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RIASSUNTI - CANTI INFERNO

CANTO I
Dante Alighieri fa svolgere al Canto I dell’Inferno una doppia funzione: il
canto apre la prima cantica dell’Inferno ma assume anche il ruolo di
prologo dell’intero poema.
Dante presenta la situazione iniziale e illustra le motivazioni del viaggio
nei tre regni di inferno, purgatorio e paradiso: smarritosi all’età di 35 anni
in una foresta buia e impervia, allegoria del peccato, egli racconta di
esserne uscito dopo un lungo viaggio di purificazione e redenzione
spirituale. Ad accompagnarlo per due terzi del viaggio è Virgilio,
dopodiché proseguirà Beatrice.
OBIETTIVO DEL CANTO
Dante esplicita:
- Situazione iniziale: perdita retta via, smarrimento nella selva; inizio
viaggio con la guida Virgilio
- Motivazioni viaggio: purificazione dell’anima di Dante. Il suo percorso
di redenzione deve essere modello per tutta l’umanità (viaggio
intrapreso per tutti)
- Struttura poema: itinerario viaggio (per bocca di Virgilio): Inferno,
Purgatorio e Paradiso
I PERSONAGGI
- DANTE. Emerge il duplice ruolo da subito: autore e personaggio.
-Dante agens (personaggio): compie il viaggio Inferno-Paradiso.
Deve ancora compiere il viaggio: appare insicuro, impaurito e pieno
di dubbi: ha bisogno di una guida che gli dia i giusti consigli.
-Dante auctor(autore): narratore dell’intera vicenda. Ha già vissuto
la vicenda (la sta raccontando a posteriori), possiede la verità ed è
sicuro e saggio.
A mano a mano che si va avanti con la storia, dante personaggio si
avvicina a dante autore perché sta compiendo il viaggio e inizia a
capire ciò che sta vivendo.
- TRE FIERE.A partire dal v.31, il cammino di Dante (in particolare, la
salita al colle) è ostacolato dall’arrivo di tre fiere, tre belve che gli
impediscono di proseguire e anzi lo fanno arretrare verso la selva. Sono
-lonza------------- lussuria
-leone-------------superbia

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-lupa--------------cupidigia
ANALISI CANTO
Versi 1-27. All’età di trentacinque anni (nel mezzo del cammin di nostra
vita: citazione Elia nei Salmi: vita umana di 70 anni), Dante si ritrova
smarrito in una foresta oscura e intricata, il cui pensiero ancora lo turba.
Non è in grado di dire come vi sia entrato. Al mattino, però, riesce ad
uscire da essa, ritrovandosi ai piedi di un colle la cui sommità è illuminata
dai primi raggi dell’alba; è un’immagine che riesce un poco ad acquietare
la sua paura e a ridonargli speranza.
Versi 28-60. Dopo essersi riposato, Dante riprende il cammino su un
pendio che conduce al colle ma, non appena iniziata la salita, gli si
presenta davanti una minacciosa lonza. La luce del sole e la stagione
primaverile gli donano la speranza di riuscire ad oltrepassare quel primo
ostacolo, ma ecco comparire di fronte a lui un leone affamato che gli
sbarra il cammino. Dopodiché compare anche una lupa, magra e vorace,
che lo spinge a indietreggiare verso la foresta.
Versi 61-90. Mentre torna sui suoi passi, Dante vede una figura umana
nella penombra e chiede aiuto. Questa si presenta: dice di essere
un’anima e fornisce ulteriori dettagli sulla sua persona, come di aver
avuto genitori lombardi, di aver vissuto all’epoca di Giulio Cesare e sotto
l’imperatore Augusto e di aver cantato le gesta di Enea. Dopodiché
chiede a Dante perché non stia proseguendo il suo cammino verso la
vetta del colle. Dante, a questo punto, lo riconosce: si tratta di Virgilio,
poeta latino che definisce suo maestro di alto stile poetico e a cui dichiara
tutta la sua devozione artistica. Infine, spiega a Virgilio il motivo del suo
indietreggiare indicandogli la lupa.
Versi 91-136. Virgilio suggerisce a Dante di prendere un altro percorso dal
momento che la lupa costituisce, per ora, un ostacolo insormontabile.
Contro di essa però, spiega ancora il poeta latino, si batterà un giorno un
Veltro – modello di sapienza, amore e virtù – che la sconfiggerà e la
ricaccerà all’Inferno, luogo da cui era uscita. Virgilio, a questo punto, si
offre come guida di Dante: lo condurrà nei luoghi dell’Inferno e del
Purgatorio, per poi affidarlo in Paradiso a un’anima più degna. Dante,
allora, lo prega di guidarlo e inizia a seguirlo.
ANALISI DEL CANTO
- IL VIAGGIO DI DANTE: emerge subito l’idea di vita umana come
itinerarium mentis, cammino di redenzione ed espiazione delle colpe
in un percorso di ascensione verso Dio. Dante, paradigma
dell’umanità intera, intraprende il suo viaggio ultraterreno partendo

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dal basso, dal buio della selva, per arrivare alla visione di Dio. Il
poeta si prefigura quindi, al pari di ogni uomo, come viator,
pellegrino in cammino verso la salvezza eterna, essere imperfetto
alla ricerca della perfezione divina.
- LA SELVA OSCURA: connotazione negativa, diventa per il poeta
allegoria del peccato in cui un uomo può cadere nel corso della
propria vita. È scura in quanto non vi batte luce divina. Alcuni
studiosi la situano a Gerusalemme, altri a Firenze.
- PROFEZIA VELTRO: è la prima profezia della commedia (v.100).
- Le profezie post eventum: si tratta di quelle “predizioni” che si riferiscono a
momenti compresi tra la primavera del 1300 e la loro scrittura e che giocano
quindi sull’espediente della retrodatazione dantesca.
- Le profezie ante eventum: si tratta di pochi ed isolati casi in cui le predizioni
fanno riferimento a fatti che, al momento della scrittura dell’opera, devono
ancora accadere.
Quella del veltro appartiene alla seconda categoria. Predetto l’arrivo
di un cane (il veltro) che si nutre di sapienza amore e virtute e che
salverà l’Italia uccidendo la bestia che è causa dei mali dell’intero
paese: la Lupa. Profezia aperta a letture multiple.

CANTO 2

Il secondo canto svolge una funzione proemiale nei confronti della prima
cantica (Inferno), sottolineata dall’invocazione e dalla protasi.
L’invocazione è alle muse (a cui Dante non crede, ma è un omaggio alla
classicità), al suo alto ingegno, lodando la sua intelligenza, e alla sua
memoria, per ricordare l’avvenuto. La protasi indica invece l’argomento
della Cantica.
Sono presenti tre macro-sezioni:
- Proemio
- Esposizione dubbi di Dante circa la sua predisposizione compiere un
viaggio di tale importanza
- Risposta di Virgilio, che spiega al poeta la divina natura
dell’itinerario che i due stanno per compiere e il seguente
convincimento di Dante
PROTAGONISTI
- Le tre donne: Beatrice, Santa lucia e la vergine Maria.
Rappresentano le tre forme della Grazia Divina:
-Maria: Grazia Preveniente (dono gratuito di Dio, agisce prima che
sia tutto perduto)

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-Lucia: Grazia illuminante (data da Dio per far distinguere bene e
male, chiarisce ciò che bisogna fare)
-Beatrice: Grazia cooperante (quella che con la cooperazione
dell’uomo lo aiuta ad operare il bene, non è l’ideatrice ma ubbidisce)

ANALISI
Dante invoca le muse---Versi 1-9.
Sta calando la notte e Dante-personaggio è tormentato e angosciato dal
pensiero del cammino che dovrà intraprendere. Dante-autore invoca
l’aiuto delle Muse, del proprio ingegno e della propria memoria, affinché
riesca nell’arduo compito di descrivere l’aldilà.

Dante è dubbioso, non si sente all'altezza di un simile viaggio---Versi 10-


42.
Dante manifesta a Virgilio tutti i suoi dubbi sul viaggio che sta per
intraprendere. Confronta sé stesso con Enea e con San Paolo, che –
ancora in vita – avevano compiuto un viaggio nell’aldilà grazie ai loro
meriti e con la consapevolezza del bene che ne sarebbe derivato: nel
caso di Enea, la fondazione di Roma, sede dell’Impero e della Chiesa; nel
caso di San Paolo il rafforzamento del Cristianesimo. Dante, invece, non
crede di essere degno di una simile impresa, non avendo gli stessi meriti
di Enea e di San Paolo; anzi, crede che il suo viaggio nell’aldilà possa
risultare addirittura empio.

Virgilio spiega a Dante le ragioni della sua missione--Versi 43-74. Virgilio,


accusando Dante di viltà, gli spiega le ragioni della sua missione. È stata
Beatrice, preoccupata per le sorti di Dante stesso, smarrito nella selva del
peccato, a scendere nel Limbo – sede eterna del poeta latino – e ad
indurlo a correre in suo soccorso.

Il viaggio di Dante è voluto dalla Vergine Maria----Versi 75-114. Virgilio


racconta di aver promesso a Beatrice di obbedirle e di averle chiesto
come mai non avesse timore a scendere in mezzo alle anime dannate. La
donna aveva quindi spiegato come la sua natura divina le impedisse di
essere sfiorata dalle fiamme dell’Inferno. Inoltre, aveva aggiunto che il
viaggio di Dante era voluto dalla Vergine Maria la quale, per mezzo di
Santa Lucia, aveva chiesto a Beatrice di prestargli soccorso.

Dante ritrova la voglia di intraprendere il viaggio ---Versi 115-142.


Terminato il suo racconto, Virgilio esorta quindi Dante a mettere da parte
i propri timori e le proprie incertezze, dal momento che può contare sul
sostegno di «tre donne benedette». Dante, ritrovato l’ardore e la voglia di

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intraprendere questo viaggio, si affida a Virgilio e lo segue per il difficile
sentiero.

I TEMI
- L’invocazione alle muse. Il canto si apre con un’invocazione alle
Muse e ciò è dovuto al fatto che questo canto funge da proemio
dell’Inferno. Dante inoltre invoca anche “il suo alto ingegno”.
- La missione di Dante. Nel primo canto l’impedimento era fisico (le
tre belve), qui l’impedimento è mentale. Il timore è quello di non
essere degno di tale viaggio, oltre al confronto con Paolo ed Enea.
Poi accetta il viaggio grazie alla spiegazione di Virgilio che gli illustra
le ragioni “divine” del suo viaggio.

CANTO 3
In questo canto ci troviamo finalmente nell’Oltretomba, e ci troviamo
davanti alla Porta Infernale e la sua minacciosa scritta. Il luogo di
ambientazione è in particolare l’Antinferno, connotato da oscurità (Dante
non vede nulla) e continui lamenti, urla e pianti: a popolarlo sono gli
ignavi, coloro cioè che nella vita non sono stati in grado di prendere una
posizione, macchiandosi irrimediabilmente di viltà. Essi, come detto, sono
nell’Antinferno, che è il luogo che precede l’Inferno, quindi non sono
propriamente dannati, ma sono sottoposti comunque a una dura pena. In
questo canto incontriamo inoltre le anime che aspettano di essere
traghettate da Caronte nell’Inferno vero e proprio.
Abbiamo quindi tre sezioni narrative
- La porta dell’Inferno: è l’ingresso ufficiale alla tematica infernale.
Sancisce l’immutabilità della condanna divina, non permettendo ad
alcuna anima di tornare indietro una volta varcata la soglia.
- Incontro con le anime degli ignavi: Dante per loro nutre grandissimo
disprezzo, a tal punto che non è dato loro un momento di interazione
o intervento, ma solo quello di descrizione di pena e colpa.
- La figura di Caronte: vero protagonista del Canto, ha una duplice
funzione.
PERSONAGGI
- Caronte è l’unico personaggio con uno spazio considerevole nel
canto. È il traghettatore delle anime dannate. È una figura
mitologica. Dante però decide di attuare una demonizzazione del
personaggio: infatti è molto aggressivo verso le anime e prova odio
verso tutti e anche verso sé stesso. Ha inoltre una doppia funzione:

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narrativa, in quanto ribadisce ad anime e lettore ciò che li attende
nell’Inferno; profetica, perché profetizza a Dante il suo arrivo nel
purgatorio e la salvezza della sua anima.
SINTESI NARRATIVA
Arrivo all'Inferno----Versi 1-21.
Dante e Virgilio arrivano davanti la porta dell’Inferno che, sulla sommità
reca un’iscrizione minacciosa in caratteri scuri: viene messo in guardia chi
la varca, spiegando che sul luogo in cui sta per entrare regna l’eterna
sofferenza e che non vi è speranza di uscirvi. Dante, tentennante, viene
condotto da Virgilio attraverso la porta.

