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RITRATTO D’AUTORE

Poeta dall'educazione letteraria classicistica e di formazione intellettuale illuministica, visse


nel periodo in cui nacque il movimento romantico italiano.
Primogenito del conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici, nacque il 29 giugno 1798
a Recanati , città che faceva parte dello Stato della Chiesa.
Il padre, Monaldo, rappresentava la nobiltà di provincia ed era un uomo molto religioso.
A lui era assegnata la gestione culturale ed educativa della famiglia, mentre la gestione
economica era affidata ad Adelaide, la madre,una donna , a differenza del marito, avida e
fredda.
L’ educazione di Leopardi avvenne all’interno delle mura della sua casa, posto che per lui
divenne presto una prigione, infatti tentò da essa più volte la fuga ,ma senza successo.
Monaldo, il padre, possedeva una biblioteca molto ricca, nella quale Leopardi si immerge
appassionatamente; impara da solo il greco,l’ebraico, l’inglese e lo spagnolo.
L’eccesso studio e l’intensa riflessione cui precocemente si dedica, però, gli creeranno gravi
danni alla salute, ovvero una cifosi, che deformerà per sempre il suo aspetto.
Nel 1816 Giacomo , tramite la scoperta della poesia,si contrapporrà agli orizzonti culturali
del padre e cercherà di sottrarsi alla sua soffocante protezione.
Questo suo mutamento viene definito come il passaggio dall' “erudizione al bello”.
In seguito al 1816 compirà nuove esperienze, di vita e culturali: le letture "preromantiche"
come la Vita di Alfieri, il Werther di Goethe e l’Ortis di Foscolo; una prima esperienza
amorosa(più fantastica che reale); l’avvio dell’amicizia con il letterato Pietro Giordani,
classicista ma di idee politiche liberali, che appare a Giacomo come figura di riferimento.
Nel 1819 Giacomo progetta una fuga da Recanati, consapevole che il padre non gli avrebbe
mai concesso di lasciare il paese. Il progetto viene scoperto , però, da Monaldo e quindi è
costretto a rinunciarci.
Il disagio interiore creatosi con il fallimento del suo progetto di fuga si manifesterà sul piano
fisico: si presentano dei disturbi agli occhi. La drammatica situazione psico-fisica in cui si
trova porta Leopardi a prendere coscienza della propria infelicità; scoprirà così il “vero”.
Tra il 1820 e 1821 Leopardi delinea nuclei importanti della sua filosofia, come la “teoria del
piacere” e i fondamenti della sua poetica del “vago e dell’ indefinito”,poetica anticipata da
L’infinito del 1819.
Nel 1822 Monaldo gli concede di uscire da Recanati per soggiornare a Roma, presso lo zio
Carlo Antici.
Sarà per lui un’esperienza deludente: la città eterna ,con i suoi palazzi immensi , le sue
grandi strade, gli crea un senso di spaesamento e solitudine. La società romana gli appare
dominata dal clientelismo e dalla corruzione, gli ambienti culturali, in cui prevale la passione
per l’antiquaria e la letteratura tardo antica, gli sembrano ancora più attardati di Recanati.
Torna a Recanati nel 1823 ,deluso, senza aver trovato una reale collocazione e anzi con la
triste consapevolezza della sua inabilità a vivere.
La grave crisi d’identità seguita dalla delusione recatogli da Roma è superata con
l’intensificarsi della riflessione filosofica.Essa porta Leopardi a definire un nuovo sistema di
pensiero originale: il “pessimismo cosmico; che si concretizzerà nell’abbandono temporaneo
della poesia, in favore della prosa di meditazione filosofica delle Operette morali( riflessione
disincantata sulla pena di vivere), scritte da lui nel 1824.
Tra il 1825 e il 1828 Leopardi, nonostante le precarie condizioni di salute, colse ogni
possibile occasione per vivere lontano da Recanati, trasferendosi prima a Milano nel 1825,
Firenze nel 1827 e Pisa nel 1818.
In quest’ultima riscoprì il «cuore di una volta» e l’ispirazione poetica ( compone Il
risorgimento e A Silvia).
Stringenti necessità economiche costringono Leopardi a fare ritorno a Recanati, dove
passerà momenti terribili a causa dell'aggravarsi della sua patologica malinconia.
Nonostante ciò compose i suoi più grandi testi poetici (Le ricordanze, La
quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante
dell’Asia).
Grazie alla generosità degli amici fiorentini nel 1830 poté tornare nella città toscana e
lasciare definitivamente Recanati. Una volta arrivato a Firenze , però si isola, perché in
contrapposizione alla cultura disinteressata al bello poetico e alla letteratura e disposta solo
verso la politica e gli studi “utili”.
A Firenze giacomo conosce Giacomo Ranieri, un giovane letterario napoletano con il quale
Leopardi stringerà una grande amicizia, tanto da intima da scegliere di vivere con lui.
Si innamora , poi di Fanny Targioni Tozzetti, che gli ispirò le poesie del «ciclo di Aspasia»;
curò inoltre la prima edizione dei Canti, nel 1831, compose le ultime operette morali, fra cui
il” Dialogo d’un venditore d’almanacchi e di un passeggere” e scrisse le ultime pagine dello
Zibaldone, che datano al 1832.
Gli ultimi anni del poeta , che dal 1833 si ristabilisce con Ranieri a Napoli,saranno sanciti da
un degrado economico tanto grave che si ritroverà a chiedere denaro al proprio padre , si
aggiungono, poi, le sue condizioni di vita sempre più precarie.
Prostrato dall’idropisia e dall’asma , Leopardi morirà il 14 giugno del 1837, a soli 39 anni.

