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CAPASSO E I CAPASSIANI
da antologia», di quei poeti che non hanno consistenza e visibilità se non in relazione
a un dato periodo o a un dato movimentoiii. E sono proprio le antologie e i repertori -
del Falqui, del Galletti, del Fusco, del Fiorentino, del Pedrinaiv, quest'ultimo forse il
più esplicitamente favorevole al capassismo - a far riaffiorare nomi, titoli, testi caduti
nell'oblio, immersi nell'ombra di quelle «catacombe», così difficili ad individuarsi e
perlustrarsi, in cui, come affermava Carlo Bo in un'intervista rilasciata a Renato
Minore sul Messaggero del 9 febbraio 1994, «vive la poesia», in cui «si sono
rifugiati gli scrittori che nemmeno conosciamo e che non sono riusciti a superare le
barriere delle diverse organizzazioni»; autori, questi ultimi, che resterebbero, forse,
per sempre celati da quell'ombra, se non sopraggiungessero la voce e la mano del
critico, che amministra una sorta di nekyia, di rituale necromantico capace di
riportare alla luce e alla vita fisionomie, percorsi, esperienze della poesia avvolta
dalle nebbie del passato e della dimenticanza.
Non pare opportuno, a questo punto, inanellare una serie di profili o di ritratti
dedicati in modo specifico, e con pretese di esaustività, ai singoli autori, che
finirebbe per risultare prolissa, tediosa e dispersiva. Sarà certo più proficuo
inquadrare una galassia di dominanti tematiche e di costanti stilistiche che avvolge
ed accomuna gli autori del Realismo lirico (o "capassiani", se proprio si vuole
impiegare questo termine, tra l'altro inquinato dalla valenza sarcastica, se non
spregiativa, che la definizione e il concetto di "capassismo" assumono nel carteggio
tra Montale e Quasimodo), cogliendone e cercando di restituirne trasversalmente, per
esempi e campioni, i bagliori e i riflessi molteplici. È opportuno porre in evidenza,
innanzitutto, il legame di continuità e di coerenza che unisce il Realismo lirico alla
cultura del rappel à l'ordre degli anni Venti e Trenta, a quel tentativo di
conciliazione fra modernità e classicità (fra «invention» e «tradition», «Aventure» e
«Ordre», per citare l'Apollinaire della Jolie Rousse) che voleva opporsi
all'iconoclastia, alla ribellione, allo hasard delle avanguardie storichev. Proprio nel
quadro della cultura del ritorno all'ordine venivano, del resto, ad inserirsi alcuni
aspetti della riflessione teorica capassiana, da Note sul genere lirico a Conclusione
su Valéry a Ricerche di aura poeticavi: riflessione non lontana da quella di Ungaretti,
solidale prefatore, nel '31, del Passo del Cigno, e a cui il Capasso solariano dedicava,
nel novembre del '31, un saggio importante. Come si avrà modo di osservare in
maniera più dettagliata prendendo in esame singoli aspetti ed esempi della poesia
lirico-realistica, la continuità a cui si è appena accennato risulta ulteriormente
confermata dal fatto di ritrovare, nelle file del Realismo lirico, alcuni poeti (da Fiumi
a Jenco a Federico De Maria) che erano stati precedentemente legati
all'"avanguardismo" e al "neo-liberismo" teorizzati da Fiumi nella prefazione a
Polline, e perseguiti dal cenacolo riunito intorno alla rivista La Dianavii. Com'è stato
osservato, per il poeta di Roverchiara l'adesione al realismo lirico, alla medietas di
un indirizzo letterario che voleva conciliare classicità e modernità, rappresentava la
coerente prosecuzione, e in certo modo il compimento, delle scelte estetiche e
militanti precedentemente operateviii. Non a caso, nel secondo dopoguerra Fiumi fu
tra gli animatori della rivista Realtà, che si affiancava all'organo maggiore del
movimento, la testata Realismo lirico, diretta da Capasso ed edita presso Ceschina.
