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Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 nel palazzo nobiliare di Recanati, comune che alla
fine del 700 entrò a far parte dello Stato della Chiesa e nel quale erano ancora presenti
pregiudizi e feudali. Nelle lettere e nelle stesse composizioni poetiche, Leopardi tracciò un
ritratto aspramente negativo del suo paese, da cui tuttavia egli trarrà i nuclei fondamentali del
suo immaginario poetico. Il padre di Giacomo, conte Monaldo, era un rappresentante della
nobiltà di provincia, convinto che questa classe sociale dovesse costituire un argine contro le
deviazioni della modernità sia sul piano politico che morale. La gestione culturale ed educativa
dei figli spettava al conte Monaldo, mentre la gestione economica era affidata alla moglie
Adelaide Antici, la quale era una donna estremamente rigida e fredda soprattutto nel rapporto
con i figli. Di Adelaide, Leopardi fornì un terribile ritratto in una pagina dello Zibaldone.
Sostenuto dalla moglie, Monaldo cercò di impedire il più possibile contatti dei figli con il
mondo esterno. L’educazione dei ragazzi Leopardi avvenne esclusivamente in casa che andò ad
assumere sempre più le connotazioni di una prigione. Fu questo l’ambiente e il clima
psicologico in cui Leopardi visse l’infanzia e l’adolescenza, confortato sola dall’affettuoso
rapporto con il fratello Carlo e la sorella Paolina. Giacomo cercò di evadere da questo
soffocante contesto, ma senza successo: il senso di colpa e la crisi di identità vissuta ad ogni
allontanamento da Recanati gli impedirono di staccarsi realmente dalla famiglia. Egli dimostrò
sin da subito di possedere straordinarie doti intellettuali. In particolare, a 12 anni scrisse un
trattato di astronomia, a 14 attaccò in una dissertazione le nuove idee filosofiche e a 17
compose un’orazione politica a difesa del dispotismo illuminato. Il mondo di Leopardi è
racchiuso nella biblioteca di casa sua che comprendeva 20.000 volumi. Giacomo trascorse qui
la sua giovinezza, apprendendo da solo il greco, l’ebraismo e l’inglese e acquisendo gli
strumenti che gli permisero di diventare filologo. L’eccesso di studio cui si dedicò produssero
però gravi danni sul piano fisico: una cifosi deformerà per sempre il suo aspetto. Nel 1816,
avvenne la svolta che portò il poeta a contrapporsi agli orizzonti culturali del padre. In questo
cambiamento, svolse un ruolo fondamentale la scoperta della propria vocazione poetica: è
infatti grazie ad essa che Giacomo troverà il coraggio di contrapporsi all’universo culturale di
Monaldo. A determinare tale mutamento, contribuirono diverse esperienze personali e culturali
come alcune letture preromantiche quali la Vita di Alfieri e l’Ortis di Foscolo, poi una prima
esperienza amorosa più fantastica che reale ed infine l’amicizia con il letterato Pietro Giordano.
Nel 1819, Giacomo tentò ingenuamente di scappare da Recanati, ma non ci riuscì poiché il suo
piano di fuga venne scoperto da Monaldo e di conseguenza dovette rinunciarvi. Il disagio
interiore provocato da questo episodio si manifestò sul piano fisico: il poeta ebbe infatti disturbi
agli occhi, che gli impedirono di scrivere e di leggere, procurandogli un forte senso di
disperazione. La drammatica condizione psico-fisica cui fu sottoposto lo portò a prendere
coscienza della propria infelicità, a scoprire il vero e a diventare filosofo. Nello stesso anno, egli
pubblicò il più celebre testo leopardiano: L’infinito. Successivamente, Monaldo gli concesse
finalmente il permesso di uscire da Recanati per soggiornare a Roma presso lo zio Carlo Antici.
