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GIACOMO LEOPARDI

Nasce il 29 Giugno 1798 a Recanati, nelle Marche allora appartenenti


allo stato pontificio, anno della rivista Athenaeum, in famiglia
aristocratica.
Primo di 10 figli è particolarmente legato a Carlo e Paolina, ricorda nello
Zibaldone infatti i loro giochi infantili. La famiglia è una delle più illustri
della nobiltà marchigiana il cui patrimonio viene amministrato dalla
madre Adelaide, una donna fredda e priva di affetto nei confronti dei figli,
fatto che condiziona l’adolescenza del Leopardi che vive appartato e
lontano dai rapporti sentimentali.
Isolato dal mondo e istruito da precettori ecclesiastici e dal padre,
studioso e amante della letteratura classica, Leopardi trova rifugio
nella biblioteca paterna dove trascorre sette anni di studio che gli
garantiscono un’enorme cultura ma compromettono la sua salute fisica e
psichica.
A questo periodo risalgono numerosi scritti che dimostrano la precoce
formazione del giovane: Leopardi conosce già da adolescente il latino,
greco ed ebraico; a 18 anni compone “Le Rimembranze” e nello stesso
periodo anche altre opere come “La storia dell’astronomia”.

LA “CONVERSIONE LETTERARIA” E LE PRIME PROVE


POETICHE
Intorno al 1816 Leopardi matura la conversione letteraria che lo porta
dall'erudizione al bello, cioè un accumulo di nozioni derivate dalla
lettura dei grandi poeti classici come Omero e Dante, a cui si
aggiungono presto testi più moderni come Foscolo.
In modo parallelo si evolve anche il suo pensiero con un arricchimento
culturale, grazie all'amicizia epistolare con il letterato classicista Pietro
Giordani; inoltre nel dibattito culturale tra romantici e classicisti
schierandosi a fianco degli ultimi e rispondendo due volte a Madame
de stael tramite due scritti del 1816 e 1818.
Nel 1817 afferma in una lettera la propria oppressione a Recanati e
che l’unico divertimento è lo studio.
Nel 1818 scrive le canzoni civili dedicandole all'italia e a Dante, inoltre
abbandona le posizioni reazionarie ereditate dal padre maturando in
campo politico un patriottismo molto rigido.
IL “CARCERE” RECANATESE E LA “CONVERSIONE DAL
BELLO AL VERO”
Questi anni il senso di isolamento e disagio esistenziale si
accumulano, accentuati da vari problemi psicofisici e pressioni di
parenti che vorrebbero indirizzarlo alla carriera ecclesiastica.
Per questo motivo nel 1819, ormai ventunenne e quindi maggiorenne,
progetta la fuga da Recanati ma viene scoperto dal padre prima di
poterla mettere in atto.
Le sofferenze personali aprono la strada alla riflessione filosofica e ad
una seconda conversione dal Bello al vero, Leopardi abbraccia le
teorie materialistiche legate al meccanicismo settecentesco.
Gli anni che vanno dal 1819 al 1821 vengono considerati anni di crisi
personale, si dice che il giovane tentò il suicidio in quanto malato,
asmatico, infermo e inoltre sofferente dall’imposizione del padre di
rimanere chiuso a Recanati.
Allo stesso modo però gli anni tra il 1819 e il 1823, sono quelli in cui la
produzione poetica è più intensa, Infatti questa vede la stesura dei
primi Idilli come l'infinito e nuove canzoni filosofiche; intanto diventa
anche più sistematica la stesura dello Zibaldone, un diario privato in
cui deposita appunti, note e pensieri di vario genere.

IL SOGGIORNO A ROMA E IL SILENZIO DELLA POESIA


Nel 1822 Leopardi ha occasione di uscire da Recanati grazie all'amico
Pietro Giordani: il poeta si reca a Roma dove viene ospitato dallo zio
paterno per un anno. Il viaggio si rivela una delusione in quanto
Leopardi trova mediocri i salotti mondani e resta indifferente nei confronti
della monumentalità della città. Scrive a Carlo lamentandosi di ogni
aspetto della vita romana e anche criticando il modo di intendere la
letteratura e il mestiere di letterato, molto lontano dal suo.
Fallisce il tentativo di ottenere un incarico presso il governo
pontificio e quindi non gli resta che tornare a Recanati, convinto che il
proprio senso di malessere esistenziale sia una condizione
universale e ineliminabile, è propria di ogni uomo ed ogni tempo.
Così la vena poetica si inaridisce: tra il 1823 e il 1828 Leopardi
abbandona la stesura dei testi poetici, imponendosi un organica
riflessione sul significato dell'esistenza. Inizia così la composizione
delle Operette morali a cui lavora dal 1824 iniziando una nuova fase
del proprio pensiero, sono brevi narrazioni sotto forma di dialogo che
hanno un risvolto morale, riflessivo e filosofico.

LONTANO DA RECANATI
Nel 1825 Leopardi si stabilisce a Milano grazie all'incontro con
l'editore Stella il quale gli offre una serie di incarichi e che crede nelle
sue produzioni.
Così Leopardi si stacca da Recanati e dalla propria famiglia
trasferendosi alla fine dello stesso anno a Bologna, in cui pubblica le
prime canzoni e nel 1827 a Firenze, in cui trova degli estimatori
intellettuali e di fede liberale.
Tra il 1827 e il 1828 si reca Pisa, luogo che favorisce il ritorno alla
poesia grazie sia al clima, adatto alla sua salute, sia all'affetto degli
amici.
Da questa condizione molto serena nascono i primi Canti della
stagione pisano-recanatesi che continua anche quando le necessità
economiche e la morte del fratello lo costringono a fare ritorno a
Recanati.
Qui, oppresso di nuovo, trascorre quelli che dichiara “16 mesi di notte
orribile” durante i quali compone alcuni dei suoi canti più alti: le
ricordanze (caro il tema del ricordo), La quiete dopo la tempesta, Il
sabato del villaggio e, tra il soggiorno a Pisa e a Recanati, gli Idilli
(delle massime, pensieri che raccontano la sensibilità di Leopardi).

