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VITA:
Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, nelle Marche. E’ importante sottolineare il suo
anno di nascita perchè lui, anche se viene considerato un poeta romantico, in
realtà appartiene al XVIII secolo. Ciò è evidente in alcuni aspetti del suo pensiero,
come il sensismo, cioè la dottrina per cui la conoscenza era effettuabile solo
tramite i sensi, ciò implicava un elemento totalmente materialistico e concreto.
Quindi la sua formazione non è soltanto romantica, ma lui risente anche della
cultura settecentesca.
Lui nasce in una famiglia piuttosto abbiente, il padre era il conte Monaldo, uomo
molto appassionato di lettura, e da Adelaide Antici, una donna autoritaria e non
comprensiva, soprattutto nei confronti del primogenito Giacomo. La passione per
la lettura del padre, lo porta a possedere una grande collezioni di libri e ad avere
una grande biblioteca. Provenendo da una famiglia altolocata, egli viene educato
principalmente da precettori privati ma lui studia moltissimo autonomamente e
definisce questo studio “matto e disperatissimo”. Proprio in gioventù, a 17 anni,
scrive una delle sue prime opere che era “saggio sopra gli errori popolari degli
antichi” nel quale riflette principalmente sull’astronomia, sulle stelle e
sull’osservazione notturna del cielo. Sempre nello stesso anno lui traduce un’opera
greca intitolata “Batracomiomachia”, lui aveva infatti studiato greco, latino e anche
ebraico, oltre ad alcune lingue moderne come il tedesco, lo spagnolo e il francese.
Ciò sottolinea anche gli interessi in campo filologico che Leopardi nutriva.
Nel 1816, si ha un primo grande cambiamento nel suo pensiero, quello che viene
definito “conversione dall'erudizione al bello”. Da questo momento, lui sostiene che
non è importante solo conoscere le opere ma bisogna anche valorizzare la poesia
come espressione dell’animo umano.
Sempre nel 1816, interviene nella polemica classico romantica, rispondendo
all’articolo pubblicato da Madame de Stael intitolato “sulla maniera e l’utilità delle
traduzioni”. In questo articolo ella giudicava la letteratura italiana dicendo che era
troppo dipendente dai classici, mentre avrebbe dovuto modernizzarsi, sia nelle
forme che soprattutto nei contenuti. In merito a ciò moltissimi italiani rispondono,
scrivendo articoli che poi verranno definiti come il manifesto della letteratura
romantica in Italia. Tra essi figurano Borsieri, Visconti, Berchet e ovviamente
Leopardi. Quest'ultimo aveva assiduamente difeso l’importanza e il valore dei
classici, in quanto soltanto essi potevano portare all’armonia con la natura.
Successivamente inizia una corrispondenza con Pietro Giordani, con cui diventa
amico, e si innamora della cugina Geltrude Cassi Lazzari, dal loro incontro ha poi
origine un’opera intitolata “il primo amore”. Sempre nel 1816 inizia la stesura dello
Zibaldone, una grande raccolta di pensieri e riflessioni.
Nel 1818 entra in crisi, abbandona la fede cattolica e tenta la fuga da Recanati,
fallendo, e inizia la stesura delle canzoni civili. Le due canzoni, definite civili, che
scrisse sono “All’Italia” e “Sopra il monumento di Dante”. Scrive anche altre canzoni
come “Ad Angolo Mai”, “A un vincitore nel giuoco del pallone”, “Il bruto minore” e
“Ultimo canto di Saffo”. Queste ultime due canzoni rappresentano anche quelle che
vengono definite canzoni del suicidio.
Tra il 1819 e il 1821 scrive gli Idilli, opere in poesia tra cui figurano: “L’infinito”, “Alla
luna”, “Odi, Melisso”, “La sera del dì di festa”, “Il sogno” e “La vita solitaria”. La parola
idillio fa riferimento ad eulion, una parola greca che significa descrizione di un
quadretto campestre(l'idillio più famose è quello di Teocrito, al quale si ispira
Virgilio per le bucoliche, che a sua volta ispira Tasso nella scrittura del ”Aminta”).
Leopardi però non si ferma alla descrizione della natura, ma tramite essa riesce a
esprimere i suoi sentimenti.
Dopo la crisi, ha un’altra conversione, quella detta “conversione dal bello al vero”,
detta anche conversione filosofica. Leopardi scopre anche una passione per la
filosofia. É Importante sottolineare che le fasi che attraversa non sono rigide ma i
confini sono piuttosto labili, già in alcune opere del periodo del bello si possono
vedere elementi che tendono al vero. Ciò è soprattutto evidente nel “Ultimo canto
di Saffo” scritto nel 1820 dove lui si pare già al vero.
Successivamente va a Roma dagli zii materni sperando di trovare un ambiente
innovativo e moderno, ma rimane molto deluso in quanto anche la città di Roma
era dominata dall’ignoranza, dalla corruzione e dall’arretratezza culturale. Quindi
torna a Recanati, luogo che lui definisce “natio borgo selvaggio”.
