Dopo la battaglia di Azio (31a.C.), Ottaviano si trovò ad avere nelle mani il controllo di Roma e di tutti i suoi domini. La sua abilità nel gestire questa favorevole situazione si manifestò anzitutto a livello istituzionale. Egli procedette nella realizzazione di un governo sostanzialmente monarchico, pur mantenendo un rispetto formale per le magistrature della repubblica. In realtà Ottaviano realizzò gradualmente un processo di accentramento del potere, attraverso una serie di passaggi significativi: si mostrò rispettoso del senato e delle sue prerogative, ma fu riconosciuto come princeps, cioè il più autorevole membro dell’assemblea. Nel 27a.C. un senato ridotto e a lui favorevole gli riconobbe il titolo di Augustus, cioè “degno di venerazione”. Nel contempo egli mantenne a vita la suprema carica militare di imperator, ben consapevole che il controllo delle forze armate era fondamentale per la gestione del potere. Inoltre, si fece attribuire a vita la tribunicia potestas, l’autorità dei tribuni della plebe che prevedeva anche il diritto di veto sulle decisioni del senato. Infine, fu eletto pontefice massimo alla morte di Lepido. Insomma, Ottaviano giunse ad assommare a sé un imperium maius et infinitum, superiore a quello di tutti gli altri magistrati e senza limiti temporali, instaurando un regime monarchico. Non proclamò però mai la fine della repubblica, rendendosi conto che l’attaccamento agli ideali repubblicani e al mito della libertas era ancora radicato, soprattutto nella classe senatoria. Nella prospettiva di un esplicito ribaltamento istituzionale sarà fondamentale l’ascesa al potere di Tiberio alla morte di Ottaviano Augusto (14 d.C.). Ottaviano Augusto intraprese una profonda riforma dello stato. L’influenza effettiva del senato fu diminuita insieme allo stesso numero di senatori, l’esercito fu ridotto e riorganizzato, attraverso la formazione di 28 legioni, composte da professionisti in ferma prolungata e fu sovvenzionato tramite apposite tasse. Le province furono divise in senatorie e imperiali, le prime amministrate da governatori di nomina senatoria, le seconde controllate da legati scelti dall’imperatore stesso. Una fra queste, l’Egitto, fu considerata proprietà dell’imperatore. Anche il governo dell’Urbe subì mutamenti: i magistrati della repubblica furono progressivamente deposti da prefetti di nomina imperiale. Prefetti importanti erano il prefetto urbano, il prefetto dei vigili, quello della flotta e quello del pretorio, che comandava i pretoriani, una sorta di guardia del corpo dell’imperatore. Quest’ultima carica assumerà sempre più importanza nell’epoca imperiale. In politica estera Augusto rafforzò i confini e consolidò il controllo di regioni ancora ribelli. Fu completata la sottomissione della penisola iberica; fu rinsaldato il controllo dei valichi alpini; furono concluse la conquista di Norico, Rezia e Pannonia. Solo il progetto di spostare il confine dal Reno all’Elba, per ridurre le minacce di incursioni dei Germani, fu frustrato per la pesante sconfitta subita nel 9d.C. da Publio Quintilio Varo. Con i Parti Augusto strinse una pace temporanea, soprattutto grazie all’azione diplomatica di Tiberio. La stabilizzazione dell’impero, la riorganizzazione amministrativa, gli investimenti per le infrastrutture favorirono una florida ripresa economica, il cui elemento determinante fu la pace. La pax Augusta consentì di risanare i danni causati dalla guerre civili e di attuare una ripresa nella produzione e nei commerci. Il potenziamento dei porti permise lo sviluppo del mercato centrale, ma anche l’espansione economica delle province. SOCIETÀ E CULTURA. Ottaviano Augusto creò un apparato burocratico ampio ed efficiente; la maggior parte delle alte cariche burocratiche fu assegnata a esponenti dell’ordine equestre. Salirono d’importanza sociale anche i liberti, che Augusto impiegò nell’apparato pubblico, mentre la plebe urbana venne bandita e attratta nel consenso politico grazie ad abbondanti elargizioni mensili di grano. La vita della città migliorò grazie a interventi strutturali: nuovi acquedotti, lavori di rafforzamento sugli argini del Tevere, realizzazione di un nuovo splendido foro. Augusto volle sostenere la sua opera con un forte messaggio ideale: egli si sforzò di restaurare i valori del mos maiorum all’interno di un ritrovato clima di