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La barbara incombente

Petrarca e il disagio di una civiltà in crisi


Fallimento dell’esperienza storica del cristianesimo medievale come sistema pedagogico-culturale,
non era riuscito ad elevare moralmente la società, pur essendosi proposto come via alla santificazione
ma fece da stimolo alla riflessione del padre fondatore dell’umanesimo, Francesco Petrarca(1304-
1374), di fatti non fu solo un eccelso poeta, di fatti nel suo tempo era considerato soprattutto come
filosofo morale, la sua opera più letta al tempo era infatti il De rimediis utriusque fortunae, repertorio
di meditazioni etiche, esaltato da Boccaccio che lo paragona a Socrate, nel dire che da lui s’impara
più nel guardarlo vivere che ascoltando ciò che diceva. Il profilo dell’umanità di cui Petrarca è
prototipo corrisponde a quello di un uomo ammirevole perché, attraverso i suoi studi e l’applicazione
della sua intelligenza, ha potato compimento la propria personalità, nella forma di una saggezza
congiunta ed eleganza di modi; l’umanità è un uomo evoluto che non vale tanto per quello che sa o
scrive ma per come vive e per il suo modello vivente di umanità compiuta. Con l’esordio
dell’umanesimo I nasce il mito di Socrate come uomo dalla straordinaria personalità educativa,
capace di ammaestrare attraverso il suo modo di vivere, ideale, topo dell’antichità, che si era assopito
nel Medioevo poiché andava contro l’antropologia pessimista del tempo di stampo agostiniano
secondo cui non può esistere un’eccellenza umana nella quale identificarsi. Lo spirito umanista si
nutre dell’allontanamento dallo spirito dominante del tempo presente, fonte di pressioni devianti su di
una soggettività a rischio di soccombere. Fu la supposizione di un simile moto dissociativo nei suoi
lettori a spingere Petrarca ad intrecciare con loro un discorso confidenziale a distanza che scavalchi la
barriera del tempo e dello spazio; conversazione che, se non si tiene conto dell’impronta redentiva,
risulterebbe difficilmente giustificabile, insopportabile per le modalità pletoriche con cui viene
condotta e per il sottofondo egotico che traspare; venne però 2 secoli dopo ricalcano da un altro
umanista con cui condivide esperienze alte e basse, riflessioni rotanti attorno all’Io ma destinate a
trasmettere risonanze in grado di risvegliare l’autoconsapevolezze nell’amico lettore: Michel De
Montagne. La pedagogia dell’umanesimo si fondò in primo luogo su di un invito all’autoformazione;
ricerca di una via morale per l’Io, fondata sul primato della vita interiore e nel contempo attraente e
condivisibile, perfusa da anelito alla bellezza formale; forse scelta anche per la sfiducia nelle
istituzioni culturali del tempo; in realtà volevamo solo stimolare e rafforzare nel lettore l’autonomia
personale. Dato da proteggere come valore assoluto, da esaltare contro l’inconsistenza morale;
esaltazione dell’inaffidabilità dell’ambiente storico-sociale che poté in certe occasioni peccare di
autocompiacimento da parte della coscienza giudicante che per declassare l’universo esterno si
avvale della strumentazione retorica deformate offerta dal moralismo classicità in tutte le sue punte,
dalla deplorazione alla satira. Obiettivo strategico dell’umanesimo fu il Rafforzamento dell’Io.

La dissociazione del tempo presente


Moto fondativo dello stato d’animo umanistico. Nell’Epistola alla posterità, monumento riepilogativo
della storia del proprio Io, Petrarca dichiarò l’inestinguibile fastidio verso l’età in cui viveva, allietata
solo dalla presenza di coloro ce avevano meritato il suo affetto, disse esplicitamente che avrebbe
preferito vivere in un’altra epoca, cosa che aveva tentato di fare con lo spirito. In un passo del Rerum
Memorandorum libri confessò di sentirsi come un uomo posto al confine di 2 epoche, sorta di Giano
bifronte: da una parte guardava all’antichità classica, che venerava come modello in eguagliato di
perfezione estetica e morale; dall’altro stava nel presente e da qui scandagliava il futuro, chiedendosi
se le generazioni future sarebbero riuscite a conservare qualche traccia della grandiosità antica.; altra
funzione basilare dell’umanesimo: mettere in contatto i vivi con i morti(Cicerone, Seneca, Livio,
Quintiliano, Orazio, Virgilio, Omero, Varrone)rendendoli tutti contemporanei dell’Io. Da qui l’idea di
cultura come conversatio con i sapienti antichi, attraverso i loro libri sarebbe rimasto contrassegno
dell’umanesimo(Theogenius, Leon Battista Alberti; Machiavelli quando a San Casciano dimetteva i
panni rustici e indossava quelli curiali, si sedeva e colloquiava con gli antichi); compagnia speciale
con la quale l’Io può costruire un metastorica tribunale della ragione e dell’umanità, davanti a cui si
prende la libertà di chiamare a giudizio fatti e personaggi del presente. Mezzo efficiente per trovare
dentro di sé, con l’ausilio della cultura, quella pietra di paragone che la realtà esterna non offre ma di
cui l’Io ha bisogno per costruirsi. Più che di evasione si parla di un allevamento del peso della
contingenza nella quale la coscienza vive immersa e della quale, spesso, si sente schiacciata; diventa
necessario relativizzare quella realtà quotidiana che nella mente degli ignoranti detiene un valore
assoluto e rappresenta anche l’unico modello pensabile di umanità. Per la coscienza umanistica il
rapporto col presente si pone in termini di cimento tra assoluto e relativo, ma in senso rovesciato
rispetto l’ignorante. A essere preponderante nell’umanista non è lo Zeitgeist(spirito culturale) ma la
soggettività morale è assoluto anelante a inverare alcuni valori eterni che percepisce come negativi
dal tempo presente che si rivela come un’epoca permeata di antivalori. Questa è la finalità della
cultura per l’umanesimo petrarchesco, ad essa è correlata una volontà di riforma, in quanto
l’oppressione sofferta dall’Io risulta ancora più pungente quando le istituzioni socioculturali della
contemporaneità sono avvertite come contraddittorie rispetto alla finalità salvifica che l’ideologia
corrente tende ad attribuirgli. La sfiducia nei confronti del mondo esterno si fa totale e l’Io può
riscaldarsi solo nell’agostiniano rientro in sé stesso, pena la disintegrazione; dopo il rientro in sé
stesso e la dismissione dei totem ideologici imperanti all’esterno, l’Io riapre gli occhi su di un realtà
che vorrebbe più bella e che, adesso, ha imparato a pensare come migliorabile, attraverso le
potenzialità etiche della persona umana.

Liberazione intellettuale
Un’immagine desunta da Platone, ammoniva Petrarca a porsi davanti a un mondo dolorosamente
caotico stando ben rinchiuso dentro il “fortilizio” della ragione. Arroccato in una posizione di vigilanza
razionale su di un ambiente ad alto tasso confusionale si gettò nella composizione del suo epistolario:
- Familiares(24 libri)
- Seniles(18 libri)
o Variae
o Sine nomine(19 testi) in cui l’autore venne omesso perché testi compromettenti, come
alcuni temi riguardanti la morale della Chiesa avignonese
L’iniziativa di raccogliere le sue lettere fu un’idea che sorse per l’ammirazione delle Epistolae ad
Atticum di Cicerone, che aveva tradotto nel 1345 riscoprendola in un codice della Biblioteca
Capitolare di Verona. Dischiusero a Petrarca le infinite possibilità del gioco letterario nella
corrispondenza domestica e amicale, genere composito che con il massimo agio permette all’Io
scrittore di offrirsi quale specchio nobilitante all’Io lettore. Spinto dal desiderio di imitare un autore
tanto amato e ammirato dal 1345 o 1349 si lanciò in un’operazione che la critica ha definito self-
fashioning(Ernst Cassirer, lo definì genio lirico dell’individualità; Bernard Groethuysen gli accordò un
posto d’onore nella genealogia delle concezioni antropologiche dell’Occidente, adducendolo a
emblema della fase formativa del moderno coscienzialismo; Arnaud Tripet ha dedicato uno studio alle
strategie retoriche di autoaffermazione dell’Io petrarchesco come modello di coscienza sovrana). Ai
suoi occhi ogni momento della nostra esperienza merita la più alta considerazione, perché è l’Io che
l’ha vissuto, pensato, sentito; non è narcisismo ma ricerca del Sommo bene costantemente collegati
all’autocontemplazione , mantenere ben saldo il contatto con sé stessi, stabilendo un regime di
permanenza delle emozioni. Assecondare con ogni mezzo rappresentativo le dinamiche centripete
dell’Io, questo fu solo un passaggio intermedio, il vero obiettivo è il desiderio di calare nella propria
esistenza un ideale assoluto(morale o estetico)il cui mancato raggiungimento viene pianto come
doloroso scacco o viene rinfacciato agli altri come colpa. Tensione verso la perfezione che viene vista
come possibile dato gli esempi degli antichi che l’anno raggiunta. Questo è lo spirito classicista e
autocostruttivo che avrebbe permeato il senso dell’Io durante la fase ascendente della modernità
conferendo al soggetto quella stabilità che viene definita forma del vivere(Amedeo Quondam). I
frammenti evenemenziali rispecchiato nelle lettere vennero selezionati e annotati per conferire ai
posteri un’impronta di continuità alla propria vicenda esistenziale, in realtà segnato dal dato
dell’accidentalità in una misura sgradevolmente superiore a quanto egli fosse disposto ad ammettere
davanti a sé stesso e agli altri. Il proposito fu quello di tessere retrospettivamente la propria vita
come un arazzo di idee e di emozioni, attraverso un ricomposizione che conferisce alla propria
biografia il valore di una testimonianza in favore del primato assoluto dei valori umani; atto estetico
ma anche morale, ricerca di una catarsi attraverso la trasfigurazione della vita in letteratura.
Sinfonica eterogeneità delle epistole sono specchio della mutevolezza di un Io che, pur volendo si uno
e continuo, si confessò sempre come enigma a sé stesso. Molti gli spunti di denuncia per gli
avvenimenti contemporanei soprattutto nelle Sine nomine ma non ne mancano nemmeno nelle
Familiares e nelle Seniles, volte ad insinuare nel lettore una presa di distanza dal clima de degrado
che opprime il presente(campagna ingaggiata a favore di un povero giovane di un paese della
Provenza che il signore del luogo aveva condannato a morte perché invaghito della sua fidanzata; o le
espressioni di cinismo con cui a Venezia i mercanti trafficavano schiavi o la commiserazione che
mostrò verso i contadini, vittime delle angherie baronali e privi di ogni tutela). A fare da tessuto
connettivo sono i passaggi nei quali rivela i moti riposti del proprio animo e in tono confidenziale,
condivide con gli amici le sue inquietudini davanti ai drammi e agli enigmi dell’esistenza umana: il
tempo che fugge e lascia una coda di tedio e ripensamenti; la brevità della vita e la precarietà delle
conquiste che si fanno; la solitudine un po' cercata e un po' subita; l’invecchiamento del corpo, la
fragilità e le intermittenze di un Io assillato dal dubbio dell’insignificanza. Significativi i passi in cui si
mostra compartecipe dei dolori e delle sconfitte altrui, consolano con tenerezza i suoi corrispondenti.
Pittoresca illustrazione della lettura come riappropriazione di sé, attraverso la cognizione
dell’esperienza altrui mediata dall’arte si ha con Montaigne e la sua clonazione di “retrobottega”
come luogo metaforico della dimensione degli affari correnti e recupero dell’intimità con le proprie
esigenze più vere, grazie al sostegno degli autori prediletti. Petrarca tra le righe delle sue missive
tratteggiò le più sofisticate strategie di ricompattamento del nuovo Io umanistico, sempre bisognoso
di sormontate l’attacco delle forze disgregatrici, interiori ed esteriori, per arrivare ad una condizione
di media autocontemplativa che gli consente di recuperare unità e permanenza

Percezione della disarmonia


Cultura come farmaco, rimedio(De remediis utriusque fortunae), vera e propria alternativa alla
soteriologia della tradizione ecclesiastica ormai declinante; qui l’umanesimo si offre come farmaco a
sostegno di una soggettività esigente e sofferente; un Io ardentemente implicato in un percorso di
autoconoscenza e di comparazione con il mondo, che imparano a frequentare la classicità scopre la
possibilità di evolversi mediante il raffronto tra la realtà presente e la memoria dei grandi modelli del
passato. A questi autori viene conferito il valore di sostegno pedagogico, in sostituzione di quegli
aspetti viventi che la realtà presente non offre in misura adeguata. L’individualità umanista si sottrae
alla tutela delle autorità magistrali ma riconosce il bisogno di una guida e la trova in ciò che di meglio
è ricavabile dal passato. Dispositivo retorico di Petrarca fini per innescare un processo di mutazione
culturale su scala europea; avvalendosi di un sistema epidittico strutturato per antitesi(molto usato
dagli autori classici Tano amati), si aprì la strada verso il Rafforzamento della propria posizione
giudicante; utilizzando i meccanismi dell’adesione e dello sdegno, ciò che corrispondeva al proprio
senso morale veniva lodato, ciò che se ne discostava veniva ricoperto di vituperio; come arma per
sottolineare il dislivello tra Io e l’oggetto del suo biasimo usò l’invettiva(molto usati nei Salmi, molto
amati da Petrarca). Si riuscì così a costruire un regno privato dell’io, momento essenziale ai fini di
pervenire all’esercizio della libertà di valutare e comparare le cose con la propria testa che sarebbe
poi stata inclusa nel catalogo dei diritti umani(corrente di intellettuali anticonformisti, esprits forts,
caratterizzati dal liberismo erudito; cuidance, termine che indica lo spingere lo sguardo oltre il velo
delle convenzioni generali e delle appartenenze di comodo, seguendo una volontà di sapere che non
arretra davanti alla scoperta dei lati più amari e contraddittori della realtà). Altro aspetto
caratteristico di Petrarca era la magniloquenza, registro espressivo forgiato alla scuola della retorica
classica, per captare e ritrasmettere le vibrazioni di desiderio e di ripugnanza, di attrazione e di
frustrazione, che l’Io avverte venendo a contatto con un ambiente ricco di stimoli positivi e negativi;
ambiente cha alla fine si rivela fatalmente irriducibile ai bisogni autocostruttivi dell’Io e viene perciò
oggettiva to nella sua deludente pochezza; questo permise la teatralizzazione del disagio dell’Io ma
anche la messa in subordine di un contesto storico-sociale da rilocalizzare rispetto a un Io sovrano,
vocato a risplendere sopra il groviglio dei fatti contingenti. Pur prendendo spunto dagli antichi molte
furono le differenze tra i due, poiché l’umanesimo antico venne venerato ma ritento non veramente
riproducibile; la principale differenza stava nel fatto che l’umanesimo antico, con la sua impalcatura
cosmologica, aveva dato vita ad un sistema pedagogico incentrato a produrre conservazione, stabilità
e continuità dell’ordine socio-culturale; l’umanesimo moderno, al contrario, nacque come espressione
di rottura epocale e fu veicolo di contestazioni e di discontinuità che aveva tuttavia l’obiettivo di
ricostruire la civiltà. L’umanesimo antico alimentò una pedagogia finalizzata ad attivare l’Io,
facendogli riscoprire nella sua anteriori tra le ragioni dell’armoni a del mondo nel quale era chiamato
ad inserirsi organicamente. L’umanesimo moderno nacque dal bisogno di dar voce a un’espressione
di disagio, sorta dalla percezione dell’acosmia del ondo, il contrario dell’harmonia mundi. La visione
medievale dell’universo aveva lungamente ruotato attorno alla nozione di mondo visibile come di una
realtà intrisa di tracce di Dio che toccava alla pia perspicacia della mente umana imparare leggere
correttamente, tutti gli intellettuali del tempo ritenevano che l’elevazione della mente a Dio
comportasse l’apertura a un’intuizione ordinata e pacificatrice, nella quale l’Io avrebbe trovato il
proprio appagamento al termine di una peregrinazione morale. Sofferente per il peccato l’Io penitente
deve camminare per farsi Io contemplate e mentre progredisce nella strada verso Dio impara a
decifrare un mondo che gli si rivela come una sinfonia di esperienze e come una foresta di simboli.
Petrarca fu uomo meditativo ma non contemplativo che smarrì la chiave che apriva l’accesso a
un’esperienza de-soggettivante e autenticamente purificatrice del dramma esistenziale. La domanda
si senso non fu più vista come caratteristica comune dell’Io e del mondo ma solo dell’Io; mondo non
più geroglifici della volontà di Dio. Quando si parla di mondo disordinato e confuso si parla del mondo
umano, quello della storia e della società; il mondo della natura era regolato da ritmi costanti e
perfetti, ma lontani; per questo gli umanisti perdono interesse verso di esso che considerano compito
primario della cultura quello di dar conto dell’inesplicabilità dell’uomo a sé stesso; questa divisione
era un altro punto di diversità con l’umanesimo antico che era programma pedagogico che integrata
in sé la componente filosofico-letteraria e quella scientifico-naturalistica. La soggettività moderna
nacque da una scissione tra l’Io e il suo habitat fisico e mentale. Il fondo comune a tutte queste
molteplici sfaccettature della vis umanistica fu un atteggiamento antimetafisico, derivante
dall’indisponibilità a ravvisare nella realtà storica un ordine costruito a priori nel quale l’Io trova il
proprio posto prefissato; al contrario l’Io si trova implicato in una lotta per l’umanizzazione del mondo
e per la riduzione del disagio dello stare nel mondo, sforzo per piegare ai propri bisogni l’ambiente
storico-sociale, rendendolo più conforme alle proprie attese.

L’imperturbabilità del degrado


Principale fattore di diversità tra umanesimo antico e moderno fu la Rivelazione cristiana; il Medioevo
aveva cercato di articolare il messaggio evangelico in un sistema di valori etico-politici in una
pedagogia che risultò fortemente condizionata dal suo orientamento teologico. Di quest’epoca
Petrarca diede un giudizio negativo parziale e ingiusto ma che fu indispensabile per voltare pagina; la
voglia di censure epocali alleggiava negli ambienti più disparati, compresi quelli dell’osservanza
religiosa. Giovanni Colombiani da Siena(1304-1367) fondatore dell’ordine dei Gesuati, personaggio
rappresentativo del disagio spirituale che percorre il cristianesimo trecentesco. Colombini emise
diagnosi simili a quelle di Petrarca nel Sine nomine nella descrizione della cristianità del presente,
soprattutto quella rinchiusa nei chiostri che già si sentiva titolata di una pretesa di santità.
Impossibilità di trovare nel clero una minima esemplarità sul quale poggiare un principio di speranza.
La differenza sostanziale tra Colombini e Petrarca fu l’imputabilità del degrado che Colombini riferì di
ordine teologico-provvidenziale e Petrarca assegno a cause di ordine antropologico e accidentale; per
Petrarca la chiave del male stava nella mancata riuscita di cui soffriva l’umanità dei suoi tempi
avvolta nei troppi vizi che la stordivano e che si ravvisava no in particola modo nella Chiesa
Avignonese teatro dei rovesciamento di leggi morali; mettendo anche in dubbio il valore salvifico della
fede cristiana visto il comportamento dei suoi membri principali(papa e cardinali) che per primi
dovrebbero mostrare come moralmente redentiva la verità del Vangelo; contraddizione tra fede
evangelica e suoi rappresentanti. Petrarca fu seguace e ammiratore di Agostino di Ippona ma non
della sua dottrina, soprattutto quella teologica-politica del De civitate Dei ma il suo approccio
autocentrico al problema religioso e l’afflizione esistenzialista ma certo non seguì la soteriologia né
l'ecclisiologia(la Grazia divina che attende la risposta dell’uomo per agire; il peccato originale che
rappresenta un fattore di infermità nelle capacità morali dell’uomo o il mondo visto come una
preparazione alla vita eterna. Si potrebbe dire che difficilmente l’antropologia di Petrarca può essere
fatta entrare nei parametri cristiani pur serbando inconfondibile l’impronta della sua Ideologia
cristiana. In lui e in molti altri autori del tempo chiara è l’autore gradazione dei propri simili e del
proprio tempo, a cui si ricollega la ragione dell'universale infelicità ma come una cosa volontaria:
abitudini sbagliate e perverse dominanti nella società vennero ricondotte al malvagio impiego delle
potenzialità morali e razionali degli uomini, ma scivola in secondo piano il mistero del peccato
originale, ossia dell’alone del male inestirpabile dalla storia umana che divenne sempre meno visibile
e negletto nella tematizzazione degli umanisti. A differenza del peccato originale, la cui origine è
imperscrutabile, il vizio, la stortura e la depravazione hanno una causa umana ben individuabile e
giudicabile dall’Io pensante, sulla base del semplice buon senso; riduce a cause puramente umane le
radici del male collettivo

Indossare l’umanità
Si può parlare di pre-idealismo per quanto riguarda l’approccio di Petrarca al retaggio della classicità
in funzione di stimolo al lavoro su se stessi: riportare allo stadio inziale, nucleo della lezione morale
del poeta-filosofo di Valchiusa. Il suo cristianesimo si presentò come tormentato e problematico, per
questo non fu mai ripiegato sulla propria pretesa di autosufficienza dogmatica ma aperto, bisognoso
di trovare energia nuova nell’ammirazione che la coscienza morale nutre verso l’eccellenza anche
non cristiana. Non si sa per quali vie Petrarca si abituò a frequentare l’antichità pagana non solo per
trarne lezioni di bello stile ma anche per innescare un processo di superamento della sub-umanità
attraverso il riapprendimento dell’umanità; altri intellettuali precedenti avevano individuato
nell’antichità la patria di esemplarità morale, anche se lui lo fa in modi originali: antitesi
umanità/barbarie(feritas o bestialità o ferocitas)procedimento definito Rio dell’essenza dell’uomo che
trova i suoi antecedenti nella cultura greca; nella romanità questa concezione venne ripresa e portata
a nuove vette da Cicerone. Antitesi humanitas/feritas risulta pregnante nelle finalità che gli umanisti
hanno affidato alla cultura; essa è presa di coscienza delle possibilità morali che l’individuo porta
racchiuse e che attendono di essere capite e sviluppate attraverso la riflessione comparativa con
l’umanità altrui. Il neoplatonismo aggiunse un terzo stadio: il raggiungimento della condizione di
“uomo divinizzato” attraverso un processo di elevazione a Dio(deifiatio); il termine humanitas si pone
come intermezzo tra il baratro della feritas e il cielo infinito della divinitas. L’inclinazione mistica fu
estranea a Petrarca che fornì comunque una trattazione dell’antropologia umanistica, limitata alla
sola dimensione terrena. Nella prefazione al De vita solitaria opera una distinzione tra l’uomo
ignorante di sé, chi si trova allo stato di partenza e non ha ancora iniziato una crescita morale e
l’uomo autoconsapevole che ha imparato a misurarsi e a dominarsi; distinzione tra homo e vir.
Suggestivo è il linguaggio che Petrarca ha usato per descrivere il processo di crescita morale; il
passaggio dalla condizione di uomo primordiale alla condizione di uomo evoluto viene paragonato
all’atto con cui una persona si spoglia del vestito vecchio e ne indossa uno nuovo; tutto ciò che di
nobile ed eccellente l’uomo porta in sé non è dato innato ma acquisito. Per conseguire la maturità
morale e l’autonomia l’individuo ha bisogno di stimoli che solo una buona pedagogia può offrirgli; da
qui la necessità di avere buoni maestri. Esaltare le sorprendenti capacità umane e tipico
dell’umanesimo, sottolinea come l’humanitas non sia un dato primigenio e scontato; è sintesi di
impegno etico e di progresso nella conoscenza, non corrisponde alla vita biologica, ma è una
conquista, un punto di arrivo che deve cristallizzarsi un habitus permanente, dipende dal fuoco che si
accende nel momento in cui ciascuna persona decide di vivere in un modo piuttosto che in un altro.
La materie umanistiche dovrebbero essere quelle che esaltano la morale dell’uomo, anche per la loro
connessione con la scienza del bello, l’attrazione estetica è difatti decisiva per far si che un individuo
a scegliere di innalzarsi moralmente.

Una nuova concezione della cultura


Leonardo Bruni(1374-1444)che venne ampiamente contagiato da Isocrate, che orma completamente
la persona umana che sarà poi fondamentale nel momento di dare una definizione di umanesimo; un
passo del suo epistolario viene affiancato al De vita solitaria per comprovare il carattere
fondamentale della cultura umanistica; essa deve cioè formare una personalità ben orientata, pronta
a inverare in sé i più alti ideali morali che rientrano nel concetto di humanitas. In più d un’occasione
Petrara anticipò l’apologia degli studi humanitats che avrebbero poi contraddistinto le generazioni
successive, come Bruni che inoltrando con decisione lungo il sentiero del classicismo codifico
l’umanesimo come sistema pedagogico volto alla nobilitazione attraverso una familiarizzazione con i
prodotti più ammirevoli dell’ingegno creativo dell’uomo; volendo chiarire quale fosse la natura di
questi studia humanitats da lui esaltati come la migliore propedeutica alla riuscita della vita usa i
verbi perficere e exornare; la funzione degli studi era di aggiunge all’uomo qualcosa che ancora non
aveva e che lo completa e abbellisce. Exornare rimanda all’idea della Creazione come manufatto
artistico, plasmato da Dio immaginato come Sommo artista che pone tutto il suo compiacimento nel
dar vita a una creatura dalla libertà inesauribile e imprevedibile, l’uomo. Non c’è nulla di più penoso di
un interiorità umana che, anziché venire nobilita attraverso la conoscenza, rimane abbandonata a sé
stessa un una condizione di vuoto spirituale; ridotta a campo desolato l’interiorità umana risulta
aperta a tutti gli animali di passaggio(passioni incontrollate)(Giovanni Pontano). Il suggestivo
compendio della nozione rinascimentale di uomo-bruto, ossa di uomo incolto e primordiale non
affinato allo studio si deve a Charles de Bovelles(1475-1553)nel De sapiente, trattato sul soggetto
conoscente e progrediente nel quale sono forti le mutazioni di Ficino e di Pico della Mirandola; afferma
che l’uomo, quando esce dalle mani della natura è un’accozzaglia di pulsioni e di qualità virtuali che
tocca a lui stesso mettere in ordine e configurare in una personalità armoniosa. Per assolvere a tale
compito non vi l aiuto migliore di quello offerto dallo studio, attività svolta con un duplice indirizzo: da
una parte l’uomo determinando si a diventare sapiente deve rientrare in sé stesso, dunque capire di
essere un microcosmo ed esplorarsi; dall’altra parte deve anche aprire la propria mente all’indagine
dei segreti della natura volgendo lo sguardo al macrocosmo e la cultura consisterà nell’attitudine
bifocale che gli permetterà di integrare nel proprio Io la familiarità con entrambi questi universi,
macrocosmo e microcosmo. Solo così il soggetto perverrà a quella compositivo di se, a quell’armonia
fra ciò che si sa e ciò che si è, fra Io e mondo. Lo scopo di ogni vera cultura che voglia dirsi umanistica
è l’erudizione(portar fuori dalla rozzezza, intesa come ignoranza di sé e immettere la persona nella
via dell’acquisizione di una conoscenza infinita che l anche perfezionamento di sé)(Huzing). Coluccio
Salutati aveva definito gli studia humanitats come “erudizione morale” della persona umana.
Persistenza del concetto di natura umanistica come dirozzamento: erudito moralis, che si presenta in
molti autori umanisti anche dei tempi nostri(Petrarca, Salutati, Huizinga); fin dal suo esordio con
Petrarca l’umanesimo si propose come antidoto allo scadimento dell’uomo, scadimento dell’umanità
che produce sintomi di imbestiamento(caduta nel feritas): e tutti gli umanisti da ora saranno
caratterizzati da almeno un elemento: la coscienza del carattere tragico della sfida tra umanità(o
civiltà) e disumanità, che richiede quella medicina della gentilezza, della moderazione, della mitezza
dialogica, della ragionevolezza aperta. Il senso dolorose della barbara incombente sul proprio tempo
rappresenta la spia della presenza di un atteggiamento umanistico davanti alla realtà; anche se non è
stato sufficiente a evitare li orrori il sostrato umanistico della civiltà è stato utile per risollevare le
nostre società dall’avvilimento morale in cui sono sprofondata dopo le G.M.

Come parlare del sacro


La cultura umanista può essere definita come la messa in valore di quanto di meglio l’umanità ha
scoperto nella sua storia in fatto di autoconoscenza e ha elaborato in fatto di autorappresentazione e
grazie all’amore dei classici, impara ad avvertire come indecoroso e ripugnante qualsiasi insulto alla
possibile grandezza della persona umana e alla crescita della sua intelligenza. Erasmo da Rotterdam,
in gioventù scrisse Antibarbari dove protesta contro l’atteggiamento oscurantista ma che al tempo
poteva fregiarsi dell’aureola di una fede pura e semplice; al tempo era un giovane Monaco che stava
scontando gli inconvenienti di una chiusura mentale nel suo convento dove si era vietato di leggere
gli autori classici che trattavano del profano; toccò un punto importante le barbarie, si fonda sempre
su di un atteggiamento svalutativo e diffidente nei confronti della natura umana e l’umanesimo si
fonda si di un apprezzamento altamente fiducioso delle sue potenzialità, ottimismo antropologico. Vi
era già una declinazione pessimistica del cristianesimo sorta sulla riabilitazione della classicità
pagana compiuta dagli umanisti in nome dell’utilità pedagogica. Il punto d avvio può essere visto nel
progetto di una rifondazione umanistica della teologia che Petrarca verso la fine della vita tratteggiò
come possibile approdo della sua ricchissima ma dispersiva vicenda intellettuale; questo programma
venne delineato in una delle sue lettere: Senile XV, una delle lettere più importanti del suo epistolario;
diretta nel 1373 ad un membro dell’ordine agostiniano, Luigi Marsilio che aveva conosciuto anni
prima ed erano divenuti amici in quanto il poeta aveva visto nel giovane molte promesse; una volta
che le loro strade si rincontrarono Petrarca fece avere a Luigi un codice delle Confessioni di
S.Agostino che a sua volta aveva ricevuto in regalo da un altro frate agostiniano, Dionigi da Borgo S.
Sepolcro, suo confidente spirituale; questo codice lo aveva seguito in tutte le peregrinazioni della sua
vita. Lo regalò insieme ad alcuni ammaestramenti che intendevano additargli un strada per il futuro in
un gioco di identificazione amicale tra un Io ormai alle soglie del trapasso e un Io nel pieno rigoglio
dell’esistenza ed espose quel disegno di riforma del sapere teologico che aveva pensato in età troppo
avanzata per poterlo realizzare; col trascorrere degli anni era cresciuta in lui la voglia di leggere e
dedicarsi alle litterae sacrae senza che si indebolisce la sua passione per le litterae humanae; colloca
va nel 1350, anno del Giubileo e del suo 3° viaggio a Roma la sua conversione definitiva e volle
comporre in una prospettiva unitaria i 2 filoni: occorreva fissare le coordinate di un nuovo discorso
teologico che si ponesse l’obiettivo di tenere compresenti la santità di Dio creatore e i diritti dell’uomo
in quanto individuo senziente, raziocinante e attratto dal Bello e dal Vero. Queste vennero suggerite
nella forma di un Memorandorum che Petrarca rivolse ad un destinatario che guardava oltre gli
steccati disciplinari con irrequietudine che si rivedeva anche nel Marsilio insieme alla conoscenza del
malfunzionamento delle istituzioni ecclesiastiche coeve; insoddisfazione verso gli schemi pastorali
della Chiesa del tempo. Esorta l’amico a non trattenersi negli studi letterari se si voleva avere una
visuale a 360° a tutto ciò che appartiene all’esperienza umana, se vorrà comprendere il messaggio
della Rivelazione nel suo più autentico significato e divulgarlo tra un ampio pubblico. Le litterae
humanae non rivestono un valore subordinato a quelle sacrae; hanno una loro utilità perché fanno
parte del sapere che il teologo deve avere ben presente davanti a sé per sviluppare le sue capacità
esegetiche del mistero umano-divino; gli studia humanitats e divinitatis devono collegarsi. L’obiettivo
era quello della fondazione di una nuova filosofia religiosa come quella messa in atto da Lattanzio e
Agostino ma che era poi stata spenta dalla Scolastica; anche gli autori ora nominati non avevano
tralasciato lo studio delle lettere senza il quale non avrebbero svolto così egregiamente il loro
ministero di apologeti della religione cristiana. Il teologo moderno, come l’oratore per Cicerone deve
conoscere un po' di tutto, ma soprattutto l’arte della Comunicazione, tenendo presente che se la
verità è l’oggetto dell’intelligenza, la chiarezza espressiva ne fa la felicità e la rende allettante e
fruibile per altri. Petrarca sprona Marsilio a divenire il prototipo del teologo umanista cercando di
essere nella sua interiorità tale e quale desiderava apparire al cospetto degli altri(Socrate). Essa
prefiguravano la fondazione di quella che Trinkaus definì theologia retorica la cui caratteristica
sarebbe stata di non essere incentrata sull’aspetto dogmatico quanto sul risvolto comunicativo
dell’atto di fede. Il progetto risaliva a molto tempo prima, già quando Petrarca polemizzava contro la
cultura del suo tempo, la scarsa religiosità e l’aridità intellettuale; da qui il desiderio di poter
realmente cambiare le cose e di poter sentir parlare di misteri umani-divini del cristianesimo in un
linguaggio ricco e pio capace di toccare il cuore e l’intelletto(epistola al fratello Gherardo, rapporto
analogo tra poesia e teologia al loro rapporto di sangue)

Istanze di aggiornamento
L’umanesimo, nato come critica dell’esperienza tipica del cristianesimo medievale, tese a configurarsi
come progetto di una nuova apologetica cristiana che rispecchia se le istanze di una sensibilità non
più medievale; aggiornamento del linguaggio e del pensiero; questa nuova apologetica doveva
passare le ristrettezze della visuale biblica per abbracciare il fenomeno umano in tutta la complessità
delle sue risultanze storiche, includendo le vette di eccellenza raggiunte dall’antichità precsristiana,
punto che sarebbe poi stato lavorato da Ficino e Pico ma che venne comunque anticipato da Petrarca
che utilizzando versi di cicerone afferma che l’intelligenza umana deriva da Dio. La questione dello
statuto teologico del paganesimo era cara a Petrarca che vedeva nella loro magnaminitas un germe
di riscatto salvifico; sostiene che proprio gli antichi non avessero davvero creduto ai loro stessi Dei ma
che li pregassero meccanicamente ed era da supporre che loro stessi sapessero dell’esistenza di un
unico vero Dio; il vulgus del suo tempo era il vero pagano che si lasciava trasportare e dominare dalle
passioni e dall’idolatria. A dare additato al suo pensiero c’erano nelle opere di Cicerone dei riferimenti
ad un unico io che però lui intendeva come la Ragione universale e impersonale. E da qui nasce la
nostalgia del pensiero del bene che questi avrebbero fatto alla Chiesa e a come sarebbe la Chiesa ora
se avesse avuto loro come modelli; al posto che di una teologica che per colpa dell’aristotelismo si
era avvicinata all’enciclopedismo per incasellare la realtà secondo schemi metafisici astratti senza
tener conto del dato della singolarità di un credente che non accettava più di essere
pedissequamente eterodiretto ne di conformarsi a schemi etici e gnoseologici precostruiti. Petrarca
era convinto che la teologia del tempo non avesse più armi per confutare in modo adeguato la
miscredenza, il materialismo antiprovvidenzialista e il riduzionismo antropologico professata da quei
presuntuosi irriverenti che impartivano il tono al sapere accademico che venne classificata sotto
l’averroismo. Volle redigere un’articolata confutazione contro l’averroismo in nome di una fede
vibrante, ponta a trasformarsi in una parola capace di toccare il cuore e di arrivare all'intelletto,
riaccendendo le intorpidite capacità di elevazione: Senile XV in cui diede a Marsilio un altro compito,
che consisteva nel dedicarsi, con la massima urgenza a un’esaustiva confutazione dell’averroismo.
Nel Contra medium egli definì homiliae i suoi discorsi che in effetti erano dei sermoni con valore
esortativo come quelli dei predicatori; qui dimostrò la sua versione verso ogni prospettiva monocolore
di pensiero, soprattutto se offriva una visione rasserenante della condizione umana, come
l’averroismo, dottrina che voleva riassorbire l’individuo nel Tutto cosmico, detestava l’approccio di
stampo olistico, sordo al valore assoluto della soggettività umana e la tendenza scettica e riduttiva,
sfociante nella negazione di un Dio personale e paterno, presagio dell’ateismo moderno; allo stesso
modo si lanciò contro il naturalismo e lo scientismo che venivano da lui visti al pari dell’averroismo;
ciò che davvero serve nella conoscenza è l’impulso a progredire moralmente; conoscere al fine di
diventare buoni(De ignorantia). Le speranze di Petrarca di riuscire a far creare a Marsilio le opere che
lui non riuscì a completare vennero riposte nell’uomo sbagliato; Marsilio rimase ancorato a schemi di
pensiero medievali pur essendo avverso al tradizionalismo ecclesiastico nei suoi lati più sterili n ebbe
le energie sufficienti a intraprendere con il dovuto vigore l’attacco alle radici psicologiche della
moderna incredulità; si dovette aspettare Ficino per vedere il seme gettato da Petrarca, preludente
alla fondazione di un approccio teologico protomoderno, trovasse un terreno ricettivo e poi con
Francisco Rico e Erasmo da Rotterdam

Una laica magnanimità


L’eredità petrarchesca
La prima generazione di umanisti, amanti di Petrarca, furono dediti soprattutto alla lettera delle sue
opere in latino, una piccola schiera devota(Francesco Nelli)a cui capo vi era Giovanni Boccaccio, erede
spirituale disegnato dallo stesso Petrarca nel suo testamento in cui lascia all’amico denaro che
avrebbe dovuto usare per una veste calda e sontuosa che gli avrebbe permesso di vegliare sui libri
durante le notti fredde; tuttavia Boccaccio morì l’anno dopo, nel 1375; il lascito spettò a Coluccio
Salutati(1331-1406)che non aveva mai incontrato Petrarca ma Boccaccio; massimo esponente
dell’umanesimo tra 300 e 400. Nato a Stignano(tra Lucca e Pistoia)con la famiglia venne esiliato a
Bologna centro di formazione notarile e cancelleresca dove fu allievo di Pietro da Moglio; 1351,
completò il curriculum degli studi e intraprese un lungo tirocinio come notaio e graze alle sue
competenze in latino divenne funzionario comunale, inserendosi nelle cancellerie di varie città in
qualità di specialista nell’arte della comunicazione pubblica: disciplina che rimodernò secondo un
nuovo codice formale aulico e classicheggiante, dotato dei requisiti della monumentali perché forgiato
dall’umanesimo petrarchesco. Ciò gli permise di tornare in Toscana e grazie alle sue capacità divenne
membro della Cancelleria del Comune di Firenze e nl 1375 divenne cancelliere della Signoria. Così
poté rispondere al suo desiderio di primeggiare ma che seppe sempre disciplinare; dato che spiga
molti aspetti della sua visione antropologica, improntata ad un volontario fattivo, in piena sintonia con
la società del tempo pervaso dalla mobilità sociale ed economica. Cancellierato che durò fino alla
morte, mise in mostra formidabili doti di organizzazione culturale radicando a Firenze il movimento
culturale iniziato da Petrarca(che aveva sempre snobbato Firenze rifiutando anche la cattedra di
retorica). Su incarico di Salutati, nel 1378, il francescano Tedaldo della casa andò a Padova dove
trascrisse le opere di Petrarca, tra cui il Secretum, per la propria biblioteca privata. Prese piede l’idea
di costituire a Firenze un foyer di cultura per poter coltivare l’eredita petrarchesca, dove operarono
Lombardo della Seta e Francescuolo da Brossano, amico e genero di Petrarca e suoi esecutori
testamentaria che volevano pubblicare un’edizione completa delle sue opere, che non si fece mai a
causa anche dei problemi politici ce segnarono la caduta dei Carrara a Padova per i Visconti; anche
per questo fu Firenze ad affermarsi come sede degli studia humanitatis. Il talento di Latini sta di
Salutati era dovuto soprattutto alle opere in lingua di Petrarca, soprattutto l’Africa, da lui considerato
il capolavoro che gli permetteva di porsi al fianco dei grandi maestri antichi(Omero, Virgilio e Stazio);
L’opera venne pubblicata interamente solo dopo la morte di Francesco: l’eccellenza che essa aveva
riattribuito alla modernità sul piano letterario consentì ai suoi primi lettori di trarne buoni auspici per il
futuro. La civiltà non era mota, anzi stava risorgendo e cominciava a produrre frutti artistici e letterari
che non sfiguravano se accostati a quelli della migliore antichità. Va tenuto ben conto che al tempo
Petrarca veniva apprezzato più per le opere in latino che di quelle in volgare. Attraverso la
celebrazione poetica e storiografica delle grandi azioni compiute dagli eroici personaggi dell’antichità,
gli umanisti della seconda generazione appresero l’alto valore dell’agire dell’uomo nella sua
dimensione storico-temporale, vedendovi il compimento delle loro attese catartiche. Furono indotti a
riscoprire la politica e la vita civile come campi nei quali l’individuo eccellente è chiamato a mettersi
alla prova, rivelando la propria virtù(saper fare, capacità autoaffermativa, esercitata con saggezza e
onestà, ciò che una persona dimostra di valere, senza trucchi). La fruizione che gli umanisti del tempo
compirono sugli scritti di Petrarca andarono nel senso opposto all’esito che lo stesso messaggio aveva
conosciuto nella vicenda biografica del poeta, che si era allontanato dall’umanità andando in
solitudine ad Arquà per proteggere sé stesso dai condizionamenti della vita collettiva; aveva disertato
la società e con essa la celebrazione dei valori politico-civili con il linguaggio della poesia epica, per
abbracciare il lirismo e la meditazione solitaria. I suoi ammiratori avrebbero fatto la gara per la
riuscita nella vita sociale vedendovi un mezzo per inverare gli ideali umanistici; il primo fu proprio
Salutati con un lettera a Boccaccio in cui esprime la sua ambizione di voler fare carriera, dettata non
solo dalla prospettiva del guadagno ma anche dal desiderio di contribuire con i frutti del suo ingegno
a migliorare l’andamento delle cose.