Le pene dei dannati dell'Inferno----Versi 22-69.


Varcata la soglia, Dante è travolto da un terribile mescolarsi di pianti,
voci, lamenti, urla; Virgilio gli spiega che ad emettere quei suoni sono gli
ignavi, le anime di coloro che in vita hanno peccato di viltà, non
schierandosi mai né dalla parte del bene né da quella del male. La loro
punizione è quella di correre continuamente dietro a un’insegna senza
significato ed essere punzecchiati senza sosta da vespe e mosconi: il
sangue che esce dai loro volti viene raccolto da orripilanti vermi. Tra
queste anime, Dante scorge quella di «colui che fece per viltade il gran
rifiuto», probabilmente Celestino V.

Viene introdotta la figura di Caronte----Versi 70-120.


Dante scorge poi altre anime, ammassate sulla riva di un fiume: si tratta
delle anime dannate che, disposte lungo l’Acheronte, aspettano di essere
portate verso l’altra sponda, laddove comincia l’Inferno. A traghettarle c’è
Caronte, il nocchiero che appare a Dante in tutta la sua vecchiaia e che
intima il poeta di andar via, rivolgendogli parole ingiuriose. È Virgilio a
zittire il demone, ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio;
tanto basta a calmare Caronte. Le anime, accalcate lungo la sponda, si
gettano dalla riva alla barca e, quando il nocchiero ancora non è arrivato
alla meta opposta, sulla riva si è formata una nuova schiera.
Virgilio spiega a Dante la reazione di Caronte---Versi 121-136.
Virgilio spiega a Dante che non deve prendersela per le parole di Caronte,
anzi: nessuna anima in Grazia di Dio può essere traghettata all’altra riva,
e quindi la rabbia del nocchiero significa che l’anima del poeta è salva.
Improvvisamente, il suolo infernale è scosso da uno spaventoso

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terremoto accompagnato da un lampo rossastro: Dante perde i sensi e
sviene a terra.
 La tecnica dello svenimento è frequente nei primi canti nel passaggio
da un canto all’altro, in quanto sta ancora imparando a scrivere. È
quindi una tecnica iniziale.

TEMI
- La porta infernale.
La porta è quasi personificata e parla dicendo, tramite la scritta
soprastante, che si sta per entrare nel luogo dell’etterno dolore e che
una volta entrati non si può tornare indietro. Infatti le anime non
possono neanche morire e saranno lì per sempre.
- La colpa: l’ignavia.
Non sono mai stai in grado di prendere posizione, quando fare ciò è
uno dei compiti fondamentali dell’uomo. Il disprezzo di Dante per loro è
totale. Infatti chi si macchia di questo peccato non merita alcuna
considerazione e Dante perciò non si sofferma su nessuna anima,
accennando solamente a «colui / che fece per viltade il gran rifiuto».
- La legge del contrappasso.
La pena degli ignavi è correre incessantemente, nudi, dietro
un’insegna priva di significato, tormentati dalle punture di vespe e
mosconi fino a sanguinare, il loro sangue è raccolto da vermi
raccapriccianti che si muovono ai loro poeti.
Le pene sono descritte molto accuratamente e seguono la legge del
contrappasso, che si divide in:
 Contrappasso per analogia: la pena è simile al peccato (ex: vita
ripugnante—vermi ripugnanti)
 Contrappasso per contrasto: la pena rovescia le caratteristiche del
peccato (ex: come in vita non hanno seguito nulla, ora seguono senza
sosta un’inutile scritta)

CANTO 4
Ci troviamo nel limbo, cioè nel primo cerchio dell’Inferno. In questo
cerchio troviamo coloro che hanno vissuto prima di Dio e perciò non
possono essere salvati, sono peccatori di non essere stati battezzati. La
punizione assegnategli è l’eterno desiderio, l’eterna mancanza di Dio. La
pena non è quindi fisica, ma consiste nell’eterno e irrealizzabile desiderio
di poter vedere e contemplare Dio.
PERSONAGGI

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Oltre a Dante e a Virgilio, abbiamo i 4 savi poeti: Orazio, Omero, Ovidio,
Lucano. Inoltre abbiamo altri 35 personaggi citati, tra cui Platone,
Aristotele, Democrito; gli arabi Averroè e Saladino; poi abbiamo altri
filosofi, poeti, scienziati ed eroi che hanno contribuito alla formazione di
Roma.
SINTESI NARRATIVA
1-12 Un rumore fragoroso risveglia Dante (dopo essere svenuto nel
passaggio dell’Acheronte), che si guarda attorno: è sulla riva dell’Inferno
(orlo voragine infernale), che gli appare buio, profondo e che riecheggia
di lamenti.
13-45 Virgilio invita Dante a seguirlo nella discesa dell’Inferno, ma mentre
lo dice impallidisce. Dante se ne preoccupa e Virgilio gli spiega che il suo
pallore non è dovuto a paura ma a pietà per gli spiriti del primo cerchio.
Dante sente i sospiri e vede molte anime. Virgilio dice che sono le anime
di quelli che vissero senza peccato (uomini giusti) ma anche senza fede
cristiana; la loro condanna è la privazione della speranza di salvezza. È il
luogo in cui è lui nell’Inferno, e quindi vuole andarsene.
46-63 Dante chiede a Virgilio se qualche anima è mai salita al cielo dal
Limbo. Virgilio gli conferma di avere visto con i propri occhi Cristo risorto
portare via i patriarchi: ad esempio, Adamo o Giacobbe.
64-105 I due poeti avanzano e vedono uno spazio luminoso occupato da
anime dignitose. Dante chiede chi sono quelli che godono di tale
privilegio e Virgilio risponde che sono i sapienti antichi. Quattro poeti
avanzano verso di loro e rendono omaggio a Virgilio: Omero, Orazio,
Ovidio e Lucano (i 4 Savi). Parlano un po' con Virgilio, poi accolgono fra
loro Dante e insieme avanzano parlando.
106-114 I sei poeti arrivano a un castello, cinto da sette mura e da un
fiumicello. Passano attraverso sette porte e Dante vede un prato verde.
Questo castello è il castello degli spiriti magni, cioè le anime che hanno
conseguito grandi traguardi in vita e sono anime fiere e autorevoli.
115-151 Il gruppo dei sei poeti si divide: quattro restano nel Limbo,
mentre Dante e Virgilio escono e avanzano in uno spazio buio.
 APPROFONDIMENTO
Dante non ritiene giusta questa punizione del limbo. Lo porterà, questo
disaccordo, ad allontanarsi per un momento dal Cristianesimo. Tutto
ciò per il senso di limitatezza della mente umana, infatti poi capirà che
Dio è giustizia, e l’inferno, in quanto sua creazione, è giusto.

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CANTO 5

Dante e Virgilio si lasciano alle spalle il limbo e vanno nel secondo


cerchio. Qui fa la sua comparsa Minosse: un personaggio mostruoso, che
giudica le anime terrorizzate. A Minosse basta guardarle per sapere quale
pena infliggerle, e comunica la sua sentenza arrotolando la coda tante
volte quanti sono i cerchi dell’Inferno a cui l’anima è destinata.
Nonostante egli provi a intimidire Dante, Virgilio lo sgrida rimettendolo al
suo posto.
In questo cerchio sono puniti i lussuriosi. Quando dante entra, abbiamo
una prima idea dello scenario infernale: buio, aria tenebrosa, e una
tempesta di vento dove sono sbattute e percosse le anime senza sosta. Il
vento è simbolo della mancanza di lucidità e l’abbandono del corpo alle
passioni sessuali. Le anime in questa tempesta sono divise in base al tipo
di amore che condussero. In particolare dante è colpito da coloro che
morirono per amore, e in particolare dalle anime, abbracciate, di Paolo e
Francesca.
Dante è all’inizio del viaggio e non sa bene le regole di esso, ma può
parlare con le anime per comprendere al meglio i loro peccati e le
rispettive pene.
In questo caso, Dante prova pietà per i due amanti. Infatti non può
perdonare il loro peccato (infatti stronca definitivamente l’amor cortese),
ma prova per loro compassione.
È la sola Francesca che parla con il poeta, mentre Paolo piange. La
giovane e bella ragazza parla con parole dolci, e abbiamo un contrasto tra
le parole dolci e le bestemmie e le urla dei dannati e tra l’amore dei due,
anche nell’Inferno, e l’atmosfera cupa e buia. Dante è talmente scosso da
questo contrasto di sentimenti che sviene.

APPROFONDIMENTO: VERA STORIA PAOLO E FRANCESCA


La storiografia interpreta in diversi modi questo omicidio di cui Dante
parla nel canto V dell'Inferno. Si pensa che Francesca, com’era normale a
quei tempi, fosse stata promessa in sposa a uno dei fratelli Malatesta, e
che lei avesse inteso di dover sposare il più bello e attraente Paolo
quando invece si presentò, per chiedere la sua mano, Gianciotto.
Francesca, dimessa, sottostà alla decisione paterna e sposa l’uomo che il
padre ha scelto, ma la simpatia e l’attrazione fra lei e Paolo è sempre
forte e i due finiranno per diventare amanti, tradendo Gianciotto che,
scoperto il tradimento, li uccide entrambi. Tolto l’equivoco iniziale, non

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sappiamo se reale o meno, certo è che Francesca e suo cognato
divennero amanti e che Gianciotto li uccise.

CANTO 6

Siamo nel terzo cerchio infernale, nell’Alto inferno, e troviamo come


dannati i golosi. Questo cerchio è colpito da un incessante pioggia sporca
e gelida che, mischiandosi con il terreno, crea una disgustosa fanghiglia
maleodorante.
Custode di questo luogo è Cerbero, personaggio mitologico: è un cane a
tre teste, i cui latrati assordano gli spiriti. L’unica anima con cui Dante e
Virgilio si fermano a parlare è Ciacco, un cittadino fiorentino
contemporaneo all’autore, che profetizza il futuro prossimo di Firenze.
Il canto è essenzialmente privo di azione, ma costituito da tre grandi
tematiche:
- Tematica politica: si parla infatti delle lotte intestine che hanno distrutto
la città di Firenze. Tematica cara a Dante perché ragione del suo esilio
- Tematica morale: vengono individuate le cause di queste guerre:
superbia, avarizia e invidia. Inoltre vengono citati 5 illustri personaggi
politici fiorentini che sono all’Inferno, simboli del fatto che per salvarsi
non basta l’operato politico
- Tematica religiosa: Virgilio illustra a Dante il futuro delle anime. Esse,
dopo il Giudizio Universale, si riapproprieranno dei propri corpi,
avvertendo maggiormente la loro pena.
PERSONAGGI
- Cerbero. È un cane a tre teste con colli avvolti da serpenti. È una figura
mostruosa posta a guardia delle anime dei golosi, il suo ruolo è dunque
ridimensionato dalla mitologia pagana che lo vedeva come custode
dell’ade. Acquisisce carica grottesca.
- Ciacco. È il personaggio più importante del canto, l’unico che prende
parola. “Ciacco” potrebbe essere un diminutivo o un soprannome: o un
diminutivo di Jacopo/Giacomo; o con significato di porco/ porcellino, o
come nel Decameron di uomo simpatico ma che si autoinvitava alle feste
per mangiare.