Tuttavia, l’esperienza nella città eterna si rivelò deludente per più di una ragione. La città eterna
gli creò un senso di spaesamento e di solitudine tale da arrivare a rimpiangere Recanati, in cui
tornò nel 1823, con la triste consapevolezza della sua inabilità a vivere. La grave crisi d’identità
seguita all’avventura romana è superata con l’intensificarsi della riflessione filosofica: essa
porta Leopardi a definire un sistema di pensiero originale, lontano sia dal razionalismo
dell’Illuminismo che dallo spiritualismo. Nel 1824, in una condizione di gelo interiore, egli
compose ventiquattro Operette morali, testimonianza di una filosofia del disinganno. Gli anni
dal 1825 al 1828 saranno per Leopardi anni di continui spostamenti alla ricerca costante di una
sistemazione che gli consentisse di vivere fuori dalla casa paterna. Egli si recò dapprima a
Milano per avviare una collaborazione con l’editore Stella e poi a Firenze, dove trovò una calda
accoglienza e reale amicizia. Trascorse infine l’inverno del 1828 a Pisa dove inaspettatamente
avvertì una sorta di disgelo del cuore: si aprì con il Risorgimento e con A Silvia una grande
stagione poetica. A causa di stringenti necessità economiche, il poeta fu costretto a ritornare a
Recanati, dove passò sedici mesi orribili, affetto da problemi fisici e da una grave senso di
malinconia. Nonostante ciò, compose i suoi più grandi testi poetici, prima di lasciare
definitivamente Recanati nel 1830, approfittando dell’offerta di alcuni amici fiorenti. A Firenze,
egli conobbe un giovane letterato napoletano, Antonio Ranieri, a cui si legò di un’amicizia tanto
intima di scegliere di vivere insieme a lui. Si innamorò di Fanny Tozzetti, anche se consapevole
di fungere da intermediario tra la donna e Ranieri, di cui è invaghita. Gli ultimi anni della sua
vita, trascorsi a Napoli, furono penosi a causa sia di un degrado economico umiliante che di una
condizione di salute sempre più grave. Leopardi morì il 14 giugno 1837, a soli 39 anni, assistito
da Ranieri e dalla sorella di lui.
IL PESSIMISMO STORICO.
Nel 1817, Leopardi iniziò a stendere gli appunti dello Zibaldone, in cui annoterà le idee che
stava elaborando e le considerazioni poetiche. In Leopardi, poesia e filosofia sono legate, dato
che le acquisizioni filosofiche si traducono direttamente in idee sulla poesia. A cavallo tra il
1817 e il 1822, Leopardi definì alcuni punti fondamentali del suo pensiero e della sua poetica.
Inizialmente la sua riflessione si articola in una serie di concetti opposti: natura/ragione,
natura/civiltà, bello/vero. Parallelamente alla scoperta della dimensione poetica, Leopardi
scopre la negatività della ragione che nell’età infantile-adolescenziale aveva esaltato. Un’altra
contrapposizione di cui parla Leopardi è quella antichi/moderni che descrive nel Discorso di un
italiano sulla poesia romantica, scritta in relazione alla polemica che iniziava a contrapporre
classicisti e romantici. Per Leopardi, l’autentica poesia è propria del mondo antico. Il poeta
infatti idealizza il mondo classico come età di armonia uomo-natura in cui la poesia è
grandissima per il potere smisurato dell'immaginazione. Il mondo antico viene così assimilato
alla condizione infantile: “antichi” in un certo senso siamo stati tutti quando eravamo capaci di
immaginare. Tale condizione è stata compromessa dal razionalismo e dal sapere scientifico: la
civilizzazione è per Leopardi negativa perché distrugge le illusioni e allontana dalla natura. Il
Discorso interessa soprattutto perché contiene i primi pensieri leopardiani riguardanti la poetica.
Esse collocano il poeta in una posizione autonoma rispetto sia ai classicisti sia ai romantici. Per
il Leopardi di questo periodo, la poesia è espressione dell’immaginazione e della fantasia e il
suo fine è illudere. Da ciò deriva la polemica con i romantici che il poeta critica poiché a suo
parere, si allontano dalla vera poesia. Dei classicisti, invece, rifiuta il rispetto alle regole e l’uso
della mitologia. Il tema della diversità antichi/moderni e la contrapposizione natura/ragione si
radicalizzano dopo la crisi del ’19. È l’anno in cui Leopardi vive la traumatica fine delle
illusioni che cedono il passo al vero. L’immaginazione poetica si spegne: da poeta Leopardi
diventa filosofo. Leopardi sprofonda in una condizione di indolenza e inattività che coincide
con la noia. L’esperienza dolorosa della malattia agli occhi non induce però Leopardi a
un’autocommiserazione, ma diventa lucido strumento conoscitivo che egli applica alla
riflessione sulla condizione umana. La riflessione leopardiana si sofferma anche sul tema della
felicità/infelicità che viene esteso alla storia intera della civiltà. Com’è accaduto nella sua
esperienza personale, così la conoscenza del vero propria della modernità ci allontana dalla
felice condizione degli antichi e porta alla noia, alla morte della poesia stessa. Nella fase che è
stata definita dai critici pessimismo storico, l’infelicità appare a Leopardi un esito negativo del
progresso, dell’eccesso di razionalità che ha allontanato l’uomo dalla natura. Il negativo si lega
esclusivamente al presente, mentre felice è considerata da Leopardi la condizione degli antichi.
