kronos – e degli eventi con-
seguenti all’evirazione del dio del cielo.
66
Il carattere celeste di Anu pare ulteriormente confermato dall’onomastica, visto
che il suo nome costituisce l’adattamento in accadico del termine sumero ‘An’ (‘cielo’).
Per ulteriori dettagli, cfr. BERNABé, Generaciones de dioses, cit., 161-163.
67
Il resoconto esiodeo narra con grande profusione di dettagli tale vicenda (Theog.
190-206): dapprima alcune gocce di sangue stillarono dai genitali tagliati di Ouranos,
vennero raccolte da Gaia e generarono le Erinni, i Giganti e le Ninfe Melie; successi-
vamente Kronos li gettò alle proprie spalle, in una traiettoria che andava dalla terra al
mare, laddove essi liberarono il seme che generò Afrodite.
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Lo stesso si potrebbe ripetere riguardo all’episodio di un dio cosmico che in-
ghiotte il sole: basti pensare a quanto si raccontava nella cosmogonia egizia di Menfi
(cfr. supra, n. 34), secondo la quale la dèa Nout – di frequente rappresentata come una
donna flessuosamente piegata in forma di arco a formare la volta celeste sopra al corpo
maschile di Geb, dio della terra – ogni notte inghiottiva il sole e lo teneva nel suo ven-
tre fino al mattino, quando il disco solare tornava ad illuminare gli uomini. Natural-
mente, l’inghiottimento del sole assumeva un significato del tutto diverso nel mito egi-
zio – dove spiegava l’avvicendarsi regolare di giorno e notte nella scansione perpetua
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del tempo – mentre nella teogonia di Derveni esso costituirebbe un evento unico e ir-
ripetibile, corrispondente alla fissazione di un nuovo ordine cosmico. E in ogni caso,
mancando le prove di un concreto contatto storico tra queste due tradizioni, il con-
fronto possiede semplicemente un valore exempli gratia.
69
Già nel 1997, Calame (in Figures of sexuality, cit.) leggeva il mitema dell’in-
ghiottimento del fallo in chiave di simbologia solare. Pur restando incerto tra due pos-
sibili varianti (inghiottimento del fallo di Helios, oppure inghiottimento del sole stesso),
il significato complessivo del mito risultava il medesimo: la seconda creazione del co-
smo si realizzava in seguito all’assimilazione del principio solare da parte del dio su-
premo. Sotto la spinta di ricostruzioni sempre più articolate, l’ipotesi è poi stata la-
sciata cadere, ma si ha l’impressione che quel contributo di Calame, evitando gli eccessi
delle ricostruzioni troppo puntuali e sistematiche, sia riuscito a cogliere alcuni snodi
concettuali fondamentali del mito e del commento di Derveni, tra i quali campeggia ap-
punto il tema della simbologia solare.
70
Confusione su questo aspetto si trova per esempio in Calame, Figures of sexual-
ity, cit., ma ancora nell’edizione ufficiale del papiro si riscontra una disomogeneità fra
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Se Ouranos Eufronìde fu il primissimo a regnare (fr. 10), come si può giustifi-
care l’esistenza di un Re Primo-nato distinto da Ouranos stesso (fr. 12)? In altre pa-
role, se davvero il sintagma πρωτογόνου βασιλέως del fr. 12 dev’essere inteso come un
riferimento a Protogonos, in quale fase della genealogia divina si deve collocare la re-
galità di quest’ultimo? Di certo non prima di quella di Ouranos, che fu il primissimo
sovrano nonché il figlio di Nyx, dèa primigenia. Forse dopo? Sembra difficile, perché
ciò contrastarebbe con l’epiteto di Primo-nato, ed inoltre si verrebbe a scompaginare
l’ordine genealogico della dinastia regale Ouranos-Kronos-Zeus.
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generale del mito. Phanes, dunque, potrebbe tutt’al più averne ere-
ditato il nome e sviluppato alcune caratteristiche, ma del Re Primo-
Nato di Derveni, se davvero esisteva, non potremo mai sapere nulla,
neppure chi fossero suo padre o sua madre.
Ma vi è un ultimo interrogativo fondamentale, al quale dovreb-
bero cercare una risposta i sostenitori di questa ricostruzione, e che
invece West ha ignorato: perché mai l’autore di Derveni avrebbe
dovuto cancellare la figura di Protogono per sostituirla con l’im-
magine del fallo divino? L’idea che il commentatore abbia inteso
falsare così profondamente il contenuto originario del poema lascia
quanto meno perplessi, dal momento che tutto il resto della sua l’at-
tività esegetica dimostra un’attitudine completamente opposta: par-
tire da dettagli apparentemente poco significativi del testo per de-
rivarne le letture più strane e inattese, trovando – per così dire – il
massimo di libertà interpretativa nel massimo di fedeltà al mito.
Riserve di diverso genere, ma non meno importanti, si possono
esprimere intorno all’altro modello interpretativo: prima di tutto,
per alcune leggerezze di traduzione sulle quali ci si è già soffermati
(resa di ἔκθορε con ‘eiaculò’ nel fr. 8, e di αἰδοίου con ‘falloʼ nel
fr. 12); in secondo luogo per non aver dedicato sufficiente energia
alla ricostruzione dello sfondo storico-antropologico su cui si proietta
lo schema comparativo: è evidente, infatti, che l’esistenza di paral-
lelismi ed analogie tra miti appartenenti a civiltà ben distinte tra
loro diventa assai più significativa (ed eventualmente utile al recu-
pero di sezioni perdute della narrazione) se si riescono a tratteg-
giare, almeno a grandi linee, processi e momenti storici che avreb-
bero favorito l’osmosi culturale tra i differenti soggetti coinvolti.
Ogni tentativo di ricostruzione di una narrazione mitica muove
dal disordine all’ordine, cercando di venire a capo di un insieme
sparso e frammentario di dati. Il rischio è quello di restare arenati
nelle secche della sistematizzazione, la sfida quella di tenersi aperte
più rotte possibili, senza però rinunciare alla legittima esigenza di
trovare l’orientamento. Come interpreti, siamo obbligati a impie-
gare designazioni precise e sintetiche e a elaborare tentativi di de-
finizione, ma spesso questa necessità definitoria finisce per lasciare
in ombra quelle che in realtà dovrebbero essere le pennellate più
luminose del quadro interpretativo. È accaduto così anche nel no-
stro caso, se è vero che la contrapposizione tra i paradigmi erme-
neutici ha portato a perdere di vista l’esistenza di una continuità
profonda nella tradizione orfica rispetto alla funzione cosmogonica
e cosmologica del sole. Una continuità che si esprime con partico-
lare tenacia su tutti i livelli di organizzazione del pensiero toccati
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