SINTESI NARRATIVA
A Dante e Virgilio si presenta il 3° cerchio dell'Inferno----Versi 1-33.
Dante riprende i sensi e si ritrova nel terzo Cerchio dell’Inferno, dove sono
punite le anime dei golosi: sommersi da una disgustosa fanghiglia, essi

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sono tormentati da una incessante pioggia nera e gelida. A custodia del
Cerchio vi è Cerbero, un demoniaco cane a tre teste che graffia
violentemente i dannati e latra orribilmente sopra di essi. Non appena la
belva vede Dante e Virgilio, gli si avventa contro, ma quest’ultimo
prontamente raccoglie una grossa manciata di terra e gliela getta in
bocca; in questo modo si placa.
Entra in scena Ciacco, che si presenta a Dante e Virgilio---Versi 34-57.
Dante e Virgilio continuano ad attraversare il Cerchio dei golosi,
camminando sopra le anime sdraiate sulla fanghiglia; una di esse
improvvisamente si mette a sedere e, rivolgendosi a Dante, gli chiede se
si ricorda di lui. Il suo aspetto, però, è talmente stravolto dal dolore e
dalla sporcizia, che il poeta non riesce a riconoscerlo. L’anima si presenta:
egli è stato un cittadino di Firenze ed in vita era conosciuto con il nome di
Ciacco.
È qui che troviamo la prima profezia su Firenze----Versi 58-93.
Visibilmente dispiaciuto per l’angosciosa condizione di Ciacco, Dante gli
pone domande riguardanti Firenze. Ciacco risponde con parole profetiche:
dopo una lunga alternanza di potere, i due partiti giungeranno allo
scontro armato; a vincere sarà la fazione dei Neri, anche grazie all’aiuto
di un personaggio (papa Bonifacio VIII). La fazione vincitrice conserverà il
potere per lungo tempo, opprimendo quella dei Bianchi. Ciacco aggiunge
inoltre che i giusti sono pochissimi e non ascoltati e che le cause della
discordia civile sono la superbia, l’invidia e l’avarizia. Anche chi è stato un
buon politico ma ha peccato di gola si trova nel girone dei golosi. A
questo punto, Dante chiede all’anima ulteriori informazioni, in particolar
modo riguardo il destino ultraterreno di quei fiorentini che tanto si sono
impegnati nella vita pubblica. Ciacco gli spiega che essi sono tutti dannati
nei cerchi inferiori a quello in cui si trova. Infine, prima di ricadere nel
fango insieme alle altre anime golose, chiede a Dante di ricordarlo ai vivi
una volta tornato sulla Terra.
Dopo il giudizio universale le anime dei dannati soffriranno di più--Versi
94-115.
Virgilio ricorda a Dante il destino di Ciacco: egli si rialzerà solo il giorno
del Giudizio Universale, al suono della tromba angelica. Sarà allora che
tutte le anime si riapproprieranno dei loro corpi e ascolteranno la
definitiva sentenza di Dio. Dante pone allora una domanda alla sua guida:
dopo il Giudizio Universale, come varieranno i tormenti dei dannati?
Virgilio gli spiega che, riunendosi ai propri corpi, le anime soffriranno
maggiormente.
ANALISI DEL CANTO

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- LA COLPA: LA GOLA
È uno dei sette peccati capitali. Il canto insiste su questo peccato sia
grazie a un linguaggio crudo e popolare (petroso), sia quasi
associando loro la figura di Cerbero, sia con la dura pena inflitta loro.
La pena ha un duplice significato:
-Per analogia: come in vita si sono disumanizzate divenendo sempre
più simili a bestie, così, quasi come porci, sono immersi nel fango
-Per contrasto: come in vita hanno ceduto alle prelibatezze del cibo,
sono punite col cattivo odore del fango
- LA POLITICA
Qui si parla della situazione di Firenze grazie a Ciacco. Si parla delle
lotte tra guelfi neri e bianchi e delle cause (Superbia, invidia e avarizia) e
abbiamo la profezia.

CANTO 7
Siamo nel quarto cerchio, i cui protagonisti sono gli avari, cioè coloro che
in vita hanno pensato solo a guadagnare, e i prodighi, cioè coloro che
hanno dissipato oltre alle loro possibiltà.
Abbiamo prima di tutto l’incontro con Pluto, divinità pagana della
ricchezza e guardiano del cerchio. È una bestia, abbruttito e trasformato
in demone, inizia a parlare con un’invocazione a Satana. Al grido di Pluto
abbiamo una risposta di Virgilio, che ricorda la volontà divina del viaggio.
A quel punto Pluto si accascia e li lascia passare.
È un peccato ritenuto da Dante stesso pesante e importante, infatti la
pena consiste nello spingere macigni divisi in due schiere che si muovono
a semicerchio e quando si incontrano tra loro si insultano a vicenda. È
quindi una pena per analogia: come in vita si sono affannati per motivi
inutili, nell’Inferno trascinano inutilmente massi. Virgilio conferma come
molti avari sono stati uomini di Chiesa.
Nel giorno del giudizio, in cui le anime risorgeranno, gli avari saranno con
il pugno chiuso (per analogia) e i prodighi con i capelli tagliati
(contrappasso per aver vissuto appannandosi dietro a beni legati alla
Fortuna/Sorte).
Abbiamo una discussione sulla Fortuna, scaturita da una domanda di
Dante che chiede cosa sia questa. Essa amministra i beni materiali e ha
fatto impazzire questi peccatori.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


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Passata la mezzanotte, arrivano nel quinto cerchio, in cui troviamo gli
iracondi e gli accidiosi. Gli iracondi sono coloro che sono presi dall’odio e
sono immersi nello stige (palude di fango puzzolente e sporco), sono nudi
e si picchiano a vicenda. Analogia: come erano arrabbiati in vita, lo sono
nell’Inferno. Sotto di loro abbiamo gli accidiosi, cioè coloro che hanno
passato la loro vita rodendosi dentro e rimuginando sui propri errori, non
combinando nulla. Sono immersi nella melma del fiume, individuabili solo
per le bolle che, con il loro parlare sotto il fango, fanno salire in
superficie.: in vita non hanno saputo neanche vedere la luce del sole, ora
rimarranno per sempre immersi nel fango della loro tristezza.
Aggirano dunque il pantano e si ritrovano ai piedi di una torre.

CANTO 8
Siamo ancora nel quinto cerchio.
Dante e Virgilio stanno andando verso una torre che vedono davanti a
loro, scorgono due fuochi in cima alla torre e un fuoco che risponde ai
segnali di questi da lontano.
Il primo evento del canto è l’arrivo di un nuovo nocchiere: Flegiàs, che
raggiunge i due protagonisti sfrecciando sulla sua barca. Inizialmente
aggredisce Dante credendolo un dannato, poi Virgilio lo rimprovera. Egli è
il guardiano degli iracondi.
Egli trasporta Dante e Virgilio per la palude, ma ad un tratto un iracondo
si aggrappa alla barca e Dante sta per cadere nella palude. Virgilio salva
tutto. Costui è Filippo Argenti, conoscente di Dante e fiorentino, famoso
per i suoi scatti d’ira. È un personaggio storico importante: quando Dante
nel 1307 rifiutò di tornare a Firenze, i beni degli Alighieri furono confiscati
dalla famiglia dei Guelfi neri degli Argenti. Viene subito aggredito da altri
dannati che lo straziano.
Virgilio e Dante, scesi dalla barca, sono ai piedi della città di Dite, con le
sue torri infuocate e i diavoli a protezione. Dante è spaventato, Virgilio no
ma esce “sconfitto” dal dialogo coi diavoli.

CANTO 9
Stiamo per entrare nel sesto cerchio, quello degli eretici.
Inizialmente i due, dopo il viaggio avvenuto nell’ottavo canto, si trovano
ai piedi della città di Dite. Questa città è lo spartiacque tra alto e basso
Inferno. Il loro passaggio è ostacolato dalla presenza di diavoli.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


13
Virgilio è in un momento sconsolato, e Dante di conseguenza impallidisce.
Allora Virgilio per tranquillizzarlo torna in sé e sembra aspettare qualcuno.
Poi le tre furie infernali (Megera, Aletto e Tesifone), dalla cima della torre,
urlano spaventosamente contro Dante e preannunciano l’arrivo di
Medusa, che ha il potere di pietrificare con lo sguardo. Virgilio allora
esorta Dante a girarsi e lo aiuto tappandogli gli occhi.
A salvare la situazione arriva il messo celeste, che fa scappare tutti i
dannati e i mostri e apre le porte del Basso Inferno ai due. Inoltre ricorda
a tutte le anime la volontà divina del viaggio.
I due così possono entrare nella città e vedono una distesa pianeggiante,
con le anime punite degli epicurei e degli eretici. La pianura è piena di
tombe aperte da cui escono strazianti lamenti e abbiamo le fiamme in
mezzo alle tombe.
È in generale un canto di raccordo, necessario per far entrare nella città
infernale Dante e Virgilio. Abbiamo due temi principali:
- La ragione non può tutto
- L’affidamento alla grazia divina

CANTO 10
Il canto si svolge all’interno del sesto cerchio, nella città di Dite: da qui
Dante inizia la discesa verso i peccati più gravi, quelli legati alla malizia.
In questo canto la colpa è quella dell’eresia e anche una delle sue
diramazioni: la corrente filosofica dell’epicureismo.
I dannati con cui Dante dialoga sono due: Farinata degli Uberti e
Cavalcante de Cavalcanti. Dante e le due anime sono tutte di Firenze, che
diventa “sfondo” del canto. Infatti la parte centrale del canto è la profezia
dell’esilio da parte di Farinata a Dante.
PERSONAGGI
- Farinata degli Uberti: fiorentino, è il personaggio principale del canto
ed è il primo a parlare con Dante. In vita fu il massimo esponente dei
ghibellini a Firenze. // STORIA: fu un personaggio cardine nella vita
politica della città. Nel 1248, grazie all’aiuto dell’imperatore di
Federico II di Svevia, riuscì a sconfiggere ed esiliare i guelfi dalla
città. Dopo la morte dell’imperatore, però, i guelfi si prendono la
rivincita e vincendo tornano a Firenze cacciando i Ghibellini e in
particolare gli Uberti, che vanno a Siena. Farinata organizza le
truppe ghibelline senesi e sconfigge quelle guelfe fiorentine nella

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


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battaglia di Monteaperti (1260). Farinata si oppone all’idea di radere
al suolo Firenze e ci rientrò, per poi morirvi nel 1264. Nel frattempo,
dopo 6 anni di governo ghibellino, i Guelfi vinsero la battaglia di
Benevento (1266) e cacciarono Guelfi e Uberti. Ci fu poi un processo
a Farinata, o meglio al suo cadavere, e alla moglie. Accusati di eresia
e quindi le loro spoglie furono disperse in un territorio sconsacrato.
- Cavalcante de Cavalcanti: è il padre di Guido Cavalcanti, poeta
stilnovista e amico di gioventù di Dante.
SINTESI NARRATIVA
L'ingresso nella città di Dite----Versi 1-21.
Dante e Virgilio camminano per i sepolcri infuocati della città di Dite, nel
Sesto Cerchio. Il primo chiede al secondo se può vedere le anime
contenute all’interno di essi, dal momento che sono scoperchiati; il poeta
latino gli risponde che dopo il Giudizio Universale quelle tombe verranno
chiuse e che lì dove si trovano sono puniti Epicuro con gli eretici suoi
seguaci, gli epicurei, che hanno affermato la mortalità dell’anima.
Dante incontra Farinata------Versi 22-51.
Improvvisamente una voce proveniente da uno dei sepolcri si rivolge a
Dante, apostrofandolo: si tratta di Farinata degli Uberti che ha
riconosciuto la provenienza del poeta per via del suo accento fiorentino.
Dante si avvicina e i due iniziano a parlare: il poeta spiega chi sono stati i
suoi antenati, e Farinata dice di averli cacciati per ben due volte da
Firenze. Dante controbatte dicendo che essi sono stati in grado di
rientrare, ma altrettanto bravi non possono dirsi i discendenti di Farinata.
Entra in scena Cavalcante Cavalcanti----Versi 52-72.
Accanto a Farinata all’improvviso appare un altro dannato: si tratta di
Cavalcante Cavalcanti, padre di un amico in gioventù di Dante, che
chiede al poeta perché suo figlio non si trovi con lui in quel viaggio
ultraterreno. Dante risponde che è perché ha disdegnato la Teologia
(=Beatrice), ma l’utilizzo da parte del poeta di un verbo al passato
remoto fa credere a Cavalcante che suo figlio Guido sia morto e, vedendo
l’esitazione di Dante nel rispondere, l’anima si riaccascia nella tomba.
Farinata salvò Firenze------Versi 73-136.
Farinata, imperturbabile di fronte all'accaduto, riprende il suo discorso
con Dante lì dove si era interrotto: confessa che l’esilio dei suoi familiari
lo tormenta più della pena a cui è sottoposto, poi predice l’esilio a Dante
e gli chiede come mai i fiorentini siano così ostili nei confronti della sua
famiglia. Dante gli risponde spiegandogli che il ricordo della battaglia di