Vero e proprio manifesto del pessimismo storico è la canzone Ad Angelo Mai (1820).
(*PESSIMISMO STORICO: l'uomo è causa della propria infelicità in quanto, facendo uso
eccessivo della ragione, si è allontanato dallo stato di natura primitivo, ingenuo e fantasioso in
cui si trovava originariamente. Soltanto durante la fanciullezza l'uomo moderno può conoscere,
seppure per poco, quella condizione di naturalezza e spontaneità che possedevano gli antichi e
che genera uno stato d'animo di felice aspettativa del domani).
LA TEORIA DEL PIACERE E LA POETICA DEL VAGO E DELL’INDEFINITO.
Tra il 1820 e il 1821, Leopardi elabora la teoria del piacere. Il tema su cui Leopardi riflette è la
felicità, che per l’Illuminismo era un diritto dell’individuo che la società e gli organismi politici
dovevano realizzare. La prospettiva di Leopardi è però ben diversa: per il poeta, il piacere è
legato alla dimensione terrena e alla sfera sensoriale ed è quindi ben lontano da una visione
spiritualistica come quella romantica. Secondo Leopardi, nell’uomo è insito per natura il
desiderio di un piacere infinito, cioè di una felicità non parziale e limitata, un desiderio che è
destinato a rimanere sempre frustrato: il piacere vero dunque nella realtà non esiste. Tale
concezione verrà approfondita sul piano poetico dalle due allegorie del piacere: il sabato nel
villaggio e la quiete dopo la tempesta. La condizione costante dell’uomo è l’infelicità che non
può essere cancellata ma solo allontanata dal continuo agire o dall’immaginazione. Nel 1819,
Leopardi ha preso coscienza della negatività del presente e dell’impossibilità di un ritorno alla
natura per l’uomo moderno poiché il processo storico che ha portato alla civiltà è irreversibile.
Di conseguenza, propria dei moderni potrà essere solo la poesia sentimentale cioè una poesia
riflessiva e problematica. Nello stesso periodo, Leopardi compone anche gli idilli, una serie di
liriche in cui la dimensione sentimentale (la riflessione sul sé e sul mondo) convive con
l’insperato recupero di una dimensione immaginativo-fantastica, dimensione che attinge al
piacere dell’indefinito, del vago. In una serie di passi dello Zibaldone, il poeta costruisce una
sorta di catalogo della poeticità, ossia un insieme di situazioni, percezioni ed espressioni che
evocano l’indefinito e che producono in noi piacere proprio. Si può affermare che la poesia in
Leopardi ha a che fare con il riaffiorare inaspettato di immagini e percezioni infantili: la
dimensione poetica si insedia nell’età infantile in cui è ancora viva l’illusione della felicità e
soprattutto in cui si è ancora capaci di sensazioni vaghe e indefinite. (in un importante passo
dello Zibaldone, afferma che quasi non esisterebbero in noi immagini indefinite se non fossimo
stati bambini).
TESTI: 1. UN IMPIETOSO RITRATTO DI RECANATI.
Al tempo in cui scrive questa lettera dell’aprile 1817, Leopardi aveva da poco conosciuto Pietro
Giordani, con il quale avvia una fitta corrispondenza epistolare. In questa lettera, il poeta
risponde a una precedente di Giordani che lo invitava a non eccedere nello studio e a non
disprezzare troppo Recanati. Il diciannovenne Giacomo così ritrae l’ambiente socio-culturale e
umano della sua cittadina, che contrappone, idealizzandoli, ad altri ambienti più evoluti d’Italia
in cui vi sono librai, giornali, in cui si può discutere e confrontarsi.
2. DOPO L’ESPERIENZA ROMANA: LA PRESA DI COSCIENZA DELL’INCAPACITÀ DI
VIVERE.