IL PERIODO FIORENTINO
Nel 1830 Leopardi accetta l'invito degli amici fiorentini che gli offrono un
assegno mensile per un anno in cambio di collaborazioni critico
letterarie. Lascia così il paese natale in cui non tornerà più e inizia
una nuova fase della sua vita, ricca di stimoli intellettuali e più
aperta ai rapporti sociali: Leopardi frequenta i salotti letterari con uno
spirito polemico, e conosce il Manzoni.
A Firenze Leopardi sperimenta anche l'unica passione amorosa della
sua vita, innamorandosi di Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna
che riceveva artisti e letterati nel suo salotto.
Il poeta a causa della delusione provocata da questo amore non
ricambiato scrive le liriche del ciclo di Aspasia, 4 liriche pessimistiche
in cui il pensiero dominante è la morte dell’amore.

IL PERIODO NAPOLETANO E LA MORTE


A Firenze Leopardi strinse amicizia con Antonio Ranieri, letterato e
uomo politico con ideali liberali, assieme al quale nel 1833 si trasferisce
a Napoli.
Qui concorda con l'editore Starita la pubblicazione di tutte le proprie
opere che però viene interrotta dalla censura austriaca; Intraprende
anche la stesura di una raccolta di pensieri.
L'ambiente napoletano, con tendenze cattolico Liberali, fa nascere il
Leopardi un vivo spirito polemico. Nel 1836 assieme all'amico Ranieri,
si trasferisce a Torre del Greco per sfuggire ad una epidemia di
colera che si era diffusa a Napoli. Qui concepisce “La ginestra”,
componimento che può essere considerato il suo testamento
poetico in cui viene espresso un pessimismo eroico che si apre
all'ideale della solidarietà.
Rientrato a Napoli, Leopardi muore a 39 anni il 14 giugno 1837: per
suo volere il poeta Ranieri si occupa dell'edizione postuma delle sue
opere assieme alla sorella Paolina, con cui riordinerà i canti.

IL PENSIERO
E’ filosofo in quanto ricerca la realtà attraverso il
dolore. Il suo è un sistema conoscitivo diviso in fasi
che corrispondono alla maturazione del suo
pensiero.
Da una fase individuale ad una universale.

IL PESSIMISMO COME SISTEMA FILOSOFICO DI CONOSCENZA


L'intera opera di Leopardi si basa sulla riflessione filosofica intorno
alla condizione dell'uomo e alla sua infelicità.
Questo determina un legame costante tra poesia e filosofia: la
componente concettuale dell'opera è stata minimizzata per l'intero 800 a
causa delle distanze delle posizioni leopardiane dagli orientamenti come
l'idealismo, il positivismo e la cultura progressista; si contrapponevano
infatti al materialismo e al pessimismo del poeta.
Non solo i posteri hanno stentato a riconoscere la grandezza intellettuale
del Leopardi, ma anche i contemporanei che attribuirono alle sue
riflessioni una visione pessimistica dettata da sofferenze fisiche e
psichiche dell'autore, dall'isolamento culturale e dalla difficoltà di
stabilire rapporti interpersonali.
In realtà Leopardi supera i limiti di una prospettiva pessimistica
individuale per volgersi a riflettere da quasi subito, più in generale,
sulla condizione esistenziale di tutti gli uomini.
Pessimismo individuale che esprime nelle canzoni del
suicidio

IL PESSIMISMO STORICO
I critici hanno individuato nel pensiero leopardiano una serie di fasi che
si susseguono dagli anni giovanili (1816-18) fino agli ultimi anni di vita
(1836-37).
Inizia ad analizzare il mondo in generale andando
oltre il pessimismo individuale.
-Leopardi inizia fin dall'età giovanile a trasformare la propria
sofferenza psicofisica in uno strumento di conoscenza,
interrogandosi sulla natura e sull'origine dell'infelicità umana.
In una prima fase della propria riflessione giunge alla conclusione che
la sofferenza degli uomini non dipenda dalla natura ma
dell'evoluzione della civiltà nel suo progredire storico.
Secondo Leopardi, alle origini, i popoli antichi vivevano a stretto
contatto con la natura che, come una madre benevola, dotava gli
uomini della capacità di immaginare tipica dell'infanzia. Quindi, pur non
essendo propriamente felici, erano animati da delle illusioni che
rendevano la loro vita più attiva e senza noia.
Della storia però l'affermarsi della ragione della civiltà, ha allontanato Le
illusioni generate dalla natura, svelando la realtà e portando gli uomini
all'angoscia.
E’ questa fase, detta del “pessimismo storico”, che attribuisce
l'infelicità umana all'abbandono dello stato di natura, sottolineando la
superiorità del mondo antico rispetto all'età moderna, in contrasto
con la natura stessa.
La storia viene percepita come un processo di degenerazione in cui
l'unico modo per recuperare le illusioni passate, e sottrarsi al
presente, è imitare la civiltà e la poesia classica. Altri modi per
recuperare la vitalità antica sono l'azione e l'eroismo, che emergono
nelle canzoni giovanili assieme al titanismo.

LA “TEORIA DEL PIACERE”


Dal 1819 Leopardi vive una crisi profonda che segna il suo itinerario di
riflessione esistenziale filosofica contribuendo all'evoluzione delle
proprie condizioni una serie di eventi: l'allontanamento dalla religione
cattolica, il fallimento dei moti del 1821, la delusione dovuta al
soggiorno romano nel 1823.
Alcune annotazioni dello Zibaldone testimoniano l'adesione alle teorie
del materialismo illuministico e l'elaborazione della teoria del
piacere, Leopardi concepisce la materia come unica realtà e i sensi
come gli strumenti principali della conoscenza umana, capaci di
trasmettere al pensiero esperienze e percezioni.
La felicità si identifica con il piacere, legato ai sensi e alla materia;
ma l'uomo desidera un piacere infinito che non esiste in natura e a
cui impossibile arrivare. Nasce quindi una contraddizione che ha come
conseguenza l'infelicità dell'uomo e la percezione della sua nullità.
L'unica via attraverso cui l'uomo può raggiungere un piacere illusorio è
l'immaginazione data dal ricordo di un piacere passato e l'attesa di un
piacere futuro.

