Liberazione intellettuale
Un’immagine desunta da Platone, ammoniva Petrarca a porsi davanti a un mondo dolorosamente
caotico stando ben rinchiuso dentro il “fortilizio” della ragione. Arroccato in una posizione di vigilanza
razionale su di un ambiente ad alto tasso confusionale si gettò nella composizione del suo epistolario:
- Familiares(24 libri)
- Seniles(18 libri)
o Variae
o Sine nomine(19 testi) in cui l’autore venne omesso perché testi compromettenti, come
alcuni temi riguardanti la morale della Chiesa avignonese
L’iniziativa di raccogliere le sue lettere fu un’idea che sorse per l’ammirazione delle Epistolae ad
Atticum di Cicerone, che aveva tradotto nel 1345 riscoprendola in un codice della Biblioteca
Capitolare di Verona. Dischiusero a Petrarca le infinite possibilità del gioco letterario nella
corrispondenza domestica e amicale, genere composito che con il massimo agio permette all’Io
scrittore di offrirsi quale specchio nobilitante all’Io lettore. Spinto dal desiderio di imitare un autore
tanto amato e ammirato dal 1345 o 1349 si lanciò in un’operazione che la critica ha definito self-
fashioning(Ernst Cassirer, lo definì genio lirico dell’individualità; Bernard Groethuysen gli accordò un
posto d’onore nella genealogia delle concezioni antropologiche dell’Occidente, adducendolo a
emblema della fase formativa del moderno coscienzialismo; Arnaud Tripet ha dedicato uno studio alle
strategie retoriche di autoaffermazione dell’Io petrarchesco come modello di coscienza sovrana). Ai
suoi occhi ogni momento della nostra esperienza merita la più alta considerazione, perché è l’Io che
l’ha vissuto, pensato, sentito; non è narcisismo ma ricerca del Sommo bene costantemente collegati
all’autocontemplazione , mantenere ben saldo il contatto con sé stessi, stabilendo un regime di
permanenza delle emozioni. Assecondare con ogni mezzo rappresentativo le dinamiche centripete
dell’Io, questo fu solo un passaggio intermedio, il vero obiettivo è il desiderio di calare nella propria
esistenza un ideale assoluto(morale o estetico)il cui mancato raggiungimento viene pianto come
doloroso scacco o viene rinfacciato agli altri come colpa. Tensione verso la perfezione che viene vista
come possibile dato gli esempi degli antichi che l’anno raggiunta. Questo è lo spirito classicista e
autocostruttivo che avrebbe permeato il senso dell’Io durante la fase ascendente della modernità
conferendo al soggetto quella stabilità che viene definita forma del vivere(Amedeo Quondam). I
frammenti evenemenziali rispecchiato nelle lettere vennero selezionati e annotati per conferire ai
posteri un’impronta di continuità alla propria vicenda esistenziale, in realtà segnato dal dato
dell’accidentalità in una misura sgradevolmente superiore a quanto egli fosse disposto ad ammettere
davanti a sé stesso e agli altri. Il proposito fu quello di tessere retrospettivamente la propria vita
come un arazzo di idee e di emozioni, attraverso un ricomposizione che conferisce alla propria
biografia il valore di una testimonianza in favore del primato assoluto dei valori umani; atto estetico
ma anche morale, ricerca di una catarsi attraverso la trasfigurazione della vita in letteratura.
Sinfonica eterogeneità delle epistole sono specchio della mutevolezza di un Io che, pur volendo si uno
e continuo, si confessò sempre come enigma a sé stesso. Molti gli spunti di denuncia per gli
avvenimenti contemporanei soprattutto nelle Sine nomine ma non ne mancano nemmeno nelle
Familiares e nelle Seniles, volte ad insinuare nel lettore una presa di distanza dal clima de degrado
che opprime il presente(campagna ingaggiata a favore di un povero giovane di un paese della
Provenza che il signore del luogo aveva condannato a morte perché invaghito della sua fidanzata; o le
espressioni di cinismo con cui a Venezia i mercanti trafficavano schiavi o la commiserazione che
mostrò verso i contadini, vittime delle angherie baronali e privi di ogni tutela). A fare da tessuto
connettivo sono i passaggi nei quali rivela i moti riposti del proprio animo e in tono confidenziale,
condivide con gli amici le sue inquietudini davanti ai drammi e agli enigmi dell’esistenza umana: il
tempo che fugge e lascia una coda di tedio e ripensamenti; la brevità della vita e la precarietà delle
conquiste che si fanno; la solitudine un po' cercata e un po' subita; l’invecchiamento del corpo, la
fragilità e le intermittenze di un Io assillato dal dubbio dell’insignificanza. Significativi i passi in cui si
mostra compartecipe dei dolori e delle sconfitte altrui, consolano con tenerezza i suoi corrispondenti.
Pittoresca illustrazione della lettura come riappropriazione di sé, attraverso la cognizione
dell’esperienza altrui mediata dall’arte si ha con Montaigne e la sua clonazione di “retrobottega”
come luogo metaforico della dimensione degli affari correnti e recupero dell’intimità con le proprie
esigenze più vere, grazie al sostegno degli autori prediletti. Petrarca tra le righe delle sue missive
tratteggiò le più sofisticate strategie di ricompattamento del nuovo Io umanistico, sempre bisognoso
di sormontate l’attacco delle forze disgregatrici, interiori ed esteriori, per arrivare ad una condizione
di media autocontemplativa che gli consente di recuperare unità e permanenza
Indossare l’umanità
Si può parlare di pre-idealismo per quanto riguarda l’approccio di Petrarca al retaggio della classicità
in funzione di stimolo al lavoro su se stessi: riportare allo stadio inziale, nucleo della lezione morale
del poeta-filosofo di Valchiusa. Il suo cristianesimo si presentò come tormentato e problematico, per
questo non fu mai ripiegato sulla propria pretesa di autosufficienza dogmatica ma aperto, bisognoso
di trovare energia nuova nell’ammirazione che la coscienza morale nutre verso l’eccellenza anche
non cristiana. Non si sa per quali vie Petrarca si abituò a frequentare l’antichità pagana non solo per
trarne lezioni di bello stile ma anche per innescare un processo di superamento della sub-umanità
attraverso il riapprendimento dell’umanità; altri intellettuali precedenti avevano individuato
nell’antichità la patria di esemplarità morale, anche se lui lo fa in modi originali: antitesi
umanità/barbarie(feritas o bestialità o ferocitas)procedimento definito Rio dell’essenza dell’uomo che
trova i suoi antecedenti nella cultura greca; nella romanità questa concezione venne ripresa e portata
a nuove vette da Cicerone. Antitesi humanitas/feritas risulta pregnante nelle finalità che gli umanisti
hanno affidato alla cultura; essa è presa di coscienza delle possibilità morali che l’individuo porta
racchiuse e che attendono di essere capite e sviluppate attraverso la riflessione comparativa con
l’umanità altrui. Il neoplatonismo aggiunse un terzo stadio: il raggiungimento della condizione di
“uomo divinizzato” attraverso un processo di elevazione a Dio(deifiatio); il termine humanitas si pone
come intermezzo tra il baratro della feritas e il cielo infinito della divinitas. L’inclinazione mistica fu
estranea a Petrarca che fornì comunque una trattazione dell’antropologia umanistica, limitata alla
sola dimensione terrena. Nella prefazione al De vita solitaria opera una distinzione tra l’uomo
ignorante di sé, chi si trova allo stato di partenza e non ha ancora iniziato una crescita morale e
l’uomo autoconsapevole che ha imparato a misurarsi e a dominarsi; distinzione tra homo e vir.
Suggestivo è il linguaggio che Petrarca ha usato per descrivere il processo di crescita morale; il
passaggio dalla condizione di uomo primordiale alla condizione di uomo evoluto viene paragonato
all’atto con cui una persona si spoglia del vestito vecchio e ne indossa uno nuovo; tutto ciò che di
nobile ed eccellente l’uomo porta in sé non è dato innato ma acquisito. Per conseguire la maturità
morale e l’autonomia l’individuo ha bisogno di stimoli che solo una buona pedagogia può offrirgli; da
qui la necessità di avere buoni maestri. Esaltare le sorprendenti capacità umane e tipico
dell’umanesimo, sottolinea come l’humanitas non sia un dato primigenio e scontato; è sintesi di
impegno etico e di progresso nella conoscenza, non corrisponde alla vita biologica, ma è una
conquista, un punto di arrivo che deve cristallizzarsi un habitus permanente, dipende dal fuoco che si
accende nel momento in cui ciascuna persona decide di vivere in un modo piuttosto che in un altro.
La materie umanistiche dovrebbero essere quelle che esaltano la morale dell’uomo, anche per la loro
connessione con la scienza del bello, l’attrazione estetica è difatti decisiva per far si che un individuo
a scegliere di innalzarsi moralmente.
Istanze di aggiornamento
L’umanesimo, nato come critica dell’esperienza tipica del cristianesimo medievale, tese a configurarsi
come progetto di una nuova apologetica cristiana che rispecchia se le istanze di una sensibilità non
più medievale; aggiornamento del linguaggio e del pensiero; questa nuova apologetica doveva
passare le ristrettezze della visuale biblica per abbracciare il fenomeno umano in tutta la complessità
delle sue risultanze storiche, includendo le vette di eccellenza raggiunte dall’antichità precsristiana,
punto che sarebbe poi stato lavorato da Ficino e Pico ma che venne comunque anticipato da Petrarca
che utilizzando versi di cicerone afferma che l’intelligenza umana deriva da Dio. La questione dello
statuto teologico del paganesimo era cara a Petrarca che vedeva nella loro magnaminitas un germe
di riscatto salvifico; sostiene che proprio gli antichi non avessero davvero creduto ai loro stessi Dei ma
che li pregassero meccanicamente ed era da supporre che loro stessi sapessero dell’esistenza di un
unico vero Dio; il vulgus del suo tempo era il vero pagano che si lasciava trasportare e dominare dalle
passioni e dall’idolatria. A dare additato al suo pensiero c’erano nelle opere di Cicerone dei riferimenti
ad un unico io che però lui intendeva come la Ragione universale e impersonale. E da qui nasce la
nostalgia del pensiero del bene che questi avrebbero fatto alla Chiesa e a come sarebbe la Chiesa ora
se avesse avuto loro come modelli; al posto che di una teologica che per colpa dell’aristotelismo si
era avvicinata all’enciclopedismo per incasellare la realtà secondo schemi metafisici astratti senza
tener conto del dato della singolarità di un credente che non accettava più di essere
pedissequamente eterodiretto ne di conformarsi a schemi etici e gnoseologici precostruiti. Petrarca
era convinto che la teologia del tempo non avesse più armi per confutare in modo adeguato la
miscredenza, il materialismo antiprovvidenzialista e il riduzionismo antropologico professata da quei
presuntuosi irriverenti che impartivano il tono al sapere accademico che venne classificata sotto
l’averroismo. Volle redigere un’articolata confutazione contro l’averroismo in nome di una fede
vibrante, ponta a trasformarsi in una parola capace di toccare il cuore e di arrivare all'intelletto,
riaccendendo le intorpidite capacità di elevazione: Senile XV in cui diede a Marsilio un altro compito,
che consisteva nel dedicarsi, con la massima urgenza a un’esaustiva confutazione dell’averroismo.