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


15
Montaperti è ancora vivo nella memoria dei cittadini, ma Farinata ribatte
dicendo che egli non è stato l’unico responsabile di quella tragedia e che,
anzi, è stato l’unico ad opporsi alla distruzione di Firenze, risparmiandola.
A Dante viene comunicata la profezia sul suo esilio---Infine Dante chiede
delucidazioni circa la facoltà chiaroveggente dei dannati e Farinata gli
spiega che essi sono in grado di prevedere il futuro, ma non il presente o
gli eventi imminenti; il poeta lo prega allora di dire a Cavalcante che suo
figlio Guido è ancora vivo. Sconvolto per la profezia circa il suo esilio,
Dante viene confortato da Virgilio, il quale lo esorta a chiedere
spiegazioni a Beatrice una volta giunto in Paradiso.
ANALISI E TEMI
- La colpa: l’Eresia. Sono coloro che hanno messo in dubbio i dogmi di
una fede religiosa o ne hanno dato diverse interpretazioni. In
particolare Dante si sofferma sugli epicurei, i quali non credevano
nell’immortalità dell’anima e nell’Aldilà. La pena consiste nell’essere
posti in una serie allineata di sepolcri scoperchiati, immersi nelle
fiamme, dopo il Giudizio Universale, verranno chiuse
definitivamente.
Pena dalla doppia valenza:
 Come nel medioevo gli eretici venivano messi al rogo, così
nell’inferno sono tra le fiamme (contrappasso per analogia)
 Come essi (in particolare gli epicurei) hanno sostenuto la mortalità
dell’anima, ora sono delle tombe (contrappasso per analogia)
- La chiaroveggenza dei dannati: essi possono vedere nel futuro, ma
solo quello lontano, e non il presente o le cose imminenti. Si spiega
così come Cavalcante non sappia che il figlio è attualmente in vita.

CANTO 11
Dante e Virgilio giungono all’orlo del sesto cerchio. I due però
indietreggiano subito, colpiti dal fetore proveniente dal basso e si
riparano dietro a una grande tomba, quella di Papa Anastasio II, un
seguace della eresia monofisita. Virgilio approfitta della pausa forzata per
spiegare a Dante i tre cerchi che dovranno ancora incontrare e le anime
al loro interno, mentre lui si abitua al fetore.
In particolare, nel settimo cerchio abbiamo i violenti, i quali sono divisi in
tre gironi: i violenti verso il prossimo (omicidi e predoni), contro sé stessi
(suicidi e scialacquatori) e contro Dio, natura ed arte (bestemmiatori,
sodomiti e usurai). Invece nell’ottavo e nel nono cerchio, abbiamo i
fraudolenti. Nell’ottavo sono puniti coloro che frodarono persone che si
fidavano di loro, i quali sono divisi in 10 bolge; nel nono cerchio sono

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


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condannati i traditori, organizzati in 4 zone: Caina, Antenora, Tolomea e
Giudecca. Infine, nel fondo dell’abisso abbiamo Lucifero.
Dante qui chiede delucidazioni sulla divisione dei peccatori tra Alto e
Basso inferno. Nell’alto, si trovano gli incontinenti, cioè coloro che non
seppero serbare la misura in azioni, di per sé non tanto deplorevoli e
quindi hanno commesso un peccato minore. Nel basso, invece, abbiamo i
peccatori di Malizia e Bestialità, che hanno invece violato delle leggi. Poi
chiede spiegazioni sul motivo degli usurai nell’Inferno. Virgilio rispose che
Dio insegna che l’uomo deve sostentarsi o sulla natura o sul lavoro.
L’usuraio, sfruttando il lavoro altrui, offende Dio. È un’importante lezione
di Virgilio a Dante.

CANTO 12

Dante e Virgilio scendono dal sesto al settimo cerchio camminando su


una frana malagevole prodotta dalla morte di Cristo. A guardia del
cerchio, abbiamo il Minotauro, il guardiano del labirinto di Minosse,
simbolo della matta bestialità, affine al peccato punito in questo cerchio,
la violenza. È una bestia, con un corpo bovino sormontato da una testa
umana. Esso, alla vista dei due, esplode in un’ira scomposta: si morde da
solo, favorendo il passaggio dei due.
Il settimo cerchio è interamente occupato dal Flegetonte, un fiume di
sangue bollente, in cui sono immersi, a diverse profondità a seconda della
pena, i violenti contro il prossimo. A guardia dei dannati ci sono i centauri,
che corrono lungo la riva del fiume armati di frecce che tengono a bada la
risalita eccessiva delle anime. Il loro capo è Chirone, a cui Dante
attribuisce la virtù della saggezza in quanto era per una leggenda il
precettore di Achille. Dante chiede a Chirone una guida dove si possa
guardare il fossato, e lui incarica Nesso. Lui fu colui che, per inganno,
uccise Ercole, ed è la guardia del cerchio. Egli, dopo essersi inizialmente
opposto, li accompagna dall’altra parte indicandogli al contempo qualche
celebre anima: Carlo Magno, Attila e Pirro. Una volta compiuto il suo
lavoro, il centauro torna dall’altra parte.

CANTO 13
Siamo nel settimo cerchio nel secondo girone., dove troviamo i violenti
contro sé stessi, sia contro il loro corpo (suicidi) sia contro i propri beni
(scialacquatori). Ci troviamo, in particolare, in un bosco infernale, buio e
fitto e siamo all’alba del sabato Santo.
Possiamo dividere il canto in tre macro sezioni:

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


17
- I suicidi: in particolare, Pier delle Vigne;
- Gli scialacquatori; in particolare, Lano da Siena e Iacopo di Sant’Andrea;
- Nuovamente i suicidi, con un anonimo fiorentino.
Sintesi narrativa
Dante e Virgilio sono al di là del fiume Flegetonte---Versi 1-45.
Il centauro Nesso ha traghettato Dante e Virgilio al di là del fiume
Flegetonte; i due si incamminano per una folta selva. Dante ode dei
lamenti, ma non riesce a scorgere chi li emette; Virgilio lo invita allora a
spezzare un ramoscello da uno degli alberi: dalla ferita escono sangue e
parole, sono gli alberi stessi le anime.
Compare la figura di Pier della Vigna------Versi 45-78.
Virgilio invita il cespuglio a rivelare la propria identità in modo tale che
Dante, una volta tornato sulla Terra, possa ricordarne il nome ai vivi.
L’anima si presenta come Pier della Vigna, uno dei più fedeli segretari
dell’imperatore Federico II di Svevia (“Teneva chiavi del suo cuore”:
espressione aperta a multiple letture), caduto in disgrazia per l’invidia dei
cortigiani e suicidatosi per non aver saputo sopportare la vergogna
dell’accusa. Si presenta inizialmente come innocente (“perché mi fai del
male?”).
In questo cerchio, le anime dei suicidi germogliano in piante
selvatiche--------Versi 79-108.
Virgilio chiede allora a Pier della Vigna com’è possibile che le anime si
tramutino in piante e se c’è la possibilità che ne fuoriescano. Il dannato
risponde che le anime dei suicidi germogliano in piante selvatiche non
appena giungono al VII Cerchio e che, nel giorno del Giudizio Universale,
esse riprenderanno i propri corpi ma non potranno rivestirli: le
appenderanno ognuna all’albero dove è imprigionata.

In questi versi compaiono le anime di due scialacquatori suicidi----Versi


109-151.
Dante e Virgilio sentono dei rumori provenire dalla selva e,
improvvisamente, scorgono le anime di due scialacquatori che fuggono
inseguite da delle cagne nere ed affamate. Si tratta di Lano da Siena e di
Iacopo da Sant’Andrea; il primo cerca di sfuggire alle belve
nascondendosi dietro un cespuglio, ma viene raggiunto e dilaniato. Il
cespuglio dietro cui si era nascosto Lano appartiene a un’anima suicida di
Firenze, che si impiccò nel segreto della propria casa.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


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 È un canto per negazione in quanto tutto viene descritto per ciò che
non è. Inoltre, data la tetralità del canto, essa è descritta tramite rime
aspre e petrose. Inoltre, abbiamo numerose figure etimologiche, in cui
cioè le parole hanno la stessa radice.
 Punizioni dannati:
- Suicidi: unici dannati che il Giorno del giudizio non si riuniranno al
proprio corpo, ma lo andranno a prendere e lo appenderanno all’albero
in cui sono puniti (contr. per contrasto). Infatti, dal momento che hanno
rinunciato al prezioso dono della vita umana, essi sono trasformati in
piante.
- Scialacquatori: pena non troppo distante da quella immaginata per la
prima categoria di dannati: gli scialacquatori, così come in vita hanno
dilapidato i propri beni, sono inseguiti e smembrati da cagne fameliche
(contrappasso per analogia).
 Temi canto
- Ingiustizia legata all’innocenza;
- Sistema della fiducia;
- Tema dell’invidia che corrompe il mondo (excursus Mottish su Marte)
- Citazioni virgiliane (Numerose, usate da Virgilio stresso per spiegare
concetti difficili: non solo personaggio ma anche autore).

CANTO 14
L’amore verso la patria spinge Dante a raccogliere le misere fronde del
fiorentino morto suicida. Dante e Virgilio si trovano nel terzo girone del
settimo cerchio, dove abbiamo una landa sabbiosa infuocata e deserta
colpita da una pioggia di fiamme. Sono puniti tre di tipi di anime, tutte
appartenenti ai violenti: contro Dio(bestemmiatore), la cui punizione è
stare fermi immobili e sdraiati a ustionarsi; contro l’arte (gli usurai),
seduti sull’orlo; contro la natura (i sodomiti), i cui dannati camminano
senza tregua.
Tra i bestemmiatori, abbiamo l’incontro con il gigantesco Capaneo. Egli fu
uno dei sette re che assediarono Tebe, ma osò sfidare Giove e fu da lui
ucciso. Infatti, sfida gli dei perché ritiene la fede una paura. Capaneo è la
sintesi dei tre mali contro Dio, in quanti lui li ha tutti:
- negazione di Dio: bestemmiando Dio, affermi che esiste, perciò stai
negando la superiorità di Dio. Perciò non sono atei, ma si sentono
superiori a Dio;
- atto della bestemmia;
- disprezzo interiore della Divinità: lui si crede davvero superiore ad
essa.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


19
Capaneo, però, non è, come la sua imperturbabilità può far credere, un
magnanimo. Lui è superbo, e non è ragionevole come i magnanimi sono,
dunque essa è il segno della sua dannazione. Egli è infatti arrogante e
fiero e imperturbabile di fronte alle fiamme. Inoltre, è uno dei dannati
peggiori proprio perché non si rende conto della colpa e rimane della sua
idea, impendendosi la possibilità della misericordia, dovuta alla richiesta
del perdono. Quindi, oltre alla dannazione della pena, ha anche la
dannazione spirituale.
Poi i due arrivano al Flegetonte, da cui vengono emanati vapori che
spengono la pioggia di fuoco. Parte la questione sui fiumi infernali, che
Virgilio spiega essere nati sulla Terra a Creta, in particolare dalla statua di
un vecchio: il Veglio di Creta, personaggio leggendario costituito da
materiali diversi (ex: testa d’oro, gambe di ferro, petto d’argento ecc). in
particolare, il pianto di questa statua ha portato alla creazione dei fiumi
infernali e del Cucito. Anche questa figura è aperta a interpretazioni
multiple.