Realtà era contraddistinta dall'intento di creare una letteratura capace di conciliare le
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modernità con cui ci si doveva inevitabilmente misurare, ma i cui risvolti più estremi
e più arditi dovevano essere ridimensionati, e come raddolciti, attraverso il richiamo
alla limpidezza, all'equilibrio, al franco ma sobrio confronto con la realtà e la
concretezza dell'umanità e del vissuto, che contraddistinguevano la classicità e la
tradizione. Non vorrei, ora, invadere un terreno trattato da altri in questo stesso
volume, e con competenze certo superiori alle mie; ma mi pare interessante
sottolineare che, nell'estetica del Realismo lirico, quel saldo legame tra creazione
poetica e consapevolezza critica che caratterizza, in antitesi alla crociana sintesi di
intuizione ed espressione, il pensiero estetico di Capasso, da Saper distinguere a
Dottrinarismo a Ricerche, distinzioni, discussioni, è finalizzata al conseguimento di
una peculiare "purezza" lirica, intesa non già, secondo il canone ermetico, come
condensazione semantica, occultamento o soppressione dei nessi logici,
accentuazione delle valenze suggestive ed evocative perseguita e protesa fino alle
soglie dell'obscurisme, ma piuttosto come limpidezza, chiarezza, nettezza di tratto e
di segno, trasparenza di idee, sentimenti, resa verbale. Non a caso, Lionello Fiumi, in
Parnaso amico, mettendo a fuoco, in veste di simpatetico interprete, i Significati di
Aldo Capasso, definiva - con un giudizio che sottintendeva una poetica, e che pareva
anch'esso preludere alla Lettera aperta - la natura di un'arte in cui, come in quella di
Valéry, «il calcolo - il vagliare, il pesare, il misurare - ossia il secondo stadio della
creazione - ha importanza per lo meno equivalente all'ispirazione», e tende non già
alla complessità, alla voluta oscurità, alla studiata sovrapposizione di significati
ulteriori e celati, ma, piuttosto, alla semplificazione e alla chiarezzaxii. Anche negli
interventi che potrebbero apparire più connotati e più compromessi sul piano
ideologico (penso ad articoli come Poesia "arcanista" e modernità, in «Regime
fascista» del 4 aprile 1939, o Conclusioni sull'arcanismo. Precisazioni, apparso sulla
stessa testata il 21 luglio dello stesso anno), le ragioni dell'antiermetismo capassiano
sono anche e prima di tutto letterarie, riconducibili alla volontà di rigettare - così si
legge nel primo dei due articoli appena citati - il «compiacimento, anticlassico e
tecnicistico, dell'oscurità permanente e sistematica».
Alla Lettera aperta non mancarono echi e adesioni - peraltro, come nota Barberi
Squarotti nella "voce" citata, da parte di autori rimasti ai margini, forse proprio a
causa del loro rispetto di certi valori tradizionali, del dibattito letterario del
dopoguerra. Tramite gli interventi pubblicati sulla rivista Tripode (in particolare nel
numero 7, del novembre 1949, e nel numero 8, dell'aprile dell'anno successivo),
diretta da Carlo De Franchis, che al movimento dedicò anche un'importante
antologia di tendenzaxiii, aderirono al programma letterario della "terza corrente" vari
scrittori, dal Cardarelli al Titta Rosa, dall'Arfelli al Borgese (l'opera poetica del quale
ultimo, pur se innegabilmente marginale rispetto a quella del critico e del narratore, è
però interessante per il verso e per il tono distesi, discorsivi, prossimi alla prosa).
Singolare, per contro, che al movimento si opponesse, in polemica con Fiumi, un
critico come Giuseppe Ravegnani (alludo all'articolo Giurmerie della "terza
corrente", in «Milano sera» del 15 dicembre 1950), precedentemente favorevole ai
"poeti di Verona e di Ferrara", tra cui lo stesso Fiumi, e solidale con l'"Orfismo della
Parola" teorizzato, su basi concettuali riconducibili, nella sostanza, all'estetica
romantica, dall'antiermetico Francesco Flora.