L’esperienza del sospirato viaggio a Roma, l’uscita dall’aborrita Recanati finalmente concessa
si rivela un fallimento. La grande città crea a Giacomo un senso di spaesamento, una crisi di
identità. In questo passo di una lettera al Giordani del 4 agosto 1823, Leopardi individua le reali
ragioni della sua delusione: disadattamento, incapacità manifesta di vivere, di essere giovane,
come avrebbe richiesto l’uscita da Recanati e la vita in una grande città.
3. IL RAPPORTO CON IL PADRE: DIAGNOSI DI UNA DIPENDENZA. (tratto dallo
Zibaldone: chiamato così per la varietà degli argomenti trattati (nel 700 lo zibaldone era uno
scartafaccio di appunti. L’obiettivo di Leopardi era quello di costruire un tracciato ad uso
esclusivamente personale della propria storia intellettuale. Tuttavia, nel 1827, in seguito a un
suggerimento dell’editore milanese Stella, Leopardi iniziò a stilare un indice tematico al fine di
organizzare gli appunti stessi intorno a nuclei tematici che consentissero di farne una sorta di
dizionario per voci significative. I temi trattati sono riflessioni filosofiche. Polemiche, spunti
autobiografici, principi di poetica, la natura delle cose, il piacere, il suicidio, la disperazione, la
società, il rapporto tra antico e moderno ecc. Lo stile è per lo più asciutto. Grazie allo
Zibaldone, conosciamo la personalità di Leopardi e l’evoluzione del suo pensiero. Fu pubblicato
postumo intorno al 1900 da Giosuè Carducci.)
La difficoltà di Leopardi di vivere lontano da Recanati senza dubbio ha a che fare con il suo
rapporto di dipendenza dal padre, che il poeta non riuscì mai effettivamente a risolvere e ad
abbondare, nonostante la lucidità con cui ne diagnostica la reale natura in una nota dello
Zibaldone del 1826 dimostrando una straordinaria e sorprendentemente moderna capacità di
autoanalisi.
GLI IDILLI
Con il termine idilli Leopardi indica inizialmente un gruppetto di liriche in endecasillabi sciolti
scritte tra il 1819 e il 1821. Il nucleo più importante degli idilli è costituito da cinque testi:
L’infinito, Alla luna, La sera del dì di festa, Il sogno, La vita solitaria. Il termine idillio in
particolare rimanda alla poesia greca di età ellenistica. Con il primo dei suoi idilli Leopardi
fonda la poesia moderna in Italia: il paesaggio naturale diviene uno spunto per una
meditazione esistenziale che scaturisce da momenti autobiografici. Significativo è il passaggio a
un io lirico, mentre nelle canzoni il poeta affidava il suo messaggio a personaggi antichi in cui
si specchia.
Leopardi abbandona quindi la forma della canzone per passare all’endecasillabo sciolto per
esprimere i moti del cuore. Dal punto di vista linguistico il linguaggio è più piano ed evocativo
e viene recuperata una condizione poetica quale isola intoccata nel deserto del presente.
IL MANIFESTO DEL PESSIMISMO COSMICO: IL DIALOGO DELLA NATURA E DI UN
ISLANDESE.
La più celebre delle Operette morali fu composta tra il 21 e il 30 maggio 1824. In essa Leopardi
immagina che un islandese, dopo aver vagato per tutto il mondo, incontri la Natura,
personificata in una donna gigantesca, e la interroghi sul tema della felicità/infelicità e sul
significato dell'esistenza dell'uomo e dell'universo stesso. Nel Dialogo trova una sistemazione
definitiva il nucleo principale del pensiero leopardiano nella forma comunemente nota come
"pessimismo cosmico": la natura stessa è la causa prima dell'infelicità dell'uomo, e non è la
benigna consolatrice, quale compare nella teoria del piacere. Viene qui abbandonata, e
sarcasticamente confutata, anche la concezione, d'origi rousseauiana, secondo cui la ragione e il
progresso avrebbero allontanato l'uomo da una condizione di naturalità felice.
PESSIMISMO COSMICO: approdo definitivo del pensiero di Leopardi. Causa dell'infelicità
umana non è la ragione, ma la natura stessa, che istilla nell'uomo il desiderio della felicità per
poi negargliela costantemente. La natura è matrigna, una forza cieca legata a un eterno ciclo di
creazione e distruzione; tutte le creature viventi non sono che piccole parti di questo ciclo e le
loro singole esistenze sono del tutto prive di importanza.