concordia e di pace, puntando sulla moralizzazione della vita familiare e pubblica e sulla valorizzazione della proprietà terriera. Furono presi provvedimenti contro l’ostentazione della ricchezza e contro il lusso eccessivo; furono emanati decreti che limitavano le spese superflue, favorivano il matrimonio e le famiglie numerose e soprattutto sul piano religioso tentavano di porre un freno alla diffusione di culti orientali e di privilegiare la religione tradizionale. I successi di questa azione furono però limitati: troppo profondi erano i cambiamenti sociali e troppo radicate le nuove abitudini di vita. Per creare il consenso intorno alla sua politica culturale, il princeps sfruttò anche le arti figurative, non solo attraverso l’edificazione del nuovo splendido foro, ma anche la coniazione di monete, nonché l’impulso dato alla statuaria che contribuì a creare la nuova immagine dell’imperatore. L’arte assunse così caratteri prettamente celebrativi (come nel caso eclatante dell’Ara Pacis, un altare dedicato alla Pace inaugurato nel 9 a.C.). Altro grande esempio di condizionamento dell’immaginario collettivo sotto il principato di Augusto fu la rappresentazione cartografica dell’impero, realizzata sotto la supervisione di Agrippa, fidato generale dell’imperatore: era una carta geografica universale, in cui appariva una Roma posta all’esatto centro del mondo, contornata da terre sottomesse e da un mare che era oramai divenuto completamente interno. Augusto fu consapevole soprattutto della funzione che potevano avere intellettuali e scrittori nel sostenere l’impostazione del nuovo regime: in modo intelligente chiamò i letterati a collaborare al suo progetto ideale. Non gli mancò il loro consenso, perché molti scrittori, desiderosi di un periodo di pace, divennero per convinzione e spontanea adesione sinceri collaboratori della sua politica riformatrice, grazie soprattutto all’accorta regia diplomatica e culturale di Mecenate, amico e stretto collaboratore di Augusto. D’altra parte il principe non tollerò il dissenso. Gli oppositori erano ostacolati e spesso messi a tacere, come nel vaso dell’uomo politico e oratore Tito Labieno, le cui opere furono mandate al rogo per decreto del senato del 12 a.C. Non erano viste di buon occhio nemmeno le opere di storici come Pompeo Trogo o del poeta Ovidio che fu condannato all’esilio per il coinvolgimento in uno scandalo di corte, ma anche per il contenuto delle sue opere poetiche, lontano dal programma di restaurazione augustea. Diverso fu invece il caso di Cornelio Gallo, considerato il fondatore del genere elegiaco a Roma. Egli fu colpito da pesanti accuse e si suicidò nel 27 o 26 a.C. La figura di Gallo fu sottoposta alla cancellazione del ricordo (damnatio memoriae) e di conseguenza naufragò quasi completamente la sua opera poetica. PUBBLICO, GENERI LETTERARI E SCRITTORI NELL’ETÀ DI AUGUSTO. In età augustea si costituirono a Roma tre circoli culturali di letterati attorno a tre influenti personalità, in grado di rappresentare anche una sicura committenza e un riferimento economico per gli scrittori. IL CIRCOLO DI MECENATE. Il primo fu il circolo di Mecenate, il quale si formò attorno a Gaio Cilnio Mecenate (70-8 a.C.). Discendente da un’illustre gens etrusca, fu un fidato collaboratore di Augusto, abile mediatore, diplomatico e intenditore di letteratura. Durante l’epoca del secondo triumvirato, ebbe un importante ruolo di mediazione tra Antonio e Ottaviano, cui era sempre legato. Dopo il 19 a.C. i suoi rapporti con Augusto peggiorarono portando da un lato a una sua progressiva emarginazione, dall’altro a un irrigidimento del potere degli intellettuali, verso alcuni dei quali il principe non esitò ad assumere atteggiamenti censori o repressivi: è di questi anni, tra l’altro, l’esilio del poeta Ovidio. Mecenate seppe sollecitare l’ispirazione degli scrittori e orientarne il consenso verso l’imperatore Augusto e il suo modo ideologico di restaurazione politica e civile. Entrarono nel circolo e divennero amici di Mecenate importanti poeti come Virgilio, Orazio, Properzio, Domizio Marso, Vario Rufo e Plozio Tucca. La celebrazione poetica di Augusto, che Mecenate chiese loro, consisteva nell’esaltazione dei miti, della tradizione, dei valori di Roma e non in un esplicito “culto della personalità” del princeps. Mecenate cercò infine di instaurare un clima favorevole, divenendo, oltre che patrono, anche amico personale di questi poeti dei quali volle sempre rispettare la sensibilità artistica. A loro volta, i poeti del circolo non si sentivano in competizione, e anzi condividevano tra loro e con Mecenate anche momenti di svago e ricreazione. IL CIRCOLO DI MESSALIA CORVINO. Un personaggio politico certamente di primo piano in quegli anni, a sua volta animatore di un circolo culturale, fu Marco Valerio Messalla Corvino (circa 60 a.C.