Contro l’oscurantismo
La nuova cultura aveva bisogno di affermazioni politiche che le dessero visibilità perché forse esterne
e ostili si stavano destando e minacciavano guerra. 1378, inizio attrito fra la linea novatrice
dell’umanesimo e la linea conservatrice del tradizionalismo; data anche di inizio dello scisma
d’Occidente; detonatore: notizia che a Bologna era stato messo in vendita un prezioso manoscritto di
Virgilio; Salutati chiede a Giuliano Zonarini di andare ad acquistarlo ma questo si rifiutò perché presso
alcuni ecclesiastici di detestava l’infatuazione della scuola petrarchesca per gli autori della classicità
a cui aggiunse che Virgilio era un poeta menzognero e che la sua lettura contravveniva alla
deontologia dell’intellettuale cristiano e che avrebbe volentieri comprato per lui un libro di argomento
sacro; Coluccio ribadì che leggere Virgilio non era peccato, visto che nelle scuole si studiavano molti
autori profani, come Donato e Prisciano per la grammatica latina o Platone e Aristotele per la filosofia;
era lecito trarre profitto da Virgilio per la ricchezza straordinaria del suo stile e la profondità della sua
visione morale che in più di un aspetto coincideva on la visione evangelica, vi sorgeva anche un
vestigio dell’onnipotenza di Dio nelle sue doti profetiche che gli avevano permesso di ricevere una
premonizione dell’avvento di Cristo(anche Petrarca aveva detto una cosa simile in una lettera al
fratello). Ciò non fece cambiare idea, anzi, altri corrispondenti ribatterono e diedero inizio ad un
dibattito. Coluccio intendeva che la lettera è l’eloquenza non erano da prendere come creazioni del
paganesimo, ma come percorsi di avvicinamento dell’umanità a Dio; saperi eterni, neutri, che
l’antichità aveva consegnato al presente e che attendevano di essere positivamente impiegati per
l’edificazione del popolo cristiano. Il pensiero antiumanista degli oppositori di Salutati non va visto
come medievali so attardato dato che non corrisponde alla tendenza culturale dominate nel Medioevo
cristiano, al cui tempo il retaggio classico era stato coltivato con devota ammirazione e assorbito con
felice armonia nelle categorie della cultura ecclesiastica; a fine 300 vi era un rigurgito di estremismo
antipagano; si parla, più che altro, di un revival neo-tradizionalista, con tutto quello che di forzato e
artificioso possiede una linea di pensiero prescelta in funzione di barriera di contenimento verso
tendenze comparse nei tempi recenti e percepite come allarmanti; esponenti di una corrente di
tradizionalismo oscurantista che non rappresentava una continuità con il Medioevo ma dava voce alla
paura che incuteva la coltre di buio che si stendeva sui tempi presenti

Una fede virile


La fine del 300 fu un’epoca di angosce collettive sfondo religioso che vennero acuite dallo scoppio
del Grande Scisma d’Occidente. Davanti a una Chiesa spaccata in 2 obbedienze, ciascuna facente
capo a un papa, i fedeli di tutte Europa si chiesero come interpretare una situazione tanto indebita
quanto disperante. Mentre tra la gente comune si faceva strada che nessuna anima cristiana potesse
andare in Paradiso in un età così funesta, tra le coscienze più tormentate si rafforzò la propensione a
leggere il presente in chiave apocalittica, con una fine del mondo imminente. 1378,anno di inizio dello
scisma, anno di nascita dell’anticristo, impostore che secondo una predicazione che si ricavava dal
testo del giovanneo avrebbe travisato l’umanità degli ultimi tempi, portandola quasi tutta sull’orlo
della perdizione, ma solo per venire smascherato e abbattuto da Cristo. Tutto questo contribuì alla
nascita della magnanimità individuale, incarnato dal Coluccio, testimone dell’humanitas
rinascimentale al suo esordio. La tradizione di Gauthier ha fornito una ricostruzione del concetto di
magnanimità relativamente all’antichità pagana e patristica, momenti impersonati da Aristotele e
Agostino; prosecuzione del discorso dell’epoca protomoderna dovrebbe aprirsi con Salutati, primo
campione della magnanimitas umanistica, connessa con l’antropocentrismo di cui fu espressione, può
essere assunta a virtù paradigmatica dell’antropologia dell’umanesimo di derivazione petrarchesca
che non aveva però una veste sistematica dato che fu una stratificazione di prese di posizione prese
dall’autore davanti ai grandi fatti che lo interpellavano. L’impulso a dar vita ad un originale filone di
pensiero, incentrato sulle risorse a disposizione dell’Io nella sua lotta contro le circostanze della vita,
provenne a Salutati al rigetto del fatalismo tipica della cultura dei suoi tempo; il bersaglio esecrato
era la pusillanimità: lo stato d’animo della piccolezza, della sudditanza remissiva, vera e propria
abdicazione della volontà individuale davanti alle forse sovraindividuali che muovono il mondo;
questa condizione di spirito prona alla meschinità servile appare quanto più lontano si potesse
concepire rispetto all’altro concetto che dell’essere umano ci si forma guardando al modello della
classicità. Non possedeva alcuna preparazione specifica in materia di filosofia morale, aveva letto
Seneca e Cicerone, maestro non solo di stile ma anche di etica con cui colmò le lacune teoriche con
l’afflato imitativo. Dai classici imparo la necessità di resistere non solo al potere di seduzione dei
piaceri e delle passioni ma anche alla piccolezza di certa religiosità pedissequa, andò oltre Petrarca
nella visione eroica e agonistica dell’esistenza umana. Trai primi idoli polemici ci fu la superstizione,
nella variante della credenza nel potere divinatorio dell’astrologia, lotta contro tale forma di stupidità
collettiva, compito urgente nel quale si lanciò incurante che questa materia da secoli rientrava nel
campo di controllo della Chiesa. Primo passo nella maturazione di un’originale coscienza umanistica e
si trattò di un distacco da un’abitudine dello stesso che da giovane era solito consultare astrologi;
questa fruizione dei pronostici astrali in senso propiziatorio era allora diffusissima e veniva giudicata
compatibile con la fede cristiana, anche papi e cardinali la praticavano; Coluccio ad un certo punto se
ne distacca, sollecitato dallo stoicismo che accentuata i tempi della libertà e della responsabilità del
singolo individuo dotato di ragione. Contribuì anche la sua adesione ad un cristianesimo più maturo,
1369, cita la Bibbia come sua auctoritatis di riferimento morale fin da lì aveva rivolto la sua
attenzione solo ai classici. Sostenuto da una visione classico-cristiana riscoprì la nozione di
Provvidenza, che non sostituisce lo sforzo personale dell’uomo ma anzi lo risveglia, chiamandolo a
cooperare con la Grazia divina nella realizzazione di una vita secondo giustizia. Confuta la credenza
del dominio degli astri sopra le vicende umane in quanto fonte di distorsioni morali nocive. In un
poemetto di un’epistola del 1378 a Jacopo Alllegretti, che aveva pronosticato una serie di
catastrofiche guerre in procinto di scoppiare in Italia, Coluccio bollò l’astrologia come superstizione e
come azzardo. Le sue cognizioni scientifiche lo spingevano ad ammettere come possibile che gli
astrologi a prevedere sciagure naturali come siccità e terremoti ma si rifiutava di credere che fossero
scritti nelle stelle le decisioni che gli uomini prendono per la loro libera scelta, chi crede ai pronostici
dimentica che sono stati più quelli mancati che quelli che si sono avverati; l’unico a conoscere il
futuro è Dio che muove tutte le cose e tutto governa e mai sbaglia. In lui stava la percezione di
un’emergenza educativa, assenza di proposte pedagogiche commisurata alla drammaticità di
un’epoca segnata dalla scomparsa delle antiche certezze etiche; non poté avere la scienza come
alleata, poche le cognizione scientifiche del suo tempo propendevano per l’influenza dei corpi celesti
sull’indole e sugli umori dell’uomo; rivolta contro l’assurdo dell’illibertà. L’incombere di forze
malignamente corrosive della sovranità dell’Io sopra gli eventi non era una novità: classico di fortuna;
ne poteva essere scartati quale influenza dei astri sulla conformazione psicofisica degli esseri umani
da chi non aveva una certezza sperimentale. Tuttavia era prerogativa dell’uomo, quella in cui risiede
la dignitas, il possesso di un certo potere su di sé e sula realtà; l’uomo può alterare il suo ambiente ed
esercita la sovranità sul regno interiore di cui la parte razionale dell’Io detiene lo scettro la virtù è il
vero potenziamento dell’uomo, quella risorsa che gli consente di dirigere gli eventi secondo volontà:
chi la possiede, quella è la vera persona nobile che può dirsi autenticamente libera. Nel bisogno di
rifondare un’etica della responsabilità individuale adeguata alla gravità dei tempi, Salutati trovò gran
parte delle risposte che cercava nello stoicismo di cui rivisitò le ragioni e le rapportò con mente nuova
al messaggio cristiano; tuttavia non abbracciò completamente la scuola filosofica, da cui, in certe
occasioni, si allontanò soprattutto sul punto del problema della morte e dalle reazioni di spavento e di
lutto da essa ingenerate(atarassia), è giusto che l’umanità abbia paura della morte e del dolore
provocato dal lutto. Ciò che dello stoicismo attasse Salutati fu l’aspetto psicodinamica della
glorificazione dell’Io nella sua parte più nobile, quella della razionalità libera e cosciente: la parte
direttiva(Epitteto e Marco Aurelio); tra l’altro vivo in lui era il messaggio evangelico che lo portava a
tenere conto della fragilità umana, fattore che la celebrità della saggezza come distacco dello
stoicismo tendeva a obliterare. Per questo motivo Coluccio non pretese mai da sé stesso né da alti la
capacità di reprimere tutte le emozioni, di cancellare il dolore o di padroneggiare l’angoscia del lutto.

Impegno militare
L’avversione al fatalismo, fonte di un’attitudine rassegnata davanti ai mali della storia, trasparì dal
modo in cui Salutati si pose di fronte al rovescio che tormento la coscienza a cristiana della sua
epoca. Per Firenze lo scisma aveva portato al conflitto con i papa avignonese per il controllo politico
dell’Italia centrale scoppiato nel 1376 nella Guerra degli Otto Santi; come cancelliere Salutati resse le
fila della diplomazia fiorentina occupandosi della redazione di lettere ufficiali con il quale giustificava
l’operato della Repubblica che gli portarono la scomunica papale. Dovette occuparsi di plasmare
l’immagine pubblica di Firenze che dovette rompere lo storico asse col papato e dedicarsi ad una
nuova politica estera improntata in una più spiccata indipendenza non solo col papato ma anche
dell’Impero e degli altri potentati circonvicini. All’interno del ceto dirigente fiorentino stava maturando
l’opzione in favore di una politica espansionistica che avrebbe portato alla conquista di uno Stato
territoriale, aspirazioni che non avevano precedenti nella città e che quindi erano sprovviste di un
fondamento etico-giuridico nella tradizione. Coluccio e i suoi continuatori, come Leonardo Bruni,
furono chiamati a confezionare nuovi paradigmi linguistici in grado di da voce a tali pretese. Il tutto
venne legittimato con il mito neoromano della repubblica in armi, che combatte non solo per la
propria grandezza ma anche per la difesa di alcuni valori assoluti di civiltà messi a repentaglio
dall’azione malefica delle forse ostili portatrici di anticiviltà (civiltà-barbarie); con a differenza che
proprio la Chiesa approva come barbara. Va ad aggiungersi il fatto che Coluccio aveva lavorato come
funzionario alla curia romana in cui crebbe il suo disgusto verso il lusso e i vizzi dell’alto clero, anche
se accresce va anche la sua devozione verso la santità delle memorie passate, lo splendore delle
liturgie e la fede dei pellegrini. Tutti questi problemi vennero condensati in uno scritto: la lunga
missiva del 21 febbraio 1377, quasi una circolare indirizzata ai regibus atque princibus di tutta
Europa, in cui venne denunciata, con dovizia di dati e patetismo di toni, la strage di civili inermi
compiuta a Cesena dai mercenari bretoni al soldo del papato, comandati dal cardinale Roberto di
Ginevra(futuro antipapa Clemente VII); capolavoro di precisione documentaria e di retorica narrativa
con cui mise in luce il carattere tirannico del temporalismo pontificio. Anche l’anno precedente
Coluccio aveva scritto un’epistola antipapale, rivolta alla cittadinanza di Roma affinché si ribellasse
scrollandosi di dosso il giogo ecclesiastico; 4 gennaio 1376, più marcato il registro sostenuto, denso di
riferimenti al passato classico e a una tavola di valori ideologici tardomedievali(superiorità morale e
civile della natio italica su quella gallica)esorta i romani a ricordarsi quando i loro progenitori si fecero
dominatori e protettori di popoli liberi. Dopo 2 anni dallo scoppio della Guerra degli Otto Santi
sopraggiunge lo scisma destinato a durare quasi 40 anni; anche se avversario del papato come forza
temporale Salutati si dichiarò costernato dalla vicenda in quanto cristiano coscienzioso e sollecito di
un bene pubblico della cristianità che papa e cardinali non sapevano più tutelare; si interrogo sui
motivi che avevano portato questa divisione che stava compromettendo la possibilità che gli europei
continuassero a sentirsi partecipi di un’entità socio-religiosa unitaria, come era da secoli; che andò a
collegare con le sue riflessioni moralistiche intorno al degrado in cui erano sprofondata il papato e la
curia romana. Nacquero così delle missive che da un lato dovevano tutelare Firenze ma dall’altro
connotati di una preoccupazione ecclesiologica; ebbero risonanza anche all’estero(corte francese). Il
presupposto su cui poggiava no era l’imperturbabilità del papato, dei 2 papi, in quanto soggetti
responsabili di scelte storicamente fallimentari, risalenti alle passioni mondane di cui erano schiavi;
quindi, le lacerazioni della cristianità potevano essere segno dell’ira di Dio per i peccati commessi dal
clero. Sorte come opere di propaganda divennero presto opere di giudizio storico, getta le basi per
una comprensione delle forse generatrici del Rande scisma a cui tentava di trovare una soluzione
secondo le coordinate pragmatiche e moralizzanti dea storiografia classica; fu la sua ultima fatica,
insieme all’abbozzo di risposta agli attacchi del Dominici. Pochi mesi prima della morte approntò una
raccolta di 4 epistole(2 pubbliche, 2 private)che vennero intitolate Liber de Schismte che non venne
completata per la sua morte e che non ebbe seguito ma che risulta suggestiva nel suo valore di atto
di giudizio storico che una coscienza etica come quella di Salutati emise nei confronti di una Chiesa
deficitaria di humanitas.

Fiducia escatologica
Il Grande Scisma ebbe ripercussioni devastanti sul piano dell’immaginario collettivo della republica
Christiana; da essa l’umanesimo accentua il suo di stanziamento dalla tendenza generale a leggere i
fatti più sconcertanti in chiave di indizio escatologico; 1392 il cancelliere del comune di Bologna:
Giuliano Zonarini fu preso da un dubbio vertiginoso; suggestionato da alcuni pronostici era da credere
che l’anticristo fosse nato in concomitanza con l’apertura dello Scisma e fosse quindi ormai
adolescente, quindi era sul punto di mostrarsi al mondo; e scrisse a Coluccio per sapere il suo
parere(secondo la cultura dell’epoca le lettere erano scritte per essere lette in pubblico); la risposa di
Salutati fu ferma e rassicurante, le dicerie sull’Anticristo non erano fededegne e la fine del mondo
non era imminente; respinse le pseudo-ragioni del catastrofismo e propugnò una ricognizione dei
fondamenti oncologici della realtà presente, la quale vantava una durata e una consistenza ben
maggiori di quelle che la mentalità apocalittica tendeva ad accordarle. Con lui l’umanesimo si mostrò
accettante e razionalista in un epoca assurda. Si mostrò fiducioso nei confronti della temporalità
presente, bisognava prepararsi a tempi migliori, non alla fine dei tempi; solo il Padre conosce l’ora
della fine dei tempi e più che all’anticristo bisognava concentrarsi sulle condizioni della Chiesa del
tempo, straziata dalle discordie; scartò l’ipotesi che la caligine ella storia attuale si sarebbe dissolta
per far posto ad uno spettacolare prodigio divino ma il dramma presente sarebbe stato faticosamente
smaltito dal lavoro dell'intelletto umano. 1397, nuovo climax nella faida tra classicismo umanistico e
integralismo religioso; quando il condottiero Carlo Malatesta si rese autore di un gesto vandalico che
fece passare come dettato dallo zelo cristiano: fece buttare nel Mincio un’antica statua romana
ritenuta il ritratto di Virgilio poiché le statue sono dovute ai santi non ai poeti pagani; Coluccio
rimprovera Malatesta e la sua cecità distruttiva e rese l’occasione per spiegare i motivi per cui ne
Virgilio poteva essere considerato un nemico del Vangelo solo perché pagano né la sua poesia poteva
essere considerata come foriera di falsità solo perché frutto della fantasia; la grandezza dei poeti,
anche pagani, sta nel loro esprimere l’esigenza del vero e del divino che abita in ogni uomo. 1401
dovette parare un altro attacco all’umanesimo, banalizzato come infatuazione per una scala di valori
classici che doveva invece considerarsi soppiantata dal cristianesimo, detto sa Giovanni da San
Miniato ex umanista insoddisfatto della sua vita e della sua carriera che si era fatto Monaco
camaldolesi dove riscoprì l’idea le di sancta rusticitas coniato da san Girolamo con cui intendeva un
atteggiamento di ignoranza volontaria, a torto ritenuto meritorio da chi rinuncia a capire la realtà del
mondo per concentrarsi unicamente sulla pratica di una fede antiintellettualistica e solipsistica.
Famosa lettera di Petrarca a Boccaccio in un momento oscuro di questo in cui voleva abbandonarsi gli
studi letterari ricordando le parole di Monaco che gli aveva impartito un monito in punto di morte
dicendo che i suoi studi lo avrebbero portato alla perdizione; Petrarca rassicura l’amico a non lasciarsi
sopraffare dal timore: la sua fede in Cristo era fuori discussione e quanto alla cultura, una litterata
devotio era superiore ad una devota rusticitas. La sancta rusticitas torna più volte come arma degli
antiumanisti come prova di umiltà cristiana che comportava il ripudio dell’orgoglio della libido scendi.
Giovanni accusò gli umani di anteporre il culto per i classici a quello per Cristo a cui salutai rispose
che al fondo della propria venerazione per i classici vi era una salda fede nel Vangelo. Apologia
dell’umanista come uomo di fede e di intelletto che Salutati inserì nel finale dell’epistola, gli dovette
apparire sconcertante la folata di antintelletualismo che percorreva l’Italia; lo stigma di atto
peccaminoso che gli antiumanisti cercarono di far ricadere sul desiderio di conoscere e progredire
attraverso il paragone con i classici non era dovuto ad un ritorno al passato ma aveva a che fare con
la pretesa assoluta di un fondamentalismo ossessivo che identificava la libertà con il pericolo della
trasgressione; questo pensiero venne confutata solo in parte da Salutati, affermò che esso poteva
funzionare solo se applicato al contesto del monachesimo ma era fuori luogo se calato nei
meccanismi della vita sociale a cui si rivolgeva invece l’umanesimo che puntava a creare una cultura
che non intendeva favorire l’orgoglio intellettuale ma che doveva servire a trasmettere la fiamma
della conoscenza alle nuove generazioni dei cristiani destinati ad operare nel mondo; ognuno di noi
riceve dai suoi maestri le verità su Dio che deve poi trasmettere ai posteri; il problema è svolgere
efficacemente tale compito. La Sancta rusticitas serve solo a santificare colui che la pratica, mentre
l’umanità svolge il suo apostolato non solo per sé ma anche per gli altri.

Rigetto dl Contemptus mundi


Tutti i mezzi per il primato della volontà, cioè dello sforzo fattivo, davanti ad una realtà irta di forze
caotiche che scoraggiavano la pulsione trasformati che è dell’Io; esaltatore della vita activa polemizza
contro lo spirito rinunciatario che biasimo come Ontario all’etica della magnanimità ma non si
considerò una persona irreligiosa, si riteneva più cristiano di quelli che per vincere il mondo lo
fuggivano ma la sua attuosità veniva fraintesa dagli adulatori della fede tradizionalista soprattutto
perché poneva l’accento sulle capacità umane e sembrava rilegare in ombra l’azione di Dio. Per lui il
problema morale non veniva presentato a partire dal rapporto uomo-Dio ma da quello uomo-eventi,
cioè a partire dalla lotta che l’uomo conduce con la fortuna o il fato, non compare alcun ordine
precostituito del mondo entro cui il soggetto è chiamato a inserirsi armoniosamente, al contrario,
tutto è indeciso, fluido, modificabile. Alla luce del sistema valoriale prevalente nella nostra epoca,
l’attivismo di questo gruppo sociale può venire meglio compreso nel suo fono generatore di un
impegno intramondana che ci appare evangelico anche se estraneo alla cultura dei clerici del tempo,
l’antropocentrismo rinascimentale è in piena sintonia con la missione biblica dell’uomo; l’approccio
contemplativo e statico del Medioevo lasciava il posto a un empito di attivismo trasformatore;
l’approccio medievale veniva visto da Salutati come rinunciatario davanti alle sfide della vita che
esigono invece dall’uomo una risposta morale, cioè un’assunzione di responsabilità; la realtà sociale
va presa sul serio, non va svilita o ripudiata come fanno quelli che sfuggono al mondo, essa possiede l
se ragioni profondi, che sono ragioni divine ma che presentano motivazioni accessibili alla razionalità
dell’uomo. Accenti parenetici delle considerazioni morali che si sentono molto nel suo epistolario
privato. La predicazione umanistica di Salutati si alimentava dell’energia dell’uomo inarrendevole, che
si spende nella fatica di compiere il proprio destino al servizio del bene comune, sforzo erculeo, come
si evince dal titolo del suo trattato: De laboribus Herculis; sforzo diretto a dimostrare la superiorità
dell’intelletto umano rispetto alle cangianti fluttuazioni della vita(De fato e de fortuna di Petrarca
dove pervenne alla conclusione che l’uomo è nato per dominare e non per soggiacere agli eventi che
può sempre vincere con la sua libertà morale). Tutto il suo lavoro fu diretto a costruire una pedagogia
utile a rafforzare nel soggetto l’inclinazione al fare e per debellare la tentazione alla rinuncia;
rivalutazione del carattere terrestre e celeste della vita cristiana, non fece alcuna concessione allo
spirito del mondo che definì anche immondo, sporco e osceno. La sua esaltazione delle risorse
individuali non lo rese cieco davanti alla strutturale debolezza e finitudine dell’essere umano ma tutto
questo venne accompagnato da una rivalutazione dell’esperienza umana su questa terra, finalizzata
ad arricchire e abbellire il mondo, opera di Dio, con qualcosa che è dato solo all’uomo di compiere: la
civiltà che si fonda sull’osservazione della giustizia: umanesimo civile che avrebbe trovato d’accordo
anche Dante Alighieri. Coluccio dedicò un’opera al tema di quanto valessero per la società le
competenze scientifiche e quanto quelle politico-giuridiche: De nobilitante legum et medicinae;
trattato in cui sono presenti molte prese di posizione che rendono Salutati l’esaltatore del civismo e
dell’altruismo, vera spiritualità comunitaria che postula la ricerca di una sapientia non teocentrica e
contemplativa ma orizzontale e pragmatica, generosa di effetti benefici tanto per il soggetto virtuoso
quanto per i parenti e non solo per sé stesso; vene concepito come analogia dei meriti della
giurisprudenza intesa come raccolta di tutte le cognizioni relative alla vita associata dell’uomo, l quale
si perfeziona vivendo con gli altri sotto le leggi e imparando a fare un uso corretto della priorità libertà
con l’ausilio della ragione; per questa sua valenza civilizzante la giurisprudenza viene anteposta alla
medicina ma intesa come patrimonio delle regole della società e la medicina comprende L’intero
corpo delle scienze naturali che Coluccio non ritiene siano in grado di dare risposte a quesiti basilari
dell’uomo, cosa c’è fanno la giurisprudenza e la politica che danno indicazioni chiare su come l’uomo
può esercitare correttamente la propria naturale vocazione alla società e alla cittadinanza, trovando
la propria realizzazione nello Stato; la medicina cura il corpo ma la politica cura l’anima

L’uomo erculeo
Opera di maggiore ingegno di Salutati: De laboribus Herculis(!380-1405); analisi enciclopedica di tutti
i possibili sensi interpretativi del mito delle fatiche di Ercole; passione suscitata dalla presenza di
Ercole nel sigillo di Firenze rappresentazione della lotta plurisecolare della città contro i nemici al fine
di imporsi come entità territoriale predominante in Toscana e guardata con rispetto in Italia; il
cancelliere si chiese se il simbolo fosse adeguato, a renderlo perplesso era la considerazione che
Seneca aveva riservato un duplice trattamento della figura di Ercole: uccisore della moglie e de figli
ed ero divinizzato (Hercules furens/Hercules Oetaeus); si chiedeva quale delle sue figure privilegiare e
sul tipo di credito da dare ai miti pagani: se contengono una verità morale e quindi possono esse usati
anche per i cristiani o se sono invenzioni che non meritano stima né studio. Si dedicò ad uno studio
approfondito di tutte le storie su Ercole e dell’etimologia dei nomi e la struttura diegetica del mito; vi
applicò una chiave esegetica di tipo Medievale ma mosso da uno spirito umanistico: in Ercole vide il
prototipo dell’uomo magnanimo, sempre prono a combattere ed ad andare incontro all’estremo
sacrificio pur di affermare la sostanza etica dell’umanità di cui ognuno deve far portatore. Rivendicò il
valore intrinseco della letteratura, che anche quando è di matrice pagana contiene sempre un
contenuto intrinsecamente cristiano; in particolare la poesia è orientata verso l’intuizione delle verità
eterne; nessuna realtà umana è estranea all’influenza dello Spirito Santo, soprattutto le eccellenze
letterarie (Genealogia Deorum, Boccaccio, opera simile, grane manuale di mitologia classica); da qui
si sarebbe sviluppata la riabilitazione dell’esperienza religiosa dell’umanità pre e non cristiana(Ficino,
Pico); Salutata era convinto che il pensatore cristiano deve farsi pio cercatore della perla teologica
nascosta nell’ostrica della poesia pagana; deve portare alla luce il nucleo veritiero sempiterno e
cristiano che giace sotto il velame delle sublimi incongruenze; forte attenzione ai simboli in cui gli
autori pagani nascondono le tracce di Dio e per questo il lettore moderno deve darne una lettura
scrupolosa. Opera che è il punto di snodo tra Medioevo e umanesimo: ha impianto medievale ma
stampo umanistico. Ercole impersonò il paradigma antropologico dello stoicismo cristiano da lui
professato, incentrato sull’oblazione immolativa di sé come essenza della vita morale. L’esistenza del
saggio non consiste nella conoscenza speculativa, condotta nella separazione della sfera dell’umanità
ordinaria che si mostra nel principio del disprezzo del mondo ma è la fatica di un lottatore che,
combattendo incessantemente per l’affermazione di un ideale universale va incontro alla perdita di
ciò che ha di più prezioso: la tranquillità, gli affetti, la sua vita; metafora del sacrificio di Cristo;
tuttavia non paragonò mai Ercole a Cristo, cosa che già avevano fatto altri; forse l’avrebbe inserito nel
finale mai realizzato ma il tema comunque non occupa il centro della trattazione; questo vuoto, dato
dall’impronta non teocentrica e non cristocentrica rivela la sua visuale antropocentrica che lo espose
a delle contraddizioni. Non l costruito con l’eloquenza umanistica ma secondo i canoni dell’esegesi
tardomedievale, risulta fredda e compassata e la struttura intricata è tediosa; specchio anche della
trasformazione culturale verso l’umanesimo appena cominciata; tuttavia la sua poca attrattiva del
lettore moderno indica quanto fosse necessario svecchiare lo stile e la lingua scolastica del Medioevo

Antifatalimo
Visto che non si concluso il testo è la dimostrazione di una fatica inutile, non ebbe circolazione fino al
XX sec; tuttavia la sua visuale etica di Salutati aveva già trovato articolazione nel trattato De fato et
fortuna; manifesto del suo volontario pugnace, scritto nel 1396 per un Monaco cistercense, venne
diffuso anche alla corte francese, come richiedeva la sua volontà di diffondere il “verbo”
dell’umanesimo ai più remoti sovrani laici; anche per questo il trattato ebbe notevole fortuna ai
tempi. Tecnicamente è un trattato de ordine causarum nel quale si ammette l’onnipotenza di Dio ma
non come necessitazione del tutto ma come fonte interagenti con la libera volontà individuale.
Salutati volle rispondere alle supposizioni di chi, davanti allo scoppio del tumulto a Perugia inferì che
la tendenza dei cittadini alla discordia civile potesse essere causata da una malefica congiunzione di
stelle e pianeti, mossi da Dio; Coluccio era convinto fosse l’uomo ha produrre a propria condizione di
assurdità quando si lasciava dominare dagli istinti belluini. La sua replica pervasa da stoicismo
cristiano fu categorica: tutto il male che l’uomo scatena con i suoi sbagli non è imputabile ad altri che
all’uomo stesso; a ricavare un bene finale della sequela degli atti sbagliati dell’uomo ci avrebbe
pensato la Provvidenza divina, presente nella storia per trarre il bene dal male ma non si sostituisce
alla libertà degli uomini i quali contribuiscono a determinare l’andamento dei fatti con la loro tensione
verso una finalità voluta; concorrendo a forgiare il loro destino individuale. Il disegno di dio si svolge
senza che nulla possa opporsi ma a livello individuale l’uomo l artefice e responsabile di una suo
propria traiettoria morale che può condurre alla salvezza o alla perdizione; gli uomini non sono in
balia di forse soprannaturali che cancellano il loro libero arbitrio, l’aiuto divino deve essere chiesto e
accettato ma senza che si sovrapponi alla libertà personale; invita i perugini ad abbandonare la
feritas per indossare l’humanitas ;libera scelta di conversione. Il trattato l uno scritto aperto, veicolate
posizioni non dogmatiche ma che possono essere riprese, venne composto in forma I diatriba,
rassegna ponderata di tutte le principali posizioni espresse dagli antichi e dai moderni intorno ad un
certo argomento(lo fece anche rasmo da Rotterdam quando dovette chiarire la propria posizione sul
problema della libertà umana, De libero arbitrio, come replica Lutero che aveva parlato del servo
arbitrio). La rivoluzione intellettuale dell’umanesimo segnò il passaggio dal teocentrismo al
l’antropocentrismo

Firenze culla dell’umanesimo


1375, nomina di Salutati a cancelliere a Firenze, data di inizio del radicamento dell’umanesimo; 1405
lo stesso Salutati si rivolse alla città definendola la casa degli studi umanistici e lui a capo di questo
movimento intellettuale che andò assumendo rilevanza pubblica dentro e fuori la città. Trovò così
espressione concreta quel senso urgente del bisogno di una rettifica dei modi correnti di pensare e
vivere la vita, che spinse Coluccio a farsi formatore di quella che si avviò a diventare la prima leva di
umanisti, sorta in un entourage di Firenze. 1379, rimpatrio di Luigi Marsili(1342-1394) che ebbe già
rapporti con Petrarca, a cui è legato il momento di massimo splendore del convento agostiniano di
Santo Spirito che ereditò poi i libri di Boccaccio, che divenne il luogo di ritrovo dell’élite fiorentina alla
ricerca di uno stile più convincente di vita cristiana; qui si poteva conversare tramite la disputa
teologica fino ad ora riservata ai soli insegnanti universitari; incontri che iniziarono solo alla sua morte
e che compresero anche Coluccio(elogio del teologo Lucio che Leonardo Bruni dei suoi Dialogi attribuì
a Salutati). La presenza stessa dei convegni di Santo Spirito erano testimonianza delle esigenze
intellettuali che stavano sorgendo nel laicato. La venuta di Marsili a Firenze avvenne in concomitanza
con l’inizio del Grande Scisma e fu determinata da un incidente accademico: si trovava a Parigi dove
stava finendo gli studi teologici ma commise l’errore di prendere posizione contro le mosse del papato
residente ad Avignone, in materia di politica temporale; in alcune lettere private esorta il destinatario
a difendere la libertà anche a costo di mettersi contro la Chiesa e di imparare a distinguere i veri
pastori da quelli falsi e si scagliò contro i vizi della corte di Avignone, condannando le scomuniche dl
papa per ragioni politiche; questo gli portò l’ostilità dei denti che non gli permisero di superare gli
esami per il dottorato; scrisse un lettera per Carlo V in cui denunciava il trattamento subito dagli
insegnanti; l’unica via d’uscita onorevole fu per lui il ritiro a Firenze dove venne acclamato come un
benemerito della patria; il ritorno ufficiale era quello di confutare l’averroismo(compito datogli anche
da Petrarca) che suonava come una spia di allarme per il distacco dell’élite del tempo dai canoni di
una devozione tradizionale che trovava scarso supporto in una Chiesa sempre meno in grado di
onorare i requisiti della sua missione salvifica a cominciare dall’unità e della mitezza caritatevole.
1374 ricevette la notizia della morte di un suo amico a cui tributò un omaggio dal contenuto non
lontano da quello riscontrato in quello di Boccaccio su Petrarca, sappiamo che Marsili non si rivelò
all’altezza dei compiti dategli da Petrarca; ma come uomo e religioso si meritò la stima degli
intellettuali umanisti; tuttavia non scrisse mai nulla, forse preferendo investire tutto nella pratica
colloquiale, predicatori a e liturgica; ci restano solo qualche lettera e i commenti a 2 canzoni di
Petrarca da cui si evince che il suo fervore di rinnovamento spirituale è intellettuale si muove con
quello degli umanisti anche se non raccolse l’invito d Petrarca a parificare gli ambiti delle litterae
sacrae e humanae ne lascio che le sollecitazioni provenienti dalla cultura umanista influenzarono i
metodi e il linguaggio della teologia. La cultura di Marsili resta legata al valore unico della Rivelazione
biblica e dell’assolutezza della tradizione ecclesiale che puntò a restaurare più che a innovare;
tuttavia era d’accordo sul fatto che il male peggiore per il suo tempo fosse la Chiesa spiritualmente
esangue, largitrice di cattivi esempi più che di buoni insegnamenti.