Intorno al 1824 perde la vena poetica e scrive le operette morali, che anticipano già
il periodo del pessimismo cosmico e i “canti pisano-recanatesi”. Poco dopo viaggia
in Italia e recupera l'ispirazione poetica e mentre si trova a Pisa scrive i canti
pisano-recanatesi. In essi si trovano componimenti poetici tra cui: “A Silvia”, “Il
risorgimento”, “Il sabato del villaggio”, “Canto di un pastore errante dell’Asia”, “Le
ricordanze” e “La quiete dopo la tempesta”. Nel 1830 torna a Firenze e si innamora
di Fanny Targioni Tozzetti, la quale ispira il ciclo di aspasia, che contiene: “Amore e
morte”, “Il pensiero dominante”, “Aspasia” e “A se stesso”. Nel 1833 si trasferisce a
Napoli con Antonio Ranieri, dove scrive “palinodia al marchese Gino Capponi” e
“paralipomeni della batracomiomachia”, scrive anche due canzoni sepolcrali e “il
passero solitario”. Quando scoppia il colera, i due si rifugiano a Torre del Greco,
vicino al Vesuvio, dove Leopardi scrive “la ginestra”. Torna a Napoli nel 1837 e
muore, i suoi resti si trovano ancora a Napoli, in particolare sono nel parco
virgiliano di Piedigrotta.
● Avendo tanti piaceri diversi, è più semplice che gli si dimentichi di uno che
non ha potuto conseguire.
● Tutti i piaceri lo distraggono dal fatto che nessun piacere potrà soddisfarlo
completamente.
Da ciò ne deduce che gli uomini antichi erano più felici dei moderni, ma fa anche
delle considerazioni sui moderni. L’immaginazione è la fonte della felicità, e questo
è evidente anche nei bambini, i quali non sono ancora istruiti e hanno la stessa
ignoranza degli antichi. Quindi l'istruzione circoscrive l'immaginazione, quindi essa
diventa maggiore in potenza che in atto, al contrario di come accade per gli
ignoranti. Quest’ultimi hanno tanta immaginazione in atto e per questo risultano
essere più felici. Inoltre, la natura voleva che l'uomo confondesse immaginazione e
facoltà conoscitrice, in modo che egli pensasse ai suoi sogni come alla realtà e
quindi fosse animato da quello che riteneva vero.
Del resto il desiderio del piacere essendo materialmente infinito in estensione
(non solamente nell'uomo, ma in ogni vivente), la pena dell'uomo nel provare
un piacere è di veder subito i limiti della sua estensione, i quali l'uomo non
molto profondo gli scorge solamente da presso. Quindi è manifesto: 1. perché
tutti i beni paiano bellissimi e sommi da lontano, e l'ignoto sia più bello del
noto; effetto della immaginazione determinato dalla inclinazione della natura
al piacere, effetto delle illusioni voluto dalla natura. 2. Perché l'anima
preferisca in poesia e da per tutto, il bello aereo, le idee infinite. Stante la
considerazione qui sopra detta, l'anima deve naturalmente preferire agli altri
quel piacere ch'ella non può abbracciare. Di questo bello aereo, di queste idee
abbondavano gli antichi, abbondano i loro poeti, massime iI più antico cioè
Omero, abbondano i fanciulli, veramente Omerici in questo, [...] gl'ignoranti ec.
in somma la natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce
difficilissimo il provarne. La malinconia, il sentimentale moderno, ec., perciò
appunto sono così dolci, perché immergono l'anima in un abisso di pensieri
indeterminati, de' quali non sa vedere il fondo né i contorni. [...] Del rimanente,
alle volte l'anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e
confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la
stessa, cioè il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo della vista, lavora
l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s'immagina quello
che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va
errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la
sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe
l'immaginario. Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora
nel vedere il cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia,
come chiamano. Al contrario la vastità e moltiplicità delle sensazioni diletta
moltissimo l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande ec. Non è questa
la ragione. Ma proviene da ciò, che la moltiplicità delle sensazioni confonde
l'anima, gl'impedisce di vedere i confini di ciascheduna, toglie l'esaurimento
subitaneo del piacere, la fa errare d'un piacere in un altro, senza poterne
approfondare
nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo a un piacere infinito.
La pena dell’uomo sta nel vedere i limiti del piacere, che appaiono all’uomo solo
quando si avvicina ad essi. Le ragioni per cui la mente si immagina i piaceri sono:
l’anima preferisce il bello aereo, la poesia, le idee indefinite e l’ignoto e l’illimitato
attraggono l’uomo e l’anima odia i confini. Si può dedurre che l'anima preferisce
quei piaceri che non può abbracciare totalmente. Inoltre di queste idee di bello e
del bello aereo abbondavano negli antichi, i poeti antichi, tra cui anche Omero, i
fanciulli e gli ignoranti. All’uomo moderno, invece, viene molto difficile immaginarsi
dei piaceri, a causa dell’aumento del sapere e quindi della conseguente limitazione
dell’immaginazione. L’unico modo per recuperare, anche solo parzialmente
l’immaginazione, è ricorrere al sentimentale che porta l’anima in una condizione di
indeterminatezza, nella quale non può vedere i limiti. In questa situazione l'anima si
trova in una condizione vaga e indefinita e vede un tipo di bello che è pensabile
solo con l’immaginazione e che può essere rappresentato solo dalle illusioni.