Nel Contra medium egli definì homiliae i suoi discorsi che in effetti erano dei sermoni con valore
esortativo come quelli dei predicatori; qui dimostrò la sua versione verso ogni prospettiva monocolore
di pensiero, soprattutto se offriva una visione rasserenante della condizione umana, come
l’averroismo, dottrina che voleva riassorbire l’individuo nel Tutto cosmico, detestava l’approccio di
stampo olistico, sordo al valore assoluto della soggettività umana e la tendenza scettica e riduttiva,
sfociante nella negazione di un Dio personale e paterno, presagio dell’ateismo moderno; allo stesso
modo si lanciò contro il naturalismo e lo scientismo che venivano da lui visti al pari dell’averroismo;
ciò che davvero serve nella conoscenza è l’impulso a progredire moralmente; conoscere al fine di
diventare buoni(De ignorantia). Le speranze di Petrarca di riuscire a far creare a Marsilio le opere che
lui non riuscì a completare vennero riposte nell’uomo sbagliato; Marsilio rimase ancorato a schemi di
pensiero medievali pur essendo avverso al tradizionalismo ecclesiastico nei suoi lati più sterili n ebbe
le energie sufficienti a intraprendere con il dovuto vigore l’attacco alle radici psicologiche della
moderna incredulità; si dovette aspettare Ficino per vedere il seme gettato da Petrarca, preludente
alla fondazione di un approccio teologico protomoderno, trovasse un terreno ricettivo e poi con
Francisco Rico e Erasmo da Rotterdam
Contro l’oscurantismo
La nuova cultura aveva bisogno di affermazioni politiche che le dessero visibilità perché forse esterne
e ostili si stavano destando e minacciavano guerra. 1378, inizio attrito fra la linea novatrice
dell’umanesimo e la linea conservatrice del tradizionalismo; data anche di inizio dello scisma
d’Occidente; detonatore: notizia che a Bologna era stato messo in vendita un prezioso manoscritto di
Virgilio; Salutati chiede a Giuliano Zonarini di andare ad acquistarlo ma questo si rifiutò perché presso
alcuni ecclesiastici di detestava l’infatuazione della scuola petrarchesca per gli autori della classicità
a cui aggiunse che Virgilio era un poeta menzognero e che la sua lettura contravveniva alla
deontologia dell’intellettuale cristiano e che avrebbe volentieri comprato per lui un libro di argomento
sacro; Coluccio ribadì che leggere Virgilio non era peccato, visto che nelle scuole si studiavano molti
autori profani, come Donato e Prisciano per la grammatica latina o Platone e Aristotele per la filosofia;
era lecito trarre profitto da Virgilio per la ricchezza straordinaria del suo stile e la profondità della sua
visione morale che in più di un aspetto coincideva on la visione evangelica, vi sorgeva anche un
vestigio dell’onnipotenza di Dio nelle sue doti profetiche che gli avevano permesso di ricevere una
premonizione dell’avvento di Cristo(anche Petrarca aveva detto una cosa simile in una lettera al
fratello). Ciò non fece cambiare idea, anzi, altri corrispondenti ribatterono e diedero inizio ad un
dibattito. Coluccio intendeva che la lettera è l’eloquenza non erano da prendere come creazioni del
paganesimo, ma come percorsi di avvicinamento dell’umanità a Dio; saperi eterni, neutri, che
l’antichità aveva consegnato al presente e che attendevano di essere positivamente impiegati per
l’edificazione del popolo cristiano. Il pensiero antiumanista degli oppositori di Salutati non va visto
come medievali so attardato dato che non corrisponde alla tendenza culturale dominate nel Medioevo
cristiano, al cui tempo il retaggio classico era stato coltivato con devota ammirazione e assorbito con
felice armonia nelle categorie della cultura ecclesiastica; a fine 300 vi era un rigurgito di estremismo
antipagano; si parla, più che altro, di un revival neo-tradizionalista, con tutto quello che di forzato e
artificioso possiede una linea di pensiero prescelta in funzione di barriera di contenimento verso
tendenze comparse nei tempi recenti e percepite come allarmanti; esponenti di una corrente di
tradizionalismo oscurantista che non rappresentava una continuità con il Medioevo ma dava voce alla
paura che incuteva la coltre di buio che si stendeva sui tempi presenti
Impegno militare
L’avversione al fatalismo, fonte di un’attitudine rassegnata davanti ai mali della storia, trasparì dal
modo in cui Salutati si pose di fronte al rovescio che tormento la coscienza a cristiana della sua
epoca. Per Firenze lo scisma aveva portato al conflitto con i papa avignonese per il controllo politico
dell’Italia centrale scoppiato nel 1376 nella Guerra degli Otto Santi; come cancelliere Salutati resse le
fila della diplomazia fiorentina occupandosi della redazione di lettere ufficiali con il quale giustificava
l’operato della Repubblica che gli portarono la scomunica papale. Dovette occuparsi di plasmare
l’immagine pubblica di Firenze che dovette rompere lo storico asse col papato e dedicarsi ad una
nuova politica estera improntata in una più spiccata indipendenza non solo col papato ma anche
dell’Impero e degli altri potentati circonvicini. All’interno del ceto dirigente fiorentino stava maturando
l’opzione in favore di una politica espansionistica che avrebbe portato alla conquista di uno Stato
territoriale, aspirazioni che non avevano precedenti nella città e che quindi erano sprovviste di un
fondamento etico-giuridico nella tradizione. Coluccio e i suoi continuatori, come Leonardo Bruni,
furono chiamati a confezionare nuovi paradigmi linguistici in grado di da voce a tali pretese. Il tutto
venne legittimato con il mito neoromano della repubblica in armi, che combatte non solo per la
propria grandezza ma anche per la difesa di alcuni valori assoluti di civiltà messi a repentaglio
dall’azione malefica delle forse ostili portatrici di anticiviltà (civiltà-barbarie); con a differenza che
proprio la Chiesa approva come barbara. Va ad aggiungersi il fatto che Coluccio aveva lavorato come
funzionario alla curia romana in cui crebbe il suo disgusto verso il lusso e i vizzi dell’alto clero, anche
se accresce va anche la sua devozione verso la santità delle memorie passate, lo splendore delle
liturgie e la fede dei pellegrini. Tutti questi problemi vennero condensati in uno scritto: la lunga
missiva del 21 febbraio 1377, quasi una circolare indirizzata ai regibus atque princibus di tutta
Europa, in cui venne denunciata, con dovizia di dati e patetismo di toni, la strage di civili inermi
compiuta a Cesena dai mercenari bretoni al soldo del papato, comandati dal cardinale Roberto di
Ginevra(futuro antipapa Clemente VII); capolavoro di precisione documentaria e di retorica narrativa
con cui mise in luce il carattere tirannico del temporalismo pontificio. Anche l’anno precedente
Coluccio aveva scritto un’epistola antipapale, rivolta alla cittadinanza di Roma affinché si ribellasse
scrollandosi di dosso il giogo ecclesiastico; 4 gennaio 1376, più marcato il registro sostenuto, denso di
riferimenti al passato classico e a una tavola di valori ideologici tardomedievali(superiorità morale e
civile della natio italica su quella gallica)esorta i romani a ricordarsi quando i loro progenitori si fecero
dominatori e protettori di popoli liberi. Dopo 2 anni dallo scoppio della Guerra degli Otto Santi
sopraggiunge lo scisma destinato a durare quasi 40 anni; anche se avversario del papato come forza
temporale Salutati si dichiarò costernato dalla vicenda in quanto cristiano coscienzioso e sollecito di
un bene pubblico della cristianità che papa e cardinali non sapevano più tutelare; si interrogo sui
motivi che avevano portato questa divisione che stava compromettendo la possibilità che gli europei
continuassero a sentirsi partecipi di un’entità socio-religiosa unitaria, come era da secoli; che andò a
collegare con le sue riflessioni moralistiche intorno al degrado in cui erano sprofondata il papato e la
curia romana. Nacquero così delle missive che da un lato dovevano tutelare Firenze ma dall’altro
connotati di una preoccupazione ecclesiologica; ebbero risonanza anche all’estero(corte francese). Il
presupposto su cui poggiava no era l’imperturbabilità del papato, dei 2 papi, in quanto soggetti
responsabili di scelte storicamente fallimentari, risalenti alle passioni mondane di cui erano schiavi;
quindi, le lacerazioni della cristianità potevano essere segno dell’ira di Dio per i peccati commessi dal
clero. Sorte come opere di propaganda divennero presto opere di giudizio storico, getta le basi per
una comprensione delle forse generatrici del Rande scisma a cui tentava di trovare una soluzione
secondo le coordinate pragmatiche e moralizzanti dea storiografia classica; fu la sua ultima fatica,
insieme all’abbozzo di risposta agli attacchi del Dominici. Pochi mesi prima della morte approntò una
raccolta di 4 epistole(2 pubbliche, 2 private)che vennero intitolate Liber de Schismte che non venne
completata per la sua morte e che non ebbe seguito ma che risulta suggestiva nel suo valore di atto
di giudizio storico che una coscienza etica come quella di Salutati emise nei confronti di una Chiesa
deficitaria di humanitas.
Fiducia escatologica
Il Grande Scisma ebbe ripercussioni devastanti sul piano dell’immaginario collettivo della republica
Christiana; da essa l’umanesimo accentua il suo di stanziamento dalla tendenza generale a leggere i
fatti più sconcertanti in chiave di indizio escatologico; 1392 il cancelliere del comune di Bologna:
Giuliano Zonarini fu preso da un dubbio vertiginoso; suggestionato da alcuni pronostici era da credere
che l’anticristo fosse nato in concomitanza con l’apertura dello Scisma e fosse quindi ormai
adolescente, quindi era sul punto di mostrarsi al mondo; e scrisse a Coluccio per sapere il suo
parere(secondo la cultura dell’epoca le lettere erano scritte per essere lette in pubblico); la risposa di
Salutati fu ferma e rassicurante, le dicerie sull’Anticristo non erano fededegne e la fine del mondo
non era imminente; respinse le pseudo-ragioni del catastrofismo e propugnò una ricognizione dei
fondamenti oncologici della realtà presente, la quale vantava una durata e una consistenza ben
maggiori di quelle che la mentalità apocalittica tendeva ad accordarle. Con lui l’umanesimo si mostrò
accettante e razionalista in un epoca assurda. Si mostrò fiducioso nei confronti della temporalità
presente, bisognava prepararsi a tempi migliori, non alla fine dei tempi; solo il Padre conosce l’ora
della fine dei tempi e più che all’anticristo bisognava concentrarsi sulle condizioni della Chiesa del
tempo, straziata dalle discordie; scartò l’ipotesi che la caligine ella storia attuale si sarebbe dissolta
per far posto ad uno spettacolare prodigio divino ma il dramma presente sarebbe stato faticosamente
smaltito dal lavoro dell'intelletto umano. 1397, nuovo climax nella faida tra classicismo umanistico e
integralismo religioso; quando il condottiero Carlo Malatesta si rese autore di un gesto vandalico che
fece passare come dettato dallo zelo cristiano: fece buttare nel Mincio un’antica statua romana
ritenuta il ritratto di Virgilio poiché le statue sono dovute ai santi non ai poeti pagani; Coluccio
rimprovera Malatesta e la sua cecità distruttiva e rese l’occasione per spiegare i motivi per cui ne
Virgilio poteva essere considerato un nemico del Vangelo solo perché pagano né la sua poesia poteva
essere considerata come foriera di falsità solo perché frutto della fantasia; la grandezza dei poeti,
anche pagani, sta nel loro esprimere l’esigenza del vero e del divino che abita in ogni uomo. 1401
dovette parare un altro attacco all’umanesimo, banalizzato come infatuazione per una scala di valori
classici che doveva invece considerarsi soppiantata dal cristianesimo, detto sa Giovanni da San
Miniato ex umanista insoddisfatto della sua vita e della sua carriera che si era fatto Monaco
camaldolesi dove riscoprì l’idea le di sancta rusticitas coniato da san Girolamo con cui intendeva un
atteggiamento di ignoranza volontaria, a torto ritenuto meritorio da chi rinuncia a capire la realtà del
mondo per concentrarsi unicamente sulla pratica di una fede antiintellettualistica e solipsistica.
Famosa lettera di Petrarca a Boccaccio in un momento oscuro di questo in cui voleva abbandonarsi gli
studi letterari ricordando le parole di Monaco che gli aveva impartito un monito in punto di morte
dicendo che i suoi studi lo avrebbero portato alla perdizione; Petrarca rassicura l’amico a non lasciarsi
sopraffare dal timore: la sua fede in Cristo era fuori discussione e quanto alla cultura, una litterata
devotio era superiore ad una devota rusticitas. La sancta rusticitas torna più volte come arma degli
antiumanisti come prova di umiltà cristiana che comportava il ripudio dell’orgoglio della libido scendi.
Giovanni accusò gli umani di anteporre il culto per i classici a quello per Cristo a cui salutai rispose
che al fondo della propria venerazione per i classici vi era una salda fede nel Vangelo. Apologia
dell’umanista come uomo di fede e di intelletto che Salutati inserì nel finale dell’epistola, gli dovette
apparire sconcertante la folata di antintelletualismo che percorreva l’Italia; lo stigma di atto
peccaminoso che gli antiumanisti cercarono di far ricadere sul desiderio di conoscere e progredire
attraverso il paragone con i classici non era dovuto ad un ritorno al passato ma aveva a che fare con
la pretesa assoluta di un fondamentalismo ossessivo che identificava la libertà con il pericolo della
trasgressione; questo pensiero venne confutata solo in parte da Salutati, affermò che esso poteva
funzionare solo se applicato al contesto del monachesimo ma era fuori luogo se calato nei
meccanismi della vita sociale a cui si rivolgeva invece l’umanesimo che puntava a creare una cultura
che non intendeva favorire l’orgoglio intellettuale ma che doveva servire a trasmettere la fiamma
della conoscenza alle nuove generazioni dei cristiani destinati ad operare nel mondo; ognuno di noi
riceve dai suoi maestri le verità su Dio che deve poi trasmettere ai posteri; il problema è svolgere
efficacemente tale compito. La Sancta rusticitas serve solo a santificare colui che la pratica, mentre
l’umanità svolge il suo apostolato non solo per sé ma anche per gli altri.