- 8 d.C.), uomo di ideali repubblicani, stimato oratore d’orientamento atticista e valente generale anticesariano. Nell’otium letterario si era dedicato alla filosofia, orientandosi verso lo spiritualismo socratico- platonico e forse verso il pitagorismo. Egli raccolse intorno a sé poeti inclini a una poesia “leggera”, di ispirazione soggettiva e dalle forme eleganti, nel solco della tradizione alessandrina; si trattava, dunque, di un’arte lontana dai contenuti celebrativi filo-augustei. Nel circolo di Messalla, si annoverano gli elegiaci Tibullo e Ovidio, Emilio Macro, Valgio Rufo. Il genere prediletto da questi membri del circolo fu quello elegiaco, il che fa supporre un atteggiamento politico distaccato. Lo stesso ripiegarsi in sé e trattare argomenti del tutto privati (l’amore, l’amicizia, i viaggi), rivela indirettamente la loro estraneità al clima culturale ufficiale e alla politica in generale. IL CIRCOLO DI ASINIO POLLIONE. Promotore di cultura e poesia fu anche Gaio Asinio Pollione, nato nel 76 a.C. a Teate, oggi Chieti. Egli ricevette un’ottima formazione retorica e filosofica studiando sia in Grecia sia a Roma; divenne poi amico di Catullo e di Cinna, simpatizzando per la loro poesia neoterica. Fu il primo a Roma a promuovere la consuetudine delle lettere pubbliche (recitationes) delle proprie opere in presenza di un uditorio scelto. Politicamente cesariano, alla morte del dittatore si schierò con Antonio e fu governatore della Gallia Cisalpina. Dopo una fortunata campagna militare contro i Partini dell’Illiria, all’epoca dello scontro decisivo tra Antonio e Ottaviano egli restò neutrale, ritirandosi a vita privata. Morì nel 4 d.C. Pollione compose nova carmina che furono lodati da Virgilio, il quale ne era stato forse l’ispiratore. La sua opera più importante furono tuttavia, i 17 libri in prosa delle Historiae, oggi perduti, che esponevano in modo libero e oggettivo i drammatici eventi delle guerre civili avvenute fra il 60 a.C. e il 35 a.C. Ebbe anche il merito di aver fondato la prima biblioteca pubblica a Roma nel 39 a.C., nell’atrio del tempio della Libertà e di aver organizzato e protetto alcuni scrittori anticonformisti della sua epoca. LE OCCASIONI DELLA LETTERATURA. In età augustea si crearono tempi e luoghi non solo di produzione letteraria, ma anche di consumo. Le recitationes infatti erano vere e proprie letture pubbliche, aperte ora ad una ristretta cerchia di invitati e intenditori. Erano organizzate nella domus di qualche ricco promotore o in sale apposite, chiamate auditoria ed erano appuntamenti sfruttati dagli autori per presentare le nuove opere. Accanto alle recitationes pubbliche, si sviluppò ulteriormente l’attività di ricchi editori che si occupavano di far copiare e diffondere i libri degli scrittori latini nella città e in tutti i principali centri dell’impero. Inoltre, Augusto diede un impulso fondamentale anche allo sviluppo delle biblioteche pubbliche, realizzando in grande stile un progetto che era già stato di Cesare ed era stato anticipato da Asinio Pollione nel 39 a.C.: egli infatti fece allestire una grande biblioteca presso il tempio di Apollo sul Palatino, inaugurata nel 28 a.C., che aveva il merito di riunire opere greche e latine, chiaro segno della raggiunta compenetrazione delle due culture. Pochi anni dopo, Augusto fece aprire un’altra biblioteca presso il portico di Ottavia. PUBLIO VIRGILIO MARONE. Publio Virgilio Marone nacque il 15 ottobre del 70 a.C. a Andes, un villaggio sul Mincio nei pressi di Mantova. Sulla sua vita abbiamo numerose notizie, contenute soprattutto in una biografia di Elio Donato, grammatico del IV secolo d.C. e commentatore di Virgilio. Fonti importanti sono anche Probo, Servio e Girolamo, oltre che alle opere dello stesso Virgilio, utili per ricostruire alcuni elementi biografici. Su quest’ultimo, fiorirono