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si può allora ricordare, per l'affinità dello spirito e del tema, Saffo di Giuseppe
Gerini, un altro firmatario della Lettera aperta (in Dentro celeste sponda, raccolta
edita nel '49 presso Maia, e corredata di una prefazione di Capasso che ne elogiava la
vena «parca d'immagini, ma penetrante, nel tono, con singolare virtù»): «Fatemi
dormire, stelle di febbraio, / in codesto alto letto viola / come una di voi […] / Letto
viola alle mie chiome viola». Versi, questi, in cui viene ripresa ed amplificata, con
intenso ma leggibile analogismo, l'immagine alcaica (fr. 63 D.) di Saffo ioplokos e
mellichomeidos, «dal crine di viola» e «dolce ridente». Peraltro, come dimostra, ad
esempio, un altro testo di Dentro celeste sponda, Melodie, il Gerini era forse,
insieme al Jenco di Essenze, il più vicino, fra i poeti del Realismo lirico, a movenze e
registri ermetici, pur se rivisitati alla luce della nuova poetica: «Melodie di chiare
praterie / con pause d'ombra d'alberi distanti. // Io tendo a quella chioma che più
densa / cerchia sul verde: e mi conduce / il limpido fluire / di questa sponda irrigua /
dove tu pure, o Sognata, / muovi leggiadra i piedi» (versi da confrontare con
l'Ungaretti di Isola o, per l'arditezza sinestetica, con il Quasimodo di Oboe
sommerso, o infine, per la simbologia della danza, con il Luzi di Tango, ma
sottolineando sempre, rispetto a questi referenti, la maggiore chiarezza del dettato, la
più netta evidenza della rappresentazione, il diretto richiamo alla tradizione, in
questo caso, per l'esattezza, alla figura dantesca di Matelda). Emblematico, sotto
questo aspetto, un testo di un esponente minore del movimento, Cesare Ottaviano
Cochetti, Poi vidi un fauno, incluso da De Franchis nella sua antologia: una poesia
che rivisita il motivo panico legato (dall'Hugo del Satyre al Guérin del Centaure al
Mallarmé dell'Après-midi d'un faune) alla figura del fauno, e in pari tempo
l'atmosfera di egloga evanescente e straniata che incontriamo nella tradizione
simbolista e post-simbolista, dal Mallarmé, già ricordato, dell'Après-midi
all'Ungaretti della già citata Isola. Una lirica, questa del Cochetti, che si apre con
l'immagine della ninfa Deiopea, «ombra bianca» che «va errando nei tempi», e si
conclude con la visione del fauno che «si denuda l'anima / tra la marina e i pàmpini e
le case / contro un mostro d'acciaio, per morire»: ove è evidente, ancora una volta,
come il Realismo lirico si accosti a motivi e immagini cari alla sensibilità simbolista
ed ermetica per tradurli in figurazioni più nette e concrete. E ancora il richiamo alla
classicità rappresenta un aspetto rilevante nella prima stagione di un'altra autrice
ancor oggi attiva, Maria Grazia Lenisa, secondo Squarotti «forse il temperamento più
autenticamente lirico di tutto il movimento»xvii. L'ampio saggio introduttivo di
Capasso all'Uccello nell'inverno, la raccolta che la Lenisa pubblicò nel '58 presso la
casa editrice Liguria, si apre e si chiude con il rifiuto di ogni «decadentismo,
ermetico, o surrealisteggiante, o vagamente espressionista» (e si ricordi, per questa
accezione estensiva di un "decadentismo" identificato tout court con la modernità
novecentesca, il celebre saggio di Norberto Bobbio sulla Filosofia del decadentismo,
che, apparso presso Chiàntore di Torino nel 1944, poteva già lasciar presagire, con la
sua condanna del «ripiegamento irrevocabile dell'uomo su se stesso» segnato dalla
sensibilità contemporanea, lo spirito della reazione lirico-realista). A Capasso, di
rimando, l'autrice ha dedicato quello che resta forse il più ampio e il più appassionato
studio d'insieme sul poeta di Altare; un libro in cui la Lenisa insiste, tra le molte altre
cose, sulla «struttura logica» che - in antitesi all'"immaginazione senza fili" che
9
Matteo Veronesi
i
Cfr., al riguardo, ALESSANDRO SCARSELLA, Parafrasi per un cigno, in appendice alla
pregevole ristampa di ALDO CAPASSO, Il passo del cigno, Verona, Novacharta, 2003, pp. 153-
165.
ii
ROSARIO ASSUNTO, La testimonianza dei "minori" e la storia dell'estetica e GIORGIO
BARBERI SQUAROTTI, "Minori" e "minimi" nella storiografia letteraria del Novecento, in Il
"Minore" nella storiografia letteraria, Ravenna, Longo, 1984, pp. 93 e 315-316.
iii
THOMAS STEARNS ELIOT, Che cos'è la "poesia minore"?, in IDEM, Opere 1939-1962,
Milano, Bompiani, 2003, pp. 401 sgg.
iv
Cfr., ad esempio, ENRICO FALQUI, La giovane poesia. Saggio e repertorio, Roma, Colombo,
1956; ALFREDO GALLETTI, Il Novecento, Milano, Vallardi, 1973; ENRICO MARIA FUSCO,
La lirica. Ottocento e Novecento, Milano, Vallardi, 1950; IDEM, Antologia della lirica
contemporanea. Dal Carducci al 1950, Torino, Società Editrice Internazionale, 1953; LUIGI
FIORENTINO, Mezzo secolo di poesia, Siena, Maia, 1951; LUIGI FIORENTINO - ORAZIO
LOCATELLI, Il Tesoretto, Milano, La Prora, 1954; FRANCESCO PEDRINA, Storia ed antologia
della letteratura italiana, vol. III, Milano, Trevisini, 1938; FRANCESCO PEDRINA, La lirica
moderna. Dal Parini ai realisti lirici, Milano, Trevisini, s. a. (ma 1951).