CANTO 15
Dante, proseguendo lungo il fiume del terzo girone del settimo cerchio,
incontra i sodomiti, i quali camminano incessantemente. Tra loro,
abbiamo l’incontro con Brunetto Latini, maestro di Dante. Il dialogo
avviene a distanza, in quanto Dante altrimenti si scotterebbe, perciò lui è
sull’orlo mentre Brunetto corre nel fiume. Egli confermerà la profezia
dell’esilio. Poi parlano di Firenze, riprendendo le tre faville di Ciacco
(avarizia invidia superbia), sottolineando il degrado morale della Firenze
di inizio 300. Preannuncia infatti che tutti saranno contro di lui. Poi chiede
a Dante di ricordarlo anche tramite il suo Tresor e fugge inseguendo gli
altri dannati. È un dannato, come Pier delle Vigne, trattato con rispetto,
come evinciamo dai picchi letterari.
La colpa non è solo l’omosessualità, ma anche la pederastia, cioè il
rapporto sessuale tra maestro e allievo, in cui il maestro abusa del suo
potere e del suo carisma per sedurre il giovane. Quindi, l’errore è
soprattutto il fatto che non sono relazioni libere ma condizionate dallo
stato sociale e dal concetto di inferiore/superiore. Non abbiamo fonti
certe, però, sul motivo della presenza nel cerchio di Brunetto, il quale
grazie a Dante è passato alla storia come “il sodomita”.

CANTO 16
Dante è sull’orlo del settimo cerchio, dove abbiamo la cascata del
Flegetonte. Dalla sabbia retrostante, ormai superata, sia alzano tre anime

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


20
che corrono verso Virgilio, il quale li ascolta. Essi iniziano a girare a
cerchio, avvinghiati come lottatori di sumo. Sono tre uomini fiorentini
imponenti, esponenti della vecchia classe dirigente fiorentina, sconfitta
dalla nuova generazione emergente, ostile a loro e a Dante. Nonostante
siano dannati, hanno dignità e autorità, infatti Dante vorrebbe
abbracciarli, ma non può (tema di come, anche all’inferno, si possa essere
trattati con riverenza).
Dante, dopo aver dato informazioni su di sé, dà informazioni su Firenze.
Da guelfo conservatore, reagisce con una dura invettiva contro la nuova
classe dirigente, ragione della crisi cittadina. Ancora una volta, viene
toccato il tema della politica fiorentina, dove i pochi giusti sono sovrastati
da superbia, invidia e avarizia. Dante si oppone a questa avidità,
prendendosela con i superbi e schierandosi con i conservatori. Poi
chiedono di essere ricordati in Terra e se ne vanno.
--- nel dialogo con Jacopo Rusticucci emerge quindi come la cortesia sia
contrastata da orgoglio e dismisura, e l’atteggiamento superbo tipico
degli immigrati.
Guardando poi la cascata, Virgilio lo invita a sciogliere la corda che ha ai
fianchi, la prende e la tira lontano. Simbolo allegorico; temperanza e
rispetto delle leggi, virtù che salva da lussuria e frode, punita nell’ottavo
cerchio. Poi appare nell’aria, nuotando, il mostro Gerione.

CANTO 17
Appare quindi Gerione, il mostro che con il suo puzzo appuzza il mondo,
nonché traghettatore volante. Impersona la frode, peccato punito nel
luogo da cui proviene. Dante prova per lui ribrezzo. Ha infatti la faccia di
un uomo giusto -volto ingannevole-, ma un corpo serpentino decorato
persiano. Ha una coda scorpione, simbolo di chi tradisce all’improvviso.
Attracca sull’orlo con le zampe pelose e Virgilio lo colpisce con la corda.
Esso era un re di un’sola iberica ucciso da Ercole. Non era cattivo, ma
Boccaccio dice che era un re fraudolento che ammazzava i suoi ospiti.
Dubbio se è simbolico o invenzione dantesca.
Si vedono poi gli usurai, violenti contro l’arte e puniti nel settimo cerchio
in quanto sfruttarono il lavoro altrui da parassiti. Piangono e cercano di
fare schermo con le mani del sangue che esce dal loro corpo. Infatti
abbiamo il paragono con i cani che grattano gli insetti. Appesi ai loro
corpi, ci sono gli stemmi delle loro casate, che non smettono di guardare
(per analogia, come fecero in vita). Sono due fiorentini e un padovano;
uno di loro prova a parlare a Dante ma termina con gesti bovini.
L’animalità è infatti tipica del 17° canto, in comune anche con Gerione.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


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Usurai per eccellenza: ebrei; cristiani non potevano fare interessi- serviva
qualcuno che li facesse- ebrei incaricati.
Virgilio è già su Gerione e annuncia a Dante che stanno per andare nel
basso inferno. Dante ha i brividi, ma sale, senza parlare per la paura.
Intuendo ciò, Virgilio lo abbraccia, poi esorta Gerione. Si scende
nell’oscurità attraverso la cascata, e i due vengono depositati sull’orlo
dello strapiombo.

CANTO 18
Siamo nell’ottavo cerchio. Abbiamo al centro un pozzo largo e profondo,
tutt’intorno dieci canali concentrici, le bolge, scavalcati da ponticelli di
pietra che convergono al pozzo centrale, che è tipo un castello circolare.
In questo cerchio è punito il peccato della frode.
Nella prima bolgia, abbiamo i dannati che si muovono in due sensi di
marcia e sono frustrati dai demoni. Sono i ruffiani e i seduttori.
Dante incrocia con gli occhi un peccatore che prova a nascondersi, però
Dante si ferma, lo riconosce e lo chiama per nome: è Venedico
Caccianemico. Egli confessa di essere stato lui a indurre la sorella a
concedersi a un marchese, storia sconcia nota a tutta Bologna. Un
demone poi interrompe la narrazione.
Salgono dunque alla seconda bolgia. Guardano l’altro senso di marcia
della prima bolgia, notando un uomo che non lacrima. È Giasone, l’eroe
che si impossessò del vello d’oro. Durante la navigazione, ingannò la
figlia del re di Lenno, e questa è la seduzione per cui è punito. È trattato
con rispetto, ha un atteggiamento magnanimo e fiero: è l’unico, insieme a
Ulisse, trattato così nel Basso Inferno.
Passano dunque a guardare la seconda bolgia, dove sono puniti i
lusingatori. Qui, i dannati si dibattono da soli e abbiamo un terribile tanfo.
I peccatori sono inoltre immersi nello sterco. Tra i dannati, talmente
sporco che non è chiaro se è laico o ecclesiastico, abbiamo Alessio
Interminelli da Lucca, riconosciuto da Dante e punito per le sue lusinghe.
Infine, un'altra dannata si accoscia in piedi e si graffia con le unghie
sporche: è Taide, la meretrice, inesauribile adulatrice e seduttrice. Infine,
i poeti, stanchi, si allontanano.

CANTO 19
I due arrivano dunque al ponte che scavalca la terza bolgia. Abbiamo i
simoniaci, accusati da Dante proprio per aver reso la Chiesa uno

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


22
strumento di ricchezza, nepotismo e potere temporale. La parola simonia
deriva da Simon mago, personaggio biblico.
Il fondo della bolgia è coperto da fori, dai quali spuntano le gambe dei
dannati, con le punte dei piedi tormentate da fiammelle. Uno spirito in
particolare si agita più degli altri e Virgilio porta Dante nella bolgia per
vedere chi sia. È papa Niccolò II, inizialmente confuso con papa Bonifacio
VIII, ancora in vita. Poi Dante chiarisce l’identità e capisce come Bonifacio
VIII arriverà nella bolgia, prendendo il posto e spingendo più in giù Niccolò
II; poi arriverà Clemente V. è un gesto coraggioso in quanto Bonifacio VIII
è ancora in vita e Dante lo condanna.
Numerosi sono i simboli: i simoniaci sono a testa in giù in quanto ciò
allude allo stravolgimento dello spirito cristiano; oppure si allude al volo di
Simon Mago. Inoltre il fuoco (delle fiamme) è un simbolo dello Spirito
Santo, il quale invece di illuminare la mente dei pontefici, ne tormenta i
piedi. Dante inoltre attua un altro ribaltamento, in quanto assume il ruolo
di confessore nel confronto di un papa. Egli lancia gravi accuse a questi
papi che puntavano alla ricchezza, corrotti, in quanto volevano sostituirsi
con i sovrani terreni. Infine Dante condanna la donazione di Costantino,
documento dimostratosi falso e simbolo della corruzione. È un accusa
comunque alla Chiesa e non a Costantino, il quale è in Paradiso. Dante,
dunque, aderisce al filone riformatore devoto alla povertà della chiesa,
condannando la corruzione. Afferma comunque la necessità di queste
istituzioni ecclesiastiche, ma vanno riportate ai valori originali per la
salvezza degli uomini.
Fiero delle parole del compagno, Virgilio lo prende in braccio e lo porta al
successivo ponticello.

CANTO 20
Siamo nella quarta bolgia, dove sono puniti gli indovini. Sul fondo della
bolgia, Dante osserva una processione di dannati che avanzano
gemendo, mentre la loro testa è rivolta all’indietro. È la loro pena per
contrasto: in vita vollero prevedere il futuro, ora sono costretti a guardare
indietro. Nella condanna, dunque, un rimando all’umiltà intellettuale. I
loro corpi nudi sono descritti con parole dure, ma Virgilio sgrida Dante
perché si è lasciato commuovere. È una situazione ricorrente nella
Commedia. Il corpo riacquisisce dignità nel corso dell’opera, la quale
termina con Dio fatto uomo.
Virgilio addita alcuni indovini: per esempio, Tiresia e Manto, sulla quale si
sofferma, in quanto a lei è legata la nascita di Mantova. La donna giunse
da Tebe in Italia, fino agli stagni del Mincio, dove si stabilì per fare le sue

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


23
arti. Sul luogo della sua tomba, gli uomini fondarono Mantova. Qui
abbiamo un errore di Dante, in quanto ella era pure nel limbo. È difficile
infatti tenere sotto controllo tanti personaggi e forse egli non aveva sotto
mano i capitoli precedenti.
Poi Virgilio riconosce Calcante, Michele Scoto e altri astrologi, punita in
quanto valore di conoscenza. L’astrologia, soprattutto nel medioevo dove
si credeva molto al simbolismo, era molto studiata e creduta. L’errore sta
nel credere che nascere sotto una determinata costellazione segni il tuo
futuro e può prevedere la tua indole, in quanto ciò priva del libero arbitrio
e della libertà dell’uomo cristiano. Infine, concludono la schiera alcune
maghe e streghe.