però anche molte leggende. Si possono ricordare ad esempio il fatto che Virgilio neonato non avrebbe mai pianto come gli altri bambini, ma sarebbe stato sempre sereno e sorridente. Virgilio appartenne invece a una famiglia di agiati possidenti terrieri che gli consentì di studiare con i migliori maestri dell’epoca. Avviatosi agli studi di grammatica a Cremona, città in cui si trattenne fino ai 17 anni, egli passò poi agli studi di retorica a Milano e infine a Roma, dove frequentò la scuola del retore Epidio. Successivamente si recò a Napoli per seguire gli insegnamenti del filosofo epicureo Sirone. Non sappiamo se dopo il soggiorno napoletano Virgilio sia tornato a Mantova o si sia fermato a Roma. Dopo la distribuzione delle terre del cremonese e del mantovano ai veterani delle guerre civili, che coinvolse anche le proprietà di Virgilio, il poeta si stabilì definitivamente a Roma. Entrò allora a far parte del circolo di Mecenate, in onore del quale compose le Georgiche, un’opera celebrativa dei lavori dei campi, pienamente inserita nell’opera di restaurazione agricola perseguita da Ottaviano. Dopo la battaglia di Azio e il ritorno di Ottaviano a Roma, Virgilio compose l’Eneide, a cui lavorò ininterrottamente per 11 anni. Via via che l’opera prendeva forma, veniva letta agli amici e anche alla corte di Augusto, suscitando ammirazione. A cinquant’anni compì un viaggio in Grecia allo scopo di riposarsi e di dare al poema la mano definitiva. Durante una visita a Megara in compagnia di Augusto, Virgilio ebbe un malore e chiese di ritornare in Italia, ma le fatiche del viaggio gli costarono la vita e morì a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C. Le fonti antiche tramandano che il poeta, in punto di morte, avrebbe pregato Augusto di distruggere il poema perché non ancora compiuto. L’imperatore al contrario, consegnò il manoscritto agli amici più fedeli con il compito di pubblicare l’opera. I resti mortali di Virgilio furono trasportati nella città che egli forse amò più di ogni altra, Napoli, e sul sepolcro fu posto il celebre distico che affermava “Mantova mi ha generato, i Calabri mi hanno sottratto alla vita, adesso mi custodisce Partenope ì: ho cantato i pascoli, i campi, i comandanti”: MANTOVA E NAPOLI, CITTÀ VIRGILIANE. Mantova e Napoli, città di nascita del poeta l’una, di sepoltura l’altra, conservano numerose “memorie virgiliane”. Il “mantovano Viriglio” lo attesta un rilievo marmoreo del poeta, databile dopo il 1227: questo venne murato nel Palazzo del Podestà, ed è ancora visibile sul posto. Inoltre, la città non mancò di onorare in forma monumentale il suo figlio più illustre anche in epoche successive: infatti, a fine 700’ durante la dominazione francese, venne istituita un’area commemorativa detta “piazza Virgiliana”. Oggi questa è occupata da una composita struttura, inaugurata nel 1927: essa comprende una statua bronzea del poeta e due statue allegoriche in marmo a rappresentare la Poesia epica e la Poesia pastorale. Tale monumento fu l’esito della revisione di un iniziale progetto di creazione di un “boschetto virgiliano” per l’imperante retorica fascista di quegli anni. Fu facile trasformare questo omaggio a Virgilio in un eccellente strumento propagandistico. Anche a Napoli il fascismo seppe utilizzare a fini propagandistici la memoria di Virgilio, che nel corso dei secoli in questa città è sempre stata fortissima: al poeta mantovano, vennero spesso attribuiti poteri magici e le sue ossa, poi scomparse, furono venerate come una reliquia. Intorno al sepolcro di Virgilio, venne creato nel 1930 un “Parco Vergiliano. In realtà, se le fonti antiche attestano la sepoltura di Virgilio a Napoli, non vi è alcun fondamento storico che possa farcela riconoscere nel colombario romano d’epoca augustea ancora visibile a Piedigrotta. Eppure dal Medioevo al Rinascimento, il “sepolcro di Virgilio” venne creduto essere proprio quello, e come tale fu oggetto di pellegrinaggio e soggetto di numerose incisioni o dipinti. Complice anche la sua vicinanza alla cosiddetta Crypta Neapolitana (o Virgiliana), un tunnel artificiale d’epoca romana che la tradizione voleva creato proprio da una magia virgiliana. Dal 1939, inoltre, la suggestiva area archeologica conserva anche la tomba di un altro grande poeta, Giacomo Leopardi, che proprio a Napoli morì nel 1837.