Sei sulla pagina 1di 43

Nosside di Locri

Epigrammi
Traduzione di Testo greco a fronte
Gabriele Mantineo

[nta]
/ Lirici greci
epigrammi
nosside

«Niente è più dolce d’amore:


ogni altra beatitudine gli è seconda
ed io dalle labbra rigetto anche il miele»

NOSSIDE, fr. 1
/ Lirici greci
[NTA] – Nuovi Testi Antichi
ΝΟΣΣΙΣ ΤΗΣ ΛΟΚΡΙΣ
Ἐπιγράμματα
NOSSIDE DI LOCRI
EPIGRAMMI
Testo greco a fronte
INDICE

Introduzione
1. Testimonianze e documenti circa Nosside
2. Frammenti di lei tràditi

Epigrammi - Ἐπιγράμματα
Introduzione

Niente è più dolce d’amore:


ogni beatitudine gli è seconda
ed io dalle labbra rigetto anche il miele.

1. Testimonianze e documenti circa Nosside

La maggioranza delle informazioni circa la poetessa Nosside


(Νοσσίς) ci proviene dai suoi stessi frammenti.
È, infatti, ella stessa a citare il suo nome in ben tre dei suoi
frammenti (1, 3 e 9), insieme a quello della madre Teofili
(Θευφιλὶς) e della nonna Cleoca (Κλεόχας).
Inoltre, nel suo nono frammento la poetessa cita la propria
patria: la πόλις di Locri - l'ultima colonia greca della Calabria -,
della quale gli abitanti vennero detti - come ci informano
Erodoto,1 Tucidide,2 Strabone 3 e Pindaro 4 - Epizefiri
(Ἐπιζεφύριοι), in quanto stabilirono la città “vicino (ἐπὶ)” Capo
Zefirio (Ζεφύριον Ἄκρα), dalla quale originariamente giunsero.
La cronologia della poetessa ci proviene dai suoi stessi
frammenti, seppur in maniera indiretta, in quanto in essi si fa
riferimento (nel fr. 8) al poeta Rintone (Ῥίθων) - l'inventore dei
flìaci (φλύακες) -, vissuto sotto Tolomeo I (IV - III sec. a.C.) e - nel
fr. 2 - alla vittoria dei Locresi sui Bruzi (ca. 306 - 300 a.C.).
Pertanto, è saggio convenire che Nosside visse tra la seconda
metà del IV sec. e il III sec. a.C. Dunque, fu altresì contemporanea

1 ERODOTO, Storie, VI, 23: «Σάμιοί τε κομιζόμενοι ἐς Σικελίην ἐγίνοντο ἐν


Λοκροῖσι τοῖσι Ἐπιζεφυρίοισι...».
2 TUCIDIDE, Storie, VII, 1, 1: «ἐπεὶ ἐπεσκεύασαν τὰς ναῦς, παρέπλευσαν
ἐς Λοκροὺς τοὺς Ἐπιζεφυρίους·».
3 STRABONE, Geografica, VI, 1, 7: «εἶθ' ἡ πόλις οἱ Λοκροὶ οἱ
Ἐπιζεφύριοι...».
4 PINDARO, Olimpiche, X, v. 13: «νέμει γὰρ Ἀτρέκεια πόλιν Λοκρῶν
Ζεφυρίων,».
di Anite di Tegea e, al pari di lei, va inserita - oltre che,
naturalmente, tra i lirici ellenistici - nel filone dorico-
peloponnesiaco della poesia epigrammatica.
Inoltre (nel fr. 6) viene altresì fatto il nome d'una certa Melinno
(Αὐτομέλιννα), la quale fu – benché si tratti meramente di
un'ipotesi, in quanto nessuna delle fonti antiche mette in chiaro
tale aspetto - la sorella di Nosside. È possibile identificare tale
personaggio con un’omonima poetessa a noi nota, della quale,
però, non ci è noto che un mero frammento.
Fece parte, secondo Antipatro di Tessalonica, delle nove
poetesse più note e rispettate dell'antichità e circa costei il poeta
Meleagro scrisse altresì quanto segue:

con ciò, alla rinfusa di Nosside vi intrecciò


l'iris che manda profumo e ha bei fiori,
della quale Eros stesso infuse cera nelle sue opere. 5

Ciò fa supporre che, in realtà, la produzione e la fruizione


nossidea discettassero la tematica dell’eros ben più estesamente
di quanto pervenutoci (che si riduce, alla fin fine, al mero fr. 1,
per quanto esemplare e paradigmatico esso sia), forse -
addirittura - un intero libro.
Purtroppo, la Suda (Σοῦδα) non ci fornisce alcuna notizia circa il
conto di lei.