L’uomo erculeo
Opera di maggiore ingegno di Salutati: De laboribus Herculis(!380-1405); analisi enciclopedica di tutti
i possibili sensi interpretativi del mito delle fatiche di Ercole; passione suscitata dalla presenza di
Ercole nel sigillo di Firenze rappresentazione della lotta plurisecolare della città contro i nemici al fine
di imporsi come entità territoriale predominante in Toscana e guardata con rispetto in Italia; il
cancelliere si chiese se il simbolo fosse adeguato, a renderlo perplesso era la considerazione che
Seneca aveva riservato un duplice trattamento della figura di Ercole: uccisore della moglie e de figli
ed ero divinizzato (Hercules furens/Hercules Oetaeus); si chiedeva quale delle sue figure privilegiare e
sul tipo di credito da dare ai miti pagani: se contengono una verità morale e quindi possono esse usati
anche per i cristiani o se sono invenzioni che non meritano stima né studio. Si dedicò ad uno studio
approfondito di tutte le storie su Ercole e dell’etimologia dei nomi e la struttura diegetica del mito; vi
applicò una chiave esegetica di tipo Medievale ma mosso da uno spirito umanistico: in Ercole vide il
prototipo dell’uomo magnanimo, sempre prono a combattere ed ad andare incontro all’estremo
sacrificio pur di affermare la sostanza etica dell’umanità di cui ognuno deve far portatore. Rivendicò il
valore intrinseco della letteratura, che anche quando è di matrice pagana contiene sempre un
contenuto intrinsecamente cristiano; in particolare la poesia è orientata verso l’intuizione delle verità
eterne; nessuna realtà umana è estranea all’influenza dello Spirito Santo, soprattutto le eccellenze
letterarie (Genealogia Deorum, Boccaccio, opera simile, grane manuale di mitologia classica); da qui
si sarebbe sviluppata la riabilitazione dell’esperienza religiosa dell’umanità pre e non cristiana(Ficino,
Pico); Salutata era convinto che il pensatore cristiano deve farsi pio cercatore della perla teologica
nascosta nell’ostrica della poesia pagana; deve portare alla luce il nucleo veritiero sempiterno e
cristiano che giace sotto il velame delle sublimi incongruenze; forte attenzione ai simboli in cui gli
autori pagani nascondono le tracce di Dio e per questo il lettore moderno deve darne una lettura
scrupolosa. Opera che è il punto di snodo tra Medioevo e umanesimo: ha impianto medievale ma
stampo umanistico. Ercole impersonò il paradigma antropologico dello stoicismo cristiano da lui
professato, incentrato sull’oblazione immolativa di sé come essenza della vita morale. L’esistenza del
saggio non consiste nella conoscenza speculativa, condotta nella separazione della sfera dell’umanità
ordinaria che si mostra nel principio del disprezzo del mondo ma è la fatica di un lottatore che,
combattendo incessantemente per l’affermazione di un ideale universale va incontro alla perdita di
ciò che ha di più prezioso: la tranquillità, gli affetti, la sua vita; metafora del sacrificio di Cristo;
tuttavia non paragonò mai Ercole a Cristo, cosa che già avevano fatto altri; forse l’avrebbe inserito nel
finale mai realizzato ma il tema comunque non occupa il centro della trattazione; questo vuoto, dato
dall’impronta non teocentrica e non cristocentrica rivela la sua visuale antropocentrica che lo espose
a delle contraddizioni. Non l costruito con l’eloquenza umanistica ma secondo i canoni dell’esegesi
tardomedievale, risulta fredda e compassata e la struttura intricata è tediosa; specchio anche della
trasformazione culturale verso l’umanesimo appena cominciata; tuttavia la sua poca attrattiva del
lettore moderno indica quanto fosse necessario svecchiare lo stile e la lingua scolastica del Medioevo
Antifatalimo
Visto che non si concluso il testo è la dimostrazione di una fatica inutile, non ebbe circolazione fino al
XX sec; tuttavia la sua visuale etica di Salutati aveva già trovato articolazione nel trattato De fato et
fortuna; manifesto del suo volontario pugnace, scritto nel 1396 per un Monaco cistercense, venne
diffuso anche alla corte francese, come richiedeva la sua volontà di diffondere il “verbo”
dell’umanesimo ai più remoti sovrani laici; anche per questo il trattato ebbe notevole fortuna ai
tempi. Tecnicamente è un trattato de ordine causarum nel quale si ammette l’onnipotenza di Dio ma
non come necessitazione del tutto ma come fonte interagenti con la libera volontà individuale.
Salutati volle rispondere alle supposizioni di chi, davanti allo scoppio del tumulto a Perugia inferì che
la tendenza dei cittadini alla discordia civile potesse essere causata da una malefica congiunzione di
stelle e pianeti, mossi da Dio; Coluccio era convinto fosse l’uomo ha produrre a propria condizione di
assurdità quando si lasciava dominare dagli istinti belluini. La sua replica pervasa da stoicismo
cristiano fu categorica: tutto il male che l’uomo scatena con i suoi sbagli non è imputabile ad altri che
all’uomo stesso; a ricavare un bene finale della sequela degli atti sbagliati dell’uomo ci avrebbe
pensato la Provvidenza divina, presente nella storia per trarre il bene dal male ma non si sostituisce
alla libertà degli uomini i quali contribuiscono a determinare l’andamento dei fatti con la loro tensione
verso una finalità voluta; concorrendo a forgiare il loro destino individuale. Il disegno di dio si svolge
senza che nulla possa opporsi ma a livello individuale l’uomo l artefice e responsabile di una suo
propria traiettoria morale che può condurre alla salvezza o alla perdizione; gli uomini non sono in
balia di forse soprannaturali che cancellano il loro libero arbitrio, l’aiuto divino deve essere chiesto e
accettato ma senza che si sovrapponi alla libertà personale; invita i perugini ad abbandonare la
feritas per indossare l’humanitas ;libera scelta di conversione. Il trattato l uno scritto aperto, veicolate
posizioni non dogmatiche ma che possono essere riprese, venne composto in forma I diatriba,
rassegna ponderata di tutte le principali posizioni espresse dagli antichi e dai moderni intorno ad un
certo argomento(lo fece anche rasmo da Rotterdam quando dovette chiarire la propria posizione sul
problema della libertà umana, De libero arbitrio, come replica Lutero che aveva parlato del servo
arbitrio). La rivoluzione intellettuale dell’umanesimo segnò il passaggio dal teocentrismo al
l’antropocentrismo
Lampi di irriverenza
Avversione all’ecclesiasticismo
1990 Riccardo Fubini pubblica la prima delle sue raccolte di studi, Umanesimo e secolarizzazione,
riconsiderazione del fenomeno umanistico delle prigini, si da grande risalto alla mutazione di orizzonti
della 3° generazione con cui passò all’attacco contro alcuni autorevoli esponenti della Chiesa e contro
il manto sacrale della tradizione ecclesiastica; emerge la cultura dell’irriverenza che convoglia la sua
forza polemica contro ecclesiasticismo. Personaggio di spicco Poggio Bracciolini(1380-1459) vena
antiascetica e anticlericale ma che fu uno stipendiario papale. Originario di Terranuova del Valdarno si
formò come notaio, ciò gli permise di credere nella scala sociale per gli individui dotati di talento e
energia. Frequentò la scuola di Malpaghi che lo iniziò all’amore per il latino classico e le sue doti
calligrafiche lo fecero notare da Salutati che lo inglobò nel suo circolo; grand abilità scrittoria,
letterato che alle doti retorico-stilistiche associò attenzione per l’elaborazione visiva dello scrivere;
inventò I moderni caratteri grafici, per lui ripristino del modo di scrivere antico e a cui assegno il
valore simbolico della rinascita delle bonae litterae. Per un periodo la sua biografia è quella di Bruni
corsero in parallelo, tuttavia dopo la deposizione di papa Giovanni XXIII presero strade diverse, che
portarono Bruni a sposarsi ed ad avere una discreta fortuna con i suoi scritti che gli valsero la
cittadinanza fiorentina e quella più precaria di Bracciolini che dopo la deposizione rimase a Costanza
come partecipante al Concilio per capire la piega che avrebbero preso gli avvenimenti, incertezza
terminata solo nel 1417 con l’elezione di Martino V Colonna che ricndsse l’Europa cristiana all’unità;
qui scrisse alcune delle sue epistole più famose di natura di reportage di situazioni curiose o di
avvenimenti sotrici straordinari tra cui quella del supplizio di Girolamo da Praga, discepolo di Jan Hus,
1416, testimonianza dell dissociazione tra la coscienza umanistica e la pretesa di sacertà accampati
dalla Chiesa istituzionale: vide in Girolamo uno spirito forte capace di difendere con saldezza le
proprie convinzioni, non tanto mosso da un legame col movimento eretico; la situazione nel quale
avvenne il processo e la condanna fece cade ancora più l’onore della Chiesa, non Governata da un
papa ma dal Concilio di Costanza; avviarono un processo perché Girolamo e il suo maestro potessero
spiegare e ritrattare le proprie posizioni ma vist la loo ostinazione spedirono entrambi al rogo, questo
agli occhi dell’autore fece aumentare la stima nei confronti del condannato che era stato vittima della
malafede ecclesiastica ma senza palesare mai tale giudizio nell’epistola che scrisse in maniera fedele
a com’erano andate le vicende, rievocazione puramente fattuale, evidenziò la su ferma e serena
determinazione, l’impavida attesa della morte come i filosofi antichi; lo riteneva un individuo
moralmente migliore dei suoi giudici, meschini ed arroganti. Destinatario di questa fu Bruni che però
prese le distanze rimproverano a Poggio di provare troppa stima per un eretico e di maneggiare con
troppa disinvoltura gli affari pertinenti del clero. Poggio scrisse un testo ancora più incalzante che
ebbe poco successo, Oratio ad reverendissimos patres, arringa per i partecipanti del Concilio di
Costanza; vero monumento dell’anticlericalismo di Bracciolini, scritta durante le difficoltà elle quali si
dibatteva il Concilio nella seconda metà del 1417 quando tra i padri stentava a farsi largo una
convergenza che avrebbe condotto all’elezione di un nuovo pontefice che avrebbe avuto il compito di
riportare l’occidente latino all’unità; lo sdegnò davanti alle divisioni dell’assemblea spinsero Poggio a
scrivere un testo con il quale rinfacci a quei chierici impudenti, che si pretendevano medici della
Chiea, la malattia di cui erano infetti e sulla quale tenevano chiusi gli occhi. Favorevole alla
monarchia papale anche se non espresse ampiamente questo suo pensiero. Il suo furor compositivo
venne messo in moto dalla volontà umanistica di denunciare la deriva della Chiesa, sciagura
imputabile ai vizi del clero che ora potevano essere recensiti e condannati in nome dello stato di
emergenza della Chiesa. Ogni membro del Concilio difendeva accanitamente il proprio posto di
potere, senza piegarsi a una superiore istanza di interesse generale: i preti predicano la santità e
l’irreprensibilita ma covano nel privato una serqua di attitudini nefande che indicano la loro credibilità
come annunciato del Vangelo. Il laicato è in grado di comprendere l’attendibilità delle direttive che
riceve, se dunque a impartire lezioni di Vangelo è un clero che mostra discrepanze tra ciò che dice e
ciò c’è fa, il risultato sarà l’incredulita nei confronti del messaggio. Poggio vuole dar voce ad un
laicato che dubita degli effetti salvifica del Vangelo e che vuole mettere sotto esame le cause di tale
scandalo; spesso riconducibile alla vita poc evangelica del papato. Giudizio duro e originale ma che
mostra l’atmosfera che dilagava al tempo che incolpava del Grande Scisma proprio i pontefici,
soprattutto i più recenti che si appellavano a beati e a santissimi; ma se non era molto favorevole al
papa, tanto meno lo era verso un Concilio che non aveva concluso nulla di buono: sul piano pastorale
i suoi membri si erano rilevati inadempienti e pervasi da superbia clericale. Stato d’animo I
indignazione retorica mente enfatizzata in modo da rendere l’eloquenza alleata di un’ideologia
distruttiva. Il clericalismo venne denudato della sua falsità, il popolo era più incline a guardare le mani
che la bocca di chi stava sul pulpito a impartire ammonizioni magari accompagnate da minacce di
dannazione. Il carattere intimidatorio venne aspramente criticato. Poggio invita a metterci al lavoro
per rialzare la Chiesa in modo che fosse di nuovo in grado di portare la salvezza alla collettività; poca
sensibilità su questo tema, rivela il suo scetticismo, tuttavia definisce il bene della Chiesa coincidente
a quello comune. Per l’attacco utilizzò uno strumentario retorico e morlaistico non teologico né
giuridico
Sincerità contro ipocrisia
Con Bracciolini l’indisponibilità a riconoscere pervalida laurea sacrale di cui si vantavano i ministri
della Chiesa, già connaturata al movimento umansita, prese i trattati corrosivi di un’insofferenza che
rappresento il primo moto di affrancamento della coscienza individuale dalle ipoteche della dogmatica
medievale; lo si vede evidenziarsi con la 3° generazione di umanisti, quando con Salutati erastato
molto più trattenuto che addirittura opera un’apparente inversione di marcia rispetto al suo laicismo
nell’opera con cui esalta la scelta di vita monastica, De seculo et religione, con cui appoggio la scelta
di vita dell’amico Nicolò da Uzzano che si fece Monaco camldolese, scritta attorno al 1381, periodo di
grave disorientamento per Salutati in quanto a governare la città era il governo del popolo minuto,
sorto con il Tumulto dei Ciompi; tuttavia nl testo esprime la sua idea di monachesimo come forma di
vita imperniata su di una frugality salutare, su di un pauper simo volontariamente abbracciato che
diventa onte di virtù sociale, sull’egualitarismo implicito nella scelta cenobitica: oscillazioni che ebbe
anche nella politica, convinto repubblicano non escluse momenti in cui simpatizzò per la monarchia,
De tyranno. Bruni, 1417, poco dopo il ritorno a Firenze, entrò in attrito con l’alta curia ecclesiastica
cittadina, impersonati dal grande Monaco camldolese Ambrogio Traversari, personaggio di notevole
caratura etica e intellettuale la cui fisionomia risultava agli antipodi di quella del Dominici; non
contrario al movimento umanistico ,preseguiva un deale di conciliazione tra il fermento petrarchesco
che interpretava in chiave neopatristica e la fedeltà ad una tradizione ecclesiastica da lui stesso
avvertita come languente e bisognosa di linfa nuova; favorevole fruizione di più testi antichi possibili,
traduce diverse opere che ritenne adatte alla difussione di una cultura sostenuta dalla pietas(Vite dei
Padri del deserto, vite dei filosofi di Diogene Laerzio). Promotore di una riforma che volle far partire
dallo stesso Ordine in quanto primizia di un rinnovamento globale; fu un vero uomo di cultura che si
dedicò a un’importante opra di raccolta e diffusione di testi patristici, anche in lingua greca;
rigenerazione di una Chiesa attraverso la cultura. Tuttavia sembra che mostrasse riprovazione verso
gli esiti più arditi del programma riformatorio di Bruni. Come la sua traduzione d testi pagani che poco
centravano con la cristianità come alcuni dialoghi di Platone. Connaturata alla forma mentis degli
uomini di Chiesa era la tendenza a subordinare ogni aspetto della realtà storica all’imperativo del
consolidamento della Chiesa istituzionale. Bruni afferma che ciò che la spinto a scrivere il testo è lo
sdegnò che lo prese quando venne a sapere che alcuni simulatori avevano proferito alle sue spalle
giudizi non vene voli su di lui, probabilmente in merito alla sua inclinazione a divulgare testi profani.
