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LONTANO DA RECANATI
Nel 1825 Leopardi si stabilisce a Milano grazie all'incontro con
l'editore Stella il quale gli offre una serie di incarichi e che crede nelle
sue produzioni.
Così Leopardi si stacca da Recanati e dalla propria famiglia
trasferendosi alla fine dello stesso anno a Bologna, in cui pubblica le
prime canzoni e nel 1827 a Firenze, in cui trova degli estimatori
intellettuali e di fede liberale.
Tra il 1827 e il 1828 si reca Pisa, luogo che favorisce il ritorno alla
poesia grazie sia al clima, adatto alla sua salute, sia all'affetto degli
amici.
Da questa condizione molto serena nascono i primi Canti della
stagione pisano-recanatesi che continua anche quando le necessità
economiche e la morte del fratello lo costringono a fare ritorno a
Recanati.
Qui, oppresso di nuovo, trascorre quelli che dichiara “16 mesi di notte
orribile” durante i quali compone alcuni dei suoi canti più alti: le
ricordanze (caro il tema del ricordo), La quiete dopo la tempesta, Il
sabato del villaggio e, tra il soggiorno a Pisa e a Recanati, gli Idilli
(delle massime, pensieri che raccontano la sensibilità di Leopardi).
IL PERIODO FIORENTINO
Nel 1830 Leopardi accetta l'invito degli amici fiorentini che gli offrono un
assegno mensile per un anno in cambio di collaborazioni critico
letterarie. Lascia così il paese natale in cui non tornerà più e inizia
una nuova fase della sua vita, ricca di stimoli intellettuali e più
aperta ai rapporti sociali: Leopardi frequenta i salotti letterari con uno
spirito polemico, e conosce il Manzoni.
A Firenze Leopardi sperimenta anche l'unica passione amorosa della
sua vita, innamorandosi di Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna
che riceveva artisti e letterati nel suo salotto.
Il poeta a causa della delusione provocata da questo amore non
ricambiato scrive le liriche del ciclo di Aspasia, 4 liriche pessimistiche
in cui il pensiero dominante è la morte dell’amore.
IL PENSIERO
E’ filosofo in quanto ricerca la realtà attraverso il
dolore. Il suo è un sistema conoscitivo diviso in fasi
che corrispondono alla maturazione del suo
pensiero.
Da una fase individuale ad una universale.
IL PESSIMISMO STORICO
I critici hanno individuato nel pensiero leopardiano una serie di fasi che
si susseguono dagli anni giovanili (1816-18) fino agli ultimi anni di vita
(1836-37).
Inizia ad analizzare il mondo in generale andando
oltre il pessimismo individuale.
-Leopardi inizia fin dall'età giovanile a trasformare la propria
sofferenza psicofisica in uno strumento di conoscenza,
interrogandosi sulla natura e sull'origine dell'infelicità umana.
In una prima fase della propria riflessione giunge alla conclusione che
la sofferenza degli uomini non dipenda dalla natura ma
dell'evoluzione della civiltà nel suo progredire storico.
Secondo Leopardi, alle origini, i popoli antichi vivevano a stretto
contatto con la natura che, come una madre benevola, dotava gli
uomini della capacità di immaginare tipica dell'infanzia. Quindi, pur non
essendo propriamente felici, erano animati da delle illusioni che
rendevano la loro vita più attiva e senza noia.
Della storia però l'affermarsi della ragione della civiltà, ha allontanato Le
illusioni generate dalla natura, svelando la realtà e portando gli uomini
all'angoscia.
E’ questa fase, detta del “pessimismo storico”, che attribuisce
l'infelicità umana all'abbandono dello stato di natura, sottolineando la
superiorità del mondo antico rispetto all'età moderna, in contrasto
con la natura stessa.
La storia viene percepita come un processo di degenerazione in cui
l'unico modo per recuperare le illusioni passate, e sottrarsi al
presente, è imitare la civiltà e la poesia classica. Altri modi per
recuperare la vitalità antica sono l'azione e l'eroismo, che emergono
nelle canzoni giovanili assieme al titanismo.
IL PESSIMISMO COSMICO
La teoria del piacere apre la strada alla riflessione che dura dal 1823 al
1830: “il pessimismo cosmico”.
In questa nuova teoria l’infelicità dell'uomo non è più il risultato di un
processo storico ma un dato assoluto ed ineliminabile, che riguarda
tutte le creature viventi di tutte le epoche.