La voce delle humaniores litterae


Dopo la morte di Marsili, 1394, la sintonia tra l’avanguardia umanistica e la cultura di estrazione
ecclesiastica si incrinò; iniziarono i colpi di coda del tradizionalismo: tendenza, tipica della società
premoderna a collocare tutto il bene nel passato e a guardare con diffidenza le novità; se applicato
alla Chiesa indica un canone di verità che si assume nella fedeltà totalizzante a una Rivelazione divina
la quale, secondo le Scritture, da origine a una tradizione autoritativa che va accetta in blocco; tutto
ciò che la Chiesa insegna deve essere ritenuto assolutamente vero dal fedele, evitando prese di
posizione su incongruenze o contestazioni plateali. L’onere di chiarimento intorno alla presunta
incompatibilità tra umanesimo e fede ricadde su Salutati e venne condiviso con Leonardo Bruni che
avrebbe assunto la guida del movimento alla morte di Coluccio e avrebbe contribuito a portare a
nuove altezze l’ambiente cittadino che si stava popolano sempre più di nomi illustri nel
movimento(Matteo Palmieri, Giannozzo Manetti). Interessante è la lotta che Bruni sostenne per il
riconoscimento della legittimità dell’umanesimo in quanto fermento intellettuale volto a creare una
cultura cristiana improntata ad apertura dialogica e rispettosa dei diritti dell’umanità; classicista ma
in sintonia con i valori del Vangelo; non facile dato che l’umanesimo era intriso di antitadizionalismo;
tra l’altro era una-movimento nato al di fuori della classe ecclesiastica in un periodo in cui il clero
deteneva il controllo sulla cultura, la laicità tuttavia non voleva dire essere anti cristiani ma un risvolto
positivo del cristianesimo; tuttavia le tensioni tra clero e laicato si son sempre fatte sentire, dato che
non si sa bene di quale dei 2 era Gesù; per la prima volta nel 300, con i convegni del Santo Spirito e
con i precursori dell’umanesimo si ha un cristianesimo laico che si propose quale dispensatore di una
spiritualità pedagogica mente orientata, rivolta alla classe dirigenti della Repubblica fiorentina,
innescando un effetto collaterale di assoluta importanza, in quanto aprirono uno spazio nel quale
perseguire la secolarizzazione delle pratiche culturali; alla lunga avrebbe portato all’uscita da un tipo
di mentalità religiosa statica e autoreferenziale. Bruni giunse a Firenze da Arezzo nel 1392 per
compiere il ciclo superiori di studi, venne istituito nella retorica e nelle lettere da Giovanni Malpaghini
da Ravenna(1346-1417)umanista della 2° generazione; oltre a Bruni istruì Poggio Bracciolini, Carlo
Marsuppini, Ambrogio Traversari… 1397 allo studio fiorentino venne chiamato il bizantino Manuele
Crisolora a istanza di Salutati per ricevere in Italia una cattedra di lingua e Letteratura greca a cui
Bruni si iscrisse che lo portarono a riuscire a tradurre in breve tempo opere di Platone, Plutarco,
Demostene, Aristotele e Omero, si sarebbe lanciato anche nella stesura di brevi componimenti in
greco, il più importante sulla costituzione politica di Firenze. La conoscenza della lingua greca gli fu
utile quando si pose al fianco di Coluccio per stabilire la liceità degli studia humanitatis contro le
rampogne del tradizionalismo ecclesiastico; lo fece traducendo in latino dal greco l’epistola ai giovani
di San Basilio il Grande che da lì ebbe ampia circolazione; uno dei massimi autori della Patristica
greca ed è venerato anche come patriarca del monachesimo orientale: in questa epistola raccomanda
ai giovani novizi del su onesto di non trascurare l’educazione letteraria poiché la fede cristiana
richiede uno sforzo di comprensione dell’uomo che le lettere favoriscono in maniera incomparabile;
questo legittimò la fruizione degli autori pagani nel contesto di una pedagogia modernizzatrice che
non voleva escludere ma valorizzare quanto di meglio lo spirito umano aveva prodotto nella storia. La
traduzione venne dedicata a Salutati nella prefazione Bruno affermò che ha spingerlo era stata la
volontà di porre un freno alla maligna ottusità che spingeva alcuni a censurare il nuovo classicismo
umanistico fino al punto di voler eliminare il bagaglio della pedagogia cristiana; questo consentì a
Bruni di delineare una sua variante del programma educativo umanistico che definiamo apollinea; la
cultura umanistica doveva essere improntata all’armonizzazione dei diversi stralci veritativo del bene
e della bellezza; l’idea le sostanziale dell’honestum doveva convergere con quello formale del decus;
unità delle 2 vie pedagogiche aperte dall’umanesimo: storico-formale, atta a instillare nel discente la
squisitezza dei modi e del colloquio e filosofico-morale, volta a famigliarizzarlo con il senso del bene e
dell’onesto. Fu sensibile al lato estetico che in lui divenne norma di vita, la ricerca di un traguardo che
chiamò pulchritudo vivendi)bellezza esibita con il proprio comportamento)sia interiore che esteriore;
lo fece diffondendo la sensibilità dei valori classico-cristiana attraverso un esercizio di affinamento del
gusto, condotto in una scuola di buoni attori, il suo canone pedagogico restava ancorato alla
Rivelazione biblica a cui integrata l’esperienza storica dell’umanità ai suoi livelli più alti; i lineamenti
del suo programma educativo vennero sparsi in sedi diverse, comprese le sue epistole; una
ricapitolazione in un trattatello tra 1422 e 1426 intitolato De studia et litteris che venne dedicato a
Battista da Montefeltro, una donna a testimonianza del carattere aperto in esso contenuto.
Congedo dal medievalismo
Nascita di un movimento culturale
Il termine umanesimo non fu mai impiegato dai suoi protagonisti, viene attribuito nell’800 in
Germania da Voigt che nel 1856 Pubblica una trattazione sulla storia da metà 300 a metà 400 “il
ritorno in vita dell’antichità classica, ossia primo secolo dell’umanesimo” e tra il termine umanesimo
di dibattiti pedagogici del suo tempo dove si attesta al 1808; altri studi hanno attribuito il vocabolo al
contesto universitario tardomedievale. A Paul Oskar Kristeller VA Il merito di aver lumeggiato gli
aspetti socio-istituzionali della condizione della loro rivestita. L’humanista ai tempi r l’insegnante di
lingua e Letteratura latina e nella scala gerarchica aveva un ruolo abbastanza basso, in favore di
insegnanti di teologia; nl l’ordinamento universitario medievale la figura dell’humanista era pari a
quella dell’artista, insegnante alla facoltà delle Arti, preambolo per l’accesso ad altre facoltà dove si
imparavano discipline più avanzate(giurisprudenza e teologia). Questa gerarchia iniziò a venire
ribaltata con Petrarca con cui la rilevanza pedagogica passò alle humaniores litterae, considerate
portatrice di un messaggio rispondente al desiderio di nobilitazione morale dell’uomo e alle attese
della sa soggettività bisognosa di autoformazione; la teologia appariva sempre più vuota e priva di
appetibilità. Culmine nel 1369 con la composizione di una celebre epistola con cui Salutati mise a
fuoco il campo di pertinenza dell’umanesimo e introdusse per la prima volta il termine studia
humanitatis(Petrarca parlava di honesta studia)operando una differenziazione col campo di
pertinenza teologica, per cui attinse al De Divinatione di Cicerone dove si dice che la sfera del divino
rappresenta un oggetto di studio e di conoscenza separato dalla sfera dell’uomo; in altre occasioni lo
stesso aveva parlato di artes humanitatis o studia humanitatis a proposito delle discipline che ruotano
attorno al bisogno dell’uomo di far luce attorno all’enigma della propria natura. Distinzione che
riprese poi ancora nella lettera di replica al Dominici in cui sottolineò che i 2 campi del sapere non
andavano scissi ma tenuti comprensenti, senza entrambi non si avrebbe mai avuto una conoscenza in
toto in un campo; rivela la matrice cristiana della forma mentis dell’autore(riprende Petrarca, lettera a
Marsili). L’importanza degli studia humanitatis stava nel loro andare contro a una necessità specifica
della persona umana: quella di conoscersi realmente, quasi un bisogno fisiologico. Gli studia
humanitatis sono il più adeguato strumento formativo per l’uomo in quanto essere caratterizzato da
plasticità morale. Si alimentarono dell’apporto di quelle Arti liberali tenute in considerazione anche
nel Medioevo e che si suddividevano in Trivio e Quadrivio diminuendo il numero limitato solo a quelle
realmente formative per la conoscenza dell’individuo in formazione. La parola humanitas venne
legata da Petrarca&co. Per le competenze che nutrivano lo spirito: lingua e Letteratura latina, la
conoscenza della storia antica, lo studio dell’etica(grammatica, rhetorica, potica, historia, philosophia
moralis).
Scalata alla teologia
Salutati design gli studia humanitatis come studia sacra, attribuendogli una patina di venerabilità pari
a quella della teologia nel Medioevo. Questo permette di cogliere il rapporto competitivo che fin da
subito oppose i saperi umanistici con il loro taglio vibrante personalità e antropocentrica, alla teologia
medievale che venne rilegato a sapere muto, non pertinente all’uomo di mondo; agli occhi degli
umanisti il primato della teologia era un’usurpazione di una scienza astratta e impersonale che non
aveva molto da dire in merito alle concrete dinamiche formative della persona umana in cui più
proficue erano la filosofia, la letteratura e la storia che erano ridotte a discipline ancillari da una
teologia onnicomprensiva ma poco spendibile sul piano pedagogico; per alcun della materie umanisti
non era prevista nemmeno una cattedra; da cui il riscatto tra XIV e XV sec che le portò al vertice
partendo da un maggior peso di grammatica e retorica poi poesia, storia e filosofia. Il moralismo
concetto è spicciolo di cui sono imbevuto si prestò a diventar strumento per un’analisi della realtà
socio-religiosa che elesse a oggetto preferenziale gli aspetti comportamentali del cristianesimo per
come si presentavano all’occhio disincantato del letterato. Tra 400 e 500 gli umanisti manifestarono
la disposizione a trasformarsi in cultori di teologia, invadendo il campo dei teologi di professione che
per reazione si arroccarono in un’istituzione universitaria ormai in decadenza; da cui i personaggi
illustri dell’umanesimo cinquecentesco illustri teologica e grammatica come Erasmo da Rotterdam o
teologi dilettanti come Tommaso Moro e anche l’inizio della riforma protestante che fu opera almeno
in parte di umanisti insoddisfatti dal trattamento che la Chiesa e l’università riservavano al sapere
teologico. Primi sintomi della diatriba tra teologi tradizionalisti e umanisti si può vedere nel modo con
cui Salutati si oppose al tecnicismo autoreferenziale della teologia specialistica dei sui tempi;
giudicando inidonea al compito perché avulsa da una vera spendibilità sul piano parentetico e
pastorale; affermò che I teologi avrebbero dovuto riparare a parlare ; una volta tornata ad assolvere
alla propria funzione, che era quella di confortare le coscienze e incoraggiarle al operare, la teologia
sarebbe nuovamente in grado di contribuire ad avvicinare il mondo al messaggio del Vangelo, ciò si
accompagnò con un’esaltazione dell’umanesimo come vera teologia. Lorenzo Valla si fece carico di
dimostrare che gli studia humanitatis contengono un’intenzionalità teologica in quanto esplorazione
di una realtà umana pregna di interesse per l’esperienza religiosa e vocata alla libertà,
quest'intuizione negativa di un pensiero critico nei confronti delle degenerazioni intellettuali
istituzionali del cristianesimo coevo sarebbe poi stata sviluppata da Ficino e Pico che tornarono a
porre in relazione finitudine e infinito muovendosi secondo le coordinate di un’antropologia avente al
centro le nozioni di anima e intellectus, “teologia umanistica” veramente cattolica e rinascimentale.
Gli studia humanitats come saperi autoriflessi dell’uomo sull’uomo avevano portato alla luce una
fondamentale verità: il senso religioso è strutturalmente insito nell’uomo e può essere considerato
come lo stadio incoativo della rivelazione, che il cristianesimo vede compiutasi in Cristo ma che è
iniziata con l’esistenza stessa dell’umanità. L discipline umanistiche con la loro capacità di
scandagliare e rappresentare la personalità umana permettono alla teologia di comunicare la verità di
fede in una forma adeguata alle attese di un uditorio avido di autoconsapevolezza; solo gli studia
humanitatis potevano aiutare la teologia di quei tempi. Esempio perfetto di connubio tra studia
humanitatis e divinitatis è quello di Erasmo da Rotterdam che dedicò la sa vita alla filologia e
all’esegesi biblica praticata nel contesto del culto umanistico. Entrambi i campi si fonda vano sul
desiderio di sapere che è connaturato alla persona umana anche se articolato in una duplice
direzione: le Sacre litterae, disciplina teocentrica, si fonda sul l’impulso ad adorare Dio creatore
riconoscerlo misteriosamente presente nella realtà del mondo; le humanae litterae, disciplina
antropocentrica, si fonda sul desiderio di esplorare l’uomo in quanto soggettività cosciente e in
quanto membro di un genere umano che è oggetto di meraviglia a sé stesso; dalla simbiosi delle 2
sarebbe sorta quella disposizione religiosa peculiare dell’umanesimo cristiano, il docta pietas, un
intrecciò di fede e di autocomprensione dove l’una non sta senza l’altra. Questa intromissione
umanista nella religiosità non piacque agli individui più tradizionalisti: 1518, Tommaso Moro scrisse
una lettera ai maestri della facoltà teologica di Oxford con i quali era entrato in contrasto a causa
della loro decisone di non seguire i colleghi di Cambridge nell’approvare l’istituzione di un
insegnamento di lingua e Letteratura greca che avrebbe aiutato ad una maggiore comprensione del
testo biblico; I maestri di Oxford si definirono troiani sotto assedio dagli achei invasori che erano i
fautori degli studia humanitatis.
Declino dell’organicismo comunitario
Jacob Burckhardt(1818-11897) uno dei più grandi intellettuali dell’800. Spinto da l desiderio di
recuperare una luminosa componente della civiltà occidentale che stava per essere soffocata dalla
società di massa, interrogo il passato di una terra da lui amata e compose un saggio interpretativo La
civiltà del rinascimento in Italia, 1860: trattazione vasta e articolata, secondo cap. “lo sviluppo
dell’individuo” viene messa a fuoco la tematica della creatività personale come motore della
rivoluzione intellettuale dell’umanesimo. Fin da Petrarca l’umanesimo nacque come elaborazione di
un’esperienza di scissione, intesa come distanziamento dell’individuo rispetto alla mentalità
dominante in una società fatta oggetto di giudizio; sentimento che il Medioevo Cristiano non conobbe
o non tematizzò. Tipico del medioevo era l’organicismo comunitario, sentimento totalizzante di
subalternità dell’individuo a un gruppo di appartenenza ideale e reale allo stesso tempo nel quale
ciascuno rientrava per via di fattori estrinseca e che andavano a formare la sua identità naturale; il
termine che indicava il raggruppamento di una collettività accomunato da una certa caratteristica era
universitas. La solitudine umanistica nacque quando l’individuo autoriflettente si percepì come
disgiunto da un gregge della cui essenza razionale aveva cominciato a dubitare; in una condizione di
vuoto l’Io umanistico è portato a sentire come vertiginosa la propria finitudine e come caotico quel
mondo che esige di essere dominato con le risorse dello spirito, per diventare causa di glorificazione e
non di asservimento. Già in Petrarca notiamo i sintomi di inappartenenza spirituale del singolo
rispetto a un’epoca percepita come sconvolta dai disvalori, il ci fulcro era una Chiesa in cui non ci si
ravvisava più un’istituzione catalizzarice di una speranza utile all’Io. L’Io umanistico sorse da un moto
di distacco dal patrimonio rassicurativo ancestrale che venne sottoposto a critica, come tutti gli altri
settori dell’esperienza. L’umanesimo può essere visto come segnale del tra mondo della visione
olistica secondo la quale è tutto e infinitamente maggiore della somma delle parti in cui si compone e
che trascende; momento preparatorio dell’ingresso nella prospettiva soggettivista moderna. La
transizione è stata considerata nella formula “dalla comunità all’individuo” titolo dei saggi di Jhon
Bossy. Gli umanisti vedevano nella Chiesa e nel mondo accademico una preclusione alla
comprensione individuale, in nome della spersonalizzazione dell’atto conoscitivo, come frustrazione
del desiderio di sapere che anima la mente di ogni essere umano, preso nella sua singolarità. Da cui
L’avversione alla Scolastica come atteggiamento costitutivo dellacultura umanistica fin dai suoi
primordi nonché come spia di un nuovo modo di n tendere la filosofia come indagine individuale.
Emancipazione della soggettività da ogni codice interpretativo di ordine sovraindividuale. La relione in
quanto tale non fu il bersaglio e nemmeno la teologia ma lo fu il Medioevo come forma di civiltà, gli
umanisti provavano repulsione verso la “teologia speculativa”, cattedrale di cognizioni che gli ordini
religiosi erano andati costruendo come munumento pedagogico in grado di condurre il soggetto alla
beatitudine attraverso un’adesione aprì ostica ai dogmi della Chiesa come entità anteriore e superiore
ai drammi della ragione individuale.
Contraccolpi morali del Grande Scisma
L’atto intellettuale di ossequio al magistero ecclesiastico presupponeva un meccanismo di
identificazione dell’Io nel mistero salvifico della Chiesa, cosa che tra 300 e 400 vacillò; Chiffoleau
parlò di una società orfana delle antiche certezze che portò alla nascita del sentimento di
individualità, priva di radici la società deltempo si trovò a poter fare affidamento solo su se stessa ai
fini della determinazione del proprio destino. Tale complesso di sentimenti rispecchia le incognite
angoscianti ma anche le straordinarie possibilità autoaffermativa, insite in un quadro storico che vide
la vittoria del principio della mobilità sociale. Da secoli l’economia della salvezza lasciava un ampio
ruolo progonistico alla Chiesa-comunità, chiamata a farsi carico delle insufficienze dell’individuo tanto
sul piano morale quanto su quello intellettuale, come la fides implicita; non eranecessario che il
fedele conoscesse ee professasse tutta la dottrina ma bastava un’adesione di massima con il
battesimo per manifestare il proprio assenso al depositum fidei amministrato dalla gerarchia che nei
suoi dettagli veniva conosciuto solo dai teologi. Adesione alla Chiesa quasi condizione anagrafica,
naturale e involontaria, non scelta dall’individuo; sesso l’adesione del credente andava più
all’istituzione ecclesiastica che a Cristo come salvatore; in tutto questo la Chiesa-comunità veniva
percepita come un bene, soprattutto per le ricadute salvifiche che comportava; laddove il singolo con
le sue miserie appariva inadeguato a conquistare la felicità ultraterrena viriusciva la comunità nella
quale in singolo era incorporato. Il concetto di fides implicita si applicava soprattutto ai ceti più bassi
che si basava sul principio di autorità che era il cadin del sistema di pensiero della Chiesa medievale.
Sul piano esistenziale la Chiesa-comunità interveniva a soccorso del problematico destino
oltremondano di ciascuno dei suoi membri, mettendo a disposizione una serie di confronti(come
buone opere per il rimedio animae)mediante le quali il soggetto conseguita il riscatto della
dannazione e la certezza della beatitudine finale; il tarlo spirituale era di superficialità approssimativa
del singolo credente nei confronti della propria fede e un diffuso conformismo nel seguire le pratiche
prestabilite: mentalità ritualistic a che i riformatori del 500 avrebbero definito ipocrita e giudaica. Già i
predicatori, prima degli umanisti avevano denunciato i mali che affliggevano la societas Christiana
che tentarono un’inversione delle tendenze collettive partendo da un approccio rigorista e
penitenziale; torpore del popolo cristiano pronto a iterare senza fine le cerimonie e le convenzioni ma
poco disposto a cambiare le proprie abitudini antivangeliche. Il crollo del complesso dispositivo di
incentivi è garanzie della chiesa medievale fu accelerato dal Grande Scisma d’Occidente tra 1378 e
1417 in cui l’autorità papale venne fatta a pezzi; periodo in cui la cristianità resta senza una direzione
unitaria che portarono alla divisione in 2 poi 3 obbedienza; si risolse anche in un impulso
all’emancipazione intellettuale del laicato: mentre la maestà spirituale della Chiesa come istituzione
salvifica guidata dalla Provvidenza subì un grave colpo, tra i ceti colti del continente si diffuse la
tendenza a giudicare i fatti, fidandosi più del senso comune individuale che degli ammaestramenti
ecclesiastici. Allora il processo di alfabetizzazione è acculturamento stava toccando alti livelli e si
iniziava a vedere la Chiesa come istituzione uguale alle altre; tramontano i presupposti della
ierocrazia medievale. Con lo scisma la Chiesa ebbe una crisi di credibilità e ciò fece emergere i tratti
dell’irriverenza religiosa, dell’antiprovvidezialismo e la satira sul malcostume del clero. Ai pari dei
riformatori-predicatori gli umanisti auspicava no ad una riforma che però non partisse dalla collettività
ma dall’individuo singolo come soggetto sovrano. La battaglia per la salvezza dell’anima non risultò
più appiattita sull’unica finalità della salvezza umana ma venne calata nello sforzo per l riuscita
dell’uomo concreto. La tendenza soggettivista dell’umanesimo non era antireligiosa ma comportava
solo una diversa posizione dell’Io rispetto alla religone. Tramontò la concezione molecolare
dell’individuo tipica del medioevo e cadde la telcologia, come propensione all’inquadramento
ermeneutico degli avvenimento storico-sociali secondo le linee di un disegno voluto da Dio ad eterno.
Toccò al singolo l’onere di dimostrare con la propria vita l’esistenza nella storia umana della fede
come principio trasformatore. Calo di interesse per l’agiografia ossia il racconto e la memoria delle
vite dei santi; il genere letterario continuo ad avere fortuna ma la sua fruizione in chiave pedagogica
divenne sempre più problematica; non più apprezzate nell’oro registro narrativo, imperniato sul
prodigioso e sul miracolistico in favore dei racconti biografici ben confezionati secondo i dettami della
retorica, descriverti le gesta di eroi e personaggi magnanimi dell’antichità, anche profana. Più
accentuata richiesta di verosimiglianza. Il potere di conforto dei riti e degli oggetti sacri restava
fortissimo, attasse anche uno spirito scettico e irriverente com Poggio Bracciolini che fu committente
di uno splendido reliquiario di scuola donatellesca oggi esposto al Metropolitan, pezzo più prezioso
dell’arredo di Bracciolini per un oratorio fondato nella natio borgo di Terranova Valdarno, atto
devozionale non per preparare la sepoltura(che avvenne a Firenze) ma pr sottolineare il legame con
la comunità d’origine.
La battaglia antiscolastica
Gli umanisti delle prime generazioni avevano una forte ostilità contro la teologia scolastica in quanto
monumento di ottusità e di presunzione con un discorso astratto e formale sulle più brucianti
questioni della vita umana. Alla Scolastica che aveva assegnato alla dialettica una rulo rilevante in
quanto scienza dell’argomentazione disputatoria, contrapposero la retorica non altrettanto rigorosa
ma molto più adatta a rendere il drammatico dinamismo della condizione umana soprattutto sotto il
profilo della libertà morale individuale. Il ripudio della Scolastica partì dalla sua forma,prima che della
sostanza, del suo discorso scientifico; riproveravano l’ineleganza del latino imbarbarito,pieno zeppo di
tecnicismi gergali; la supina ammirazione per Aristotele che li rendeva schiavi di un’aprioristica
dipendenza del principio di autorità; la resunzione autoreferenziale, tipica dei membri di una cerchia
esclusivista che al suo interno risultava frammentata in correnti di pensiero antagoniste e inclini al
settarismo. L’eccesso di raziocinio portava gli specialisti del pensiero a non volare verso il cielo
dell’elevazione spirituale e della dilatazione del’animo ma a impelegrarsi nella frenesia degli alterchi e
dei cavilli. Il panlogismo, stile didattico dell’ambiente accademico tardomedievale, venne osteggiato
dalla coscienza umanistica perché percepito come sordo alle rifrazione emozionali e volontaristiche,
dunque etiche, della conoscenza; condanna all’esoterismo di un linguaggio atto a delimitare il recinto
comunicativo; Avversione che toccò il culmine verso la logica termini sta ce aveva colonizzato le
facoltà universitarie dal XIV sec. Petrarca nelle Invettive e nel De ignorantia emana losdegno verso i
professori smaniosi di mettere le branche al mondo, ma incapaci di vivere in coerenza con i più
elementari dettati della conoscenza. Salutati e Bruni non risparmiano le frecciate alla foga cervelloica
con cui la logica è la dialettica venivano praticate nell’ambiente universitario dei loro tempi. Lo stylus
Parisiensi, modo enumeration e classificatori di organizaae un discorso, venne ricoperto di scherno ch
tradiva la volontà di liquidare il mito medievale di una Parigi parents scientiarum. La parola per gli
umanisti doveva svolgere una funzione pecacogica, doveva mettere in moto l’amore per la
conoscenza, rimproverano agli scolastici la dimenticanza della funzione conativa del linguaggio, la
sua natura di stimolo al fare e al cambiare se stessi e il mondo; la rivoluzione intellettuale
dell’umanesimo si potrebbe considerare nella Riscoperta della carica Performativi insita nel
paradigma linguistico del latino classico. Con i valori etico-civili il latino di Cicerone, Livio e Seneca
venne preferito al paradigma della logica e della dialettica di Aristotele in quanto repertorio
comunicativo più adatto a un’utilizzazione di tipo nuovo. La realtà era diversa da comela
presentavano gi umanisti; il mondo universitario di XIV-XV sec offì notevoli esempi di eccellenza in
svariati settori del sapere: il giudizio di sterilità della cultura accademica era sommario e ingiusto. Il
fine era però quello di far sentire gli umanisti liberi di volta pagina rispetto ai dogmi del passato,
rivoluzionario proprio nel demolire sia il buono che il cattivo del passato; e non sempre partorì novità
all’altezza delle cose che aveano demolito. Il primo umanesimo stette alla larga dal pensiero
speculativo, preferendo concentrarsi su una considerazione fattuale e pragmatica del fenomeno
umano; rifuggirono dallo scrutare il macrocosmo e preferirono indagare il microcosmo, la figura
umana in tutta la sua sfuggente ambivalenza. Abbandono del modus scholastico di organizzare il
discorso, incentrato sulla conoscenza delle cose e della proprietà delle parole per tornare al modus
oratorius della tradizione antica greco-romana, incentrato sulla conoscenza di sé condivisa dall’oratoe
col suo pubblico. Nel Medioevo universitario prevale va una cultura di impronta speculativa, volta a
comprendere la realtà in tutte le sue parti e a delucidare le strutture conoscitive che rendono
pensabile l’essere ma la società laica delle corti e delle città era più interessata alla problematica
morale afferente al mondo della politica e degli scambi che gli umanisti seppero elaborare in chiave
retorica. Passaggio da aetas aristoteliana a aetas ciceroniana dicui venne assorbita la nozione di
cultura che aveva l’obiettivo della conoscenza non della realtà universale ma dell’uomo. Uomo visto
come coscienza individuale ma anche come membro di una comunità civile regolata da norme.
Elemento connettivo dei saperi visto nel l’eloquenza o retorica intesa come abilità nel comunicare. La
cultura del Medioevo era riuscita a costruire un universo risalente a Dio come causa prima, come
motore e signore del mondo; modello teocentrico della realtà diretto a compenetrare eternità e
contingenza secondo i principi di una scienza esatta; con l’umanesimo quest’approccio perse valore in
favore dell'attenzione per la mente dell’uomo in quanto soggetto protagonista di azioni morali,
approccio antropocentrico; rimase viva la dipendenza dell’uomo Dio.
Il culto della retorica
Umanesimo come movimento della rinascita dell’arte della parola nel senso ciceroniano e
quintilianeo, dovuto anche al ritrovamento delle Istitutiones oratorie di Quintiliano del 1416 da Poggio
Bracciolini a San Gallo; Valla metterà la retorica sopra la filosofia e nominerà Quintiliano suprema
guida intelettuale. Attenzione alla parla come epifania dello spirito umano, a cui si accompagna lo
studio della teoria della comunicazione attraverso l’imitazione scritta. Ricerca di un discorso forbito,
modellato sul canone antico, antitesi all’aridita dell’eloquio scolastico, condannato come espressione
di un sapere spersonalizzato, privo di attenzione alla dimensione inters oggettiva della
comunicazione. L’umanismo boccio qualsiasi astratto schematismo che risultasse indigesto a una
mente umana che necessitava di essere sollecitata e guidata alla comprensione. Tecniche retoriche
più usate: argomentazione probabile e la persuasione soggette a intensiva rivisitazione; principio
secondo il quale nella persona ben formata la perizia del dire doveva essere unita con la conoscenza
pratica del bene, e l’una non oteva darsi senza l’altra. L’elaborazione formale era dovuto al fatto che
spesso gli umanisti ricoprivano incarichi come cancellieri o segretari o diplomatici che richiedevano
già di per sé un particolare stile di esposizione e di scrittura. I componenti umanistici venivano spesso
letti in pubblico non erano componenti giudiziari o deliberativi tipici dell’antichità della pratica forense
ma generi del discorso argomentativo o epidattico; possedeva una natura bidirezionale: può innalzare
un certo soggetto mediante la lode o condannarlo ricoprendo di biasimo; numerose erano le occasioni
che richiedevano simili discorsi(elezioni-nomine-guerre..)anche se il tipo principalmente utilizzato era
quello encomiastico; la retorica classicista divenne uno strumento versatile per la messa a punto di
solenni arringhe, spendibili nei momenti chiave della vita collettiva; non solo epistole e libelli ma
anche orazioni funebri, di benvenuto, di augurio.; in ogni circostanza in cui un individuo o un gruppo
fossero tenuti a relazionarsi con un’autorità, l’armamentario stilistico dell’umanesimo rappresentava
un atout ottimale; anche le prediche dei frati(Roberto Caracciolo da Lecce-Mariano da Genazzano.
L’interesse umanistico per l’arte della parola manifestò un policroma varietà si espressioni che
conduce alla redazione di commenti agli scrittori teorici classici(Aristotele-Cicerone-Quintiliano)e
diede via alla composizione di manuali didattici e di trattati su questioni particolari, com limitazione
dei modelli antichi o l’uso delle figure retoriche; si inizia a curare la raccolta dei propri scritti, come le
lettere edite anche per divenire modelli stilistici. In uno scritto di Leonardo Bruni questo spiega che
per essere in grado di pare uso di ciò che conosciamo dobbiamo aggiungere alle nostre conoscenze il
potere dell’espressione. La maestria nella forma stilistica se non è accompagnata da ampie
competenze di ordine fattuale e veritativo è una magra risorsa. L’attenzione dell’umanesimo alla
retorica è un fenomeno assai complesso e studiato che ha offerto diversi spunti esegetici:Ernesto
Grassi disse che il passaggio dal Medioevo all’umanesimo ebbe luogo quando fu abbandonato il
paradigma linguistico a sfondo ontologico, disadorno e impersonale nel suo riferimento alla realtà
oggettiva come Essere e ne venne adottato uno di carattere tropologico, attento alle riverberazioni
del discorso sulla soggettività del lettore o ascoltatore. Retorica di marca classicista, elegante ed
efficace orientata alle risonanze ascensionale che la parola produce nel vissuto dell’uditore; passaggio
da homo a vir articolato nella ricerca di un discorso chiaro, sensato e ammirevole finalizzato
all’acquisizione della sapienza come condizione di un progresso morale. Bruni può essere adottato
come campione di un progetto volto a rivitalizzare il nesso tra etica, politica ed eloquenza come si
evince dai suoi scritti che ebbero molta fortuna in cui sldo il programma di rinnovamento in senso
classicista dei canoni formali della comunicazione con l’elaborazione del paradigma di una città
ideale, retta da un ceto dirigente illuminato, composto da cittadini dotti, virtuosi e autoconsapevoli.
L’uso della scolastica ella filosofia di Aristotele mise in ombra il desiderio di questo che aveva messo a
punto tali discipline come strumento ottimale per aiutare i filosofi a pensare in proprio, dissipando i
paralogismi dei sofisti;gli umanisti vollero liquidare la dialettica aristotelica per far largo alla retorica
vista come cura di un’espressione stilistica iu adeguata a contenuti moralmente rilevanti. Per bollare
come insulsa la dialettica degli scolastici gli umanisti la paragonarono alla verbosità avvocatesca dei
sofisti dell’antica Grecia, in contrapposizione dei quali era nata la filosofia con Socrate intesa
comeriforma del pensiero e della parola. I moderni sofisti, gli scolastici, non operavano avvalendosi
della armi della retoica, come i sofisti antichi ma con quelli della dialettica aristotelica; i nuovi filosofi,
gli umanisti, ricorrevano alla retorica per combattere la dialettica, giudicando la prima una disciplina
feconda e creativa, la seconda arida e ripetitiva. Il rilancio della retorica doveva servire per stimolare
l’originalità personale e la vivacità mentale ma ben presto il culto umanistico della comunicazione
elegante si rattrappì e cadde nel formalismo più vieto; Pico, nel 2° 400 dovette difendere i diritti della
verità contro il tirannico formalismo dell’umanesimo del tempo che postulava una scrupolosa
elaborazione stilistica classicheggiante perqualsiasi testo e non degnava di uno sguardo I testi non
formalmente e stilisticamente perfetti.
L’ammirato prototipo: Cicerone
L’entusiasmo degli umanisti per la retorica classica è nata dalla convinzione di aver trovato in essa la
chiave per l’laborazione di un sapere di nuovo tipo cossripondente alle loro aspirazioni: sapere
tionfativo, capace di cambiare il modno partendo dalla disposizione psicologica che assume ci parla e
chi ascolta. Gli umanisti sfuggivano alle astrazioni, prediligevano il riscontro dei loro paradigmi ideali
nelle tangibili forme di un’esistenza individuale che li traducesse in concreta testimonianza: discorso
più vissuto che detto. Cicerone, prototipo dell’uomo compiuto, ideale assoluto di letteratura come
sintesi di arte retorica e si sapienza morale obiettivo del loro ricercato; idolatria che li sponse a non
vederli difetti come l’arrivismo, l’egotismo,la vanità per vedere in lui solo il genio. Cicerone fu
principalmente un uomo pubblico che si pose critico verso la società dei suoi tempi; la giudicava
corrotta ma credeva nella funzione redentiva dei saperi, soprattutto dell’eloquenza unità alla
riflessione etica; promotore della ricezione della filosofia greca di cui valorizza l’afflato universalità e
che latinizzò privandola dell componente metafisico-speculativa. Padre dell’eclettismo filosofico
introdusse a Roma molti temi delle scuole greche che armonizza nel segno di quello scetticismo
accademico di cui si professò seguace; dsintesi elementare della filosofia proposta ai romani
comesemplice metodo per addivenire a un corretto processo deliberativo in sede politica e morale. La
vena antidogmatica gli permise di assorbire con la massima libertà il germe socratico della civiltà
greca ceh trapianto nell’otium, la consuetudine di ricavarci del tempo libero da dedicare ad attività
non strumentali; maturò l'idea che la filosofia, intesa come ricerca personale del Sommo bene,
offrisse una conoscenza utile a condurre una vita buona e lieta all’insegna dell’autorealizzazione;
congiuse indissolubilmente la filosofia e l’eloquenza perché una parlata chiara ed elegante è segno di
una mente inclinata al bene; l’unità del peisneiro e dell’azione è quello che di lui venne più ammirato
dagli umanisti insieme a sue molte riflessioni sulla retorica; già apprezzato nel Medioevo come
insegnante del buon latino, venne dagli umanisti apprezzato come maestro di eloquenza per la
formazione di individui orientati a dare il proprio contributo alla comunità di appartenenza nella
rispettosa conoscenza delle leggi morali che la fondano, specialmente nel De legibus, dove definisce il
profilo del buon oratore che vorrebbe vedere come educatore e ammiratore della propria comunità
politica e che ritrae come una persona proba, incline al bene comune; la competenza base è il saper
parlare per poter trasmettere in modo efficace e persuasivo il sistema di regole per vivere bene,
necessario perché la civiltà non subisca un decadenza. L’Io umanistico si andava a identificare con
l’orator ciceroniano “funzionario dell’umanità”. Sia l’intellettuale-educatore medievale che quello
umanistico avevano la propria missione al servizio dell’edificazione della comunità ce per il primo è la
Chiesa, per il secondo lo Stato. Bruni, in Cicero novus, tra 1412-1415 stende una biografia di
Cicerone, manifesto della vita activa ebbe grande successo; volle illustrate i fatti memorabilia quali si
evince l grandezza d’animo dell’autore insieme ai suoi eccelsi meriti culturali di padre e principe delle
lettere;scolpisce l’immagine di Cicerone filantropo, uomo portato per natura a beneficiare i propri
simili che non perse mai occasione a costo della vita, di difendere i capsiladi di un’ordinata
convivenza come la libertà della patria, la pubblica onestà, l’integrità delle istituzioni difronte a
pulsioni tiranniche; mise in luce anche la sua funzione di educatore civile, divulgatore delle dottrine
filosofiche greche, da lui tradotte in latino; oratoria come supremo compimento dell’uomo nobile
attraverso ‘esaltazione della figura del l’oratore come persona completamente edita al bene comune.
Ammirato come modello di un’umanità piena, di una saggezza capace di conciliare otium e negotium,
di un’eleganza morale percepibile nel decoro e nella misura ai quali egli conformò la sua esistenza.
Grandezza che non era riconoscibile dagli umanisti in figure cristiane medevali. Cicerone apprezzato
anche da Martin Lutero, che lo ritenne come filosofo superiore ad Aristotele, che seppe parlare anche
di argomenti religiosi trovando gli accenti giusti e mostrando na genuina pietà che gli permise di
scandagliare I misteri più profondi come Dio e l’anima, pur tenendosi sempre ben distante da un
apprezzamento dell’umanesimo.
Un manifesto: I Dialogi ad Petrum Histrum di Leonardo Bruni
Dialogi ad Petrum Histum, manifesto più rappresentativo della nascente cultura umanistica;vogliono
essere una prognosi intorno allo stato delle cose nella civiltà del tempo presente; monumento I storia
e critica della cultura che presenta l’umanesimo nei termini di un processo di acculturazione aperto
quando Petrarca aveva risvegliato i grandi valori morali e retorica della civiltà classico-cristiana dal
letargo in cui erano caduti nel Medioevo. Dovrebbero riprodurre una conversazione Ra dotti che ebbe
luogo tra Pasqua e Pasquetta del 1401 e vide la partecipazione di: Salutati, Nicolò Niccoli, Roberto
de’Rossi e lo stesso Bruni che fu raggiunto dalla richiesta di un illustre corrispondente, Pier Paolo
Vergerio(1370-1444)che lo pregò di dargli un ragguaglio di quel colloquio di cui gli era giunta voce;
ricalco con i capolavori ciceroniani: Tusculanae Disputationes e De oratore. La struttura del
compimento si richiama alla tipologia del dibattito pro e contro adottato nelle Tusculanae in cui viene
elogiata la figura di ocrate cme padre fondatore di una saggezza a misura uomo; di derivazione
ciceronianana ache la cornice storica del dialogo, ambientato in un momento di sospensione degli
impegni quitidiani. Disputatio, lodata come mezzo per progredire intellettualmente attraverso il
contatto onle idee altrui, idea avanzata da Salutati nel suo discorso che prende mossa da un riproverò
ai suoi amici e discepoli che spendono la maggior parte del proprio tempo nello studio individuale e
trascurano l’esercitazione della messa a confronto con gli altri di ciò che hanno imparato; discutere di
tutto senza remore, invito preso subito da Niccoli che replica che se tra le nuove generazioni l’arte
della conversazione è negletta, la colpa è dei tempi; la discussione è bella ma impossibile allo stato
attuale delle cose; all’università predomina un modello di Disputatio che è quella della Scolastica non
finalizzato alla i cerca in comune della verità ma solo all’esibizione di abilità e sottigliezze da parte del
disputate contro i suoi avversari, prevale lo spirito di contesa a quello di condivisione del sapere; tra
l’alto l’espressione è dura, sgradevole, dissonante, capace di offendere e stancare l’orecchio; tutto in
linea con la decadenza che già stava svendo l’intero apparato eduativo-moralistico-culturale del
tempo. La cultura deltempo non offre alcun sostegno ai cultori delle lettere e dell’nesta sapienza,
scarseggiano le buone letture, non si può scrivere né parlare un buon latino.la scena del presente è
dominata da cattivi maestri e da pessimi libri che anziché insegnare l’arte di una garbata
conversazione, incentrata su grandi valori etico-civili, addestrato i discendenti a prevalere nel vuoto
assemblaggio di ragionamenti astratti e cavillosi, inutili alla crescita morale del soggetto. Chiara è fin
da subito l’inimicia alla Scolastica indicatore del degrado culturale in atto che però non indica
L’avversione alla disputation che Bruni vorrebbe riportare allo splendore antico. Il dibattito continua
con la presa di posizione in 2 scheramenti: Rossi e Niccoli nel gruppo dei nostalgici non solo per la
cultura ma anche per il modo di vivere degli atichi, purismo intransigente in tutti i particolari che
vrebbero dovuto cancellare i secoli del Medioevo e gi scritti in volgare anche degli autori illustri come
Dante o il Petrarca lirico e solo dopo aver cancellato queste “operette”si sarebbe potuto tornare a
comporre grandi componimenti scritti in latino classico, solo così l’antichità si sarebbe potuta
considerare rediviva e il tempo presente avrebbe di nuovo toccato un apprezzabile livello di civiltà; a
questi Bruni e Salutati si oppongono con un approccio meno estremista e più rispettoso di tutta
l’esperienza storico-culturale maturata da un Medioevo che anch’essi desideravano lasciarsi alle
spalle ma che non volevano ingiustamente rimuovere in nome di un avanguardismo massimalista; le
pecche e le cadute del Medioevo erano ben presenti ed erano fonte di insofferenza verso le rozzezza
e i solecismi del latino moderno ne perdonavano il pensiero tardomedievale della degenerazione in
quella ventosità dialettica che rappresentava l’aspetto più grottesco della teologia scolastica, tuttavia
questo sarebbe potuto essere superato con lo sforzo degli intellettuali e un ritorno alle gloriose
epoche antiche, la perdita di buoni libri l innegabile ma non è tale da precludere la ricezione
dell’eredità intellettuale dei loro autori; vi sono le opere di Cicerone e Seneca ad insegnare tutto ciò
che occorre per diventare saggio; il bisogno di voltare pagina non doveva cancellare opere come la
Divina commedia, i Trionfi o le Rime solo perché scritti in volgare; occorre dare giustizia alla verità e
riconoscere che Aristotele era un grande filosofo e non è colpa sua se è stato mal interpretato dai
sofisti tardomedievali che lo rendevano indigesto agli umansiti. Forte fiducia di Bruni di una rinascita
intellettuale del suo tempo capace di produrre grandi opere d’ingegno paragonabili a quelle degli
antichi; orgoglio per i successi del presente come per la ripresa dello studio del greco e del suo
patrimonio intellettuale della centralita di questa rinascita in Firenze, che racchiude i germi di un
passato che non è affatto morto ma che sta incominciando a rifiorire e si sta preparando a una
gloriosa rinascita artistica e letteraria, nuova Atene. La nuova cultura era fondata sul culto
ammirativo dei classici ma non intendeva essere Archeologia o idoleggiamento ossessivo delle glorie
antiche;l’umanesimo guardava al futuro traendo dal passato la linfa con cui alimentare una speranza
che scarseggia nel presente; riapertura di un cammino di acculturazione attraverso il ricollegamento
tra passato e presente. Compiacimento con cui Bruni enumera quelli che hai suoi occhi appaiono
come gli indicatori del grado di civiltà raggiunto da una certa epoca che sono le lettere e le arti indice
del fatto che la storia non si è bloccata ma si sta muovendo, non tutto è perduto e molto può essere
recuperato. Attesa di un’imminente ripresa della civiltà,ottimismo giustificato se si collega
all’impegno dettato dalla consapevolezza di vivere in un momento storico decisivo, nel rispeeett di
Salutati e Bruni verso la manifestazione di altezza dell’ingegno umano ovunque sia dato reperirlo è da
ravvisare la genuina scintilla dell’ideale universalistico della sapienza umanistica
L’attitudine dialogica
Introduzione dell’opera di Salutati che elogia la Disputatio come salute dell’intelligenza che si ravvisa
dall’incontro con opinioni diverse, preferenza per il modello ciceroniano inno ad una rispettosa
moderazione come cardine ei rapporti interpersonali. L’umanesimo maturò la sua predilezione per la
tipologia del dialogo sull’oda della ricerca di una situazione cognitiva ottimale per una mente sottratta
al furoredelle opinioni non meno che alle ipoteche del tradizionalismo e del principio di autorità;
dialogo, genere letterario che meglio si prestava a veicolare tale preoccupazione formativa. Il dialogo
umanistico venne percepito come ripresa ella tipologia antica dell’analisi degli elementi costitutivi di
una certa dottrina portata a perfezione dalla Tusculanae ma a differenza i Dialogi non sono concepiti
come cornice per la presentazione di posizioni diverse ma embraa prevalere una tensione verso la
conciliazione dei pareri nella chiusura finale che manca nell’archetipo antico; decrie una traiettoria di
superamento del l’iniziale incompatibilità fra posizioni ideali che si riflettono nelle asperità della
fisionomia morale di ciascun dialogante; I portatori delle idee più oltranziste sono anche quelli che
devono vincere la propria intrattabilità di carattere e scendere a un ammorbidimento; ruolo chiave
della dimensione narrativa del componimento che tende a ricreare un clima di rispettosa, a tratti
condifenziale urbanità. Di tanto in tanto l’autore infila un dettaglio che riconduce il lettore a
identificare come propri simili i partecipanti(mangiare,bere,sorrisi d’intesa..)l’incontro-scontro tra le
diverse personalità si presenta raffinatamente giocoso e prevede continue provocazioni e virate
cherendono impossibile bloccare il flusso del discorso; richiami continui alla situazione concreta di chi
si trova a parlare o ad ascoltare; le loro persone oltrepassano le idee che sostengono e che queste
potrebbero mutare, come spesso avviene; il dialogo umanistico è l’offerta al lettore di nuovi mezzi per
perfezionare le proprie opinioni ce sono provvisorie approssimazioni verso la verità; non sono tutte
equivalenti o posizionati li sullo sesso piano, il lettore deve essere lasciato libero di orientarsi da sé
nel labirinto delle idee. Umanesimo come monumento letterario maggiormente rappresentativo di più
punti di vista volta a stimolare la celeritas e l’ingenium, non approda mai a conclusioni definitive ma
punta a un Congedo amichevole tra persone divenute più simili tra loro. Come si evince con
Bracciolini e Vala, maggiori rappresentanti del genere nel 400, un alone di ambiguità intrise il dialogo
umanista e lo rende privo della nettezza di posizioni ideali tipico del modello ciceroniano(che aveva a
sua vola preso da Platone) non è raro trovare discrepanze nelle idee diuno stesso personaggio o
vengono modificate dagli altri interlocutori perdento così il punto chiave; questo permetteva di
smussare le iddeiu taglienti ma anche di confondere le idee. Alla fine vi era un riconoscimento della
superiore validita dell posizione che coincide con la voce del magistero della Chiesa, accorgimento
precauzionale per depistare il lettore poco benevolo. Possiamo scorgere nel dialogo un modo per
rendere leopinioni più eterogenee altrimenti estranee le une dalle altre, per compatibilizzarle;
giustapposizione di mentalità diverse,di verità differenti di posizioni culturali dissimili che insieme
costituiscono una mentalità, una verità e una cultura comuni, tutti i discorsi e le posizioni espresse
nel dialogo si provocano l’una conl’altra e si completano reciprocamente; il pensiero non si sviluppa
univocamente ma si rivela gradualmente con sembianze contrapposte. A fondo della disputa c’è la
convinzione dell’unità della verità che da la possibilità di vvicinarsi ad essa da lati diversi e di
conciliare idee differenti permettendoci di mescolare in una stessa mente. Con il dialogo l’umanesimo
mostrò il suo anelito alla costruzione di una civile conversazione che nel 500 assumerà contorni
storico-sociali, identificando nelle corti e nelle accademie
Il monito dell’integralismo
1405 Bruni si trasferisce a Roma come segretario apostolico fino al 1415 quando torna a Firenze
come intellettuale al servizio della Repubblica e nel 1427 come cancelliere. Salutati combattè solo il
più grande attacco all’umanesimo ad opera del frate domenicano Giovanni Dominici; per via della
scarsa istruzione da giovane non venne accettato alla conventuale di Santa Maria Novella, forse
perché i confratelli avevano ntravisto inlui lo spirito focoso che avrebbe posto fine alla loro
tranquillità. Dominici clmò le sue lacune ma mentre si formava com religioso rimase impressionato
dall’esempio di una riforma di tipo osservante nell’odine francescano;incitato a Caterina da Siena,
Dominici cercò di avviare un esperimento osservante all’interno del suo ordine ma a Firenze non ebbe
successo, enne estromesso dal convento ed esiliato a Venezia ove colse il traguardo, conferendo al
cenobio veneziano dei Ss.Giovanni e Paolo la palma di laboratorio dell’Osservanza domenicana. Non
poté restarrvi a lungo a causa delle propensione a suscitare ovunque passioni tumulto se sia insenso
favorevole che contrario ai suoi progressi. Aveva comunque la stima del papa Gregorio XII che lo
nomino arcivescovo di Ragusa e poi cardinale; era un riformatore che verso il 1405 lanciò una sfida a
Salutati: contro le rozzezza che il cancelliere durante il dibattito con San Miniato aveva affibbiato ai
sostenitori della Chiesa, era giunto il momento di far sentire la propria voce in una querela che
richisva adì avvalorare l’equiparazione tra ignoranza e tradizionalismo;occoreva chiarire una volta per
tutte cosa siintendeva per buona e solida educazione cristiana che doveva includere quella
frequentazione così appassionata della cultura classica di cui tanto si vantavano gli umanisti nel loro
ambiguo amore per l’antichità pagana. In quegli anni Bracciolini si stava già distinguendo per
l’oltranismo delle sue idee ribadendo la compatibilità tra fede cristiana e studia humanitatis; sul piano
delle belle lettere gli autori pagani si erano dimostrati in molti casi assai più ammirevoli degli autori
cristiani; la religiosità non era garanzia di superiorità; tutto questo stava contribuendo
all’inebolimento dell’ossequio alla tradizione della Chiesa. A questo Dominici rispose con il Lucula
noctis, ripresa del Vangelo di Giovanni nel quale si dice che la luce è venuta ma è stata respinta dalle
tenebre; anche richiamo alla lucciola il cui volo a zig-zag richiama le condizioni di certi studiosi come
Salutati che invece di restare ancorati alla vera religione dei Vangeli, brancolano nel buio alla ricerca
di una verità liberatoria introvabile nelle pagine degli auctores da loro frequentati. Gli autori pagani
erano depositari di una falsa religione che alletta i sensi ma non può saziare la fame dell’anima; per
un cristiano era meglio zappare la terra che leggere gli autori classici; se si cerca la saggezza basta
cercarla nella tradizione culturale della Chiesa unica in grado di rispondere al bisogno di realizzazione
spirituale dell’individuo e della società. La messa da parte dell’agiografia in favore dei classici
metteva in risalto l’anticristianità della nuova cultura; se si volevano exempla bastava leggere le vite
dei santi invece di ricorrere alle storie e alla poesia degli antichi(De viris illustribus). L’unico ente
veramente pubblico al quale il cristiano doveva indirizzare il proprio sentimento di appartenenza era
la Chiesa, lo Stato era un organismo transuente e intermedio effimero e la moralità che ad esso
faceva riferimento era provvisoria. Salutati misein antiere una replica che doveva smontare punto per
punto lo scritto dell’avversario ma morì nel 1406 prima che posette completarla; tuttavia laa Lucula
ebbe poc seguito e non alimentò una vera controversia anche se la diatriba tra tradizionalismo e
umanesimo si riaprì in seguito. Lo scritto di Dominici fu un atto di accusa per nulla semplicistico che si
spinse a scandagliare le ragioni psicologiche dell’ammirazioneprovata dagli umanisti per una civiltà
non cristiana che il frate ricondsse all’amore narcisistico per sé radice di ogni disordine
interiore;l’esito di questa tendenza dell’Io ad anteporre se stesso alla realtà è la morte spirituale. Alta
cosa che colpì fu l’erudizione di Dominici che attaccò gli umanisti nel loro stesso terreno con itazioni
dotte he gli permisero di muoversi a suo agio tra quegli autori venerati dagli umanisti e che egli
cestinò come moralmente tossici. L’attrazione che gli spiriti del suo tempo provavano per gli ideali
dell’antichità classica eraun sintomo di dstima verso la tradizione religiosa di appartenenza della
quale veniva messo in dubbio soprattutto l’utilità formativa; affermò il fondo del problema, dato dalla
cauta di autorevolezza morale della Chiesa a seguito del Grande Scisma. Affermò che gli studia
humanitatis non erano sufficienti e nemmeno necessari alla formazione e alla elevazione dell’uomo
come figlio di Dio; il tipo di salvezza che l’umanesimo proponeva consisteva in una via riflessiva e
autoperfettiva che se cruttata a fondo, era ingannevole e non pienamente cristiana; sfiora la
potenziale eterodossia che si annidava nella spiritualità avversaria. Il teocentrismo rivendicò lesue
ragioni davanti al l’antropocentrismo rinascimentale che purnascendo da una cultura cristiana
medievale, si prestava ad assumere anche un indirizzo non più cristiano, così come Beato Angelico
tentò di fare nella rappresentazione artistica per esorcizzare il lavoro di Masaccio ma a Dominici
mancò quella potente originalità che fece di Beato Angelico uno dei maestri dell’arte; la sua proposta
risultò troppo marcata da uno spirito ripropositivo per riuscire davvero adeguata alle esigenze del
suo pubblico. La Chiesa del XV sec non seguì la via dell’antiumanesimo tracciata da Dominici ma una
laboriosa opera di rinnovamento culturale alla luce della sfida lanciata dagli umanisti della scuola
petrarchesca come dimostra la nuova cultura della gerarchi ecclesiale della Roma papale di metà
400.
Tramonto della civiltà ierocratica
Si stava agitando una poderosa mutazione culturale; il movimento umanistico si stava di svelando
nelle sue funzioni di portatore di un nuovo spirito di secolarismo; Ullmann, Radici del Rinascimento:
rintraccio i presupposti della rivoluzione intellettuale dell’umanesimo nei valori della civiltà borghese
fiorita in varicentri cittadini d’europa a partire dal XII sec; urbane simo precognizione dell’umanesimo
anche se lui riconduce l’origine del Secolarismo alla lotta per le investiture. La civiltà del Medioevo
ecclesiastico può essere definita come il trionfo di un’accezione ierocratica della fede cristiana;
tendenza ad assorbire ogni realta, anche profana nella sfera del religioso, fenomeno non ristretto alla
sola esperienza storica de cristianesimo ma che tocca un lago ventaglio di sistemi socioculturali;
Ullman definì quest’attitudine come unipolarismo, come riconduzione di tutti gli aspetti della vita
comunitaria a un’unica fornite normativa, quella della legge religiosa. Ogni problema dell’esistenza
individuale e collettiva andava riferito alla tavola dei doveri desunta dal Vangelo. La Rande novità
dell’umanesimo fu il rifiuto della nozione ierocratica in nome della facoltà di regolarsi da sé che alcuni
particolari aspetti dell’esistenza umana possiedono per natura; la laicità sorse cme rifiuto di na
concezione onnicomprensiva della religione come affermazione della sufficienza dei poteri regolati
della ragione naturale, il buon senso, Salutati fu la cerniera tra i 2 mondi: cristiano convinto
sostenitore delladivisione della sfera politica ed economica dalla sfera, non più onnicomprensiva,
della religione. La società umana si organizza secondo i propri principi seguendo la ragione, senza
dipendere dai dettami dell’autorità ecclesiastica. Importante fu l’impatto che tale processo di
laicizzazione ebbe sul concetto di legge e sul modo di concepire l’obbligazione all’autorità civile da
parte del cittadino. Nacque l’idea di un diritto positivo, creato dallo Stato che si affermò come la fonte
della sovranità in grado di fissare le regole dell’etica pubblica a discapito della Chiesa che non venne
lasciata da parte ma perse solo il suo ruolo centrale senza che si dimenticassi l’importanza del dato
religioso nell’esperienza umana. Salutati riteneva che per la felice riuscita della vita individuale e
collettiva fosse indispensabile la coopresenza di entrambi i fattori di cresctia, non lontano da
Tommaso d’Aquino, da lui ammirato come pensatore ma non d’accordo con il codice pedagogico
somministrato dall’Ordne domenicano al pubblico dei laici. Tuttavia lotto per la de-mondanizzazione
della Chiesa asuspicandoad una restrizione della sua giurisdizione negli affari secolari, unita ad un
ammorbidimento della politica temporale del papato; il tutto in nome di un cristianesimo autentico e
di un’umanità più matura. Lo critto di Dominici ci appare come un tentativo di ritorno all’unipolarismo
medievale, tentativo disperato visto la situazione della Chiesa dopo lo scisma.