LE TEMATICHE PRINCIPALI DELLA POETICA LEOPARDIANA


Nel 1817 Leopardi inizia a stendere gli appunti dello Zibaldone, nel quale scrive che per lui
poesia e filosofia sono legate, dato che le acquisizioni filosofiche si traducono direttamente
in idee sulla poesia . Quella di Leopardi è una poesia nutrita costantemente di meditazione e
pensiero.
Tra il 1817 e il 1822 Leopardi inizia una riflessione sui concetti antitetici di : natura/ragione,
natura/civiltà, bello/vero.
Se la natura è il regno del bello ed è generosa dispensatrice all’uomo di vitali illusioni, la
ragione rappresenta la conoscenza razionale e scientifica, distrugge il bello e le illusioni.
All’antitesi natura/ragione, bello/vero si associa e intreccia l’antitesi antichi/moderni( evidente
nel Discorso di un italiano sulla poesia romantica, che mette in contrapposizione classicisti e
romantici) : secondo Leopardi la poesia autentica ha origine dal mondo antico. Leopardi
idealizza il mondo classico come età di armonia uomo-natura, età di felici illusioni in cui la
poesia è grandissima proprio per il potere smisurato dell’immaginazione.
Per leopardi il mondo antico è un mondo pre-scientifico e addirittura pre-razionale e proprio
per questo viene assimilato alla condizione infantile.
La civilizzazione è per Leopardi negativa perché distrugge le illusioni , corrode
l'immaginazione e allontana dalla natura.
Leopardi è un poeta vicino , come modo di pensare,al “ classicismo romantico”: gli antichi
non sono modelli per la loro perfezione stilistica, ma perché capaci di creare immagini
poetiche grazie alla loro spontanea vicinanza alla natura.
Per fare poesia nel mondo moderno bisogna cercare di ricreare quel rapporto spontaneo
con la natura degli antichi.
Nel 1819 Leopardi vive la traumatica fine delle illusioni (la gloria, l’amore,la felicità) che
cedono il passo al “vero”. L’immaginazione poetica si spegne : da poeta Leopardi diventa
“filosofo”.
L’esperienza dolorosa della malattia agli occhi e della crisi esistenziale diventa lucido
strumento conoscitivo, che egli applica alla riflessione sulla condizione umana.
La meditazione di Leopardi si concentra sul tema felicità/infelicità, tema che dalla sfera
personale estende alla storia intera della civiltà. Leopardi fa un parallelismo tra la
“mutazione” ,che lo porta da poeta a diventare filosofo, e il divenire delle civiltà: la
conoscenza del “vero” propria della modernità ci allontana dalla felice condizione degli
antichi e porta alla noia e al tedio, alla morte della poesia.
Questa fase viene definita “pessimismo storico”, evidenzia nella canzone Ad Angelo Mai, del
1820.
Tra il 1820 e il 1821 Leopardi elabora “la teoria del piacere”.Essa si collega strettamente alla
poetica del”vago e dell’indefinito”, anticipata dall’Infinito del 1819.
Il tema su cui Leopardi riflette in questo periodo è la felicità.
Per lui il piacere è legato alla dimensione terrena e alla sfera sensoriale.
Secondo Leopardi il piacere vero nella realtà non esiste e si riduce allora ad essere
momentanea mancanza di infelicità, oppure attesa, speranza di una felicità che poi
inevitabilmente la realtà vanifica( “allegorie del piacere”del 1828-30: Il sabato del villaggio e
La quiete dopo la tempesta).
Poiché il piacere non può realizzarsi nella realtà , diventa finzione, evocazione di sensazioni
indefinite e vaghe in cui l’uomo trova consolazione alla dura realtà dall’”arido vero”.
Nello stesso periodo Leopardi scrive gli Idilli, una serie di liriche in cui la dimensione
sentimentale,la riflessione su di sé e sul mondo, consegue al crollo delle sue illusioni,
convive con i barlumi di una poesia pura frutto dell’insperato recupero di una dimensione
immaginativo fantastica non ancora intaccata dalla consapevolezza razionale: dimensione
che attinge al piacere dell’indefinito e del vago, che sembrerebbe precluso all’uomo
moderno.
La poesia di Leopardi ha a che fare con il riaffiorare inaspettato di immagini e percezioni
infantili; infatti ,lui pensa che nell’infanzia si sia ancora in grado di sensazioni vaghe e
indefinite.
Con la scrittura delle Operette morali, Leopardi evidenza un mutamento del suo pensiero:
l’infelicità appare come una condizione ontologica,cioè immutabile nello spazio e nel tempo
e la natura è la prima responsabile dell’infelicità umana, perchè ha dato all’uomo il desiderio
infinito del piacere,condannandolo al contempo di non raggiungerlo mai,e anzi
perseguitandolo con malattie, sofferenze,decadimenti fisico della vecchiaia.
Aderisce a una concezione materialistico-meccanicistica della natura: l’universo si
autoconserva attraverso un ciclo continuo, soggetto a leggi immutabili, di produzione e
distruzione. All’interno di questo processo l’uomo è solo un’ingranaggio. La sua
conservazione o distribuzione rientra nel “progetto” della natura ,il cui unico fine è
autoperpetuarsi.
Questa fase viene definita “pessimismo cosmico”.
Progressivamente il giudizio sulla ragione si trasforma: anche se non può dare la felicità,
l’uso della ragione conferisce dignità all’uomo.
Il compito dell’intellettuale è quello di raccontare la verità delle cose senza cedere a forme
consolatorie.Da qui deriva la polemica che caratterizza “l’ultimo Leopardi” nei confronti degli
intellettuali del suo tempo e della cultura cattolico liberale.