La natura quindi non è più vista come una madre benevola ma come un
meccanismo cieco e crudele che si occupa solo del ciclo
dell'esistenza, cioè la nascita e la morte dei singoli individui, senza
curarsi della loro sofferenza o del loro benessere.
Il dolore non è più solo assenza di piacere ma viene visto come un
tormento materiale dovuto a calamità naturali, malattie, morte.
Vengono rovesciati quindi i rapporti tra natura e civiltà; la ragione e la
civiltà, che venivano viste nel pessimismo storico in modo negativo,
adesso permettono all'uomo sia di eliminare ogni possibile illusione
di piacere, sia di accettare con consapevolezza la propria sorte
infelice.
Nonostante ciò l'antichità apparirà sempre a Leopardi un'epoca positiva
rispetto al tempo moderno.
Il peso dell'evoluzione filosofica porta Leopardi, tra il 1823 è il 1827, ad
abbandonare la poesia e a tradurre gli esiti della propria riflessione in
prosa nelle Operette morali, con linguaggio satirico ed ironico; solo nel
1828, con i canti pisano-recanatesi, si aprirà una nuova stagione della
poesia leopardiana, nei quali trova voce la consapevolezza del vuoto
dell'esistenza a cui è condannato il genere umano.
IL TITANISMO EROICO
Nel pensiero maturo dell'autore il pessimismo assoluto si affianca
al distacco ironico e di rassegnazione.
Nessuna consolazione appare accettabile, nemmeno l'amore: nelle
liriche scritte a Firenze la disillusione sentimentale e il definitivo rifiuto
delle illusioni determinano una trasformazione radicale del linguaggio
poetico e il superamento della stessa infelicità. La condizione
dell'individuo e ontologicamente negativa e nessuna ideologia sulla
Provvidenza può giustificarla né risolverla.
LO ZIBALDONE
POESIA E RIFLESSIONE: Leopardi accompagna per tutta la vita la
stesura di opere letterarie alla composizione di testi, pubblici e privati, in
cui espone i principi della sua poetica e della sua visione del mondo e
dell'uomo.
Queste opere ricostruiscono l'evoluzione del proprio pensiero e della
propria arte in tutto lo sviluppo delle sue apparenti contraddizioni.
CANTI
UNA RACCOLTA ORGANICA: Nella definitiva edizione, postuma del
1845 e a cura di Antonio Ranieri, i Canti comprendono 41
componimenti di diversa lunghezza e metrica, scritti fra il 1816 è il
1837. La pubblicazione delle poesie era iniziata in ordine sparso dal
1819, ma solo con le edizioni successive, il volume ha assunto una
organicità e il titolo Canti, che dichiara la coincidenza tra linguaggio
poetico e genere lirico.
L’edizione definitiva mostra spostamenti strutturali rispetto alle edizioni
precedenti, nelle quali la disposizione dei testi non rispettava l'ordine
cronologico di composizione.
Il lessico è moderno, sciolto e raramente con rime.
In tutte le edizioni i testi si dispongono nel libro secondo criteri
cronologici, tematici e di genere, testimoniando lo sviluppo del
pensiero e della poetica dell’autore, e anche la volontà di costruire un
libro con un itinerario sentimentale di esistenziale, e che evidenzia
l'evoluzione della meditazione sul senso della vita, sul dolore e
sull'illusione della felicità. I temi sono quindi molto astratti e immaginativi.
L'edizione definitiva dei canti viene distinta in tre grandi gruppi di testi
corrispondenti a tre fasi della produzione dell'autore:
Il primo gruppo (1818-23) comprende le canzoni e gli Idilli di tipo
civile-filosofico e lirico-autobiografico;
Il secondo gruppo (1828-30) raccoglie i canti pisano-recanatesi detti
grandi idilli;
Il terzo gruppo (1831-36) include il “ciclo di Aspasia” e le ultime liriche
(alcune canzoni sepolcrali, “La Ginestra”) assieme ai componimenti
minori.
LE CANZONI
Il primo nucleo dei canti comprende canzoni ed Idilli composti nello
stesso arco di tempo ma tra loro differenti per tono e stile.
La raccolta è aperta da un gruppo di nuove canzoni ideate tra il 1818 e il
1822, nel periodo del pessimismo storico (in cui vede l'infelicità umana
come frutto dell'evoluzione storica della civiltà e dell'allontanamento
dell'uomo dalla natura).
La realtà storica appare inadeguata e passiva, i contemporanei sono
incapaci di sentimenti grandi ed azioni eroiche.