IL PESSIMISMO COSMICO
La teoria del piacere apre la strada alla riflessione che dura dal 1823 al
1830: “il pessimismo cosmico”.
In questa nuova teoria l’infelicità dell'uomo non è più il risultato di un
processo storico ma un dato assoluto ed ineliminabile, che riguarda
tutte le creature viventi di tutte le epoche.
La natura quindi non è più vista come una madre benevola ma come un
meccanismo cieco e crudele che si occupa solo del ciclo
dell'esistenza, cioè la nascita e la morte dei singoli individui, senza
curarsi della loro sofferenza o del loro benessere.
Il dolore non è più solo assenza di piacere ma viene visto come un
tormento materiale dovuto a calamità naturali, malattie, morte.
Vengono rovesciati quindi i rapporti tra natura e civiltà; la ragione e la
civiltà, che venivano viste nel pessimismo storico in modo negativo,
adesso permettono all'uomo sia di eliminare ogni possibile illusione
di piacere, sia di accettare con consapevolezza la propria sorte
infelice.
Nonostante ciò l'antichità apparirà sempre a Leopardi un'epoca positiva
rispetto al tempo moderno.
Il peso dell'evoluzione filosofica porta Leopardi, tra il 1823 è il 1827, ad
abbandonare la poesia e a tradurre gli esiti della propria riflessione in
prosa nelle Operette morali, con linguaggio satirico ed ironico; solo nel
1828, con i canti pisano-recanatesi, si aprirà una nuova stagione della
poesia leopardiana, nei quali trova voce la consapevolezza del vuoto
dell'esistenza a cui è condannato il genere umano.

IL TITANISMO EROICO
Nel pensiero maturo dell'autore il pessimismo assoluto si affianca
al distacco ironico e di rassegnazione.
Nessuna consolazione appare accettabile, nemmeno l'amore: nelle
liriche scritte a Firenze la disillusione sentimentale e il definitivo rifiuto
delle illusioni determinano una trasformazione radicale del linguaggio
poetico e il superamento della stessa infelicità. La condizione
dell'individuo e ontologicamente negativa e nessuna ideologia sulla
Provvidenza può giustificarla né risolverla.

LA SOLIDARIETÀ TRA GLI UOMINI


Quando va a Napoli
Nell'ultima fase della sua poesia Leopardi supera l'atteggiamento del
distacco ironico nei confronti dell'infelicità universale per riscoprire il
valore della solidarietà umana. Nella Ginestra (una pianta ramificata che
rappresenta la fratellanza umana) il poeta rivolge all'umanità un
insegnamento morale e civile con una proposta utopica: presa coscienza
della propria fragilità gli uomini dovrebbero unirsi in una “Social catena”
di fronte al vero nemico, cioè la natura matrigna.
Essi dovrebbero confortarsi a vicenda per ridurre il dolore e
rafforzare la poca felicità consentita, giungendo così a costruire
una società sulla base della Fratellanza.
La qualità della civiltà e della dignità umana viene riaffermata attraverso
l'accettazione di un destino di sofferenza con cui l'uomo ha chiamato a
confrontarsi senza vittimismo e senza risentimento verso gli altri uomini,
accomunati dalla medesima infelicità.

LO ZIBALDONE
POESIA E RIFLESSIONE: Leopardi accompagna per tutta la vita la
stesura di opere letterarie alla composizione di testi, pubblici e privati, in
cui espone i principi della sua poetica e della sua visione del mondo e
dell'uomo.
Queste opere ricostruiscono l'evoluzione del proprio pensiero e della
propria arte in tutto lo sviluppo delle sue apparenti contraddizioni.

LO ZIBALDONE: Essenziale per comprendere Il processo


intellettuale di Leopardi, le letture, il proprio pensiero, e la genesi della
propria Opera.
Venne pubblicato per la prima volta tra il 1898 e il 1900 da una
commissione dove era presente Giosuè Carducci: al 1937 risale
l'edizione critica.
Il termine Zibaldone indica un insieme disorganico di appunti
eterogenei, l'opera, aperta e dinamica, riunisce annotazioni di varia
natura: metafisica, logica, linguistica, poetica, antropologica.
Nei primi anni Leopardi vi registra soprattutto considerazioni di
argomento letterario, dal 1820 al 1827 annota riflessioni esistenziali,
progetti e approfondimenti culturali.
Dal 1827 gli appunti si concentrano su questioni filologiche e si fanno più
discontinue fino all'interruzione nel 1832.

L'opera non era destinata alla pubblicazione, questo è testimoniato dallo


stile che è immediato è sintetico. L'importanza attribuita dall'autore è
dimostrata da un lavoro di sistematizzazione e indicizzazione che
intraprende nel 1827, raggruppando e connettendo tutte le tematiche
presenti.
Viene evidenziata così la consistenza filosofica intellettuale dello
Zibaldone che, dietro l'apparenza caotica, presenta una struttura forte e
compatta, resa così dalle tematiche ricorrenti sviluppate negli anni.

CANTI
UNA RACCOLTA ORGANICA: Nella definitiva edizione, postuma del
1845 e a cura di Antonio Ranieri, i Canti comprendono 41
componimenti di diversa lunghezza e metrica, scritti fra il 1816 è il
1837. La pubblicazione delle poesie era iniziata in ordine sparso dal
1819, ma solo con le edizioni successive, il volume ha assunto una
organicità e il titolo Canti, che dichiara la coincidenza tra linguaggio
poetico e genere lirico.
L’edizione definitiva mostra spostamenti strutturali rispetto alle edizioni
precedenti, nelle quali la disposizione dei testi non rispettava l'ordine
cronologico di composizione.
Il lessico è moderno, sciolto e raramente con rime.
In tutte le edizioni i testi si dispongono nel libro secondo criteri
cronologici, tematici e di genere, testimoniando lo sviluppo del
pensiero e della poetica dell’autore, e anche la volontà di costruire un
libro con un itinerario sentimentale di esistenziale, e che evidenzia
l'evoluzione della meditazione sul senso della vita, sul dolore e
sull'illusione della felicità. I temi sono quindi molto astratti e immaginativi.