I CANTI
La composizione dell’opera accompagnò tutta la vita del poeta; le poesie coprono ,infatti, un
arco cronologico che va dal 1818 al 1836 ed ebbero ben cinque edizioni,
dalle Canzoni del 1824 a quella definitiva stampata postuma nel 1845 dall’amico Antonio
Ranieri . Il titolo, che si impose a partire dalla terza edizione (1831), indica una poesia lirica
non legata a una forma metrica precisa, ma che costituisce libera espressione dei più vivi
affetti dell’uomo. L’edizione definitiva comprende 41 testi, ordinati secondo criteri diversi
(metrico, cronologico, tematico) e suddivisi in cinque blocchi. Le liriche sono disposte in
maniera da tracciare la storia di un’anima, quella di Leopardi.
1. Le canzoni: le canzoni sono nove tra le quali troviamo All’Italia, Alla primavera o delle
favole antiche, Inno ai Patriarchi o de’ principii del genere umano, Ultimo canto di Saffo.
Sono caratterizzate da struttura ritmica complessa, lessico raro e anticheggiante, figure
retoriche (come ellissi e iperbati) che rendono complessa la lettura, erudizione antiquaria
(allusioni dotte, richiamo a miti classici poco noti); ai temi civili (la riscossa culturale e politica
dell’Italia) si affiancano quelli filosofici, con le prime compiute riflessioni sull’infelicità
dell’uomo moderno: la fine dello stretto rapporto con la natura,
tipico degli antichi, e la caduta delle illusioni portano alla progressiva rivelazione dell’«arido
vero».
2. Gli idilli:gli idilli o piccoli idilli sono cinque tra i quali troviamo L’infinito, La sera del dì di
festa, Alla luna e costituiscono una novità sul piano metrico (Leopardi utilizza gli
endecasillabi senza una struttura ritmica fissa), stilistico (sintassi semplice e periodare
breve, lessico e figure retoriche che puntano sul vago e l’indefinito) e tematico (dominano i
temi esistenziali, come l’infinito, il tempo, il ricordo).
Con gli idilli l’io diventa protagonista assoluto: la poesia ha il compito di registrarne i
sentimenti e i moti interiori.
Si fa sempre più urgente in Leopardi la necessità di «investigare l’acerbo vero» dell’infelicità
umana.
3. I canti pisano-recanatesi o grandi idilli:i canti pisano-recanatesi (A Silvia, Le ricordanze,
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Il sabato del villaggio) segnano il ritorno di
Leopardi alla poesia dopo la stagione delle Operette morali; un tempo detti “grandi idilli”,
costituiscono una meditazione sull’esistenza contrassegnata dal passaggio al cosiddetto
«pessimismo cosmico».
Dal punto di vista metrico fa la sua comparsa la canzone libera, formata da endecasillabi e
settenari uniti senza più vincoli strutturali.
Dal punto di vista tematico l’io poetico, ormai adulto, guarda alla fanciullezza attraverso la
lente deformante della memoria. Notiamo una fusione fra la poesia del “noi” delle canzoni e
quella dell’“io”degli idilli: l’io poetico si radica nelle esperienze
autobiografiche facendosi portavoce del comune destino di sofferenza dell’umanità. Anche
tra pensiero e poesia si ha una riuscita simbiosi: osserviamo strutture argomentative anche
ampie e sintatticamente articolate,che però mantengono sempre una dimensione affettiva.
4. Il ciclo di Aspasia:il ciclo di Aspasia (Amore e morte, A se stesso) comprende i canti
ispirati all’amore (non ricambiato) per Fanny Targioni Tozzetti. La caduta dell'ultima illusione
pone definitivamente il poeta di fronte alla disperazione
assoluta, che egli assume consapevolmente raffigurando la propria eroica resistenza contro
la malvagità del destino. Il linguaggio si fa più teso e aspro, al lessico del vago e
dell’indefinito si sostituisce quello del mistero e della terribilità.
5. I canti napoletani:i canti napoletani (La ginestra, Il tramonto della luna) vedono
l’eliminazione dell’io poetico a vantaggio di una riflessione impersonale su una verità
universale che prescinde dall’esperienza del singolo; in particolare la Ginestra denuncia la
precarietà dell’esistenza umana all’interno di una macchina cosmica che la trascende e la
ignora, rivendicando però la dignità della sofferenza che sfocia nella solidarietà fra gli
uomini. Lo stile si fa severo e oggettivo, la descrizione convive con l’argomentazione e il
linguaggio vago e indefinito con la precisione del ragionamento filosofico.