v
Cfr. VALERIO VAGNOLI, Il ritorno all'ordine nella cultura del primo Novecento, Padova,
Liviana, 1985, e soprattutto lo studio imponente di DANIELA BARONCINI, Ungaretti e il
sentimento del classico, Bologna, Il Mulino, 1999, che travalica largamente i limiti segnati dal
titolo, e arriva ad abbracciare, anche su di un piano internazionale, una vasta temperie culturale ed
artistica.
vi
Cfr., in particolare, per la nozione capassiana di "lirica pura", aliena dall'aseità e
dall'autoreferenzialità del segno ermetico, e la relativa polemica, LINDA PENNINGS, I generi
letterari nella critica italiana del primo Novecento, Firenze, Cesati, 1999, pp. 308-315.
vii
Cfr. La Diana, a cura di NICOLA D'ANTUONO, Cava Dei Tirreni, Avagliano, 1990; ADELE
DEI, La Diana 1915-1917. Saggio e antologia, Roma, Bulzoni, 1981.
viii
Circa la continuità esistente, nel percorso creativo di Fiumi, tra l'avanguardismo e l'adesione al
Realismo lirico, cfr. la "voce" di RICCARDO DE MARCHI, in Dizionario biografico degli italiani,
vol. XLVIII, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1997.
ix
Sul realismo nella lirica, a cura di ALBERTO MACCHIA, Roma, Macchia, 1951.
x
Cfr., per un quadro generale, ALBERTO FRATTINI, Collane riviste convegni antologie: nel
"fuoco" della giovane poesia, in Novecento, vol. IX, a cura di GIANNI GRANA, Milano,
Marzorati, 1980, pp. 8050-8057 (in cui, peraltro, non viene preso in considerazione il fenomeno del
capassismo); ANTONIO PIGLIARU, Introduzione al cinquantennio letterario, «Ichnusa», II, 1950,
4, pp. 107-117 (con riferimenti alla polemica fra Macrì e Capasso). Per una visione d'insieme del
movimento, preziosa la "voce" di GIORGIO BARBERI SQUAROTTI, Realismo lirico, in
Dizionario mondiale della letteratura del Novecento, a cura di Lucio Licinio Galati, Roma, Edizioni
Paoline, 1980, pp. 2435-2436.
xi
Gli articoli citati si leggono nell'utile Antologia del "Corriere Padano", a cura di ANNA FOLLI e
ADELE DEI, Bologna, Patron, 1978.
xii
LIONELLO FIUMI, Significati di Aldo Capasso, in IDEM, Parnaso amico. Saggi su alcuni poeti
italiani del secolo XX, Genova, Degli Orfini, 1942, pp. 495-533.
xiii
I poeti del realismo lirico, a cura di CARLO DE FRANCHIS, prefazione di ALDO CAPASSO,
Roma, Edizioni del Tripode, 1952.
xiv
TEOCRITO, Tre idilli, trad. di ELPIDIO JENCO, Rieti-Roma, Edizioni del Girasole, 1948;
VIRGILIO, Georgiche, trad. di GIULIO CAPRIN, Firenze, Vallecchi, 1950.
xv
MANARA VALGIMIGLI, Poeti greci e "lirici nuovi", in IDEM, Del tradurre e altri saggi,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1957.
xvi
Sulla lunga e vasta attività dell'autrice, si veda ora il numero monografico della «Riviera ligure» a
lei dedicato (2000, 32). Anche nei riguardi della Bono Capasso esercitò la propria funzione di
interprete e di guida (si veda il saggio La poesia religiosa di Elena Bono, Firenze, Città di Vita,
1993).
xvii
Rinvio, per un panorama complessivo (comprendente anche i testi della stagione lirico-realistica)
della vasta opera dell'autrice, a MARIA GRAZIA LENISA, Verso Bisanzio (antologia dal 1952 al
1996), Foggia, Bastogi, 1997.
xviii
EADEM, Poesia di Aldo Capasso, Roma, Aternine, 1967, p. 30.
xix
Si può vedere, su questa figura, Elpidio Jenco e la cultura del primo novecento. Atti del convegno
di studio, a cura di MIRKO LAMI, Viareggio, Pezzini, 1991 (in particolare le relazioni di Niva
Lorenzini, Marcello Ciccuto, Paolo Lagazzi).