L'edizione definitiva dei canti viene distinta in tre grandi gruppi di testi
corrispondenti a tre fasi della produzione dell'autore:
Il primo gruppo (1818-23) comprende le canzoni e gli Idilli di tipo
civile-filosofico e lirico-autobiografico;
Il secondo gruppo (1828-30) raccoglie i canti pisano-recanatesi detti
grandi idilli;
Il terzo gruppo (1831-36) include il “ciclo di Aspasia” e le ultime liriche
(alcune canzoni sepolcrali, “La Ginestra”) assieme ai componimenti
minori.
LE CANZONI
Il primo nucleo dei canti comprende canzoni ed Idilli composti nello
stesso arco di tempo ma tra loro differenti per tono e stile.
La raccolta è aperta da un gruppo di nuove canzoni ideate tra il 1818 e il
1822, nel periodo del pessimismo storico (in cui vede l'infelicità umana
come frutto dell'evoluzione storica della civiltà e dell'allontanamento
dell'uomo dalla natura).
La realtà storica appare inadeguata e passiva, i contemporanei sono
incapaci di sentimenti grandi ed azioni eroiche.
Le prime canzoni toccano temi patriottici, legate alla decadenza morale
e intellettuale dell'Italia che dimentica la sua Antica Gloria e le sue
tradizioni punto subito dopo vi sono le canzoni di contenuto filosofico ed
esistenziale rievocano l'età dell'innocenza in cui gli esseri umani
vivevano in armonia con la natura.
Al tema del suicidio sono dedicate “Bruto minore” e “l'ultimo canto di
Saffo”, quest'ultima collega canzoni e Idilli e Leopardi se ne serve per
esporre l'ipotesi dell'infelicità come elemento intrinseco alla vita
umana.
Le canzoni sono accomunate dallo stile Aulico e letterario, vicino ai
modelli classici nella complessità della sintassi e nella frequenza di
metafore e lessico ricercato.

GLI IDILLI=sono canti


Idillio= dal greco eidolon, composizione e quadretto campestre, la natura
come sfondo dei versi.
La genesi delle canzoni civili è contemporanea a quella degli Idilli:
l'infinito, alla luna, la vita solitaria. Composti tra il 1819 e il 1821 e tutti in
endecasillabi sciolti; si differenziano dalle canzoni sia nei contenuti,
che sono più intimi ed autobiografici, sia nella forma più semplice e
caratterizzata da una metrica aperta e da lessico meno elaborato.
Leopardi abbandona la solennità delle canzoni e utilizza un linguaggio
lirico nuovo, basato sulla poetica del vago e dell'indefinito.
Questi testi si ricollegano al quadro di vita campestre tipico della
poesia pastorale greca e recuperato anche dal gusto settecentesco.
Gli Idilli leopardiani intendono trarre spunto dalla descrizione della natura
per dar voce a sensazioni e stati d'animo del soggetto lirico.
Negli Idilli Leopardi ha espresso situazioni e avventure storiche del suo
animo, come afferma egli stesso evidenziando il carattere soggettivo di
questi testi in contrapposizione con quello oggettivo delle canzoni.

Nel “l'infinito” il paesaggio naturale fa da sfondo all'immaginazione


dell'infinito e dell'eternità, mentre nella “la sera del dì di festa”, l'io lirico
medita con uno sfondo lunare sulla fugacità della vita.
I piccoli idilli fanno parte della fase del pessimismo storico, i grandi
idilli sono più maturi e fanno parte della fase della teoria del piacere
e pessimismo cosmico (canti pisano recanatesi).

CANTI PISANO-RECANATESI
Questi canti, definiti anche grandi idilli, vengono composti tra il 1828 e
il 1830. il Risorgimento e a Silvia vengono scritti a Pisa nel 28; le
ricordanze, Il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete
dopo la tempesta e Il sabato del villaggio appartengono all'ultimo
periodo trascorso a Recanati.

Agli stessi anni risale Il passero solitario che chiude la sezione degli Idilli.
Segnano una svolta del pensiero e della poetica leopardiana: sul piano
formale i canti si caratterizzano per l'uso di un linguaggio più
elaborato rispetto agli Idilli e l'utilizzo della canzone libera.

Dal punto di vista tematico Leopardi approfondisce la propria riflessione


arrivando ad un pessimismo cosmico, (l'idea che l'infelicità sia un
elemento intrinseco all'esistenza degli uomini. La natura viene vista
come un meccanismo che tramanda la vita negando all'uomo il piacere
Infinito a cui aspira e punendolo con un dolore irreparabile).

Importante è anche il tema del ricordo: ci sono rappresentazioni di


immagini gioiose legate soprattutto al ricordo dell'adolescenza e alla
vita a Recanati, tutto ciò accompagnato dalla coscienza che ogni
illusione è vana in quanto destinata al cadere di fronte al dolore
dell'esistenza.
In A Silvia il ricordo delle illusioni giovanili del poeta e della fanciulla si
annulla di fronte all'arrivo della morte.
Nella “quiete dopo la tempesta” e nel “sabato del villaggio”, la
descrizione del Borgo si unisce alla riflessione razionale sui piaceri
fugaci, gli unici concessi agli uomini. Al centro dei canti Leopardi colloca
“Il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia” che è incentrato
sul tema esistenziale del senso della vita umana, abbandonando
l'ambientazione recanatese e aprendo la via l'ultima fase poetica.

IL “CICLO DI ASPASIA” E GLI ULTIMI CANTI


Il terzo e ultimo gruppo di testi che costituiscono i canti comprende
esperienze poetiche tra il 1831 e il 1836.
A questa fase appartengono le liriche del ciclo di Aspasia e gli ultimi testi
composti da Leopardi a Napoli, tra cui La ginestra.
Sul piano metrico, si registrano tentativi di innovazione come la strofa “A
se stesso”. Lo stile si allontana dalla lirica e dalla melodia del canto per
arrivare ad un lessico con un registro più ampio e a sonorità più secche.

Il Ciclo di Aspasia comprende 5 liriche scritte tra il 1830 e il 1833 è


legata all'amore infelice per Fanny Targioni Tozzetti, nobildonna
fiorentina cantata con il nome di Aspasia, la cortigiana amata da Pericle
nel V Secolo a.C.
L'amore, che appare come l'ultima illusione che può rendere la vita
degna di essere vissuta, si trasforma in una brutta delusione che si
esprime in “A se stesso” con uno stile asciutto e lontano dallo stile
utilizzato negli Idilli.