2. Frammenti di lei tràditi

Benché Nosside scrisse altresì carmi melici (ovverosia: ), di lei


ci sono tràditi meramente dodici epigrammi.
Di questi dodici, uno ha carattere erotico (fr. 1), quattro sono
votivi (fr. 2, 3, 4, 5), due sono a tema funebre (fr. 8, 9), mentre
cinque sono epidittici (fr. 6, 7, 10, 11, 12).

5 MELEAGRO, Ghirlanda. Proemio, vv. 9-10, in Antologia Palatina, IV, 1:


«σὺν δ' ἀναμὶξ πλέξας μυρόπνουν εὐάνθεμον ἶριν Νοσσίδος, ἧς δέλτοις
κηρὸν ἔτηξεν Ἔρως·».
Nel suo primo e più celebre frammento – a tema erotico -, la
poetessa pone come una dichiarazione di stile: sarà l’amore il
tema dominante delle sue liriche. Inoltre, si noti il particolare
rigetto del miele che – forse -, oltre alla dolcezza dell’eros, fa
riferimento alla greca analogica donna-ape già consolidata in
Esiodo e Semonide. Con tanto di firma finale, Nosside – come già
Saffo – intende discettare dell’amore con assoluta sincerità, ma
con altrettanta grazia. Inoltre, esso è stato talvolta paragonato al
fr. 16 Voigt di Saffo, altrettanto paradigmatico oltre che
programmatico (in senso stilistico).
Nel fr. 2, invece, Nosside tratta della vittoria dei Locri sugli
uomini Bruzi, infondendo un vigore indicibile a chi leggesse tali
versi, ove l’amore per la patria si palesa in tutta la sua franchezza.
Nel fr. 3, di carattere anatematico, spicca la sequenza
matrilineare dei nomi citati: Nosside-Teofili-Cleoca (= figlia-
madre-nonna); che ha talvolta indotto gli studiosi a pensare
proprio ad una discendenza matrilineare all’interno della città
natia nossidea. Tuttavia, non essendo tale supposizione
surrogato da testimonianza altrui che attesti una rilevata
importanza femminile locrese, è altrettanto probabile che si tratti
di una scelta stilistica dedita ed atta a far spiccare la figura
femminile. Non a caso, infatti, proprio circa il conto di Nosside,
Antipatro di Tessalonica nel presentarla fra le nove muse
terrestri scrive:

Nosside dal linguaggio femminile. 6

Tale termine ἄπαξ λεγόμενον non vuol dire, come si potrebbe


pensare, che il tono di voce di Nosside fosse particolarmente
femminile, bensì che la sua poesia verteva prevalentemente su
tematiche femminili e su descrizioni di soggetti, appunto, sovente
di sesso femminile. Tra l’altro, in questo scenario prettamente
femminile – al quale prende parte anche la dèa Era -, non si fa
altro che perpetrare quell’ideale tipico greco della donna-ape
6 ANTIPATRO DI TESSALONICA, in Antologia Palatina, IX, 26, v. 7:
«Νοσσίδα θηλύγλωσσον».
(vale a dire: operosa), nel quale le signore e le fanciulle – proprio
come l’omerica Penelope – sono dedite all’arte del telaio. In tale
prospettiva sacrale si inserisce altresì il fr. 5, là dove alla dèa
Afrodite viene consacrata una retina per il capo “(κεκρύφαλος)”
di una bambina.
Altresì nel fr. 4 spicca l’elemento femminile: protagoniste
indiscusse e preminenti sono, infatti, Artemide, le Cariti e Alceti
con le sue doglie da partoriente.
Il fr. 6 costituisce il primo dei cinque epigrammi epidittici
nossidei. L’enfasi e l’accento sono particolarmente posti sulla
bellezza fisica – a differenza di altri – della giovane Melinno,
perché probabilmente trattasi della figlia dell’autrice medesima.
Il fr. 7 è il primo epigramma a far probabilmente riferimento ad
un quadro “(εἰκὼν)”. Tuttavia, com’è nel proprio stile, Nosside va
ben oltre la semplicità e la superficialità dell’immediata
apparenza, in quanto sceglie altresì di cogliere la profondità e
l’essenza spirituale del soggetto descritto (nel caso specifico
Sabetine).
L’ottavo frammento nossideo è il primo epigramma funebre,
dedicato al drammaturgo greco Rintone, al quale viene
solitamente ascritta l’ivenzione dei flìaci (cfr. ἱλαροτραγῳδία).
Il fr. 9 di Nosside è forse il più particolare della poetessa
locrese. In tale epigramma, che costituisce un finto epitaffio per
sé stessa, infatti, viene esplicitamente nomata Saffo, che
evidentemente la poetessa locrese percepisce come
spiritualmente vicina ed affine. Pare, infatti, ch’ella volesse
apparire come una «Saffo di Locri».
I frammenti restanti – fr. 10, 11, 12 – sono tutti di tipo epidittico
ed ecfrastico e, in particolar guisa, i frammenti 11 e 12 fanno
esplicito riferimento alle antiche e famose πίνακες: tavolette
votive in legno dipinto o bassorilievi in terracotta, marmo oppure
bronzo, che venivano generalmente appese sulle pareti dei
santuari o sugli alberi ritenuti sacri.
L’eccellente perizia artistica di Nosside viene altresì
rammentata dall’imitazione che di lei ne fece il più famoso poeta
Leonida di Taranto, che ne testimonia la fama presso gli antichi.
EPIGRAMMI
Ἐπιγράμματα
α'
(Antologia Palatina, V, 170)