Le prime canzoni toccano temi patriottici, legate alla decadenza morale
e intellettuale dell'Italia che dimentica la sua Antica Gloria e le sue
tradizioni punto subito dopo vi sono le canzoni di contenuto filosofico ed
esistenziale rievocano l'età dell'innocenza in cui gli esseri umani
vivevano in armonia con la natura.
Al tema del suicidio sono dedicate “Bruto minore” e “l'ultimo canto di
Saffo”, quest'ultima collega canzoni e Idilli e Leopardi se ne serve per
esporre l'ipotesi dell'infelicità come elemento intrinseco alla vita
umana.
Le canzoni sono accomunate dallo stile Aulico e letterario, vicino ai
modelli classici nella complessità della sintassi e nella frequenza di
metafore e lessico ricercato.
CANTI PISANO-RECANATESI
Questi canti, definiti anche grandi idilli, vengono composti tra il 1828 e
il 1830. il Risorgimento e a Silvia vengono scritti a Pisa nel 28; le
ricordanze, Il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete
dopo la tempesta e Il sabato del villaggio appartengono all'ultimo
periodo trascorso a Recanati.
Agli stessi anni risale Il passero solitario che chiude la sezione degli Idilli.
Segnano una svolta del pensiero e della poetica leopardiana: sul piano
formale i canti si caratterizzano per l'uso di un linguaggio più
elaborato rispetto agli Idilli e l'utilizzo della canzone libera.
OPERETTE MORALI
GENESI E VICENDE EDITORIALI
È la principale opera in prosa di Leopardi, comprende 24 testi di
argomento filosofico in forma di dialogo o narrazione e presentano
una morale.
La prima Ideazione dell'Opera viene modellata sull'esempio dei dialoghi
di samosata e risale al 1819.
L'anno seguente in una lettera a Giordani, Leopardi parla dell’abbozzo di
alcune “prosette satiriche”, progetto ripreso con lo Zibaldone.
Al termine della fase preparatoria, la stesura del nucleo centrale delle
Operette avviene nel corso del 1824, periodo di maturazione e
passaggio al pessimismo cosmico, e distacco dalla poesia per
utilizzare la prosa ed esporre le proprie conclusioni filosofiche.
La prima edizione a fare a Milano nel 1827, comprendeva 20 testi e
presentava una struttura che verrà mantenuta (con solo poche
integrazioni di alcune operette) nella versione definitiva, pubblicata
postuma nel 1845 a cura di Antonio Ranieri.
LA FINALITÀ MORALE
L'opera mostra agli uomini il triste vero della loro condizione,
polemizzando nei confronti delle illusioni ottimistiche proposte dalle
teorie religiose dell'epoca.
Per questo motivo il titolo, tratto dal retore greco Isocrate, riassume il
carattere filosofico e satirico dall'opera.
L'aggettivo “morali”, intende proporre al lettore un'etica nuova,
dignitosa e concreta legata “all’acerbo vero”.
Anche il sostantivo “operette” rinvia a un contenuto etico e
pedagogico che permette di esprimere i contenuti, seri e tragici, in
forma satirica creando una via di mezzo tra la serietà dell'argomento è
la forma leggera; il termine rimanda anche alla forma breve, usata per
esprimere riflessioni filosofiche, non dogmatiche, lontane da ogni rigidità
e orientate verso l'interlocutore.
LA VARIETÀ DELLE FORME
Anche se l'intento delle operette è unitario, l'opera è caratterizzata da
varietà di toni, grazie a fonti e spunti molto eterogenei.
Operette in forma narrativa si alternano ai dialoghi (nei quali uno dei due
interlocutori è un Alter Ego dell'autore stesso), brevi trattati, racconti
mitologici e detti paradossali. Sono presenti l’interrogazione e utilizzo
della dialettica, la forma prevalente è quella dialogica, usata con l’intento
di evidenziare gli elementi distaccati del reale.
protagonisti dei dialoghi sono personaggi storici (come Torquato Tasso
o Cristoforo Colombo); eroi mitologici (come Ercole); entità
personificate (la natura, la moda); folletti, gnomi, diavoli e altre
creature fantastiche; in minor parte qualche figura quotidiana.
LE TEMATICHE
Della riflessione ci sono i nodi tematici della meditazione di Leopardi:
l'esplorazione della realtà universale e della condizione umana, fondata
su presupposti filosofici del meccanicismo.
Molti testi si collegano alla riflessione sull'infelicità umana e alla teoria
del piacere come ad esempio la “Storia del genere umano”, un mito
che espone le tappe della felicità, invane, compiute dall'uomo.