Lampi di irriverenza
Avversione all’ecclesiasticismo
1990 Riccardo Fubini pubblica la prima delle sue raccolte di studi, Umanesimo e secolarizzazione,
riconsiderazione del fenomeno umanistico delle prigini, si da grande risalto alla mutazione di orizzonti
della 3° generazione con cui passò all’attacco contro alcuni autorevoli esponenti della Chiesa e contro
il manto sacrale della tradizione ecclesiastica; emerge la cultura dell’irriverenza che convoglia la sua
forza polemica contro ecclesiasticismo. Personaggio di spicco Poggio Bracciolini(1380-1459) vena
antiascetica e anticlericale ma che fu uno stipendiario papale. Originario di Terranuova del Valdarno si
formò come notaio, ciò gli permise di credere nella scala sociale per gli individui dotati di talento e
energia. Frequentò la scuola di Malpaghi che lo iniziò all’amore per il latino classico e le sue doti
calligrafiche lo fecero notare da Salutati che lo inglobò nel suo circolo; grand abilità scrittoria,
letterato che alle doti retorico-stilistiche associò attenzione per l’elaborazione visiva dello scrivere;
inventò I moderni caratteri grafici, per lui ripristino del modo di scrivere antico e a cui assegno il
valore simbolico della rinascita delle bonae litterae. Per un periodo la sua biografia è quella di Bruni
corsero in parallelo, tuttavia dopo la deposizione di papa Giovanni XXIII presero strade diverse, che
portarono Bruni a sposarsi ed ad avere una discreta fortuna con i suoi scritti che gli valsero la
cittadinanza fiorentina e quella più precaria di Bracciolini che dopo la deposizione rimase a Costanza
come partecipante al Concilio per capire la piega che avrebbero preso gli avvenimenti, incertezza
terminata solo nel 1417 con l’elezione di Martino V Colonna che ricndsse l’Europa cristiana all’unità;
qui scrisse alcune delle sue epistole più famose di natura di reportage di situazioni curiose o di
avvenimenti sotrici straordinari tra cui quella del supplizio di Girolamo da Praga, discepolo di Jan Hus,
1416, testimonianza dell dissociazione tra la coscienza umanistica e la pretesa di sacertà accampati
dalla Chiesa istituzionale: vide in Girolamo uno spirito forte capace di difendere con saldezza le
proprie convinzioni, non tanto mosso da un legame col movimento eretico; la situazione nel quale
avvenne il processo e la condanna fece cade ancora più l’onore della Chiesa, non Governata da un
papa ma dal Concilio di Costanza; avviarono un processo perché Girolamo e il suo maestro potessero
spiegare e ritrattare le proprie posizioni ma vist la loo ostinazione spedirono entrambi al rogo, questo
agli occhi dell’autore fece aumentare la stima nei confronti del condannato che era stato vittima della
malafede ecclesiastica ma senza palesare mai tale giudizio nell’epistola che scrisse in maniera fedele
a com’erano andate le vicende, rievocazione puramente fattuale, evidenziò la su ferma e serena
determinazione, l’impavida attesa della morte come i filosofi antichi; lo riteneva un individuo
moralmente migliore dei suoi giudici, meschini ed arroganti. Destinatario di questa fu Bruni che però
prese le distanze rimproverano a Poggio di provare troppa stima per un eretico e di maneggiare con
troppa disinvoltura gli affari pertinenti del clero. Poggio scrisse un testo ancora più incalzante che
ebbe poco successo, Oratio ad reverendissimos patres, arringa per i partecipanti del Concilio di
Costanza; vero monumento dell’anticlericalismo di Bracciolini, scritta durante le difficoltà elle quali si
dibatteva il Concilio nella seconda metà del 1417 quando tra i padri stentava a farsi largo una
convergenza che avrebbe condotto all’elezione di un nuovo pontefice che avrebbe avuto il compito di
riportare l’occidente latino all’unità; lo sdegnò davanti alle divisioni dell’assemblea spinsero Poggio a
scrivere un testo con il quale rinfacci a quei chierici impudenti, che si pretendevano medici della
Chiea, la malattia di cui erano infetti e sulla quale tenevano chiusi gli occhi. Favorevole alla
monarchia papale anche se non espresse ampiamente questo suo pensiero. Il suo furor compositivo
venne messo in moto dalla volontà umanistica di denunciare la deriva della Chiesa, sciagura
imputabile ai vizi del clero che ora potevano essere recensiti e condannati in nome dello stato di
emergenza della Chiesa. Ogni membro del Concilio difendeva accanitamente il proprio posto di
potere, senza piegarsi a una superiore istanza di interesse generale: i preti predicano la santità e
l’irreprensibilita ma covano nel privato una serqua di attitudini nefande che indicano la loro credibilità
come annunciato del Vangelo. Il laicato è in grado di comprendere l’attendibilità delle direttive che
riceve, se dunque a impartire lezioni di Vangelo è un clero che mostra discrepanze tra ciò che dice e
ciò c’è fa, il risultato sarà l’incredulita nei confronti del messaggio. Poggio vuole dar voce ad un
laicato che dubita degli effetti salvifica del Vangelo e che vuole mettere sotto esame le cause di tale
scandalo; spesso riconducibile alla vita poc evangelica del papato. Giudizio duro e originale ma che
mostra l’atmosfera che dilagava al tempo che incolpava del Grande Scisma proprio i pontefici,
soprattutto i più recenti che si appellavano a beati e a santissimi; ma se non era molto favorevole al
papa, tanto meno lo era verso un Concilio che non aveva concluso nulla di buono: sul piano pastorale
i suoi membri si erano rilevati inadempienti e pervasi da superbia clericale. Stato d’animo I
indignazione retorica mente enfatizzata in modo da rendere l’eloquenza alleata di un’ideologia
distruttiva. Il clericalismo venne denudato della sua falsità, il popolo era più incline a guardare le mani
che la bocca di chi stava sul pulpito a impartire ammonizioni magari accompagnate da minacce di
dannazione. Il carattere intimidatorio venne aspramente criticato. Poggio invita a metterci al lavoro
per rialzare la Chiesa in modo che fosse di nuovo in grado di portare la salvezza alla collettività; poca
sensibilità su questo tema, rivela il suo scetticismo, tuttavia definisce il bene della Chiesa coincidente
a quello comune. Per l’attacco utilizzò uno strumentario retorico e morlaistico non teologico né
giuridico
Sincerità contro ipocrisia
Con Bracciolini l’indisponibilità a riconoscere pervalida laurea sacrale di cui si vantavano i ministri
della Chiesa, già connaturata al movimento umansita, prese i trattati corrosivi di un’insofferenza che
rappresento il primo moto di affrancamento della coscienza individuale dalle ipoteche della dogmatica
medievale; lo si vede evidenziarsi con la 3° generazione di umanisti, quando con Salutati erastato
molto più trattenuto che addirittura opera un’apparente inversione di marcia rispetto al suo laicismo
nell’opera con cui esalta la scelta di vita monastica, De seculo et religione, con cui appoggio la scelta
di vita dell’amico Nicolò da Uzzano che si fece Monaco camldolese, scritta attorno al 1381, periodo di
grave disorientamento per Salutati in quanto a governare la città era il governo del popolo minuto,
sorto con il Tumulto dei Ciompi; tuttavia nl testo esprime la sua idea di monachesimo come forma di
vita imperniata su di una frugality salutare, su di un pauper simo volontariamente abbracciato che
diventa onte di virtù sociale, sull’egualitarismo implicito nella scelta cenobitica: oscillazioni che ebbe
anche nella politica, convinto repubblicano non escluse momenti in cui simpatizzò per la monarchia,
De tyranno. Bruni, 1417, poco dopo il ritorno a Firenze, entrò in attrito con l’alta curia ecclesiastica
cittadina, impersonati dal grande Monaco camldolese Ambrogio Traversari, personaggio di notevole
caratura etica e intellettuale la cui fisionomia risultava agli antipodi di quella del Dominici; non
contrario al movimento umanistico ,preseguiva un deale di conciliazione tra il fermento petrarchesco
che interpretava in chiave neopatristica e la fedeltà ad una tradizione ecclesiastica da lui stesso
avvertita come languente e bisognosa di linfa nuova; favorevole fruizione di più testi antichi possibili,
traduce diverse opere che ritenne adatte alla difussione di una cultura sostenuta dalla pietas(Vite dei
Padri del deserto, vite dei filosofi di Diogene Laerzio). Promotore di una riforma che volle far partire
dallo stesso Ordine in quanto primizia di un rinnovamento globale; fu un vero uomo di cultura che si
dedicò a un’importante opra di raccolta e diffusione di testi patristici, anche in lingua greca;
rigenerazione di una Chiesa attraverso la cultura. Tuttavia sembra che mostrasse riprovazione verso
gli esiti più arditi del programma riformatorio di Bruni. Come la sua traduzione d testi pagani che poco
centravano con la cristianità come alcuni dialoghi di Platone. Connaturata alla forma mentis degli
uomini di Chiesa era la tendenza a subordinare ogni aspetto della realtà storica all’imperativo del
consolidamento della Chiesa istituzionale. Bruni afferma che ciò che la spinto a scrivere il testo è lo
sdegnò che lo prese quando venne a sapere che alcuni simulatori avevano proferito alle sue spalle
giudizi non vene voli su di lui, probabilmente in merito alla sua inclinazione a divulgare testi profani.
Questo testo va anche letto contando l’impegno di Bruni nella formazione di un programma di studi
sganciato dal canone della tradizione ecclesiastica e orientato a riattualizzare testi e pratiche risalenti
al modello dell’antica paideia greco-romana, rivoluzione pedagogica che lo portò a pubblicare la sua
celebre e fortunatissima traduzione latina dell’etica nicomachea di Aristotele. Con questo scritto la
diatriba tra chierici e lici entrava in una fase nuova, il laico poteva prendersi il diritto di biasimare il
chierico per l’indegnità delle sue azioni. Da sfogo a quella che presenta come una delusione che
finalmente gli ha aperto gli occhi, rivolgendosi agli ipocriti. Desiderando fare giustizia si riprometto di
mettere a nudo la meschinità di tale genia di uomini che paragona a commedianti che recitanp la loro
bontà, speculano sulla dabbenaggine di chi crede che il valore di una persona si misurida ciò che da a
intendere di sé; per l’umanesimo la vita dell’intelletto deve sfociare nell’attitudine alla verifica
personale; la convalida del sapere coincide con l’atto dell’accertamento empirico, autoptico. Il fatto
religioso fu uno dei campi preferenziali au quali gli umanisti applicarono il principio euristica secondo
cui le cose non sono mai come sembrano; principi della sincerità, intesa come perfetto
corrispondenza tra dentro e fuori, come aderenza tra sentimenti interiori e azioni esteriori; virtù
praticabile solo nel regno della libertà e dell’utonomia dell’Io che non è lo statuto essenziale degli
ipocriti. Alcuni passaggi dell’invettiva sembrano suggerire che, al di là dello scontro con i simulatori di
santimonia, il bersaglio dell’umanesimo era la spiritualità della sottomissione, che albergava di
preferenza nei conventi e nei monasteri. La laicità umanistica si presenta com etica ella fierezza,
indipendenza della propria individualità non proclive a cedimenti e sotterfugi, ma anche come etica
della veridicità, pretende trovare coerenza in chi allega i più alti ideali etici. Ricorso al moralismo
satirico. Invito a non fidarsi del clero ipocrita per rafforzare nel pubblico laico il sentimento della
propria alterità morale rispetto ad una casta clericale che viene sferzata come pedagogicamente
inaffidabile; ammette che anche illaicato ha le sue forme di ipocrisia anche se mai come nei chiostri.
Nella parte finale emerge tutto il suo antropocentrismo, primato che l’umanesimo assegna alla sfera
interiore dell’individuo. Nella chiusa viene infatti delineata un’antitesi tra ipocrisia e sincerità come gli
stati d’animo che caratterizzano l’uomo della cattiva e della buona coscienza; il primo è tormentato
dal rimorso che gli mette davanti le sue irregolarità, il secondo convive serenamente con una
memoria che non ha nulla da rimproverargli; entrambi sottostanno alla coscienza sovrana; la
coscienza è continuamente in atto di emettere la propria sentenza che può essere di auto-rimprovero
o di auto-apprezzamento; primi esempi di coscienzialismo, dell’Io che è testimone di tutto. Compare
una fugace accenno all’impostura che hai tempi trovava ampio spazio nel devozionalismo intendendo
la facilità con cui la gente semplice si affidava all’espletamento meccanico di pratiche paraliturgiche e
talora anche suprstiziose per superare i grandi problemi dell’esistenza, mescolando fede e magia;
rimanda al bisogno di rodifi e di conforti di cui era pervasa la società del tempo e l’esistenza di un
proletario ecclesiastico sottratto al controllo di qualsiasi autorità, formato da frati spinatati senza
convento, chierici vaganti e avventurieri che per sbarcare il lunario ricorrevano a ogni genere di
espedienti; tra di essi anche il traffico delle indulgenze, vere o contraffatte, che furono soggetto di
uno scontro a Firenze nel 1431 che sollecita l’intervento del governo di cui Bruni era cancelliere e
quindi la più alta carica in grado: in quell’anno a Firenze comparve un Cavaliere dell’ordine di
S.Giovanni di Gerusalemme che in una lettera per papa Eugenio IV, Bruni definisce ipocrita avido e
faccendiere i cui pensieri andavano più alla pecunia che alle cose dello spirito; questi, grazie alle sue
doti comunicative era riuscito a radunare un gruppo di persone a cui mostrò una serie di solenni bolli
pontificie con tanto di sigillo in cui diceva ci fosse scritto come il papa gli aveva attribuito i suoi alti
poteri di remissione dei peccati a chi avesse versato una certa cifra, salvezza che in una città come
Firenze era indispensabile, dato che pululava di usurai; raccolse un discreto seguito, soprattutto tra le
donne; questo però attirò l’attenzione dell’élite cittadina che era sempre attenta a tener sotto
controllo i movimenti di un clero distimato e prono agli abusi, il cavaliere venne convocato e gli
vennero chieste le credenziali , vennero controllate le bolle papali e fu riscontrato che il contenuto
non corrispondeva a ciò che il Cavaliere aveva detto, senza mancare di sottolineare come lui è il suo
seguito in pubblico redarguivano i peccatori a pensare alla propria anima ma in privato si mostravano
totalmente dimentichi della propria
Una controversia sulle indulgenze
Per via del temperamento di Bracciolini, il nuovo papa Martino V non lo riammise nell’organico della
curia dopo la sua elezione nel 1417 e Poggio trovò un lavoro come segretario in Inghilterra al servizio
del vescovo di Winchester senza cogliere grandi soddisfazioni, per 4 anni. 1423 torna a Roma dove
riottiene la carica di segretario apostolico fino al 1453 quando finalmente venne chiamato a Firenze
per coprire la carica di cancelliere della Repubblica. Gli anni romani furono i più felici e produttivi;
godendo di un’agiata tranquillità mse a profitto le grandi possibilità del genere epistolare che permise
di far circolare le sue idee non convenzionali in materia di etica, demolizione di tutti i luoghi comuni
normalmente adottati per acquietare le ansie della mente e per legittimare l’esistenza di grandi
istituzioni aventi scopo di inquadrare la collettività secondo finalità contrabbandate perbenefice e
provvidenziali. Utilizza il registro espressivo del moralismo satirico tendente all’ironia beffarda e
scanzonata. Non mancarono le punte amare che esplicitarono con nettezza la sua visione disincantata
di un mondo segnato dalla negazione implacabile delle attese di perfezione che la mente umana
sembra condannata a coltivare. Idee che non vennero rese pubbliche ma elargito solo ad una stretta
cerchia di amici e incoraggiato da questi le osò mettere per iscritto in forma dialogica in un saggio
che mostra la sua spregiudicatezza intellettuale, componendo la sua prima opera di ampio respiro, De
avaricia; edito nel 1428 mette in scena un convito organizzato da Bartolomeo da Montepulciano al
quale sono invitati Loschi, Rustici(i suoi amici) e Poggio che si scherma dietro le diverse voci dei
protagonisti; la discussione ruota sui fatti del giorno: soprattutto sullo scalpore della predicazione di
San Bernardino da Siena che at traeva grandi folle nelle piazze, nel gruppo questo carisma suscita
poco trasporto, appare foriero di una nuova panoplia di espedienti al servizio della demagogia
religiosa; proprio con le perplessità di Rustici sull’effettiva frutto della predicazione di Bernardino si
apre il dialogo; accusato di uno stile conciatorio e vagamente istrionico che oggi definiremo
comunicazione mediatica, ricerca di impatto emotivo al fine di elettrizzare il pubblico a cui però non
lascia nulla di fatto, non è un discorso moralizatore; esso dovrebbe attaccare i vizzi in modo efficace,
critico e riflessivo, cominciando dall’avarizia, cosa che Bernardino non fa. Tema dominante: disamina
dell’avarizia come male per l’individuo e per la collettività; prima di questo si divaga sull’arte della
parola come efficace mezzo per sradicare i vizi, interrotta dall’arrivo di Andrea di Costantinopoli,
maestro del Sacro Palazzo che altempo teneva il controllo sull’ortodossia dottrinale ma si presenta
benevolmente a fare da moderatore e da contraddittorie delle tesi più lontane dalla morale cristiana,
che i dialogatori non avevano remore a esporre e che non verranno censurate. Bartolomeo diede voce
a posizioni consacrate dalla tradizione classico-cristiana definendo l’avarizia come tendenza egoistica
e possessiva e che trattiene per se quei beni che dovrebbero invece essere messi a disposizione della
comunità; perversione ripugnante che come un tarlo di insinua nella testa e lavora a distruggerlo.
Loschi, dissentendo, presenta l’argomentazione più innovativa del dialogo: nell’opera Bracciolini
tende a mettere in discussione la colpevolezza dell’istinto al guadagno che i frati insinuavano con la
loro catechesi popolare; con l’intenzione di portare alla ribalta una simile aporia, mise in bocca a
Loschi una serie di riflessioni che in poche righe mandarono all’aria il sistema etico dominate da più di
1000 anni. Egli definì l’avarizia come l’inclinazione a guadagnare e in quanto tale è connaturata
all’uomo, quindi non è condannabile; sbagliava sant’Agostino a definirla come una corruzione del
cuore, essa esiteda quando esiste l’uomo, è universale e insopprimibile; quando frati e monaci fanno
voto di povertà e di rinuncia di tutti i beni non compiono nulla di meritevole, dal momento che essi se
ne stanno tranquilli e ben pasciuti al imparo dei loro chiostri, lasciando ad altri il problema della
conservazione del genere umano, loro compresi. Prima di procedere alla condanna, occorrerebbe
valutare i benefici sociali apportati dal desiderio di guadagno individuale; si S coprirebbe che esso è il
motore dello sviluppo delle attività umane, comprese quelle più nobili; esempio del bene dell’avarizia
visibile nella città, nodo di interscambio socioeconomico e culla di vita civile, è anche sede
monumentale e ospita edifici mirabili opere dell’ingegno, dove non può vivere l’uomo frugale e parco,
attento a limitare i suoi bisogni(discepoli in Adam Smith e Bernard Mandeville, o nell’illuminismo).
Andrea da Costantinopoli si occupa poi di riportare la discussione entro i bonari della dottrina
canonica, richiamandosi all’oggettiita delle autorità più indiscutibili, da San Paolo alla Patristica greca
e latina, condanna l’avarizia non come inclinazione al guadagno ma come eccesso di spirito
possessivo, tutti oncordano con lui, così il dialogo può avere fine. Nel De avarizia la disgregazione del
principio sacrale del bene comune come idea-forza in grado di motivare i comportamenti pubblici e
privati, orietandoli a un principio di interesse sovrapersonale che adesso appare spento, socialmente
ineffettivo; processo che i frati dell’osservanza cercarono di rendere reversibile, opponendo ad esso
tutti i ritrovati messi a punto dalla loro formidabile inventiva al fine di procurare un revival del
solidarismo cristiano. Presenta qui 3 voci:
- l’apologia della mentalità borghese che vede nell’avarizia il motore che spinge l’uomo a
migliorarsi e a migliorare ciò che lo circonda;
- la posizione tradizionalista che condanna l’avarizia
- pietà ed apertura mentale, sostenitrice di un giudizio di mezzo che rigetta la sete del possesso
fine a sé stesso e rettifica l’impulso vizioso all’avere, introducendo il correttivo del bene
comune come termine del riferimento sovraindividuale, dovrebbe essere la visione di
Bracciolini
Tutti e 3 sono parzialmente veri e parzialmente falsi o almeno confutabili. A Poggio interessava dar
voce a una tesi considerata scabrosa pu essendo storicamente operante, mostrando cheanch’essa
era degna di essere soppesata dalla ragione di un lettore riconosciuto come ultima istanza giudicante.
Taglio agnostico del dialogo umanistico mesos recentemente in discussione; si è messa in luce una
struttura ascensionale della quale l’ultimo a parlare svolgerebbe un ruolo preminente in quanto si
incaricherebbe di far uscire il colloquio dall’impasse in ui è stato portato dl radicalismo degli altri
interlocutori, reimpostando la questione nell'unico modo cioè quello risalente all’ordo charitatis come
fondamento del legame sociale
Controcanto alla santimonia
Le reali convizionietiche di Poggio non sono attestabili dato la mancanza di una sua biografia che
metta in risalto il fatto che egli conferì dignità logica e rappresentatività letteraria a orientamenti di
pensiero che suscitava no imbarazzo alle coscienze dei suoi contemporanei e forse anche alla sua.
Discorso che riguarda anche il divario ch egli tematizzò tra l’apparire pii e santi al cospetto degli altri
e nutrire nell’intimi sentimenti di natura opposta. La denuncia dell’ipocrisia non era un fattore nuovo:
rientrava in un filone anticlericale già ravvisabile in Dante e Boccaccio. Di nuovo ci fu il taglio retorico,
sostentamento indignato in Bruni e implacaabilmente satirico in Bracciolini. A fronte di tanta enfasi
formale è da registrare uno spessore contenutistico piuttosto flebile. I compinenti di entrambi gli
umanisti non fuoriuscivano da limiti di un moralismo angusto e tendenzialmente monocorde, avente
nelle melefatte della frateria il proprio chiodo fisso. Peraltro, il carattere epidemic o dell’avversione al
clero regolare, sul quale esi inferiono sapendo di colpire dove avrebbe fatto sensazione, risulta
rivelatore di un mutamento culturale giunto a maturazione. Avvisaglie di uno scontro tra 2 diverse
concezioni di critianesimo: uno di tipo clericale e comunitario, consegnato dalla tradizione; l’altro di
tipo laicale e soggettivo, predicato da un’avanguardia umanistica sempre più incalzante nel
rivendicare una Libertas dicendi che andava a sfidare la venerabili delle istituzioni Sacre e dei loro
amministratori; con Poggio grande battaglia in nome del diritto delle pulsioni naturali a essere trattate
per costanti della natura umana nella loro datità, sena preclusioni gnoseologiche e senza
subordinazione a un ordine soprannaturale la cui esistenza rimane tutta da dimostrare. Duplice
fisionomia diPoggio: da un lato alfiere di un’umanizzazione delle pratiche storico-religiose attraverso
la cultura, dall’altro personaggio intrattabile, egocentrico e puntiglioso ai limiti della scortesia, tutto
l’opposto della mentalità dialogica di cui fu assertore sul piano letterario; forte gelosia e rivalità verso
gli altri letterari, anche se del suo stesso pensiero, si pensi a come tentò di infrangere la reputazione
di Lorenzo Valla. Anche la malignità serbava in Poggio una carica gnoseologica: 1430 entrò in
contrasto con l’Osservanza francescana per una sere di ragioni ideali e non anche se fu molto legato
all’ala conventuale dell’ordine dato ch verrà sepolto nella basilica fiorentina di Santa Croce. Il suo
malumore esplose nella stesura di un epistola per Alberto Berdini da Sarteano dove riprende con più
asprezza i temi trattati nell’Oratio adversus hypocrisim di Bruni; qu bollò come ipocrisia qualsiasi
pretesa di vita di perfezione secondo l’idea le di rinuncia a sé stessi e di distacco dalle cose di questo
mondo; si trattava di un impostura che copriva la ricerca di potere per vie diverse da quelle ordinarie.
L’acrimonia contro l’ordine venne compressa dalla morte di papa Merino V Nel 1431, il suo successore
Eugenio IV Condulmer era un austero prelato che in gioventù si era impegnato per il rissollevmaneto
del clero secolare ed era stato cofondatore della Congregazione veneziana di S.Giorgio in Alga,
famiglia religiosa ch dalla Laguna si era irradia nell’Italia padana diffondendo il movimento dei
Canonici regolari; come papa accordo forte sostegno alle Osservanza, soprattutto quella francescana;
alla sua morte, 1447 emerse di colpo la saturazione del mondo curabile verso il favore di cui stavano
godendo monaci e frati, fenomeno che si era accompagnato ad aspetti deteriori quali piaggeris,
invadenza, carrierismo, cortigianeria. Il nuovo papa Niccolò V Parentucelli nel predisporre un ricambio
nell’organigramma degli alti funzionari diede segni di simpatia verso l’umanesimo nel quale si
rispecchiava, non revocò l’appoggio alle Osservanza (canonizza San Bernardino da Siena nel 1450)ma
certamente con lui il clima culturale di Roma si ammorbidì e si fece più propizio al confronto delle
idee. Così Poggio riprese il dossier delle critiche rimuginate nell’impotenza durante gli anni
precedenti, ne uscì il Contra hypocrias pubblicato nel 1447 in cui si trova la più irriverente riflessione
di stampo naturalistico dell’avanguardia umanistica intorno ai fondamenti della morale umana
sull’onda del suo astio verso il clero regolare e tutto ciò che esso rappresentava.
Il Contra hypocritas di Poggio Bracciolini
Nel proemio afferma di aver scritto il testo come prosecuzione del De avaricia, spiegando si essere
andato avanti ad esplorare il mondo della degradazione umana e di aver cambiato idea lungo il
cammino. Inizialmente credeva che l’avarizia fosse il male più grande che attanaglia l’uomo, ora
mette in cima l’ipocrisia per il fatto che i suoi dannosi effetti sono visibili alle vittime solo dopo e
hanno una limitata possibilità di difendersi. Occorre svegliare l’intelletto giudicante allenandolo a
scoprire le scelleratezze; vuole portare alla luce un vizio che possiede un alto grado di rilevanza
sociale ma che si avvale dell’impunità, dopo il suo equivoco intreccio con lo zelo religioso. Il dialogo si
apre con un colloqui tra lui e il collega Carlo Marsuppini da Arezzo che occuperà prima di lui il ruolo da
cancelliere a Firenze; i 2 si compiaccio della propria spregiudicatezza intellettuale e ostentano un
anticlericalismo privo di reticenze; l’ipocrisia è un vizio che accomun tutti gli uomini e che ammorba
ogni ambiente socale ma che nella Chiesa trova il più fertile brodo di coltura; di fatti tra i chierici vi si
trovano le persone con meno fede di tutti; essi sono pervasi dalle stesse passioni che agitano tutti gli
uomini da quelle dei sensi a quelle dell’amor proprio, la vita religiosa si sostituisce con finzioni ma che
ad un esame più attento si rivelano un paravento dietro il quale brulicano le mene più losche dettate
ora dalla vanità ora dall’oziosita ora dalla lussuria. La morte di Eugenio IV li rallegra poiché sembra
terminata la dittatura fratesca, per colpa del papa malcorrotto la corte pontificia era divenuta sede
degli ipocriti che scambiavano la rozzezza de modi e l’aduolazione più sfacciata per devozione;
encomio per Niccolò V che sembra intenzionato a imprimere una svolta nel selezione del personale di
governo della Chiesa romana. Da cui il discorso si allarga ad un analisi più generale dell’ipocrisia che
viene diagnosticata come vizio endemico, diffuso in tutti gli ambiti sociali e particolarmente
devastante in quanto insinua una sottile sfigduzia nei confronti della virtù che cade sotto un sospetto
permanente di falsità; discorso accompagnato con citazioni degli auctoritates (Vangelo, Cicerone,
Seneca)si conclude che l’ipocrisia oltre ad essere un vergognoso crimine per chi la pratica è una
sciagura per la collettività perché tende a disgredare il fragile tessuto di reciproca stima sul quale si
fonda la convivenza civile. Arriva il 3° protagonista dalla posizione contrastiva, Girolamo Aliotti,
vallombrosiano, amico di Poggio, appare pallido quasi a voler ammettere le colpe che i 2 stano
attribuendo al clero; gli viene chiesto come capire quali sono i veri ecclesiastici da quelli ipocriti,
afferma che non è facile, vi sono degli infrangimenti mai disvelati e del resto non del tutto
condannabili come quelli messi in atto dai governi per salvaguardare il benessere o la sicurezza della
collettività “ragion di stato”; poi ci sono le vere e proprie bugie, come quelle in campo economico.
Poggio e Marsuppini lo riportano nel mondo ecclesiastico con una serie di racconti boccacceschi volte
a dimostrare che la strumentalizzazione delle res sacrae a scopo di libidine è un aspetto congenito a
un gerto genere di frateria. Il gusto della licenziosità spinge Poggio a concedersi una digressione con
la quale lascia balenare un approccio naturale al problema etico, con la lussuria si dovrebbe essere
indulgenti, debolezza molto diffusa. I consigli che l’abate da sono: diffidare dalle conversioni
improvvise, dalle manifestazioni troppo plateali di devozione, dalla goffa rigidezza di chi non sa usare
che la comunione quale schermo dietro cui nascondere la propria depravazione “essere buoni è
difficile etocca solo a pochi”. Marsuppini sposta l’attenzione ai monaci, afferma che molti si sono
costruiti una reputazione austera per spianarsi la strada verso gli alti posti di comando anche se a
lungo andare il carattere simulato della loro virtù è destinato a venire a galla soprattutto dopo aver
ottenuto quel che volevano. La carriera ecclesiastica era il principale fattore di mobilità sociale. La
ricerca di autosoddisfazione si agita nei recessi dell’anima di qualsiasi essere umano, anche di chi lo
nega a parole, ma che poi gongola se vengono riveriti e compiaciuti, sono i più meschini, molta parte
dell’impostura fratesca è dovuta alla semplice renitenza al lavoro a cuispesso di accompagna
un’instabilita che conduce al vagabondaggio, magari spacciato per pratica di penitenza(Nietzche). Il
difensore de clero chiede perché oltre che ha parlare di coloro che nella chiesa peccano non si parla
anche di esempi di santità, la risposta di Poggio afferma che i frati buoni non provengono dalla curia
romana e non godono di visibilità; il potere risiede nei peccatori, nei malvagi. Guidato dal giudizio
indipendente ell’Io a poggio non importa scandagliare la religione ma la religione come forma di
potere dell’uomo sull’uomo, un clero moralmente deplorevole che si impara all’ombra del proprio
stato privilegiato. Non è l’anticlericalismo la molla che lo spinge ma il liberalismo soggettivo; vuole
mostrare che il suo pessimismo non è assoluto ma strutturale, per questo fa una lode del cardinale
Niccolò Albergati, sapendo che sarebbe stato gradito dal nuovo papa, non per ruffianeria ma per
dimostrare il suo pensier, per questo segue un modello negativo assai più caricato di attrattiva
gnoseologica, contro il movimento osservante in piena espansione nei diversi Ordini religiosi;
interpretato non come segno di una fioritura della vita spirituale ma come principio regressiva
destinato a introdursi come una carie nella Chiesa e nella società; il successo dell’osservanza è il
trionfo della pusillanimita e dell’ignoranza volontaria, ciò si vede da un semplice sguardo agli adepti e
dalle motivazioni da cui vengono spinti; raramente si troverà qualcuno di loro realmente disposto a
migliorare moralmente, i più appaiono dei falliti e dei disperati; ui tratta di Giovanni Dominici, qui
collocato non per le sue idee ma per la sconcertante testimonianza che rese col suo comportamento;
non gli può negare l’irreprenibilità personale ne l’azione benefica svolta dal pulpito; indenne ai vizi più
volgari ma affetto dalla vanagloria, proto ad abbassarsi ad adulare il papa pur di ottenere cariche più
alte. Il dialogo si chiude con Matteo da Agrigento, mensione oper la presenza d’animo con cui dopo
essersi macchiato di simonia comprando il vescovato di Catania riuscì ad abbindolare Eugenio IV che
lo aveva chiamato a Roma per chiarimenti, finse di aver ricevuto un miracolo per cavarsi d’impaccio e
convertire in segno di santità una menomazione fisica.
L’ascetismo non è più una virtù
La tendenza caricaturale di Poggio giunse al parossismo e per questo sconfina nella
falsificazione(Matteo di Agrigento personaggio molto stimato, idea per Dominici e per papà Eugenio
IV)realtà più complessa e confortante di quella offerta da Bracciolini; vi sono aspetti di autentica
grandezza in questi personaggi, certo accompagnati anche da episodi di bassezza morale. Viene da
chiedersi il motivo di tanto astio, Francesco Bruni scrive un opera intorno al problema delle ricadute
socioculturali dell’azione pastorale degli Ordini mendicanti in Italia tra tardomedioevo e rinascimento.
Va tenuto conto che ciò che muoveva gli umanisti era il desiderio di rinnovamento generale della
società e della cultura e che quindi era ovvio che si scontrassero contro gli ordini dell’osservanza che
volevano un ritorno alla Chiesa vera della tradizione ma che di per sé non erano corrotti, anzi,
andavano incontro alle esigenze della collettività anche quella meno ambiente, dove, di fatto, gli
umanisti non operavano, sentendosi sempre più a loro agio tra le alte schiere di governo, tra la parte
alta dell’umanità, pervasi dalla volontà di far grande l’uomo, nella sua individualità ma che poco
sapevano relazionarsi con la miseria in cui molti uomini si ttrovavano, che li rendeva angosciosi. Tolto
questo si evince la natura pessimistica di Poggio; a muovere gli uomini è la volontà di
autoaffermazione, che può all’occasione paludarsi di disprezzo del mondo ma che in realtà obbedisce
alle stesse regole della Sensualità più carnale e punta quindi a inseguire conquiste sempre più alte,
fuggendo la diminuzione e la perdita. Va in opposizione alla vista cristiana della vita come occasione
di conversione, l’uomo non cambia per effetto della Grazia. Il disincanto dello sguardo Bracciolini anno
apre le porte all’istanza della serietà come rispetto di un inoppugnabile bisogno di corrispondenza tra
dire e fare; con lui cadde l’idea del Contemptus mundi e l’ideologia della sancta rusticitas; così
l’umanesimo si può affermare come espressione di un laicismo irriverente e a tratti distruttivo ma
fedele al postulato della sincerità animi, della coerenza tra dimensione esteriore e dimensione
interiore dell’individuo, già iniziato con Petrarca e Salutati ma che con Bruni e Bracciolini si dichiarò
nemica di qualsiasi regime di eterno-direzione della coscienza. Possiamo trovare un’eco della
battaglia umanistica conto la sancta rusticitas o pia igiranza in un passo del Cortigiano di Baldassarre
Castiglione in cui viene toccato il flagello dell’ignoranza volontaria.