CANTO 21
I due poeti giungono dunque al ponticello che scavalca la quinta bolgia, in
cui sono puniti i barattieri, cioè coloro che fecero commercio dei pubblici
uffici, cioè della propria carica politica, arrivando però a contaminare, con
la corruzione, l’intera comunità. La bolgia è buia e cupa a causa della
pece bollente sul fondo, dove sono immersi i dannati che inoltre sono
colpiti dai diavoli. È considerata una pena pesantissima, a tal punto che è
situata sotto la simonia. Infatti Dante è stato accusato da Firenze di
volere soldi per il proprio lavoro, e perciò ha rifiutato il “perdono” di
Firenze concessogli dopo l’esilio, cioè la multa e la processione.
Dante descrive i diavoli con simpatia, come simboleggiano i loro nomi,
divertenti e non certo paurosi. Dante ha comunque paura e si nasconde,
mentre Virgilio parla con il capo dei Malebranche (nome dei diavoli), cioè
Malacoda, ricordandogli la volontà divina del viaggio. Dante esce dunque
dal nascondiglio e Malacoda usa la sua autorità per evitare che venga
uncinato dagli altri diavoli. Poi Malacoda fornisce informazioni sul ponte
della sesta bolgia, dicendo che è crollato e mentendo dunque ai due, in
quanto i ponti sono crollati tutti. Comunque fornisce dieci diavoli di scorta
ai due, mettendo a capo Barbariccia della spedizione.
 Il canto ha un linguaggio comico-grottesco. Infatti, i canti 21 e 22 sono
il trionfo dello stile comico.
 La pena: sono immersi nella pece nera e bollente, feriti e torturati dai
diavoli qualora tentassero di salire in superficie per trovare un po’ di
sollievo. La condanna richiama, per analogia, la bassezza della colpa di
cui si sono macchiati: la pece è infatti viscida come la baratteria, e
arriva a coprire interamente i loro corpi così come i barattieri hanno
tentato di coprire le proprie malefatte.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


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CANTO 22
È la continuazione del ventunesimo canto, infatti i primi 10-15 versi sono
di collegamento. Tema centrale del Canto è indubbiamente l’inganno, in
tutte le sue sfaccettature, non solo in relazione alla colpa punita:
barattieri e diavoli sono alle prese con malefatte e vendette da attuare gli
uni contro gli altri, in un’eterna gara in cui a vincere è chi riesce a
dimostrarsi più astuto. Tutto è descritto tramite il registro grottesco, il
quale quindi corrisponde alla bassezza morale dei dannati.
SINTESI NARRATIVA
La marcia dei diavoli ha inizio-----Versi 1-30.
Barbariccia, attraverso un orribile segnale, dà inizio alla marcia dei
diavoli. Dante e Virgilio, guidati dai Malebranche, procedono lungo la
bolgia, osservando con attenzione la pece bollente: all’interno di essa,
molte anime di barattieri cercano di emergere con il solo dorso, pronti a
tornarne al di sotto nel momento in cui si avvicinano i diavoli.

Entra in scena Ciàmpolo------Versi 31-96.


Uno dei dannati è meno rapido a rituffarsi sotto la pece: un diavolo lo
afferra con l’uncino e lo estrae, mentre i demoni vogliono scuoiarlo con gli
artigli. Dante chiede a Virgilio di scoprirne l’identità: si tratta di Ciàmpolo
di Navarra e in vita si è macchiato del peccato di baratteria. Nonostante
un diavolo tenti di azzannarlo, Barbariccia protegge il dannato in modo
tale da permettere a Virgilio di porgli altre domande. Virgilio chiede allora
a Ciàmpolo se con lui ci sono altre anime italiane: egli fa il nome di due
barattieri sardi. Vorrebbe dire altro, ma teme di essere uncinato.
Zuffa tra demoni: Dante e Virgilio si defilano----Versi 97-151.
Ciàmpolo dice allora a Dante e Virgilio che, se hanno il desiderio di vedere
anime toscane o lombarde, egli potrà richiamarle, a patto che i demoni si
allontanino un poco. Cagnazzo ritiene si tratti di un inganno escogitato
dal dannato per riuscire a rituffarsi nella pece, e Alichino lo sfida: se
proverà a scappare, lo raggiungerà volando. Ciàmpolo allora, con un
salto, riesce a mettersi in salvo; Alichino lo segue, invano, e viene quindi
attaccato da Calcabrina. I due, azzuffandosi, cadono nella pece bollente,
dalla quale vengono estratti solo grazie all’intervento di Barbariccia e
degli altri compagni. Dante e Virgilio colgono l’occasione per defilarsi.
 Il canto è dominato da termini zoologici, in quanto siamo nel campo
della bestialità.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


25
 Etimologia “diavolo”: colui che divide, mette zizzania, aiuta l’uomo a
rompere il suo patto d’alleanza con Dio. Ti fa perdere punti di
riferimento, devia percorsi.
 Nella bolgia, sono tutti fraudolenti: tutti mentono, ma tutti perdono.

CANTO 23
Dante e Virgilio scappano vedendo i Malabranche impigliati nella pece.
Nonostante provino a inseguirli furiosi, imboccano un percorso tortuoso
che li porta alla sesta bolgia, dove sono puniti gli ipocriti. La punizione di
questi peccatori sta nel procedere camminando pianissimo indossando
una maschera e una veste dorate esternamente ma di piombo (e dunque
pesantissime) all’interno. Infatti furono che celarono una vita malvagia
con apparenze virtuose. Molti di loro furono ecclesiastici. Alcuni dannati
sono puniti in maniera peggiore, come quelli, per esempio, che hanno
condannato a morte Cristo e perciò sono crocifissi per terra; come Caifa.
Abbiamo inoltre l’incontro con il toscano Catalano de Malavolti, un frate
gaudente (anche qui punita la Chiesa), punito per aver mal governato la
città ed essersi comportato ingiustamente nei confronti dei nemici.
Virgilio gli chiede dunque come uscire dalla bolgia, Caetano risponde
dicendo che i ponti sono crollati tutti e di risalire lungo la parete di roccia.

CANTO 24
Virgilio sta dunque cercando una via d’uscita dalla bolgia degli ipocriti e
trova la base del ponte crollato. Perciò conduce Dante nella scalata della
sesta bolgia, esortandolo a superare con la grandezza dello spirito le
debolezze e la fatica del corpo.
Scorgono dunque una moltitudine di serpenti, tra i quali corrono i ladri,
con le mani legate dietro la schiena dalle stesse serpi. Avviene dunque un
episodio terribile e prodigioso: uno di loro viene morso sul collo,
immediatamente si accende, brucia e si incenerisce; ma la cenere si
raccoglie da sola e si ricrea la precedente figura umana. Dante per
spiegare ciò richiama al mito della fenice che risorge dalle proprie ceneri.
La pena è per contrappasso: natura subdola che accomuna ladri e
serpenti, incaricati di legare le mani che compirono le rapine. Abbiamo
continue metamorfosi, infatti vengono derubati della personalità e della
forma corporea. Dopo di essa, il dannato è smarrito e angosciato per
pochi attimi, poi costui è interrogato da Virgilio: è il violento pistoiese
Vanni Fucci, soprannominato “bestia” macchiatosi di molti furti. Egli è
punito tra i ladri perché svaligiò con atto sacrilego la sacrestia del duomo
di Pistoia. Infastidito per essere stato riconosciuto, si rivolge a Dante in

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


26
modo spavaldo. Poi lancia una profezia su un rovescio militare
riguardante Pistoia e la parte politica sostenuta dai bianchi (Dante), suo
nemico. Poi chiude con una vendicativa rivalsa.

CANTO 25
Vanni Fucci fa un gesto osceno a Dio stesso ed è subito punito, infatti le
serpi lo avvinghiano crudelmente e mentre Dante inveisce contro Pistoia,
il dannato scompare nella bolgia. Sopraggiunge richiamandolo il furioso
centauro Caco, avvolto da serpenti, sulla schiena ha un drago
lanciafiamme. Per descriverlo, Dante ricorre a varie fonti classiche e
tradizionali popolaresche, fondendole, dando così vita a un’originale
descrizione di Caco, il quale fu giustiziato dalle mazzate di Ercole.
I poeti sono poi richiamati da tre ladri fiorentini, ma uno di loro viene
assalito da un serpente con 6 piedi, che lo avvinghia e lo morde. Avviene
una fusione tra l’uomo e il rettile in un unico essere mostruoso. Nel
frattempo, un altro serpente si avvinghia sull’ombelico di un altro
dannato, e da quel momento le bocche degli esseri iniziano a fumare e
avviene una duplice metamorfosi: l’uomo diventa serpente e viceversa.
Dante descrive questo fenomeno con minuzia di particolari: gara classica
con Ovidio e Lucano. Il dannato, ripresa la forma umana, sputa e poi dice
il nome dell’altro: Guoso Donati. Un terzo dannato è Puccio Sciancato,
nobile bandito da Firenze. Manifesta l’orgoglio del poeta, che descrive con
maestria la doppia metamorfosi e la presenza di Dio in tutti gli
avvenimenti, il quale sovverte l’ordine da lui stesso creato.
Dante, con gusto medioevale per il mostruoso, descrive i dannati: il fuoco
sulle bocche che si fonde, sguardi forzati a scontrarsi, parti anatomiche
che si alterano mostruosamente, fischiano e sputano.

CANTO 26
Il Canto XXVI dell’Inferno, noto anche come il “Canto di Ulisse”, è
ambientato nell’ottava Bolgia dell’ottavo Cerchio. Qui sono puniti i
consiglieri di frode; in particolar modo, la narrazione si concentra su una
celebre anima che si è macchiata di questo peccato: stiamo parlando di
Ulisse, l’eroe acheo colpevole non solo di aver ordito quegli inganni che
ben conosciamo grazie ai poemi omerici (l’ideazione del cavallo di Troia,
ad esempio), ma anche di aver trascinato la sua compagnia di amici alla
morte, per mezzo di una persuasiva orazione. È dunque da un lato eroe
mitico e saggio, protagonista di Iliade e Odissea, dall’altro un personaggio
ingannatore. Dante inoltre non aveva letto le due grandi opere, a
differenza dell’Eneide, ma decide comunque di collocarlo all’inferno.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


27
SINTESI NARRATIVA
Invettiva contro Firenze-----Versi 1-12.
Il Canto si apre con una pungente invettiva di Dante nei confronti di
Firenze. Egli, infatti, nella settima Bolgia – dov’è punita la colpa del furto –
ha incontrato ben cinque anime di ladri fiorentini. L’autore preannuncia
quindi un terribile futuro per la sua città natale.
Tra i consiglieri fraudolenti, Dante e Virgilio trovano Ulisse e Diomede----
Versi 13-75.
Dante e Virgilio riprendono il cammino e si imbattono in uno spettacolo il
cui ricordo scatena ancora nel poeta una terribile sofferenza. Il fondo buio
dell’ottava Bolgia è illuminato da tante fiammelle vive: sono le anime dei
consiglieri fraudolenti, imprigionate all’interno di lingue di fuoco.
L’attenzione dell’autore è rivolta, in particolar modo, ad una fiammella
con la punta biforcuta: all’interno di essa sono nascoste le anime di Ulisse
e Diomede, eroi achei che a più riprese si sono macchiati della colpa
dell’inganno. Dante chiede allora a Virgilio di avvicinarsi a dialogare con
esse; la guida acconsente ma gli suggerisce di lasciar parlare lui.
Ulisse racconta perché si trova lì------Versi 76-102.
La fiammella dalla punta biforcuta si avvicina ai due; al che, Virgilio
chiede di sapere come sia morta almeno una delle due anime
intrappolate al suo interno. A rispondere è la più grande delle due punte,
Ulisse: egli racconta che, una volta liberatosi dalla prigionia della maga
Circe, non bastarono gli affetti a frenarlo e decise di partire, insieme ad
un gruppo di fedeli amici, per soddisfare finalmente la sua sete di
conoscenza.
Ulisse racconta di come convinse i suoi compagni a varcare il limite------
Versi 103-142.
Ulisse e i suoi compagni si spinsero allora nel Mediterraneo, verso ovest,
fino a raggiungere le colonne d’Ercole. Dopo aver esortato e convinto i
suoi compagni, attraverso un piccolo ma convincete discorso, a varcare
quel limite, Ulisse proseguì verso sud fino a raggiungere la montagna del
Purgatorio. In quel momento una tempesta si alzò dal mare e colpì la prua
della nave, facendola ruotare tre volte su sé stessa e, infine, inabissare.
ANALISI
 La colpa: i consigli fraudolenti
Nel XXVI Canto dell’Inferno sono punite le anime dei consiglieri
fraudolenti, coloro cioè che hanno posto il loro ingegno non a servizio del
bene e della virtù cristiana, bensì dell’inganno. Siamo di fronte a una