Il “Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare” riflette
sull'idea che è un'illusione di piacere può trovarsi solo nel ricordo
o nell'attesa di un futuro migliore, tema centrale anche nel “Dialogo
di un venditore d'almanacchi e di un passeggere”.
Altre operette insistono sulla satira contro l'antropocentrismo: nel
Copernico il sole, stanco di ruotare attorno alla Terra decide di invertire
le parti.
La piena formulazione del materialismo leopardiano la ritroviamo nel
Dialogo della Natura e di un islandese, espressione matura del
pessimismo cosmico. Le operette scritte nel 1832 vengono influenzate
dal titanismo eroico e hanno un tono leggermente diverso. in altri
dialoghi viene espresso il tema del suicidio il nome della solidarietà
sociale.
L’INFINITO.
Introduzione
L’infinito è stato composto a Recanati, nel 1829, è pubblicato per la
prima volta nel 1825 sulla rivista milanese “il nuovo raccoglitore”.
La poesia entra a far parte dei canti a partire dall’edizione bolognese
del 1831, aprendo la serie degli “idilli”.
L’io lirico è immerso su un colle; l'ostacolo visivo costituito da una siepe
stimola nella immaginazione, per contrasto, l’idea dell’infinito e gli
permette di superare i limiti racchiusi nella realtà.
Questo sonetto è la massima espressione di Romanticismo espresso
come ribellione alla limitatezza umana e che si abbandona
all’immaginazione che ci permette di andare oltre alla razionalità.
Comprensione:
La lirica evoca le diverse tappe dell'avventura dell'immaginazione che
conduce l’io lirico a trarre l’infinito. Il testo si articole in 2 sequenze
(simmetriche e omogenee):
nella prima parte(vv.1-8) l’io lirico, partendo da una situazione concreta
sull’ermo (solitario/latinismo) colle, viene condotto da uno ostacolo visivo
(la siepe) a passare dal piano della realtà a quello dell’immaginazione
(“mi fingo”, v.7), giungendo alla percezione dell’infinito spaziale
(“interminati spazi “; “sovrumani silenzi”; “profondissima quiete”).
nella seconda parte (vv.8-13), il poeta ritorna alla dimensione finita
della realtà (il “qui e ora” rappresentato da “queste piante”), ma un’altro
stimolo sensoriale, in questo caso uditivo (“il vento” v.9), gli permette di
raggiungere nella fantasia l’infinito temporale e di confrontare l'età
presente a quella delle epoche passate (“infinito silenzio”; “eterno”; “ le
morte stagioni; la presente e viva). Nel finale, la situazione iniziale viene
rovesciata: il poeta non è più collocato nella realtà concreta (“quest'ermo
colle” V.1), ma immerso nella situazione immaginaria dell’infinito
(“questo mare” VV.15), che suscita in lui una sensazione di
dolcezza(“naufragar m’è dolce” del V.15). è ALLA DERIVA IN UN MARE
DI IMMAGINAZIONE, (NAUFRAGAR), SI PERDE è SMARRITO.
Analisi e interpretazione
la dialettica finito/infinito.
Il componimento si sviluppa su una continua oscillazione tra il finito e,
l’infinito, che corrisponde al passaggio dell’io lirico dal piano della
razionalità a quello dell’immaginazione; i 2 piani però restano distinti.
L’esperienza descritta da Leopardi non è un'evasione nell'irrazionale nè
uno smarrimento mistico del pensiero, ma è una sorta di sogno lucido,
avviato dai sensi e sorvegliato dalla ragione. L’utilizzo degli aggettivi
dimostrativi “questo” e “quello”, indicano vicinanza e lontananza sia della
realtà finita, avvertita tramite i sensi, e dell’infinito, percepito tramite la
dimensione immaginaria.
A SILVIA
La lirica è fondata su corrispondenze interne.
Dopo la strofa introduttiva in cui il poeta invoca Silvia e la invita al ricordo
(vv 1-6), la seconda e la terza strofa (vv. 7-14) sono dedicate alla
rievocazione dell'adolescenza di Silvia e del poeta (vv. 15-27).
In una serena atmosfera primaverile i giovani si dedicano alle proprie
occupazioni nell'attesa del “vago avvenir” (vv.12).