Questo testo va anche letto contando l’impegno di Bruni nella formazione di un programma di studi
sganciato dal canone della tradizione ecclesiastica e orientato a riattualizzare testi e pratiche risalenti
al modello dell’antica paideia greco-romana, rivoluzione pedagogica che lo portò a pubblicare la sua
celebre e fortunatissima traduzione latina dell’etica nicomachea di Aristotele. Con questo scritto la
diatriba tra chierici e lici entrava in una fase nuova, il laico poteva prendersi il diritto di biasimare il
chierico per l’indegnità delle sue azioni. Da sfogo a quella che presenta come una delusione che
finalmente gli ha aperto gli occhi, rivolgendosi agli ipocriti. Desiderando fare giustizia si riprometto di
mettere a nudo la meschinità di tale genia di uomini che paragona a commedianti che recitanp la loro
bontà, speculano sulla dabbenaggine di chi crede che il valore di una persona si misurida ciò che da a
intendere di sé; per l’umanesimo la vita dell’intelletto deve sfociare nell’attitudine alla verifica
personale; la convalida del sapere coincide con l’atto dell’accertamento empirico, autoptico. Il fatto
religioso fu uno dei campi preferenziali au quali gli umanisti applicarono il principio euristica secondo
cui le cose non sono mai come sembrano; principi della sincerità, intesa come perfetto
corrispondenza tra dentro e fuori, come aderenza tra sentimenti interiori e azioni esteriori; virtù
praticabile solo nel regno della libertà e dell’utonomia dell’Io che non è lo statuto essenziale degli
ipocriti. Alcuni passaggi dell’invettiva sembrano suggerire che, al di là dello scontro con i simulatori di
santimonia, il bersaglio dell’umanesimo era la spiritualità della sottomissione, che albergava di
preferenza nei conventi e nei monasteri. La laicità umanistica si presenta com etica ella fierezza,
indipendenza della propria individualità non proclive a cedimenti e sotterfugi, ma anche come etica
della veridicità, pretende trovare coerenza in chi allega i più alti ideali etici. Ricorso al moralismo
satirico. Invito a non fidarsi del clero ipocrita per rafforzare nel pubblico laico il sentimento della
propria alterità morale rispetto ad una casta clericale che viene sferzata come pedagogicamente
inaffidabile; ammette che anche illaicato ha le sue forme di ipocrisia anche se mai come nei chiostri.
Nella parte finale emerge tutto il suo antropocentrismo, primato che l’umanesimo assegna alla sfera
interiore dell’individuo. Nella chiusa viene infatti delineata un’antitesi tra ipocrisia e sincerità come gli
stati d’animo che caratterizzano l’uomo della cattiva e della buona coscienza; il primo è tormentato
dal rimorso che gli mette davanti le sue irregolarità, il secondo convive serenamente con una
memoria che non ha nulla da rimproverargli; entrambi sottostanno alla coscienza sovrana; la
coscienza è continuamente in atto di emettere la propria sentenza che può essere di auto-rimprovero
o di auto-apprezzamento; primi esempi di coscienzialismo, dell’Io che è testimone di tutto. Compare
una fugace accenno all’impostura che hai tempi trovava ampio spazio nel devozionalismo intendendo
la facilità con cui la gente semplice si affidava all’espletamento meccanico di pratiche paraliturgiche e
talora anche suprstiziose per superare i grandi problemi dell’esistenza, mescolando fede e magia;
rimanda al bisogno di rodifi e di conforti di cui era pervasa la società del tempo e l’esistenza di un
proletario ecclesiastico sottratto al controllo di qualsiasi autorità, formato da frati spinatati senza
convento, chierici vaganti e avventurieri che per sbarcare il lunario ricorrevano a ogni genere di
espedienti; tra di essi anche il traffico delle indulgenze, vere o contraffatte, che furono soggetto di
uno scontro a Firenze nel 1431 che sollecita l’intervento del governo di cui Bruni era cancelliere e
quindi la più alta carica in grado: in quell’anno a Firenze comparve un Cavaliere dell’ordine di
S.Giovanni di Gerusalemme che in una lettera per papa Eugenio IV, Bruni definisce ipocrita avido e
faccendiere i cui pensieri andavano più alla pecunia che alle cose dello spirito; questi, grazie alle sue
doti comunicative era riuscito a radunare un gruppo di persone a cui mostrò una serie di solenni bolli
pontificie con tanto di sigillo in cui diceva ci fosse scritto come il papa gli aveva attribuito i suoi alti
poteri di remissione dei peccati a chi avesse versato una certa cifra, salvezza che in una città come
Firenze era indispensabile, dato che pululava di usurai; raccolse un discreto seguito, soprattutto tra le
donne; questo però attirò l’attenzione dell’élite cittadina che era sempre attenta a tener sotto
controllo i movimenti di un clero distimato e prono agli abusi, il cavaliere venne convocato e gli
vennero chieste le credenziali , vennero controllate le bolle papali e fu riscontrato che il contenuto
non corrispondeva a ciò che il Cavaliere aveva detto, senza mancare di sottolineare come lui è il suo
seguito in pubblico redarguivano i peccatori a pensare alla propria anima ma in privato si mostravano
totalmente dimentichi della propria
Una controversia sulle indulgenze
Per via del temperamento di Bracciolini, il nuovo papa Martino V non lo riammise nell’organico della
curia dopo la sua elezione nel 1417 e Poggio trovò un lavoro come segretario in Inghilterra al servizio
del vescovo di Winchester senza cogliere grandi soddisfazioni, per 4 anni. 1423 torna a Roma dove
riottiene la carica di segretario apostolico fino al 1453 quando finalmente venne chiamato a Firenze
per coprire la carica di cancelliere della Repubblica. Gli anni romani furono i più felici e produttivi;
godendo di un’agiata tranquillità mse a profitto le grandi possibilità del genere epistolare che permise
di far circolare le sue idee non convenzionali in materia di etica, demolizione di tutti i luoghi comuni
normalmente adottati per acquietare le ansie della mente e per legittimare l’esistenza di grandi
istituzioni aventi scopo di inquadrare la collettività secondo finalità contrabbandate perbenefice e
provvidenziali. Utilizza il registro espressivo del moralismo satirico tendente all’ironia beffarda e
scanzonata. Non mancarono le punte amare che esplicitarono con nettezza la sua visione disincantata
di un mondo segnato dalla negazione implacabile delle attese di perfezione che la mente umana
sembra condannata a coltivare. Idee che non vennero rese pubbliche ma elargito solo ad una stretta
cerchia di amici e incoraggiato da questi le osò mettere per iscritto in forma dialogica in un saggio
che mostra la sua spregiudicatezza intellettuale, componendo la sua prima opera di ampio respiro, De
avaricia; edito nel 1428 mette in scena un convito organizzato da Bartolomeo da Montepulciano al
quale sono invitati Loschi, Rustici(i suoi amici) e Poggio che si scherma dietro le diverse voci dei
protagonisti; la discussione ruota sui fatti del giorno: soprattutto sullo scalpore della predicazione di
San Bernardino da Siena che at traeva grandi folle nelle piazze, nel gruppo questo carisma suscita
poco trasporto, appare foriero di una nuova panoplia di espedienti al servizio della demagogia
religiosa; proprio con le perplessità di Rustici sull’effettiva frutto della predicazione di Bernardino si
apre il dialogo; accusato di uno stile conciatorio e vagamente istrionico che oggi definiremo
comunicazione mediatica, ricerca di impatto emotivo al fine di elettrizzare il pubblico a cui però non
lascia nulla di fatto, non è un discorso moralizatore; esso dovrebbe attaccare i vizzi in modo efficace,
critico e riflessivo, cominciando dall’avarizia, cosa che Bernardino non fa. Tema dominante: disamina
dell’avarizia come male per l’individuo e per la collettività; prima di questo si divaga sull’arte della
parola come efficace mezzo per sradicare i vizi, interrotta dall’arrivo di Andrea di Costantinopoli,
maestro del Sacro Palazzo che altempo teneva il controllo sull’ortodossia dottrinale ma si presenta
benevolmente a fare da moderatore e da contraddittorie delle tesi più lontane dalla morale cristiana,
che i dialogatori non avevano remore a esporre e che non verranno censurate. Bartolomeo diede voce
a posizioni consacrate dalla tradizione classico-cristiana definendo l’avarizia come tendenza egoistica
e possessiva e che trattiene per se quei beni che dovrebbero invece essere messi a disposizione della
comunità; perversione ripugnante che come un tarlo di insinua nella testa e lavora a distruggerlo.
Loschi, dissentendo, presenta l’argomentazione più innovativa del dialogo: nell’opera Bracciolini
tende a mettere in discussione la colpevolezza dell’istinto al guadagno che i frati insinuavano con la
loro catechesi popolare; con l’intenzione di portare alla ribalta una simile aporia, mise in bocca a
Loschi una serie di riflessioni che in poche righe mandarono all’aria il sistema etico dominate da più di
1000 anni. Egli definì l’avarizia come l’inclinazione a guadagnare e in quanto tale è connaturata
all’uomo, quindi non è condannabile; sbagliava sant’Agostino a definirla come una corruzione del
cuore, essa esiteda quando esiste l’uomo, è universale e insopprimibile; quando frati e monaci fanno
voto di povertà e di rinuncia di tutti i beni non compiono nulla di meritevole, dal momento che essi se
ne stanno tranquilli e ben pasciuti al imparo dei loro chiostri, lasciando ad altri il problema della
conservazione del genere umano, loro compresi. Prima di procedere alla condanna, occorrerebbe
valutare i benefici sociali apportati dal desiderio di guadagno individuale; si S coprirebbe che esso è il
motore dello sviluppo delle attività umane, comprese quelle più nobili; esempio del bene dell’avarizia
visibile nella città, nodo di interscambio socioeconomico e culla di vita civile, è anche sede
monumentale e ospita edifici mirabili opere dell’ingegno, dove non può vivere l’uomo frugale e parco,
attento a limitare i suoi bisogni(discepoli in Adam Smith e Bernard Mandeville, o nell’illuminismo).