Letteratura e saggezza
Conoscenza introspettiva
Da molto tempo la storiografia I cerca nel Medioevo la nascita dell’individualità che rappresenta uno
dei tratti più caratteristici della mentalità moderna; si sono individuati segni di un approccio
individuale nella spiritualità religiosa del XII sec, soprattutto nella scuola cistercense e nella poesia
cortese, anche se qui si tratta di individualismo eroico; diverso da quello critico che nacque con
l’umanesimo tra XIV e XV sec. Movimento di riscatto della letteratura e rappresentazione dell’uomo
nella dimensione dell’ipseita; già nel Medioevo si conosceva il valore dell’intrattenimento e il
potenziale didascalico della letteratura che con l’umanesimo si arricchisce. Auto-sussistenza dell’Io,
finalità dell’umanesimo(Batkin)e la letteratura fu l’ambito dove questa finalità venne più perseguita
con libertà creativa. Umanesimo come pedagogia del ceto evoluto di una società urbanizzata e
opulenta, dinamica e aperta al rischio; voleva Forgiare un individuo indipendente non inerme e
ricettivo o supino al mondo ma propenso ad agire in senso trasformativo. Il criterio che lo muove è
l’opportunità razionale e si baserà sulle proprie risorse. Tutto questo è bene sottolineato dal riuso
della dignitas hominis elaborato dalla Patristica e conosciuto nel Medioevo, che venne collegato al
problema della riuscita individuale nel contesto di un mondo fluido, in cui tutte le possibilità sono
aperte, nel bene e nel male, nella gioia e nella miseria. Portato al compimento da Pico, ci mostra
come l’Io dotato di ragione e volontà non escluda la fede in Dio; molti autori umanistici fanno della
proprio intelletto una missione divina, alcuni perché ci credono davvero, altri solo per essere meglio
ascoltati dal popolo. Il testoletterario doveva prima di tutto svolgere il senso di libertà come
indipendenza di giudizio. Per Petrarca la formazione culturale è un fatto di predilezioni personali e non
di conformità a un canone calato dall’alto(lista dei libri mei peculiares). Il dato della corrispondenza
tra indole personale e scelte praticate nella sfera del privato, correlato al senso dell’ipseità, ossia la
consapevolezza per il lettore di rappresentare un destino unico e irriducibile a schemi predefiniti.
Autoscoperta che i successori utilizzarono come funzionale al processo di individuazione. A seguito di
una discesa nell’intim implicate pazienza e sofferenza l’Io può giungere alla coscienza della propria
abissale originalità maturando una rinnovata connessione con la propria personalità; l’Io ha però
anche delle risorse con ci proteggersi, come la cultura intesa come via all’autoedificazione, Avent un
punto di forza nel commercio fruttuoso con autori e testi prediletti. Nel Medioevo vi era sono una
fascia acculturata, quella dei chierici e caratterizzata dalla lettura per la coscienza teologica
considerata come l’unica forma di attività intellettuale veramente degna di interesse; fu proprio dal
medioevo scolastico che l’umanesimo si discostò in maniera radicale; la Scolastica fu un fenomeno di
straordinaria rilevanza, con cui filosofia e letteratura vennero assorbite entro un sapere che risultava
dominato dalla teologia regina scientiarum; l’intera conoscenza era del domino della religione, dove
tuttavia l stato possibile vedere un Umanesimo medievale, che era però agli antipodi di quello
petrarchesco; con la scolastica tutte le discipline, compresa la scienza, erano soggette alla teologia e
alla religione di cui si sottolineava il carattere di perennità; si affermò un metodo di insegnamento ex
cathedra volto a perpetuare un quadro di conoscenze che si presentavano come parti organiche di un
sapere costituito; al discente spettava appropriarsi docilmente di tale patrimonio nl l’integrità della
sua struttura, penetrandone l’articolazione interna e ripetendone il formulario con l’ausilio della
capacità mnemonica; l’organi privilegiato era pripriola memoria, e la virtù più indispensabile la
ricettività e la disciplina. Da cui l’opposizione dell’umanesimo che riabilita la letteratura come
autonomo mezzo della realtà umana; letteratura con i connotati della filosofia, esplorazione morale,
libera da ipoteche precostituite. Il dominio della teologia veniva visto come soffocante meccanismo di
precomprensione e di presunzione ce tutto potesse ricondurre solo alla religione. La filosofia è la
letteratura vennero più che altre materie poste sotto il domino della teologia perché era comunque
inevitabile il loro utilizzo, tuttavia si ritagliarono solo le parti utili per la dottrina, per la filosofia si
ritaglio l’aristotele religioso e degli autori latini si tenne il loro incarico di tramandato e di insegnati di
latino e di retorica; servavano per apprendere le competenze tecniche; la retorica divenne l’arte
dell’esposizione precisa ma pedestre, insieme di verità teoriche ma senza la convalida dell’Io discente
senza passione o commozione; poco interesse all’estetica Maa elaborò molti trattati, composti per
essere studiati, non letti o amati. L’autore medievale era un compilatore non un esploratore o un
narratore. Studio metodi o e disciplinato. L’umanesimo lo critico innanzitutto per la scarsità della
qualità dell’elaborzione retorica. E del suo creare un lettore condizionato a cui oppose un lettore
incondizionato anche estraneo al mondo accademico, che ben si colloca nel contesto dell’otium.
Riscoperta del tempo libero
Il primo territorio che contrapposte scolastici e umanistici fu l’etica che I secondi reclamavano come
di propria pertinenza, in quanto studio descrittivo delcomortamento umano che necessitava di
un’elaborazione retorica per diventare propulsore di progresso morale; la Scolastica la riteneva invece
pertinenza della Chiesa dato che trttatva la questione del bene e del male e del peccato. Gli studia
humanitatis vennero da Petrarca paragonati a quelli divinitatis in quanto esercizio di
autocomprensione che il soggetto compie a partire dalla rappresentazione riflessiva del vissuto
umano che è il fulcro della letteratura umanistica che prevede l’intrattenimento di un dialogo intimo
Ra lettore e narratore possibile solo nel contesto dell’otium. Lettura individuale in una condizione di
isolamento e di dismissione delle cue ella quitidianità per far ritrovare al lettore la libertà di disporre
incondizionatamente della propria mente. Nel Medioevo cristiano il mondo claustrale aveva rimosso la
funzione dell’otium sostituendolo con il momento dedicato alla preghiera meditativa, la lectio divina e
non vi era nemmeno quel criterio di privacy tanto amato da Petrarca peril momento di otium
letterario, che invece avveniva con letture ad alta voce davanti ad un gruppo di ascoltatori al posto
della lettura mentale nel silenzio del ritiro; ne tanto meno leggere i libri della biblioteca al posto di
averne una privata che venivano anche postillati man mano che venivano letti sui margini della
pagina(scriptura notularis)dei veri e propri discorsi con gli autori dei testi che leggeva, piuttosto che
glosse o pensieri “impressioni di ettura” o le ammonizioni che rivolgeva a sé stesso o a
unimmaginario pubblico di compagni lettori; diede il via a questa pratica che venne molto utilizzata
da altri autori. Nel De vita solitaria, Petrarca prese un abbaglio identificando il regime claustrale con il
regno delle libertà sovrana dell’Io, formula di esistenza alleggerita dai fastidi in quanto separata dal
l’umano consorzio visto come causa primaria dell'inquietudine umana; la condizione anacoretica non
prese nulla di penitenziale, come invece voleva la tradizione spirituale; al contrario mostrò di
vagheggiare l’eremitismo in quanto rimozione dei fattori disturbanti che impediscono all’individuo di
pervenire all’autopossesso. Mom vide il divario che corre tra la santità cristiana e l’atarassia predicato
dai saggi del paganesimo; ache Erasmo da Rotterdam inalzò la vita ritirata come cornice favorevole
all’autocontemplazione che si fece Monaco ma che poi se ne pentì e nel De contemptu
mundi(rifacimento della Laus eremi di Eucherio di Lione) celebra il monastero come luogo di pace e di
distacco dalle passioni perturbanti, utile per tratteggiare una condizione di libertà esteriore nella
quale perseguire il fine supremo della nobilitazione del proprio spirito con le lettere. Opera simile
quell di Petrarca, scritta quando il fratello Gherardo si fece monaco, De otio religioso, dedicato alla
comunità monastica del fratello, uno dei suoi testi più stereotipati e meno persuasiva in cui intese
grandi lodi verso l’alto saggezza su cui si fonda la fuga mundi; si riconosce l’autore sono il
cristianesimo di Cicerone nel 1° libro e le numerose varianti fenomenologica del sempiterno tarlo
della civitas vanitatum: una galleria di patologie comportamentali che affliggevano il passato come il
presente, nel 2° libro. Tuttavia quella che si vive nel monastero è una condizione di assenza dei
condizionamenti socio-economici accostabili all’idea le classico dell’otium cum dignitate. Tuttavia
sappiamo che Petrarca non la pensava davvero così dato che Monaco non diventò mai;
affiancamento dalla dipendenza psicologica dai propri simili che si mostra meglio nel De vita solitaria
in cui presenta l’ideale autarhico del saggio bastate a sé stesso, condizione di serenità che il saggio
raggiunge grazie alla rimozione delle cure legate alle incombenze sociali. Ebbe grande fortuna nel
300 e col movimento della Devotio moderna oltralpe che ravvisò nella sua istanza di raccoglimento
interiore, praticato con metodica regolarità, composto da laici o semilaici che intendevano trasporre
nella sfera dell’apostolato secolare alcuni valori antimondani del chiostro. Quello di Petrarca era simile
al raccoglimento dei Padri del deserto di un rasserenamento ottenuto con l’intelletto, ma che si
allontanava dal monachesimo nella ricerca di Dio, nella scelta alla vita contemplativa. Di fatto la
solitudine monastica umanista coicidero solo con Ambrogio Traversari(camaldolesi fiorentino) e Paolo
Giustiniani(camaldolesi veneziano)uomini di cultura che si inserirono nella vita claustrale e ne
trassero energia ascetica per coltivare gli studi; per il resto furono più coerenti le polemiche umansite
alla vita contemplativa, come quelle di Bracciolini e di Valla. Anche Salutati scrisse un trattatello in
onore della vita monastica, il De seculo et religione forse scritto per convenzione e circostanza.
Tuttavia la vita solitaria venne apprezzata dagli umanisti come contesto ottimale per la pratica della
lettura vissuto come colloquio intimo tra autore e lettore in modo che l’Io possa trovare l’occasione di
riprendere a tessere l’ordito della propria vita interiore aiutandosi con i buoni libri. Antichi come amici
disposti ad aiutare Petrarca nel momento del bisogno; lo stesso scrisse dei libri per la lettura
nell’otium, anche se alcuni di questi, come il Secretum, non sono stati pensati per la pubblicazione;
come le sue epistole che influenzarono Boccaccio, Salutati, Bruni, Bracciolini ecc alla raccolta delle
loro missive. Le Familiares, dedicate a Ludovico di Beringen, il suo Socrate, dato 1350, collocata
all’indomani della Peste Nera del 1348-1349. Le traversie di una vita funestata da molti mali hanno
negato quella pace tanto bramata; i giorni sono scivolati, amici sono morti(Laura) e con loro sono
state sepolte le speranze di un tempo, la vita non può più essere quella di prima. Era sorto in lui un
moto distruttivo; scampato all’orrore egli era stato preso dal desiderio di sbarazzarsi di ogni legame
con il passato dando alle fiamme appunti, carte, memorie, progetti pensati per un futuro diverso.
Troppe realizzazioni imperfette e non correggibili, troppi abbozzi il cui compimento procurerebbe ora
più fastidio che gusto. Una volta passata la tentazione di eliminare tutto, riaffiora l’amore che impone
la conservazione, il rispetto della pena di vivere, la pazienza, la ripresa. Il lume della speranza non è
del tutto spento, gli resta ancora qualcosa di degno da compiere, sente che è giunto il tempo di
rimettersi all’opera e seleziona le lettere che più meritano di essere salvate dalla dispersione da cui
trarne un monumento letterario da consegnare agli amici in dono per sostenere l’Io nella perenne
lotta contro il rischio di venire frantumato dalla sofferenza. Con questo Petrarca ritrova il gusto di
vivere e di scrivere, atti che sono una cosa sola e si promette di scrivere altre lettere da pubblicare,
non voleva rendere edie quelle passate. L’epistolario diventa per lui un’opera senza confini, come
l’esistenza, scriverà finché avrà respiro. Autoanalisi che si svolgerà con il confronto con altri esseri
umani vivi o morti(Montagne,Essais, nati come terapia del lutto dell’amico fraterno Etienne de La
Boetie, alter ego dell’autore). I fatti avvenuti avrebbero destato una più intensa passion di vivere
nell’intimo del lettore, donandogli quell’umana consistenza che nasce dal vivere con un Io affine,
provato ma non piegato dal dolore “se crollasse il mondo, impavido mi colpiranno le sue rovine”.
Scrittura come logoterapia
Nelle Familiares Petrarca afferma che la più alta prova da lui data di letteratura in funzione di
medicina dell’anima è il De remediis, in cui Nicholas Mann ha notato che nei momenti in cui ricerca i
benefici effetti della pratica colloquiale,che scritta o parlata rappresenta l’essenza della cultura
umanistica, sembr aver anticipato la logoterapia. Nel testo Petrarca afferma che qualsiasi atto di
conoscenza introspettiva, favorito dalla letteratura, deve servire alla buona vita e dunque deve
tradursi in azione pratica, attestazione tangibile di un progresso morale, altrimenti è vana
autoillusione e chiacchericcio. Edito nel 1366, fu l’opera con cui il pubblico rinascimentale riconobbe
maggior grado di utilità e più diffusa; ebbe una gran filiazione intellettuale, come i Libri profugiorm ab
erumna di Alberti, un repertorio di esercizi di continenza ossia rimedi contro pensieri negativi e
reazioni incontrollate per rafforzare l’io il quale deve imparare ad usare il potere che ha su sé stesso
per desensibilizzarsi davanti all’impatto perturbante della disgrazia che si Sita fuori dal suo potere;
ripresa di alcuni tratti dello stoicismo. Noi, nell’opera di Petrarca, possiamo vedere un uso terapeutico
della letteratura come salus animi. Si tratta del Secretum, mai pubblicato dall'autore che per Salutati
autorizza a fare di Petrarca un teologo, nell’accezione umanistica del termine. La circostanza che lo
spinse a scrivere l’opera fu l’ingresso in monastero del fratello Gherardo nel 1343 a cui risalgono
anche i Plasmi penitentiales. Ma forse la stesura l dovuta anche alla crisi esistenziale che attanaglia
l’autore dopo la morte di Rioberto di Napoli e dl tramonto del progetto di diventare, con l’Africa, il
poeta aulio un sovrano-filosofo animato da un grandioso progetto politico-culturale si impronta laica e
augustea. Il Secretum riflette le ambasce di una coscienza bisognosa di un riordinamento, di una
nuova partenza; vuole dare veste letteraria ad un argomento introspettivo come l’esame di
coscienza, perseguito anche a costo di cozzare contro una dolorosa aporia nel caso in cui fosse
occorso all’autore di riscontrare una mancata corrispondenza tra le verità salvifiche con i correlati
comandamenti morali ai quali l’Io vuole conformarsi per fede e quei reconditi desideri narcisiti che
rappresentano il sotterraneo movente del suo comportamento, inficato da depressione. Non essendo
destinato alla pubblicazione Petrarca non dovette difendere i suoi pensieri con accozzamenti di ideali.
L’opera presenta la forma di un sogno, nel corso del quale appaiono: una figura femminile, la Verità in
persona; un vecchio che è S.Agostino di Ippona con il ruolo di padre spirituale che deve reindirizzare a
una considerazione più matura le insufficienze morali di Petrarca, preludio di una piena ed efficace
conversione; Agostino assume qui lo stesso ruolo che nei suoi Soliloquia aveva assunto la ratio
redarquens; oltre a lui il debito maggiore lo ha con il De amicizia di Cicerone com’è esplicitamente
dichiarato, oltre che alle Tusculanae Disputationes e il De tranquillitate animi. Nel testo non mostra
reticenze nel riconoscere le sue cadute e nel palesare isuoi travagli, opponendo ai rimproveri della
sua guida se non le proteste della propria sincerità, che lo spinge a dichiarare l’impotenza strutturale
di una volontà zoppa. L’imputao non nasconde la propria condizione irrisolta che vede muoversi nella
propria interiorità 2 soggetti contrastanti: un Io volente, anelante alla santità e un Io torpido,
psicastenico che sente di non poter volere. La consapevolezza della propria malattia interiore serve
solo a evocare un desiderio di guarigione che diventa causa di nuova sofferenza per l’impossibilità
pratica contro ci urta, sbriciolandosi. L’autoesame dell’Io è impietoso e si fermasolo dopo aver toccato
il nucleo fangoso che avvelena la sua esistenza crogiolandosi in una malsana voluptas dolendi: la
sorgente del malessere interiore che si manifesta nello spirito rinunciatario e nell’accidia che
compromette ogn serio tentativo di migliorare la propria vita. Troppo occato a riconoscere i propri
desideri il peccatore non si preoccupa molto di conoscere e amare i desideri di Dio e di rettificare la
propria personalità sulla base di essi, la pigrizia lo fiacca e che lo porta a considerare inevitabile un
tarlo di cui non conosce neppure l’origine per propria noncuranza. A questo non vi è alcuna risposta
eroica dell’Io. Il finale non vede l’apparizione della Grazia ne l’autore prende decisioni che tagino col
passato segno di una svolta o alcun pio proposito di ravvidamento vi è invece un concedo discreto e
banale con il quale Agostino restituisce a Petrarca la quotidianità ammonendolo a una più vigilante
saggezza. Redarguito Francesco torna alla propria vita con una nuova carica di speranza ma senza
attese irrealisiche nei confronti della propria pochezza. Anticipa l’esistenzialismo cristiano e la
metafora del naufragio. L’opera si richiude con una ripresa(Kierkegaard): un invito a ricominciare
daccapo l’avventura di una vita non decifrabile e priori e mai afferrabile totalmente nel corso del
tempo storico in cui è calata. Diede fondo alla sua poetica a della philopsychia, dell’attenzione
compassionevole alla propria anima(psicologia moderna della cura di se o del narcisismo, Pierre
Bayle, De la tolerance in cui assunse il ruolo dell’avvocato difensore della coscienza errante,
reclamano per essa il pieno rispetto da parte delle altre coscienze individuali che si auto-
presuppongono come portatrici di verità e di certezza ma che sono costitutivamente fallibili, al pari di
essa). Filone dell’individualismo coscienziale, tra gli sviluppi della rivoluzione dell’umanesimo
rinascimentale con la sua risignificazione dell’antica pratica filosofico-religiosa del Soliloquia
Coscienzialimo
La spiritualità umanistica rilancio la via ideologica all’esperienza religiosa(Dio riconoscibile nei recessi
della coscienza, come bisogno di verita) portata al culmine da Agostino a discapito di quella
ontologica(dio rintracciabile nella trama dell’Essere)prediletta dalla Scolastica. L’umanesimo favorì il
recupero dell’antico procedimento di rientro in sé stessi e di ricerca delle tracce della presenza e della
parola del Creatore, quale il divino perennemente dialoganti con l’Io umano. Apparentemente si trattò
di un rilancio di modalità introspettiva consueto alla teologia del Medioevo; la differenza stava nel
fatto che ora tali espereizna vennero messe alla portata di un lacat oclto tendente al razionalismo
semplificatore. La psicologia religiosa dell’umanesimo concourse a imporre la coscienza di sé come
primo requisito dell’autentica devozione e tese a condannare l’atto della volontaria dimenticanza di
sé nel quale percepì un detestabile risvolto della sancta rusticitas, imposta come un valore pseudo-
religioso da parte dei disgregatori della natura umana. Rifiuto dell’eteronomia, in mode della coerenza
tra sfera esteriore e sfera interiore dell’uomo; 2 realtà che andavano unificate assegnando il primato
all’interiorità, rinascita della cultura animi della classicità; importanza dell’intenzionalità.
L’autocostruzione morale dell’Io ebbe molto successo a testimonianza che risulta in sontonia con il
bisogno di formazione che pervade il pubblico non solo accademico ma delle categorie più disparate,
a testimonianza della grande mobilità sociale del tempo. Il coscienzialismo petrarchesco si può
considerare come la divulgazione in ambito laicale di ua spiritualità introspettiva, sorta all’interno del
monachesimo e strettamente connessa alla pratica della meditativo come preambolo alla conoscenza
di sé alla luce dell’amore di Dio; i monaci di XI e XII sec misero al centro della loro attenzione le
pulsazioni di un’entità soggettiva autoriflettente definibile come coscienza; tuttavia non venne
approfondita come innalzamento dell’Io ma come suo abbassamento; l’introspezione era vista come
una scuola di humilitas poiché rendeva agostinianamente edotto il soggetto di quanto fragile,
bisognoso e irriducibilmentepeccaminoso fosse il suo cuore. Fino al XIV sec la produzione filosofico-
religioso degli scrittori claustrali non ebbe circolazione all’esterno dei monasteri per questo la
ricezione dell’istanza autoconoscitiva ebbe luogo con un certo ritardo da parte del laicato colto
d’Europa; per questo l’opera di Petrarca allarga così tanto i fruitori anche se il coscienzialismo
ell’autonomia di pensiero petrarchesco fu diverso da quello della humilitas purificatorio, funzionale di
pietas contemplativa monastica come la Imitazio Christi. L’io poteva tormentarsi e deprimermi ma
era cosciente di detenere un orimato di ordine etico e gnoseologico sugli oggetti ella sua esperienza.
Aprì le strade alla modernità come propensione all’uso delle energie trasformati ci racchiuse in
ciascun Io, porge le chiavi della comprensione di sé e del domino intellettuale sull’ambiente;partendo
dalla considerazione di cos’è e di cosa può diventare la persona umana. L’umanesimo si presentò
come via all’elvazione di sé a discapito di un mondo e di una tradizione che vennero relativizzati;
compimento di un proprio peculiare destino che si gioca prima sulla terra e poi verso l’eternità.
Il De verecundia di Coluccio Salutati
Il coscienzialismo ha una lunga storia nella cultura occidentale e nel rinascimento ebbe un rilancio ma
non fu campo solo dell’umanesimo ma tutta la società iniziò ad interessarsi della coscienza
soggettiva, indizio di una mutazione culturale. È la stessa epoca in cui la Chiesa elabora un genere
teologico-letterario destinato a crescere di importanza e ad avere lunga vita, le “somme”; in questi
repertori di teologia morale applicata alle circostanze del vissuto del singolo penitente possiamo
ravvisare un passaggio dall’astrattezza della speculazione dottrinale, così come veniva praticata nelle
università, alla preoccupazione di andare incontro alle concrete esigenze personali dell’individuo
protagonsta di un cammino di conversione che andava capito nella sua particolarità e corretto nelle
sue specifiche erranze. La centralità della coscienza individuale si impose nell’arco del tempo tra XIV
e XVI sec nella cultura laica ed ecclesiastica. La differenza dei 2 approcci può essere misurata
analizzando un gioiello del coscienzialimo umanistico del trattatello De verecundia di Coluccio Salutati
del 1390. Tema trattato: scrupoli di coscienza e della problematica validità che tali mozioni rivestono
in quanto segnalatori dell’autentica condizione morale dell’individuo. Non troppo diversamente dai
teologi e dai confessori si addentrò a scandagliare i labirinti della verecundia, termine con cui si
indicava la predisposizione a mostrare fisicamente vergogna o imbarazzo, mossa dal quesito se essa
debba interpretarli come vizio o come virtù, anche Dominici innalzò la verecundia ma il bacino di
informazioni a cui attinse fu certamente più scarso di quello di Salutati che utilizzò molti exempla
tratti dal repertorio dell’antichità classica a dimostrazioni che anche al tempo erano ben visibili alcune
costanti etiche degne di essere ammirate e utilizzate per l’educazione morale dell’umanità attuale,
beneficata dalla rivelazione cristiana ma pur sempre bisognosa di essere risollevato dal degrado in cui
pare stagnare; nei grandi eroi del passato l possibile vedere la coscienza morale a un livello tale da
renderli oggetto di ammirazione imitativo; disinvoltura nel mischiare sacro e profano che infastidì la
Chiesa segno di una caduta di fiducia nella persuasiva dell’agiografia cattolica su cui si basò poi la
Lucula noctis. La maggior differenza tra Salutati e la cultura ecclesiastica stava neell finalità
assegnata all’operazione introspettiva e di riflessione nei modi con cui essa andava condotta;
L’autoesame viene compiuto da un Io ritenuto giudice unico e assoluto di sé, mentre la tradizione
cattolica deve renderne conto a un’autorità giudicante che è la Chiesa. Alla fine vi era comunque il
pentimento ma che nel testo di Salutati non avviene con l’atto sacramentale della confessione in cui
possiamo vedere l’autosufficienza del soggetto; per curare la paralisi dell’Io non servono contrizione o
preghiera o penitenza ma cultura, intesa come cultura animi ossia lavoro su se stessi, poggiate
sull’autoconoscenza come motore di autocritica e progresso. Non viene nominato l’indebolimento
dovuto al peccato originale n dell’assistenza misteriosa della Grazia in un percorso di guarigione dalle
malattie dell’anima come quello descritto nelle Confessioni di Agostino. L’esito di Salutati lascia
intravedere una possibile convergenza con gi intenti della pastorale ecclesiastica attraverso la
riscoperta della pudicizia e del ritegno, le manifestazioni esteriori di tale senso del pudore, come il
rossore o l’imbarazzo, sono il filo che collega il dentro e il fuori di una persona moralmente pulita e
non doppia, segnale della presenza di una coscienza morale, per questo loda la verecundia non come
virtù ma come passione che fa onore a chi la sperimenta è manifestazione di un inclinazione interna
al bene, solo se si tiene lontano dalla timidezza e dalla pusillanimità ma oeriantata a grandi valori
etici così da diventare una protezione contro le cadute e un principio di autocontrollo, se unita al
raziocinio si converte in principio di prudenza e assurge ai più alti livelli di moralità. La lode del pudore
era un passaggio chiave e obbligatorio per la ricostruzione di una pedagogia morale. Dedicatario
dell’opera è Antonio Baruffaldi da Faena a cui raccomanda i prendere la coscienza individuale quale
bussola e timone della propria esistenza. La coscienza è la migliore pietra di paragone per l’uomo
morale ed è una parte di lui, non un terzo come invece aveva suggerito Seneca. Da questa lezione
viene la messa a fuoco del ema della sincerità animi di Bruni alla fine dell’Oratio adversus hypocritas
in cui sottolinea la centralità della coscienza nella vita individuale che definisce giudice interno che
avverte la congruenza tra propositi e azioni e risponde autorizzando la contentezza in caso positivo e
provocando tristezza in caso negativo. Questi sentimenti genuini non vedeva più nella Chiesa e
nell’affioramento di una gioiosa serenità, frutto di una coscienza integra, egli indicò una
testimonianza di vita cristiana assai più persuasiva di quella santità miracolosa che i predicatori del
tempo sbandieravano dal pulpito. Convinzioni che Bruni inserì anche nella lettera per Niccolò
de’Medici con cui spiego che la vera bontà è uno stato interiore dell’animo umano e non un’adesione
esteriore a forme stereotipate di comportamento che le condizioni comuni fanno ritenere pie e sante.
La pratica umanistica dell’esame autocritica vennero usate anche da Francesco Guicciardini
nell’Oratio accusatoria e nell’Oratio defensoria con cui si propose di fare chiarezza attorno a sé e alle
proprie azioni.
Il filone morlaistico
Impronta moralistica sempre connaturata all’umanesimo. Quondam definisce il moralista: non
classificabile, non è filosofo, non è teologo morale, non professa alcun paradigma religioso ,a solo
interessi intellettuali; è un saggista che incarna lo spirito di ribellione contro gli esiti inesatti, allergico
agli incartamenti e alle visioni, ostile alla filosofia dei filosofi pur essendo insegnatedella sapienza,
preferisce ragionare terra-terra; il suo procedere è rapsodico e intuitivo, refrattario alle
generalizzazioni, asistematico; il suo sguardo l fortemente attratto dai frammenti più fortuiti e
inesplicabili dell’esistenza. Peculiare del letterario moralista è l’ipersensibilità che segna la condizione
umana e che la immerge in un mare di contraddzioni. Il suo occhio è infallibile e la sua penna
fotografica nel ritrarre l’insopprimibilità delle passioni più sordid e che fanno guerriglia ai nobili aneliti
al bene. La contraddittorietà dell’individuo concreto, svergognato dalle inadeguatezza più banali è
usata come leva per scardinare certezze di stampo fideistico, unite a pretese sovraumane e protette
da tabù e interdizione di tipo parareligioso. Venne ispirato da Riccardo Fubini, Umanesimo e
secolarizzazione, tratta l’essenza emancipatoria dell’umanesimo dell’esordio, il vero umanesimo si
sviluppò nelle città-stato, non nelle corti, il comune denominatore dell’esperienza umanistica viene
visto nell’atteggiamento psicologico trasversale, indipendente dal contesto politico-costituzionale in
cui vissero i suoi protagonisti e derivante da una necessità intrinseca del processo di emancipazione
della coscienza soggettiva avviato da Petrarca; potremmo definirlo moralismo negativo; a sorreggere
il suo rapporto antagonistic con l’ambiente storico-politico è un’antropologia antimetafisica,
refrattaria al riconoscimento di un senso spirituale alle azioni umane, ottica immanentista e non
disposta a riconoscere un significato soprasensibile agli eventi. Naturalizzazione della visione
dell’uomo che si fece orizzontale al posto che verticale del Medioevo. Privando il comportamento
umano di qualsiasi componente soprannaturale la moralistic a negativa umanista ne consentì la
giudicabilità sulla base di un criterio puramente fattuale, dominabile coi mezzi della ragione empirica;
utilizzando chiavi di lettura non tradizionali o cristiane: utilitarismo, edonismo, eudemonismo
autosoddisfattivo, narcisimo, brama di onori e di averi. L’antropocentrismo rinascimentale ha un
risvolto sia ottimista che pessimista. L’unico canone di credibilità nel valutare il comportamento altrui
venne preso nella corrispondenza tra le parole e le cose, ossia dalla persuasività del soggetto
parlante e che viene osservato; la discrepanza tra dire e fare è caricata di un’accentuazione beffarda;
Fubini qui vede una secolarizzazione o disincantamento, sintomo di modernità che poi riscontra anche
nelle opere di Petrarca, Bracciolini, Valla. Il primo 400 segno in Italia una tappa El processo di
laicizzazione della cultura europea, passante attraverso la desacralizzazione della gnoseologia e
dell’etica, della tradizione cristiana custodita dalla Scolastica. Tendenza che si mosse con un
atteggiamento di irriverenza verso il clero e le credenze religiose. Il moralismo fu inizialmente un
revival dell’antichità ma non un recupero archeologico ma come un esame veritativo delle passioni
umane nel loro rapport con la libertà e con il valore dell’individuo, senza più vincoli di subordinazione
ai postulati della tradizione in materia etica e gnoseologica; ma con unavena pessimistica piuttosto
accentuata, come il filone anti-ottimista di Petrarca messo in luce da Mercello Montalto; in parecchi
autori del 400 è ricorrente la denuncia di un degrado in atto nel momento storico presente: tips
dell'ignoranza delle masse popolari, ma senza risparmiare nemmeno i potenti, Bracciolini, De
infelicitate principum, che tratta in modo implacabile dell’irrazionalità come fonte di miseria e di
insicurezza che nei potenti trova il suo santuario e che necessita della più grande astuzia per essere
occultata. Tanto più è acceso il pessimismo della visuale tanto più sono aspri gli attacchi alle
deformazioni della società, vers il sovrano vizioso, sordo a qualsiasi chiamata di evolversi
moralmente; Momus di Alberti, esempio di satira della molle ottusità dei governanti(Guarino Veronese
parla della rozzezza che imperava ovunque nella società ma specialmente ai vertici). Tra la pigrizia
del volgo e l’inettitudine dei potenti vi è un fattore in comune: la rinuncia a prendere sul serio la
chiamata a diventare persone veramente umane, ad acquisire saggezza e ragionevolezza mediante
uno sforzo implicate il lavoro su se stessi e la lotta con il mondo; desiderio di difendere le più alte
potenzialità morali dell’uomo che non si sviluppano per forza di inerzia ne per privilegio sociale ma
esigono di essere onorate mediante una risposta totalizzante all’insegna dell’impegno personale
senza riserve. L’umanesimo sorse come lotta conto la sub-umanità percepita come piaga per l’intera
comunità civile e si propose la rettificazione di una serie di tendenze intellettuali considerate nocive,
alle quali esso imputava la responsabilità del degrado della storia presente. Con la sua propensione
antimetafisica e avverssione alla Scolastica, esso ridusse a un repertorio puramente
comportamentale, associato a distorsioni di tipo culturale, la fenomenologia del male diffuso nella
società, interpretato moralisticamente come elenco di vizi da correggere. Un miglioramento della
storia umana è sempre possibile a partire dall’uomo e agendo sul suo intelletto e sulla sua
personalità.

Filosofia come esercizio privato


Libertas philosophandi
La celebrità di Petrarca nel rinascimento è dovuta al suo essere filosofo, di fatti Salutati per
omaggiarlo lo definì cultore di filosofia, quella vera, degli antichi, non quella pacchiana del presente
ma quella che si basa sull’autarkeia degli storici, sul dominio dei vizi; che lungo il Medioevo non era
stata abbandonata ma accantonata in favore di una filosofia di tipo propedeutico e condizionata da
finalità sovradeterminate risalenti a una visione teologica che scaturita dalle direttive pastorali
ecclesiastiche; non era concepito il libero pensiero. In antichità la filosofia era ritenuta al pari della
spiritualità, ossia la coltivazione della propria personalità interiore che l’adepto di una certa dottrina
compiva attraverso l’approfondimento di una coerente visione del mondo, accompagnato da un
percorso morale di tipo purificatorio. La Patristica cristiana ritenne che la vita filosofica e la
conversione cristiana fossero molto vicine, quasi la stessa cosa, tanto da definire il cristianesimo
“vera filosofia”e dalla nascita dei monaci-intellettuali come i Padri Cappadoci. Questa coesistenza
venne meno probabilmente da quando l’imperatore Giustiniano nel 529 chiuse l’accademia platonica
di Atene da cui si ha l’inizio del disprezzo della filosofia in nome dell’autosufficienza della fede
religiosa. E nei secoli successivi la filosofia finì in disgrazia in favore della teologia imponendo il
silenzio alla libertà di opinione del mondo laicale; pensiero su cui la religione teneva il Monopolio. Nel
programma degli studi dell’alto medioevo la filosofia era presente ma in maniera invisibile, era
utilizzata nella sua dimensione tecnica, come addestratamento del pensiero per insegnare a
ragionare secondo categorie logiche non come stimolo a pensare con la propria testa; venne depurata
dalla componente zetetica(=ricerca)che era il perno dell’attività filosofica nell’antichità. Si perse la
libertas philosophandi ossia la libertà di ponderare, affermare e respingere di cui il soggetto pensante
era riconosciuto depositario, così come scomparve la diatriba, il genere compositivo del libero esame.
La filosofia come prerogativa personale e intima nella ratio studiorum medievale venne incanalata nel
sistema delle interdizione religiose. La causa fu la clericalizzazione del sapere; dopo l’età del
monastero e della scuola cattedrale dell’Alto Medioevo si hanno le università: istituto di alta
formazione pur sempre fondato sopra una serie di privilegi ecclesiastici posseduta dal vescovo locale.
Tra XII e XIII sec, con la Scolastica, giunse a maturazione il processo di assorbimento della filosofia nel
sistema pedagogico del cristianesimo; teologia come regina dei saperi; tuttavia uno stralcio della
filosofia vi era ancora, almeno in Aristotele in tutte le su parti(fisica, zoologia, cosmologia..)tant’è che
pareva una riscossa della filosofia sopra le altre scienze. Ma in realtà si trattò di un’affermazione non
della filosofia in quanto tale ma del sistema aristotelica insegnato secondo uno spirito dottrinario,
volto a impartire dogmatica mente le teorie di Aristotele come propedeutica agli studi superiori,
illustrano il pensiero di Aristotele. Approccio al sapere di tipo analitico-deduttivo, una concatenazione
di applicazioni particolari desunte da grandi schemi precostituiti che il discente assimilava
passivamente sulla base un presupposto: quello della trasmissibilità della sapienza per via nozionitica.
L’apprendimento della grammatica e della retorica latina venne accantonato in favore dell’eloquio, a
discapito dell’eleganza e della ricchezza della comunicazione(Dialogi ad Patrum Histrum di Bruni
intorno allo scadimento dell’arte della disputa nel 300). L’adozione del Metodo aristotelica fece fiorire
una nuova disciplina, …disputatrix(p.273)bersaglio delle polemiche di Bruni. Per effetto dello
specialissimo la disputa perse qualsiasi connotazion estetica e risultò avulsa dalla dimensione
interpersonale. La Scolastica assunse un carattere teorico e didattico. L’esito fu il divorzio tra ricerca e
formazione, tra specialissimo dei dotti ed esigenze educative di una società in forte cambiamento.
Non cancello l’impronta indagatoria e discorsiva ma fu il riflesso di un approccio alla conoscenza che
tendeva a mettere in ombra il fattore della personalità individuale per un sapere enciclopedico,
onnicomprensivo e autoriproduttivo al servizio di una societas christiana nella quale i dotti, come
qualsiasi altra categoria socio-professionale, erano chiamati ad inserirsi in uno spirito di organicità
che avrebbero dovuto difendere e perpetuare; approccio alla realtà, tipico de pensiero cristiano
medievale: ontologismo, primato dell’Essere sugli enti particolari, compresa la soggettività umana.
Venne obliterate l’ipseità, ossia il senso dell’individualità. Il percorso di Petrarca come filosofo fu
tortuoso e a tratti giocò a parti rovesciate, tanto da ripudiare l’epiteto di filosofo che scagliò contro i
suoi avversari(aristotelici e averroisti)di fatti lui desiderava far tornare il termine filospo alla vecchia
concezione che avrebbe accettato e disegnava quello attuale. Di fatti il termine era stato coniato da