LE OPERETTE MORALI
L’edizione definitiva (1845, postuma) riunisce 24 prose, composte nel 1824 (19), 1825 (1),
1827 (2) e 1832 (2). Il titolo dell’opera ne indica l’argomento (la filosofia morale, che studia i
comportamenti dell’uomo) e ne sottolinea l’apparente leggerezza, assieme alla rinuncia
dell’autore a costruire un trattato sistematico. Leopardi si ispira ai Dialoghi dello scrittore
greco Luciano (II secolo d.C.) e al romanzo filosofico illuminista; da questi modelli riprende:
la varietà delle forme (dialoghi, narrazioni, brevi trattati); la capacità di invenzione fantastica
(fra i protagonisti compaiono gnomi e folletti, concetti astratti, personaggi della storia e della
mitologia), lo stile elevato e venato di ironia.
Questi scritti, nati dalla «conversione filosofica» del 1819 e dalla «teoria del piacere»
(1820-21), esprimono il disincanto di Leopardi, la caduta di ogni speranza, e si
concretizzano in una filosofia dolorosa ma vera.
Fra i temi fondamentali:la critica ai falsi miti dell’età contemporanea (dalla religione al
progresso scientifico) e alla concezione finalistica e antropocentrica dell’universo; la visione
della natura non più come madre benefica degli uomini, bensì come matrigna
indifferente e prima causa della loro infelicità; l’emergere, accanto alla critica e al sarcasmo,
di sentimenti di pietà e solidarietà nei confronti degli uomini, in nome dei quali, per esempio,
viene respinta la facile via di fuga del suicidio.
Lingua e stile sono assai innovativi: dominano l’ironia, il paradosso e lo straniamento;
linguisticamente Leopardi rifiuta il modello cinquecentesco come quello illuministico per
rifarsi a Galileo, maestro della divulgazione scientifica.

LO ZIBALDONE
“Lo Zibaldone di pensieri” ,lo stesso Leopardi così denominò, nel 1827, il manoscritto in cui
andava raccogliendo alla rinfusa materiali vari e disparati, sottolineandone il carattere
personale e privato (non si tratta di un testo scritto per la pubblicazione, che avvenne solo
postuma, tra il 1898 e il 1900) assieme alla preminenza della riflessione filosofica. Si tratta di
una cospicua raccolta di appunti, osservazioni, ricordi, note di lettura, discussioni, su temi
politici, filosofici, letterari, sull’uomo, sull’universo, scritti fra il luglio 1817 e il 4 dicembre
1832.
Di fatto, uno strumento per chiarirsi con se stesso, un serbatoio di materiali per le opere da
comporre e un laboratorio per esperimenti stilistici. Per noi, una particolare testimonianza
della scrittura privata di Leopardi e, soprattutto, un documento fondamentale per seguire
l’evoluzione del suo pensiero, di cui possiamo ricostruire quattro fasi principali:
-l’elaborazione della «teoria del piacere»(1820-21)
-la scoperta (1822) del pessimismo degli antichI
-la scoperta (1825) dei filosofi sensisti, che spinge Leopardi verso il materialismo e il
meccanicismo e gli fa maturare la sfiducia nei confronti del progresso (unico vero progresso
per l’uomo sarebbe la conquista della felicità, meta irraggiungibile).
-la definitiva rinuncia alle speranze religiose e l’adesione a un ateismo dichiarato.

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