Gli ultimi canti, densi di pensiero filosofico, vengono composti durante il


periodo napoletano nel 1834.
Tra questi possiamo ritrovare ad esempio La ginestra.
In questi testi ritroviamo una nuova fase della poesia segnata da un
impegno ideologico civile e da una nuova tensione eroica dell'io lirico
che si accompagna alla polemica contro ogni ottimismo ma si apre alla
fraternità umana.
Il rifiuto di ogni illusione e la critica al tempo presente sono temi centrali
del componimento La Ginestra, ideale testamento poetico di Leopardi
del 1836.
Un pessimismo che non lascia spazio alla speranza, qui troviamo un
piccolo fiore che resiste sulle pendici del vulcano diventando simbolo di
una nuova poesia che canta la possibile Fratellanza fra gli uomini tutti
ugualmente figli della natura matrigna.

OPERETTE MORALI
GENESI E VICENDE EDITORIALI
È la principale opera in prosa di Leopardi, comprende 24 testi di
argomento filosofico in forma di dialogo o narrazione e presentano
una morale.
La prima Ideazione dell'Opera viene modellata sull'esempio dei dialoghi
di samosata e risale al 1819.
L'anno seguente in una lettera a Giordani, Leopardi parla dell’abbozzo di
alcune “prosette satiriche”, progetto ripreso con lo Zibaldone.
Al termine della fase preparatoria, la stesura del nucleo centrale delle
Operette avviene nel corso del 1824, periodo di maturazione e
passaggio al pessimismo cosmico, e distacco dalla poesia per
utilizzare la prosa ed esporre le proprie conclusioni filosofiche.
La prima edizione a fare a Milano nel 1827, comprendeva 20 testi e
presentava una struttura che verrà mantenuta (con solo poche
integrazioni di alcune operette) nella versione definitiva, pubblicata
postuma nel 1845 a cura di Antonio Ranieri.

LA FINALITÀ MORALE
L'opera mostra agli uomini il triste vero della loro condizione,
polemizzando nei confronti delle illusioni ottimistiche proposte dalle
teorie religiose dell'epoca.
Per questo motivo il titolo, tratto dal retore greco Isocrate, riassume il
carattere filosofico e satirico dall'opera.
L'aggettivo “morali”, intende proporre al lettore un'etica nuova,
dignitosa e concreta legata “all’acerbo vero”.
Anche il sostantivo “operette” rinvia a un contenuto etico e
pedagogico che permette di esprimere i contenuti, seri e tragici, in
forma satirica creando una via di mezzo tra la serietà dell'argomento è
la forma leggera; il termine rimanda anche alla forma breve, usata per
esprimere riflessioni filosofiche, non dogmatiche, lontane da ogni rigidità
e orientate verso l'interlocutore.
LA VARIETÀ DELLE FORME
Anche se l'intento delle operette è unitario, l'opera è caratterizzata da
varietà di toni, grazie a fonti e spunti molto eterogenei.
Operette in forma narrativa si alternano ai dialoghi (nei quali uno dei due
interlocutori è un Alter Ego dell'autore stesso), brevi trattati, racconti
mitologici e detti paradossali. Sono presenti l’interrogazione e utilizzo
della dialettica, la forma prevalente è quella dialogica, usata con l’intento
di evidenziare gli elementi distaccati del reale.
protagonisti dei dialoghi sono personaggi storici (come Torquato Tasso
o Cristoforo Colombo); eroi mitologici (come Ercole); entità
personificate (la natura, la moda); folletti, gnomi, diavoli e altre
creature fantastiche; in minor parte qualche figura quotidiana.

LO STILE E IL RUOLO DELL’IRONIA


Nonostante l'eterogeneità di forme e temi, l'opera è unitaria, questo lo si
può notare dall’omogenea visione filosofica e dall'atteggiamento
dell'autore, che esprime le proprie concezioni con tono distaccato ed
ironico, testimoniando la propria lucidità che deriva dall'abbandono di
un'illusione.
Anche se la ricerca del vero è dolorosa, il tratto ironico consola
l'angoscia: la funzione dell'ironia è vicina a quella della poesia. Lo stile
delle operette è uno stile medio, elegante e non artificioso che evita gli
eccessi ti e si mantiene distante sia da toni elevati, sia da forme
grottesche; si possono inoltre ritrovare tratti familiari e dialettali.

LE TEMATICHE
Della riflessione ci sono i nodi tematici della meditazione di Leopardi:
l'esplorazione della realtà universale e della condizione umana, fondata
su presupposti filosofici del meccanicismo.
Molti testi si collegano alla riflessione sull'infelicità umana e alla teoria
del piacere come ad esempio la “Storia del genere umano”, un mito
che espone le tappe della felicità, invane, compiute dall'uomo.
Il “Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare” riflette
sull'idea che è un'illusione di piacere può trovarsi solo nel ricordo
o nell'attesa di un futuro migliore, tema centrale anche nel “Dialogo
di un venditore d'almanacchi e di un passeggere”.
Altre operette insistono sulla satira contro l'antropocentrismo: nel
Copernico il sole, stanco di ruotare attorno alla Terra decide di invertire
le parti.
La piena formulazione del materialismo leopardiano la ritroviamo nel
Dialogo della Natura e di un islandese, espressione matura del
pessimismo cosmico. Le operette scritte nel 1832 vengono influenzate
dal titanismo eroico e hanno un tono leggermente diverso. in altri
dialoghi viene espresso il tema del suicidio il nome della solidarietà
sociale.