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


28
tipologia di peccatori verso cui Dante mostra una certa riverenza. È un
peccato di intelligenza che, proprio in virtù di questa sua peculiarità, non
fa perdere all’essere umano le proprie prerogative e non lo induce così a
divenire simile ad una bestia. Ovviamente questo non attenua la colpa dei
consiglieri fraudolenti – ci troviamo comunque nell’ottava Bolgia, uno dei
punti più bassi dell’universo infernale – ma dona al Canto un’atmosfera
sensibilmente diversa rispetto a quella a cui siamo stati abituati in
precedenza. In quest’ottica neanche la pena ci appare così atroce, né
degna di una minuziosa descrizione da parte dell’autore: i consiglieri
fraudolenti sono avvolti in lingue di fuoco, sottostando per analogia alla
legge del contrappasso. Infatti, come essi in vita attraverso la lingua (cioè
la parola) hanno espresso i loro ingannevoli consigli, così nell’Aldilà hanno
assunto l’aspetto di lingue di fuoco.
APPUNTI SUL BRANO
 Stelle: parola chiave contenuta nel canto. Etimologicamente, è
contenuta nella parola “desiderio”: infatti le stelle sono il simbolo del
desiderio. Questi sono insaziabili e continui: il raggiungimento di uno
provoca il voler raggiungere un altro, il quale più cresce più è grande
e ambizioso. Ulisse è proprio l’eroe per il desiderio, in quanto ha sete
di conoscenza.
 Picciola (x3): smonta un viaggio che sembrava grandioso
 Folle: termine già usato nel canto 2; è anch’esso un viaggio empio?
Dante è infatti simile a Icaro e Ulisse: anche lui si è perso, poi vede il
sole e vuole arrivare ad esso, e anch’egli trova degli ostacoli. Però a
differenza degli altri, chiede aiuto, in quanto si accorge che è una
sfida troppo grande per lui. A Ulisse è mancata una guida del
genere. La più grande virtù per Dante è l’umiltà; la condizione nella
vita per essere fedeli.
 Il problema di Ulisse non è dunque il desiderio. Esso è buono, si
allarga e arriverà a Dio, desiderio di felicità e di grandezza. Dante
però afferma di come nello scegliere la strada si possa sbagliare, per
poi perdersi e smarrire la retta via. È ciò che è accaduto a Ulisse,
superbo in quanto ha scelto tutto da solo.

CANTO 27
Siamo ancora nell’ottava bolgia. La fiamma di Ulisse si allontana e ne
arriva un’altra, che riesce a parlare nonostante le fiamme. È uno spirito
romagnolo che chiede novità sulla sua terra. Dante riferisce che i conflitti
persistono da sempre, ma in quel momento non sono in atto guerre
palesi. Poi passa in rassegna le città principali. Dante aveva a cuore la
Romagna e perciò gli chiede di presentarsi; la fiamma dunque mugghia e

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


29
poi parla. Inoltre non riesce a vedere bene oltre la propria fiamma. Costui
è Guido da Montefeltro. Egli fu scomunicato due volte, poi si pentì e si
fece frate: i contemporanei lo vedevano come un santo. Dante però
introduce una nuova lettura della sua vita, facendogli raccontare
l’episodio della sua dannazione. Con papa Bonifacio VIII, fece un astuto
inganno ai danni dei suoi nemici in Palestina; in cambio ricevette una
falsa promessa di una soluzione papale. Dante quindi condanna ancora
papa Bonifacio VIII, che in questa occasione ha alimentato i conflitti tra i
cristiani. Guido muore nel 1298 nel Monastero d’Assisi. La sua anima è
contesa tra San Francesco e un diavolo, il quale però dimostra che il frate
è morto in condizioni di peccato e lo trascina all’Inferno. La fiamma, finito
il racconto, se ne va. I poeti vanno dunque verso la nona bolgia.

CANTO 28
Affacciandosi sulla nona bolgia, Dante vede un immenso campo di
battaglia, in cui i dannati, cioè i seminatori di discordia, sono mutilati e
mostrano le loro ferite sanguinolente. Tutto ciò è descritto con rime
aspre. In particolare, Dante è colpito da un dannato squarciato
verticalmente: è Maometto, che si apre il petto e si lamenta, descrivendo
a sua volta la pena di Alì, che invece ha il volto spaccato. La presenza di
Maometto nella bolgia è dovuta alla falsa credenza medioevale che
all’origine dell’islamismo ci fosse un prelato cristiano, che organizzò una
cospirazione in quanto offeso di non essere stato nominato papa.
Virgilio spiega come questi dannati sono squartati da un diavolo dotato di
spada. Poi, mentre fanno il giro della bolgia, la ferita si rimargina, in modo
da essere nuovamente aperte dal diavolo, in un ciclo eterno.
Maometto si rivolge ai due profetizzando una tragica fine per Fra Dolcino,
che poi fu messo al rogo nel 1307. Poi un altro dannato con la gola
squarciata, Pier da Medicina, annuncia un tradimento imminente contro
due nobili; poi apre la bocca al suo vicino mostrandone la lingua mozzata.
Costui è Curione, colui che spinse Cesare alla guerra civile.
Si presente dunque un dannato con le mani tagliate, è il fiorentino Mosca
dei Lamberti, cittadino illustre punito per una vendetta privata; Dante
infatti conferma la malasorte della sua famiglia.
Poi arriva la più orribile vista: un dannato che cammina tenendo in mano
la sua testa mozzata come una lanterna: è Bertran de Born, poeta cortese
che seminò discordia tra il re inglese Enrico II e il figlio. Punito per
contrappasso: la innaturale divisione causata con quella tra capo e corpo.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


30
CANTO 29
Dante esita ad allontanarsi dalla bolgia in quanto teme che ci sia un suo
parente: Geri del Bello. Temeva fosse sdegnato in quanto nessuno aveva
ancora vendicato la sua uccisione, a opera della famiglia dei Sacchetti. La
vendetta era infatti, nel Medioevo, un diritto riconosciuto e addirittura
d’obbligo per le famiglie feudali. Dante stesso lo ritiene come una sorta di
rito d’espiazione, pur rivelando alcune perplessità a riguardo. Infatti tutte
le pene infernali sono vendicative della giustizia divina.
I due poeti arrivano comunque alla decima bolgia, che ospita i falsari.
Odono sentire lamenti strazianti, a tal punto che Dante è costretto a
tapparsi le orecchie con le mani. I due scendono guardando i falsari di
metalli languire come se colpiti da un’epidemia. Gli spiriti sono poggiati
uno all’altro e camminano a carponi e non sono in grado di alzarsi. Alcuni
si grattano furiosamente le croste.
Virgilio ne addita due, appoggiati sulla schiena dell’altro, colpiti da una
lebbra scabbiosa. Si rivelano alchimisti falsari di monete. Uno di loro è
Griffolino d’Arezzo, messo al rogo per vendetta da uno sciocco nobile
senese, da lui ingannato in quanto gli promise di farlo volare e non ci
riuscì. L’altro è Capocchio, falsario di metalli, che conferma la stupidità
senese con alcuni episodi caricaturali di vita urbana. Il ritratto di una
società volgare, un’immagine falsa dell’uomo, come falso fu il suo agire in
vita.

CANTO 30
Dante passa improvvisamente dal linguaggio popolaresco a quello alto di
Ovidio, orchestrando una lunga similitudine mitologica, rievocando la
follia di Adamanto e di Ecuba quando persero i figli, per descrivere due
dannati che accorrono mordendo gli altri spiriti. Capocchio viene
azzannato al collo e trascinato a terra, mentre Griffolino spiega che i due
dannati sono Gianni Schicchi e Mirra, entrambi falsari di persone. Il primo,
fiorentino, entrò nel letto di un morto per sostituirlo e dettare un falso
testamento. Mirra invece si finse un’altra donna per sedurre il padre.
Più in là si scorge un dannato con il ventre così gonfio da sembrare un
liuto, deformato dall’idropisia, e si lamenta della sete incessante che lo
tormenta. Rivolgendosi ai poeti, rivela essere Maestro Adamo, ricco
falsario messo al rogo per quell’attività illecita. Maledice i nobili che lo
indussero a falsificare i fiorini e che vorrebbe vedere puniti vicino a lui. Di
fianco, abbiamo due dannati, presentati da Adamo: uno dei due è Sinone,
il quale mentì sulla vera natura del cavallo di Troia. Si sente offeso e

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


31
perciò colpisce con un pugno Maestro Adamo che restituisce il colpo. I
due si accusano e si rinfacciano i peccati. Dante ascolta e descrive
attentamente il volgare diverbio fra due ed è per questo richiamato da
Virgilio. Un richiamo all’alto intento morale del poema e un addio alle
Malebolge, ormai giunte al termine.

CANTO 31
Siamo nel pozzo dei giganti, tra l’ottavo cerchio dei fraudolenti e il nono
dei traditori. Incontriamo i giganti, dannati e guardiani del pozzo, di
corporatura smisurata, stanno infissi dall’ombelico in giù ed emergono dal
pozzo centrale come torri immani. Sono costretti all’immobilità assoluta.
Dotati di intelligenza e di volontà, alcuni di loro hanno osato scalare
l’Olimpo. L’immobilità e il silenzio a cui sono costretti è, per contrappasso,
l’immensa forza fisica, ma anche la superbia.
Virgilio e Dante escono dalla decima bolgia e insieme attraversano
l’ampio argine. Tutto molto offuscato. Dante sente un corno e alte torri
emergersi in lontananza. Virgilio comunica che si tratta dei giganti posti
nel pozzo infernale, che fuoriescono dall’ombelico in giù. Dante si
avvicina a Nembrot, il primo gigante che incontra, il quale, vedendo i due
avvicinarsi, urla e si dimena con una lingua a noi non nota. Dante è molto
spaventato alla sua vista, il gigante è tutto sproporzionato e Virgilio pensa
che la natura abbia fatto bene a non far più nascere esseri come questi.
Attraverso la forza fisica e la ragione avrebbero rappresentato un
pericolo. Si recano poi da Fialte, incatenato per le braccia per aver osato
sfidare Giove. Dante vorrebbe vedere Briareo ma Virgilio gli dice che è
troppo lontano. Si devono invece recare da Anteo che li farà discendere
nel fondo del pozzo infernale.
Virgilio prega Anteo di calarli giù in basso, nel nono cerchio, quello del
Cocito gelato. Il gigante afferra i due e li cala lievemente sul fondo
infernale. Dante si stava cagando addosso dalla paura.

CANTO 32
Dante inizia il 32esimo canto con un’invocazione alle muse, temendo di
non essere in grado di descrivere il nono cerchio dell’inferno. Il fondo
dell’universo dove vengono puniti i traditori. Dante sente una voce che gli
dice di far attenzione a non urtare le teste dei dannati. Davanti a lui
appare un lago ghiacciato, tipo vetro. Nella prima zona di Cocito, la Caina,
i traditori dei parenti, sono immersi nel ghiaccio, tengono la testa
all’ingiù, tremano e hanno freddo. Dante incontra due anime che sono

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


32
molto vicine, le richiama ma i loro occhi non si aprono perché le lacrime
sono ghiacciate così non riescono ad aprirli.
Le due anime sono i due fratelli conti di Mangona. Si odiavano così tanto
da essere diventati fratricidi. A dirlo è Camicion de Pazzi che profetizza
inoltre l’arrivo di Carmelino de Pazzi nella zona successiva detta
“Antenora” posta al centro del lago ghiacciato.
Dante da inavvertitamente un calcio ad una testa, la quale si lamenta
citando la battaglia di Montaperti. Scopre essere Bocca degli Abati che
aveva determinato la sconfitta dei fiorentini. Una caratteristica dei
dannati del Cocito è quella di nominare altri compagni traditori,
tradendosi vicendevolmente. Dante è molto turbato e vorrebbe vendicare
i suoi ideali politici che ritrova nel Cocito. Infine Dante scorge una scena
raccapricciante: due dannati si stavano avvinghiando mordendosi la
testa. Un finale violento che ci porta direttamente nel canto successivo.