La quarta strofa (dal vv.28) interrompe il ricordo con un'amara riflessione
sul contrasto tra le attese dei giovani è l'inganno che le seguirà
concludendosi con un duro attacco alla natura, che inganna i propri figli
con delle vane illusioni di felicità. Il poeta Sottolinea il termine “molceva”
che sta ad evidenziare tutto ciò che la ragazza non potrà vivere: la
ragazza non potrà mai essere corteggiata e lusingata.
Qui Silvia e l'io lirico sono uniti, sia nelle speranze comuni sia nella
condanna inflitta dalla natura matrigna.
Inoltre Silvia è una metafora, è l'alter Ego del poeta, in quanto anche
se non è morto, si vede come se lo fosse.
Le strofe quinta e sesta rappresentano la morte di Silvia (40-48) e il venir
meno delle speranze del poeta: come la morte ha interrotto le
aspettative di Silvia, così la vita ha negato quelle del poeta (vv 52).
(vv. 55) “lacrimata speme”, sinestesia, evidenzia una speranza sofferta.
Nei versi finali Silvia e l'allegoria della speranza perduta che indica una
tomba ignuda, l'unica certezza concessa agli uomini (vv. 56-60).
ANALISI E INTERPRETAZIONE
Leopardi giunge un pessimismo assoluto e cosmico che estende a tutte
le creature: la sua idea si fonda su una visione materialistica
dell'universo in cui la natura non è più considerata come una madre
generosa dispensatrice all'uomo di illusioni, ma come un'entità ostile,
come un meccanismo cieco e indifferente che ha come scopo solo la
perpetuazione dell'esistenza.
Svanisce quindi, anche ogni ipotesi antropocentrica di considerare
l'uomo come fine ultimo del creato.
DOPPIO FINALE
I leoni si mangiano il povero islandese diventando loro cibo;
Si alza il vento e la sabbia lo ricopre mummificandolo, il suo corpo
venne poi esposto in un museo europeo.
MORALE: È inutile ricerca della verità, la natura risponde solo leggi
meccanicistiche.
CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE
DELL’ASIA (collega tutto il pessimismo)
La lirica viene composta tra il 1829 e il 1830 è compare per la prima
volta nell'edizione dei canti del 1831.
Il testo viene collocato al centro del gruppo dei canti pisano-recanatesi
ed è l'ultimo di essi in ordine di composizione.
Leopardi si incuriosisce dei pastori dell'Asia centrale grazie ad una
rivista francese in cui viene descritta la loro abitudine di cantare
tristemente davanti alla luna.
Nel silenzio notturno di un deserto dell'Asia, un pastore nomade,
simbolo dell'umanità ed alter Ego del poeta, rivolge alla luna una serie di
domande sul significato della vita umana e dell'universo e sulle cause
della sofferenza che accomuna tutti gli esseri viventi. i suoi profondi
interrogativi sono destinati però restare senza risposta: l'unica realtà è il
dolore che sempre ci accompagna alla vita.
COMPRENSIONE
La lirica, strutturata come la trascrizione del canto rivolto alla luna di un
solitario pastore, segue una precisa struttura argomentativa in cui a ogni
strofa corrisponde un nucleo concettuale.
La prima strofa comprende una serie di domande che il pastore rivolge
alla luna intorno al senso della vita dell'uomo e dell'universo. questo
confronto alla propria esistenza monotona con il percorso ciclico della
Luna nel cielo constatando che entrambe sembrano prive di significato e
di scopo.
Nella seconda strofa, attraverso una similitudine, Il pastore traccia
l'itinerario della vita umana come un faticoso viaggio di un vecchio verso
la morte.
Nella terza strofa l'umanità è rappresentata dall'immagine di un
neonato, il suo pianto alla nascita viene interpretato come la prima
espressione della Sofferenza dell'uomo.
Nella quarta strofa Il pastore ipotizza che la luna possa conoscere il
significato esistenziale che a lui è nascosto, allarga poi lo sguardo
all'universo e al suo essere enigmatico ponendo di nuovo domande sul
senso del tutto e concludendo che la vita è sofferenza.
Nella quinta strofa l'attenzione si sposta dalla Astro lunare al gregge
addormentato che, rispetto al Pastore, soffre di meno poiché non
conosce la noia ed è consapevole del nulla dell'esistenza.
Nella strofa finale il pastore abbandona fiducia nella possibilità di
giungere ad una risposta certa: qualsiasi ipotesi di esistenza a Felice è
falsa, la vita forse è un male ovunque e per tutti.
Possiamo notare che tutte le strofe si chiudono con Ale: natale, mortale,
ecc; vi è inoltre uno stacco di contenuto tra una strofa e l'altra