L’INFINITO.
Introduzione
L’infinito è stato composto a Recanati, nel 1829, è pubblicato per la
prima volta nel 1825 sulla rivista milanese “il nuovo raccoglitore”.
La poesia entra a far parte dei canti a partire dall’edizione bolognese
del 1831, aprendo la serie degli “idilli”.
L’io lirico è immerso su un colle; l'ostacolo visivo costituito da una siepe
stimola nella immaginazione, per contrasto, l’idea dell’infinito e gli
permette di superare i limiti racchiusi nella realtà.
Questo sonetto è la massima espressione di Romanticismo espresso
come ribellione alla limitatezza umana e che si abbandona
all’immaginazione che ci permette di andare oltre alla razionalità.
Comprensione:
La lirica evoca le diverse tappe dell'avventura dell'immaginazione che
conduce l’io lirico a trarre l’infinito. Il testo si articole in 2 sequenze
(simmetriche e omogenee):
nella prima parte(vv.1-8) l’io lirico, partendo da una situazione concreta
sull’ermo (solitario/latinismo) colle, viene condotto da uno ostacolo visivo
(la siepe) a passare dal piano della realtà a quello dell’immaginazione
(“mi fingo”, v.7), giungendo alla percezione dell’infinito spaziale
(“interminati spazi “; “sovrumani silenzi”; “profondissima quiete”).
nella seconda parte (vv.8-13), il poeta ritorna alla dimensione finita
della realtà (il “qui e ora” rappresentato da “queste piante”), ma un’altro
stimolo sensoriale, in questo caso uditivo (“il vento” v.9), gli permette di
raggiungere nella fantasia l’infinito temporale e di confrontare l'età
presente a quella delle epoche passate (“infinito silenzio”; “eterno”; “ le
morte stagioni; la presente e viva). Nel finale, la situazione iniziale viene
rovesciata: il poeta non è più collocato nella realtà concreta (“quest'ermo
colle” V.1), ma immerso nella situazione immaginaria dell’infinito
(“questo mare” VV.15), che suscita in lui una sensazione di
dolcezza(“naufragar m’è dolce” del V.15). è ALLA DERIVA IN UN MARE
DI IMMAGINAZIONE, (NAUFRAGAR), SI PERDE è SMARRITO.
Analisi e interpretazione
la dialettica finito/infinito.
Il componimento si sviluppa su una continua oscillazione tra il finito e,
l’infinito, che corrisponde al passaggio dell’io lirico dal piano della
razionalità a quello dell’immaginazione; i 2 piani però restano distinti.
L’esperienza descritta da Leopardi non è un'evasione nell'irrazionale nè
uno smarrimento mistico del pensiero, ma è una sorta di sogno lucido,
avviato dai sensi e sorvegliato dalla ragione. L’utilizzo degli aggettivi
dimostrativi “questo” e “quello”, indicano vicinanza e lontananza sia della
realtà finita, avvertita tramite i sensi, e dell’infinito, percepito tramite la
dimensione immaginaria.

La poetica del vago e dell’indefinito


Sono presenti molti enjambement e per questo la poesia viene detta con
versi circolari.

A SILVIA
La lirica è fondata su corrispondenze interne.
Dopo la strofa introduttiva in cui il poeta invoca Silvia e la invita al ricordo
(vv 1-6), la seconda e la terza strofa (vv. 7-14) sono dedicate alla
rievocazione dell'adolescenza di Silvia e del poeta (vv. 15-27).
In una serena atmosfera primaverile i giovani si dedicano alle proprie
occupazioni nell'attesa del “vago avvenir” (vv.12).
La quarta strofa (dal vv.28) interrompe il ricordo con un'amara riflessione
sul contrasto tra le attese dei giovani è l'inganno che le seguirà
concludendosi con un duro attacco alla natura, che inganna i propri figli
con delle vane illusioni di felicità. Il poeta Sottolinea il termine “molceva”
che sta ad evidenziare tutto ciò che la ragazza non potrà vivere: la
ragazza non potrà mai essere corteggiata e lusingata.
Qui Silvia e l'io lirico sono uniti, sia nelle speranze comuni sia nella
condanna inflitta dalla natura matrigna.
Inoltre Silvia è una metafora, è l'alter Ego del poeta, in quanto anche
se non è morto, si vede come se lo fosse.
Le strofe quinta e sesta rappresentano la morte di Silvia (40-48) e il venir
meno delle speranze del poeta: come la morte ha interrotto le
aspettative di Silvia, così la vita ha negato quelle del poeta (vv 52).
(vv. 55) “lacrimata speme”, sinestesia, evidenzia una speranza sofferta.
Nei versi finali Silvia e l'allegoria della speranza perduta che indica una
tomba ignuda, l'unica certezza concessa agli uomini (vv. 56-60).

DIETRO SILVIA è POSTO L’IO LIRICO DEL POETA.


COSA SIGNIFICA VAGO? DESIDERIO, DESIDEROSO DI UNA
FELICITà FUTURA O NELLA RIMEMBRANZA DELLE COSE PASSATE

DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE


L'opera è composta nel 1824 e appare nel 1927, rappresenta l'approdo
di Leopardi alla fase del pessimismo cosmico.
Abbandonate ogni speranza di felicità è spinto dal desiderio di ridurre la
propria sofferenza, un islandese si allontana dalla società umana e nei
pressi dell'equatore si imbatte nella natura, personificata in un
inquietante figura femminile. questa con tono freddo e distaccato
risponde alle accuse verso ciò che accade all’uomo, le sue parole
suonano terribili.

Dopo una breve sequenza narrativa in cui Vengono inquadrati Islandese


e la natura, la prima parte dell'operetta è occupata da un lungo
monologo dell’ Islandese che è il portavoce delle teorie di Leopardi ed è
simbolo dell'intero genere umano.
Questo ricorda le tappe della propria vana ricerca di un'esistenza libera
dal dolore e si conclude con una violenta accusa contro la natura che,
nemica degli uomini, è causa prima dei loro mali.
Lo scopo del Islandese è quello di allontanarsi da tutte le sofferenze
fuggendo dall’islanda per vivere in solitudine, e quindi viaggiando per il
mondo, constatando che non c’è un luogo adatto dove stare in quanto
anche la temperatura lo perseguita (caldo/freddo).
Nella seconda parte, attraverso una similitudine, l'islandese sostiene che
la natura ha dato la vita agli uomini e quindi dovrebbe garantire loro
un'esistenza serena.
La natura invece afferma la propria indifferenza alle sorti dell'uomo che è
parte di un perpetuo circuito di produzione e distruzione in cui la
sofferenza è necessaria la conservazione del mondo.
Domande finali del Islandese sul senso della vita umana restano senza
risposta.