CANTO 33
Il canto 33 dell’Inferno è il più lungo della prima cantica. Si presenta come
il continuo del precedente. La vicenda si svolge in due delle zone del nono
cerchio:
- l’Antenora, che punisce i traditori della patria o del partito e che fa
da sfondo tragico del racconto del conte Ugolino.
- La Tolomea, che punisce i traditori degli ospiti e degli amici,
all’interno Dante parla con frate Alberigo.
SINTESI NARRATIVA
Il peccatore che Dante ha incontrato nel canto precedente è il Conte
Ugolino, mentre il suo avversario l’arcivescovo Ruggeri. Fu quest’ultimo
ad attirarlo in trappola e, attraverso l’inganno, a rinchiuderlo nella torre
pisana della Muda con i suoi due figli e i suoi due nipoti. Fu qui che i
cinque, uno dopo l’altro, morirono di fame. Non appena terminato il suo
racconto, il conte Ugolino storce gli occhi e riprende a rodere il cranio
dell’arcivescovo Ruggieri.
A questo punto, Dante si abbandona ad una dura invettiva contro Pisa,
città che fa da sfondo alla tragedia del conte Ugolino: il poeta si augura
che le isole dell’Arno si muovano arrivando a chiudere la foce, in modo
tale da annegare tutti i pisani. Infatti, sebbene il conte Ugolino si fosse
macchiato della colpa del tradimento della Patria avendo ceduto alcuni
castelli a Firenze e Lucca, i suoi giovani familiari erano innocenti e non
meritavano una così cruda morte.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


33
Dante e Virgilio abbandonano l’Antenòra e si avviano verso la zona
successiva del Cocito, la Tolomea. Qui le anime dannate sono
imprigionate nel ghiaccio supine e, pur volendo piangere, non possono: le
lacrime si congelano nelle orbite degli occhi, aumentando il dolore della
pena. Dante sente soffiare il vento e ne chiede spiegazione a Virgilio il
quale gli risponde che presto giungerà là dove potrà constatare con i
propri occhi l’origine di quell’evento atmosferico.
Uno dei dannati della Tolomea si rivolge a Dante e Virgilio, pregandoli di
essere liberato dalle lacrime ghiacciate. Dante risponde che lo farà
(sebbene, poi, non manterrà la sua promessa), a patto che egli riveli la
propria identità. Il dannato dice di essere frate Alberigo, e questo suscita
lo stupore di Dante che lo crede ancora vivo. Il peccatore allora spiega
che spesso avviene che l’anima di chi tradisce gli ospiti giunge alla
Tolomea prima di aver cessato il naturale corso della vita, mentre un
diavolo ne governa il corpo sulla Terra. Gli mostra allora l’anima di un
altro traditore che risulta ancora essere vivo: si tratta di Branca Doria, il
genovese che fece uccidere Michele Zanche. Alberigo invita allora Dante
a mantenere la sua promessa, ma il poeta decide di non togliergli dagli
occhi le lacrime ghiacciate. Si lancia quindi in un’invettiva contro i
genovesi, uomini pieni di vizi.
 Il conte Ugolino
Fu un nobile pisano nato in una famiglia ghibellina nel 1210. Aveva una
grande amicizia con Giovanni Visconti, infatti, sposò sua figlia Giovanna. Il
conte si spostò così dalla linea politica della famiglia diventando un
guelfo. Partecipò alla battaglia navale della Meloria nella quale Genova,
alleata di Firenze e Lucca, aveva sconfitto Pisa. Ugolino sembra che fosse
scappato ma nello stesso anno diventò podestà e capitano del popolo di
Pisa; avere un capitano del popolo guelfo in una città ghibellina avrebbe
favorito le trattative di pace con Firenze e Lucca.
Rotta l’alleanza col nipote Nino Visconti, egli si avvicinò all’arcivescovo
Ruggeri, capo dei ghibellini pisani. Ruggieri però insieme ad alcune
famiglie ghibelline, aizzò il popolo contro Ugolino e, nel momento in cui il
conte si recò dall’arcivescovo per concludere l’accordo, quest’ultimo lo
tradì e lo fece incarcerare nella torre della Muda con due figli e due nipoti.
Morirono tutti di fame nel 1289.
Il conte Ugolino è collocato da Dante nell’Antenora, tra i traditori della
patria e del partito: il riferimento potrebbe essere la concessione dei
castelli pisani a Firenze e le città nemiche ma è più probabile che si
riferisca all’abbandono da parte del conte dei Ghibellini per allearsi con i
Guelfi.

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


34
Il conte da una parte è un uomo politico feroce e brutale, sopraffatto dal
desiderio di potere e per questo punito, dall’altra padre straziato, tenero
e impotente di fronte all’ingiusta morte dei figli e dei nipoti di cui si sente
responsabile. Rabbioso al contempo disperato, egli morde il capo del suo
nemico come un animale. Dante per questo personaggio è duro per la
pena ma è lontana dal disprezzo. Tramite un lungo monologo il conte
Ugolino spiega come sono andate veramente le cose.
 La colpa
All’interno del canto sono due le colpe condannate. Dante e Virgilio
attraversano dapprima l’Antenora dove sono puniti i traditori del partito e
della patria, e poi Tolomea, dove sono puniti i traditori degli ospiti o degli
amici. Secondo Dante questi sono tra i peccati più gravi che si avvicina a
Lucifero.
Le anime dei traditori sono immerse nel Cocito, il lago ghiacciato che
ricopre il nono cerchio. La condanna richiama la colpa: il tradimento si
configura come manifestazione più grande della perdita di umanità,
raggelamento dell’agire umano che ha completamente perso il necessario
calore della carità. Contrappasso per analogia.
Invece le anime della Tolomea sono in posizione supina sul ghiaccio,
molto più doloroso perché le lacrime solidificano nell’occhio. Da
sottolineare quanto sia grave per Dante il tradimento degli ospiti e degli
amici.
 «Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno»
Verso molto importante aperto a due possibili spiegazioni:
-Che il conte Ugolino morì non a causa del dolore provocatogli dalla
condizione in cui si trovavano lui e la sua famiglia, ma la fame.
-Che la fame ebbe il sopravvento sul dolore per la morte dei familiari e si
cibò dei familiari stessi (tecnofagia).
* Racconto con qualità narrativa. Abbiamo: un narratore di 2° grado
(Conte Ugolino); un flashback con un flashforward; Punto di vista interno
del conte Ugolino; molta suspense e una narrazione silenziosa, dovuta al
fatto che non risponde ai figli in quanto non può aiutarli.

CANTO 34
- Sintesi narrativa
Virgilio avverte Dante che si stanno avvicinando a vessilli del re Lucifero.
Dante scorge in lontananza una struttura simile a un mulino a vento. I

RIASSUNTI DEI CANTI DELL’INFERNO


35
due proseguono nella quarta e ultima zona del Cocito, la Giudecca, in cui
sono puniti i traditori dei benefattori. Le anime sono completamente
immerse nel ghiaccio raggomitolate su sé stessi. È ora di vedere Lucifero,
il cugino del Miller.
Dante invita il lettore a non chiedergli di spiegare come rimase raggelato
alla vista del Re, perché ogni parola sarebbe inadeguata. Dante si
paragona ad un gigante e paragona quest’ultimo a Lucifero per far capire
al lettore la proporzione di Lucifero (postilla per Edo: dice che lui è più
simile a un gigante che un gigante simile a Lucifero). Il poeta si
meraviglia nel vedere che Lucifero ha tre facce in una sola testa: quella al
centro è rossa e le altre due si aggiungono a questa a metà di ogni spalla.
La destra è di colore giallastro e quella sinistra scuro. Sotto ogni faccia
escono due grandi ali che sembrano quelle di un pipistrello, attraverso le
quali provoca tre venti gelidi che fanno congelare il lago Cocito. Il Mostro
piange con sei occhi e le sue lacrime gocciolano lungo i suoi tre menti.
Lucifero maciulla in ognuna delle sue tre bocche un peccatore, il quale,
proverà un dolore inimmaginabile. Il peccatore al centro è Giuda, che ha
la testa dentro la bocca e fa pendere le gambe di fuori; degli altri due,
che hanno invece il capo rivolto verso il basso, quello che pende dalla
faccia nera è Bruto, che si contorce e non dice nulla, mentre l'altro è
Cassio, che sembra così robusto. A questo punto il maestro avverte Dante
che è quasi notte e i due devono rimettersi in cammino, poiché ormai
hanno visto tutto l’Inferno.
Virgilio invita il discepolo ad abbracciarlo intorno al collo e il maestro,
cogliendo il momento opportuno, si aggrappa alle costole di Lucifero e
attraverso un sentiero astruso che non ha proprio senso, Dante e Virgilio
fanno un salto triplo carpiato all’indietro e passano dall’altra parte di non
so cosa. Dante di volta e vede solo le gambe di Lucifero…Boh. Dante non
vede manco il ghiaccio così Virgi spiega che sono passati nell’emisfero
australe così si vede tutto capovolto. Non è l’emisfero dove è morto Gesù.
Quando Lucifero è stato rispedito all’infero allora l’emisfero boreale, che
aveva paura del contatto con il mostro, si ritirò in una voragine.
Nell’emisfero australe si formò la montagna del Purgatorio.
Dante spiega al lettore che all'estremità della cavità rocciosa (la Natural
burella), c'è un luogo distante da Lucifero tanto quanto la sua estensione,
che non si può vedere ma da cui si sente il suono di un ruscello che cade
verso il basso, nella cavità che ha scavato nella roccia con poca
pendenza. Dante e Virgilio si mettono in cammino lungo il budello, per
tornare alla luce del sole, e proseguono senza riposare un attimo, col
maestro che precede il discepolo facendogli da guida: alla fine Dante

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intravede gli astri del cielo attraverso un pertugio tondo nella crosta
terrestre e quindi i due escono, rivedendo finalmente le stelle.
- Interpretazione complessiva
Da ricordare è che il vento prodotto da Lucifero è parodia del soffio dello
spirito santo che precede dal padre e dal figlio.
La reazione del poeta di fronte a quello che fu il più bello degli angeli è di
assoluto terrore, tanto che rinuncia a descriverlo al lettore e si limita a
dire di essere rimasto in uno stato sospeso tra la vita e la morte, col
sangue raggelato e la voce che gli muore in gola. Lucifero è infatti
rappresentato come un mostro orrendo e gigantesco, peloso, con tre
facce unite a una sola testa, tre paia d'ali di pipistrello e altri attributi
animaleschi (i denti con cui maciulla i tre peccatori nelle sue bocche, gli
artigli con cui graffia la schiena di Giuda); è chiaramente una sorta di
parodia della Trinità e di Dio, di cui cercò di prendere il posto con una
superba ribellione che è il supremo tradimento, il che spiega perché sia
conficcato al centro del IX Cerchio in cui proprio tale peccato è punito.
Lucifero possiedo numerose analogie con i giganti e con il cane Cerbero,
entrambi sono indicati con il vocabolo vermo che ha significato
demoniaco. I tre colori delle facce sono stati interpretati come Roma,
Firenze e la Francia e le ali di pipistrello simboleggiano un essere opposto
alla colomba, come veniva spesso rappresentato lo Spirito Santo.
I due poeti arrivano dall’altra parte e vedono un fiume. Dovrebbe trattarsi
dell’Eden, il fiume che cancella la memoria dei peccati commessi e la
riporta all’inferno. Dovranno costeggiare questo fiume per arrivare a
vedere le stelle nel giorno della domenica di Pasqua. Sono usciti
dall’Inferno.

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