Andrea da Costantinopoli si occupa poi di riportare la discussione entro i bonari della dottrina
canonica, richiamandosi all’oggettiita delle autorità più indiscutibili, da San Paolo alla Patristica greca
e latina, condanna l’avarizia non come inclinazione al guadagno ma come eccesso di spirito
possessivo, tutti oncordano con lui, così il dialogo può avere fine. Nel De avarizia la disgregazione del
principio sacrale del bene comune come idea-forza in grado di motivare i comportamenti pubblici e
privati, orietandoli a un principio di interesse sovrapersonale che adesso appare spento, socialmente
ineffettivo; processo che i frati dell’osservanza cercarono di rendere reversibile, opponendo ad esso
tutti i ritrovati messi a punto dalla loro formidabile inventiva al fine di procurare un revival del
solidarismo cristiano. Presenta qui 3 voci:
- l’apologia della mentalità borghese che vede nell’avarizia il motore che spinge l’uomo a
migliorarsi e a migliorare ciò che lo circonda;
- la posizione tradizionalista che condanna l’avarizia
- pietà ed apertura mentale, sostenitrice di un giudizio di mezzo che rigetta la sete del possesso
fine a sé stesso e rettifica l’impulso vizioso all’avere, introducendo il correttivo del bene
comune come termine del riferimento sovraindividuale, dovrebbe essere la visione di
Bracciolini
Tutti e 3 sono parzialmente veri e parzialmente falsi o almeno confutabili. A Poggio interessava dar
voce a una tesi considerata scabrosa pu essendo storicamente operante, mostrando cheanch’essa
era degna di essere soppesata dalla ragione di un lettore riconosciuto come ultima istanza giudicante.
Taglio agnostico del dialogo umanistico mesos recentemente in discussione; si è messa in luce una
struttura ascensionale della quale l’ultimo a parlare svolgerebbe un ruolo preminente in quanto si
incaricherebbe di far uscire il colloquio dall’impasse in ui è stato portato dl radicalismo degli altri
interlocutori, reimpostando la questione nell'unico modo cioè quello risalente all’ordo charitatis come
fondamento del legame sociale
Controcanto alla santimonia
Le reali convizionietiche di Poggio non sono attestabili dato la mancanza di una sua biografia che
metta in risalto il fatto che egli conferì dignità logica e rappresentatività letteraria a orientamenti di
pensiero che suscitava no imbarazzo alle coscienze dei suoi contemporanei e forse anche alla sua.
Discorso che riguarda anche il divario ch egli tematizzò tra l’apparire pii e santi al cospetto degli altri
e nutrire nell’intimi sentimenti di natura opposta. La denuncia dell’ipocrisia non era un fattore nuovo:
rientrava in un filone anticlericale già ravvisabile in Dante e Boccaccio. Di nuovo ci fu il taglio retorico,
sostentamento indignato in Bruni e implacaabilmente satirico in Bracciolini. A fronte di tanta enfasi
formale è da registrare uno spessore contenutistico piuttosto flebile. I compinenti di entrambi gli
umanisti non fuoriuscivano da limiti di un moralismo angusto e tendenzialmente monocorde, avente
nelle melefatte della frateria il proprio chiodo fisso. Peraltro, il carattere epidemic o dell’avversione al
clero regolare, sul quale esi inferiono sapendo di colpire dove avrebbe fatto sensazione, risulta
rivelatore di un mutamento culturale giunto a maturazione. Avvisaglie di uno scontro tra 2 diverse
concezioni di critianesimo: uno di tipo clericale e comunitario, consegnato dalla tradizione; l’altro di
tipo laicale e soggettivo, predicato da un’avanguardia umanistica sempre più incalzante nel
rivendicare una Libertas dicendi che andava a sfidare la venerabili delle istituzioni Sacre e dei loro
amministratori; con Poggio grande battaglia in nome del diritto delle pulsioni naturali a essere trattate
per costanti della natura umana nella loro datità, sena preclusioni gnoseologiche e senza
subordinazione a un ordine soprannaturale la cui esistenza rimane tutta da dimostrare. Duplice
fisionomia diPoggio: da un lato alfiere di un’umanizzazione delle pratiche storico-religiose attraverso
la cultura, dall’altro personaggio intrattabile, egocentrico e puntiglioso ai limiti della scortesia, tutto
l’opposto della mentalità dialogica di cui fu assertore sul piano letterario; forte gelosia e rivalità verso
gli altri letterari, anche se del suo stesso pensiero, si pensi a come tentò di infrangere la reputazione
di Lorenzo Valla. Anche la malignità serbava in Poggio una carica gnoseologica: 1430 entrò in
contrasto con l’Osservanza francescana per una sere di ragioni ideali e non anche se fu molto legato
all’ala conventuale dell’ordine dato ch verrà sepolto nella basilica fiorentina di Santa Croce. Il suo
malumore esplose nella stesura di un epistola per Alberto Berdini da Sarteano dove riprende con più
asprezza i temi trattati nell’Oratio adversus hypocrisim di Bruni; qu bollò come ipocrisia qualsiasi
pretesa di vita di perfezione secondo l’idea le di rinuncia a sé stessi e di distacco dalle cose di questo
mondo; si trattava di un impostura che copriva la ricerca di potere per vie diverse da quelle ordinarie.
L’acrimonia contro l’ordine venne compressa dalla morte di papa Merino V Nel 1431, il suo successore
Eugenio IV Condulmer era un austero prelato che in gioventù si era impegnato per il rissollevmaneto
del clero secolare ed era stato cofondatore della Congregazione veneziana di S.Giorgio in Alga,
famiglia religiosa ch dalla Laguna si era irradia nell’Italia padana diffondendo il movimento dei
Canonici regolari; come papa accordo forte sostegno alle Osservanza, soprattutto quella francescana;
alla sua morte, 1447 emerse di colpo la saturazione del mondo curabile verso il favore di cui stavano
godendo monaci e frati, fenomeno che si era accompagnato ad aspetti deteriori quali piaggeris,
invadenza, carrierismo, cortigianeria. Il nuovo papa Niccolò V Parentucelli nel predisporre un ricambio
nell’organigramma degli alti funzionari diede segni di simpatia verso l’umanesimo nel quale si
rispecchiava, non revocò l’appoggio alle Osservanza (canonizza San Bernardino da Siena nel 1450)ma
certamente con lui il clima culturale di Roma si ammorbidì e si fece più propizio al confronto delle
idee. Così Poggio riprese il dossier delle critiche rimuginate nell’impotenza durante gli anni
precedenti, ne uscì il Contra hypocrias pubblicato nel 1447 in cui si trova la più irriverente riflessione
di stampo naturalistico dell’avanguardia umanistica intorno ai fondamenti della morale umana
sull’onda del suo astio verso il clero regolare e tutto ciò che esso rappresentava.
Il Contra hypocritas di Poggio Bracciolini
Nel proemio afferma di aver scritto il testo come prosecuzione del De avaricia, spiegando si essere
andato avanti ad esplorare il mondo della degradazione umana e di aver cambiato idea lungo il
cammino. Inizialmente credeva che l’avarizia fosse il male più grande che attanaglia l’uomo, ora
mette in cima l’ipocrisia per il fatto che i suoi dannosi effetti sono visibili alle vittime solo dopo e
hanno una limitata possibilità di difendersi. Occorre svegliare l’intelletto giudicante allenandolo a
scoprire le scelleratezze; vuole portare alla luce un vizio che possiede un alto grado di rilevanza
sociale ma che si avvale dell’impunità, dopo il suo equivoco intreccio con lo zelo religioso. Il dialogo si
apre con un colloqui tra lui e il collega Carlo Marsuppini da Arezzo che occuperà prima di lui il ruolo da
cancelliere a Firenze; i 2 si compiaccio della propria spregiudicatezza intellettuale e ostentano un
anticlericalismo privo di reticenze; l’ipocrisia è un vizio che accomun tutti gli uomini e che ammorba
ogni ambiente socale ma che nella Chiesa trova il più fertile brodo di coltura; di fatti tra i chierici vi si
trovano le persone con meno fede di tutti; essi sono pervasi dalle stesse passioni che agitano tutti gli
uomini da quelle dei sensi a quelle dell’amor proprio, la vita religiosa si sostituisce con finzioni ma che
ad un esame più attento si rivelano un paravento dietro il quale brulicano le mene più losche dettate
ora dalla vanità ora dall’oziosita ora dalla lussuria. La morte di Eugenio IV li rallegra poiché sembra
terminata la dittatura fratesca, per colpa del papa malcorrotto la corte pontificia era divenuta sede
degli ipocriti che scambiavano la rozzezza de modi e l’aduolazione più sfacciata per devozione;
encomio per Niccolò V che sembra intenzionato a imprimere una svolta nel selezione del personale di
governo della Chiesa romana. Da cui il discorso si allarga ad un analisi più generale dell’ipocrisia che
viene diagnosticata come vizio endemico, diffuso in tutti gli ambiti sociali e particolarmente
devastante in quanto insinua una sottile sfigduzia nei confronti della virtù che cade sotto un sospetto
permanente di falsità; discorso accompagnato con citazioni degli auctoritates (Vangelo, Cicerone,
Seneca)si conclude che l’ipocrisia oltre ad essere un vergognoso crimine per chi la pratica è una
sciagura per la collettività perché tende a disgredare il fragile tessuto di reciproca stima sul quale si
fonda la convivenza civile. Arriva il 3° protagonista dalla posizione contrastiva, Girolamo Aliotti,
vallombrosiano, amico di Poggio, appare pallido quasi a voler ammettere le colpe che i 2 stano
attribuendo al clero; gli viene chiesto come capire quali sono i veri ecclesiastici da quelli ipocriti,
afferma che non è facile, vi sono degli infrangimenti mai disvelati e del resto non del tutto
condannabili come quelli messi in atto dai governi per salvaguardare il benessere o la sicurezza della
collettività “ragion di stato”; poi ci sono le vere e proprie bugie, come quelle in campo economico.
Poggio e Marsuppini lo riportano nel mondo ecclesiastico con una serie di racconti boccacceschi volte
a dimostrare che la strumentalizzazione delle res sacrae a scopo di libidine è un aspetto congenito a
un gerto genere di frateria. Il gusto della licenziosità spinge Poggio a concedersi una digressione con
la quale lascia balenare un approccio naturale al problema etico, con la lussuria si dovrebbe essere
indulgenti, debolezza molto diffusa. I consigli che l’abate da sono: diffidare dalle conversioni
improvvise, dalle manifestazioni troppo plateali di devozione, dalla goffa rigidezza di chi non sa usare
che la comunione quale schermo dietro cui nascondere la propria depravazione “essere buoni è
difficile etocca solo a pochi”. Marsuppini sposta l’attenzione ai monaci, afferma che molti si sono
costruiti una reputazione austera per spianarsi la strada verso gli alti posti di comando anche se a
lungo andare il carattere simulato della loro virtù è destinato a venire a galla soprattutto dopo aver
ottenuto quel che volevano. La carriera ecclesiastica era il principale fattore di mobilità sociale. La
ricerca di autosoddisfazione si agita nei recessi dell’anima di qualsiasi essere umano, anche di chi lo
nega a parole, ma che poi gongola se vengono riveriti e compiaciuti, sono i più meschini, molta parte
dell’impostura fratesca è dovuta alla semplice renitenza al lavoro a cuispesso di accompagna
un’instabilita che conduce al vagabondaggio, magari spacciato per pratica di penitenza(Nietzche). Il
difensore de clero chiede perché oltre che ha parlare di coloro che nella chiesa peccano non si parla
anche di esempi di santità, la risposta di Poggio afferma che i frati buoni non provengono dalla curia
romana e non godono di visibilità; il potere risiede nei peccatori, nei malvagi. Guidato dal giudizio
indipendente ell’Io a poggio non importa scandagliare la religione ma la religione come forma di
potere dell’uomo sull’uomo, un clero moralmente deplorevole che si impara all’ombra del proprio
stato privilegiato. Non è l’anticlericalismo la molla che lo spinge ma il liberalismo soggettivo; vuole
mostrare che il suo pessimismo non è assoluto ma strutturale, per questo fa una lode del cardinale
Niccolò Albergati, sapendo che sarebbe stato gradito dal nuovo papa, non per ruffianeria ma per
dimostrare il suo pensier, per questo segue un modello negativo assai più caricato di attrattiva
gnoseologica, contro il movimento osservante in piena espansione nei diversi Ordini religiosi;
interpretato non come segno di una fioritura della vita spirituale ma come principio regressiva
destinato a introdursi come una carie nella Chiesa e nella società; il successo dell’osservanza è il
trionfo della pusillanimita e dell’ignoranza volontaria, ciò si vede da un semplice sguardo agli adepti e
dalle motivazioni da cui vengono spinti; raramente si troverà qualcuno di loro realmente disposto a
migliorare moralmente, i più appaiono dei falliti e dei disperati; ui tratta di Giovanni Dominici, qui
collocato non per le sue idee ma per la sconcertante testimonianza che rese col suo comportamento;
non gli può negare l’irreprenibilità personale ne l’azione benefica svolta dal pulpito; indenne ai vizi più
volgari ma affetto dalla vanagloria, proto ad abbassarsi ad adulare il papa pur di ottenere cariche più
alte. Il dialogo si chiude con Matteo da Agrigento, mensione oper la presenza d’animo con cui dopo
essersi macchiato di simonia comprando il vescovato di Catania riuscì ad abbindolare Eugenio IV che
lo aveva chiamato a Roma per chiarimenti, finse di aver ricevuto un miracolo per cavarsi d’impaccio e
convertire in segno di santità una menomazione fisica.