Pitagora per indicare non i possessori della sapienza ma coloro che, riconoscendosene privi, la
ricercano e la amano; il termine era contrassegnato da umiltà gnoseologica. De vera sapientia,
trattatello che circolava sotto il nome di Petrarca ma composto da un ignoto falsario nella seconda
metà del XV sec copiando l’Idiota di Cusano. Petrarca combattè il naturalismo antiprovvidenziale degli
avveroisti ma non si manifestò meno insofferente verso la metafisica della tradizione cristiana,
rotante attorno al primato della teologia come regina scientiarum. Dissidio che si manifestò con la
ripugnanza alla Scolastica come bardatura del linguaggio e del pensiero che da lui passò in eredità ai
suoi seguaci. Il gesto petrarchesco di dissociazione della cultura dominate venne compiuto in nome
della riscoperta di un sapere di altra natura: un sapere che doveva servire a compiere la personalità
di chi lo coltivava. Conoscenza chiamata a farsi sapienza ed era qualificabile come philosophia.
Restaurazione semantica ella vita filosofica
Senso della fallibilità
L’obiettivo sempiterno della vita filosofica si riassume nella formula del migliorarsi; il filosofo è colui
che vuole diventare una persona di valore innanzitutto per sé; attività intellettuale senza dubbio
multiforme e forse disorganica ma che trovò un principio di unificazione nell’amore della verità e del
bene. Per questo Petrarca si sentì libero di formulare giudizi di grave insufficienza verso tutte quelle
proposte che, una volta messe alla prova, non si rivelano all’altezza delle sue aspettative e scaratet.
Nulla andava creduto per partito preso, persino i maestri potevano essere ritenuti scadenti, come
Aaristotele di cui lamenta l’inutilità dello scetticismo per chi, come lui, in un filosofo cerca solo un
modo per migliorarsi; ne esci più istruito ma non migliore e per questo bocciato come filoso, insieme a
tutti i suoi discepoli contemporanei. Avversione ad Aristotele non come autore ma come auctoritas,
fondamento e simbolo di un sistema di sapere profondamente inibitori della soggettività come
desiderio di elaborare una propria visione delle cose. Respinse il principio di autorità e si spinse lungo
la via umanistica della costruzione di sé, della propria individuale forza creativa con la bussola dei
buoni maestri antichi(Seneca,Cicerone,Orazio) che non teorizzato la virtù in astratto, come Aristotele
ma la vivono e la mostrano all’opera, la loro felicità nell’uso dei mezzi espressivi, cattura la mente del
lettore di ogni epoca, la risolleva e la orienta al bene non grazie al ragionamento ma con
l’identificazione e la condivisione del filosofare insieme(Accademia di Platone), anche tra epoche
diverse, tra vivi e morti. Primato della volontà e delle mozioni affettive nella vita della coscienza; il
maestro l un compagno di viaggio non uno che parla dalla cattedra che a distanza di secoli non
smette di sostenere e di incoraggiare facendo leva sul risvolto empatico della comunicazione. La
cecità dogmatica è il settarismo sono i primi nemici dell’umanismo consapevole di come la saggezza
venga troppo facilmente sacrificata all’idolo della folla, al bisogno di appartenenza a un gruppo di
potere. Nel De vita solitaria, dopo essersi scagliato ontro i cttedratici, rivendicò la libertà di praticare
la vera filosofia non come ripetizioni teorie ricevute dall’alto ma come stile di vita rivolto alla ricerca di
una comprensione personale libero dalle mete stabilite da altri. Lamentò l mancanza di buoni maestri,
coraggiosi e disinteressati nell’amiente universitario. Per gli autori della sapienza non era che
possibile una collocazione ai margini della società, da cui la celebrazione della vita solitaria che non
coincide con l’eremitismo penitenziale ma con una scelta di allontanamento da una realtà invivibile.
Presa di posizione lontana da Socrate riconosciuto come filosofo ma non come maestro, venne ripreso
tale dalla generazione successiva di umansiti,come Salutati che vi ravvisò l’iconsa sapeinzale alla
quale appoggiare una proposta pedagogica al passo coi tempi, fungible da parte di un pubblico di laici
non specialisti ma neppure digiuni di riflessione morale; modello di uomo libero nel De fato et fortuna;
Nell’Epistola a Guido Manfredi, Salutati presentò Socrate come padre di quel nuovo modo di pensare
che, lasciando da parte i misteri intangibili dell’universo, incentrò l’attenzione sull’Io di cui cominciò a
esplorare le energie interiori; si propose come sostenitore del dubbio metodico in un epoca che stava
soffrendo di un disorientamento dovuto alla caduta delle grandi coordinate intellettuali del Medioevo
cristiano. Col tipico ottimismo contrappositivo la caduta della Scolastica permetteva l’eesercizio
privato di un ragione indagatrice che doveva professarsi sempre ignorante; sapere come dubitare
secondo ragione. La dotta ignoranza consisteva nel non aver paura del dubbio ma di farne strumento
di un sapere aperto, inclusivo e forte da poter fornire una base alla progressione dell’Io verso una
sapientia conseguita secondo ragione. Liberarsi della presunzione che porta l’uomo a credere di aver
già imparato tutto ciò che occorre sapere
Eclettismo
Assorbimento del socratismo nel patrimonio ideale della 3° generazione umanistica, insieme alla
continua presenza di platonismo. Nel 400 il grande diffusore della filosofia greca fu Bruni che dei
Dialogi lamentò la mancanza della filosofia cime disteso e amichevole esercizio del ensiero,
comeossgeno dell’intelletto; condanna del sistema universativo coevo che era divenuto fucina di
dogmi e arroganza di modi; accademia come macchina didattica che favoriva non ka conoscenza ma
l’ignoranza dei buoni libri e dei buoni autori antichi. Si cerca fuori dal contesto universitario una
proposta pedagogica valida e all’altezza. Ripresa della lezione socratica voluto dallo stesso insieme al
recupero dell’autentico Cicerone e Aristotele. Umanesimo come filosofia pratico-morale dal taglio
eclettico, puntò non tanto ha formare una dottrina del bene dai contorni definiti, quanto a indondere
nei suoi adepti l’entusiasmo per la possibilità di un’etica della nobilitzione. Necessità dell’impegno
soggettivo nella tensione totalizzante verso il sommo bene(lettera per papà Eugenio IV). Qualsiasi
scuola di pensiero era direzionabile erso l’edificazione dell’Io. Vita fatta di decisioni pratiche e di
impegni a contatto con gli altri intervallati da momenti di ritiro nella meditazione privata “bene agere,
bene vivere ac felicia esse”(Bruni). Ammaestramenti di Bruni principalmente del suo epistolario.
Ricerca di una vita buona che si ravvede nella zetesis, ossia la disamina libera e aperta di diverse
posizioni che inizialmente possono sembrare concorrenti, ma che si possono integrare nella
personalità assimilatrice del filosofo. Opera di Bruni tra 1421 e 1424, De Isagogicon moralis
disciplinae o Canzone morale, introduzione alla scienza morale di taglio compilativo, volta a spigolare
qua e là gli elementi utili a far nascere l’esperienza socratica per eccellenza, la conversione alla
filosofia intesa come ingresso alla ricerca del sommo bene; intendeva muoversi sopra l’appartenenza
ad una scuola, presenta un taglio adogmatico aperto al confronto valutativo tra diverse proposte
dottrinali. Utilizza il genere della diatriba cioè la presentazione di un campionario di posizioni diverse
intorno ad un problema così da rendersi conto della complessità inesauribile di un argomento=
conversazione per passsatempo. Portava risultati provvisori, soggetti a cambiamenti. Incitamento
all’amore per la virtù ed è permeato di rafrattarietà all’etica virtuista nella sua forma più
intransigente, rappresentata dallo stoicismo. Nell’incipiti l’uomo viene sollecitato ad uscire
dall’incosapevolezza di sé, aprendosialle preoccupazioni di vivere bene che è diversa dalla
preoccupazione del vivere dalla quale ognuno è incline a lasciarsi divorare. Cultura come
autoedificazione con la filosofia alla libertà che presuppone il compimento di una scelta attivante; far
ordine nella propria vita, rettificando il proprio modo di pensare e purgando i propri comportamenti se
alienanti; esorta a smettere di vivere come capita, che non è tipica della grandezza dell’uomo;
richiamo alla dignitas hominis come nobiltà. Viene anche proposto uno spirito di moderazione tra la
volgarità e il virtuosismo, abbraccia l’etica di Aristotele nell’Etica Nicomachea tradotto nel 1417, del
giusto mezzo che è la fonte di ogni comportamento lodevole e deve essere il timone della vita morale,
filosofia abbracciata brni in tarda età dopo quella idealista di Platone. Altri aspetti ripresi da Aristotele
sono la buona condizione socio-economia e l’assenza di disgrazie, requisiti indispensabili per
l’individuo che oltre che saggio vuole essere anche felice, vena di eudemonismo. Alcune
precondizooni essenziali sono richieste a chi si voglia incamminare verso la saggezza di vita. Pose al
primo posto della scala dei valori l’autorealizzazione anche attraverso il possesso di beni materiali; la
piena felicità dell’uomo l data dalla realizzazione dell’intera sfera oltremondano e terrena che servono
per la famiglia e lo Stato, formazioni che per Bruni racchiudono un elemento divino.
Spirito esplorativo
Lettera di Bruni del 1435 riprende l’elogio di Socrate di Alcibiade nel Simposio, grande sensibilità per
la dimensione esistenziale della figura del saggio che lo aveva portato a redigere biografie di Cicerone
e Aristotele. Egli nel filosofo cercava la personificazione di un messaggio di invito a un’esistenza
integralmente orientata al bene, come disse nella prefazione della traduzione delle Lettere di Platone.
Così come fece Ambrogio Traversari nel proemio della traduzione di Vite dei filosofi di Diogene Laerzio
in cui celebrò l’ccezione socratica di filosofia, intesa come vita vissuta nel segno della ricerca
totalizzante del bene, anche la fede cristiana doveva considerarsi come una filosofia, anzi come la più
alta. Giannozzo Manetti, crisse una biografia di Socrate e Seneca, che dimostra il cambio di rotta
verso il socratismo, che Manetti abbracciò come modello di esaltazione di una ricerca del bene
condivida con i propri simili, nel contesto della città come supremo laboratorio della convivenza tra
esseri umani. Il platonismo era tornato alla ribalta nel XV sec grazie a Marsilio Ficino che divulgò la
sua dottrina e ne scrisse una biografia con la quale indirettamente rilanci il mito di Socrate e l’deale
da lui impersonato della sapientia come fuoco di un’esistenza interamente spesa nella ricerca del
sommo bene; progetto attuato ance tramite le sue epistole ai suoi conphilosophi, piene di incitamento
alla conversione filosofico-religiosa nei quali riluce la mescolanza di elementi stoici, platonici ed
evangelici. È felice ci si mantiene sereno nella avversità e non si lascia abbattere dai dolori e dalle
offese, non viene trascinato dai desideri, posseduto dal Furore celeste(Platone, Fedro). Socratismo
utile per costruire una nuova apologia della fede cristiana Confirmatio christianorum per socratica.
Tutta Firenze venne ammalata da questa ricerca filosofica, lo stesso Angelo Poliziano, soprattutto per
gli sotrici che lo portarono a tradurre il Manuale di Epitteto, anche se di fatto era un filologo e un
maestro di retorica, ma venne influenzato da Pico con la sua ardente ricerca della sapienza filosofica.
Altra versione di Epitteto era stata data in precedenza dal vescovo di Siponto, Niccolò Perotti, curia le
sotto Niccolò V a cui venne dedicata l’opera.
Ragionevolezza pratica
L’importanza dell’approccio socratica non ebbe risvolti solo nell’ambito della storia del pensiero
filosofico ma deve collocarsi nel generale contesto dell’evoluzione dei valori condivisi. Il socratismo
contribuì a diffondere la Ragionevolezza pratica, strada maestra della ricerca etica. Platone nel
Simposio applica a Socrate la similitudine di una statuetta apribile raffigurante un sileno, la quale
mostra il primo sguardo un’immagine deforme e ridicolama il suo interno è meravigliosamente
cesellato e l’osservatore deve ricredersi e cambiare il suo giudizio, tale bellezza non è ammirabile agli
osservatori che si limitano ad uno sguardo superficiale, che non si fermano a scrutare; l’umanesimo
utilizza questa metafora usata da bruni, Manetti e Pico. Ricerca senza pregiudizi della verità e del
bene già visibile in Petrarca; il termine filosofia, per gli umanisti delle prime generazioni, indica una
via alla conduzione di un’esistenza vissuta secondo ragione nel dominio della passioni, onorata di
serenità e da equilibrio non disgiuntive da decoro di modi e di eloquio, coro sinfonico di attitudini belle
e virtuose raggiungibile dal parte del singolo essere umano nella sua concreta individualità. Filosofia
personalizzata, traguardo degli studia humanitatis che aveva lo scopo di emancipare e elevare; lo
studio dei buoni libri aveva lo scopo di liberare il soggetto dalla condizione di passiva sudditanza agli
istinti e agli pseudovalori, la conoscenza comparativa serviva a stigmatizzare i primi e a demistificare
i secondi. Il tirocinio alla scuola dei buoni autori miava a perfezionare la personalità del discente,
istillandogli cognizioni e sentimenti orientati al potenziamento di un’attitudine ragionevole. Erasmo
da Rotterdam, esempio massimo, filosofia interpretata com esperienza pratica più che teorica e si
combinò con un’accezione etica del cristianesimo che lo portò a recuperare la nozione di philosophia
Christi secondo cui occorreva tornare indietro per andare avanti; filosofia come disciplina non
sottomessa alla teologia e capace di alimentare un rapporto critico e dialettico con la fede cristiana;
per Erasmo la filosofa è sinonimo di cristianesimo vissuto in actum. Erasmo filosofo umanistico in
quanto attento a coltivare il lato ragionevole della propria persona, eclettico che tenne lontano dalle
strettoia dell’apartenneza a questa o quella corrente, mostrandosi pronto a riconoscere il buono
ovunque gli fosse ato di trovarlo; ideale di sapientia aperto e indeterminato e non fece della fede
cristiana una barriera discriminatoria; Convito religioso nei Colloquia, nei quali confessa la propria
ammirazione per la grandezza di Socrate al punto che a stento si trattiene dal definirlo santo.
Posterità che si ritrova in un filone di pensiero, latitudinarismo, che dal XVI sec cercò nuove vie per
superare teoricamente le aporie insite in una nozione esclusivista di rivelazione e di Chiesa. I Silemi di
Alcibiade, negli Adagia, raccolta di brevi componimenti a spiegazione dei proverbi o modi di
dire(Adagia in latino) a scopo didattico,serviva agli studenti per imparare una serie di piccoli frasi
colorite con cui abbellire i loro discorsi in latino ma come sempre intrisi di saggezza che Erasmo
delucidò, quello sui silemidi Alcibiade toccò le vette del socratismo incui invitò a scoprire la logica
silenica nel relazionarsi tanto al mistero umano, quanto al mistero divino, si tratta di andare oltre le
apparenze; logica silenica che una volta compresa è unaconversione sia filosofica che cristiana. Con
Erasmo la philosophia Christi divenne principio di autoconoscenza socratica di un uomo non solo
Sommo peccatore ma anche uomo fallibile.
Il De voluptate di Lorenzo Valla
Lorenzo Valla,1407-1457, nato a Roma da una famiglia inserita nella curia papale, fu uno dei maggiori
protagonisti dell’umanesimo come rivoluzione intellettuale; influenzato da Bruni che lo incitò a
comporre l’Elegante latine lingue. Come pensatore fu sostenitore di una svalutazione della filosofia,
soprattutto del suo ambito metafisico a favore dell’inalzamento della retorica a regina dei
saperi(stampo quintilianeo); vede i filosofi del suo tempo come degli usurpatori; al contrario l’oratoria,
con la sua capacità di farvibrare le code più giuste nell’animo degli ascoltatori, superava in quanto a
utilità sociale, le dispersioni oscure dei dialettici(come tutti gli umansiti). Non ebbe un impiego in
curia con Martino V forse a causa del suo temperamento ma ebbe la cattedra di retorica allo Studio di
Pavia che non durò a lungo a causa del suo carattere; giunse a Pavia in un momento in cui gli studia
humanitats si stavano facendo largo nell’università ma Valla dimostrò l’incompatibilità ella carica di
criticismo umanista con il principio di autorità e il conservatorismo accademico, soprattutto in
giurisprudenza a cui Valla rinfacciò l’ottusità con cui si mostravano indifferenti alla dimensione
storico-linguistica della loro disciplina e restavano abbarbicati al fissismo dottrinario; I giuristi
riuscirono a farlo allontanare ma prima di andarsene riuscì ad ideare il De voluptate, riprendendo gli
scritti di Bruni e Bracciolini di cui ripetè la struttura dialogica maandò oltre nel fare della setesis il
motore di un indagine pronta far piazza pulita delle convinzioni dominanti per avventurarsi nel
terreno dell’ignoto e del proibito. Gusto della sfida intellettuale che lo portò a demistificare luoghi
omuni e pseudo-verità, bersaglio prefeitole convenzioni dei benpensanti, l’impossibilità di concepire
opinioni disdicevoli; libera ricerca filosofica della religione. Voleva riportare alla luce la scuola
filosofica dell’epicureismo(disdegnata nel Medieovo) che al tempo non era solo il pensiero di Epicuro
ma inglobata una varietà di orientamenti di pensiero, dal materialismo al naturalismo e l’edonismo,
accomunati dal fatto di produrre un moto di scandalo orrore nei difensori dell’ortodossia cristiana.
Ritorno di epicurei non tanto dalle sue opere m soprattutto dal De Rerum natura di Lucrezio, secondo
cui il mondo nasce, si sviluppa e muore in base al caso e gli esseri umani hanno un ridottissimo
potere per scongiurare gli effetti più distruttivi dell’inevtiabile sofferenza che li aspetta, aspetti atei
che avevano portato i Padri della Chiesa ad allontanarsi da quest testo che tuttavia non andò
distrutto. Ripreso dagli umanisti della 2° generazione secondo il principio della disputato secondo cui
tutti i pensieri potevano esistere purché formulati in spirito di Ragionevolezza e non invasivi.
Epicureisimo trattato anche da Bruni nell’Isagogicon anche se ne prende le distanze; primo a
riprendere la filosofia. Bastolomeo Scala(1430-1497)che fu cancelliere di Firenze, compose un’opera
di taglio diatribico intorno alla varietà delle scuole filosofiche ,l’Epistola de sectis philosophorum che si
pose in un rapporto di continuità con l’opera di Bruni, in cui viene data voce alla scuola di Epicuro pur
prendendone le distanze. Piacere fisico da Lucrezio cantato come forza motrice della vita del mondo
animato nel suo complesso. Trasporto per epicurei al nord dovuto anche alla diatriba tra Milano e la
Chiesa; Cosma Raimondi scrisse un opuscolo dai toni vibranti, Defensio Epicuri. Il desiderio di
abbattere il muro dei divieti ancestrali nacque in Valla sull’onda di un personale approfondimento
delle polemiche antiscolastiche e antirazionalista già ingaggiato Dall’umanesimo di Salutati, Bruni e
Bracciolini che vedevano nella teologia morale del Medioevo un isneime di fantomatiche pretese
sganciato dal riscontro con una realtà umana ch si muoveva secondo criteri che il cristianesimo
ufficiale non vedeva o che biasimava. Un’indagine sulla natura umana richiedeva diverse modalità di
avvicinamento, occorreva aggiornare i paradigmi antropologici e quelli teologici all’insegna della
revisione del concetto di charitas cristiana come cemento che tiene unito il mondo, lo avvicina a Dio e
lo preserva dalla dispersione. La charitas non è nemica della voluptas che invece la ingloba, anche la
più alta spiritualità è epifenomeno del trionfale regno della voluptas sopra i pensieri e le azioni degli
uomini e sopra tutto il creato. Il sorriso dell’asctea è la testimonianza del successo nella ricerca di una
vita buona il cui movente è la pulsione accrescitive o eternante, la rincorsa della gioia intramontabile
come Sommo bene in termini socratici. Serie di corollari atti a sconvolgere gli assiomi religiosi
dell’epoca:
- Rapporto tra corpo e spirito che non deve essere di contrapposizione ma di complementarità,
nell’unificante dinamismo di una tensione verso il traguardo supremo che è quello della
voluptas che è pace per il corpo e per lo spirito.
- Saggezza autoconservativa è preferibile alla mortificazione come via al perseguita mento di
quel Sommo bene che deve sempre essere pilotato dalla ragione e mai lasciato in balia
dell’ardore irriflesso.
Scritto nato attorno al 1431 ma nel 1433 venne rintitolato De vero falsoque bono, poi De vero bono
nella 2° versione I cui protagonisti sono: frate Antonio da Rho, francescano assertore dell’etica
cristiana tradizionale e tuttavia benevolmente aperto alle istanze di rinnovamento degli umanisti; il
giurista pavese Catone Sacco, uomo austero e reputato che qui diventa icona di un’etica del dovere a
sfondo autorepressivo, definita stoicismo ma interpretata anche come cristianesimo ascetico-
penitenziale; Maffeo Vegio, poeta e umanista lodigiano parte dell’anticonformista simpatizzante di un
concezione materialistic a ed edonista della vita, epicureismo. Come moderatori: Antonio
Bernierivicario dell’arcivescovo di Milano poi vescovo di Lodi; il medico riminese Giovanni Marchi e
Guarino Veronese e Pier Candido Decembino. Il dialogo rispecchia l’idea li umanistico dicivele
conversazione e si basa sull’deale che ogni essere umano dovrebbe sforzarsi di vivere onestamente e
fuggire le azioni riprovevoli, L’obiettivo è quello di offrire rimedi contro la malvagità che si oppone al
primato della virtù; nessuna risposta è preclusa compresa quella del fondamentalismo che dichiara
che l’uomo è incapace di fare del bene che il gentilissimo non ha prodotto nulla di buono, altrimenti
Cristo sarebbe venuto al mondo per nulla. Discorso aperto da Sacco che afferma che la maggior parte
dell’umanità non possiede le forze sufficienti ad attuare quelle verità che comprende con la mente,
tutti riconoscono a parole la desiderabile virtù ma tutto sono asserviti a quei vizi che esercitano le
maggiori attrattive su ciascun individuo; quindi l’umanità è condannata all’infelicità senza scampo; vo
obietta Vegio che ribatte c’è la virtuosità intransigente degli stoici è un utensile poco utile a
incrementare l’effettivo livello di felictadi un umano pervaso da gioia di vivere, malgrado i dolori, le
assurdità e le contraddizioni. Occorre riconoscere i suoi giusti diritti senza sovverchiarlo con
valutazioni censori nel nome di ideali alti e fuorvianti. Linea dell’eudemonismo, rigetto e
rovesciamento della spiritualità della mortificazione che aveva creato la deontologia cristiana
medievale; termine con cui oggi si indica il primato dell sicurezza e della comodità nelle valutazioni
strategiche dell’individuo è forse più adatto a designare le posizioni di Valla e della corrente
antiascetica dell’umanesimo. Nel De voluptate l’approccio si presenta nella forma di una morale
ordianria, feriale e antieroica che si dichiara indisposto a sopportare dolori e rinunce in nome di valori
sopravitali. Spirito di conservazione unico criterio valido a cui atteenersi, non vi è nulla che vale
l’autoimmolamento. Biasima coloro che nella storia di Roma diedero la vita per la salvezza della
patria, che non viene scusato nemmeno in vista del otivo narcisistico che li renderebbe ancora di più
un cattivo esempio. Non si deve mettere a repentaglio una quiete e mediocre serenità per seguire il
desiderio di imprese ammirevoli ma rischiose e portatrici di dolore. Il piacere per essere perfetto deve
portare pace questa viene messa a repentaglio dalle passioni disordinate e viziose ma anche dal
virtuosismo, il vero saggio le rifuggirà entrambi.
Addolcimento della religione
È momento di far sentire la voce dell’ortodossia cristiana con frate Antonio da Rho a cui l affidata la
resolution quaestionis che sfocianella concertato finale. Presa di posizione sorprendente, con cui
dichiara di essere più vicino all’indulgente bonarità di Vegio pouttosto che l’ansia di irreprensibile
giustizia di Sacco. Qualsiasi rigidetta massimalista è estranea al cristianesimo. La natura umana, dono
di un Dio giusto e benevolo, non è mai portatrice di infelicità agli individui che la incarnano, neppure
nella sua situazione di degrado post caduta del peccato originale. La pulsione autoaccrescitiva è
l’autointeresse che secondo Vegio sono le grandi forze che muovono il mondo umano, entro certi
limiti trovano posto in Rho, uomo di chiesa animato da una visione conciliante nei confronti delle
istanze della società. In parte le vedute combaciano con quelle perseguite dagli ordini religiosi,
soprattutto i francescani, sol suo favore verso le fasce più deboli e nei meccanismi più delicati della
vita socio-economica dell’Italia coeva. Non dimentichiamoci che è comunque Valla a parlare
attraverso di lui che così esprime i motivi che l’anno portato ad abbracciare l’umanesimo, che è anche
fede e religione, l’umanesimo interpreta la reliogne come fattosociale totale. Non si rifà alle opinioni
di nessun filosofo ma attinge le sue perle di saggezza direttamente dal forziere delle Scre Scritture,
afferma che nell’universo essicale della parola di Dio non si riscontra il concetto di disinteresse ma
quello dello scambio: tutto viene fatto o viene promosso in vista di una ricompensa la cui
soddisfazione a seconda dei casi può essere collocata nella sfera mondana o oltremondana. Il premio
di Dio è il Sommo bene che non può essere soddisfatto nel corso della vita biologica e che travalica i
limiti della temporalità. Il rapporto tra uomo e Dio l presentato come un’alleanza che impone la
fedeltà all’uomo in un gaudio illimitato, di una gioia eterna, beatitudo, lo sforzo di preservare questo
rapporto con Dio è la scelta più ragionevole fra tutte. La virtù non è fine a sé stessa e e rinunce non
sono fatte per soffrire ma fatiche compiute invita di un vantaggio; potrà esigere sobrietà e distacco
ma non autodistruzione,è la preparazione di un guadagno definitivo e non le si con fanno sofferenze
gratuite e insistite magari condite da pratiche a sfondo dolorista. Colpisce il carattere fittizio di un
cristianesimo così addolcito ma importa rilevare l’aspetto negativo del discorso; Valla esprime il rifiuto
di una concezione sacrificale della religione, della fede come cieca follia e come retorica del martirio
ma fonda l’aspetto umanistico della rligione, pervasa dall’anelito a definire una pietà a misura
d’uomo. Epicureismo dovrebbe essere accolto in quanto nel restituire alla natura i suoi giusti riti, li
rende anche liberi di essere quello che sono. Scaglia una filippina anche contro la vita monastica,
anche se non apertamente menzionata per prudenza. Come L’ascetismo medievale è travestito come
storicismo, il monachesimo viene ricoperto come scuola cinica per essere addotto con meno problemi
a bersaglio polemico. Si propone di mettere in luce l’idiosincrasia del sottofondo di paura verso la
natura umana, ravvisabile in ciascuna di qetse manifestazioni di inimicizia nei suoi confronti;
basterebbe un pizzico di ottimistica fiducia nella nostra personalità e nelle sue infinite risorse a
cominciare dal semplice buon senso, per ristabilire un’equilibrata serenità nell’affrontare la vita. Nel
finale del dialogo il frate si profonde in una lode delle delizie del Paradiso che non saranno altro che il
contatto imperitura dell’uomo con Dio, autore della sua felicità; nelle considerazioni filosofiche deve
rientrare la vita eterna che è una dilatazione infinita di quel tempo presente nel quale i materialist
epicurei, commettendo un’ingiustizia e un errore, incapsulano tutto quanto il senso dell’esperienza
umana che invece esige orizzonti più vasti. Epicureismo non sbaglia a reclamare il goimnto di un bene
quale ricompensa dei nostri sforzi, cioè il beatitudo, il cui autore è Dio, questa è la ragione o motivo
razionale per cui Dio merita di essere amato, non perché è Dio ma perché ci dona la gioia. Beatitudo
come fruizione eternamente libera del Sommo bene che si cerca sulla terra.
La propensione all’eterodossia
Nel finale del De voluptate è dato costatare in quale misura l’antropologia ottimista dell’umanesimo,
con il suo moralismo fiducioso nelle possibilità di autosalvazione dell’individuo, finisse per procurare il
ritorno non dell’epicureismo m del pelagianesimo, pronto a rioccupare lascena teologica. Valla mostra
con chiarezza che l’umanesimo fu un movimento di pensiero tendente ad alimentare l’attitudine al
giudizio nei confronti della religione “grande eresia”=preferenza personle. La riabilitazione della
filosofia riaccende un pensiero individuale che attinge al libero esame del fatto religioso non solo
come complesso dottrinale ma anche come principio generatore di atteggiamenti morali, come
dimostra la propensione all’eterodossia. In un passo del De voluptate, per la giustificazione teorica
dello spirito dialogico che deve informare la ricerca del Sommo bene, Valla richiama Cicerone per
allegare il principio di libera verificabilità di qualsiasi opinione in sede di dibattito filosofico, come
voleva Marco Aurelio di ci viene anche enunciata la regola del procedimento zetetico, consistente
nella possibilità del cambiare idea se a stretti da ragioni più forti; per permettere ciol necessario che i
partecipanti al dialogo rinunciano a quella pervicacia che viene qui attribuita allo stoicismo ma che
funge da schermo per alludere a un cristianesimo dogmatico e intransigente sul piano teorico, oltre
che rigorista sul piano morale. La pervicacia + riscontrabile nella forma mentis ingenerate dalla
religione e dall’ideologia se vissute come idoli. Contro cui viene impartita unalezione di apertura alla
possibilità di crescere esercitando il diritto di farsi un’idea in proprio se necessario anche andando in
senso contrario alle convenzioni dominanti; tramite il principio dell’onestà intellettuale. Non si deve
ammirare la bravura di coloro che dibattono ma attribuire alla verità e al bene i loro diritti, che vanno
sempre nteposti al tornaconto individuale di chi li ricerca; nulla è più estraneo alla condizione del
cercatore che la pretesa di avere ragione sempre e comunque e di non sbagliare mai. Lo scandaglio
filosofico del De voluptate comportò anche rischi per l’anticonformismo come peccato sociale. Se
dietro allo stoicismo nasconde il cristianesimo più rigido, con l’epicureismo aspira ad una religione
conciliante verso le umane esigenze di felicità soprattutto sessuale ed usa Vegio come Oratore, che
può esprimere a titolo privato le sue tesi a favore di un ammorbidimento del cristianesimo in nome di
dell’aderenza a un criterio umano secondo cui è illogico, perverso, detestare ciò dicui godiamo; il
piacere il fine di ogni azione umana. Piacere restrittiva mente quello del corpo e dei sensi, non c’l
spazio per lo spirito che non viene nemmeno menzionato; lo spirito l infatti la facoltà intuitiva he
mette l’uomo in grado di scoprire e di desiderare l’infinito; confina l’uomo nella dimensione della
finitudine senza spazio alla metafisica. Intellects come organo della conoscenza spirituale con la
conseguenza di non riconoscere più sentimento e istinto. De voluptate è un testo più per demolire le
manchevolezze che per costruire, fondazon di un vero sistema etico. Passa in contropelo le opinioni
consacrate al fine di smascherare la superficialità e l’ipocrisia della vita ssociale, che toccò il colmine
con le considerazioni su matrimonio e adulterio, che definisce come l medesima cosa in quanto
entrambi dal punto di vista naturale, rispondo ad un’attrazione sessuale reciproca e il consenso
volontario. Si parla di matrimonio senza toccare la sfera sentimentale o emotiva ma come possesso
esclusivo della donna a titolarità della prole e Appoggia l’idea di cicerone nella Repubblica di mettere
in comune donne e figli. Lui non si sposò mai ma ebbe 3 figli da una domestica e divenne chierico in
minoribus. Tuttavia non era contro il rapporto sacrale della famiglia; è solidale verso la condizione
della donna, in un’epoca in cui il matrimonio costituiva un meccanismo che appesantita la sua
posizione subalterno all’uomo, soprattutto quando si trattava di punire le infrazioni; l’adulterio era
facilmente perdonato all’uomo ma costava caro alla donna; Valla propose di equiparare i colpevoli,
non con un castigo ad entrambi ma con il perdono generale. Preannunciatore dell’umanitarismo:
atteggiamento di pensiero, fondato su rifiuto di una concezione sacrificale dei rapporti socio-politici
del 700 e progenitore dei diritti umani. Fervore simpatetico nei confronti delle soggettività deboli,
delle vittime di situazioni sociali oppressive oscurantiste, per cui spera un processo di riscatto. Fn da
Petrarca è da ravvisare la delicatezza dell’umanesimo che portò allo sviluppo della cultura della
tolleranza moderna, allo stesso modo con cui si sviluppò la miscredenza dalla Riscoperta della
filosofia come opinione personale. L’attitudine a considerare il messaggio biblico non partendo dalla
Rivelazione divina ma dalle dinamiche intrinseche dell’essere umano, stimolata dalla diffusione di
visuali antropologiche alternative al cristianesimo, come il naturalismo epicureo, portò a intuizioni del
libertinismo erudito; come le riflessioni di Bartolomeo Fonzio(1446-1513)durante la tragedia i
Savonarola, sul tema lucreziano della religione come frutto d ansia e di ignoranza, miscela atta a
ingenerare la piaga della crudeltà superstiziosa; scritti private in cui presto l’autore non si riconobbe
più.
L’immortalità dell’anima
Vexata quaestio sulla presunta incompatibilità tra religione e modernità. Non sempre è
necessariamente l’approccio critico-soggettività dell’umanesimo rinascimentale si trovò in collisione
con i dogmi della tradizione ecclesiastica a volte potè stimolare nuovi e più intensi approfondimenti di
essi. Come Marsilio Ficino che si propose di correre in aiuto di essa con un colpo d’ala intellettuale,
imprimendo una decisa torsione platonica al dibattito dottrinale allora aperto a proposito
dell’immortalità dell’anima. Dibattito che ebbe molto a che vedere con l’intensità dell’esperienza
interiore con cui il soggetto rinascimentale scoprì se stesso e fece tesoro delle proprie conoscenze,
amando vedere in queste appassionanti acquisizioni il presagio di una saggezza e di una gloria ancora
più grandi nel futuro. Il desiderio di futuro, innescato dal processo ella conoscenza di sé e del mondo,
non può non deve subire alcuna interruzione, né può soffrire alcuna diminuzione o addirittura perdita
si senso, come avrebbe se l’anima perisse con il corpo. L’immortalità dell’anima è un concetto
precristiano, anche Pitagora, Platone, Plotino vi credevano ed entrò nel cristianesimo tramite la
Patristica. La dottrina cristiana sottolineò il carattere di ricompensa insito in una vita immortale che
Dio darà ai buoni, facendone risorgere anima e corpo tuttavia nel Medioevo non venne definito
esattamente cosa si intendesse con anima e sé essa fosse immortale per sua natura. Non mancano i
sostenitori della mortalità dell’anima che, al massimo, torna in vita per volere di Dio dopo il giudizio
universale. Altri fedeli erano influenzati dall’avveroismo o dall’aristotelismo, per cui non credevano
nell’immortalità dell’anima ma al tempo stesso credevano nella fede cristiana. Dottrine che gli
umanisti cercarono dalle origini di abbattere, ma il cui autore più significativo fu sicuramente Ficino
con la Theologia platonica: De immortalitate animorum; in cui adottò un procedimento logico che
rispecchia i paradigmi del pensiero rinascimentale, come l’inarcatura retorica del discorso. Il cardine
fu il nesso tra la dignitas hominis e la fede nell’immortalità dell’anima che punta ad attribuire la
massima perfezione a Dio e all’uomo. Affermò l’indistruttibilità dell’anima individuale che è il punto di
massima evidenzia zione della dignità dell’uomo che rivela il suo carattere divino; se l’anima fosse
mortale l’uomo sarebbe inferiore anche agli animali per via della sua capacità di amare che gli
provoca solo dolore e sofferenza. L’ntropocentrica morale e metafisica del tempo sorresse la sua
visuale: egli fu il teologo dell’ottimismo umanistico e la sua sintonia con lo spirito apollinea della
Firenze del 400 fu piena. Nella sua cosmovisione del tutto armonico, plotiniana pankalia, la realtà è
strutturalmente aperta all’intervento dell’uomo che, con la sua attività e il suo pensiero, vi si inserisce
dinamicamente al fine di portare a compimento la Creazione risignificandola, ossia scoprendo nelle
cose materiali e meccaniche un’intenzionalità spirituale. Lotta contro la tristitia che attanaglia l’uomo
al pensiero della possibile fine di sé, corrisponde al volere di Dio. L’uomo deve vincere anche la feritas
per conquistare il proprio destino incorruttibile; con il suo lavoro fisico e mentale, il saggio si eleva
dalle sue condizione di primordiale istintualità fino a deificarsi. Nell’azione virtuosa e nella
contemplazione, l’essere umano riscopre se stesso come anima e trapassa alla condizione di intelletto
che deve primeggiare e mai soccombere. Vivendo si come anima e come intelletto l’Io trova non solo
una risposta alla sua ricerca di felicità e di autorealizzazione ma anche na promessa di vita eterna che
Dio non deluderà. Filosofia come medicina dell’anima. Secondo Platone L’immortalità dell’anima è un
principio catartico ed l ricavabile deduttivamente dalla condizione di infelicità in cui l’anima versa,
qualora si trovi prigioniera della finitudine. Ogni essere umano è incline a desiderare Dio di cui
intuisce la bontà; ma conoscendo se stesso come desiderio di eternità, l’anima si scopre costituita da
sostanza eterna, scopre che esiste un’affinità tra sé e Dio e ammette ragionevole la speranza di
immortalità. L’anima deve prepararsi all’eternità in modo adeguato distoglie no lo sguardo dalle cose
finite che la fanno soffrire, la confessione e la penitenza; dogma dei meriti del cristianesimo. 1512,
Concilio Lateranense Quinto, proclamò l’immortalità dell’anima come dogma della Chiesa e condannò
le posizioni moralistiche dell’avveroismo; promotore du il cardinale Egidio da Viterbo, forse anche
colui che ispirò Michelangelo per gli affreschi della Cappella Sistina. Durante la discussione del
Concilio vennero sollevare molte obiezioni da parte di una minoranza che comprendeva il cardinale
Caetano Tommaso de Vio d’indirizzo tomista, non fu facile superare l’aristotelismo. Il dibattito non si
placò nemmeno dopo la proclamazione del doga e del divieto, che non venne osservato nella pratica,
di insegnare nelle università la dottrina della mortalità dell’anima. Ciò portò alla risposta di Pietro
Pomponazzi che nel 1516 pubblicò il trattato De immortalitate animae, con cui voleva ribadire
l’inevidenza della altura eterna dell’anima, alla luce della pura ragione naturale; principi che poteva
essere creduto slo per fede, non provabile con la ragione.