ANALISI E INTERPRETAZIONE
Leopardi giunge un pessimismo assoluto e cosmico che estende a tutte
le creature: la sua idea si fonda su una visione materialistica
dell'universo in cui la natura non è più considerata come una madre
generosa dispensatrice all'uomo di illusioni, ma come un'entità ostile,
come un meccanismo cieco e indifferente che ha come scopo solo la
perpetuazione dell'esistenza.
Svanisce quindi, anche ogni ipotesi antropocentrica di considerare
l'uomo come fine ultimo del creato.

DOPPIO FINALE
I leoni si mangiano il povero islandese diventando loro cibo;
Si alza il vento e la sabbia lo ricopre mummificandolo, il suo corpo
venne poi esposto in un museo europeo.
MORALE: È inutile ricerca della verità, la natura risponde solo leggi
meccanicistiche.
CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE
DELL’ASIA (collega tutto il pessimismo)
La lirica viene composta tra il 1829 e il 1830 è compare per la prima
volta nell'edizione dei canti del 1831.
Il testo viene collocato al centro del gruppo dei canti pisano-recanatesi
ed è l'ultimo di essi in ordine di composizione.
Leopardi si incuriosisce dei pastori dell'Asia centrale grazie ad una
rivista francese in cui viene descritta la loro abitudine di cantare
tristemente davanti alla luna.
Nel silenzio notturno di un deserto dell'Asia, un pastore nomade,
simbolo dell'umanità ed alter Ego del poeta, rivolge alla luna una serie di
domande sul significato della vita umana e dell'universo e sulle cause
della sofferenza che accomuna tutti gli esseri viventi. i suoi profondi
interrogativi sono destinati però restare senza risposta: l'unica realtà è il
dolore che sempre ci accompagna alla vita.

COMPRENSIONE
La lirica, strutturata come la trascrizione del canto rivolto alla luna di un
solitario pastore, segue una precisa struttura argomentativa in cui a ogni
strofa corrisponde un nucleo concettuale.
La prima strofa comprende una serie di domande che il pastore rivolge
alla luna intorno al senso della vita dell'uomo e dell'universo. questo
confronto alla propria esistenza monotona con il percorso ciclico della
Luna nel cielo constatando che entrambe sembrano prive di significato e
di scopo.
Nella seconda strofa, attraverso una similitudine, Il pastore traccia
l'itinerario della vita umana come un faticoso viaggio di un vecchio verso
la morte.
Nella terza strofa l'umanità è rappresentata dall'immagine di un
neonato, il suo pianto alla nascita viene interpretato come la prima
espressione della Sofferenza dell'uomo.
Nella quarta strofa Il pastore ipotizza che la luna possa conoscere il
significato esistenziale che a lui è nascosto, allarga poi lo sguardo
all'universo e al suo essere enigmatico ponendo di nuovo domande sul
senso del tutto e concludendo che la vita è sofferenza.
Nella quinta strofa l'attenzione si sposta dalla Astro lunare al gregge
addormentato che, rispetto al Pastore, soffre di meno poiché non
conosce la noia ed è consapevole del nulla dell'esistenza.
Nella strofa finale il pastore abbandona fiducia nella possibilità di
giungere ad una risposta certa: qualsiasi ipotesi di esistenza a Felice è
falsa, la vita forse è un male ovunque e per tutti.

Possiamo notare che tutte le strofe si chiudono con Ale: natale, mortale,
ecc; vi è inoltre uno stacco di contenuto tra una strofa e l'altra

Riporta a Manzoni il “cadde, risorse”

A SE STESSO (vedi se c’entra il titanismo)


Pubblicato per la prima volta nell'edizione dei canti del 1835, è il
penultimo componimento del ciclo di Aspasia, una serie di 5 testi legati
all'amore infelice di Leopardi per Fanny targioni Tozzetti. la
composizione risale al 1833, e poca in quel poeta ha raggiunto il culmine
del proprio pessimismo ed identifica la natura come matrigna che
domina il mondo.
Nei primi versi ci sono degli enjambement.
Vv 1-2 Il futuro ha una sfumatura imperativa, esprime un invito
pressante. Leopardi evidenzia il suo il suo cuore stanco, dimenticato e
avido.
VV. 2-5 Vivamente morta l'illusione dell'amore che avevo creduto eterna.
In noi è ormai spenta non solo la speranza ma anche il desiderio delle
dolci illusioni d'amore.
VV. 5-12 Per molto tempo palpitasti. Nessuna cosa merita i tuoi palpiti e
nulla al mondo e degno di essere desiderato.
La vita non è che amarezza e noia e nient'altro. Placati ormai,
abbandona ogni speranza una volta per tutte.
VV. 12-16 Alla stirpe umana il destino non ha fatto altro dono se non la
morte. Ormai disprezza anche te stesso e poi la natura, lo spregevole
potere che, nascosto governa a danno di tutti e disprezza l'infinita vanità
dell'universo.
L'ultimo verso rappresenta l'inesistenza delle certezze in quanto tutto è
un'infinita illusione
2. ANALISI DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN
PASSEGGERE
La conversazione si svolge tra un viandante e un venditore di
almanacchi.
Il primo rappresenta il filosofo, colui che si pone degli interrogativi e
medita sulla natura dell’uomo, mentre il venditore simboleggia l’uomo
comune, cioè colui che ignora la reale sostanza delle cose.
Il venditore, infatti, si limita a rispondere alle domande del viandante, il
quale, proprio come il filosofo, pone degli interrogativi e guida l’uomo
comune a giungere a delle conclusioni. Leopardi si identifica con il
passeggere, poiché, proprio come lui, non accetta passivamente la
realtà delle cose, ma cerca di rendersi consapevole della propria
condizione di infelicità. L’opera analizza uno dei temi più importanti della
filosofia leopardiana: la ricerca del piacere. Secondo il poeta l’uomo non
può raggiungerlo in quanto egli non ricerca un piacere, bensì il piacere:
l’infinito che non può essere conquistato. Di conseguenza, secondo
Leopardi la felicità è una mera illusione, un inganno mediante il quale
l’uomo cerca di sottrarsi alla sua reale condizione di infelicità. La
positività della vita non consiste dunque nella felicità, che è preclusa
all’uomo, ma nelle illusioni volte al futuro (la speranza) e in quelle rivolte
al passato (rimembranza), poiché la felicità non è realizzabile, ma
ricordando il passato l’uomo si illude di essere stato felice e di aver
quindi conquistato l’infinito: il piacere.
Tuttavia, come emerge in quest’operetta morale, l’uomo non vorrebbe
che la propria vita si ripetesse così come l’ha vissuta e questo è un
inequivocabile segno della negatività dell’esistenza e dell’ineluttabilità
del dolore.
Il passeggere giunge alla conclusione che la felicità non si trova nella
vita passata, ma in quella futura, poiché la felicità consiste nell’attesa di
qualcosa che non si conosce: nella speranza di un futuro diverso e
migliore del passato. Tale convinzione è espressa in modo evidente da
una frase pronunciata dal passeggere, il quale dice:
«Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella
che non si conosce; non la vita passata, ma la futura».
La felicità consiste dunque nell’attesa di una gioia ignota nella quale
l’uomo è per sua natura, mediante le illusioni, portato a sperare. Per
questo motivo, Leopardi definisce le illusioni “ameni inganni”, errori
ingannevoli ma piacevoli.
L’operetta descrive una situazione realistica poiché nel componimento il
poeta immagina un contesto nel quale la conversazione ha luogo.
Infatti, gli almanacchi venivano abitualmente venduti per strada con gli
auspici di buona fortuna per l’anno venturo e ciò funge da pretesto per
Leopardi per immaginare un dialogo che abbia per oggetto il tema della
speranza: una delle costanti illusioni ottimistiche degli uomini, indotti a
credere che il futuro riserverà loro momenti migliori di quelli passati.
Inoltre, l’ambientazione realistica (un quadro di vita quotidiana e
cittadina) cela un eloquente simbolismo, volto a far comprendere le
illusioni che permeano e governano l’esistenza.