L’ascetismo non è più una virtù
La tendenza caricaturale di Poggio giunse al parossismo e per questo sconfina nella
falsificazione(Matteo di Agrigento personaggio molto stimato, idea per Dominici e per papà Eugenio
IV)realtà più complessa e confortante di quella offerta da Bracciolini; vi sono aspetti di autentica
grandezza in questi personaggi, certo accompagnati anche da episodi di bassezza morale. Viene da
chiedersi il motivo di tanto astio, Francesco Bruni scrive un opera intorno al problema delle ricadute
socioculturali dell’azione pastorale degli Ordini mendicanti in Italia tra tardomedioevo e rinascimento.
Va tenuto conto che ciò che muoveva gli umanisti era il desiderio di rinnovamento generale della
società e della cultura e che quindi era ovvio che si scontrassero contro gli ordini dell’osservanza che
volevano un ritorno alla Chiesa vera della tradizione ma che di per sé non erano corrotti, anzi,
andavano incontro alle esigenze della collettività anche quella meno ambiente, dove, di fatto, gli
umanisti non operavano, sentendosi sempre più a loro agio tra le alte schiere di governo, tra la parte
alta dell’umanità, pervasi dalla volontà di far grande l’uomo, nella sua individualità ma che poco
sapevano relazionarsi con la miseria in cui molti uomini si ttrovavano, che li rendeva angosciosi. Tolto
questo si evince la natura pessimistica di Poggio; a muovere gli uomini è la volontà di
autoaffermazione, che può all’occasione paludarsi di disprezzo del mondo ma che in realtà obbedisce
alle stesse regole della Sensualità più carnale e punta quindi a inseguire conquiste sempre più alte,
fuggendo la diminuzione e la perdita. Va in opposizione alla vista cristiana della vita come occasione
di conversione, l’uomo non cambia per effetto della Grazia. Il disincanto dello sguardo Bracciolini anno
apre le porte all’istanza della serietà come rispetto di un inoppugnabile bisogno di corrispondenza tra
dire e fare; con lui cadde l’idea del Contemptus mundi e l’ideologia della sancta rusticitas; così
l’umanesimo si può affermare come espressione di un laicismo irriverente e a tratti distruttivo ma
fedele al postulato della sincerità animi, della coerenza tra dimensione esteriore e dimensione
interiore dell’individuo, già iniziato con Petrarca e Salutati ma che con Bruni e Bracciolini si dichiarò
nemica di qualsiasi regime di eterno-direzione della coscienza. Possiamo trovare un’eco della
battaglia umanistica conto la sancta rusticitas o pia igiranza in un passo del Cortigiano di Baldassarre
Castiglione in cui viene toccato il flagello dell’ignoranza volontaria.
Letteratura e saggezza
Conoscenza introspettiva
Da molto tempo la storiografia I cerca nel Medioevo la nascita dell’individualità che rappresenta uno
dei tratti più caratteristici della mentalità moderna; si sono individuati segni di un approccio
individuale nella spiritualità religiosa del XII sec, soprattutto nella scuola cistercense e nella poesia
cortese, anche se qui si tratta di individualismo eroico; diverso da quello critico che nacque con
l’umanesimo tra XIV e XV sec. Movimento di riscatto della letteratura e rappresentazione dell’uomo
nella dimensione dell’ipseita; già nel Medioevo si conosceva il valore dell’intrattenimento e il
potenziale didascalico della letteratura che con l’umanesimo si arricchisce. Auto-sussistenza dell’Io,
finalità dell’umanesimo(Batkin)e la letteratura fu l’ambito dove questa finalità venne più perseguita
con libertà creativa. Umanesimo come pedagogia del ceto evoluto di una società urbanizzata e
opulenta, dinamica e aperta al rischio; voleva Forgiare un individuo indipendente non inerme e
ricettivo o supino al mondo ma propenso ad agire in senso trasformativo. Il criterio che lo muove è
l’opportunità razionale e si baserà sulle proprie risorse. Tutto questo è bene sottolineato dal riuso
della dignitas hominis elaborato dalla Patristica e conosciuto nel Medioevo, che venne collegato al
problema della riuscita individuale nel contesto di un mondo fluido, in cui tutte le possibilità sono
aperte, nel bene e nel male, nella gioia e nella miseria. Portato al compimento da Pico, ci mostra
come l’Io dotato di ragione e volontà non escluda la fede in Dio; molti autori umanistici fanno della
proprio intelletto una missione divina, alcuni perché ci credono davvero, altri solo per essere meglio
ascoltati dal popolo. Il testoletterario doveva prima di tutto svolgere il senso di libertà come
indipendenza di giudizio. Per Petrarca la formazione culturale è un fatto di predilezioni personali e non
di conformità a un canone calato dall’alto(lista dei libri mei peculiares). Il dato della corrispondenza
tra indole personale e scelte praticate nella sfera del privato, correlato al senso dell’ipseità, ossia la
consapevolezza per il lettore di rappresentare un destino unico e irriducibile a schemi predefiniti.
Autoscoperta che i successori utilizzarono come funzionale al processo di individuazione. A seguito di
una discesa nell’intim implicate pazienza e sofferenza l’Io può giungere alla coscienza della propria
abissale originalità maturando una rinnovata connessione con la propria personalità; l’Io ha però
anche delle risorse con ci proteggersi, come la cultura intesa come via all’autoedificazione, Avent un
punto di forza nel commercio fruttuoso con autori e testi prediletti. Nel Medioevo vi era sono una
fascia acculturata, quella dei chierici e caratterizzata dalla lettura per la coscienza teologica
considerata come l’unica forma di attività intellettuale veramente degna di interesse; fu proprio dal
medioevo scolastico che l’umanesimo si discostò in maniera radicale; la Scolastica fu un fenomeno di
straordinaria rilevanza, con cui filosofia e letteratura vennero assorbite entro un sapere che risultava
dominato dalla teologia regina scientiarum; l’intera conoscenza era del domino della religione, dove
tuttavia l stato possibile vedere un Umanesimo medievale, che era però agli antipodi di quello
petrarchesco; con la scolastica tutte le discipline, compresa la scienza, erano soggette alla teologia e
alla religione di cui si sottolineava il carattere di perennità; si affermò un metodo di insegnamento ex
cathedra volto a perpetuare un quadro di conoscenze che si presentavano come parti organiche di un
sapere costituito; al discente spettava appropriarsi docilmente di tale patrimonio nl l’integrità della
sua struttura, penetrandone l’articolazione interna e ripetendone il formulario con l’ausilio della
capacità mnemonica; l’organi privilegiato era pripriola memoria, e la virtù più indispensabile la
ricettività e la disciplina. Da cui l’opposizione dell’umanesimo che riabilita la letteratura come
autonomo mezzo della realtà umana; letteratura con i connotati della filosofia, esplorazione morale,
libera da ipoteche precostituite. Il dominio della teologia veniva visto come soffocante meccanismo di
precomprensione e di presunzione ce tutto potesse ricondurre solo alla religione. La filosofia è la
letteratura vennero più che altre materie poste sotto il domino della teologia perché era comunque
inevitabile il loro utilizzo, tuttavia si ritagliarono solo le parti utili per la dottrina, per la filosofia si
ritaglio l’aristotele religioso e degli autori latini si tenne il loro incarico di tramandato e di insegnati di
latino e di retorica; servavano per apprendere le competenze tecniche; la retorica divenne l’arte
dell’esposizione precisa ma pedestre, insieme di verità teoriche ma senza la convalida dell’Io discente
senza passione o commozione; poco interesse all’estetica Maa elaborò molti trattati, composti per
essere studiati, non letti o amati. L’autore medievale era un compilatore non un esploratore o un
narratore. Studio metodi o e disciplinato. L’umanesimo lo critico innanzitutto per la scarsità della
qualità dell’elaborzione retorica. E del suo creare un lettore condizionato a cui oppose un lettore
incondizionato anche estraneo al mondo accademico, che ben si colloca nel contesto dell’otium.
Riscoperta del tempo libero
Il primo territorio che contrapposte scolastici e umanistici fu l’etica che I secondi reclamavano come
di propria pertinenza, in quanto studio descrittivo delcomortamento umano che necessitava di
un’elaborazione retorica per diventare propulsore di progresso morale; la Scolastica la riteneva invece
pertinenza della Chiesa dato che trttatva la questione del bene e del male e del peccato. Gli studia
humanitatis vennero da Petrarca paragonati a quelli divinitatis in quanto esercizio di
autocomprensione che il soggetto compie a partire dalla rappresentazione riflessiva del vissuto
umano che è il fulcro della letteratura umanistica che prevede l’intrattenimento di un dialogo intimo
Ra lettore e narratore possibile solo nel contesto dell’otium. Lettura individuale in una condizione di
isolamento e di dismissione delle cue ella quitidianità per far ritrovare al lettore la libertà di disporre
incondizionatamente della propria mente. Nel Medioevo cristiano il mondo claustrale aveva rimosso la
funzione dell’otium sostituendolo con il momento dedicato alla preghiera meditativa, la lectio divina e
non vi era nemmeno quel criterio di privacy tanto amato da Petrarca peril momento di otium
letterario, che invece avveniva con letture ad alta voce davanti ad un gruppo di ascoltatori al posto
della lettura mentale nel silenzio del ritiro; ne tanto meno leggere i libri della biblioteca al posto di
averne una privata che venivano anche postillati man mano che venivano letti sui margini della
pagina(scriptura notularis)dei veri e propri discorsi con gli autori dei testi che leggeva, piuttosto che
glosse o pensieri “impressioni di ettura” o le ammonizioni che rivolgeva a sé stesso o a
unimmaginario pubblico di compagni lettori; diede il via a questa pratica che venne molto utilizzata
da altri autori. Nel De vita solitaria, Petrarca prese un abbaglio identificando il regime claustrale con il
regno delle libertà sovrana dell’Io, formula di esistenza alleggerita dai fastidi in quanto separata dal
l’umano consorzio visto come causa primaria dell'inquietudine umana; la condizione anacoretica non
prese nulla di penitenziale, come invece voleva la tradizione spirituale; al contrario mostrò di
vagheggiare l’eremitismo in quanto rimozione dei fattori disturbanti che impediscono all’individuo di
pervenire all’autopossesso. Mom vide il divario che corre tra la santità cristiana e l’atarassia predicato
dai saggi del paganesimo; ache Erasmo da Rotterdam inalzò la vita ritirata come cornice favorevole
all’autocontemplazione che si fece Monaco ma che poi se ne pentì e nel De contemptu
mundi(rifacimento della Laus eremi di Eucherio di Lione) celebra il monastero come luogo di pace e di
distacco dalle passioni perturbanti, utile per tratteggiare una condizione di libertà esteriore nella
quale perseguire il fine supremo della nobilitazione del proprio spirito con le lettere. Opera simile
quell di Petrarca, scritta quando il fratello Gherardo si fece monaco, De otio religioso, dedicato alla
comunità monastica del fratello, uno dei suoi testi più stereotipati e meno persuasiva in cui intese
grandi lodi verso l’alto saggezza su cui si fonda la fuga mundi; si riconosce l’autore sono il
cristianesimo di Cicerone nel 1° libro e le numerose varianti fenomenologica del sempiterno tarlo
della civitas vanitatum: una galleria di patologie comportamentali che affliggevano il passato come il
presente, nel 2° libro. Tuttavia quella che si vive nel monastero è una condizione di assenza dei
condizionamenti socio-economici accostabili all’idea le classico dell’otium cum dignitate. Tuttavia
sappiamo che Petrarca non la pensava davvero così dato che Monaco non diventò mai;
affiancamento dalla dipendenza psicologica dai propri simili che si mostra meglio nel De vita solitaria
in cui presenta l’ideale autarhico del saggio bastate a sé stesso, condizione di serenità che il saggio
raggiunge grazie alla rimozione delle cure legate alle incombenze sociali. Ebbe grande fortuna nel
300 e col movimento della Devotio moderna oltralpe che ravvisò nella sua istanza di raccoglimento
interiore, praticato con metodica regolarità, composto da laici o semilaici che intendevano trasporre
nella sfera dell’apostolato secolare alcuni valori antimondani del chiostro. Quello di Petrarca era simile
al raccoglimento dei Padri del deserto di un rasserenamento ottenuto con l’intelletto, ma che si
allontanava dal monachesimo nella ricerca di Dio, nella scelta alla vita contemplativa. Di fatto la
solitudine monastica umanista coicidero solo con Ambrogio Traversari(camaldolesi fiorentino) e Paolo
Giustiniani(camaldolesi veneziano)uomini di cultura che si inserirono nella vita claustrale e ne
trassero energia ascetica per coltivare gli studi; per il resto furono più coerenti le polemiche umansite
alla vita contemplativa, come quelle di Bracciolini e di Valla. Anche Salutati scrisse un trattatello in
onore della vita monastica, il De seculo et religione forse scritto per convenzione e circostanza.