Quindi l’anima cerca il piacere e lo può trovare solo in forma limitata nella realtà,
quindi prova avversione. Per questo motivo, quando vede la natura che “ama che
l’occhio si spazi quanto è possibile”, ciò significa che cerca la lontananza e
l’indefinitezza.
Successivamente Leopardi argomenta anche che l’anima, a volte, ha bisogno di
limiti e confini. Ciò appare contraddittorio, rispetto a tutto ciò che ha scritto in
precedenza, ma egli precisa che, solo in una situazione limitata l’uomo attinge
all'immaginazione, e il fantastico subentra nel reale. In questa condizione, l'anima si
immagina ciò che non vede, ed essa non immaginando confini e limiti può arrivare
a un piacere che può quasi essere considerato infinito. Questo concetto è
particolarmente presente nella poesia “L’infinito”, in cui Leopardi scrive
.
“Ma sedendo e mirando, inte
Un altro passo molto importante, che esplicita questo concetto è contenuto nel “La
sera del dì di festa” dove scrive “traluce la notturna lampa”, descrivendo una luce
non diretta ma filtrata dalle imposte delle finestre.
PESSIMISMO COSMICO: dal pessimismo storico, si passa a quello cosmico intorno
al 1819/1823, periodo nel quale vive una profonda crisi, derivante da tre motivi
principali: abbandono del cattolicesimo, l’adesione al sensismo e la delusione
derivante dall’esperienza romana e dai moti carbonari del 20/21. Durante questo
periodi di crisi, rivaluta la funzione della natura: essa diventa uno strumento che
mira solo alla conservazione della specie, e non si preoccupa della felicità del
singolo. Quindi, la natura acquista una concezione negativa di tipo meccanicista e
materialista: essa diventa solo un meccanismo cieco volto alla conservazione della
specie umana, che però rimane indifferente verso le sofferenze dell’uomo stesso.
Essa diventa negativa, anche perchè Leopardi acquista la consapevolezza che la
natura ci ha dato un desiderio infinito per il piacere ma non ci ha dato i mezzi per
soddisfarlo, quindi l'infelicità dell’uomo viene imputata alla natura. Da ciò arriva
anche alla conclusione che anche gli antichi erano infelici, poiché lo sviluppo della
razionalità non ha influito sulla felicità. Dal 1823/24, lui assume un atteggiamento
distaccato o di autoironia, abbandonando il titanismo, in quanto anche con la
ribellione l’uomo non può cambiare la situazione di infelicità in cui si trova. Perde
anche l’ispirazione poetica e inizia il progetto delle “operette morali” che lo
impegnano per moltissimi anni. La stesura delle prime operette risale al 1821, anche
se la maggior parte fu scritta nel 1824: nonostante ciò Leopardi continua a
modificarle e perfezionarle fino al 1832. Nel triennio 1824-1827 tenta anche di
risolvere un nodo che aveva tralasciato: la funzione della civiltà e della ragione.
PESSIMISMO EROICO: inizia con la riflessione sulla funzione della civiltà e della
ragione; essa ha due principali funzioni. La prima è positiva poiché rende la
ragione lo strumento con cui l'uomo ha smascherato la vera essenza della natura.
A ciò si aggiunge anche l’esaltazione dei periodi storici dominati dalla ragione,
come l'illuminismo e la critica dei periodi dove la ragione non fu la protagonista,
come il medioevo e il romanticismo. Allo stesso tempo la ragione ha reso l’uomo
consapevole togliendogli le illusioni, e quindi lo ha reso anche più fragile,
vulnerabile e di conseguenza egoista, perché egli mira soltanto alla propria felicità.
Questa contraddizione viene risolta in una delle operette morali, intitolata “Il
dialogo di Plotino e Porfirio”. In essa viene valorizzato il momento sociale, quindi
viene sottolineata l’importanza della vita in comunità, perché bisogna mirare
all’aiuto reciproco. Di fronte al dolore e alla consapevoleza del ruolo della natura, è
importante che gli uomini si uniscano per fronteggiare insieme il dolore e per
opporsi alla natura. Quindi la civiltà ha dato la consapevolezza, ma anche la
possibilità di denunciare il vero e il dolore derivante dalla realtà, ma questo è
possibile solo tramite l’unione degli uomini. Fronteggiare il dolore non significa
farlo scomparire, ma raggiungere una felicità fisico biologica, legata quindi al
fisico e non alle emozioni e all’interiorità. In questa condizione tutti gli uomini si
devono identificare nel titanismo, che però diventa un titanismo democratico, in
quanto serve per sopportare il dolore. Questo concetto è particolarmente visibile in
uno dei suoi ultimi scritti, “La ginestra”.