3. ANALISI CANTO XIV “ALLA LUNA”: questo componimento è assai


significativo nella produzione di Giacomo Leopardi, in quanto va a
toccare un tema a lui caro e particolarmente presente in tutta la sua
composizione poetica: il ricordo.
Il componimento è facilmente divisibile in due parti:
una prima in cui viene descritto un notturno lunare
una seconda in cui viene evidenziato il grandissimo valore del
ricordo come consolazione.
Il tema della poesia è squisitamente romantico. Essa sviluppa il rapporto
che c’è tra uomo e paesaggio notturno senza trascurare il tema assai
caro di quanto un ricordo possa essere dolce e amaro per l’uomo.
La poesia parte con l’invocazione alla luna, astro molto caro a Leopardi
e sua confidente rispetto alle continue angosce che vive. L’abitudine a
confidarsi con la luna, se non con regolarità serrata con una certa
periodicità, è sottolineata dalla specificazione temporale “or volge l’anno”
(v. 2): a un anno di distanza dall’ultima volta che si è confidato con il
satellite, Leopardi può fare un nuovo bilancio della propria vita e del
proprio dolore.
Leopardi si rivolge direttamente alla luna la quale, tuttavia, non può
capire fino in fondo il suo tormento interiore: non a caso, mentre l’io
poetico è “pien d’angoscia” (v. 3), la luna è “graziosa” (v. 1).
(Questo componimento ha più di un punto in comune con L’infinito, a
partire dalla forma e dal periodo in cui è stato composto, così come dal
luogo privilegiato d’osservazione: la sommità del Monte Tabor.
Le due poesie sono accomunate anche dalla brevità e dalla densità di
significato in così pochi versi.)
Nella prima invocazione domina il paesaggio notturno verso il quale
Leopardi proietta la propria angoscia tornando su quel colle, un anno
dopo, e vedendo la stessa luna che vide allora.
Nonostante il tempo sia passato, lo stato d’animo dell’autore non è
cambiato.
La prima parte del componimento è dunque prevalentemente narrativa,
mentre dal decimo verso in poi si apre una riflessione teorico-filosofica
incentrata sulla poetica della rimembranza. Il poeta osserva la luna solo
attraverso i suoi occhi, vedendola sfocata e deformata a causa del suo
pianto. Il dolore si rinnova, quindi, nell’incontro con la luna; non
sappiamo la causa di questo male che il poeta sta vivendo, un dolore
immutabile di cui solo la luna è testimone. Il ricordo di un passato triste
che si tramuta in un presente triste sembra consolare il poeta, anche se
nel testo non viene spiegato il motivo per cui è così. Tutta la poesia è
strutturata sull’opposizione tra passato e presente, sebbene i sentimenti
permangano uguali, il poeta trova un po’ di consolazione nel ricordo.
DOMANDE:
1. Quali sono le opere principali? Canti, idilli, operette morali,
zibaldone
2. Qual è il primo che critica e pubblica lo zibaldone? Giosuè
Carducci
3. Quali sono le tappe del pessimismo leopardiano?
4. Leopardi fu un classico o un romantico? Fu un romantico pur
ritenendosi classico e schierandosi dalla parte dei classicisti.
Utilizza vari latinismi, e ha uno stile classicheggiante in opere
come i canti dei suicidio.
5. Da dove deriva la parola Idillio? Eidolon, quadretto campestre.
Dietro ogni personaggio ci sono spunti autobiografici
6. L’infinito può essere considerato romantico? si, emerge la
sensibilità
7. A silvia nasce da un ricordo personale? Cosa rappresenta Silvia?
Si, Silvia è un simbolo, una metafora, che rappresenta lo stesso
autore, è l’alter ego/io lirico che, anche se non è morto, è come se
lo fosse.
8. Il pastore errante dell’asia: fa riferimento alla solitudine dell’uomo
di fronte alla natura, una natura che promette ma non mantiene,
natura che è matrigna
9. A se stesso: ciclo di aspasia, l’amore è l'ultima illusione amara
10. nell’infinito c'è una sorta di circolarità qual’è? enjambement
11. dove sta l’ironia del dialogo della natura dell’islandese? sta nel
finale(sbranato dai leoni o munificato).
12. dietro Silvia chi è posto? l’io lirico
13. breve riferimento a schopenhauer, significato di un verso del
pastore errante dell’asia (pessimismo storico).
14. pessimismo storico cosa riguarda? ogni essere vivente a a che
fare con la fatica e con la sofferenza
15. riga 43 (dialogo della natura dell’islandese).

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