Tuttavia la vita solitaria venne apprezzata dagli umanisti come contesto ottimale per la pratica della
lettura vissuto come colloquio intimo tra autore e lettore in modo che l’Io possa trovare l’occasione di
riprendere a tessere l’ordito della propria vita interiore aiutandosi con i buoni libri. Antichi come amici
disposti ad aiutare Petrarca nel momento del bisogno; lo stesso scrisse dei libri per la lettura
nell’otium, anche se alcuni di questi, come il Secretum, non sono stati pensati per la pubblicazione;
come le sue epistole che influenzarono Boccaccio, Salutati, Bruni, Bracciolini ecc alla raccolta delle
loro missive. Le Familiares, dedicate a Ludovico di Beringen, il suo Socrate, dato 1350, collocata
all’indomani della Peste Nera del 1348-1349. Le traversie di una vita funestata da molti mali hanno
negato quella pace tanto bramata; i giorni sono scivolati, amici sono morti(Laura) e con loro sono
state sepolte le speranze di un tempo, la vita non può più essere quella di prima. Era sorto in lui un
moto distruttivo; scampato all’orrore egli era stato preso dal desiderio di sbarazzarsi di ogni legame
con il passato dando alle fiamme appunti, carte, memorie, progetti pensati per un futuro diverso.
Troppe realizzazioni imperfette e non correggibili, troppi abbozzi il cui compimento procurerebbe ora
più fastidio che gusto. Una volta passata la tentazione di eliminare tutto, riaffiora l’amore che impone
la conservazione, il rispetto della pena di vivere, la pazienza, la ripresa. Il lume della speranza non è
del tutto spento, gli resta ancora qualcosa di degno da compiere, sente che è giunto il tempo di
rimettersi all’opera e seleziona le lettere che più meritano di essere salvate dalla dispersione da cui
trarne un monumento letterario da consegnare agli amici in dono per sostenere l’Io nella perenne
lotta contro il rischio di venire frantumato dalla sofferenza. Con questo Petrarca ritrova il gusto di
vivere e di scrivere, atti che sono una cosa sola e si promette di scrivere altre lettere da pubblicare,
non voleva rendere edie quelle passate. L’epistolario diventa per lui un’opera senza confini, come
l’esistenza, scriverà finché avrà respiro. Autoanalisi che si svolgerà con il confronto con altri esseri
umani vivi o morti(Montagne,Essais, nati come terapia del lutto dell’amico fraterno Etienne de La
Boetie, alter ego dell’autore). I fatti avvenuti avrebbero destato una più intensa passion di vivere
nell’intimo del lettore, donandogli quell’umana consistenza che nasce dal vivere con un Io affine,
provato ma non piegato dal dolore “se crollasse il mondo, impavido mi colpiranno le sue rovine”.
Scrittura come logoterapia
Nelle Familiares Petrarca afferma che la più alta prova da lui data di letteratura in funzione di
medicina dell’anima è il De remediis, in cui Nicholas Mann ha notato che nei momenti in cui ricerca i
benefici effetti della pratica colloquiale,che scritta o parlata rappresenta l’essenza della cultura
umanistica, sembr aver anticipato la logoterapia. Nel testo Petrarca afferma che qualsiasi atto di
conoscenza introspettiva, favorito dalla letteratura, deve servire alla buona vita e dunque deve
tradursi in azione pratica, attestazione tangibile di un progresso morale, altrimenti è vana
autoillusione e chiacchericcio. Edito nel 1366, fu l’opera con cui il pubblico rinascimentale riconobbe
maggior grado di utilità e più diffusa; ebbe una gran filiazione intellettuale, come i Libri profugiorm ab
erumna di Alberti, un repertorio di esercizi di continenza ossia rimedi contro pensieri negativi e
reazioni incontrollate per rafforzare l’io il quale deve imparare ad usare il potere che ha su sé stesso
per desensibilizzarsi davanti all’impatto perturbante della disgrazia che si Sita fuori dal suo potere;
ripresa di alcuni tratti dello stoicismo. Noi, nell’opera di Petrarca, possiamo vedere un uso terapeutico
della letteratura come salus animi. Si tratta del Secretum, mai pubblicato dall'autore che per Salutati
autorizza a fare di Petrarca un teologo, nell’accezione umanistica del termine. La circostanza che lo
spinse a scrivere l’opera fu l’ingresso in monastero del fratello Gherardo nel 1343 a cui risalgono
anche i Plasmi penitentiales. Ma forse la stesura l dovuta anche alla crisi esistenziale che attanaglia
l’autore dopo la morte di Rioberto di Napoli e dl tramonto del progetto di diventare, con l’Africa, il
poeta aulio un sovrano-filosofo animato da un grandioso progetto politico-culturale si impronta laica e
augustea. Il Secretum riflette le ambasce di una coscienza bisognosa di un riordinamento, di una
nuova partenza; vuole dare veste letteraria ad un argomento introspettivo come l’esame di
coscienza, perseguito anche a costo di cozzare contro una dolorosa aporia nel caso in cui fosse
occorso all’autore di riscontrare una mancata corrispondenza tra le verità salvifiche con i correlati
comandamenti morali ai quali l’Io vuole conformarsi per fede e quei reconditi desideri narcisiti che
rappresentano il sotterraneo movente del suo comportamento, inficato da depressione. Non essendo
destinato alla pubblicazione Petrarca non dovette difendere i suoi pensieri con accozzamenti di ideali.
L’opera presenta la forma di un sogno, nel corso del quale appaiono: una figura femminile, la Verità in
persona; un vecchio che è S.Agostino di Ippona con il ruolo di padre spirituale che deve reindirizzare a
una considerazione più matura le insufficienze morali di Petrarca, preludio di una piena ed efficace
conversione; Agostino assume qui lo stesso ruolo che nei suoi Soliloquia aveva assunto la ratio
redarquens; oltre a lui il debito maggiore lo ha con il De amicizia di Cicerone com’è esplicitamente
dichiarato, oltre che alle Tusculanae Disputationes e il De tranquillitate animi. Nel testo non mostra
reticenze nel riconoscere le sue cadute e nel palesare isuoi travagli, opponendo ai rimproveri della
sua guida se non le proteste della propria sincerità, che lo spinge a dichiarare l’impotenza strutturale
di una volontà zoppa. L’imputao non nasconde la propria condizione irrisolta che vede muoversi nella
propria interiorità 2 soggetti contrastanti: un Io volente, anelante alla santità e un Io torpido,
psicastenico che sente di non poter volere. La consapevolezza della propria malattia interiore serve
solo a evocare un desiderio di guarigione che diventa causa di nuova sofferenza per l’impossibilità
pratica contro ci urta, sbriciolandosi. L’autoesame dell’Io è impietoso e si fermasolo dopo aver toccato
il nucleo fangoso che avvelena la sua esistenza crogiolandosi in una malsana voluptas dolendi: la
sorgente del malessere interiore che si manifesta nello spirito rinunciatario e nell’accidia che
compromette ogn serio tentativo di migliorare la propria vita. Troppo occato a riconoscere i propri
desideri il peccatore non si preoccupa molto di conoscere e amare i desideri di Dio e di rettificare la
propria personalità sulla base di essi, la pigrizia lo fiacca e che lo porta a considerare inevitabile un
tarlo di cui non conosce neppure l’origine per propria noncuranza. A questo non vi è alcuna risposta
eroica dell’Io. Il finale non vede l’apparizione della Grazia ne l’autore prende decisioni che tagino col
passato segno di una svolta o alcun pio proposito di ravvidamento vi è invece un concedo discreto e
banale con il quale Agostino restituisce a Petrarca la quotidianità ammonendolo a una più vigilante
saggezza. Redarguito Francesco torna alla propria vita con una nuova carica di speranza ma senza
attese irrealisiche nei confronti della propria pochezza. Anticipa l’esistenzialismo cristiano e la
metafora del naufragio. L’opera si richiude con una ripresa(Kierkegaard): un invito a ricominciare
daccapo l’avventura di una vita non decifrabile e priori e mai afferrabile totalmente nel corso del
tempo storico in cui è calata. Diede fondo alla sua poetica a della philopsychia, dell’attenzione
compassionevole alla propria anima(psicologia moderna della cura di se o del narcisismo, Pierre
Bayle, De la tolerance in cui assunse il ruolo dell’avvocato difensore della coscienza errante,
reclamano per essa il pieno rispetto da parte delle altre coscienze individuali che si auto-
presuppongono come portatrici di verità e di certezza ma che sono costitutivamente fallibili, al pari di
essa). Filone dell’individualismo coscienziale, tra gli sviluppi della rivoluzione dell’umanesimo
rinascimentale con la sua risignificazione dell’antica pratica filosofico-religiosa del Soliloquia
Coscienzialimo
La spiritualità umanistica rilancio la via ideologica all’esperienza religiosa(Dio riconoscibile nei recessi
della coscienza, come bisogno di verita) portata al culmine da Agostino a discapito di quella
ontologica(dio rintracciabile nella trama dell’Essere)prediletta dalla Scolastica. L’umanesimo favorì il
recupero dell’antico procedimento di rientro in sé stessi e di ricerca delle tracce della presenza e della
parola del Creatore, quale il divino perennemente dialoganti con l’Io umano. Apparentemente si trattò
di un rilancio di modalità introspettiva consueto alla teologia del Medioevo; la differenza stava nel
fatto che ora tali espereizna vennero messe alla portata di un lacat oclto tendente al razionalismo
semplificatore. La psicologia religiosa dell’umanesimo concourse a imporre la coscienza di sé come
primo requisito dell’autentica devozione e tese a condannare l’atto della volontaria dimenticanza di
sé nel quale percepì un detestabile risvolto della sancta rusticitas, imposta come un valore pseudo-
religioso da parte dei disgregatori della natura umana. Rifiuto dell’eteronomia, in mode della coerenza
tra sfera esteriore e sfera interiore dell’uomo; 2 realtà che andavano unificate assegnando il primato
all’interiorità, rinascita della cultura animi della classicità; importanza dell’intenzionalità.