῞Αδιον οὐδὲν ἔρωτος· ἃ δ' ὄλβια, δεύτερα πάντα


ἐστίν· ὰπὸ στόματος δ' ἔπτυσα καὶ τὸ μέλι.
Τοῦτο λέγει Νοσσίς· τίνα δ' ἁ Κύπρις οὐκ ἐφίλασεν,
οὐκ οἶδεν κήνα γ' ἅνθεα ποῖα ῥόδα.
fr. 1

Niente è più dolce d’amore:


ogni altra beatitudine gli è seconda
ed io dalle labbra rigetto anche il miele.
Questo dice Nosside: e chi non amò Cipride,
non sa neppure quali rose siano i suoi fiori.
β'
(Antologia Palatina, VI, 132)

Ἔντεα Βρέττιοι ἄνδρες ἀ π' αἰνομόρων βάλον ὤμων


θεινόμενοι Λοκρῶν χερσὶν ὑπ' ὠκυμάχων,
ὧν ἀρετὰν ὑμνεῦωτα θεῶν ὑπ' ἀνάκτορα κεῖνται,
οὐδὲ ποθεῦντι κακῶν πάχεας, οὓς ἔλιπον.
fr. 2

Dalle sciagurate spalle l'armi,


essendo stati dai rapidi Locri coi pugni colpiti,
gettaron l’homini Bruzi.
Ora nei templi giaccion
de’ li dèi cantando la virtute,
mentre dei turpi le vigorose braccia,
dalle quali si dipartiron, per nulla rimpiangono
γ'
(Antologia Palatina, VI, 265)

῞Ηρα τιμήεσσα, Λακίνιον ἃ τὸ θυῶδες


πολλάκις οὐρανόθεν νεισομένα κατορῇς,
δέξαι βύσσινον εἷμα, τό τοι μετὰ παιδὸς ἀγαυὰ
Νοσσίδος ὕφανεν Θευφιλὶς ἁ Κλεόχας.
fr. 3

Sacra dèa Era, che sovente dal cielo


l’olezzante Capo Lacinio osservi,
accetta - ti prego! - un peplo di bisso,
lo fece per te, insieme a Nosside,
Teofilis figlia di Cleoca, mirabil fanciulla.
δ'
(Antologia Palatina, VI, 273)

῎Αρτεμι, Δᾶλον ἔχουσα καὶ ᾽Ορτυγίαν ἐρόεσσαν,


τόξα μὲν εἰς κόλπους ἅγυ᾽ ἀπόθου Χαρίτων,
λοῦσαι δ᾽ ᾽Ινωπῷ καθαρὸν χρόα, βᾶθι δ᾽ ἐς οἴκους
λύσουσ᾽ ὠδίνων ᾽Αλκέτιν ἐκ χαλεπῶν.
fr. 4

Oh Artemide, tu che su Delo


e sull’amabil Ortigia regni,
i dardi nei seni delle Cariti riponi,
purifica la pelle al fiume Inopo
e vieni a casa per liberare
Alceti dalle pene delle doglie
ε'
(Antologia Palatina, VI, 275)

Καίροισάν τοι ἔοικε κομᾶν ἄπο τὰν ᾽Αφροδίταν


ἄνθεμα κεκρύφαλον τόνδε λαβεῖν Σαμύτας·
δαιδαλέος τε γάρ ἐστι, καὶ ἁδύ τι νέκταρος ὄσδει,
τοῦ, τῷ καὶ τήνα καλὸν ῎Αδωνα χρίει.
fr. 5

Davvero con gioia pare accettò Afrodite


quest’offerta della retina per il capo di Samita:
infatti, è ben lavorata, e dolcemente del nettare,
col quale la dèa il bel Adone asperge, olezza
ς'
(Antologia Palatina, VI, 353)

Αὐτομέλιννα τέτυκται· ἴδ', ὡς ἀγανὸν τὸ πρόσωπον


ἁμὲ ποτοπτάζειν μειλιχίως δοκέει·
ὡς ἐτύμως θυγάτηρ τᾷ ματέρι πάντα ποτῴκει.
ἦ καλόν, ὅκκα πέλῃ τέκνα γονεῦσιν ἴσα.
fr. 6