Forgiare il capolavoro umano


L’ottimo genere di vita
Fra le pratiche intellettuali dell’umanesimo ospicca il paragone, composizione di tipo diatribico fra
ipotesi antitetiche, considerate innanzitutto pe la rilevanza nella formazione morale dell’Io. Uno degli
argomenti prediletti era la contrapposizione tra vita activa e vita contemplativa. L’icona dell’umanità
isolato risale a Petrarca e alla sua proposta di cultura animi non più solo del clero, primato della vita
interiore sembrava far prevalere l’opzione di un’esistenza appartatata che se non più nel chiostro.
Petrarca nel De vita solitaria dedica un’opera a tali riflessioni. Solitudine dimensione connaturata alla
figura del l’intellettuale umanista, ma non la condizione perfetta ma come provvisoria opzione di
ripiegamento perle fatiche di una vita dedita al bene comune. Petrarca si confessa tormentato dal
problema di come essere utile agli altri, pur avendo scelto il ritiro eretico per salvaguardare la propria
pace, fu un otiosus negotiosus, un solitario indaffarato che si occupò attentamente dei bisogni degli
altri e partecipò con intensità alle vicende del proprio tempo. La sua vita solitaria non centro con
l’ancoretismo, una formula che prevedeva la rinuncia al mondo con le se seduzioni e la professione de
voti monastici in quanto condizione che permetteva la centratura della mente sul contatto perpetuo
con l’Altissimo; punti enunciati da Gregorio Magno, lui stesso monac e convinto sostenitore dell’ascesi
monastica come from ottimale di preparazione alla militia Christi; esse avevano alimentato la
communism opinio secondo cui nessuna vera grazia di salvezza poteva ffrirsi a chi non avesse
abbandonato la forma di esistenza connaturata al tempo storico(Seculum)per applicarsi alla
preparazione della vita nel tempo eterno dell’oltremnodno mediante l’ingresso nel chiostro. Ottica che
possiamo definire antisecolarista, in cui venne risemantizzato il binomio vita activa contemplativa.
Nell’ambito del cristianesimo ascetico medievale l’espressione vita contemplativa venne a coincidere
con un regime di preghiera e di penitenza da attuare fra le mura del monastero separato dal mondo
con le sue tentazioni. Con la scolastica vi furono arricchimenti: la cultura universitaria riprese il
binomio trovandosi numero spunti per legittimare anche sul piano metafisico il carisma preminenziale
di un ceto di teologi di pofessione. Costoro erano i contemplatori della verità, rappresentano la punta
di eccellenza della Chiesa militante. Il primato della vita contemplativa iniziò ad essere contestato
dalla corrente di Petrarca, estranea al mondo del chiostro non meno che a quello dell’università. Fu
Salutati a rivalutare il primato della vita activa o negotiosa, prospetto del Secolarismo che apriva le
porte alla laicità che lo portò a descrivere positivamente la condizione di vita nel tempo sotrico, nel
seculum
Secolarismo
Salutati puntò a demolire il topo della superiorità della vita contemplativa su quella attiva; propose il
speculum come luogo ottimale per la riuscita dell’homo eligiosus e biasimò la fuga mundi come
opzione dettata nel credente non dal desiderio di portare al culmine la propria individualità di
cristiano, bensì della cecità se non addirittura dalla pusillanimita rinunciataria. Anche Tommaso
d’Aquino si era posto il problema di na rivalutazione della vita activa anche se continua a ad
assegnare il primato a quella contemplativa; in certe circostanze per quella activa può essere
anteposta soprattutto quando sono in gioco interessi sovraindividuali che vanno preferiti alla felicità
personale. Salutati parla molto della vita activa nelle sue epistole anche se non vi scrisse mai un
opera intera, o almeno non riuscì a completarla, né conosciamo il titolo, De vita associabili et
operativa; di cui si occuparono poi i suoi seguaci. Tuttavia Coluccio stese un’opera per la lode della
vita monastica, il De seculo et religione, scritto intriso di parzialità oratoria ma anche una
testimonianza della perdurante vitalità dell’idelae della fuga mundi nella realtà socio-culturale del
tardo 300, ebbe grand fortuna in Europa. Per avere dei tratti del suo pensiero sulla vita activa si può
guardare il De nobilitate legam et medicinae in cui si coglie l’attivismo che informò la sua concezione
antropologica e che innervò potentemente la sua visione politica disorganica e spesso ricondotta alla
categoria dell’umanesimo civile. Alla base della formazione dello Stato e del suo funzionamento
Salutati non presuppone un’autorità discendente dall’alto, ma alla base del pilastro fondativo della
comunità venne indicata la volontà soggettiva di autocompiacimento/gloria intesa sia come ricerca di
benesse e sicurezza materiali, sia come ottenimento di meriti agli occhi dei propri simili, che pervade
ogni cittadino e lo spinge a concorrere a fondare e a conservare la città e a ricercare la grandezza che
molto influenzò la vita di Firenze. Anche Bruni alla fine del l’Isagogicon affermò la sua preferenza alla
vita activa rispetto alla contemplativa senza avanzare alcuna conclusione ma ricalcando altri scritti
come l’Etica Nicomachea di Aristotele dove si trova spiegato che come ci sono virtù appropriate per
ciascuno dei 2 eneri di vita vi sono anche vantaggi specifici: la vita contemplativa è più divina am
apiu rara essendo ristretta a pochi la vita activa è più utile in quanto sodisfai bisogni della maggior
parte dell’umanità ed è più accessibile. Bruni riconobbe alla vita activa una certa superiorità che
sottopose a specifiche restrizioni e che presentò come relativa in quanto nascente da un calcolo
dell’uomo e non di Dio; l’uno l’altro genere di vita non dedicò no di per sé il valore morale di una
persona; disse che la gloria derivante delle lettere e della cianza l inferiore a quella militare in quanto
meno corrispondente alle necessità dello Stato. Matteo Palmieri compose Dell vitacivile, allo scopo di
esaltare la carica edificante che racchiude l’esperienza del vivere associato, vero cammino di
abnegazione che richiede l’assidua pratica dele cirtù in un cittadino chiamato a superare il proprio
egoismo particolarità attraverso lo spirito di dedicionae. Wilhelm Dilthey autore di una monografia
sulle nozioni di persona umana e di natura nell’età moderna in cui si sottolinea l’importanza
dell’umanesimo del 400 come momento che segnò un’invrsione di prospettiva nella considerazione
del destino umano rispetto alle coordinate dell’antropologia medievale. Si affermò un’ottica
intramondana che attribuì un grande ilievao allatemporalita, per quanto provvisorio ed effimero il
passaggio su questa terra viene valorizzato in Sommo grado in quanto decisivo al fine di rilevare il
Valor di un uomo. La temporalità viene vista come il luogo dell’antropofania, della rivelazione della
sostanza etica di una certa persona come il banco di prova in cui ogni persona saggia la propria
consistenza. Si iniziarono a studiare le modalità di compimento dell’Io nella sfera del seculum,
interesse per la storia e la storiografia.
Matrimonio o celibato
La Firenze di coltura attirò anche circoli formatisi altrove. Francesco Barbaro(1390-1454)matura
riflessioni in merito all’ottimo genere di vita si rivolse ad um membro dell’élite fiorentina. Allievo di
Giovanni Conversini e autore di un ricco espirtolario, Veneto nel 1415 va un viaggio a Firenze ospitato
dai Medici e per riconoscenza scrisse per Lorenzo de’Medici un trattatello sull’importanza del
matrimonio, De re uxoria, riprendendo Plutarco, e influenzato dalla Repubblica di Platone, con il suo
mito di unione di sapienza, potere politico e preminenza sociale; il testo gli permise di entrare in
contatto con gli autori umanisti del tempo come Bruni e Niccoli. Tematizzò il problema intorno al
primato della vita activa a di Salutati, poi ripreso daaltri(Poggio,Alberti,Palmieri,Manetti)cioè sul fatto
se la condizione matrimoniale potesse rivestire un valore assoluto, tale da meritare una scelta
totalizzante per l’Io; il matrimonio era visto con diffidenza dai dotti del tempo che ricorrendo l’ideale
dell’autopossesso, lo ritenevano una fonte di perdita. Barbo disse che la vita coniugale riveste
un’altissima dignità ed a essa ci si deve preparare mediante un’adeguata riflessione, rientrando a
pieno titolo nell’ambito della filosofia morale. Primo testo a sottolineare l’importanza del matrimonio e
il ruolo comprimario della donna ma non in modo romantico o di pari dignità. Spazio scarso per i
sentimenti, approccio funzionale ai grandi obiettivi di fondo che egli si ripropose di assegnare cioè
quelli della conservazione della stirpe e del mantenimento della distinzione di rango. Il trattamento
riservato alla donna inizia con un elenco delle qualità che dovrebbe avere:
modesta,riservataobbediente,dedita alla sua massone riproduttiva senza occupare energie in altre
cose. Il capitolo dedicato all’amore definisce il legame coniugale come una perfetta amicizia in cui la
donna si identifica negli stati d’animo del marito che sono influenzati dai bisogni materiali e dalle
vicissitudini economiche di quella che viene concepita come una famiglia-azienda. La donna deve
sostenere psicologicamente il marito ma l’uomo può anche non corrispondere tale dedizione. Docilità
e rassegnata sopportazione del marito anche agli sgarbati affronti e all’adulterio, precetti per una
moglie che vuole evitare drammi e un miserevole destino. La moglie deve conformarsi a una
situazione da lei non creata ma in cui deve inserirsi senza remore e che deve gestire in modo
impeccabile. Tema finale, l’educazione dei figli; riconoscimento del ruolo centrale della madre nella
fase infantile, bisogna difendere il prestigio della famiglia nel suo complesso, consolidando nel quadro
di un sistema socio-politico organizzato attorno alla preminenza del patriziato all’interno di una
Repubblica. Figli oggetto di affezione ma anche di investimento sociale; è il calcolo a motivare la cura
per essi al punto che lo stesso matrimonio andrà pianificato in vista della messa al mondo di un prole
bennata e avvantaggiata. I figli virtuosi nascono solo dalle nozze legittimato di genitori virtuosi. Studi
che si basavano sugli studia humanitatis, di fatti ai natali aristocratici doveva corrispondere una
buona educazione, che trova punti in comune con l’ideale pedagogico di Pier Paolo Vergerio.
Nonostante il testo ebbe discreto successo non pose fine al dibattito tra il matrimonio e la vita
monastica, molti ritenevano la fuga mundi ancora la scelta migliore. Ltro testo fu quello di Ermolao
Barbaro che nel 1472 scrisse un componimento in cui contraddice il nonno, mai fatto circolar, attorno
alla rinuncia del matrimonio, De coelibatu; basandosi sul dialogo umansitico Ermolao coronò il suo
corsus honorum dopo anni di servizio nll’apparato diplomatico della Repubblica veneta, prendendo gli
ordini sacri e assumendo la cattedra patriarcale di Aquileia. Anche i clerici tuttavia potevano essere
d’accordo al primato della vita coniugale, come Giovan Antonio Campano vescovo di Teramo che nel
1463 pubblicò un opuscolo sulla dignità del matrimonio. Bartolomeo Scala, cancelliere umanità
fiorentino vicino ai Medici, compose uno scritto a struttura diatribica, nella quale espresse una
moderata approvazione per la scelta matrimoniale compiuta da chi, pur volendo si dedicare allo
studio e alla riflessione, non intendesse privarsi di questa fonte di umano appagamento. Poggio
Bracciolini, 1437, elogio a metrimonio nell’An seni uxor sit ducenda; a cui replicò Alberti con l’Uxoria
con cui ribadì la sua contrarietà allavita coniugale e rivelò una vena misogena. Antonio De Ferrariis,
detto il Gataleo, in un epistola del 1484, De Dignitate scientiarum, ribadì l’opportunità per il sapiente
di condurre una vita libera da condizionamenti e dedita alla pura speculazione, vita contemplativa ma
scangiata dai monasteri ma riporoponeva la nozione di filosofia antica di un’esistenza isolata
assorbitadalla teoresi. La tradizione della preferenza alla vita contemplativa nascondeva sempre una
vena misogena, sostenuta anche da Pier Paolo Vergerio, che in un’epistola rievocò le sue discussioni
con il padre il quale avrebbe voluto che lui si sposasse per perpetuare il lignaggio ma lui era invaghito
più delle Muse che delle donne e rifiutò per non limitare la libertà di disporre del proprio tempo, per
dedicarsi il piu possibile alla philosophia,il padre comprese le sue ragioni e gli consentì di seguire la
sua inclinazione personale e in cui il figlio vide l’ideale di libertà a cui faceva riferimento.
Clericare o laycare
La filosofia morale venne applicata al criterio a cui attenersi per compiere le proprie scelte per
pervenire il traguardo dell’autocompiacimento; quadro già imbastito dalla filosofia greco-romana,
specialmente storica; locuzione di vita insititutio= progetto di vita. Filone letterario umanistico della
disputatio de optiamo genere vitae, ossia la disamina del tipo di vita preferibile. Dietro a trattazioni
già antiche vi era un problema moderno, quello della fruttificazione della persona. Giovanni
Conversini da Ravenna(1343-1408)veneto, maestro di Barbaro, Vergerio,Barzizza. Con Dragmalogia
de eleggibili vite genere, 1404, mette in scena un dialogo tra un veneziano e un padovano intorno alle
possibili opzioni che si aprono all’uomo in cerca del proprio destino , dovrà scegliere tra la vita
solitaria o quella sociata, tra lo stare in città o in campagna, se dedicarsi all’azione o alla
contemplazione, se essere cittadino di una Repubblica o di un principe.. Il discorso sfocia nell’apologia
del sistema di un governo signorile come Padova che l’ottava per non soccombere a Venezia. L’opera
al di là delle preferenze dell’autore offre una rassegna delle possibili soluzioni che si aprono alla
mente umana. Quesiti che Poggio si fece per gran parte della vita e a cui arrivò ad una soluzione
grazie al lume della filosofia umanistica, non un insieme di dottrine astratte e di dogmi buoni solo a
gonfiare la presunzione intellettuale del soggetto pensante, ma un soggetto provvisorio e affidabile
alla sentenza delle proprie scelte nel presente, guida e istruttrice di una vita ben spesa. Al tempo la
carieracuriale veniva facilitata dal passaggi agli ordini sacri, opzioneche a parte il divieto di sposarsi,
non comportava grandi impegni sul piano spirituale e liturgico, ma garantiva la possibilità di ricevere
benefici e di progredire verso i gradi più alti della gerarchia ecclesiastica; Poggio assunse gliordini
minori che gli consentì di ricevere qualche rendita ma non divenne mai sacerdote. Condivise i suoi
pensieri con un collega, Simone de’Lelli da Teramo nelle cui lettere si utilizzano i verbi per indicare la
scelta di prendere gli ordini sacri o di restare nel secolo: clericale o laycare; in una lettera del 1416,
Simone raccontò di essersi trovato in bilico tra l’ingresso nella carriera ecclesiastica e le insistenze di
una giovane vedova a cui aveva promesso il matrimonio; alla fine scelse lo stato clericare ma solo
degli ordini minori e non irreversibile visto che più tardi si sposò. Simili oscillazioni erano comuni per
via della convenienza e non tenendo conto dei sentimenti. Durante il tempo da clerico Simone
consigliò a Poggio di prendere i voti poiché tale condizione gli consentiva più libertà piuttosto che
quella coniugale ma egli declinò in quanto non sentiva dentro di se la vocazione è oin unalettera a
Niccoli racconto il fatto è aggiunse che la vita da prete la vedeva impegnativa e tutt’altro che sciolta
da obblighi morali. Nella sua vita si lascò spesso andare alle pulsioni veniali, o al canto delle sirene; si
rese conto di preferire L’inclinazione alla coniugalito che non era poi tanto possibile dato che le
convenzioni del tempo prevedevano per i benestanti la solidità della fortuna patrimoniale come
prerequisito al matrimonio che riuscì a condurre solo a 55 anni con una donna ben più giovane di lui
che condusse prima a Roma epoi a Firenze dove ottenne la nomina di cancelliere. Dato che la
sicurezza materiale fu raggiunta da lui solo da anziano, dovette rinviare il momento ponendolo in
condizioni di irregolarità che lo espose ad accuse di licenziosità, come Giuliano Cesarini che gli intimò
di abbandonare il concubinaggio e di prendere gli ordini sacri ma egli rifiuta dicendo di aver visto
molti animi buoni diventar avidi e maligni dopo aver preso gli ordini e non voleva fare la stessa fine.
La fatica della riuscita
Questa altalena tra matrimonio e clero non intaccò la vista umanistica del primato della vita activa su
quella contemplativa. Il Medioevo vedeva nella vita contemplativa il massimo compimento della vita
umana in cui le potenzialità dell’uomo avrebbero trovato il giusto dispiegamento; ora la situazione si
era ribaltata. Girolamo Aliotti, abate camaldolesi di S.Fiora di Arezzo, grande pretura mentale e
disponibilità a mettere in discussione se stesso gli volse la stima di Poggio che lo onorò inserendolo
nel Contra hypocritas nella posizione mediana di ragionevole difesa della spiritualità tradizionale.
Conosceva bene il dialogo dell’abate, De optiamo genere vitae del 1439 edesideroso di inserirsi nl
vivo di una disputata umanistica che lo interpellava, quella della cornice più idonea al perseguimento
della realizzazione di sé. Ne unscì un testo bruciante, dove non si risparmiano severe critiche verso la
degenerazione dei comportamenti in ambito conventuale che si accompagnarono a una costatazione
amara e quasi paradossale essendo scritte da un monaco; se la vita monastica è quella miglior è più
facile mantenersi onesti come laici. Non si vede il punto di vista genuino dell’autore, tuttavia son da
notare i termini utilizzati da un Monaco. Aliotti ammette di essere caduto vittima di un ipocrita che
pare che fosse Traversari che lo aveva indotto a vestire l’ambito monastico avviandolo a un tipo di
vita che per le sue condizioni psico-fisiche sarebbe risultato troppo rifigo e insostenibile. Nel laicato vi
era la diffusione della renitenza a sottomettersi alla volontà altrui e a considerare quale supremo
criterio etico la fedeltà dell’individuo a sé stesso, nello scrutare le proprie inclinazioni e nel disporre
della propria vita in conformità ad esse. La scelta coniugale di Bracciolini venne interpretata alla luce
di una progettualità filosofica; insititutio vitae, rimandava alla questione umanistica di come plasmare
la propria vita in conformità agli alti ideali che si volevano inverare, matrimonio come via alla
progressione morale, Poggio voleva condurre una vita più perfetta nel tempo che gli rimaneva.
Risvolto matrimoniale innovativo, quasi spirituale, che era strano in un libertino come Bracciolini, ma
che era irriverente solo sul piano pubblico, non pivato.
Dagli studia humanitatis alla pedagogia umanistica
Sinonimo di vitae istitutio può trovarsi in forma del vivere(titolo di un testo di Amedeo Quondam, in
cui si vede l’importanza della pedagogia umanistica e destinata divenire codice per la formazione
dell’élite Italiana e europea). Pier Paolo Vergerio(1370-1444)che tra 1402-3 scrisse un trattato, De
ingenui moribus et liberalibus adolescentiae studiis, dedicato docente Ubertino da Carrara; in cui fece
comparsa il tema umanistico dell’imperativo etico che dovrebbe obbligare i titolari di una carica
pubblica a educare se stessi e la prole, tema trattato anche da Rotterdam nel 1529 per scrivere il suo
trattato di teoria pedagogica, De pueris statim ac liberaliter instituendis. Tra l’educazione migliore che
si può dare ad un figlio c’è quella liberale, impartita mediante l’approfondimento della propria
humanitatis attraverso il cimento con la conoscenza delle discipline liberali, così chiamate perché
convengono all’uomo libero, invitano il discente a fare esperienza di se in quanto soggettività morale
incondizionata. Il mezzo più idoneo sta nella scelta di un precettore idoneo a porsi come guida della
gioventù. Il precetto dovrà occuparsi non solo degli studia humanitatis ma anche di umanità infantile,
cioè le tendenze proprie dei bambini per indirizzarle verso la crescita con dolcezza e facendo leva
sulla sensibilità degli allievi agli stimoli e alle grafiche. Lo stesso criterio di flessibilità deve essere
applicata a proposito delle diverse occupazioni di cui si deve occupare un’educazione atta a
sviluppare armoniosamente i vari aspetti della personalità dei discenti che dovranno essere dei
cittadini e dei capi e che quindi richiedono anche gioco ed esercizi fisici, compreso l’addestramento
militare. Medesima concezione di Erasmo salvo il maneggiamento delle armi dell’educazione da
estendere non solo alle famiglie nobili ma a tutta la società; Erasmo avrebbe collegato il ruolo della
centralità del precettore con la rivendicazione di una particolare attenzione anche con vantaggi
retributivi. Vergerio nel De pueris, nel suo trattato parlò della soavità nel trattare i fanciulli e della loro
sapiente incentivazione al bene; raccomanda al precettore di insegnare la misura del godere delle
cose della vita, concede una condizione primaria al ruolo del bene pubblico, ossia gli interessi dello
Stato tanto che Salutati valutò l’opera come educativa anche dei grandi. I potenti si devono
dimostrare all’altezza della dignità loro data a cui sono arrivati per un colpo di fortuna o con mezzi
discutibili, se il merito non è dovuto fin dal principio lo dovrebbe diventare attraverso l’acquisizione di
una virtù anche posteriori con gli studia humanitatis. Concetto espresso anche da Erasmo nel
Spartam nactus et hanc orna. Entrambi guardano con rispetto l’età evolutiva e il fatto secondo cui il
lavoro pedagogico è davvero efficace quando intercorre un rapporto simpatetico tra educatore e
allievo, descritta da Erasmo come benevolentia e che pose a fondamento di qualsiasi progresso
morale autentico e non illusorio, esposto nel De civilitate morum puerilium. Fin dall’inizio la pedagogia
umanistica si distinse per la tendenza a respingere i canoni di un’educazione autoritaria, suffragata
dai sentimenti di diffidenza ingenerati da un’antropologia pessimista, portata a vedere con sospetto le
manifestazioni più spontanee della vitalità infantile. Si riflettevano anche troppo precipitosamente i
segni di una natura umana macchiata e depravata, che occorreva correggere con metodicità rigorosa,
senza esitare a far uso della violenza onde prevenire suoi ulteriori scivolamenti verso il basso. Anche
il criterio del buon educatore mite e incoraggiante contro l’agostinismo medievale.
Non reprimere ma valorizzare
Intuizioni vergeriane trovarono campo fertile nel nord Italia padano dove l’umanesimo venne
declinato nella costruzione di un originale programma di educazione aristocratica, alla cui base vi fu il
conseguimento della virtus coltivata come una possibilità da calare nel vissuto di un soggetto
protagonista della propria crescita. Il metodo di insegnamento cambiò radicalmente per effetto della
ricezione del socratismo come formula di vita e di apprendimento; l’ideale della conversazione
filosofica del sodalizio chiuso, entrò anche nella scuola rovesciando le attitudini relazionali tra
insegnante a alunni. Diminuirono i metodi coercitivi e le punizioni corporali al posto
dell’incoraggiamento come invito alla maturazione di principi morali che non possono essere inculcati
dall’esterno ma che l’Io deve trovare da sé con l’aiuto del maestro. Venne meno una partizione rigida
delle materie di insegnamento al posto di un’acculturazione non specialistica ma interdisciplinare.
Istruzione non più della Chiesa ma dello Stato e della società civile, gli alunni dovevano essere pronti
ad affrontare la vita activa e le sue incombenze. Spazio particolare per la donna che divennero
soggetti portatori di una radiosa sublimità e molte di loro finirono tra i personaggi memorabili per le
loro qualità personali, prime tendenze di glorificazione della donna. La dignificazione dell’individuo
viene indicato nelle arti liberali che vennero assorbite nella pedagogia umanistica nella loro funzione
di saperi trasformativi del soggetto discente; venne disertata la teologia giudicata irrilevante per la
crescita etica e intellettuale di un giovane. La cornice della nuova scuola umanistica fu la casa
comune, il convitto, si di alunni che di docenti. Grande risalto all’attività fisica, men sana in corpore
sano. Regola base, l’uso della lingua latina, occorreva imparare a pensare come i classici, per questo
l’assimilazione del latino non avveniva più mediante l’apprendimento pedestre di regole astratte ma
attraverso l’intreccio di situazioni emozionali con la composizione orale e scritta di testi originali poi
inscenati in dialoghi e orazioni , importante anche la profonda venatura estetica. Guarino Guarini da
Verona(1374-1460)che partecipò alle lezioni di Crisolora che seguì anche a Costantinopoli, gesto che
inaugurò la consuetudine umanistica dei viaggi di formazione all’estero; questo gli permise di brillare
come traduttore, compresi i testi pedagogici che lo aiutarono nella sua formazione dell’ideale
d’insegnamento che avrebbe diffuso una volta tornato in Italia a Ferrara dal 1429. Fu precettore di
Lionello d’Este, costruì un convitto a casa sua, replicando la struttura del contubernium di Gasparino
Barzizza(1359-1431); ambiente domestico e collegiale che animò con la propria cerchia parentale. La
regola della condivisione fu il pilastro della scuola guariniana, i convittori erano sollecitati a diventare
compagni attraverso la comune partecipazione all’attività di programma. Ludovico Carbone, suo
allievo, nell’onoranza funebre tratteggiò i lineamenti di un uomo buono, sempre incline ad insegnare
qualcosa, mite ma noioso. Testo che trova il suo pregio nella tessitura di un parallelo con la figura del
sapiens greco, intendendo la filosofia come pedagogia di gruppo; implicito paragone con Socrate fino
alla morte che avvenne tra i libri e le lezioni, nel pieno di una conversazione vissuta come missione
educativa. Plurimi meriti culturali, mettendo in pratica le teorie di Vergerio, tenendo il De ingenius
moribus sempre con se e commentandolo a lezione come se fosse un classico; diede via ad una serie
di buone pratiche che scandivano la giornata secondo principi ispiratori di Vergerio:
 distribuzione ordinata e razionale del tempo, senza inutili perdite
 Stimolo della curiosità dei discenti
 Il riposo della mente non con l’ozio ma con frequenti cambi di argomenti
 Il rigetto della pedissequità nell’accettare le nozioni apprese che andavano messe al vaglio del
proprio giudizio
 Importanza del dubbio critico alla ricerca di una propria visione delle cose
 Predilezione per la dimensione colloquiale della conoscenza, con il controllo delle letture
collettive intervallate da discussioni
Ripartizione in 3 corsi_
o Elementare
o Grammaticale
o Retorico
La cultura greca faceva da appoggio a quella romana. Forgio un vero e proprio stile di vita che poi il
figlio Battista nel 1459 accompagnò ad un trattto, il De modo et ordine docendi ac studendi, il tipo di
insegnamento di Guarinon non aveva più nulla a che fare con la lectio accademica impartita dall’alto
della cattedra; ogni allievo doveva avere un quadernetto da lavoro in cui segnare tutto ciò che lo
colpiva, su cui poi ripassare e costruire un proprio vocabolo o stile; impatto della didattica frontale,
solo una lezione al mattino di latino e una al pomeriggio di greco sempre preferendo il metodo della
lettura e dell’autocomposizione ed esposizione, a questi insegnamenti si inserivano quelli d storia,
geografia, mitologia.
Fare scuola
Il modello educativo di Guarino servì come materiale di riflessione e Maffeo Vergerio(1407-1458), De
etucatione liberorum et eorum claris moribus, in 6 libri nel 1444; importanza della formazione del
bambino fin dalla più tenera età, idea poi ripresa da Erasmo nel De pueris stati ac liberaliter
instituendis, con cui concordo anche nell’inopportunità dell’abuso dei castighi fisici e della preferibili
di una strategia educativa basata sul rinforzo delle disposizioni buone, sulla persuasività dei messaggi
e sulla gradualità nel somministrare fatiche che in ogni devono essere soverchiati. Furono messe
sotto esame da Vegio anche le favole da raccontare ai bimbi, portatrici di messaggi troppo complicati.
Consigli anche sul regime alimentare e sanitario, prescrisse l’allattamento al seno materno e
condannò la delega alla nutrice. Sottofondo più religioso rispetto a Ferrara, figura modello di
educatore, santa Monica(madre di s.Agostino)donna paziente e combattiva che invogliò la
conversione al figlio senza intaccare la sua libertà. Raccomandazione di coltivare la verecundia, quel
pudico riserbo in grado di fungere da scudo protettivo contro la lasciva e la tracotanza. Vittorio da
Feltre(1378-1446)incarna il prototipo dell’asceta completamente calato nella propria missione
educativa che visse con zelo cristiano anche se alieno da integralismi. L’osservanza dei precetti
religiosi toccò in lui un fervore che si incontrava raramente negli stesi ambienti ecclesiastici, non
viveva fuori dalla vita sociale ma egli la subordine con decisione ai valori eterni del Vangelo, così da
poter vivere in libertà di spirito il suo rapporto con i potenti. Proveniente da una famiglia caduta in
povertà che lo portò ad una diversa visione delle cose; fu un laico anche se non si sposò mai, i suoi
figli furono i suoi allievi che adottato la formula del contubernium adottò in casa sua con attenta
selezione; esigeva una retribuzione solo da chi poteva permetterselo o commissionato alle
disponibilità di ognuno con un supplemento per i richhi per aiutare i più poveri. Fu allievo di Barzizza,
Vergerio e Guarino, nel 1421 succede a Barzizza Coe insegnante a Padova ma nel 1423 andò a
Mantova dove fu precettore dei Gonzaga nell Ca’Zoiosa o Zocosa dove vennero ammessi anche alunni
esterni alla famiglia, Convitto come sorta di liceo a cui impose la clausola economica di solidarietà
peri poveri meritevoli. Spirito di libertà accordato ai discenti, per i quali l’apprendimento non doveva
essere uno sforzo penoso ma un’occupazione piacevole, gratificante ma con na disciplina molto
rigorosa. Regolata come una scuola filosofica antica prevedeva orari stretti, dieta sorvegliata e
abitudini austere, grande importanza per l’attività fisica e per l’igiene e assidua pratica religiosa; si
andavano a trovare gli infermi in ospedale. Non favorevole alle punizioni corporali ne faceva uso
quando estremamente necessario, come per custodireil sacro valore della verecundia; tuttavia
preferiva punizioni come il distintivo del colpevole che lo allontanava dal gruppo e far mettere il
punito in ginocchio al centro della classe ma anche con la psicologia inversa, cioè incentivando la
solerzia e la moralità ricompensandole con i premi in modo da far leva sull’amor proprio del discente.
Al centro del suo programma pedagogico c’era lo sviluppo della coscienza etica che venivano
precocemente responsabilizzati. L’addestramento a ricoprire un ruolo pubblico prevedeva un aspetto
pratico-operativo per cui venivano messe a disposizione delle sollecitazioni e un tirocinio di tipo
comunicativo e relazionale; puntava alla formazione di una personalità morale tenace. Il giovane
doveva crescere consapevole delle proprie risorse e dell prontezza a farne buon uso, resistendo alle
pulsioni malvagie. Insieme a lui vi era un insegnate di greco, canto, disegno e musica; lui insegnava
retorica, matematica e filosofia. Per fare esercizio spesso vi erano dei cantanti, amanuensi, musicisti,
artisti, lo sport era volto a sviluppare lo spirito agonistico, grande uso dell’equitazione. Formazione
retorica di alto livello basata su Cicerone, Virgilio, Omero e Demostene. Il culmine del percorso
formativo vi era la filosofia, intesa in senso pratico-morale: Aristotele, Seneca,Platone. Filosofia come
sostrato più utile a qualunque scelta professionale. Fu qui che avvenne la riabilitazione della filosofia
come strumento pedagogico adatto ai tempi nuovi, regina delle discipline, indispensabile per la
formazione degli adolescenti e dall’ora sarebbe stata integrata nel curriculum studiorum del
gentiluomo istruito. Feltre come Socrate cristiano, per il suo vivere la filosofia e per il privilegiare
l’interscambio vissuto, la comunicazione verbale su quella scritta, come lui anche Guerino che però ci
lascia un epistolario. Preoccupazione primaria di Vottorio fu la ricerca di un efficace trasmissione di
una fede religiosa innevata nelle dinamiche della crescita personale del soggetto anche se non
concesse alcuno spazio alla teologia tra i suoi insegnamenti se non la lettura dei testi sacri e dei Padri
che venivano poi commentati.
Ars vivendi
Gli umanisti abborivano le astrazioni e amavano ravvisare il loro modello antropologico in azione, dei
risultati. Niccolò Niccoli(1364-1437)spese la maggior parte del suo tempo e delle su sostanze a vivere
una vita degna di essere vissuta secondo i valori dell’umanesimo senza preoccuparsi di comparire tra
gli autori cardine del movimento; anche se, a suo modo, colse un traguardo di perfezione estetica. Fu
un mecenate filantropo; di condizione benestante e con solidi agganci politici di adoperò per innalzare
Firenze alla vetta culturale che raggiunge nel 400; si reca a Padova per copiare i codici di Petrarca;
condivide l’idea del ritorno del greco come lingua di cultura e si fa promotore della chiamata allo
Studio fiorentino di insegnati di calibro grazie al denaro di Palla Strozzi e col ritorno di Cosimo
de’Medici si adatta senza problemi al nuovopoere. Passione che gli era cresciuta quando Marsili gli
aveva ordinato di riordinare il libri di Boccaccio in Santo Spirito dove gli aveva destinati in eredità
l’autore; instancabile cercatore di codici antichi ne raccolse 800 grazie anche all’acquisto della
biblioteca di Salutati che lasciò poi in eredità a Firenze che venne poi da Cosimo integrata con quella
del nuovo convento di s.Marco ch divenne biblioteca pubblica; oltre a libri la collezione comprendeva
pezzi d’arte sia antichi che moderni. Ammirato anche per il contegno personale che denotava cua di
se, autocontollo, eleganza e sforzo di conformare ogni lato della vita quotidiana al modello di
un’antichità classica. Aveva anche dei difetti come il narcisismo, l’ipercriticità, l’incontentabilità;
sapeva essere bisbetico e malevolo, sciuoando così il capitale di umanità. Tuttavia I suoi
contemporanei lo ritrassero come un grande uomo, modello dell’umanità erudito, come lui che,
traendo la propria natura umana fuori dalla rozzezza primigenia, aveva ben impiegato il proprio
tempo nello studio, per evolvere verso un grado sempre più affinato di umanità; Io monumentale che
fungeva da specchio per tutti coloro che avessero cercato un modello con il quale paragonarsi
Educazione alla socialità
Progetto pedagogico come ricerca di una calda e ricca colloquialità, disposizione non frivola o
accessoria; retorica cicerniana e quintilianea come principio guida dell’educazione, assegnazione
all’arte della parola un primato nuovo tra i saperi; introduzione dell’istruzione della materia della fede
ma senza l’uso della teologia. La crescita dell’importanza della retorica fu funzionale all’pzione in
favore della vita activa, ossia nella preparazione dei discenti a ricoprire funzioni di responsabilità nella
vita politica e civile; presupposto secondo il cui il confronto con le voci del passato, condotto
attraverso lo studio delle lingue e delle letterature classiche, costruiva il migliore addestramento a
vivere fruttuosamente il tempo presente; antichità come palestra in cui l’allievo esplorata la propria
personalità, imparando a distinguere il bello dal brutto, l’onesto dal disonesto, il vero dal falso. Si
utilizzò il paradigma ciceroniano dell’eloquenza come strumento di una socialità fondata sulla parola e
sul perfezionamento morale degli individui, grazie alle dottrine del De officiis, Cicerone, che ebbero
un grande impatto nel creare i presupposti della vittoriosa affermazione degli studia humanitatis in
campo educativo. La parola unifica le menti e il discorso, se rettamente elaborato, favorisce la
circolazione delle conoscenze promuovendo l’utilità collettiva; vennero riprese anche le reprimende
contro la vanità di un sapere speculativo alto ma sterile perché inaccessibile a un largo pubblico.
Aiutò a investire fiducia nella capacità discorsiva, rafforzando la condizione che essa fosse il sapere
più fondamentale per la riuscita della persona umana; il possesso di una competenza di tipo formale
era preferibile a un magistero di tipo contenutistico, in quanto facilitata l’interscambio entro un
pubblico ampio. Ideali pedagogici di Isocrate secondo cui l’homo sapiens non è dossiciabile a homo
loquens. Attinsero anche alla scuola peripatetica aristotelica per il pensiero etio-sociale; Aristotele
nella Politica definisce l’uomo come animale naturalmente politico; ripresa anche da Cicerone nel De
finibus in cui parla della vocazione unitiva che è propria dell’uomo che si esplica nel legame e nella
condivisione che danno luogo a famiglie, amciizie, associazioni, Stati. Che nel medioevo e nel
rinascimento si tradusse con la conversatio=stare insieme, su qualsiasi scala,ancora non esisteva la
parola società(illuminismo) e al tempo la parola societas indicava un concreto e ben circoscritto
raggruppamento di persone unito da un certo interesse o da una certa attività civile, economica
religosa. L’arte della parola rende l’uomo più umano, secondo Salutati la capacità di parlare bene
contribuisce a rendere esteticamente fruibile lapresenza delle virtù di un individuo. Guarino e
Vittorino tendevano ad equiparare l’eloquenza alla razionalità, per questo stabilirono come fulcro del
loro programma educativo, il potenziamento di quelle facoltà comunicative senza le quali il valore
morale dell’individuo rimane inespresso. Salutati fu il prefuratore di un nuova alleanza tra educazione
e culto della retorica, nel De laboribus Herculis scrisse che l’arte della parola ha la stessa potenza
generatrice dell’amore ed il pianeta che le è più propizio è Venere, data la sua capacità di accendere
gli intellettiva e infiammare i cuori. Valla dell’Elegantia Latine lingue definì la lingua latina come un
vero e proprio sacramento attraverso cui relazionare il momento particolare-accidentale alla
dimensione dell’universale-eterno. Le facoltà che distinguono l’uomo dal’animale sono laragione e la
parola che sono complementari: la ratio è agione comunicativa e il verbum è comunicazione
razionale. Entrambe presuppongono l’interdipendenza dei soggetti rendono possibile la loro
conversatio, il loro condividere uno stesso luogo fisico o simbolico. L’unione di più esseri umani che,
mettendo in comune le proprie specifiche risorse individuali, portano la loro attitudine interattiva al
più alto grado, fonda la ciitas, che è la città reggente si su leggi corrispondenti alla natura sociale e
razionale di tutti i suoi componenti. L‘ingresso nella condizione di cittadino rappresenta la fuoriuscita
dallo stadio primigenia della semiumanità, della feritas, sia materiale che morale. La dimensione
comunitaria non rappresenta né una perdita né un rinnegamento dell’originalità libertà selvaggia ma
segna il perfezionamento dell’uomo in quanto animale chiamato a vivere in società. Secondo lo
schema classico la ragione porta l’uomo a riconoscere che la socialità è una componente
imprescindibile del suo essere, di qui l’adesione volontaria alle leggi dello Stato e il discorso è visto
come la manifestazione in pubblico di quella disposizione comunicativa grazie alla quale la
convivenza si è formata e può consolidarsi, vincendo i possibili fattori di disunzione, di qui a necessità
dell’eloquenza, secondo Isocrate la civiltà è comparsa nella storia umana insieme alla parola e
progredisce con essa. Per Bruni la trasmissione della cultura attraverso la parola è dono di sé agli
altri, è carità cristiana. Il rilancio dell’eloquenza doveva insinuare inchi parlava lo scrupolo del rispetto
della libertà intellettuale dell’interlocutore, forma di intelligenza dialogica. Etica umanistica
dell’incivilimento, secondo la quale, per diventare veramente persone umane è necessario stare con
gli altri in un contesto siciale di tipo evolutivo, la città. Occorre imparare a rapportarsi virtuosamente
con i propri concittadini, coltivando concura le competenze comunicative senza mai perdere di vista il
quadro valoriale di riferimento della retoricaclassica, che ruota attorno alla sapientia dell’individuo
responsabile di fronte alla comunità; principio componibile con un cristianesimo di intonazione
morale.
La Disputationes Canaldulenses di Cristoforo Landino
Punto di arrivo principale intorno al genere di vita più adatto all’uomo progrediente è il Disputationes
Canaldulenses di Cristoforo Landino(1424-1498)del 1475. Maestro di poetica e oratorio allo Studio
fiorentino, subì il fascino del magistero del suo amico Marsilio Ficino, come testimonia il trattato De
nobilitante animae, di fatto il tema dell'anima riveste un ruolo centrale delle Disputationes e un’aurea
platonica è continuamente percepibile nel sistema dei riferimenti su cui poggia il dialogo. Intende
rievocare un evento del 1468, ambientata in Toscana nel vasto e accogliente monastero di Camaldoli
che ha aperto le sue porte a una comitiva di illustri cittadini fiorentini appassionati di filosofia
capeggiati da Lorenzo de’Medici qui giunti alla ricerca di un riparo alla calura estiva come hanno fatto
Leon Battista Albert e Marsilio Ficino, figura significativa ma che resta in silenzio nel dialogo. I
protagonisti sono il Magnifico fautore del primato della vita activa e Alberti che difende la superiorità
di quella contemplativa. Questa scelta, come sempre, non riporta i reali ideali dei personaggi ma degli
strumenti con cui l’autore da voce a una certa posizione, estremizzandoli fino al radicalismo per
meglio approfondirà e stemperarla in un’armonica sintesi finale. L’opera è il resoconto di una
sequenza di dialoghi, divisa in 4 libri, di cui gli ultimi 2 rappresentano un’interpretazione allegorica
dell’Eneide; il secondo si snoda attorno a una discussione relativa al concetto di Sommo bene quale
meta suprema dell’anelito umano che va perseguito attraverso vicissitudini e tribolazioni come quelle
di Enea; il primo libro è dedicato alla valutazione preliminare dei vantaggi e delle controindicazioni dei
2 generi di vita. La figura di Alberti viene qui ritratta nelle vesti dell’uomo nobile, cultore di una
saggezza che viene onorata quale principio di immortalità. Ficino aveva avuto modo di riformulare il
confronto tra i 2 generi di vita secondo le proprie coordinate filosofiche aventi al centro il tema della
sapientia rivisitato in chiave platonica. Ficino fu un grande educatore e a suo modo fu un maestro di
libertà anche se non fece della politica il primum della vita umana. Intenzionato a conferire
all’umanesimo l’afflato metafisico rilanciò il problema dell’anima come oggetto della filosofia,
servendosi del ricchissimo materiale attinto dal corpus delle opere di Platone che mise a disposizione
in traduzione. Ficino riportò l’ideale della sapientia al suo originario connotato di attitudine bifocale, in
grado di contemplare il mondo del divenire alla luce della verità trascendente e dei principi eterni.
Venne ricollocata la prudentia, intesa come capacità di ordinare e tenere sotto controllo le cose
mutevoli, nella loro dimensione contingente. Il linea di principio Landino condivide il senso
dell’operazione ficiniana, diretta a restituire all’anima i suoi diritti e all’intelletto le ali per volare verso
la conoscenza di Dio; possiamo grossomodo riassumere il discorso delle Disputationes alla stagione
del neoplatonismo fiorentino rinascimentale.
 Primo libro: Alberti si preoccupa di restituire alla noesis il primato assoluto nell’organizzazione
della vita individuale. La discussione viene impostata tratteggiando una concezione
antropologica che tende a separare, contrapporre, i 2 termini di corpo e di anima: il primo
viene proiettato sulla dimensione del finito, il secondo su quella dell’infinito. Esistono 2 modi
vivere in accordo con la natura umana: la vita activa, che privilegia il corpo e le sue esigenze
che si riferiscono alla sfera del finito e dell’esteriorità, esercizio indefesso delle virtù morali; la
seconda è la vita contemplativa che restringe al minimo le necessità corporee e le incombenze
pratiche per allargare lo spazio dell’attività teoretica della mente, fonte di letizia. Anche la vita
activa ha le sue gioie ma sono completamente diverse. Ciò che fa Alberti è ribadire che ciò che
occorre rigettare con forza, in entrambe le strade, è la voluttà, il dominio degli istinti. Non vi è
disprezzo verso la vita activa, che anzi viene lodata e che ha i suoi meriti ma sostiene che la
vita contemplativa è meglio impiegata di quella dedicata all’azione, perché privilegia la parte
più nobile dell’uomo e del mondo. Le cose finite sono mortali e non soddisfano appieno. Al
termine dell’ascesi della mente vi è invece Dio. Lorenzo invece replica con fierezza ribadendo il
valore intrinseco della vita activa: non è lecito fare astrazioni scindendo l’anima dal corpo e
mettendoli in opposizione ma l’anima deve riconoscere la legittimità dei bisogni di ordine
pratico(sappiamo che Lorenzo amò anche momenti di solitudine, come nell’Altercazione, forse
voleva elogiare la sua qualità di governante); il discorso sfocia nella smentita dell’onorabilità di
quella controfigura del saggio che viene definito sapiens ociosus e viene messo alla berlina;
dipinto come la caricatura dell’intellettuale avulso dalla realtà, circondato dai libri ed estraniato
dall’umano consorzio, questo tipo saturnino di uomo passa il suo tempo a scrutare i segreti
inaccessibili della natura e a sondare i misteri ineffabili di Dio; così si esonera dalla fatica e
dalla responsabilità di mandare avanti al mondo; ma un simile parassita è uomo solo a metà e
nessuno lo vorrebbe per concittadino, poiché per la comunità risulta un peso. L'uomo davvero
ammirevole è conscio dell’interdipendenza che lo lega ai propri simili e si spende a loro
beneficio, come fece Socrate. Se è ricco e potente, mette le sue risorse al servizio dello Stato.
Lorenzo cita Federico da Montefeltro che è il dedicatario dell’opera, viene celebrato come
doppiamente grande per il suo talento politico-militare e per il suo patrocinio accordato alle arti
e alle lettere, anche Ercole viene citato come modello di virtus che si spende per la collettività
e di parallelo di una patria in lotta contro i giganti, abbatte i mostri, rovescia i tiranni, libera gli
oppressi così come dovrebbero comportarsi i cristiani, annunciatori di un Dio sollecito dei
bisogni dell’umanità. Discorso slitta su s.Paolo come modello di santità cristiana. Stato come
banco di prova delle virtù evangeliche, strumentalizzazione della fede in funzione dell’esigenza
di stabilità del regime mediceo, religio instrumentum regni ma il discorso deve essere preso
con le pinze. Il discorso torna ad Alberti che deve cercare di mitigare; ribadisce che anima e
corpo non si possono porre sullo stesso piano; il secondo accomuna l’uomo con le bestie, il
primo è peculiare dell’uomo e lo mette in grado di conoscere e adorare Dio. Le esigenze del
corpo vanno rispettate ma vanno messe in sottordine e limitate all’indispensabile per evitare
dispersioni. Viene mostrato come prototipo di saggezza Paolo dal Pozzo Toscanelli, matematico
e cosmografo che per amore delle scienze scelse una vita appartata senza sacrificare la propria
libertà o come Cicerone che ci aiuta attraverso le sue opere; la azioni infatti muoiono insieme a
chi le compie, e chi le subisce, il pensiero, se messo per iscritto e fatto circolare, dura
attraverso i secoli e sfida il tempo. Anche il conclamato criterio di utilità sociale può giocare a
favore della superiorità della vita contemplativa, la cosa pubblica funziona meglio laddove la
sapientia è tenuta in onore(Repubblica di Platone)che porta ad esaltare la filosofia al potere
come formula in grado di comporre azione e contemplazione. Anche Aristotele apprezza il ruolo
dei giusti nella vita della comunità che svolgono la funzione di chiglia nella nave dello Stato.
Quindi il sapiens avrebbe dovuto dedicarsi alla vita activa, nel mentre che lo Stato richiedeva i
suoi interventi, ma finite le emergenze può dedicarsi alle cose infinite e incondizionate in cui
può trovare la realizzazione della propria personalità. Per funzionare secondo ragione e
giustizia, la repubblica ha bisogno di un ordinamento assiologico senza il quale rischia la
dissoluzione, i testo offre la risposta a tale bisogno collettivo additando la via della pedagogia
morale per sviluppare la cultura animi che lo aiuti a pervenire ad una sintesi armoniosa di
onestà interiore e decoro esteriore, al fine di assolvere degnamente alle sue responsabilità sul
piano storico contingente
L'interesse del dialogo non sta nella conclusione a cui perviene ma negli orizzonti che apre, innesca
un approfondimento che sfumando finisce per premiare un’opinione riconosciuta come preferibile
senza però demolire quelle concorrenti ma accordandole in maniera sinfonica con la nota dominante.
Avvio al criticismo
Il ruolo maieutico della filologia
Approccio dubitativo al dato di conoscenza tramandato dal passato e del grado di autenticità dei testi
che l’autorità ecclesiastica proponeva a garanzia della sua intoccabile autorità sapienzale, comprese
le SS. La filologia degli umanisti fu la lavatrice dello spirito critico della modernità(Eugenio Garin,
Cesare Vasoli; la filologia presuppone una disposizione mentale, un filosofia che si fondasse sul
principio di rifiuto delle autorità). I primi umanisti erano principalmente calligrafia con buona capacità
scrittore e ortografiche ma inconsapevolmente anche filologia perché avevano dimestichezza con i
principi della critica testuale; la loro perizia di latinisti li metteva in grado di intendere correttamente
un testo anche quando la sua forma appariva adulterata da secoli di cattive trascrizioni ad opera di
copisti negligent e famigliarizzarlo no con lo stile peculiare dei gradi autori, così impararono a
distinguere i diversi contesti linguistici; ammirazione per il latino dell’età aurea, tra fine I sec a.C. e I
sec d.C.(poi vi era quella argentea I-II sec d.C.; e bronzea tra III-IV sec d.C.). Da Salutati gli umanisti si
impadronirono delle competenze basilari della disciplina filologia che li rese capaci di individuare
errori, lacune e interpolazione nelle trasmissioni di un testo e si fomò la disposizione a elaborare
rettifiche e integrazioni per via congetturale(anche Petrarca aveva scrtto un’edizione critica di Tito
livio e dimostrò che non era vero che era stato dato agli Asburgo un privilegio che stabiliva la
separazione dell’Austria dall’Impero romano e la sua costituzione in uno Stato indipendente). Stato
d’animo di rimpianto per la perdita di un patrimonio che si desiderava recuperare, desiderio di
leggere gli autori antichi nella loro purezza, senza errori e con i testi ormai perduti, anche se molti
testi vennero in quest’epoca ritrovati dopo lunghi secoli d’assenza; rese possibile una maturazione
epistemologica, derivante dall’estensione dello spirito accertativo ai più diversi oggetti della
conoscenza intellettuale. Criticismo come tendenza a mettere in discussione i dati conoscitivi e come
sforzo di emendazione degli errori riscontrati che avveniva anche con l’accostamento di 2 codici dello
stesso testo, mettendoli a confronto o collazione per capire quale fosse il testo più plausibile. Il
filologo imputava all’effetto corruttore del tempo lacolpa della sedimentazione degli errori umani; il
tempo col suo incidere è causa di allontanamento da un certo oggetto che diventa possibile di
distorsione esige uno sforzo di restituzione da parte dei posteri. L’errore si può annidare ovunque,
occorreva una panacea di rettifica delle conoscenze definita: emendatio, correctio, purgatio,
castigatio.
Ritorno alle fonti
Per spiegare il proprio canone epistemologico Valla venne ispirato dalla pratica della filologia e
riprendendo un’immagine di s. Girolamo a proposito del suo lavoro i traduttore e riordinato delle SS,
spiegò che la tradizione della Chiesa era paragonabile a un corso d’acqua che scorre nel tempo
storico; man mano che si allontanò dalla sorgente(epoca apostolica) il corso d’acqua diventa fiume e
trasporta inevitabilmente fango e detriti chelo inquinano,se si vuole bere acqua pura bisogna
attingere alla fonte. Ritorno alle fonti, ideale che trova però riscontro solo in Ratio verde theologiae di
Erasmo da Rotterdam del 1518; ma il cui meccanismo di pensiero era già in voga con Petrarca che
preferivano i testi originali senza filtri. Ambrogio traversari, sperava di riformare la Chiesa con un
ritorno alla conoscenza diretta del Padri, gustati nella loro valenza di sostegni per la vita morale e
psicologicica del lettore, gli auctoritas con cui rapportarsi e dialogare intimamente; I loro scritti
andavano recuperati come fonte e non dovevano più essere strumentalizzato come auctoritatisad
opera degli edificatoria di una cattedrale di pensiero che di essi si servivano come di materiale da
costruzione. Il lettore doveva mettersi in sintonia con l’intenzione comunicativa dell’autore e dopo
doveva preoccuparsi di come la tradizione ecclesiastica lì aveva impiegati. Si rovescaiva la
prospettiva spersonalizzante del Medieoo scolastico secondo cui nel testo si cercavano argomenti
topici e stilemi espressivi da cumulare a difesa del patrimonio delle conoscenze domatche
tramandate dalla Chiesa. Libero esame anche verso i testi della Bibbia, precondizione indispensabile a
stabilire una conoscenza certa intorno alle modalità di salvatione dell’Io.
Riconoscere le falsificazioni
De voluptate, prima versione nata in ideale di colloquio con i circoli umanistici più avanzati; apportò
all’autore notevole prestigio ma anche diffidenza dagli ambienti ecclesiastici, come dimostra il rifiuto
di papa Eugenio IV(1431-1447) di prenderlo al suo servizio, Valla offrì le sue competenze al re di
Napoli Alfonso il Magnanimo, nemico del papa, che nel 1435 lo assunse come suo segretario; da lui
vista come sistemazione ottimale per dedicarsi in tutta agiatezza alle più nobili attività dello spirito;
accanto ai lavori reali trovò il tempo per coltivare la ricerca e la composizione dei suoi lavori più
originali. 1444 completa e pubblica l’Elegantie latine lingue e la Dialectica, sorta di rifondazione del
rapporto tra modo di pensare e modo di parlare e iniziò la composizione della Collatio Novi
Testamenti; e la confutazione dell’autenticità della Donazione di Costantino del 1440, Declematio de
falso credit et ementia Costantino donatione, scritto nel momento in cui Eugenio Iv contestava
l’assegnazione del Regno di Napoli ad Alfonso il Magnanimo. Secondo un documento il papato
tardomedievale acquisita il potere dello Stato pontificio nell’Italia centrale e un patrono sul territorio
di Napoli con il diritto di sceglierne il re e una serie di altre prerogative che segnavano il temporalismo
del papato, ossia il buon diritto a intromettersi negli affari di questo mondo per plasmarli secondo
indirizzi religiosi, ideali di teocrazia. Falso che venne creato nelle cancellerie papali prima dell’avvento
di Carlo Magno, si racconta di come Costantino, spinto dalla devozione e dalla riconoscenza verso
papa Silvestro, aveva stabilito di ritirarsi a Costantinopoli cedendo la metà occidentale e la città di
Roma al papa cui trasmetteva anche il diritto di fregiarsi di alcuni simboli e insegne imperiali,
assemblato come un collage di pezzi risalenti a epoche e documenti diverse facilmente riconoscibili;
nel 1001 anche l’imperatore Ottone III lo dichiarò un falso, così come altri. Il testo andava a comporre
il codice del diritto canonico, il Decretum Gratiani che stabiliva che le disposizioni in esso contenute
dovevano essere osservate come leggi della Chiesa, da non mettere in discussione, tutti i cristiani
dovevano accettarla come norma operante a prescindere dalla sua fondatezza. Il problema
dell’accettabilita della Pseudo-Donazione non cessò di tormentare le coscienze più sensibili del
Medioevo come Date Alighieri o Marsilio da Padova. Lo Scisma d’Occidente fece aumentare le
contestazioni che si fecero più incisive tra cui la Declamatio di Valla, scritto concepito come
strumento offensivo del re di Napoli che portò alla deposizione di Eugenio IV. Il quel periodo la pseudo
donazione du tradotta a anche in greco e presentata al Concilio ddi Firenze nel 1439 come argomento
a sostegno del primato papale. Aveva subito un duro colpo da parte di Nicola Cusano che nel 1433
scrisse il De concordanti catholic a nel l’intento di rimuovere gli ostacoli che si frapponevano al
ripristino dell’unità nella Chiesa occidentale, aveva individuato nel papato alcuni germi di
comportamento antievangelico come il temporalismo che combattè con la confutazione del
Costitutum Costantino rilevando che di tale documenti non si rivelava traccia nelle fonti storiche e
giuridiche se non dall’età carolingia, attestata anche dalla forma stilistica e lessicale rozza ma non
entrò nei dettagli; cosa su cui poi si basò Valla per la sua confutazione, stile della lingua che non
combaciava con la datazione, struttura di un diploma imperiale che mescolava al suo interno
frammenti di pieleggnde altomedievali e riferimenti cronologici e topografici imprecisi; impresse al
suo scritto il carattere tipologici di una declamato che arricchì di un ampio ventaglio di considerazioni,
giocate su diunmovimento continuo di risalita dal piano del particolare a quello dell’universale, dalla
sfera fattuale a quella etica. Tracciato che parte dall’analisi critica di un documento e sfocia in una
perforazione dagli esplosivi risvolti pratici. 5 punti principali:
1. Costantino non aveva la possibilità di donare ne Silvestro quella di accettare, quanto stabilito
nel Costitutum
2. Costantino non ha donato e Silvestro non ha accettato nulla, perché l’evento non è mai
avvenuto storicamente e il documento che lo attesta è un falso
3. Na donazione fu compiuta da Costantino ma a papa Malchiade, predecessore di Silvestro ed
ebbe oggetto non poteri pubblici e territori ma beni privati che consentirono alla Chiesa di
sostentarsi
4. Il testo della Pseudo-Donazione entrò in circolazione solo dopo alcuni secoli dalla morte dei
protagonisti, come dimostra il fatto che non se ne trova traccia nelle fonti sotrichecoeve e
neppure nelle piuaniche Decreta li autentiche della Chiesa
5. Data la falsità del documento la Chiesa del XV secolo non poteva avanzare alcun diritto in
merito al dominio temporale che pretendeva di conquistare con le guerre avanzate com azioni
di recupero patrimoniale
Se Costantino avesse voluto donare Roma al papa il Senato e il popolo avrebbero avanzato obiezioni
di tipo costituzionale, egli non era il padrone dello Stato ma solo l’amministratore il cui compito è
conservare il territorio è semmai accrescerlo, non amputarlo o daneggiarlo in alcun modo; inoltre
all’epoca della donazione Costantino sarebbe stato ancora pagano. Silvestro non avrebbe potuto
accettare un dono che si sarebbe rilevato mortifero per la dignità che rivestiva, il compito del papa è
quello di vigilare sulla purezza del sacerdozio e non inquinarlo andandosi a cercare responsabilità di
governo politico. Espone poi una serie di prove dell’inatendibilità del documento: vocaboli usati a
sproposito, termini che denotano istituzioni e consuetudini diversi da quelli vigenti ai tempi, errori
nella menzione dei luoghi, echi del linguaggio della Bibbia che non si usavano nella cancelleria
imperiale agli inizi del IV sec. Ogni epoca ha il suo stle, la sua forma, un paradigma linguistico-
culturale in base al quale era facile capire che il testo non potessero essere stato composto nell’epoca
stabilita. Valla all’inizio del testo fa proferire a Silvestro un discorso in cui delclina l’offerta di
Costantino che non si lascia sedurre dall’omaggio di un imperatore più stolto che pio esponendo i
motivi religiosi-morali per i quali da donazione deve ritenersi non confacente ai dettami del Vangelo, il
papa impartisce all’imperatore un breve catechismo di politica all’insegna dell’attribuzione a Cesare
di ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, separazione tra Stato e Chiesa che serve a proteggere
la religione dal letale abbraccio della politica, lafunzione papale non è quella di detenere il potere
secolare, poiché il regno di Dio non è di questo mondo e la giurisdizione della Chiesa è di tipo
spirituale. Essa si è ritenuta vera perché un papa l’ha scritta e gli altri hanno trovato conveniente
prendere per buona la finzione, con una mescolanza tra gli affari politici e religiosi e un modo per
piegare al propri volere gli imperatori carolingia e germanici. Lo scritto doveva servire a convincere il
pubblico della necessità di stroncare ulteriori iniziative, ingiustificate quanto deleterie, da parte di un
papato che si serviva impropriamente de propri poteri, dilatati oltre il lecito per inseguire fini perversi
facendo uso di mezzi detestabile, compresa la guerra. Di qui il tono incalzante delle perforazione
conclusiva che apre il fuoco contro il bellicismo del papato che trovava legittimazione nella Pseudo-
Donazione contro quegli usurpatori che la Chiesa si riteneva autorizzata a cacciare per riprendere
possesso dei suoi territori italiani; gli venne attribuita anche l’accusa di tirannia. La guerra di per sé è
un evento scandaloso, ancora di più se mossa dal papato che contravvenendo ai suoi doveri pastorali
si lascia trascinare dalle pulsioni più basse, sorrette da ragioni indifendibili. Ma subentra la speranza
tra le righe finali, una prospettiva di liberazione, attuabile in un ordine civile giusto. Storia recente
della Chiesa come una successione di pontefici indegni che non hanno fatto altro che aggravare la
sua malattia ma nonostante questo il papato resta per Valla un organo necessario al governo della
Chiesa universale che non viene mai messa in dubbio ma esaltata come mezzo di indirizzo a
salivazione di tutta la famiglia dei credenti; auspicava ad un ritorno alla Chiesa della santità di un
tempo.
Attaco al fideismo
3 anni dopo la Declamtio Alfonso il Magnanimo si riappacificò con Eugenio IV con il trattato di
terracina, 1443, ciò colpì Valla. La pubblicazione del testo non giocarono a suo favore che anzi i suoi
nemici contribuirono a diffondere per screditarlo davanti all’autorità ecclesiastica, non ripudiò l’opera
ma cercò di giustificarlo con la Libertas dicentis che deve viegere nelle questioni attinenti alla verità
storica. Tuttavia gli costò l’ccusa di eresia, dal quale venne prosciolto ma con l’ingiunzione di non
poter diffondere le sue opere, ad essere messo al bando non fu tanto il contenuto del testo quanto la
iattanza con cui Valla aveva osato sfidare il clero in materia di cognizioni teologiche; miccia accesa da
frate Antonio da Bitonto che nel 1444 tenne un ciclo di sermoni per la quaresima a Napoli che aveva
la consuetudine di far recitare a dei giovani il Credo apostolico diviso in 12 segmenti e attribuito alla
paternità di uno dei 12 apostoli con il cui nome veniva intercalata la recita. Modalità usata anche dai
Padri come Bernardo da Chiaravalle; Valla trovò infondata la genealogia del testo del Credo e per
questo andò il sabato santo a far visita al frate e gli chiese dovevenisse detto che il Credo fosse stato
composto versetto per versetto dagli apostoli; il frate rispose in modo evasivo facendo appiglio a non
meglio specificati dottori della Chiesa e a s. Bonaventura che però non poteva essere preso come
testimone di un evento avvenuto prima della sua nascita; il frate, seccato,commentò che Valla si
impicciava di questioni che non erano di sua competenza professionale; Valla si chiese come potesse
un uomo di fede respingere con tanta villani una curiosità di chi voleva imparare, il frate ribattè che
egli non voleva imparare ma solo polemizzare; e Valla chiese come potesse imparare se lui non gli
insegnava e Antonio disse che per prima cosa l’allievo doveva fidarsi e credere. Valla disse che si
poteva credere solo alle cose riscontrate come vere e senza dubbio. Ciò provocò l’idea del frate che lo
cacciò con sul amico. Il giorno di Pasqua Antonio dal pulpito sbraitò contro un tale che metteva
indubbio che il credo fosse stato scritto dagli apostoli, non fece nomi ma si capì comunque; il
battibecco andò a vanti per giorni e Valla si dichiarò disposto ad avviare una disputa con un tribunale
misto di laici e chierici, il re proibì la disputa ma Valla affisse alla chiesa un distico offensivo
all’avversario; il dibattito era di dominio pubblico e Valla divenne il capro espiatorio di tutti i disguiti
tra chiesa e corona di quegli annI e venne aperto un processo a suo carico, lo citasse a rendere conto
delle posizioni che professata in materia dottrinale. Valla credeva che la convocazione fosse un altro
modo per fare la disputa ma si accorse di essere l’unico imputato di un procedimento inscenato al
fine di svergognarlo davanti alla società locale, in cui i membri di uno stesso comitato fungeano da
giudici, accusatori e testimoni, un processo-farsa. Il tribunale intimò a Valla di abiurare le sue false
convinzioni non solo in materia religiosa ma anche dialettica e metafisica,cardini dell’insegmaneto
scolastico, per l’eccessiva simpatia verso il piacere ma tutte queste richieste risultavano insostenibili
e quasi imbarazzanti. Lo salvò il re che pose fine al processo che avrebbe probabilmente portato alla
morte di Valla per linciaggio o sul rogo in caso di condanna di eresia ma venne assolto in toto; i
nemici vennero rimproverarti dal re e Valla invioun Apologia al papa a cui rispose che la faccenda si
sarebbe così conclusa. La disputa era conclusa, ma di fatto nulla cambiò, dato che non venne
concesso al laicato di parlare liberamente anche in materia religiosa e insinuò la paura ontinua di
Valla che lasciò nel cassetto molte opere
L’ultima provocazione
1448 Niccolò V diventa papa, prima papa umanista e Valla ottenne il posto di funzionario alla curia
romana tanto atteso, dalla partenza da Napoli decise di dedicarsi alle ordinarie mansioni di scriptor
apostolicus e di traduttore di greco. Bracciolini tentò di infrangere la sua reputazione di uomo e di
studio da un lato tacciando la sua produzione di incosistenza, dall’altro mettendo in dubbio la sua
onorabilità morale e la sua ortodossia in materia di fede; Valla si difese e ottenne la cattedra di
professore di retorica allo Studio di Roma, l Sapienza, che formava i curiali. Gli ultimi anni di vita
furono agiati e con riconoscimenti ma senza pace, vi furono sempre degli screditori deluso lavoro ma
con essi molti furono gli ammiratori, compreso papa Callisto III,Alonso Borgia,Arcivescovo di Napoli
che voleva metterlo al rogo nel 1444. Morì nel 1457 ma prima lanciò una nuova provocazione al
mondo conventuale, contestando la sentenza del suo ruolo di guardiano dell’orotdossia e del
tradizionalismo; lo fece in maniera raffinata e spettacolare, attaccando la reputazione di s.Tommaso
d’Aquino, uomo-simbolo del Medioevo teologico, vero il quale nutriva insofferenza non per i contenuti
del suo pensiero ma sul piedistallo su ci era stato posto, esaltato come auctoritas. Il tutto venne
mascherato come un panegirico in onore del santo del 7 marzo 1457 e una volta sul pulpito di Santa
Maria sopra Minerva iniziò l’attacco; elogiò il suo culto delle virtù ascetic he e la vastità delle sue
conoscenze e la sua difesa dell Chiesa quasi come un martirio ma senza parlare della qualità del
contributo da lui portato al patrimonio teologico della Chiesa. Aveva attrezzato la riflessione cristiana
con il più sofisticato armamentario intellettuale allora disponibile, che era quello della logica e della
metafisica di Aristotele ma così aveva compresso la vitalità della cultura cristiana inquanto arte della
comunicazione dell’esperienza etico-religiosa; aveva privilegiato le punte intellettualistiche della
dilaettica, palestra di competenze atte a ingaggiare dispute verbali fra avversari a discapito della Alda
e pastosa colloquialità della reotirca, dichiarò il suo disgusto per i teologi di mestiere, quelli che si
compiacevano di sbigottire il pubblico con termini astrusi. Non era più il tempo di ostinarsi a difendere
la fede per mezzo d teoremi filosofici, buoni solo ad alimentare la presunzione dei ragionieri di
professione; occorreva ritrovare lo slancio di un discorso ardente perché vicino all’esperienza di una
fede viva, comunicata per contatto e in grado di farsi discorso sollecitate all’udito e fecondo per la
conoscenza morale.
Dall’umanesimo filologico all’umanesimo biblico
Valla, più grande appresentante dell’umanesimo filologico del 400 e diede avvio anche all’umanesimo
biblico a cui conferì una fondazione metodologica basata sul metodo di Quintiliano calata sul testo
sacro; sottopose le scritture ad uno scandaglio linguistico-grammaticale le traduzioni in circolo, non fu
il primo a porsi il quesito attorno al grado di fedeltà del testo Scrittura le in uso nell’Occidente latino
che era quasi esclusivamente la Vulgata di San Girolamo. Gli umanisti vedevano nel testo sacro un
codice come gli altri, da sottoporre, allo stesso modo, ad una verifica filologica della lingua e della
forma per appurare la traduzione, non è possibile fare teologia nell’incultura linguistica; si chiese
come si potesse fare affidamento su Tommaso d’Aquino per la traduzione delle lettere di Paolo che
erano scritte in greco, lingua che lui non parlava nemmeno. Lo scopo era quello di giungere al più alto
livello di precisione nella conoscenza del testo-matrice dal quale si suppone essere partita la storia
della sua trasmissione del tempo perevitare l’adulterazione del testo, ad ogni giro di mano e di
copiatura risulta esposto ad errori, perdite, deterioramenti, fraintendimenti, censure, manipolazioni;
risalire alle fonti. Revisione dei dati accertati per secoli come inverificabili perché ricoperti da un velo
di imperscrutabilità. Così si mise all’opera comparando la versione originale in greco con quella di
Girolamo e ne uscirono errori dovuti, principalmente, al fatto che il traduttore vivesse in un periodo di
decadenza linguistica; si occupò del Nuovo Testamento perché scritto in greco, il Vecchio, scritto in
ebraico ,non era di sua competenza. Non pubblicizzò troppo la sua impresa per non destare
indignazione tra i più tradizionalisti, tuttavia incluse alcuni cardinali come Cosano e Bessarione, che lo
lodarono. Il pubblico non avrebbe nemmeno capito il bisogno di fare quest’analisi, la sola idea
sarebbe stata inreligiosa, il testo biblico appariva intoccabile. Per esempio il termine greco metanoia
significa conversione; l‘atto corrispondente viene pensato come un cambiamento del modo di vivere;
nel testo della Vulgata viene tradotto con poenitentia, termine che declinata in un senso asetico ma
anche corporeo ed esteriore, quando il vangelo sembra spingerlo più verso l’interiorità soggettiva. Le
Adnotationes in Novum Testamentum, 1449, rimasero inedite fino a Erasmo da Rotterdam che le
pubblica nel 1505. L’esperimento di Valla ebbe riscontri nella cerchia umanistica e scatenò l’attacco
di Bracciolini che scrisse una serie di Invettive a cui Valla rispose con delle Antidota; Bracciolini brand
l'accusa dell’eresia indicando un comportamento scandaloso atto a lacerare l’unità dei credenti
insinuando dubbi e spaccature; parlò di una perfida profanazione compiuta da chi aveva osato
insinuare che nella Bibbia ufficiale della Chiesa si potessero trovare errori testuali e manifestando così
il disprezzo per esse, lo accusava di essere un homo profanus che, digiuno di teologia, si ostinava a
immischiarsi nelle quastioni di fede. Si pensava che le modifiche appurate da Valla avessero lo scopo
d travisare il fedele verso una sua concezione di religiosità, totalmente sbagliata.
La polemica contro i voti claustrali
Molti si sono chiesti che genere e se, Valla fosse un filosofo, lui attestò di voler essere un orator, un
cesellatore di discorsi a sfondo morale e non un cercatore di saggezza ne un ragionatore; il genere di
oratoria da lui praticata voleva essere un contributo alla promozione della humanitas, esaltata come
qualità autoevidente dell’uomo ma bisognosa di essere corroborate attraverso lo studio
dell’antecedente classico. Avvocato dell’umanità soprattutto come critico della religione con cui
intendeva l’insieme della pratiche germinate con l’andare dei secoli sulla pastorale ecclesiastica,
presedi mira una concezione onnipervasiva del fato religioso rendete a volgere la fede in rischio
soffocante di illibertà. Soprattutto sugli aspetti penitenziale ed espiatori che trovavano le loro ragioni
soprattutto nel dettato del disprezzo del mondo, il disprezzo verso la dimensione terrestre dell’uomo
portò anche ad atteggiamenti autolesionisti, alcune forme penitenziale propagarono l’idea che la vita
cristianamente perfetta fosse quella che rigetta va tutto ciò che era ontaminato con il mondo, con la
materia e con lo spirito autoaffermativo, invece bisognava ripudiare la realtà terrestre per prepararsi
alla vera realtà, quella oltremondana, il miglior modo era quello di entrare in un ordine religioso
lasciando il seculum e realizzare il vero cirsitianesimo, la condizione di laico era estranea alla sfera del
sacro e priva di meriti davanti a Dio; liaco come profano. Valla si scagliò contro i voti claustrali incui vi
era una concezione ossessiva, di ascendenza gnostica, che portava a rigettare tutto ciò che era
contaminato con il mondo materiale in quanto fonte di perdizione, contestò l’idea del sacrificio
meritorio come fondamento dell’azione religiosa. Voleva opporsi ai sintomi di rilancio del
tradizionalismo che vi erano all’epoca (Bernardino da Siena)incentrato sull’esaltazione del chiostro
come porto sicuro, tra 1442-43 scrisse il De professione religiosorum, riflessione ad ampio raggio
sull’essenza del cristianesimo in quanto sistema religioso, avente riflessi sul piano della morale e sulla
costruzione della Chiesa come organizzazione marcata dal binomio chierici-laici. Struttura del dialogo
che rispecchia una conversazione tra Valla e un frate di cui non conosciamo l’identità ma del quale si
elogia la statura intellettuale. Il frate presenta la sua vocazione come onorata di privilegi e di
prerogative principalmente ultraterrena ma pare che sia una superiorità giuridico-sociale come quella
di una casta, gli ordini religiosi godono di una speciale considerazione nella Chiesa perché vantano
una condizione meritoria con Dio. Sembra che lo faccia apposta per far alterare Valla che prende le
parti della condizione liceale in antagonismo aquella monastica attaccando la nozione del privilegio
spirituale che sarebbe connesso all’atto di proferire i voti monastici, non vi può essere superiorità per
uno stato di vita che di per sé non implica la santità, ma che si fonda su una promessa, su un
impegno a realizzare certi obiettivi che ancora non ci sono ma che aspettano di essere raggiunti.
Vuole mettere in rilievo il carattere non automatico, ma condizionato, della santificazione connessa ai
voti monastici. Fa qui una digressione su l significato della parola religiosa che allora non designata
tanto una realtà spirituale, sentimentale o immaginaria ma un’istituzione ben concreta e definita, si
usava per indicare un ordine religioso e i frati erano i religiosi, ma per Valla era un’ingiustizia, perché
anche un laico ugualmente dotato di pietà avrebbe dovuto chiamarsi religioso, che per lui è una
qualità dell’anima, non una condizione giuridica; religioso=credente. L’argomento principale del De
professione religiosorum è una religione non come fatto istituzionale ma come elemento etico
soggettivo, una fedeltà personale che verte sulla coerenza tra promesse e comportamenti. I monaci
volevanodimostarrsi migliori, I veri cristiani, ma così non era, Ra preferibile l’uso, per loro, della parola
setta al posto di religione che veniva già visto in termine dispregiativo e denigratorio, il settarimso era
cieca ostinazione. Valla non vede elementi tali da iustificae la certezza di una speciale santità nella
condizione di frate o monaco, senza contare che questo implicherebbe un ruolo maggiore anche verso
gli altri ecclesiastici, papa compreso. Il frate afferma che prendendo i voti si ha un posto speciale agli
occhi di Dio perche: I vot possiedono un valore positivo giadi per se, in quanto segno di dedizione a
una vita di penitenza; chi li professa si sottopone ad una disciplina più austera rispetto al cristiano
comune e lo fa in perpetuo; i trasgressori si sottopongono a punizioni più dure sia in questo mondo
che nell’altro. Valla oppose scetticismo risponde che la vita monastica porta ad un alleggerimento dei
pesi della vita mondana, vi sono meno tentazioni, più tranquillità ed isolamento; chi vive nel mondo
non ha sconti e deve basarsi sulla propria forza d’animo per non cadere in tentazione e quindi il suo
merito sarà maggiore. La remunerazione di Dio si baserà sulle azioni compiute, non sullo stato di chi
le ha compiute. Fondamentale la coerenza tra dire e fare senza cui il valore dei voti è nullo, non è
vero che essi portano intrinsecamente un valore aggiunto. Dissolse il concetto di merito quale cardine
della soteriologia proposta dalla Chiesa dei suoi tempi, asserendo che la virtù che faceva guadagnare
al credente la salvezza non stava al compimento di azioni liturgiche ma risiedeva nell’integrità morale
e non poteva essere mutata da altri soggetti o daistituzioni. La Chiesa venne rilegata in secondo
piano nella sua funzione di dispositivo culturale e salvifico, proposto ad aiutare il fedele a raggiungere
la beatitudine inquest mondo e nell’altro; crollò la legittimazione ideale del privilegio che il ceto
sacerdotale godeva rispetto al laicato nella piramide ecclesiale. La santità non era automatica
dell’essere religioso.
Il rifiuto del sacrificio meritorio
Convinzioni etico-religiose tutte da rivedere. Il oto monastico non è diverso dalla promessa virtuosa
che ognuno può fare, nonimplica automaticamente un’eccellenza morale; anche tra i laici può esserci
la virtù al massimo grado e quindi al massimo merito. Repulsione per il cristianesimo inteso come
etica dell’abdicazione a sé. I voti di povertà, castità e obbedienza sono certamente virtù desiderabili
ma c’è non si condanno a tutti e contribuiscono alla salvezza nel omento in cui sono messe in pratica
e non se addotte a emblema di una corporazioni spirituale privilegiata. Valla afferma di non trovare
necessario che si promette obbedienza a vita né che ci si debba ridurre a passivo strumento nelle
mani dei superiori per meritare il Cielo, insofferenza dell’individuo autopossesso verso qualsiasi forma
di costrizione che non venga liberamente approvata nella propria ragione. Non è necessario per
icristiani vincolarsi con promesse suprerogatorie di obbedienza ad un’autorità umana, quando con il
battesimo si sono gi impegnati per la vita a osservare i comandamenti di Dio, bastati per la salvezza. I
voti dovrebbero implicare rinuncia, offerta e servizio totale a Dio che dovrebbero presupporre un di
più di tipo spirituale e sentimentale ma per Valla i voti sono solo un modo per ricercare grandezza.
Vita claustrale come stato di perfezione da acquisire e non già acquisita. L’intera vita cristiana si
poggia su un promessa, che è quella del battesimo che è già di per sé una consacrazione a Dio, altr
promesse non hanno senso. Richiamo verso i membri del clero affinché tornassero ad anteporre a
ogni cosa la loro funzione di dispensatores mysteiorum Dei; disse che i frati sono coloro che reggono il
tempio di Dio pericolante(s.Francesco con s.Giovanni in Luterano in numerosi dipinti) auspic ad un
ritorno a quei frati che davvero aiutavano la popolazione adallontanarsi dai vizi come imitatori degli
Apostoli. Valla di scagliò anche contro il Decretum Gratini, sistema di regole giuridiche del papato che
si erano sedimentae nel Medieovo, disse che le norme ecclesiastiche di controllo formale del
comportamento dell’individuo sono da abolire, ingenerate dalla paura della disobbedienza(venne
bruciato da Lutero nel 1517 con altri testi). Contro la povertà Valla spiegò che si intendeva l’assenza
del superfluo, del farsi bastare quello che si ha, non di più, povertà come vivere dell’essenziale, quindi
appartiene anche ai laici, senza contare che di fatto ai monaci provvede la Chiesa fornendo tutto il
necessario, mentre il laico deve darsi da fare per avere anche solo l’essenziale, inoltre i monaci non
hanno bisogno di denaro, i laici si, aggiunge che il denaro non va solo guadagnato ma anche messo
da parte per le incertezze e i tempi più duri, sottolinea anche l’importanza dell filantropia per chi ha
molto. Castità: quasi protestante, a favore del matrimonio dei preti, dato che quasi nessuno risettava
comunque il voto, cadendo nella menzogna e nella licenziosità anche con più concubine. La volontà
dei voti era data dalla paura di non fare abbastanza per salvarsi, ma la via della salvezza l aperta a
tutti, la beatitudine si conquista con impegno nelle prove della vit, cosa che i laici fanno più dei
chierici.
Nuove forme di autocomprensione
La natura
Petrarca, 26 aprile 1335 in compagnia del fratello Gherardo sale al Monte Ventoso, come attesta una
lettera da lui scritta; il raggiungimento della vetta rappresenta l’adempimento di un desiderio antico,
la resa dei conti tra l’Io e un richiamo che promana dagli abissi e punta verso il cielo, montagna
cosmica come teosfera conquistata dall’homo religiosus. Conquista che voleva fin da bambino, tema
dominante della lettera è quello della sfida dell’Io con se stesso; lo sguardo sulla natura risulta
inquadrato entro coordinate ermeneutiche risalenti alla cultura animi e del tipo introspettivo. Il tutto
ha sullo sfondo la classicità, il giorno prima dell’avventura il poeta lesse Titolo Livio e la scalata del
Monte Emo, in Tessaglia, di re Filippo di Macedonia con cui si impersonifica. Nella parte iniziale
assume la forma di un contrasto tra il dinamismo ascensionale dell’autore-camminatore e le statiche
abitudini della popolazione del luogo, formata da rustici allevatori che, pur abitando sulle pendici del
Ventoso si guardano bene dallo spingersi fino alla sua sommità, non tanto per credenze folkloristiche
ma per la fatica senza un motivo. Un pastore che vi era salito disse di non aver mai più ripetuto
l’impresa per la perdita di tempo, la fatica fisica e le vesti lacere; bisogna avere una mente
contemplativa per orsi davanti alla natura selvaggia e considerarla non come fonte di disagi per il
corpo ma di piaceri per l’anima; occorre anche coraggio e generosità che sono doti rare che non ha
trovato in nessun amico e ha dovuto ripiegare sul fratello, accompagnatore ideale in quanto uomo
mite e sprovvisto di quei difetti che rendono fastidiosa la presenza altrui. Per salire Petrarca cerca la
via più semplice e meno ripida, anche allontanandosi dal fratello, ma inutilmente e si rende conto che
la via più breve ma più ripida lo porterebbe a sprecare molte energie. Stanco si siede a riprendere
fiato, si accorge che la sua determinazione sta calando e che non è più il caso di evitare la fatica della
via più diretta, facendosi forza con lo spirito e la mente là dove il corpo vacilla. Torna con la mente
allo svolgimento generale della sua vita, sempre alla ricerca della piena realizzazione di sé, come in
quel momento, la ricerca della beatitudine dell’intelletto, un tale traguardo implica disagi e
frustrazioni, occorre quindi un supplemento di volontà “volere non basta, devi desiderare
ardentemente per raggiungere lo scopo” (Ovidio). l’ascensione al Monte Ventose è un’immagine di
quel sacro pellegrinaggio che è la vita soffertamente vissuta, con la vetta a rappresentare il
coronamento delle speranze dell’Io; differire il momento di massimo sforzo è un misero stratagemma,
meglio andare risolutamente incontro ad esso, con tutto lo slancio indotto dalla riscoperta del primato
dell’interiorità, il dominio dell’anima agile e immortale su un corpo fragile e infiacchito. Quando
giunge in vetta è colto dallo stordimento: l’aria rarefatta, la visione delle nuvole sotto i suoi piedi,
l’immensità di spazi sconfinati gli procurano un attacco di vertigine al quale oppone il consueto
movimento di rientro in sé stesso. In una girandola di sensazioni, le rifrazioni psicologiche e le
memorie colte si mischiano alla contemplazione della realtà esterna fino a prendere il sopravvento su
di essa, ridando stabilità a una mente che riporta meticolosamente il dato visivo entro la trama del
vissuto autobiografico. Scatta poi l’estasi davanti alla sconfinata bellezza del paesaggio e si sofferma
sull’Italia in cui risiede il suo cuore e un senso di nostalgia per gli amici e la patria si fa imperiosa, da
10 anni ha abbandonato l’Italia. Gli sembra di non amare più tutto ciò che soleva amare, o quanto
meno di amarlo con meno forza e più tristezza. Amare è una necessità, ma gli oggetti del suo amore
sono sbagliati o non giusti, e allora egli li ama controvoglia, per effetto di un’imperfezione che gli
preclude un distacco netto dall’errore per abbracciare una vera novità di vita, poetica del Secretum; si
chiede cosa sarà di lui tra altri 10 anni. Giunge il tramonto la cui bellezza offre un’evasione a cui
abbandonarsi e fa uno schizzo del paesaggio e una descrizione. L'incanto della beatitudine dura solo
un attimo, dopo di che fa un gesto familiare come quello di prendere in mano un libro e mettersi a
leggere, le Confessioni di sant’Agostino donatogli da Dionigi da Borgo S.Sepolcro a cui dedica la
lettera; apre una pagina a caso cercando un messaggio provvidenziale e si mette a leggere ad alta
voce “e gli uomini se ne vanno ad ammirare le cime dei monti e i vasti flutti del mare e i larghi letti
dei fiumi e l’immensità dell’oceano e il corso delle stelle e trascurano se stessi”. Francesco capisce di
aver compiuto quell’impresa per moventi futili, per dar compimento ad un desiderio antico, ma tutto
quello gli appare destituito di fondamento ed egli prova rammarico per aver cercato al di fuori di sé,
nell’universo naturale, quell’oggetto di contemplazione che Agostino ammonisce a trovare dentro di
sé. Riscopre la vocazione alla magnanimità che ha sempre sorretto la sua esistenza dopo il momento
di smarrimento nel corso del quale aveva dubitato della propria felicità. Cade il suo interesse per il
panorama e inizia la discesa in cui si concentra solo sulla mente e sulla sua interiorità e riflettendo
sulla propria storia personale, amor fati, condizione psicologica di ritrovata esultanza, che dà luogo
alla convinzione secondo cui nulla capita a caso per l’uomo amico di sé. Il brano delle Confessioni era
stato scritto per quel preciso momento della sua vita. Illuminato da nuova fiducia nella positiva
grandezza dell’esistere, l’autore si affretta a scendere, il Monte Ventose ha perso il suo potere di
fascinazione, di suggestione analogica; gli appare addirittura più piccolo. Durante il ritorno capisce
che il vero significato della scalata era la conquista di sé, attraverso il superamento del richiamo
psicologico che le grandi forme archetipiche della natura esercitano sulla mente umana.
L'illuminazione del Monte Ventoso rappresenta il passaggio all’amicizia con il proprio Io profondo, un
principio di saggezza che si manifesta, quando necessario, nella capacità di relativizzare i richiami più
abissali e più struggenti, per tenere ben saldo nelle mani il timore della propria vita; le infatuazioni
devono essere assecondate per venire superate ma senza attardarsi in esse. Nella lettera molti sono i
richiami ad Agostino ma senza implicare una conversione penitenziale ma assaporata come un
momento di trionfo personale dell’Io narrante, che gode di quanto ha compiuto e lo riconsidera alla
luce della ritrovata certezza di una predilezione da parte di Dio. Sollecitante è l’esegesi di Stierle, che
ritrovano nella lettera uno dei topoi di Petrarca, ossia quello della contemplazione dell’alto di un
panorama goduto come spectaculum, perviene alla conclusione secondo cui la conquista della cima
del Ventoso è ripercorsa mentalmente dallo scrivente come l’attraversamento di una prova che
preclude al recupero del senso della propria soggettività come protagonista di un’esperienza
numinosa: la propria vita. La sostanza fenomenica della visione basta a sé stessa e diventa
spectaculum, fonte di piacere intrinseco e non funzionalizzato a considerazioni di ordine metafisico.
L'estetica della visione non termina dove comincia, ossia nel godimento visivo del paesaggio, ma
sfocia in una serie di considerazioni psicologico-religiose che trascendono la dimensione dell’incanto
ottimale, procurato alla vista, per relazionarsi al dramma esistenziale dell’Io e dell’intera umanità,
finendo per risolversi in preghiera. Posizione a cavallo tra un Medioevo ormai esaurito ed un’età
moderna non ancora maturata. Non si ha la certezza che tale avvenimento sia avvenuto realmente,
potrebbe essere solo lo spunto per un sermone epistolare e lo avrebbe costruito sulla base di brani
letterari antichi come quello di Tito Livio, nonostante vi siano molti riferimenti e indicazioni
topografici; sappiamo per certo che ha mentito sul momento di scrittura della stessa, che secondo
l’autore è avvenuto la sera stessa ma sappiamo che un autore come lui non avrebbe mai scritto di
getto dato che sottoponeva tutti i suoi scritti a rigorosa rivisitazione. La salita viene tuttavia
principalmente creduta vera, diventa immagine della vita come peregrinazione e come recupero di
sé. Commentarii di Pio II contenitore narrativo in cui si trovano numerose rievocazioni di villeggiatura,
escursioni, pic-nic a puro fine di godimento con cui creare momenti di stacco dalla vita politica, dalle
incognite e dalle tragedie per far spazio al necessario rasserenamento dello spirito senza il quale non
si può condurre una vita davvero umana. Enea Silvio vocato alle peregrinazioni fin da giovane quando
abbandonò Siena in cerca di fortuna, girò per l’Europa e in età adulta divenne ecclesiastico e fece da
tramite per il concordato tra Sacro Romano Impero e sede Apostolica, divenne papa nel 1458 sempre
predilegendo una condizione di itineranza dovuta al proposito di facilitarsi l’intesa con i principi
secolari che coinvolse nel suo disegno di crociata. Cercò sempre la beatitudine che gli procurava il
contatto con la natura libera modificando i ritmi di vita del Palazzo Apostolico con frequenti
scampagnate anche solo nei pressi del Vaticano come suoi Monti Albano o su quelli Tiburtini(Giovan
Antonio Campano scrive la sua bio). Molti sono i passi dei Commentarii che descrivono le escursioni,
come quella fatta a Tivoli nell’estate del 1461, che viene usata come base per fare ulteriori
scampagnate che univano il relax al dovere trattando gli argomenti del giorno o facendo incontri con
ambasciatori nella natura con una dettagliata descrizione di ciò che si vedeva come fiumi o cascate
ma anche i resti antichi come quelli dell’acquedotto romano. L’evasione non fu mai totale, si occupò
anche di mettere in sicurezza Roma facendo sorgere un imponente fortezza. Non manca di annotare i
mugnigni di chi lo accompagnava contro voglia, in un modo quasi comico, di chi non voleva
allontanarsi dalla vita civilizzata ma anche del popolo di Roma che con l’assenza del papa vedeva
calare le entrare economiche. Il suo sguardo appare totalmente libero da preoccupazioni di ordine
teologico, quelle che portano gli uomini alla ricerca di segni di Dio, la sua mente appare infarcita di
precededii classici che fungono da matrice per le sue rielaborazioninarrative,molte citazioni
soprattutto di Virgilio
La storia
La diffusione dell’umanesimo portò come conseguenza il risveglio per l’interesse della
storia;antropofania, rivalutalad dimensione della temporalità storica, vedendo in essa il campo di
osservazione in cui è possibile cogliere il valore di un certo individuo in tutto il suo caleidoscopio
dispiegarsi. La storia è il teatro della grandezza e dei limiti dell’essere umano, pianodi difficoltà,
tentazioni e vizi che rendono indeterminato e appassionante l’esito della lotta. Storiografia umanistica
pragmatica, incentrata sui fatti nella ricostruzione dello svolgimento del passato, taglio narrativo che
si combina con un apprezzamento moralistico del comportamento altrui. L’ambivalenza della natura
umana costituiva il sale che dà sapore agli eventi presentandosi come conseguenze di scelte risalenti
alla libertà e alle cognizioni dell’individuo; la rielaborazione storiografia partiva dall’accertamento dei
fatti e puntava a renderli epos, racconto memorabile, in cui le più alte virtù coesistono con i vizi e le
aspirazioni più nobili non riescono a cancellare le debolezze più volgari. Viene meno la decifrazione
del senso provvidenziale degli accadimenti così fondamentale nel Medioevo. L’eloquenza servì per
rafforzare nel pubblico la persuasione che l’uomo abbi in sé la chiave per dominare intellettualmente
gli eventi o almeno per contrastarlo con energia e volontà; l’impegno viene sempre ripagato.
Coloritura celebrativa della gloria degli uomini tramite una strumentazione espressiva forgiata sui
classici tramite l’esaltazione della virtù dei protagonisti. Forse fu proprio la storiografia a rendere il
movimento così popolare, soprattutto tra le corti. Promosse la rivalutazione dell vita activa. Elaborò
una procedura rigorosa di indagine ch rappresentò il primo passo verso la nascita del metodo storico-
critico moderno. Fonte di ispirazione sono i classici(Erodoto, Tucidide, Tito Livio)per questo la storia
verrà raccontata con obiettività imparziale di fatti necessariamente avvenuti, mai inventati, requisito
della veridicità, per la fantasia vi è la poesia. Historia magistra vitae. Lo scopo primo nel ripercorrere
la storia era quello di trovare degli exempla per soddisfare la sete di gandezza. All’inizio il movimento
umanistico trova la sua ammirazione per l’umana eccellenza antica nell’argomento teologico del
quanto maius, se i pagani erano riusciti ad essere così eroci, a non fuggire davanti a difficoltà, a
divenire così grandi, a sacrificarsi per il bene comune quanto più dovevano riuscirci i cristiani che
avevano dalla loro la bontà, la sapienza e la grandezza divina; principali autori furono Petrarca,
Boccaccio e Salutati, dopo diche vi fu calma piatta fino ai Commentarii con la libertà dello sguardo
indagatore che li sorregge e che si getta con gusto tra le pieghe più sottili dell'individualità storica.
Nell’ottica umanistica I fatti tramandati della storia non possono essere solo positivi ed edificanti ma
era fondamentale conoscere anche le bassezze, le insufficienze anche degli individui stessi così da
poter afferrare la condizione umana per come essa si dà nell’esperienza concreta, così come fa una
biografia, che racconta il bello e il brutto. Questo l il bagaglio con cui Pio II scrisse la storia del Concilio
di Basilea, la storia dell’imperatore Federico Ii d’Asburgo, la storia della Boemia e scrisse anche una
serie di opere geografiche sull’Europa e sull’Asia con un sezione importante sull’impero ottomano
come forza distruttiva dell’integrità dell’Occidente europeo(ancora prima della presa di
Costantinopoli). I Commentarii vennero scritti durante il suo pontificato, tra 1462-1464, con l’aiuto di
alcuni collaboratori, inclusero parecchio materiale preesistente e assunsero la struttura di un dossier
aperto, inizialmente pensato in 12 libri come l’Eneide ma ebbe numerose aggiunte anche post
mortem, il filo conduttore è l’affermazione della forza vittoriosa della Chiesa romana monarchca e
carismatica, sorretta dalla Provvidenza e guidata con mano salda e mente illuminata di Pio II.
L’approccio alla realtà diventa una va di esaltazione del soggetto agente che si staglia su di un
fondale segnato di inerzia, mediocrità, atonia. Stile aderente alle cose senza vergognarsi di apparire
troppo scarno e disadorno; si chiese cosa è se valesse la pena di salvare degli avvenimenti
contemporanei(come Petrarca)ma se non ci fosse nessuno disposto a registrarli anche solo come note
o appunti, da tramandare agli storici del futuro più idonei al compimento di scrivere una vera storia,
essi si perderebbero e svanirebbero e i posteri non avrebbero potuto giudicarli tributando loro lode o
biasimo. Quindi mise per iscritto le vicissitudini dei suoi tempi; numerose sono le digressioni storiche
e corografiche ma anche momenti in cui si descrivono bassezze e meschinità. Fine ultimo è
l’autocelebrazione ma sempre mantenendo obiettività e veridicità che fan cadere in ridicolo le forze
nemiche dell’Io narratore. Smaschera i turpi moventi che inducono l’uomo all’ingiustizia,ma non tanto
del volgo quanto dei potenti dello Stato e della Chiesa anche in tono satirico. Conclave che lo rese
papa nel 1458 dove gli avversari di Piccolo mini si radunavano nelle latrine per le loro riunioni
segrete. Sono l’epopea di un pontefice che non si sottrae al cimento con la storia ma ne fa un
monumento di gloria; rapporto di agonismo con la storia segnata non tanto dal peccato quanto dal
caos, deficit di razionalità che reclama unareazione di tipo interventivo da parte di un Io conscio delle
proprie facoltà e dei propri doveri; attivismo c’è venne meno in età avanzata anche col fallimento
delle sue crociate che avevano lo scopo di far tornare l’antica gloria europea ma che vennero messe
sotto pressione dai turchi e si rifugia nell’autobiografia per trovare una compensazione agli eventi; la
sordità agli appelli papali sono l’effetto della malattia dell’Europa paralizzata, in mano a governanti
vigliacchi e abitate da popoli indolent accumunati da mancanza di fede e dall’indifferenza. Nel 1464
andò ad Ancona dove intendeva imparcarsi per l’Oeriente ma dove morì in attesa della flotta
veneziana.
Classicismo
La mente umanistica avverte il bisogno di individuare uno scenario ideale nella quale proiettare le
proprie attese di perfezione, contesto di classicità. Luogo ideale fu la Roma antica tra I sec a.C e I sec
d.C. In cui poter reperire la grandezza alla stato puro, percepibile in ogni aspetto dell’esistenza umana
e risplendente nell’opera d’ingegno, perfezionismo estetico, rivelazione della più alta sommità cui può
arrivare l’uomo senza in concorso della Grazia divina; gli uomini che vi vissero vennero considerati
antropologica mente superiori, dotati delle più alte virtù e che avessero dato vita alle creazioni più
ammirevoli della storia; così pensava Niccoli, pervaso dal rimpianto di vivere nella povertà spirituale
del presente; un'altra visione del passato non si corgiolava nel disprezzo per il presente ma puntava a
preparare un futuro migliore, con cui Valla scrisse l’Elegantie latine lingue che aveva lo scopo di
rettificare l’uso della lingua contemporanea per una restaurazione del vero latino attraverso la
cultura, ossia con una riforma umanistica del modo correte di parlare e di pensare; volontà di uscita
dal cono d’ombra dell’epoca(Medieovo); latino come sacramento, lingua del tutto speciale, deposito di
ricchezza espressiva, idioma dell’impero romano, una delle più ammirevoli organizzazioni umane mai
apparse che aveva unito molteplici popoli diversi secondo ragione e giustizia; latino che era poi
diventato anche lingua ufficiale della Chiesa,da sermo gentili era diventato sermo ecclesiasticus, la
latinità aveva offerto la forma più adeguata alla sostanza del messaggio evangelico di redenzione.
Purezza che col medioevo si era imbarbarita con volgarismi provenienti dai nuovi popoli, simbolo di
scadimento della civiltà, venne meno quel senso di unità che per secoli il latino aveva contribuito a
portare; senso di patriottismo avverso alle popolazioni germaniche che avevano causato il crollo
dell’impero e nulla servivano I numerosi imperi di contraffazione che erano seguiti. La colpa non era
solo delle invasioni ma anche del clero che aveva introdotto astrazioni a sfondo religioso, di cui Valla
attribuiva la colpa principale a Boezio, iniziato re di un modo deleterio di parlare di questioni di fede
che aveva intaccato il vocabolario latino. Vi era la necessità di un ritorno al buon latino, quello puro,
senza contraffazioni o imperfezioni, lingua dell’alleanza tra religione e civiltà. Era convinto che la
teologia fosse superiore ad ogni altra forma di sapere e che essa non avesse bisogno dei toni
concetto si della filosofia, per questo rigetta va la Scolastica come sintesi di dottrina cristiana di
filosofia greca; riteneva la filosofia,essenzialmente la metafisica aristotelica, insufficiente e nociva nel
suo anelito a dessezionare verbalmente una verità che non si potrà mai esaurire con le risorse
umane; la filosofia può ritorcesi a danno della teologia, soprattutto quando vengono privilegiate le
prospettive della logica, della gnoseologia e della metafisica;la filosofia tenderà a influenzare la
dogmatica della Chiesa con il suo linguaggio e i suoi paradigmi epistemologici. La reotirca era molto
meglio per offrire sostegno alle necessità pastorali della Chiesa, non tendeva a interagire con i
contenuti ma offriva un mezzo espressivo, anche sein realtà la stessa presuppone un paradigma
antropologico e rinvava ad un preciso codice epistemologico. Convinto che la radice del male della
cultura ecclesiastica stesse nell’inquinamento logico-linguistico prodotto dalla metafisica aristotelica,
si fece banditore di una riforma religiosa per via retorico-formale che presentò punti di contatto con
l’istanza di aggiornamento dell’oratoria sacra sollevata da Petrarca. La revisione delle competenze
logico-linguistiche per una moderna pastorale venne designata con i termini repastinatio e
reconcinnatio; voleva dimostrare che nell’antichità l’uomo aveva raggiunto alt livelli culturali senza
l’appoggio della Grazia divina e invece la Chiesa volendofondere Cielo e Terra, finitudine e
trascendenza, autoritarismo e provvidenzialimo aveva portato al collasso. Auspicava alla conquista di
un modo di parlare più libero dagli schemi linguistici-mentali e dai passati obbligat della
precomprensione. La fede, non aveva bisogno di un’Ideologia a cui appoggiarrsi; l’elaborazione
ideologica del cristianesimo in senso ierocratica era al tramonto. Proposta di Valla basata sulla fiducia
nell’azione civilizzatrice della cultura; per andare aventi occorreva tornare indietro, alle fonti, per
imparare il vero latino, quello dei classici, per poter ricominciare a pensare e ad agire in modo
appropriato; riavvio della civiltà. Il testo è una guida metodologica all’espletamento del riesame.
Riapprendimento lignuistico che era anche estetico, dato che per Valla la lingua latina era un tutt’uno
con la bellezza, con l’eleganza, parola che possiede anche ua valenza antimedievale, antiscolastica,
vuol dire aderenza del lessico alle cose e alle esperienze concrete della vita quotidiana, vissute e non
sognate dal soggetto parlante. Della prefazione descrive il proprio impegno per la rifondazione etico-
culturale della republica Christiana come una santa impresa voluta da Dio; lotta che concepì come
difesa della religione e della civiltà, alleata a beneficio dell’uomo; parallelismo tra umanità e artista
che facendo uso delle sue doti assolve ad un medesimo compito di natura quasi sacerdotale: quello di
edificareil pubblico attraverso un’elevazion spirituale di tipo estetico. Gli umanisti lavorano alla
fabbrica della casa di Dio, che contribuiscono ad ornare che emana rispetto e ossequio. Questo
progetto aveva lo scopo di riavvicinare alla Chiesa l’elite acculturata del tempo che non si
rispecchiava più in un’istituzione così medievale. Tuttavia la sua volontà rivelò una vena di purismo
non priva di fisime e rigidezza e aspetti ossessivi con l’intento di imbalsamare il modello linguistico e
stilistico come paradigma assoluto come fu la nascita di un ciceroniaesimo di fine XV sec che avrebbe
dato via ad una nuova abbia ideologica della curia papale del tempo
Disincanto
L’umanesimo non portò l’uomo e l’umanità ad una riscoperta di sé tutta luce e niente ombre o di un
ritorno alla natura come godimento terreno e sensuale, libero di ipoteche religiose e lietamento
neopagano. Vi si riflettono le incongruenze dell’epoca non felice ma tormentata(Garin). Il fondo
contraddittorio dell’umanesimo del 400 trova espressione con Bracciolini alfiere
dell’antiecclesiasticismo che scaturì dalla rivolta di un Io insofferente della sudditanza agli idoli sacrali
della tradizione ma seppe anche farsi teorizzato dell’inelicità universale che affligge il genere umano
per un insieme di motivi di cui sono chiare le singole componenti interattive e gli effetti perversi finali
mentre resta insondabile il mistero dell’origine ultima. Un vuoto di razionalità cosmico-storica cui
Poggio alluse utilizzando il concetto di fortuna, mutuato dal fatalismo precristiano. Ricerca di una
tranquillità che non seppe trovare nella vita reale, nemmeno quando nel 1423 venne finalmente
richiamato a Roma dove si scontro con tutte le vicissitudini che travagliarono la storia della Chiesa
romana con Eugenio IV(1431-1447)pieno di guerre e di complotti, dalla sollevazione del popolo
romano che costrinse il papa a fuggire a Firenze, l’apertura del Concilio di Basilea(1431-1449)che
rimise in discssionel’autorita monarchica del papa, periodo in cui Bracciolini scrisse delle meditazioni
che raccolse poi nel De varietate fortunae. Voleva tornare a Firenze vista come porto sicuro che tenne
aperto anche con il buon rapporto con casa Medici, tanto che Cosimo gli fece un prestito e lo aiutò a
sposarsi con la Buondelmonti, rapporto che si corrose però con la vicinanza; l’autore non nutriva
alcuna fiducia nella positività delle strutture di potere ma al contrario le sue tendenze scettiche e
anarchiche si accentuano con l’osservazione del concreto funzionamento delle istituzioni politiche e
dei meccanismo retrostanti. Il pessimismo verso l’uomo si concluse nel testo De infelicitate principum
del 1440, la des grazia dell’uomo è connaturata al sue esistere come società gerarchicamente
strutturata e quindi produttrice di ingiustizie e disordine in cui i più infelici sono proprio i potenti. 1453
viene richiamato a Firenze come cancelliere e con esso venne a galla il grumo di equivoci insito nel
suo rapporto con i Medici; rivelò tutta la sua mancanza di duttilità e di condiscendenza, perdendo la
fiducia di Cosimo e lo portarono a indurgli le dimissioni dopo solo 4 anni a pochi mesi dalla sua presa
totale di potere. Si ritirò a vita privata fino alla morte nel 1459, i suoi figli si diedero alla vita
ecclesiastica e con miserabili condizioni economiche
Un approdo cinquecentesco: Il realismo politico
Realismo politico, atteggiamento di pensiero che si riflette poi in Macchiavelli, paradigma
interpretativo della natura umana, specialmente se considerata sotto il profilo della vita associata,
che si sarebbe affermato come caposaldo nella modernità che non lascia spazio alle illusioni
consolatore, poiché vede il fondo demoniaco dell’uomo come un dato non cancellabile dalla storia; la
natura umana appare poco sublime e non richiede idealizzazioni né celebrazioni esaltatore ma è da
tenere a freno, da neutralizzare nelle sue manifestazioni più nocive. Sembra rieccheggiare il versante
pessimista del cristianesimo che batte sull’ineducablità dell’uomo, gli aspetti più distruttivi della
malvagità collettiva sono mutabili in forza positiva? Per Macchiavelli si, anche se lui si fermò alla
redenzione mondana, non tocca l’eternità né la salivazione dell’individuo, e non suscita speranza
teologale,esclude dall’orizzonte dei fatti accertabili l’intervento diretto di una Provvidenza
trascendente e vede un Dio che abbandona l’uomo nella guerra ma lo sussumono a elemento,
servitore e beneficiario a un tempo, di un artefatto umano: lo Stato. La possibilità di una correzione
del cattivo andamento delle cose umane è data solo come parziale e va trovata nella politica, che
assume i caratteri di religione terrena e ha come scopo la catarsi, momentanea, della cattiveria
umana con la creazione di una convivenza pacifica ad opera dell’autorità sovrana(politicismo). Nel
400 della forma pessimistica si occuparono Braccioli, Alberti e Piccolomini, la cui letteratura rimase
però sul piano satirico, senza oggettiva zione scientifica, tuttavia furono loro a scorgere nell’animo
umano un fondo non risolto di indecenza, di ferinità e associalità(poi Macchiavelli mutò la farsa in
tragedia anche per via della situazione di caos in cui versava l’Italia del tempo, cisellata da guerre a
cui solo un ordine statuale poteva porre fine. Elaborò un approccio volto a comporre sinottiamente i
diversi campi di indagine che interessano il roblema del comportamento umano he sono l’antrpologia,
la storia e la politica, tutto osservato con L’ottica del naturalismo). Lettera di Macchiavelli a Francesco
Vettori, suo caro confidente, in cui mise in luce con lucidità il dato della compresenza di elementi
contraddittori in un essere umano e in ogni fenomeno ad esso risalente. La vetta del percorso del
penserò arriva con Pascal che tematizzò in maniera ineguagliata la combinazione dell’uomo di
grandeur e di misere, di aspirazione ideale alla più alta nobiltà e di costatazione pratica di un patetico
stato di caduta; poetizzò L’ambivalenza indifinibiledella condizione umana, troppo bassa e troppo alta
per non procurare disagio a chi la riveste. Altra prospettiva è quella tendente a ricondurre la
moralistic a negativa alla sua più genuina radice psicologica, che l il bisogno di affrancamento
dell’individuo dalla soffocante pretesa di normalità e di decenza.
Sensualità e ironia
L’umanesimo fu una fucina anche per la nascita dell’ideologia del benessere a cominciare dalla
lettera di Bracciolini per Niccoli dai bagni di Baden, Germania, 1416. Cittadella termale in cui si recò
per curare un disturbo alle articolazioni delle mani e dove si imbattè in un luogo pervaso dalla gioia di
vivere che embrava che Venere avesse abbandonato i tiepidi lidi di Cipo per trasferirsi nelle più
fredde ma assai liete pendici della Foresta Nera. Rilevante è il candore con cui gli abitanti del paesino
godevano delle risorse termali a loro disposizione nella più disinvolta promiscuità. Vi erano bagni
privati per i più ricchi ma anche pubblici usati come spazio di ritrovo, le vasche erano divise tra
maschi e femmine ma in modo che potessero vedersi e parlare, sopra levasche vi erano balconate
che permettevano la visuale per intero e dove Bracciolini studiò la situazione che lo attraeva ma
anche gli causava imbarazzo. Vi erano delle mense galleggianti conbevande e cibo e in questi casi
uomini e donne si riunivano anche nelle stesse vasche e persino si toccavano e anche persone di ceti
diversi, compresi gli ecclesiastici. Poggio non partecipò all’evento er pudore e per ignoranza della
lingua che avrebbe portato ancora più imbarazzo e si limitò ad osservare, i suoi amici invece si ecero
meno scrupoli con l’aiuto di un interprete. Vedeva mogli che parlavano con altri uomini, fanciulle
giovani che cantavano e suonavano strumenti sollevando le vesti e raccogliendo le monete che gli
venivano lanciate. Paragonò le terme alla Repubblica di Platone e all’Eden biblico. In quegli abitanti
vide il ripudio per l’ossessione del peccato, essenza della morale ecclesiastica del tempo e questo lo
attirava, rimpianse una condizione di spirito libera dalla possessività che invece governava la società.
Denuncia del disagio della civiltà che nel finale si riflette con un invito alla vicinanza con la natura che
sembrerebbe quasi cinismo. ”O costumi diversi dai nostri, che sempre volgiamo tutto al peggio, che ci
dilettiamo di calunnie e maldicenze fino al punto di trasformare subito in una piena testimonianza di
colpa la prima ombra di sospetto! Molto spesso invidio questa pace e detesto la perversità dell’animo
nostro, per cui sempre siamo volti al guadagno, agli appetiti; per cui mettiamo a soqquadro cielo,
terra e mare per trarne danaro, mai contenti dei nostri utili, del nostro lucro. Nel timore di guai futuri
ci mettiamo continuamente nei guai e negli affanni, e per non essere un giorno miseri non smettiamo
mai di esserlo; sempre assetati di ricchezze, mai ci preoccupiamo del corpo, mai dell’anima. Costoro
invece, contenti di poco, vivono alla giornata; tutti i giorni per loro sono festivi; non desiderando
ricchezze che non verranno mai, godono secondo i loro mezzi, non temono il futuro; e se capita
qualcosa di male, la prendono di buon animo”. Molti aspetti ripresi qualche anno più tardi col De
avaricia, dove però avrebbe riconosciuto positivia la smania di guadagno, mentre qui la biasima come
fonte di infelicità che rappresentano solo 2 angolature differenti da cui Poggio guarda il mondo. La
ricerca di sollievo dalle fatiche di ogni giorno è unanecessita strutturale di ogni uomo, non ha nulla di
irreligioso, Poggio da cui solo una rappresentazione artistica di questo bisogno; ogni sistema culturale
vede alcuni aspetti della realtà psicologica e ne lascia in ombra altri, a volte per voluta censura altr
per congenita incapacità percettiva, la libertà dei bagni di Baden in una società tardomedievale
ecclesiastica avrebbe prodotto una dura censura e non sarebbe stato tollerato. Esaltazione della vita
e dei sensi fatta da Bracciolini in contrasto con quella che era la cultura italiana del tempo, ma se
davvero il problema dell’esistenza umana sta tutto nel fuggire la tristezza per godersi i piaceri più
semplici e più accessibili, allora la fede religiosa diventerebbe superflua, di fatti non vi è alcuna
preoccupazione morale o spirituale nella lettera. Liber facietarum, Bracciolini, connesso all’universale
domanda di sollievo della lettera da Baden; il bisogno di ricreazione era molto sentito tra i funzionari
curiali, c’è si trovavano in una sala,il Bugiale, per scambiarsi la narrazione di fatti divertenti,
barzellette e pettegolezzi che assumevano la forma di un dialoghetto in latino, il tutto molto riservato
che permetteva una certa libertà di espressione:battute salaci, commenti ridanciani, doppi sensi,
allusioni scolacciate, giudizi irriverenti; leggerezza disimpegnata che investita tanto la scelta degli
argomenti quanto il modo di trattarli. Principale soggetto erano i frati e gli Ordini mendicanti o più in
generale del clero e spesso i dialoghi prendevano l’aspetto diparodie degli exempla da loro narrati.
Nel 1438 diede il via alle Facezie fino al 1453 con un totale di 273 in cui raccoglieva questi momenti
sotto forma di Apologhi, raccontino o aforismi, per i più licenziosi o come dialoghi; utilizza il latino
classico per le parti del narratore e quello maccheroni per i veri e propri racconti, più rozzo e simile al
volgare. Temi onnipresenti sono l’universale dabbenaggine e la presunzione degli sciocchi e dei
potenti.
Antropocentrismo: il lato ottimista
Aspetto dell’operosità, virtù generatrice di una ricchezza materiale che oltre a migliorare le condizioni
di vita del soggetto lavoratore e trasformatore, ritorna a beneficio della comunità civile nel quale si
trova inserito e disdegnato dalla Chiesa. Il tema aveva ricevuto interesse anche dai religosi)ordine
cistercense basato sul lavoro agriolo)che utilizzavano anche i frati conversi Che diede il via alla
rivoluzione commerciale dell’anno 1000. Il lavoro venne presentato come fatica redentiva, necessaria
al sostentamento dell’uomo e per prepararlo alla beatitudine del Paradiso; non vi era nessuna
esaltazione del benessere, visione che metteva in primo piano la destinazione oltremondanna
dell’uomo e non prevedeva l’ipotesi che la durezza del vivere fosse mitigabile con il lavoro e che la
miseria dell condizione umana fosse reversibile. Tra XI e XII sec l’idea del fare ricchezza era
peccaminoso anche se era un periodo d fioritura economica. L’umanesimo esaltava le potenzialità
dell’individuo tra cui la civilitas, ossia il superamento di uno stadio primordiale di vita, caratterizzato
da irrazionalità e selvatichezza e l’evoluzione in direzione della vita associata, fondata sulle leggi e
sull’attitudine a cooperare in vista di un fine; esaltazione dello scambio di beni e
informazioni(invilimento, illuministi, per comprendere il passaggio da una società arcaica alla
modernità, Ferguson, Saggio sulla società civile, si mise a fuoco il commercio)affermarono il primato
della vita activa, del negotium; attraverso la fatica compiuta per conquistare un’esistenza più agiata,
l’individuo avrebbe potuto mettere in mostra tutto il valore insito nel genere umano. Esaltazione di
un’attitudine inventiva e operosa, l’industria, particolarmente usato da Alberti. Dialogo, Della famiglia,
in 4 libri tra 1430 e 1443:
- Educazione dei figli
- Modo di organizzare la vita coniugale e alle relazioni intrafamigliari
- Opportunità di guadagnare denaro per sostentare adeguatamente la casa, crematistica, il
giusto impegno della riccezza
- Necessità di intrattenere rapporti di amicizia con altre famiglie per mantenere alto il prestigio
sociale e la prospettiva economia della casa
Opera scritta in volgare per una maggiore fruzone pubblica del suo intento morale. Figlio
illegittimo,nato a Genova ma di origine fiorentne, si fece chierico e fu impiegato alla curia pontificia,
riuscì a far passare come ntico un suo scritto in latino, il Philodoxeos. L’oggetto della riflessione fu la
morale domestica, concepita quale branca dell’etica civile. L’opera era destinata ai membri della sua
famiglia, non tutti colti da poter leggere il latino. Critica sociale. Paladino dell'umanesimo letterario in
volgare a cui diede anche un codice normativo componendo la prima grammatica Toscana, la
Grammatichetta. Tema centrale dai libri alla famifia è quello dell’antropocentrismo fattivo e ottimista,
radiosa espressione dello spirito rinascimentale; il messaggio ha una consegna pedagogica
intergenerazionale, una missione affidata ai giovani della casata; passaggio della fiaccola.
Conversazioni immaginate a Padova nel 1421 a casa del padre di Leon Battista, Lorenzo Alberti,
prossimo alla morte in esilio da Firenze(in cui saranno riammesso nel 1428)attorno si riuniscono altri
parenti, tra cui l'anziano Giannozzo,protagonista del terzo libro, esperto del mondo degli affari ma
conscio dell’imprescindibilità dell’approfondimento intellettuale di ciò che si apprende, il giovane ed
energico Adovardo; il letterato Leonardo e l’autore che si presenta come giovane, quindi solo come
Battista. Il lavoro su se stessi l la chiave della riuscita dell’esistenza,nessuno può sostituirsi all’Io nello
sforzo autopedagogico che è destinato immancabilmente al successo, in quanto è già di per sé una
vittoria. Idee sviluppate soprattutto nel 3° libro a bocca di Leonardo, prototipo dell’uomo che ha
imparato a misurare il proprio valore vincendo le sfide della vita e restando fedele alla propria
traiettoria morle, possibile solo con la cultura e con la lettura di buoni libri; invita i giovani della
famiglia ad educarsi, con lo studio e l’esercizio per il miglioramento di sé. Il traguardo è la virilità, il
diventare pienamente uomini, dotati di forza,abilità e sagacia a prescindere da come si nasce , fiducia
completa nello studio e negli esercizi senza i quali non si può parlare di una natura realmente umana;
paradigma dell’humanitas come superamento della feritas primigenia. La fatica è portatore di
industria nella quale si estrinseca il valore di una persona. La presenza di Dio l rilegata sullo sfondo di
una lotta che l’individuo conduce a tu per tu con la fortuna, nella certezza di avere a disposizione un
sufficiente bagaglio di risorse, costituito dalla forza della propria interiorità affinata mediante
riflessione e applicazione. Sottofondo pelagiano di una spiritualità dell’industria che punta alla
realizzazione di un ideale autarchico e si avvale della fede come di un elemento sussidiario, atto a
rafforzare nel l’Io agente la fiducia nella riuscita. Anche in Della vita civile di Marco Palmieri vi è
l’invito a mettere in atto le proprie facoltà operative al fine di avere ragione delle traversie, dovute ai
capricci della fortuna e tende e al ben vivere, benessere materiale che viene moralizzato sia conla
raccomandazione dalle frodi o ingiustizie e richiamando alla carità.
Antropocentrismo: il lato pessimista
Alberti come uomo universale(burckhardt, La storia del rinascimento in Italia) anche con un suol lato
in ombra.
Il Monus di Leon Battista Alberti

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