L’autocostruzione morale dell’Io ebbe molto successo a testimonianza che risulta in sontonia con il
bisogno di formazione che pervade il pubblico non solo accademico ma delle categorie più disparate,
a testimonianza della grande mobilità sociale del tempo. Il coscienzialismo petrarchesco si può
considerare come la divulgazione in ambito laicale di ua spiritualità introspettiva, sorta all’interno del
monachesimo e strettamente connessa alla pratica della meditativo come preambolo alla conoscenza
di sé alla luce dell’amore di Dio; i monaci di XI e XII sec misero al centro della loro attenzione le
pulsazioni di un’entità soggettiva autoriflettente definibile come coscienza; tuttavia non venne
approfondita come innalzamento dell’Io ma come suo abbassamento; l’introspezione era vista come
una scuola di humilitas poiché rendeva agostinianamente edotto il soggetto di quanto fragile,
bisognoso e irriducibilmentepeccaminoso fosse il suo cuore. Fino al XIV sec la produzione filosofico-
religioso degli scrittori claustrali non ebbe circolazione all’esterno dei monasteri per questo la
ricezione dell’istanza autoconoscitiva ebbe luogo con un certo ritardo da parte del laicato colto
d’Europa; per questo l’opera di Petrarca allarga così tanto i fruitori anche se il coscienzialismo
ell’autonomia di pensiero petrarchesco fu diverso da quello della humilitas purificatorio, funzionale di
pietas contemplativa monastica come la Imitazio Christi. L’io poteva tormentarsi e deprimermi ma
era cosciente di detenere un orimato di ordine etico e gnoseologico sugli oggetti ella sua esperienza.
Aprì le strade alla modernità come propensione all’uso delle energie trasformati ci racchiuse in
ciascun Io, porge le chiavi della comprensione di sé e del domino intellettuale sull’ambiente;partendo
dalla considerazione di cos’è e di cosa può diventare la persona umana. L’umanesimo si presentò
come via all’elvazione di sé a discapito di un mondo e di una tradizione che vennero relativizzati;
compimento di un proprio peculiare destino che si gioca prima sulla terra e poi verso l’eternità.
Il De verecundia di Coluccio Salutati
Il coscienzialismo ha una lunga storia nella cultura occidentale e nel rinascimento ebbe un rilancio ma
non fu campo solo dell’umanesimo ma tutta la società iniziò ad interessarsi della coscienza
soggettiva, indizio di una mutazione culturale. È la stessa epoca in cui la Chiesa elabora un genere
teologico-letterario destinato a crescere di importanza e ad avere lunga vita, le “somme”; in questi
repertori di teologia morale applicata alle circostanze del vissuto del singolo penitente possiamo
ravvisare un passaggio dall’astrattezza della speculazione dottrinale, così come veniva praticata nelle
università, alla preoccupazione di andare incontro alle concrete esigenze personali dell’individuo
protagonsta di un cammino di conversione che andava capito nella sua particolarità e corretto nelle
sue specifiche erranze. La centralità della coscienza individuale si impose nell’arco del tempo tra XIV
e XVI sec nella cultura laica ed ecclesiastica. La differenza dei 2 approcci può essere misurata
analizzando un gioiello del coscienzialimo umanistico del trattatello De verecundia di Coluccio Salutati
del 1390. Tema trattato: scrupoli di coscienza e della problematica validità che tali mozioni rivestono
in quanto segnalatori dell’autentica condizione morale dell’individuo. Non troppo diversamente dai
teologi e dai confessori si addentrò a scandagliare i labirinti della verecundia, termine con cui si
indicava la predisposizione a mostrare fisicamente vergogna o imbarazzo, mossa dal quesito se essa
debba interpretarli come vizio o come virtù, anche Dominici innalzò la verecundia ma il bacino di
informazioni a cui attinse fu certamente più scarso di quello di Salutati che utilizzò molti exempla
tratti dal repertorio dell’antichità classica a dimostrazioni che anche al tempo erano ben visibili alcune
costanti etiche degne di essere ammirate e utilizzate per l’educazione morale dell’umanità attuale,
beneficata dalla rivelazione cristiana ma pur sempre bisognosa di essere risollevato dal degrado in cui
pare stagnare; nei grandi eroi del passato l possibile vedere la coscienza morale a un livello tale da
renderli oggetto di ammirazione imitativo; disinvoltura nel mischiare sacro e profano che infastidì la
Chiesa segno di una caduta di fiducia nella persuasiva dell’agiografia cattolica su cui si basò poi la
Lucula noctis. La maggior differenza tra Salutati e la cultura ecclesiastica stava neell finalità
assegnata all’operazione introspettiva e di riflessione nei modi con cui essa andava condotta;
L’autoesame viene compiuto da un Io ritenuto giudice unico e assoluto di sé, mentre la tradizione
cattolica deve renderne conto a un’autorità giudicante che è la Chiesa. Alla fine vi era comunque il
pentimento ma che nel testo di Salutati non avviene con l’atto sacramentale della confessione in cui
possiamo vedere l’autosufficienza del soggetto; per curare la paralisi dell’Io non servono contrizione o
preghiera o penitenza ma cultura, intesa come cultura animi ossia lavoro su se stessi, poggiate
sull’autoconoscenza come motore di autocritica e progresso. Non viene nominato l’indebolimento
dovuto al peccato originale n dell’assistenza misteriosa della Grazia in un percorso di guarigione dalle
malattie dell’anima come quello descritto nelle Confessioni di Agostino. L’esito di Salutati lascia
intravedere una possibile convergenza con gi intenti della pastorale ecclesiastica attraverso la
riscoperta della pudicizia e del ritegno, le manifestazioni esteriori di tale senso del pudore, come il
rossore o l’imbarazzo, sono il filo che collega il dentro e il fuori di una persona moralmente pulita e
non doppia, segnale della presenza di una coscienza morale, per questo loda la verecundia non come
virtù ma come passione che fa onore a chi la sperimenta è manifestazione di un inclinazione interna
al bene, solo se si tiene lontano dalla timidezza e dalla pusillanimità ma oeriantata a grandi valori
etici così da diventare una protezione contro le cadute e un principio di autocontrollo, se unita al
raziocinio si converte in principio di prudenza e assurge ai più alti livelli di moralità. La lode del pudore
era un passaggio chiave e obbligatorio per la ricostruzione di una pedagogia morale. Dedicatario
dell’opera è Antonio Baruffaldi da Faena a cui raccomanda i prendere la coscienza individuale quale
bussola e timone della propria esistenza. La coscienza è la migliore pietra di paragone per l’uomo
morale ed è una parte di lui, non un terzo come invece aveva suggerito Seneca. Da questa lezione
viene la messa a fuoco del ema della sincerità animi di Bruni alla fine dell’Oratio adversus hypocritas
in cui sottolinea la centralità della coscienza nella vita individuale che definisce giudice interno che
avverte la congruenza tra propositi e azioni e risponde autorizzando la contentezza in caso positivo e
provocando tristezza in caso negativo. Questi sentimenti genuini non vedeva più nella Chiesa e
nell’affioramento di una gioiosa serenità, frutto di una coscienza integra, egli indicò una
testimonianza di vita cristiana assai più persuasiva di quella santità miracolosa che i predicatori del
tempo sbandieravano dal pulpito. Convinzioni che Bruni inserì anche nella lettera per Niccolò
de’Medici con cui spiego che la vera bontà è uno stato interiore dell’animo umano e non un’adesione
esteriore a forme stereotipate di comportamento che le condizioni comuni fanno ritenere pie e sante.
La pratica umanistica dell’esame autocritica vennero usate anche da Francesco Guicciardini
nell’Oratio accusatoria e nell’Oratio defensoria con cui si propose di fare chiarezza attorno a sé e alle
proprie azioni.
Il filone morlaistico
Impronta moralistica sempre connaturata all’umanesimo. Quondam definisce il moralista: non
classificabile, non è filosofo, non è teologo morale, non professa alcun paradigma religioso ,a solo
interessi intellettuali; è un saggista che incarna lo spirito di ribellione contro gli esiti inesatti, allergico
agli incartamenti e alle visioni, ostile alla filosofia dei filosofi pur essendo insegnatedella sapienza,
preferisce ragionare terra-terra; il suo procedere è rapsodico e intuitivo, refrattario alle
generalizzazioni, asistematico; il suo sguardo l fortemente attratto dai frammenti più fortuiti e
inesplicabili dell’esistenza. Peculiare del letterario moralista è l’ipersensibilità che segna la condizione
umana e che la immerge in un mare di contraddzioni. Il suo occhio è infallibile e la sua penna
fotografica nel ritrarre l’insopprimibilità delle passioni più sordid e che fanno guerriglia ai nobili aneliti
al bene. La contraddittorietà dell’individuo concreto, svergognato dalle inadeguatezza più banali è
usata come leva per scardinare certezze di stampo fideistico, unite a pretese sovraumane e protette
da tabù e interdizione di tipo parareligioso. Venne ispirato da Riccardo Fubini, Umanesimo e
secolarizzazione, tratta l’essenza emancipatoria dell’umanesimo dell’esordio, il vero umanesimo si
sviluppò nelle città-stato, non nelle corti, il comune denominatore dell’esperienza umanistica viene
visto nell’atteggiamento psicologico trasversale, indipendente dal contesto politico-costituzionale in
cui vissero i suoi protagonisti e derivante da una necessità intrinseca del processo di emancipazione
della coscienza soggettiva avviato da Petrarca; potremmo definirlo moralismo negativo; a sorreggere
il suo rapporto antagonistic con l’ambiente storico-politico è un’antropologia antimetafisica,
refrattaria al riconoscimento di un senso spirituale alle azioni umane, ottica immanentista e non
disposta a riconoscere un significato soprasensibile agli eventi. Naturalizzazione della visione
dell’uomo che si fece orizzontale al posto che verticale del Medioevo. Privando il comportamento
umano di qualsiasi componente soprannaturale la moralistic a negativa umanista ne consentì la
giudicabilità sulla base di un criterio puramente fattuale, dominabile coi mezzi della ragione empirica;
utilizzando chiavi di lettura non tradizionali o cristiane: utilitarismo, edonismo, eudemonismo
autosoddisfattivo, narcisimo, brama di onori e di averi. L’antropocentrismo rinascimentale ha un
risvolto sia ottimista che pessimista. L’unico canone di credibilità nel valutare il comportamento altrui
venne preso nella corrispondenza tra le parole e le cose, ossia dalla persuasività del soggetto
parlante e che viene osservato; la discrepanza tra dire e fare è caricata di un’accentuazione beffarda;
Fubini qui vede una secolarizzazione o disincantamento, sintomo di modernità che poi riscontra anche
nelle opere di Petrarca, Bracciolini, Valla. Il primo 400 segno in Italia una tappa El processo di
laicizzazione della cultura europea, passante attraverso la desacralizzazione della gnoseologia e
dell’etica, della tradizione cristiana custodita dalla Scolastica. Tendenza che si mosse con un
atteggiamento di irriverenza verso il clero e le credenze religiose. Il moralismo fu inizialmente un
revival dell’antichità ma non un recupero archeologico ma come un esame veritativo delle passioni
umane nel loro rapport con la libertà e con il valore dell’individuo, senza più vincoli di subordinazione
ai postulati della tradizione in materia etica e gnoseologica; ma con unavena pessimistica piuttosto
accentuata, come il filone anti-ottimista di Petrarca messo in luce da Mercello Montalto; in parecchi
autori del 400 è ricorrente la denuncia di un degrado in atto nel momento storico presente: tips
dell'ignoranza delle masse popolari, ma senza risparmiare nemmeno i potenti, Bracciolini, De
infelicitate principum, che tratta in modo implacabile dell’irrazionalità come fonte di miseria e di
insicurezza che nei potenti trova il suo santuario e che necessita della più grande astuzia per essere
occultata. Tanto più è acceso il pessimismo della visuale tanto più sono aspri gli attacchi alle
deformazioni della società, vers il sovrano vizioso, sordo a qualsiasi chiamata di evolversi
moralmente; Momus di Alberti, esempio di satira della molle ottusità dei governanti(Guarino Veronese
parla della rozzezza che imperava ovunque nella società ma specialmente ai vertici). Tra la pigrizia
del volgo e l’inettitudine dei potenti vi è un fattore in comune: la rinuncia a prendere sul serio la
chiamata a diventare persone veramente umane, ad acquisire saggezza e ragionevolezza mediante
uno sforzo implicate il lavoro su se stessi e la lotta con il mondo; desiderio di difendere le più alte
potenzialità morali dell’uomo che non si sviluppano per forza di inerzia ne per privilegio sociale ma
esigono di essere onorate mediante una risposta totalizzante all’insegna dell’impegno personale
senza riserve. L’umanesimo sorse come lotta conto la sub-umanità percepita come piaga per l’intera
comunità civile e si propose la rettificazione di una serie di tendenze intellettuali considerate nocive,
alle quali esso imputava la responsabilità del degrado della storia presente. Con la sua propensione
antimetafisica e avverssione alla Scolastica, esso ridusse a un repertorio puramente
comportamentale, associato a distorsioni di tipo culturale, la fenomenologia del male diffuso nella
società, interpretato moralisticamente come elenco di vizi da correggere. Un miglioramento della
storia umana è sempre possibile a partire dall’uomo e agendo sul suo intelletto e sulla sua
personalità.