Ecco Melinna in persona, ben adornata:


vedi come il piacevole volto sembra
volgerci dolcemente lo sguardo,
come davvero la figlia rassomigli in tutto alla madre.
Ah quanto è bello quando i pargoli sono simili ai genitori!
ζ'
(Antologia Palatina, VI, 354)

Γνωτὰ καὶ τηνῶθε Σαβαιθίδος εἴδεται ἔμμεν


ἅδ' εἰκὼν μορφᾷ καὶ μεγαλοφροσύνᾳ.
θάεο· τὰν πινυτὰν τό τε μείλιχον αὐτόθι τήνας
ἔλπομ' ὁρῆν· χαίροις πολλά, μάκαιρα γύναι.
fr. 7

Anche di lì appare familiare l'immagine


di Sabetine, nell'aspetto e nell'animo generosa.
Ammiriamola: subitaneamente la saggezza di lei
e la dolcezza sua si rendon visibili.
Che tu abbia molta gioia, beata donna!
η'
(Antologia Palatina, VII, 414)

Καὶ καπυρὸν γελάσας παραμείβεο καὶ φίλον εἰπὼν


ῥῆμ' ἐπ' ἐμοί. ῾Ρίνθων εἴμ' ὁ Συρακόσιος,
Μουσάων ὁλίγη τις ἀηδονίς· ἀλλὰ φλυάκων
ἐκ τραγικῶν ἴδιον κισσὸν ἐδρεψάμεθα.
fr. 8

Con riso capitante passami dinnanzi


e parola cara volgimi: sono Rintone, il Siracusano,
delle Muse un piccolo usignolo;
con i flìaci, dalle tragedie colsi un'edera mia.
θ'
(Antologia Palatina, VII, 718)

Ὦ Ξεῖν', εἰ τύ γε πλεῖς ποτὶ καλλίχορον Μιτυλάναν


τᾶν Σαπφοῦς χαρίτων ἄνθος ἐωαυσόμενος,
εἰπειν, ὡς Μούσαισι φίλαν τήνα τε Λοκρὶς γᾶ
τίκτε μ' ἴσαν χὤς μοι τοὔνομα Νοσσίς, ἴθι.
fr. 9

Oh Straniero, se navigherai presso Mitilene


dai bei cori per cogliervi il fiore delle grazie di Saffo,
dì che fui gradita alle Muse e che la terra Locrese mi generò.
Il mio nome, sappilo, è Nosside. Orsù, va’!
ι'
(Antologia Palatina, IX, 332)

'Ελτοῖσαι ποτὶ ναὸν ἰδώμεθα τᾶς Ἀφροδίτας


τὸ βρέτας, ὡς χρυσῷ δαιδαλόεν τελέθει.
εἵσατό μιν Πολυαρχὶς ἐπαυρομένα μάλα πολλὰν
κτῆσιν ἀπ' οἰκείου σώματος ἀγλαίας.
fr. 10

Giunte presso il tempio,


osserviamo d’Afrodite il simulacro,
ch’abilmente lavorata con oro appare.
La inviò Poliàrchide stesso,
avendo dalla beltà del corpo suo
un lauto compenso ottenuto
ια'
(Antologia Palatina, IX, 604)

Θαυμαρέτας μορφὰν ὁ πίναξ ἔχει· εὖ γε τὸ γαῦρον


τεῦξε τό θ' ὡραῖον τᾶς ἀγανοβλεφάρου.
σαίνοι κέν σ' ἐσιδοῖσα καὶ οἰκοφυλαξ σκυλάκαινα
δέσποιναν μελάθρων οἰομένα ποθορῆν.
fr. 11

La tavoletta palesa il bell'aspetto di Taumàrete:


con arte infatti raffigurò la bellezza
della fanciulla dal dolce sguardo.
Scodinzolerebbe la cucciola
posta a guardia della casa al veder di te
altresì credendoti la sua padrona.
ιβ'
(Antologia Palatina, IX, 605)

Τὸν πίνακα ξανθᾶς Καλλὼ δόμον εἰς Ἀφροδίτας


εἰκονα γραψαμένα πάντ' ἀνέθηκεν ἴσαν.
ὡσ ἀγανῶς ἕστακεν· ἴδ', ἁ χάρις ίκον ἀντεῖ.
χαιρέτω· οὔ τινα γὰρ μέμψιν ἔχει βιοτᾶς.
fr. 12

Callò il quadro, ch'in icastica guisa la raffigurava,


nel tempio della bionda Afrodite appese.
Che atteggiarsi così dolce!
Guarda, qual grazia la pervade.
Addio: infatti, non ha alcun biasimo di vita.

Potrebbero piacerti anche